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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 25 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 2 

Audizione del vicepresidente di Confindustria, Lisa Ferrarini:
Catania Mario , Presidente ... 2 
Ferrarini Lisa , Vicepresidente di Confindustria ... 2 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Mongiello Colomba , Presidente ... 6 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 6 
Cariello Francesco (M5S)  ... 7 
Ferrarini Lisa , Vicepresidente di Confindustria ... 7 
Cariello Francesco (M5S)  ... 7 
Garofalo Vincenzo (NCD)  ... 7 
Ferrarini Lisa , Vicepresidente di Confindustria ... 8 
Garofalo Vincenzo (NCD)  ... 8 
Mongiello Colomba , Presidente ... 9 
Ferrarini Lisa , Vicepresidente di Confindustria ... 9 
Mongiello Colomba , Presidente ... 9 
Fantinati Mattia (M5S)  ... 10 
Mongiello Colomba , Presidente ... 10 
Ferrarini Lisa , Vicepresidente di Confindustria ... 10 
Mongiello Colomba , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione presentata da Confindustria ... 13

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14,00.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del vicepresidente di Confindustria, Lisa Ferrarini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della vicepresidente di Confindustria, Lisa Ferrarini.
  Do la parola alla dottoressa Ferrarini per lo svolgimento della sua audizione.

