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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 59 di Mercoledì 15 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Maria Monteleone, e del sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Erminio Amelio:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Seguito dell'esame della proposta di relazione sul Sistema di protezione dei testimoni di giustizia:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Lumia Giuseppe  ... 2 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Lumia Giuseppe  ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Giarrusso Mario Michele  ... 4 
Bindi Rosy , Presidente ... 4 
Mattiello Davide (PD)  ... 4 
Lumia Giuseppe  ... 5 
Mattiello Davide (PD)  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 6 
Lumia Giuseppe  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Lumia Giuseppe  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Mattiello Davide (PD)  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Giarrusso Mario Michele  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Giarrusso Mario Michele  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Giarrusso Mario Michele  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Giarrusso Mario Michele  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Giarrusso Mario Michele  ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Lumia Giuseppe  ... 8 
Mattiello Davide (PD)  ... 8 
Lumia Giuseppe  ... 8 
Mattiello Davide (PD)  ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Giarrusso Mario Michele  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Giarrusso Mario Michele  ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Mattiello Davide (PD)  ... 9 
Molinari Francesco  ... 10 
Mineo Corradino  ... 11 
Esposito Stefano  ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Giarrusso Mario Michele  ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11 
Giarrusso Mario Michele  ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 11

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 20.45.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Maria Monteleone, e del sostituto procuratore della Repubblica di Roma, Erminio Amelio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giuseppe Pignatone, del procuratore aggiunto della Repubblica presso il tribunale di Roma, Maria Monteleone, e del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Erminio Amelio.
  L'audizione rientra negli approfondimenti dedicati al tema del cosiddetto protocollo o operazione farfalla e ha ad oggetto il procedimento penale pendente presso il tribunale di Roma, nei confronti del dott. Leopardi, all'epoca dirigente del DAP, e del dott. Siciliano, all'epoca direttore del carcere di Sulmona, nell'ambito del quale risulta acquisita tale documentazione presso l'AISI.
  Dispongo sin da subito la disattivazione dell'impianto audio-video.

  (I lavori della Commissione proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente gli auditi e dichiaro conclusa la seduta.

Seguito dell'esame della proposta di relazione sul Sistema di protezione dei testimoni di giustizia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito dell'esame della proposta di relazione sul Sistema di protezione dei testimoni di giustizia, illustrata nella seduta di ieri dal relatore onorevole Mattiello, coordinatore del V Comitato Vittime di mafia, testimoni di giustizia e collaboratori di giustizia. Do la parola ai colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni sulla relazione.

