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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 65 di Mercoledì 19 novembre 2014

INDICE

Comunicazioni della Presidente:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Sulla pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 

Audizione di Alessandro Barbano, direttore del quotidiano Il Mattino e di Antonio Polito, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno:
Bindi Rosy , Presidente ... 2 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Fava Claudio (PD)  ... 4 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 5 
Fava Claudio (PD)  ... 6 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 6 
Fava Claudio (PD)  ... 6 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 6 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Fava Claudio (PD)  ... 7 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 7 
Fava Claudio (PD)  ... 7 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 7 
Fava Claudio (PD)  ... 7 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Mineo Corradino  ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Mineo Corradino  ... 8 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 8 
Mineo Corradino  ... 8 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 9 
Mineo Corradino  ... 9 
Polito Antonio , direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno ... 9 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Fava Claudio (PD)  ... 14 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 15 
Fava Claudio (PD)  ... 15 
Barbano Alessandro , direttore del quotidiano Il Mattino ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.15.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Comunicazioni della Presidente.

  PRESIDENTE. Prima dell'audizione dei due direttori, vorrei informarvi che il gruppo di lavoro istituito per l'esame dell'articolato per la revisione del Codice antimafia e per la riforma dell'Agenzia per i beni confiscati e per la gestione delle aziende confiscate ha concluso il proprio lavoro.
  Trattandosi, a questo punto, di un lavoro che ha visto la conclusione attraverso la condivisione, la partecipazione e l'integrazione da parte di tutti, proporrei alla Commissione di prendere atto di questo e di procedere, quindi, alla pubblicazione della relazione comprensiva dell'allegato contenente la proposta di articolato secondo quanto avevamo concordato, per poi procedere alla presentazione di quest'articolato con le firme a Camera e Senato dei componenti della Commissione.
  Non essendovi obiezioni, così rimane stabilito.
  Vorrei anche informarvi che invierò a tutti i commissari la richiesta di presentare la dichiarazione di non sussistenza nei propri confronti delle condizioni previste dal codice di autoregolamentazione sulla formazione delle liste per le candidature elettorali, approvata dalla Commissione antimafia nella seduta del 23 settembre 2014, a integrazione di quella già prevista dalla legge istitutiva con riferimento al codice approvato nella scorsa legislatura.
  Ho già provveduto al riguardo scrivendo al Presidente della Camera di appartenenza e ciascun componente della Commissione dovrà fare altrettanto. Almeno noi siamo impegnati a rispettare quel codice. Far parte della Commissione antimafia significa dichiarare di essere in regola con il codice antimafia che abbiamo approvato.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Antonio Polito, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno e di Alessandro Barbano, direttore del quotidiano Il Mattino.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione delle dottor Antonio Polito, direttore del Corriere del Mezzogiorno, e del dottor Alessandro Barbano, direttore del quotidiano Il Mattino. L'audizione rientra negli approfondimenti relativi al rapporto tra criminalità organizzata e informazione nelle sue molteplici forme viste dall'osservatorio privilegiato dei direttori di due grandi quotidiani del meridione d'Italia.
  Su questo tema la nostra Commissione ha istituito un Comitato presieduto dal vicepresidente Fava, che ha lavorato moltissimo in questi mesi, audendo molti dei vostri colleghi. Riteniamo assolutamente doveroso e opportuno da parte nostra ascoltarvi come direttori di due quotidiani che si trovano spesso a doversi confrontare Pag. 3con una realtà che vede anche la presenza della criminalità organizzata.
  Ricordo, come di consueto, che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori della Commissione potranno proseguire in seduta segreta.
  Nel ringraziare gli auditi per la loro presenza, cedo per primo la parola al dottor Polito.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. La domanda è...

  PRESIDENTE. È di carattere generale. Dopo non mancheranno anche...