  LISA FERRARINI, Vicepresidente di Confindustria. Il fenomeno della contraffazione colpisce il nostro Paese in tutte le sue sfaccettature, nelle sue città d'arte, nelle sue spiagge; nuoce al mercato del lavoro, al gettito reale, all'attrazione degli investimenti essenzialmente nei settori più innovativi, e costa, soprattutto in termini di legalità, per il suo triste connubio con la criminalità.
  I dati sono sicuramente noti ai membri della Commissione. Il riferimento comune sono quelli contenuti nel rapporto del Censis del 2012, che sarà ufficialmente aggiornato tra pochi giorni, il 30 settembre 2014, con la presentazione del nuovo rapporto, a cui parteciperemo anche come Confindustria. Non li sto, quindi, a ripetere. Basti ricordare che il trend del mercato del falso è in crescita e che i casi registrati e gli articoli sequestrati, sia a livello comunitario che in Italia, sono in generale aumento.
  Ricordiamo sempre che dati e cifre vanno presi con grande cautela, perché si basano su sequestri e perché ovviamente una larga fetta di scambi illeciti sfugge alle rilevazioni statistiche.
  Tuttavia, l'11 agosto scorso il Ministero degli interni, assieme alla direttiva «Spiagge sicure», ha diramato un bollettino di guerra: da 64 milioni di pezzi sequestrati nel 2010 siamo passati a oltre 87 milioni tra gennaio 2013 e giugno 2014.
  Si conferma la tradizionale partizione merceologica: 25,5 milioni (quasi un terzo) di tessile e abbigliamento; 16,5 milioni di giocattoli; 8,7 milioni di prodotti di elettronica, informatica e audio-video; 6,3 milioni di farmaci.
  Vi sono poi gli effetti indotti, ossia ciò che il sistema-Paese recupererebbe eliminando la contraffazione, che due anni fa il Censis stimava a oltre 100.000 unità di lavoro, 14 miliardi di produzione aggiuntiva e oltre 5 miliardi di valore aggiunto.
  In questo quadro, risulta evidente che occorre il pieno coinvolgimento di tutti gli attori pubblici e privati, per condividere e coordinare strategie, individuare priorità di intervento e dare loro attuazione.
  Per semplicità, adopererò una distinzione tra interventi di natura politico-istituzionale e interventi di natura tecnico-operativa. All'interno di quest'ultima categoria, le necessità dell'industria sono in larghissima parte valide per tutti i settori e condivise dalle altre parti sociali.Pag. 3
  Nella sfera politico-istituzionale, riteniamo prioritario valorizzare innanzitutto il ruolo del Consiglio nazionale anticontraffazione (CNAC). Abbiamo lavorato in maniera costante e proattiva al suo interno e crediamo che costituisca un'opportunità per raccordare pubblico e privato. La sua efficacia dipende, però, dalla capacità, a valle del coordinamento strategico, di favorire l'attuazione delle misure e delle azioni promosse dai suoi membri. Si tratta, come al solito, di passare dalle strategie ai fatti.
  Occorre, inoltre, favorire l'attuazione di strategie di contrasto a livello europeo. L'Unione europea deve essere maggiormente consapevole e coinvolta nel contrasto al fenomeno, sia nei controlli doganali, per i quali serve maggiore omogeneità fra i Paesi membri, sia nelle azioni preventive, inserendo, ad esempio, disposizioni più stringenti negli accordi di cooperazione e di libero scambio con i Paesi terzi. Anche in questo caso, serve poi dare attuazione.
  Appena assunto l'incarico in Confindustria due anni fa, ne parlai con il capo di gabinetto dell'allora Commissario delle dogane Kovács, che mi disse chiaramente: «Non abbiamo le risorse e possiamo controllare al massimo il 2-3 per cento delle merci in ingresso».
  Bisogna potenziare la cooperazione amministrativa tra gli Stati membri. Per farlo serve un unico centro di competenza. Attualmente le competenze sono ripartite tra le direzioni generali dogane, commercio, impresa, consumatore e mercato interno, che fanno capo ai diversi commissari. Manca, quindi, il necessario coordinamento, affinché le autorità nazionali operino all'unisono.
  L'Unione Europea dispone di un osservatorio sulla contraffazione presso lo UAMI (Ufficio armonizzazione mercato interno), che si occupa per lo più di ricerca e di elaborazione dati o scambio delle migliori pratiche ed appare sostanzialmente privo di profili operativi.
  In ultimo, è necessario stringere le maglie dei controlli portuali nell'Unione Europea. Molti Stati membri non hanno legislazioni interne realmente strutturate, e qui i controlli doganali favoriscono lo sviamento dei traffici verso i punti di ingresso più generosi, a scapito di Paesi come l'Italia che li esercitano in maniera molto efficace.
  L'Italia sta facendo un lavoro portuale e doganale veramente molto positivo, ovviamente con le capacità finanziarie che si possono avere. In questo momento vi parlo da imprenditore. Stanno facendo un controllo sulle dogane assolutamente ineccepibile e molto attento. Infatti, è calato il lavoro sui nostri porti. Forse dipende dal fatto che è calato il lavoro in generale, ma probabilmente anche dal fatto che in altri porti in giro per l'Europa sono un po’ più dolci e, quindi, i prodotti passano un po’ più velocemente.
  In questo quadro, un modello simile al CNAC italiano, dove istituzioni e stakeholder condividono priorità e strategie, potrebbe rappresentare un utile elemento di proposta anche per la presidenza italiana.
  Tra gli interventi di natura regolamentare e tecnico-operativa, appare prioritario focalizzare l'attenzione su attività di formazione e informazione. È un punto essenziale, perché le attività formative e informative a imprese, consumatori, scuole e altri attori della società civile garantiscono una più approfondita conoscenza dei danni provocati dalla contraffazione e delle tutele previste dal sistema della proprietà intellettuale.
  Lo scorso anno, in collaborazione con il Ministero dello sviluppo economico, Confindustria ha svolto un ciclo di seminari sul territorio presso le nostre associazioni, con la partecipazione di esperti sia privati che istituzionali, tra cui l'Agenzia delle dogane e la Guardia di finanza, registrando ampio interesse e partecipazione. Gli incontri sono stati molto partecipati. Li abbiamo fatti da Nord a Sud. Probabilmente sarebbe bene rendere questa iniziativa continuativa nel tempo, perché iniziando a educare all'anticontraffazione già dalle scuole, questo percorso, secondo me, entra nella testa del giovane consumatore. Secondo noi, è stata un'operazione estremamente positiva.Pag. 4
  Servono delle banche dati. Per contrastarlo, serve un'approfondita conoscenza del fenomeno e della sua quantificazione. La banca dati Pericle, del Ministero dello sviluppo economico, raccoglie i dati delle dogane e delle forze dell'ordine, ma va sviluppato l'impegno sinergico nell'interscambio dei dati, per ottenere maggiore dettaglio nelle informazioni e per ottimizzare le risorse.
  In sostanza, si richiede la fruibilità da parte delle associazioni delle banche dati e della loro interoperatività, con la possibilità di svolgere ricerche mirate, attraverso filtri, per ottenere dati specifici, merceologie, luoghi di sequestro, volumi, origine di provenienza e logistiche dei flussi.
  Per quanto concerne i desk per la tutela della proprietà intellettuale, questi sono stati chiusi nel 2008-2009 e nel 2013 ne sono stati ripristinati alcuni in Paesi per noi molto strategici. Sono dei desk anticontraffazione presso le nostre ambasciate o i nostri uffici ICE. Sono praticamente degli avamposti, secondo noi molto importanti, che possono essere polivalenti, quindi servire sia come consiglio tecnico-giuridico che per l'ingresso e per l'uscita delle merci.
  Credo che questo sia stato un passo molto importante. Speriamo che anche quest'anno vengano implementati, perché questa è una bellissima risposta. Credo che, soprattutto per le imprese impegnate sui mercati esteri che non hanno punti di appoggio molto importanti, questo sia un ottimo aiuto.
  La contraffazione web e la diffusione globale di internet comporta che gli strumenti di contrasto normativo regolamentare siano almeno europei. In quest'ambito, vanno contemperate le esigenze dei fornitori dei servizi web, evitando, però, che le reti diventino un canale incontrollato di prodotti contraffatti.
  In tal senso, il CNAC si candida ad essere il luogo istituzionale adeguato per effettuare la sintesi di queste esigenze. Nel giugno di quest'anno un'apposita commissione tematica ha elaborato linee-guida condivise.
  Appare ragionevole la soluzione di lasciare alle parti la sottoscrizione dei protocolli d'intesa, sul modo delle charte francesi, con l'obiettivo di far convergere l'azione dei titolari dei diritti e quella dei fornitori dei servizi web, attraverso delle best practice anticontraffazione comuni.
  Abbiamo poi l’italian sounding. Non si tratta di autentica contraffazione, quanto dell'utilizzo illecito della forza evocativa dell'italianità, ma ha un enorme valore sul mercato. Solo nell'Unione europea l’italian sounding vale circa 21 miliardi, contro i 13 dei prodotti originali. È veramente un mercato molto forte. Nel mondo si parla addirittura di una cifra intorno ai 60 miliardi.
  Va combattuto con strategie di marketing e valorizzazione dei prodotti italiani, attraverso la difesa dei marchi e delle denominazioni di origine. La strategia, condivisa anche con il Ministero dello sviluppo economico ed esplicitata nel decreto «Sblocca Italia», è di sensibilizzare i consumatori esteri sul prodotto realmente italiano, e va attuata con estrema determinazione.
  Sul riconoscimento del prodotto alimentare, nell'accordo bilaterale tra Europa e Stati Uniti (il TTP), come sapete, siamo ancora fermi ai riconoscimenti di tutti i prodotti DOP e IGP, perché sono quelli che probabilmente danno più fastidio. Per il nostro settore alimentare, il mercato americano è il primo dopo l'Unione europea, quindi sarebbe bene riuscire a proteggere tutti i nostri marchi e tutte le nostre DOP.
  Per quanto riguarda la contraffazione del made in Italy, la lotta al fenomeno contraffattivo si inserisce a pieno titolo in una strategia complessiva di tutela del made in Italy e di sua valorizzazione, sia sul mercato nazionale che su quello globale. A tale riguardo, sotto l'aspetto normativo, si è assistito negli ultimi anni all'elaborazione, in sede nazionale, di proposte di legge sostenute da varie parti politiche, che tendevano a prevedere dei molteplici made in Italy qualificati secondo i requisiti obbligatori relativi all'origine geografica, alla sicurezza, all'igiene, Pag. 5alla sanità, al lavoro, alle caratteristiche intrinseche di alcune merceologie, alla prevalenza delle fasi di trasformazione e all'italianità, legando ciò a esigenze di tutela rispetto alla contraffazione.
  Purtroppo, non è in questo modo che eviteremo la proliferazione di emuli del nostro brand nazionale; anzi, in taluni casi potremmo favorirla, inflazionando diciture, marchi e denominazioni, il cui valore commerciale e promozionale non è mai stato accertato a monte di tali proposte, e il cui rilascio e controllo rischiano di rappresentare rilevanti costi aggiuntivi per le imprese, nonché possibili elementi di discriminazione in un momento in cui, invece, l'industria nazionale va promossa in maniera sistemica.
  Infine, sempre in tema di made in nella sfera europea, c’è una cosa che io ho particolarmente a cuore. In questi giorni l'ho affrontata in maniera forse fin troppo energica. Noi siamo l'unico Paese in Europa a non prevedere, per le produzioni interne, per il commercio interno e per l'ingresso di merci dai Paesi terzi, l'obbligo di indicazione dell'origine del prodotto. Gli Stati Uniti hanno questo obbligo e anche la Cina. Noi importiamo dalla Cina, ma questa non ha l'obbligo di scrivere made in China quando entra in Europa. L'Italia, però, quando entra in Cina, ha l'obbligo di scrivere made in Italy.
  Secondo me, ci sono dei pesi e delle misure che vanno assolutamente regolamentati. Questa è stata una battaglia che è stata persa intorno al 2011. Poi è stata riacchiappata al volo due anni fa. Era stata inserita nel pacchetto del Regolamento per la tutela e la sicurezza del consumatore, per il prodotto che andava direttamente al consumatore finale. Diverse merceologie erano annoverate in queste tutele.
  Questa battaglia è stata vinta in plenaria a Strasburgo con 473 voti favorevoli, 170 contrari e circa una ventina di astenuti. Il 15 aprile vi è stata l'ultima votazione. Per noi era stato raggiunto un enorme traguardo, perché alla fine avevano votato anche tanti onorevoli tedeschi, che rappresentavano il fronte in assoluto più ostico a questo progetto, anche perché tutti i Paesi del Nord sono storicamente Paesi non manifatturieri, quindi ovviamente sono contrari all'etichettatura dei prodotti.
  Permettetemi di dire che io ritengo questa battaglia di importanza vitale per un Paese che esprime un manifatturiero magnifico come il nostro, che deve continuare a creare ricchezza sul territorio, che deve promuovere l'occupazione, che deve essere competitivo nel mondo, pur avendo i costi energetici più alti, il costo del lavoro più alto, le tassazioni più alte e tutto quello che sappiamo. Non sono venuta a lamentarmi di quello che ci costa fare attività in Italia, però se continuiamo a lavorare in Italia è perché vogliamo bene al nostro Paese e vorremmo essere tutelati fino in fondo.
  Questa è una battaglia che noi abbiamo portato avanti con Paesi molto forti, come la Spagna e la Francia, Paesi manifatturieri con l'eccellenza del prodotto di gamma. Siamo rimasti uniti contro un blocco tedesco che non si smuove. Non c’è niente da fare. Adesso addirittura hanno chiesto lo studio di impatto, che normalmente si chiede prima della votazione. È stato chiesto per portare il problema alla futura presidenza lituana e quindi «chiuderla».
  Perdiamo una grande opportunità, perché credo che sia anche una questione di rispetto. È innanzitutto una questione di rispetto nei confronti del consumatore, che è sovrano. Il consumatore, quando viene ad acquistare, paga ed è sovrano sempre. Io faccio questo mestiere e lo ritengo tale. Oltre a ciò, secondo me, è anche una questione di civiltà e di democrazia, che credo sia fondamentale.
  Il fatto che venga stralciato mi rammarica molto, perché vuol dire che ancora non siamo arrivati a esprimere una democrazia e un senso di civiltà etico così forte per tutelare i nostri consumatori.
  Questo è un peccato, perché tutti gli anni aumentano le dermatiti infantili. Siamo arrivati al 7 per cento di dermatiti nei bambini da zero a un anno. Ciò vuol dire che indossano abitini con colori Pag. 6strani, con materiali probabilmente tossici, oppure cose che non vanno bene. Mi ricordo che ci furono dei sequestri di partite di detersivi, di dentifrici oppure di giocattoli. C’è poi il problema della farmaceutica e della cosmetica. Si tratta della tutela e della sicurezza del consumatore.
  Auspico di essere ancora in tempo nel semestre di presidenza europeo per rimettere in discussione questa richiesta. La vostra è una Commissione anticontraffazione, quindi credo che il tema della tutela del made in faccia assolutamente parte anche della vostra cultura.
  Io conosco l'onorevole Catania da tanti anni e so che, se sposa un'iniziativa, fa di tutto per portarla a termine. Questa è difficilissima. Io ho quasi la certezza che la proposta sia stata stralciata. Spero di sbagliarmi e spero che ci sia un rilancio forte, almeno nel nostro Paese. Questo per me è fondamentale. Grazie.