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, io ho apprezzato il lavoro, condivido molte delle riflessioni che sono state fatte, è stato anche recuperato un ottimo lavoro che era stato fatto nel 2008. Ho apprezzato molte novità e il metodo che è stato utilizzato. Tuttavia ho due serissime preoccupazioni sui punti 3 e 4 delle conclusioni. Mi aiuterà anche il relatore, ma, per quello che leggo, rischiamo di fare un passo indietro di portata notevole e anche di mettere in crisi...
  Il punto 3 dice che «la legge deve ricostruire puntualmente il profilo del testimone Pag. 3di giustizia, attualmente offuscato dalle similitudini con i collaboratori di giustizia, da un lato, e con i familiari delle vittime di mafia, dall'altro». Fino a qui non ho niente da ridire. «Figure queste che entrambe, per ragioni diverse, non sono assimilabili nel rapporto con lo Stato ai testimoni di giustizia». Va bene. Adesso arriva il problema: «Deve ancora, a tal proposito, assumere scelte chiare sui requisiti soggettivi di accesso allo status di testimone di giustizia, specie con riferimento ai testimoni oggi definiti borderline, senza prescindere, a tal fine, dalla pericolosità sociale del singolo» – questa espressione mi preoccupa moltissimo – «dalla terzietà di costui rispetto congiuntamente al contesto e ai fatti denunciati e dalla misurazione di tali indici attraverso criteri oggettivi». Prima della legge n. 104 del 1999, quando un imprenditore pagava il pizzo e poi, successivamente, denunciava, non poteva acquisire lo status di testimone di giustizia. Solitamente diventava di fatto un favoreggiatore, nella migliore delle ipotesi. Attraverso l'associazionismo antiracket, tuttavia, abbiamo imparato che il punto fondamentale è quello di trasferire proprio coloro che prima pagavano dalla parte dello Stato. Per evitare qualunque ambiguità c’è una scelta che caratterizza e qualifica poi la figura del testimone, prevista dalla legge n. 104 del 1999, che è la denuncia. La legge n. 104 del 1999 crea uno spartiacque. Quando l'imprenditore, essendo stato vittima, anzi, essendo stato proprio borderline per molte tipologie comportamentali e condotte anche di rilievo penale, denuncia, quello è lo spartiacque. Da quel momento lo Stato vince e fa addirittura scattare un meccanismo di convenienza, dicendo: «Caro imprenditore, passa dalla parte dello Stato attraverso la via maestra trasparente e limpida della denuncia e da quel momento avrai due condizioni eccezionali: avrai convenienze straordinarie e avrai un sistema di protezione per metterti in garanzia rispetto al meccanismo di ritorsione che fa scattare l'organizzazione mafiosa». Qui si parla di «terzietà» del testimone... faccio un esempio: un imprenditore che lavora nel settore dell'edilizia – abbiamo avuto casi notevolissimi – viene estorto dall'impresa fornitrice, che è in rapporto con lui, non di terzietà. Solitamente avviene in questo modo: l'impresa collusa fornisce i materiali, impone i materiali, avendo alle spalle l'organizzazione mafiosa, che il 416-bis qualifica come organizzazione strutturalmente in grado di intimidire e assoggettare. Se noi mettiamo la terzietà, scatta un meccanismo che mette in discussione il principio per cui la denuncia è lo spartiacque e la convenienza è il fattore – in termini economici, il valore aggiunto – di quella scelta. Accade, quindi, il contrario. Anzi, proprio le scelte della denuncia e della convenienza nei settori a rischio come quelli dell'edilizia, qualificano la scelta dello Stato. La seconda cosa, che mi preoccupa ancora di più, riguarda il punto 4: «Una legge di protezione ha senso se hanno un senso le dichiarazioni rispetto alle quali insorge il dovere di tutela». È una frase che, tutto sommato, alla luce dell'esperienza, è un po’ ambigua, ma che in italiano può reggere. «Se così non fosse – qui il testo mi preoccupa, perché c’è un balzo indietro di trent'anni, al periodo pre-1982, al 416-bis – dovremmo desumere che chiunque denuncia un qualsiasi reato è sottoposto a una grave situazione di rischio, essendo imprevedibili le reazioni che qualsiasi accusato può maturare». In sostanza, noi mettiamo da parte l'idea fondativa del 416-bis. Fino al 1982, con la legge Rognoni-La Torre, il reato associativo non veniva considerato. Il rapporto era sempre soggettivo e veniva giocato solo sul singolo reato. Con il 416-bis si dice una cosa totalmente all'opposto di ciò che è scritto, ossia che non c’è un rapporto singolo reato-singolo soggetto e che il rischio deve essere valutato dal singolo soggetto al singolo reato, a seconda della portata di quel reato. Si dice che l'organizzazione mafiosa, in quanto tale, è intimidatrice, in quanto tale è un pericolo, in quanto tale è una minaccia per la democrazia. Questa cosa che si scrive qui – io me lo ricordo, naturalmente non direttamente, ma attraverso gli scritti, perché ero ragazzo in Pag. 4quegli anni – era l'argomento che veniva utilizzato contro il 416-bis. Questo tipo di valutazione, che deve essere pari a quella che si fa per tutti i reati, è una cosa che proprio non sta né in cielo, né in terra. Scusatemi questa foga, ma ricordo proprio quelle espressioni pre-1982. Ricordo quello che si diceva a Pio La Torre e mi vengono i brividi. Erano proprio questi gli argomenti che venivano utilizzati. Tra un imprenditore che prima pagava e un imprenditore che non ha mai pagato rischia di più quello che prima pagava, perché di fronte a quello «vergine», che non aveva mai pagato, l'organizzazione mafiosa attenua la sua reazione. Di fronte all'imprenditore che prima pagava scatta un meccanismo ritorsivo, perché altrimenti l'organizzazione mafiosa non ha più la forza intimidatrice di controllo del territorio. Questo la storia ci dice. Il caso Noviello, presidente, è una vergogna per lo Stato. Noviello è stato ucciso dopo che è stato utilizzato questo meccanismo sulla sua pericolosità. È ritornato sul luogo di origine del territorio e, dopo dieci anni, quando le prefetture campane dicevano che ormai era finito il suo grado di esposizione al rischio utilizzando queste argomentazioni, è stato ucciso. Ecco perché non possiamo permetterci di correre questo rischio. Quando si viola il codice comportamentale imposto sui territori dalla mafia, quel codice comportamentale comporta un rischio perenne per un soggetto. La storia ci dice che in modo discontinuo, anzi addirittura lontano nel tempo, la ritorsione mafiosa si è spinta al punto tale da commettere omicidi. Mettere una frase di questo tipo in Commissione antimafia è gravissimo. Per il resto, mi scuso della foga e, ripeto, condivido e su questo punto ritengo che si debbano scrivere altre espressioni e fare altre proposte.

  PRESIDENTE. Mentre mi è chiaro il punto precedente, qui francamente, non capisco perché questa frase annullerebbe... In che senso ?