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Mi limiterei a poche osservazioni, tenendo anche conto del fatto che sono di recente nomina a Napoli per il Corriere del Mezzogiorno, per cui la mia esperienza recente sulla cronaca del Mezzogiorno è limitata agli ultimi sette o otto mesi e ho visto molte delle vicende di cui si è parlato anche in queste settimane da lontano, non così da vicino. Ho avuto una precedente esperienza professionale a Napoli, ma ormai risalente ad alcuni decenni fa, quindi in condizioni completamente diverse.
  Devo anche dire che, per quanto riguarda la città di Napoli e gli organi di informazione che sono a Napoli, Il Mattino, la Repubblica, il Corriere del Mezzogiorno, altri organi d'informazione, si tratta di strutture editoriali robuste, anche con riferimenti nazionali, credo più facilmente in grado di difendersi dal rischio di minacce, condizionamenti e, in qualche caso, anche da infiltrazioni di interessi estranei a quelli della professione. Mi par di capire che, invece, nel Mezzogiorno, nel caso di una miriade di organizzazioni, di aziende editoriali piccole o piccolissime, spesso per esempio connesse a emittenti televisive o radiofoniche, questa permeabilità sia più elevata semplicemente in ragione del fatto che si tratta di organizzazioni editoriali che possono garantire meno i loro giornalisti, i loro cronisti dal punto di vista economico, legale e così via.
  Altro grande tema, secondo me, è quello dei freelance, cioè di persone che non scrivono e lavorano in quanto appartenenti alle organizzazioni editoriali, ma offrono sul mercato le loro ricerche e il loro impegno professionale. Naturalmente, in questi casi il rischio aumenta, perché si tratta di persone che si muovono coraggiosamente, in molti casi da sole, per scoprire situazioni che magari i media tradizionali non riescono neanche a cogliere, quindi rischiando di più.
  Penso che sarebbe necessario, quindi, dare un occhio attento alla proprietà di queste aziende editoriali, così come sono distribuite nel territorio meridionale, o anche degli stampatori. Uno dei mezzi di produzione dell'informazione, infatti, è quello, la stampa. Abbiamo avuto di recente un caso che ha coinvolto, almeno come sospetto, l'intervento di uno stampatore per condizionare il lavoro di un giornalista.
  L'altra questione a cui darei estremamente attenzione, per quanto mi riguarda, è la difesa legale, cioè la possibilità per i giornalisti, in caso di querele, di attacchi legali da parte dei poteri criminali, di essere difesi fino in fondo dall'azienda editoriale. Questo riguarda anche i contratti. Ci sono, infatti, alcune figure professionali ormai nei giornali che non hanno nel loro contratto questa possibilità e, certamente, in questo caso si tratta di persone più esposte, più a rischio.
  Un direttore di giornale ha un contratto che lo garantisce sul piano della difesa legale, l'editore gli fa da malleva dal punto di vista legale. Questo spesso non capita, per esempio, per un collaboratore, per un giornalista che non è neanche un dipendente del giornale, ma spesso da un'area geografica copre e scrive tante notizie. Questo è quello che penso di poter dire su quello che ho visto nel mio lavoro, ma ovviamente sono pronto a rispondere a domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il direttore Polito.
  Se il direttore Barbano non ha problemi, procederemmo prima con un'interlocuzione col dottor Polito.Pag. 4
  Do quindi la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Inizia l'onorevole Fava.