  PRESIDENTE. Rivolgo un ringraziamento vivissimo alla presidente Ferrarini, che ci ha illustrato un quadro puntuale, come tutti noi immaginavamo, della dinamica che oggettivamente abbiamo davanti e il punto di vista di Confindustria, con alcune sottolineature, che io raccolgo, in particolare quella riferita al made in.
  Sicuramente quello del made in è un tema che noi consideriamo nostro, nel senso che è un tema appartenente al campo di riflessione e di intervento di questa Commissione.
  D'altra parte, vi ricordo che la settimana scorsa il collega Garofalo, che ringrazio ancora per questo e che è qui presente anche oggi con noi, ci aveva segnalato l'opportunità di un'iniziativa immediata di sollecitazione al Governo su questo tema, nell'ottica del negoziato comunitario. È un tema che oggi non abbiamo la possibilità di riprendere, ma lo faremo nella prossima riunione, durante la quale io vi farò una proposta di iniziativa concreta in termini di lettera e stabiliremo a chi indirizzarla.
  Il tema del made in ci è ben chiaro. È un tema che rientra nella nostra area di competenza e sul quale ci impegneremo, tanto quanto ci impegneremo sul tema della contraffazione.
  Adesso purtroppo, come vi avevo detto prima, devo rispondere alla convocazione della Presidente Boldrini e devo andare in Giunta del Regolamento. Cedo ora la presidenza alla vicepresidente Mongiello, che prego di accomodarsi al mio posto. Ringrazio ancora la presidente Ferrarini. I colleghi avranno senz'altro da rivolgere domande, alle quali la presidente risponderà sicuramente in modo esauriente.