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, qui si dice che «una legge di protezione ha senso se hanno un senso le dichiarazioni rispetto alle quali insorge il dovere di tutela». Questo ci sta. «Se così non fosse, dovremmo desumere che chiunque denuncia un qualsiasi reato...». Equipariamo, così, il 416-bis agli altri reati. Le faccio un esempio. Se c’è una rapina e una persona denuncia quella rapina, vale il principio che qui c’è scritto: ci deve essere un rapporto fra quel tipo di reato e il contributo che il soggetto offre per smascherare quel tipo di reato. Non è detto che quel tipo di reato rappresenti una minaccia o un pericolo per la persona che testimonia. Quando si fa questo lavoro contro un appartenente all'organizzazione mafiosa, il pericolo è in sé, non è solo relativo alla dichiarazione che il soggetto fa, perché il 416-bis dice che l'organizzazione mafiosa è, di per sé, un'organizzazione che assoggetta, intimidisce ed esercita violenza.

  PRESIDENTE. Io però non lo vedo escluso.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Lo possiamo spiegare in maniera semplice: se uno denuncia un vicino per un abuso edilizio, se il vicino è un semplice abusivo, al limite il denunciante può rischiare di essere picchiato. Se è uno delle cosche, per una denuncia si rischia la morte. Non è l'entità del fatto che costituisce elemento di valutazione del rischio, ma è il fatto che il soggetto che è stato denunciato appartenga a una cosca.

  PRESIDENTE. Francamente io qui non leggo questa cosa. Lo dico davvero. Comunque, se siamo d'accordo che si vuol dire quella cosa, la scriviamo...perché non penso che nessuno volesse intendere il contrario.

  DAVIDE MATTIELLO. Prima di ogni altra cosa condivido la foga del senatore Lumia e ci tengo che rimanga agli atti, in risposta a quanto il senatore Lumia ha detto, che durante l'inchiesta del V Comitato noi abbiamo audito tutta la famiglia Noviello. Abbiamo audito la famiglia Noviello Pag. 5considerando la storia di Domenico Noviello, quella ferita a cui il senatore Lumia faceva riferimento. Dico questo per osservare, sinteticamente, che, se la forma che abbiamo utilizzato in quel punto genera questo tipo di dubbio, correggiamo la forma, senz'altro. Ci tengo altrettanto che rimanga agli atti che l'intento del V Comitato nello scrivere questi punti è un intento differente da quello che si è compreso. È bene, quindi, che vengano fatte queste sottolineature, in modo tale che si possa correggere la forma. Personalmente, assumo completamente il ragionamento del senatore Lumia su ciò che è l'organizzazione mafiosa e sulla forza intimidatrice dell'organizzazione mafiosa e, quindi – anche per reagire a quanto detto dal senatore Giarrusso – concordo che mai e poi mai in un contesto mafioso si debba misurare la pericolosità e, dunque, il bisogno di tutela sulla base della condotta penalmente rilevante denunciata dal soggetto denunciante. Questo assolutamente no. Noi siamo convinti e consapevoli che la violenza intimidatrice della mafia prescinde completamente dalle condotte che via via questo o quel soggetto possono descrivere o denunciare. Di questo siamo assolutamente convinti. Abbiamo piuttosto voluto rimarcare un altro aspetto, che tengo a sottolineare, perché credo che su questo, senatore Lumia, siamo d'accordo. Lo auspico per l'esperienza che ci ha accomunati in questi anni. Il punto di partenza del ragionamento è constatare che, nonostante la buona volontà del legislatore e la buona volontà di chi negli anni ha avuto la responsabilità di attuare le misure tutorie speciali, tra cui il programma speciale di protezione, queste sono traumi irreversibili per la persona. Pertanto, lo spirito della relazione – al di là della forma letterale di quei punti, che se suscitano perplessità correggeremo – è quello di dire, soprattutto a chi investiga e all'autorità giudiziaria, che, per quanto possibile, vanno evitate a monte le misure speciali. Noi nella relazione diciamo che, entrati dentro la camera delle misure speciali, queste debbono essere applicate nella maniera più personalizzata possibile, proprio per riconoscere quelle fatiche dovute a come attualmente funzionano burocraticamente le distinzioni tra misure speciali e programma speciale. Chi sta alle misure speciali non ha diritto ad accedere a tutta una serie di misure di assistenza...noi diciamo che, quando si entra nella stanza, nel perimetro delle misure speciali, queste devono essere adottate nella maniera più personalizzata possibile, ma facciamo di tutto perché non si debba entrare dentro quel perimetro, stimolando il più possibile chi ha la responsabilità delle indagini e chi ha la responsabilità giudiziaria – quindi, chi ha la responsabilità di valutare l'applicazione e l'adozione di questa o quella misura tutoria – ad adoperarsi il più possibile per evitare di entrare dentro questa stanza. Per questo motivo auspichiamo una legge dedicata ai testimoni di giustizia che faccia chiarezza su chi siano, su quali siano le caratteristiche soggettive e oggettive dei testimoni di giustizia, sollecitando, lo ripeto ancora una volta, il più possibile chi ha la responsabilità investigativa e l'autorità giudiziaria a perseguire i reati senza esporre, o esponendo il meno possibile, la vittima del reato in fase processuale alla necessità di essere sottoposta a quelle misure tutorie speciali che sappiamo essere, per lo più, un punto di non ritorno. Questo l'ha detto molto chiaramente la nostra indagine nell'ambito del V Comitato. Nonostante la buona volontà di tutti, lo ripeto – perché davvero c’è molto lavoro e anche molta dedizione da parte delle forze di polizia e del Servizio centrale di protezione – non ne abbiamo trovato uno dei testimoni di giustizia latamente intesi, cioè sottoposti a misure speciali o a programma speciale, che abbia ritrovato quell'autonomia esistenziale che, di per sé, la legge prevede, perché la legge a questo tende. Non ne abbiamo trovato uno che viva bene dopo aver fatto queste scelte.