  CLAUDIO FAVA. Ringrazio i direttori per la cortesia con cui hanno risposto al nostro invito.
  Le domande saranno le stesse, perché la vostra presenza qui è legata non tanto a vicende di cui siete stati diretti testimoni all'interno delle redazioni che dirigete, quanto per l'osservatorio privilegiato, un punto di vista, uno sguardo complessivo su uno dei territori che sono stati più attraversati dal lavoro d'indagine di questo nostro Comitato, che si è occupato non solo di un censimento ragionato dei giornalisti minacciati, delle tipologie di minacce, di isolamento, dell'utilizzo anche di strumenti giudiziari in modo spesso vessatorio.
  Questo Comitato ha tentato, stiamo tentando di capire anche quanto questo clima abbia pervaso la qualità dell'informazione nel nostro Paese e quanta parte del nostro giornalismo si sia adagiata su posizioni di non conflittualità, non belligeranza con la criminalità organizzata, se non addirittura di consociativismo. Abbiamo raccolto anche esperienze da questo punto di vista preoccupanti. Le domande che vorrei rivolgervi riguardano, anzitutto, questo versante.
  Soprattutto in Campania, abbiamo raccolto notizia di un'informazione che potremmo definire fiancheggiatrice, anche alla luce di procedimenti giudiziari che ci sono stati, o «fiancheggiatrice» nel modo in cui in passato, ma non solo in passato, è stata cassa di risonanza, una sorta di gazzetta a disposizione di chi aveva bisogno di far sentire – lo dico in modo brutale – la voce della camorra. Penso alle vicende del Corriere di Caserta, alla Gazzetta di Caserta, al giornale Cronache, a Radio Nuova Ercolano, utilizzata in modo esplicito per mandare messaggi nemmeno troppo in codice sulle cose da fare in termini anche abbastanza brutali, militari.
  Vorrei capire dal vostro punto di vista, dall'esperienza che avete, quanto è diffusa, aldilà degli episodi che sono stati censiti e censurati sul piano giudiziario, quest'area grigia, dove non c’è soltanto l'informazione fiancheggiatrice, ma può esserci anche, come ricordava il direttore Polito, un'informazione che per ragioni di assetti editoriali sceglie la via del silenzio, della tacita obbedienza, del disinteresse. La vicenda che veniva ricordata del quotidiano CalabriaOra è esemplare, di scuola in tutte le sue varie fasi, sia sul piano della gestione della direzione sia degli assetti editoriali.
  L'altra domanda collegata è quanto e perché sia stata così tollerata. Quello di Radio Nuova Ercolano è il caso di una radio che per un periodo abbastanza abbondante, almeno un paio d'anni, è stata ascoltata in questa funzione di ripetitore di messaggi che la camorra in galera e quella fuori si scambiava, con un lavoro che poi è stato fatto dalla DDA significativo.
  Per alcuni giornali, si è arrivati a un provvedimento abbastanza paradossale ma necessario, un decreto del tribunale che vietava la diffusione in cella di alcuni quotidiani, considerati uno strumento, un veicolo.
  Vorremmo conoscere la diffusione, ma anche il livello di abitudine, di tolleranza o di indifferenza a volte al modo in cui una parte della stampa, sia pure minore, sia pure periferica, si sia adattata ad avere questa funzione.
  È stata registrata anche una certa inerzia, dalle testimonianze di alcuni colleghi, da parte dell'ordine dei giornalisti, a livello nazionale, regionale – qui ascolteremo nei prossimi giorni i responsabili degli ordini regionali, il presidente nazionale – che è sempre presente e pronto quando c’è da fare un dovuto comunicato di solidarietà di fronte alla minaccia a un collega, ma meno attento ci è sembrato, come proveremo ad avere conferma quando li ascolteremo, a censurare sul piano deontologico alcuni comportamenti.
  A un'ultima domanda accennava il direttore Polito sull'uso di strumenti giudiziari: quanto, anche a partire dalla vostra esperienza di direttori di questi vostri Pag. 5grandi quotidiani, sono stati utilizzati lo strumento giudiziario di deterrenza o la querela temeraria, la richiesta dei danni, a prescindere dall'esito della sentenza ? Già in sé, quella richiesta di danni rappresenta un sufficiente strumento di deterrenza. Non penso soltanto alle reazioni dei grandi giornali, dove ci sono assetti proprietari che garantiscono sul piano economico, ma a come tutto questo si rifletta in piccole redazioni o ai danni di cronisti di periferia, di corrispondenti, di freelance.
  Vorremmo capire quanto è cresciuta la diffusione, l'uso, il ricorso allo strumento delle querele temerarie e ad altri strumenti anche di pressione indiretta ma significativa sul piano giudiziario. Potremmo cominciare a concentrarci su questi punti.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Partirei dall'ultima domanda. Devo dire che sento molto e da tempo la minaccia della querela temeraria o anche la citazione per danni temeraria, che ormai è uno strumento più diffuso della querela per diffamazione, perché, come è noto, la querela è con ampia facoltà di prova, mentre nel caso della citazione per danni questo non avviene. Personalmente, mi è capitato di essere assolto in sede penale e poi condannato in sede civile, con una prova di astrusità del nostro sistema giudiziario francamente sorprendente.