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE COLOMBA MONGIELLO

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  FILIPPO GALLINELLA. Chiederò due cose. Lei ha sottolineato che la contraffazione oramai non passa più maggiormente per le dogane italiane, ma per le dogane dell'Unione. Abbiamo un condominio con 28 portieri diversi. Sicuramente un obiettivo comune è poter avere regole uguali. Chiaramente i paesi del Nord sono più commercianti, quindi hanno meno interesse a tutelare i loro prodotti, visto che non ne hanno.
  Dalla sua esperienza e dai suoi dati, come si collega la contraffazione al fenomeno della sottofatturazione ? Il fatto di dichiarare meno merce di quella che c’è dentro un container alle dogane come può influire su questo tipo di problematica ?
  Inoltre, c’è un problema di risorse. Lei ha riportato le dichiarazioni del Commissario alle dogane, che ha detto che noi con le risorse che abbiamo possiamo controllare solo il 2-3 per cento delle merci. Come si trovano le risorse da mettere in campo ? Magari togliendole dal prodotto che si riesce a bloccare ? Le chiedo se ha dei dati per darci una mano a ragionare su questo.
  In secondo luogo, lei ha parlato giustamente del made in e dell'etichettatura d'origine. Io vengo dalla Commissione agricoltura, come la vicepresidente Mongiello. Queste sono battaglie comuni.Pag. 7
  Io sono un po’ critico sulla proposta di applicare un segno distintivo ai prodotti italiani in visione dell'Expo, perché questo non avrebbe nessuna tutela giuridica. Io lo vedo più come un ulteriore segno che potrebbe essere contraffatto. Lo considero un escamotage per bypassare la questione dell'etichettatura d'origine. Vorrei un commento anche su questo da parte sua.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio la presidente Ferrarini per questa audizione. In questa Commissione abbiamo un obiettivo: portare al Parlamento delle proposte.
  Ho condiviso l'approccio dell'esposizione. Lei si è soffermata più volte nel dire che dobbiamo passare dalle parole ai fatti e soprattutto ha puntualizzato un concetto: la contraffazione è un costo. Lo condivido pienamente.
  Io voglio cercare di portare in questa Commissione un concetto chiaro: se dobbiamo minimizzare questa contraffazione, inquadrandola come un costo, dobbiamo cercare di non guardare soltanto alla fase di contrasto e controllo. Infatti, come ha sollevato il mio collega Gallinella, con le risorse a disposizione oggigiorno si riesce a fare poco. Spingere ancora una volta e continuare a ostinarsi in azioni di contrasto, pensando che questo minimizzi il costo della contraffazione, a mio avviso, è un assurdo.
  Voglio cercare di pungolarvi su questo aspetto. Magari lo condividerete nella vostra associazione con gli industriali. A mio avviso, se, invece del contrasto, valorizziamo la promozione di una filiera, di distretti o di prodotti di una certa origine, agevoliamo quelle imprese che devono vincere la concorrenza di chi copia il loro prodotto.
  Perché dico questo ? Le azioni di contrasto e soprattutto quelle di controllo, a volte, si traducono in un eccesso di burocrazia. Diverse imprese sollevano questo problema. A volte per colpire chi produce in maniera fraudolenta o comunque non in linea con le direttive e i vari controlli che noi imponiamo, colpiamo anche il buono e per quest'ultimo diventa un costo ulteriore.
  Noi abbiamo già condiviso questa proposta con il presidente e magari nelle varie audizioni tireremo fuori un'idea. I vari Governi e le varie associazioni si devono fare partner di coloro che vogliono portare dei prodotti di origine controllata, o comunque di origine certa, a valorizzarsi sul mercato, per aumentare la loro competitività.