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, poiché lei ha seguito un caso, il caso di Lea Garofalo, le leggo un punto a pagina 22: «A queste complesse figure va aggiunta quella, definita anch'essa come borderline, Pag. 6delle persone legate da vincoli di parentela con soggetti mafiosi o contigue a gruppi malavitosi».

  DAVIDE MATTIELLO. Si tratta di tutelarla, senatore Lumia.

  PRESIDENTE. Io parto dal presupposto, senatore Lumia – sarò un'ingenua – che qui nessuno voglia fare un salto indietro, ma che tutti vogliano fare un salto avanti. Io non ho seguito da vicino questo Comitato – che peraltro ha concluso i propri lavori all'unanimità – però mi fido di tutti quelli che hanno partecipato ai lavori e parto sempre dal presupposto che nessuno voglia ritornare al periodo «pre-Pio La Torre». Se fosse così, qualcuno ha sbagliato posto... A me par di capire che su questo punto 4 si sia più preoccupati del fatto che chi diventa testimone di giustizia e denuncia sia davvero uno che è in quelle condizioni. Questa mi sembra la preoccupazione di questo punto.

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, è scritto che bisogna valutare il tipo di reato. Questo per tutti i tipi di reato va bene, ma per i reati di mafia...

  PRESIDENTE. No.

  GIUSEPPE LUMIA. È scritto così.

  PRESIDENTE. È presupposto che sia un reato di mafia.

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, è scritto così: «Se così non fosse, dovremmo desumere che chiunque denuncia un qualsiasi reato è sottoposto a una grave situazione di rischio e, quindi, è imprevedibile...»

  PRESIDENTE. È esattamente così. È proprio perché è un reato di mafia, non uno qualsiasi.

  GIUSEPPE LUMIA. Qui dice che non basta che sia un reato di mafia.

  PRESIDENTE. Ma no ! Ci siamo capiti male. Comunque nessuno voleva intendere questo. Quanto al borderline, io capisco la preoccupazione su quelli che sono borderline e su come tirarli dentro, non su come metterli fuori.

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, legga a pagina 22: «è da definire», poi aggiungono «dichiaranti – quelli borderline – che, però, per lungo tempo hanno tratto benefici economici e sociali dall'appartenenza dei loro congiunti ai gruppi criminali, ai quali ultimi hanno indirettamente contribuito quantomeno in forma di sostegno culturale».

  PRESIDENTE. Poiché siamo di fronte a situazioni di questo genere, io voglio capire come faccio a farli diventare testimoni di giustizia senza lasciarli magari tra i collaboratori.

  GIUSEPPE LUMIA. La vicenda Lea Garofalo la vada a studiare. Le si diceva questo...

  PRESIDENTE. Io sono d'accordo a scrivere tutto. Quello che, però, non posso accettare è che si facciano determinate osservazioni. Ripeto, io non ho scritto una riga di questa relazione. Accetto che si renda più chiara, ma non partendo dal presupposto che si voglia tornare indietro...

  GIUSEPPE LUMIA. Presidente, io ho fatto una premessa e ho detto che molte delle riflessioni le condivido. Presidente, poiché conosco il dibattito che c’è tra il Servizio centrale, la Commissione centrale e le procure e non sfugge a nessuno che c’è spesso un conflitto, perché spesso le procure definiscono come testimone il caso, per esempio, di Lea Garofalo, mentre il Servizio centrale ha delle difficoltà, sostengo che occorre stare molto attenti.

  PRESIDENTE. Visto e considerato che è anche più chiaro, rifiuto l'idea che dentro questa Commissione e in quel Comitato si sia voluto aderire a questa tesi.

Pag. 7

  GIUSEPPE LUMIA. Non ho detto questo, presidente. Questo lo sta dicendo lei. Non deve confutare una cosa che non ho detto.

  PRESIDENTE. No, l'ha detto...Io penso che uno sforzo per chiarire meglio si debba fare, ma mi sento di dire che nessuno può pensare che dietro queste espressioni ci sia la volontà di tornare indietro o di tenere fuori i borderline. Semmai c’è la volontà di tirarli dentro. Questo voglio dire. Diamoci del tu per un attimo. Poi ci diamo del lei dopo. Dandoci del tu, il tono con il quale hai fatto queste osservazioni è una sorta di modo per dire: «Voi volete tornare indietro». No, questo di Mattiello non lo posso pensare...