  Devo aggiungere che questa pressione è esercitata, prima ancora che dai poteri criminali, dai poteri economici tout court, cioè è un atteggiamento ormai diffuso nei confronti della libertà di stampa. È uno dei modi per condizionare la libertà di stampa.
  A questo va aggiunto che le imprese editoriali sono in una fase di gravi crisi economica, per cui sono estremamente attente alla gestione dei bilanci e anche alle poste messe da parte in caso di danni, di azioni giudiziarie. Anche se è indirettamente una forma di condizionamento, credo che nelle redazioni si senta. Rispetto al passato, ci si pensa sempre una volta in più prima di dire qualcosa di vero o verificato, ma difficile da sostenere in una causa giudiziaria.
  Non potrei fare esempi o citare i casi in cui mi sia successo a opera di poteri criminali, ma certamente sento questo clima come un condizionamento del lavoro delle redazioni e da tempo penso che sarebbe necessario un intervento per limitare la possibilità dell'azione temeraria. Se si perde la causa, si deve pagare di più di quanto si paghi oggi in Italia. Oggi chi ha a disposizione un po’ di soldi e molti avvocati, può farlo senza nessun rischio. L'unico rischio è del piccolo che si oppone, che viene attaccato.
  Per rispondere alla prima e alla seconda domanda, penso che dobbiamo considerare uno straordinario cambiamento avvenuto nel sistema dell'informazione negli ultimi due decenni, che naturalmente ha influenza anche sui campi che a lei interessano.
  C’è stata, contemporaneamente, una crisi delle organizzazioni editoriali tradizionali, cioè quelle gerarchizzate, grandi, quindi controllabili anche dall'interno, secondo una linea gerarchizzata, per l'appunto, un direttore, un vicedirettore, un redattore capo, avvocati a cui rivolgersi in caso di bisogno; l'esplosione di un giornalismo molto più facile, che può trovare molto più facilmente i suoi mezzi di comunicazione.
  Oggi, è possibile per chiunque aprire un blog. A differenza di vent'anni fa, quando, se ci si voleva esprimere, si doveva passare o in una grande televisione o in un grande giornale o in una redazione, oggi aprire un blog, una radio locale, una televisione locale è la cosa più facile al mondo. Può farlo chiunque, figuratevi se non può farlo un potere criminale più o meno forte. Dal punto di vista industriale, quindi, la possibilità è molto maggiore.
  Aggiungo che anche dal punto di vista culturale la compenetrazione, il fatto che la società meridionale, non dappertutto, ma soprattutto in alcune zone, è intrisa di rapporti con l'illegalità, rende perfino esistente un mercato giornalistico editoriale comunicativo per questo tipo di informazioni o per questo modo di intendere e di leggere la società. Qualcuno sicuramente ha visto il film Belluscone di Maresco nel quale c’è la Pag. 6scena della tv locale attraverso la quale i parenti dei detenuti mandano messaggi ai carcerati del carcere palermitano.
  In quel caso, oltre all'interesse di chi manda il messaggio, c’è anche quello di chi lo riceve. In parte, queste sono piccole subculture, piccole società dentro la più grande società, che hanno bisogno di informazione, come più o meno tutte le comunità di esseri umani, per cui a livello locale è facile produrre informazione e c’è chi la fruisce, chi la riceve con interesse.
  Penso che questo sia un fenomeno non solo verificato, ma probabilmente anche in espansione, immagino che andremo sempre più verso forme di informazione dedicate a una nicchia. La società camorristica è una nicchia di un certo peso nella realtà sociale del nostro Mezzogiorno.
  Naturalmente – ecco perché prima richiamavo Napoli – più si va verso la città, verso società più strutturate, anche più urbane, se così posso dire nel senso letterale del termine, e più questi fenomeni sono controllabili, verificabili, perché sottoposti comunque a un mercato più grande. Più si va verso il piccolo, la provincia, la realtà anche più rurale, e penso che questi fenomeni siano più facilmente diffondibili.
  Concludo con un argomento che vale anche per l'intervento dell'ordine. È chiaro che di fronte a questa realtà così magmatica, in cui l'informazione è fatta sempre più da non professionisti, non giornalisti, non iscritti all'ordine, non pubblicisti – oggi, veramente chiunque può andare su Internet e fare quello che vuole, aprire una radio e così via – si dimostra l'anacronismo dell'ordine che non copre neanche lontanamente questa realtà. Non si può chiedergli di fare il poliziotto dell'informazione in senso lato. Non credo che ne abbia i mezzi.