  LISA FERRARINI, Vicepresidente di Confindustria. Lei parla di prodotti alimentari o di tutti i prodotti ?

  FRANCESCO CARIELLO. È chiaro che l'approccio è mirato prevalentemente ai prodotti di tipo alimentare. Laddove vogliamo valorizzare una filiera di aziende che costituiscono, in un distretto industriale, la certezza della qualità di un prodotto finale, se ci si fa promotori di questo tipo di approccio con una filiera tutta controllata, alla fine si valorizza anche l'origine.
  Questa è una nota di principio che tenevo a condividere con la vostra associazione, che è importante, ma che andrebbe calata anche nelle associazioni che gestiscono meno iscritti rispetto alla vostra. A volte ci si concentra su quei dieci o quindici marchi più importanti, ma ci sono tanti altri prodotti nel nostro Paese che non hanno un supporto, come può essere quello della vostra associazione, nel valorizzare il loro processo di qualità.
  Mi sto spostando nel lato dell'offerta. Se vogliamo contrastare la contraffazione, dobbiamo anche guardare a tutta la filiera di materie prime che arrivano. I piccoli produttori hanno necessità di essere supportati rispetto a quello che arriva, perché loro tendono a cercare sul mercato quello che costa meno.
  Non so se ho reso l'idea di questo approccio, più che altro, metodologico. Il mio vuole essere uno stimolo per Confindustria a guardare un po’ più nel capillare e a non fermarsi ai prodotti importanti, che, comunque, fanno grande il nostro made in. Grazie.

  VINCENZO GAROFALO. Ringrazio molto la dottoressa Ferrarini, per averci Pag. 8dato, anche lei, un quadro molto importante e un'analisi.
  Visto che questa Commissione esisteva già nella scorsa legislatura, come ha detto il presidente Catania, dobbiamo cercare di proseguire l'attività ripartendo da quello che già è stato fatto.
  Anche per quanto riguarda il vostro lavoro e la vostra analisi, io credo che ormai, come ha detto lei, bisogna passare dalle parole ai fatti. Bisogna cominciare a mettere in piedi tutte le iniziative e le proposte che già sono state elaborate.
  Noi ancora non abbiamo fatto l'audizione con il CNAC. La faremo la prossima volta, dopo il ministro e dopo lei. Credo che sia cronologicamente perfetta come collocazione, perché già da lì si può passare un po’ più rapidamente ad alcuni fatti.
  Il fenomeno, come ha detto lei, non solo è rilevante da un punto di vista economico, ma tocca il cuore del nostro Paese. Il nostro Paese, a cominciare dall'articolo 1 della Costituzione, si basa proprio sul lavoro e sulla creatività, cioè su quello che gli italiani sono in grado di fare.
  Se noi oggi, all'interno di un sistema geograficamente e politicamente più ampio, non siamo capaci di tutelare questo, francamente dobbiamo dire che questo Paese rinuncia a un valore che è stato costruito in tanti anni. È una battaglia che bisogna condurre ormai in maniera tempestiva e tenace con tutti gli strumenti.
  Ecco perché la scorsa settimana, insieme ai colleghi (non ho fatto io la proposta, ma sicuramente è un'idea che è venuta in mente a tutti), abbiamo pensato di utilizzare il tempo residuo del semestre italiano per spingere su qualcosa che da tempo questo Paese reclama e che ha diritto ad avere. Altrimenti noi potremmo apparire rinunciatari, come se non ci credessimo.
  A questo proposito, vorrei chiederle un chiarimento. Nella scorsa seduta è venuto fuori un dubbio su made in Italy e origine italiana. Da lei, che guida un'associazione di categoria con delega precisa, vorrei capire in che modo ci dobbiamo porre. Sappiamo che ci sono visioni un po’ differenti e poco coese sul made in Italy.
  A mio modo di vedere, made in Italy vuol dire che l'origine è in Italia e che il prodotto nasce e viene definito in tutti i passaggi in Italia. Pare che su questo tema ogni tanto ci siano una serie di considerazioni che tendono a allentare questo vincolo e forse a spostare il raggiungimento di un traguardo.

  LISA FERRARINI, Vicepresidente di Confindustria. Chiedo scusa, la domanda è la differenza tra il made in Italy e l'origine italiana ?