  GIUSEPPE LUMIA. Nemmeno io lo credo. Io ho fatto una riflessione circostanziata e ho indicato anche quali sono i punti e le espressioni. Presidente, non condivido questa lettura che mi viene cucita addosso. Ho detto semplicemente che, così come è scritto, si torna indietro.

  PRESIDENTE. Allora lo riscriveremo meglio, ma nessuno vuole ritornare indietro e non c’è scritto che si torna indietro qui. Scusatemi, ma su questo punto sono sicura.

  DAVIDE MATTIELLO. Presidente, scusi, sento il dovere di intervenire, ma molto brevemente. Senatore Lumia, anche sul secondo riferimento concreto che ha fatto a Lea Garofalo, riferimento che mi coinvolge personalmente e che conosco molto bene, vorrei solo dire: ritocchiamo la forma, ma anche su questo punto noi abbiamo scritto il paragrafo che lei ha citato per dare un riconoscimento esplicito, all'interno del perimetro dei testimoni di giustizia, a una figura che attualmente viene dedotta all'interno di quel perimetro e pure con qualche problema. Pur correggendo le forme, bisogna guardare la relazione nello spirito complessivo. Lo spirito complessivo si capisce dall'affermazione di partenza: bisogna che ci sia una legge dedicata ai testimoni di giustizia che dia cittadinanza esplicita a quelle situazioni che attualmente, purtroppo, non hanno una cittadinanza esplicita. Tra queste situazioni c’è sicuramente quella di Lea Garofalo, o, per citarne un'altra, quella di Maria Stefanelli, con cui abbiamo ragionato ancora in questi giorni. Conosciamo nomi, cognomi e storie e vogliamo che queste storie e soprattutto queste donne, che hanno il coraggio di rompere con i legami mafiosi, vengano dallo Stato riconosciute, tutelate e accompagnate, come è doveroso che sia.

  PRESIDENTE. Infatti, a pagina 22 ci sono le obiezioni e a pagina 24 c’è la posizione della relazione. È esattamente quella lì. Leggiamola tutta.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Presidente, quello che, secondo me, voleva dire il collega è un punto su cui credo che concordiamo, quando lei dice che dobbiamo inserire... Purtroppo, però, non ci sono solo il caso Noviello o quello di Lea Garofalo. Solo pochi giorni fa un imprenditore che ha fatto condannare nel barese una cosca per estorsione è stato bruciato e ammazzato dopo che era uscito dal programma di protezione.

  PRESIDENTE. Veramente ci siamo informati. Sembra che non c'entri niente...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Sembra...

  PRESIDENTE. Non è mai stato nel programma, Giarrusso. Ho la scheda.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Stiamo parlando di Leopardi Alessandro ?

  PRESIDENTE. Sì.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Secondo notizie che avevamo appreso, era uscito dal programma.

  PRESIDENTE. Comunque, ammesso che qualcuno faccia questo, la funzione di questa relazione è che non succedano queste cose.

Pag. 8

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Il punto è proprio quello. Non dobbiamo dare adito, però....

  PRESIDENTE. Vada a pagina 24.

  GIUSEPPE LUMIA. Andiamo a pagina 25 e leggiamo, insieme con calma, a partire da me, i criteri che si propongono. Io poi le descrivo i casi concreti che, secondo questa nuova formulazione, sarebbero stati tagliati fuori. Il testo, presidente, indica come uno dei criteri guida per definire il nuovo testimone la terzietà. Ho spiegato prima, facendo quell'esempio, che la terzietà è un concetto fuorviante. Si vanno poi a definire i concetti concreti: «l'assenza di precedenti condanne o di precedenti penali pendenti, riguardanti però delitti che, secondo la normativa processuale, possono definirsi collegati o connessi con quello oggetto della dichiarazione; la genesi del rapporto del dichiarante con l'associazione criminale e gli eventuali vantaggi percepiti dalla stessa; il tempo intercorso tra la perpetrazione dei fatti e la denuncia...». Presidente, noi abbiamo casi di imprenditori. Lei sa che c’è un travaglio micidiale. C’è il terrore che caratterizza la maturazione della denuncia. Spesso noi abbiamo avuto degli imprenditori che, rispetto ai fatti, arrivano, per esempio, due anni dopo o tre anni dopo. Sono stati preziosissimi quei contributi, perché, ripeto, rompono il muro dell'omertà e mettono in crisi l'autorevolezza della forza intimidatrice dell'organizzazione mafiosa. Se mettiamo questo tipo di condizione come quella prima, ossia la genesi del rapporto del dichiarante, non funziona. Come ci ha spiegato sempre l'Associazione antiracket, l'imprenditore all'inizio paga e successivamente entra in un rapporto di convenienza con l'organizzazione mafiosa. Se noi diciamo che deve essere terzo rispetto a questo fatto precedente, noi mettiamo in discussione quell'altro principio che abbiamo inserito nella norma della legge n. 104 del 1999 per cui la denuncia crea uno spartiacque e ricapitola il rapporto del testimone con lo Stato. Se noi, invece, applichiamo questo criterio, ripeto, andiamo in una condizione di esclusione. «L'assenza di condotte, collegate al contesto e ai fatti oggetto della testimonianza, che astrattamente sono penalmente rilevanti ma che non hanno raggiunto la soglia della punibilità...».