  CLAUDIO FAVA. Mi permetta, direttore, ma mi riferivo, infatti, ai casi in cui siamo di fronte a iscritti all'ordine, direttori, redattori. I giornali di cui parlavamo, anche quelli di cui si sono occupate alcune inchieste giudiziarie, hanno direttore e giornalisti professionisti assunti con l'articolo 1, quindi iscritti all'ordine e tenuti anche al rispetto della deontologia condivisa.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Se posso aggiungere una riflessione, che però non c'entra direttamente con quello che stiamo dicendo, più noi difendiamo in sede penale la libertà di stampa dalle azioni temerarie e così via, più dovremmo rafforzare un codice deontologico per cui si punisca chi fa questo lavoro in maniera scorretta.
  Da questo punto di vista, certamente sarebbero necessarie certe azioni, ma non appartengo all'ordine.

  CLAUDIO FAVA. Ovviamente, siamo tutti d'accordo che sarebbe necessario, ma secondo lei perché l'ordine dei giornalisti nei suoi affluenti – non parliamo soltanto della Campania – in questi anni non ha dimostrato la stessa reattività ?
  Abbiamo letto diverse interpretazioni. La delega è all'autorità giudiziaria, per cui è compito della magistratura decidere la soglia di tolleranza, non dell'ordine. Di fronte, però, ad alcuni comportamenti che non possono essere censurati secondo il codice penale, per i quali invece un intervento di censura potrebbe arrivare da parte dell'ordine, c’è grande solerzia nell'intervenire in solidarietà, ma nessuna disponibilità a intervenire per ammonire, laddove l'ammonimento è un termine complessivo.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Io ho rinunciato da tempo a capire i comportamenti e anche la funzione dell'ordine dei giornalisti nel nostro Paese. Personalmente, sarei anche favorevole a un superamento dell'ordine, quindi non saprei rispondere direttamente.
  Posso dire che, comunque, queste sono materie, come si sta assistendo anche per la categoria degli amministratori pubblici, per esempio, molto delicate. Ovviamente, la presunzione d'innocenza probabilmente ferma anche l'uso degli strumenti disciplinari che l'ordine ha. Immagino che si tratti di questo. Non credo che si possano Pag. 7immaginare forme di connivenza. Mi sembra, più che altro, l'impotenza di uno strumento vecchio rispetto a quello che sta succedendo di nuovo nel nostro mondo.