  VINCENZO GAROFALO. Esattamente. Lei fa un passaggio su questo nella sua relazione. Vorrei avere un po’ più di chiarezza.
  Nella nostra riflessione durante le sedute precedenti, ovviamente abbiamo toccato il tema relativo a formazione e informazione. Lei l'ha trattato benissimo. Bisogna far capire a tutti i vari danni: il danno per il consumatore (lei ha elencato molti prodotti), di cui sui social network viene fatta larga diffusione; ma soprattutto il danno sociale in termini di lavoro e di occupazione. Chiaramente meno manifattura si fa in Italia e meno lavoro c’è per tutti, non solo per chi lavora in fabbrica, ma anche per chi offre servizi alle aziende. Senza manifattura – ahimè – il Paese non si riprende, perché i servizi e tutto il resto sono necessariamente collegati.
  A tal proposito, le chiedo se avete preso in esame possibili usi della tecnologia in vari settori. Ci è stato detto che nel settore farmaceutico si è fatto un grande passo avanti utilizzando alcune tecnologie, non so esattamente di che tipo. Spero che con le varie audizioni riusciremo ad avere qualche aggiornamento sul tema.
  Comunque, lei potrebbe essere un'ottima testimonial e raccontarci cosa c’è. Infatti, all'interno di Confindustria, probabilmente ci sono aziende che sviluppano tecnologie per favorire la tracciabilità o un sistema antifrode, se è possibile.
  Chiudo affermando che un tema che forse potremmo utilizzare per sanzionare Pag. 9maggiormente è la salute. È per questa ragione che la scorsa volta ho chiesto che si inserisse all'interno delle audizioni il Ministero della salute.
  Credo che sia un tasto con il quale si può inasprire ancora di più la sanzione o qualunque altro atteggiamento che possa dare un colpo a questo terribile fenomeno, che è sottovalutato in Italia e all'estero. Credo che nessuno si possa esimere dal prendere consapevolezza che quando questo fenomeno si diffonde colpisce anche altri Paesi. Credo che ognuno abbia il dovere di tutelare la propria creatività e produttività. Il tema della tossicità, a mio avviso, va utilizzato.
  Concludo dicendo che i diversi spunti che ci ha dato saranno sicuramente utili per arricchire la lettera che noi elaboreremo. Definiremo se il destinatario sarà il Presidente Renzi o un altro esponente del Governo.

  PRESIDENTE. Dottoressa, mi consentirà qualche domanda. Ci conosciamo da tanto tempo e abbiamo affrontato questo tema complesso. Mi fa molto piacere che si distinguano le due fasi: la contraffazione e l’italian sounding, cosa che all'inizio veniva alquanto confusa.
  Lei faceva riferimento a tutta la discussione in atto, quella conclusasi con l'ultima legislatura europea, dove fu approvato il made in non agroalimentare. Vorrei sottolineare che è una cosa ben diversa.
  C’è poi il tema degli accordi bilaterali e multilaterali che il nostro Governo dovrebbe siglare durante il semestre europeo. Ha ragione il collega Garofalo: li dovremmo sollecitare. Infatti, i suoi marchi e la sua altissima qualità (fashion, cibo, giocattoli, cosmesi) fanno dell'Italia il Paese più copiato al mondo e, di fatto, anche un Paese che ha il dovere di tutelare la sua produzione. Se noi recuperassimo un pezzo di questa produzione, potremmo finalmente vedere in positivo quei dati economici che oggi sono in stagnazione.
  Mi preoccupa molto la questione dell’italian sounding, che spesso è sottovalutata, che sta raggiungendo vette alquanto preoccupanti. Noi, come Commissione contraffazione, e il Parlamento, dovremo affrontare tutti questi aspetti con la cautela del caso, ma anche con elementi normativi più efficaci.
  Noi ci abbiamo provato nelle scorse legislature. Lei lo sa. Spesso ci siamo incrociate in qualche convegno sull'origine, il made in, l'etichetta. È una discussione che ci ha visti anche su fronti contrapposti.
  Oggi è stato firmato un importante accordo tra il mondo della produzione agricola, le istituzioni pubbliche e il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, che è l'accordo ISA-Mataluni. È un accordo che chiude la filiera agricola e, guarda caso, è un matrimonio ben riuscito tra il mondo agricolo e l'impresa, con un sostegno, che non è un aiuto di Stato, ma soltanto un finanziamento, da parte dell'ISA (Istituto sviluppo agroalimentare).
  Qual era l'obiettivo di questo accordo ? Accorciare le filiere, tutelare il prodotto italiano e aiutare le aziende, soprattutto quelle meridionali, a reggere l'urto dei mercati e a collocare i propri prodotti nella grande distribuzione organizzata (GDO), purché siano prodotti di qualità al 100 per cento italiani.

  LISA FERRARINI, Vicepresidente di Confindustria. Parliamo di ortofrutta ?

  PRESIDENTE. Parlo di olio. Mi riferisco al gruppo Mataluni, Olio Dante.
  Le pongo alcune domande. Innanzitutto, lei ha parlato dei desk presenti in ambasciate, consolati e ICE. Io sono d'accordo che un front office all'estero vada riproposto con forza, e vorrei da lei qualche consiglio per la Commissione su come dovrebbero funzionare, in maniera tale che non vadano incontro a dei fallimenti come è avvenuto in passato.
  Il collega Garofalo richiamava un tema di discussione: l'origine del prodotto. Parliamo di made in, ma parliamo di origine: a quali prodotti ci riferiamo ? Un conto è il cibo, altra cosa è il fashion, altra cosa ancora è la cosmesi o altri prodotti, quindi su questo è bene fare chiarezza.
  Infine, nel decreto «Sblocca Italia» stiamo affrontando questo tema. C’è una Pag. 10proposta sul made in Italy, sull'internazionalizzazione, su come affrontiamo il tema dell’italian sounding e su come lo combattiamo. Cosa ne pensa di questo segno distintivo ? Ovviamente in questo caso ci riferiamo solo al cibo, che viene richiamato nell'articolo 30 del decreto «Sblocca Italia».
  Ritiene che sia sufficiente questo segno distintivo, che, secondo me, nel decreto è molto generico e non impatta del tutto il tema dell’italian sounding ? Come pensa che possiamo riempirlo di contenuti, in maniera tale da aiutare il Governo a legiferare nel migliore modo possibile, anche con l'aiuto della parte imprenditoriale di questo Paese ?