  DAVIDE MATTIELLO. Anche qui intervengo brevemente, ma doverosamente, perché rimane tutto agli atti, ed è doveroso che rimanga agli atti almeno un tentativo di spiegazione. Per «terzietà» noi abbiamo voluto intendere che non dobbiamo permettere che dentro le previsioni della legge finiscano i «furbi».

  GIUSEPPE LUMIA. Questo sì.

  DAVIDE MATTIELLO. Noi stiamo cercando di comprenderci in questa discussione: così come ci sono i casi che il senatore Lumia ha riportato, ci sono anche altri casi di soggetti che hanno fatto i «furbi». Con «terzietà» noi abbiamo voluto fare riferimento all'elemento soggettivo, quell'elemento soggettivo tipicamente costitutivo del dolo all'interno dei reati. Terzietà per noi significa assenza di quella partecipazione soggettiva alla commissione del reato, che è una posizione completamente diversa. Lo scriviamo meglio, senatore Lumia. Intervengo solo per spiegare. Visto che lei è giustamente intervenuto e ha sostenuto – rimane tutto a verbale – che noi abbiamo voluto scrivere una certa cosa, io ho il dovere, come responsabile e come relatore, di precisare qual è l'intento del V Comitato. Se la parola crea disturbo, noi troviamo altre parole, perché abbiamo una lingua ricchissima. Vogliamo semplicemente dire, con il termine «terzietà», che non ci deve essere stata una volontaria partecipazione all'esecuzione del crimine. C’è una bella distinzione tra chi organizza il racket e chi subisce il racket e, subendolo, entra in contatto con l'organizzazione, matura lentamente la volontà di denunciare e, avendola maturata lentamente, ha una conoscenza diffusa, perché è entrato in rapporto. Uno è l'elemento soggettivo di chi organizza il crimine, altro Pag. 9è l'elemento soggettivo di chi quel crimine lo subisce. Per noi terzietà è questo. Lea Garofalo è terza rispetto alla volontà della famiglia ’ndranghetista cui appartiene di commettere il male. Lea Garofalo è terza per questo. Maria Stefanelli è terza perché Maria Stefanelli è esterna alla volontà criminale della famiglia a cui appartiene. Si intende terzietà rispetto all'elemento soggettivo del dolo, tipicamente costitutivo delle condotte penalmente rilevanti.

  PRESIDENTE. Per me è già chiaro, però, se si deve fare...

  FRANCO MIRABELLI. Poiché mi pare che da questa discussione emerga che siamo d'accordo sui rischi che non bisogna correre e sulle cose che bisogna dire, è evidente che ci sono alcune espressioni, non solo in quei due punti, ma nel contesto, da correggere per chiarire. Alla luce di questa discussione, presidente, se lei è d'accordo, darei mandato al relatore di chiarire – magari anche con un linguaggio meno giuridico, come quello che si è utilizzato adesso – questi punti, eventualmente mettendo anche un cappello di tre righe su ognuno dei due punti che ne chiarisca il senso. Non mi pare che ci siano elementi di divaricazione. Sulla seconda questione è vero che c’è il rischio che si ingeneri un equivoco. Sulla prima, secondo me, no.

  PRESIDENTE. Qual è la seconda ?

  FRANCO MIRABELLI. È quella della terzietà, per come è scritta.

  PRESIDENTE. Basta leggerla tutta per capire che non c’è questo problema, comunque...

  FRANCO MIRABELLI. Va bene. Tuttavia, poiché, come questa discussione dimostra, si può estrapolare una frase...se facciamo un editing, la sistemiamo.

  PRESIDENTE. Va bene.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Presidente, a proposito delle cose che, secondo me, sono da rivedere, personalmente l'assunto al punto 1 di pagina 61, per come è impostato, non mi sembra condivisibile. Che ci siano troppi testimoni di giustizia in questo Paese non mi risulta. Francamente, sono troppo pochi. Mi sembra una posizione che fa esattamente il paio con quella del punto 4.

  PRESIDENTE. Dove è scritta questa cosa ?

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. È scritto: «Tuttavia, l'attuale numero di 80 appare egualmente eccessivo per un Paese che investe le sue migliori risorse nella lotta alla criminalità organizzata». Mi pare sconcertante che in Commissione antimafia si scriva una cosa del genere. La frase finisce lì. Io vorrei capire che senso ha, in una relazione della Commissione antimafia, questa frase, quando noi dovremmo averne di più di testimoni.