  PRESIDENTE. Altri vogliono rivolgere domande al direttore Polito ?
  Potremmo parlare di molte cose anche relative al vostro punto di osservazione. Lei dice, giustamente, che è arrivato da poco, ma mi pare che conosca la situazione napoletana. Non vogliamo trattenerla oggi se ha problemi, ma è chiaro che la percezione del fenomeno da parte vostra per noi è molto importante.
  Oltretutto, il lavoro di questa Commissione interloquisce spesso con gli organi di stampa. Siamo una fonte reciproca di conoscenza di questo fenomeno, che è sempre più, ahimè, pervasivo nella realtà italiana. Non solo al sud. Siamo stati, infatti, quasi più spesso a Milano, in questi tempi, che nelle città meridionali. Anche, però, nell'espandersi in altre parti d'Italia, d'Europa e del mondo, anche espandendosi altrove, continuano a far pesare sul Mezzogiorno il prezzo principale della loro presenza. Solo il fatto che si fanno prevalentemente soldi con attività criminali lì e poi si vanno a investire e spendere altrove, è un modo come un altro per continuare a mantenere il Mezzogiorno in condizione di subalternità.
  Il vostro punto di osservazione, allora, la vostra conoscenza della realtà, oltre che toccare la vostra professione e la vostra deontologia professionale, vi consente anche di vedere e capire quanta collaborazione nella società più ampiamente e quanto consenso continua ad avere la criminalità organizzata per continuare a vivere in maniera così forte. È chiaro che il ruolo dell'informazione, da questo punto di vista, è fondamentale. Magari, ci sarà un'altra occasione.

  CLAUDIO FAVA. Vorrei rivolgere una domanda più complessiva. Uno dei nostri auditi, un giornalista napoletano che ha ricevuto minacce, ci ha detto che, secondo la sua esperienza, chi ha taciuto in questi anni l'ha fatto per scelta sua, non per pressioni editoriali o perché costretto a farlo. Ci ha rivelato, cioè, dal suo punto di vista, che c’è stata una sorta di adeguamento, di abbassamento della temperatura.
  I giornalisti non si dividono in eroi e vittime e poi c’è una terra di mezzo, in cui gli elementi di vischiosità, di adeguamento, alla fine anche di autocensura, di reticenza, indotta o scelta spontaneamente, sono cresciuti. Per noi è importante capire delle cose dai direttori di alcuni grandi giornali. Lei è direttore di lunga e larga esperienza, al di là dei pochi mesi trascorsi alla direzione del Corriere del Mezzogiorno: avete avuto anche voi questa percezione ?

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Penso di si, che ci siano fenomeni di autocensura tra i giornalisti su queste materie. Ci sono su altre materie, su altri campi del rapporto col potere, con quello politico, con quello economico, figurarsi se non ci sono nei rapporti col potere criminale, che oltretutto può far più male del potere politico.

  CLAUDIO FAVA. Chiedevo se...

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Se ci fosse una crescita ?

  CLAUDIO FAVA. Esatto.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Penso che, complessivamente, sia sceso il livello di guardia, di attenzione, nei confronti del potere criminale. Oltretutto, è diffusa nel Mezzogiorno un'idea secondo la quale tutto sommato, per quanto criminale, è economia, cioè produce PIL, produce ricchezza.
  Devo dire che, da questo punto di vista, non ha fatto particolarmente bene l'idea di inserire nel calcolo del PIL anche i proventi delle attività criminali come immagine complessiva. Siccome, appunto, stiamo discutendo di come tenere alto il livello di guardia, se uno parte dal punto Pag. 8che il giro di prostituzione è PIL, è difficile poi sostenere altro. Da questo punto di vista, quindi, penso che ci sia stato nel Mezzogiorno un abbassamento del livello di guardia.
  D'altra parte, se non ci fosse quest'abbassamento, se la zona grigia non fosse considerata più tollerabile di prima, non si spiegherebbe la possibilità che in società estremamente più strutturate e culturalmente capaci di resistere al fenomeno mafioso, come la Lombardia, si siano così fortemente diffusi i poteri criminali.
  Credo che questo, probabilmente, vada anche messo in relazione con la crisi economica, nel senso che ci sono zone del nostro Paese dove, chiunque dia lavoro, anche se nero, anche se nella zona grigia e così via, è comunque considerato un elemento da preservare, non da combattere.
  Siccome non tutte le attività criminali sono cruente, omicide e così via, e l'illegalità è una zona molto più ampia e diffusa, direi che è realistico sostenere che, negli ultimi anni, nel complesso dell'opinione pubblica meridionale si sia abbassata la guardia rispetto all'illegalità e anche ai poteri criminali. Che questo abbia potuto avere un'influenza sui giornalisti e, più in generale, sulla linea dei media. Penso che sia inevitabile, nel senso che un po’ è così.