  MATTIA FANTINATI. Intervengo sempre per ultimo e, quindi, devo sempre essere alquanto telegrafico.
  Desidero sollevare un aspetto tecnico. Non pretendo che mi risponda ora, ma possiamo risentirci per un approfondimento. Nella legge finanziaria del 2004, al comma 49 dell'articolo 4 sono stati aggiunti i commi 49-bis e 49-ter, che disciplinano i controlli e le sanzioni avverso la falsa e la fallace indicazione di origine e provenienza.
  Di fatto, rispetto alla normativa originaria, che prevedeva soltanto il comma 49, i predetti commi trasformano la fallace indicazione da illecito penale a illecito amministrativo. In altre parole, in questo modo viene depotenziato il reato.
  L'Agenzia delle dogane ha fortemente criticato i commi 49-bis e 49-ter, sostenendo che andrebbero cancellati e che si dovrebbe ritornare alla situazione precedente, perché depenalizzando il reato è molto più difficile arrestare le produzioni di merce contraffatta e soprattutto recuperare sul mercato la merce già venduta.
  Vorrei conoscere la posizione di Confindustria e delle aziende al riguardo.
  Chiudo il mio intervento con un'esortazione. Io penso che la prima arma con cui si combatte la contraffazione sia l'informazione, soprattutto al consumatore finale. Questa è la ragione per cui l'Agenzia delle dogane, in collaborazione con la Guardia di finanza, realizza corsi destinati ai ragazzi e agli utenti finali. Pertanto, esorto a continuare questi corsi, anche magari con l'avallo e l'aiuto di Confindustria.

  PRESIDENTE. Do la parola alla dottoressa Ferrarini per la replica.