  PRESIDENTE. Ma il testo continua: «Anche la presenza di un solo testimone di giustizia segna, infatti, la sconfitta di uno Stato, che non sa assicurare l'immune esercizio del diritto alla denuncia e l'immune adempimento del dovere alla testimonianza». Ridò la parola al relatore, ma francamente... poi io ho due osservazioni banalissime.

  DAVIDE MATTIELLO. Intervengo il più brevemente possibile, ma spero utilmente. Mi preme sottolineare, come ha già detto lei, presidente, all'inizio, che questa relazione è stata adottata all'unanimità dal V Comitato e che vi hanno partecipato tutti i Gruppi presenti, tra cui, devo proprio dirlo, il Movimento 5 Stelle in particolare. Il lavoro è stato compiuto dal V Comitato con la partecipazione attiva e costante soprattutto dell'onorevole D'Uva, oltre che della senatrice Bulgarelli. Questa relazione è stata adottata all'unanimità, immagino con una riflessione interna ai gruppi. Ciò posto, senatore Giarrusso, il punto di partenza di questa frase, che lei ha interpretato Pag. 10nel modo che ha esplicitato, è quello che ha colto la presidente. Uno Stato capace di fare bene la lotta contro le mafie non dovrebbe avere bisogno di testimoni. Noi abbiamo fatto riferimento esplicito a Giovanni Falcone e abbiamo ritenuto che non sia stato un caso e una dimenticanza da parte di Falcone immaginare, nella struttura di contrasto alle mafie, le norme sui collaboratori e non quelle sui testimoni. Forse Giovanni Falcone non aveva chiaro il valore civico della testimonianza ? Giovanni Falcone ha pronunciato quella frase, che spesso si cita soltanto a metà, che dice che «la mafia è un fatto umano e, come tale, avrà una fine». Quella frase – lei, senatore Giarrusso, lo sa sicuramente – prosegue, ma la seconda parte della frase non la cita quasi mai nessuno. Falcone dice: «Lo Stato non può pretendere da inermi cittadini quel coraggio eroico. Deve piuttosto adoperare le migliori strutture dello Stato per sconfiggere le mafie». Non è un caso che Giovanni Falcone traduca questa precisa volontà – è lo Stato organizzato che deve combattere le mafie, arrestare i latitanti e impedire che le mafie si riproducano – in quella pluralità di interventi – che noi tutti conosciamo e che, quindi, io non riprendo – ma non nelle norme sui testimoni, perché uno Stato capace di fare lo Stato acquisisce le informazioni sui fatti di reato e costruisce la prova da portare in dibattimento esponendo il meno possibile la vittima di reato. In questo senso sogniamo un Paese in cui non ci siano più testimoni di giustizia, ove con queste parole si intenda l'espressione «testimone di giustizia» in senso tecnico, non il cittadino che esercita il diritto-dovere di denunciare, come ha detto la presidente. Di questi noi abbiamo fame. Ci sono troppo poche persone nel nostro Paese che hanno il coraggio di fare nomi e cognomi. I «testimoni di giustizia» in senso tecnico sono coloro che sono immessi nelle misure speciali o addirittura nel programma speciale. È per questo che diciamo che ce ne sono solo 80, di cui 17 stanno nelle misure speciali e tutti gli altri nel programma. Questa è una sconfitta, perché, quando si mette qualcuno alle misure speciali o addirittura al programma, lo si sradica dalla sua vita. Tutti quelli che noi abbiamo incontrato e ascoltato – lo ripeto ancora una volta perché voglio che rimanga agli atti in ogni momento – nonostante la dedizione degli uomini e delle donne delle forze di polizia – hanno un punto di non ritorno, vivono un trauma irrecuperabile. La legge del 2001 dice che queste persone devono riscattare il precedente tenore di vita. Non ci arriva più nessuno al precedente tenore di vita e conosciamo le stesse persone. Sono persone segnate per sempre. È questo che dice la relazione, che bisogna valutare in concreto le situazioni, cercando di evitare il più possibile di entrare nella stanza delle misure speciali, anche riconsiderando le misure ordinarie. Sarebbe opportuno, al limite, suonare una campanella nei confronti dell'autorità giudiziaria, nei confronti di chi conduce le inchieste, perché talvolta – abbiamo provato anche questo – ricorrere al testimone che viene messo in programma è una soluzione di comodo. Talvolta fa comodo avere il testimone in programma, perché in programma è più facile controllarlo e gestirlo. Sappiamo quanto sia urticante questa espressione che viene appiccicata addosso ai testimoni: «controllarlo e gestirlo». Con il testimone che è intrinsecamente credibile si ha la fonte di prova in dibattimento e si è finito di lavorare. Noi, invece, diciamo, memori di Falcone: lavoriamo, piuttosto preoccupiamoci dell'organizzazione della DIA, piuttosto preoccupiamoci dell'organizzazione della DNA e cerchiamo di capire come più e meglio si possano costruire le prove da portare in dibattimento senza sovraesporre la vittima di reato e il testimone oculare. Questo è lo spirito della relazione.