  PRESIDENTE. Noi e voi, però, possiamo fare molto perché la zona grigia sia sbianchettata un po’. Un modo per tenere la zona grigia è non parlarne. Da questo punto di vista, senza diventare degli eroi, il giornalismo d'inchiesta è chiaramente un altro settore che ... Prego, prego.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Fatto salvo tutto il lavoro dei media, dei giornali, della televisione, delle nostre organizzazioni, dei nostri colleghi, adesso è talmente frequente il caso di giornalisti minacciati o attaccati per il loro lavoro, che do per scontate certe cose. Rispondevo alla domanda su un eventuale incremento di questo sentimento di questo possibile rischio.

  PRESIDENTE. Vale per la vostra professione, per il lavoro della politica, vale secondo me per la lotta alla mafia in genere e non solo alla mafia, ma anche alla corruzione e a tutta l'illegalità: la sede è solo quella penale e il giornalismo si alimenta soltanto delle procure, come del resto anche noi, che abbiamo come elemento di conoscenza del fenomeno mafioso quasi prevalentemente le sedi processuali – anche l'inchiesta politica, da questo punto di vista, ha le armi spuntate – ma c’è un potere d'inchiesta e di conoscenza di questi fenomeni che, se viene anche prima della sede giudiziaria, magari alcuni processi nascono proprio dal lavoro dei giornalisti. La sede giudiziaria arriva dopo e la stessa cosa vale per noi, in qualche modo.
  In questo senso, sapendo quanto complicato sia comunque questo lavoro, è anche vero che, se anche il rapporto con l'editore, l'ordine professionale aspetta sempre e comunque la sede giudiziaria, è un po’ complicato così combattere la zona grigia. O c’è un impegno che arriva prima o, altrimenti, si arriva sempre dopo, quando i danni sono stati fatti. In questo senso, credo che il nostro lavoro abbia anche questo significato.

  CORRADINO MINEO. Vorrei rivolgere una domanda velocissima a Polito.

  PRESIDENTE. Vedo che si è riscaldato il clima.

  CORRADINO MINEO. Questo discorso della presidente, come sempre nel caso dei suoi interventi, mi trascina. Polito ha la sensazione che ci sia un uso, da parte di centrali mafiose, di un certo politically correct antimafia, cioè che comincino a usare un certo modo di presentarsi come diversi dalla mafia per far mafia ?

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Non credo di aver capito fino in fondo la domanda.

  CORRADINO MINEO. Lo spiego meglio. Esiste un'ipotesi, soprattutto in Sicilia, che un po’ di mafiosi usino l'ideologia antimafia.

Pag. 9

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Non lo so. Francamente, non saprei rispondere a questa domanda. Non ho riflettuto a queste ipotesi. Ripeto che la penetrazione nell'economia legale dell'economia illegale rende quasi inevitabile la nascita di zone in cui poteri mafiosi possono legittimamente rivendicare di essere diversi dal modo in cui l'antimafia descrive la criminalità organizzata.
  Che ci sia un crescente problema di conquista dell'opinione pubblica sul terreno della lotta alla mafia, per cui si parla di comunicazione e di media, mi sembra indiscutibile e da questo punto di vista c’è una situazione più difficile.
  Aggiungo, tra l'altro, che abbiamo avuto nel Mezzogiorno, come sapete, anche molti casi in cui la zona grigia ha riguardato le istituzioni, i politici, dei consiglieri regionali, la raccolta di voti attraverso le preferenze. Volete che i giornalisti non siano interessati a fenomeni del genere ? In qualche modo, sono pienamente dentro queste partite.