  LISA FERRARINI, Vicepresidente di Confindustria. Quando sento parlare di 49-bis mi viene in mente il carcere. Quello è il 41-bis. Per fortuna non sono bene informata. A parte gli scherzi, per quanto riguarda la questione dei due commi, francamente devo farle rispondere, perché non ne ho idea.
  Proseguo in ordine. Lei ha parlato del discorso delle dogane europee e italiane. Io so come funzionano le nostre dogane e rispondo per quelle. Per le dogane europee, probabilmente i portieri non sono in porta. Quello è un problema che va sollevato adesso, perché abbiamo il semestre di presidenza. Credo che mai come adesso (ci ricapiterà tra quattordici anni) potrebbe essere l'occasione per affrontare la questione. Non le so rispondere sulle sotto-fatturazioni e su cose di questo genere, perché è un ragionamento che francamente non conosco e potrei dire delle stupidate. Assolutamente non riesco a risponderle.
  È chiaro che i prodotti contraffatti qualcosa di poco lecito e losco ce l'hanno sempre. Può darsi che ci sia anche quello. Io non so dirlo, però viaggiano senza cartellini e probabilmente anche senza documenti di trasporto. Tutto è possibile. La contraffazione purtroppo è una cosa incredibile; c’è di tutto e di più. D'altra parte, la criminalità si alimenta con la contraffazione, quindi è un mondo pericolosissimo.
  Per quanto riguarda il marchio collettivo sul decreto «Sblocca Italia» io sono assolutamente contraria, per un motivo molto semplice: non ha senso apporre un «marchietto» di questa fattura se dietro non c’è una macchina di controllo.
  Vi ricordo che, come nella farmaceutica, anche il prodotto alimentare ha i lotti Pag. 11di giornata tracciati. Quando avrete il piacere di fare una gita in mezzo al mondo alimentare – io faccio salumi – ve lo farò vedere volentieri. Noi tracciamo addirittura il pepe e il sale. La tracciabilità dei nostri prodotti è effettiva, con i lotti di giornata e tutto il resto.
  Francamente credo che apporre un ulteriore «marchietto» su un brand aziendale o addirittura su un DOP abbia poco senso. Se questo serve per pubblicizzare un momento di Expo e, quindi, fare per tutta la catena alimentare un vestito unico, ci può anche stare. Però, non la considero una cosa utile.
  Sapete cosa manca, invece, a mio avviso ? Mi riallaccio al discorso dell'onorevole Cariello. Noi abbiamo un tessuto magnifico composto da tutte le PMI italiane, che sono la forza del nostro Paese, che tutto il mondo ci invidia, nonostante ci dicano che siamo piccolini, piccolini, piccolini. Noi siamo contenti di essere piccolini. Queste, però, fanno fatica a vendere nel mondo, a farsi riconoscere nel mondo e a creare il distretto alimentare nel mondo.
  Noi dovremmo costruire delle bellissime piattaforme di distribuzione nel mondo che veicolino il prodotto. Ne basterebbero un paio sul mercato americano, una in Sudamerica e un paio nel sud-est asiatico.
  Un'azienda piccola non può permettersi i costi di distribuzione di una grande impresa. Ad esempio. L'eccellenza del cappero di Pantelleria, quando fattura tanto, arriva a fatturare 500.000 euro. Come si può affrontare la distribuzione in Giappone con un solo prodotto ?
  Il Viceministro Calenda sta lavorando molto bene in questo senso. Si sta veramente dando da fare per creare molto lavoro, anche trasversale, sulle PMI.
  Ciò nonostante, noi abbiamo bisogno di un vero Ministero del commercio estero. Noi abbiamo bisogno di creare delle strutture nel mondo per la diffusione di tutti i prodotti, anche quelli delle PMI, altrimenti queste imprese non riusciranno mai a emergere. Le PMI dovranno vendere a uno più grande, che userà quel prodotto quando gli farà comodo e magari gli darà poco perché ha bisogno di riguadagnarci.
  Se invece di spendere dei soldi su un marchio collettivo che durerà sei mesi, e non si sa chi lo userà (non voglio sapere che soldi sono, da dove vengono e come vengono utilizzati), li utilizzassimo per costruire delle piattaforme logistiche di distribuzione nel mondo, cambierebbe molto il rapporto commerciale del food nel mondo. Questo è importantissimo. Sarebbe un veicolo di vendita stupendo, che forse innervosirebbe le grandissime imprese, che in realtà sono multinazionali, ma per tutto il territorio italiano, che ha la caratteristica di avere solo delle PMI, sarebbe il massimo.
  Lo stesso distretto è sorpassato ormai, perché non riesce ad aiutare a veicolare il prodotto o fa più fatica. Il problema qual è ? Fare uscire il prodotto, far guadagnare la gente, far guadagnare le imprese e far conoscere il prodotto. Non ci sono alternative. Quello italiano è un mercato saturo, finito. Siamo arrivati a dama. Dobbiamo andare nel mondo. Dove cercano il made in Italy ? Nel mondo. Dobbiamo, quindi, andare là. Questo per me è un passaggio importantissimo.
  È vero. C’è anche il mondo che viene in Italia. Tante zone si sono ben organizzate. Le zone turistiche, ad esempio, si sono iperorganizzate per la promozione del prodotto. Io sento sempre dire che di soldi non ce ne sono. Da questi palazzi escono sempre queste notizie. Non so se siano vere. Io le sento da fuori.
  Sono spesi male ? Io lo sento da fuori.
  Sugli usi della tecnologia, ci sono tante aziende che ci stanno proponendo delle soluzioni, da alcuni barcode molto strani a dei chip. Sono tutte cose costosissime. Anche lunedì vedrò un'azienda di Torino che ci vuole proporre un chip da applicare al prodotto per contraddistinguerlo contro la contraffazione, però sono sistemi che costano veramente delle cifre molto impegnative. Ci si sta muovendo, però ancora di chiaro non c’è molto.
  Per quanto riguarda l'origine italiana e il made in Italy, se per origine italiana intendiamo una filiera dalla A alla Z, ciò Pag. 12vuol dire che per produrre una cravatta di seta abbiamo avuto i bachi da seta che hanno filato la seta in Italia, la tessitura, la lavorazione, la battitura, la stiratura, la tinteggiatura e il colore fatti in Italia, l'etichetta di viscose italiano, prodotto in Italia e tinto in Italia. Quello è 100 per cento italiano.
  Noi sappiamo che questo è un Paese deficitario, in alcuni comparti, per il 70-80 per cento di materie prime. Per me nella materia prima è importante la scelta che l'imprenditore sa fare con le proprie capacità, le proprie conoscenze e le proprie necessità nel mondo. La capacità del made in Italy sta nella conoscenza e nella trasformazione che abbiamo in Italia.
  Il grande caffè è il caffè italiano. Lei mi dica, però, quanti chicchi di caffè si producono in Italia. Nessuno. Il caffè più buono al mondo qual è ? Il caffè italiano.
  Dobbiamo capire se vogliamo incaponirci su una strada che ci fa del male e che alla fine non produce niente di buono.
  Io faccio dei prosciutti. Io lavoro 3,5 milioni di prosciutti all'anno. Sono il 12 per cento della produzione italiana del suino. In Italia vengono lavorati quasi 50 milioni di prosciutti. L'Italia produce 10,7 milioni di maiali solo per le DOP. Poi c’è tutto il resto. Comunque, noi i prodotti li abbiamo tutti tracciati.
  Io faccio 40 tipi di prosciutto cotto, perché dal Nord al Sud d'Italia uno lo vuole grasso, uno magro, uno piccolo, uno grande, uno chiaro, uno scuro. La bellezza dell'Italia è anche quella. In Italia vengono prodotti 180 tipi di salame, perché uno lo vuole piccante, uno lo vuole in una maniera, uno in un'altra, ma è bello per questo.
  Se io prendo un prosciutto tedesco e lo porto in Italia e lo lavoro secondo i miei criteri e secondo le necessità della mia clientela, l'Italia non può scrivere che quel prosciutto, per tutto il know-how che gli applico, diventa un prodotto tedesco. Quello è un prodotto italiano, perché allo stesso modo la Germania acquista un prosciutto in Italia, lo porta in Germania e quello diventa made in Italy. Questo ci fa molto male.
  Teniamo il Codice doganale europeo. È un consiglio spassionato che do per il bene dell'agricoltura italiana. Io voglio molto bene all'agricoltura italiana, però vi garantisco che questo ci farebbe molto male.
  Sul tema della frode e della salute, ci vorrebbe il 41-bis davvero.
  Se non vi sono altre domande, ho concluso. Sono conversazioni interessantissime. Io andrei avanti a parlare anche cento ore. Vi ringrazio moltissimo per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa Ferrarini. Noi potremmo stare qui a parlare per ore, però l'Aula incombe. Ringrazio tutti i colleghi e ringrazio il suo staff. Vorrà dire che questo è il nostro primo incontro. Ce ne saranno altri, magari in maniera settoriale, dimodoché i colleghi possano porre domande più puntuali.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che la documentazione prodotta sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.

  La seduta termina alle 15,05.

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ALLEGATO

DOCUMENTAZIONE PRESENTATA DA CONFINDUSTRIA

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