  FRANCESCO MOLINARI. Capisco perfettamente. Nessuno di noi ha messo in dubbio che ci fossero queste nobili ragioni, così come il fatto che in un mondo ideale del diritto non ci sarebbe bisogno di testimoni. Il compito della Commissione è di fare in modo che il testo sia scritto al meglio e che siano colmati quei vuoti che Pag. 11adesso ci sono. È a quello che dovremmo puntare. Io credo che ci siano alcune incongruenze linguistiche che potrebbero creare dei dubbi. Eliminiamole. È meglio fare un lavoro fatto bene, invece di peggiorare quello che già c’è. È questo il senso di ciò di cui si sta discutendo. Non mettiamo in dubbio il lavoro egregio che hanno fatto i colleghi e le loro motivazioni di fondo.

  CORRADINO MINEO. Presidente, io credo che la sua proposta sia saggia: se c’è la possibilità di scrivere con maggiore chiarezza, che si scriva. Rubo solo un minuto alla Commissione perché vorrei che fosse messa a verbale una cosa. Io ritengo che le motivazioni addotte dal relatore siano fondamentali e che nella scrittura definitiva queste intenzioni non debbano essere tradite. Non vorrei che, sollevando, come è legittimo – sicuramente non c’è una volontà diversa da parte dei senatori che sono intervenuti – una questione formale, si metta in questione un'intenzione politica che io condivido pienamente e che è quella che l'onorevole Mattiello ha raccontato.

  STEFANO ESPOSITO. Intervengo molto brevemente, sul solco dell'intervento del senatore Mineo. A mio avviso, è giusto che si faccia attenzione, perché la discussione utilissima che stiamo facendo qui dentro rischia di vanificare il lavoro che è stato fatto. Come ha già detto il senatore Mirabelli, piuttosto fermiamoci il tempo necessario. Mi rivolgo a Davide Mattiello, che conosco bene: purtroppo, se si dovesse aprire una polemica, le interpretazioni che tu hai dato, rischiano di non trovare cittadinanza. Facciamo uno sforzo per rendere più concreto possibile e anche per semplificare al massimo il testo, in modo che non ci sia alcun dubbio.

  PRESIDENTE. Io ho due osservazioni brevissime e molto banali a pagina 63. Una riguarda il «garantire un'adeguata formazione professionale agli agenti delle forze di polizia territoriali che hanno la responsabilità della vigilanza e delle misure di sicurezza». Poiché i testimoni sono 80, è più facile assegnare loro persone formate piuttosto che mettersi a formare tutte quelle che esistono a livello locale. A mio avviso, occorre che ci sia un nucleo di persone che fanno questo mestiere e che seguano il percorso personalizzato dei testimoni. Io faccio fatica a pensare di prendere un poliziotto o un carabiniere di una stazione e di mettermi a formarlo perché sia vicino a un testimone. Mi sembra più opportuno che ci sia un nucleo specializzato che si sposti con loro. Quanto alla seconda osservazione, bisogna specificare un punto, dove il testo dice: «prevedere che i testimoni sottoposti al programma speciale di protezione su base volontaria possano risiedere, unitamente al nucleo familiare, anche presso strutture comunitarie protette». Io sono d'accordo su questa cosa, purché ci sia una forma di accreditamento che queste strutture hanno tutte le garanzie per fare questo lavoro. Non cambio impostazione dalle cliniche alle comunità per recupero di tossicodipendenti, tanto per capirci. Le comunità che fanno questo tipo di mestiere devono avere tutte le caratteristiche per essere accoglienti nei confronti di situazioni come queste. Non si può andare in una qualsiasi comunità.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Intervengo solo perché resti agli atti, presidente. Fonti DIA mi confermano che Leopardi era testimone di giustizia e che aveva mandato in galera membri del clan Stramaglia.

  PRESIDENTE. Io mi fermo qui, perché ho la documentazione. Mi hanno raccontato bugie tutte le autorità...

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Oppure le hanno raccontate a me. A qualcuno le hanno raccontate.

  PRESIDENTE. Va bene. Abbiamo avuto risposte su questa vicenda dalla Commissione centrale e anche dalla DDA di Bari. Pag. 12Non so quante fonti ci sono. Comunque, onorevole Giarrusso, abbiamo lo stesso obiettivo e cioè che le persone non devono essere lasciate sole. Io farei questo tipo di proposta: incarico l'onorevole Mattiello di rendere più chiari i testi, alla luce del dibattito di oggi e delle indicazioni che gli perverranno entro lunedì, in modo da poter approvare la relazione entro martedì sera.
  L'esame delle proposta di relazione sulle disposizioni per una revisione organica del codice antimafia è rinviato alla prossima seduta, ma è in distribuzione il testo della proposta di relazione e verrà trasmesso a tutti i commissari l'allegato con l'articolato.
  Dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 23.