  CORRADINO MINEO. La questione della Bindi non va fatta cadere. C’è stato un tempo, in questo Paese, in cui una cosa erano le inchieste giudiziarie, che si occupavano dell'organizzazione criminale «in quanto tale», se si potesse dire in quanto tale, e dall'altro lato c'erano le inchieste. Naturalmente, ricorderà Danilo Dolci e tutto quello che è venuto dopo.
  Ora è più complicato far questo, perché c’è una certa codificazione di comportamenti «virtuosi». Per noi, è molto interessante sapere se si ha la sensazione, che può darsi non si abbia, che ci siano poteri mafiosi che usano questi comportamenti virtuosi tra mille virgolette per continuare il loro business.

  ANTONIO POLITO, direttore del quotidiano Corriere del Mezzogiorno. Innanzitutto, parliamo di una società completamente cambiata. Oggi, alcuni comportamenti mafiosi sono addirittura dei modelli sociali. È fuori discussione che, per esempio, nella città, nella zona di Napoli la subcultura camorristica abbia penetrato il mainstream culturale, dalla canzone neomelodica agli stilemi di un certo cinema d'azione. Siamo in condizioni decisamente diverse dal passato. Sono anche molto meno alieni per l'opinione pubblica rispetto a noi di quanto non lo fossero prima, sono molto meno diversi da noi, vivono molto di più tra di noi.
  Da questo punto di vista, quindi, da un lato, il fenomeno è molto più descritto, perché certamente rispetto a venti-venticinque anni fa i media se ne occupano abbondantemente, anche grazie all'azione di alcuni giornalisti che l'hanno denunciato anche a rischio personale; dall'altro lato, però, è anche molto più intrecciato, più legato alla società buona, più difficile da distinguere. Le inchieste giudiziarie molto spesso rivelano una società civile a ventiquattro carati che, però, per fare truffe o affari scorretti, si intreccia con poteri criminali. Naturalmente, quest'estremo intreccio comporta un grosso problema per l'inchiesta giornalistica come metodo complessivo.
  Infine, va detto che l'inchiesta giornalistica è declinata come metodo giornalistico, perché è estremamente dispendiosa in termini sia di tempo sia di uomini sia di mezzi. Oggi, lo stile della comunicazione è molto più effimero, legato alle ventiquattro ore e ai centoquaranta caratteri, quindi è vero anche che l'inchiesta giornalistica in senso tradizionale è uno strumento che credo meno diffuso ormai dei giornali anche rispetto all'esclusione delle immagini. Oggi, si racconta per immagini. Su Internet, però, cominciano a comparire fenomeni di videoinchieste di nuovo conio, di una certa efficacia a mio modo di vedere.

  PRESIDENTE. Diciamo a conclusione, direttore, che vale per la vostra professione e per il vostro mondo quello che vale per tutti. Ci sono giornalisti minacciati e c’è un potere della comunicazione magari raggiunto senza minacce, che diventa connivente, e forse, se c’è qualcuno che è minacciato, è costretto a fare l'eroe perché è dentro un certo sistema.Pag. 10
  Come hanno trovato il modo per condizionare gli appalti, le banche, gli affari, trovano anche il modo per condizionare il mondo dell'informazione, naturalmente con metodi che non sono necessariamente la pistola e non necessariamente altre forme di violenza fisica. Da questo punto di vista, la battaglia richiede tante sentinelle in ogni settore, sapendo che è complicato combattere la mafia che spara, ma forse è anche più complicato combattere la mafia che convince.
  Ringraziamo e salutiamo il direttore Polito.
  Do ora la parola al direttore Barbano, che ormai conosce la domanda.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Posso integrare quanto detto da Antonio e mi riconosco, sostanzialmente, nella narrazione che ha fatto. Aggiungerei, per la mia esperienza, datata 10 dicembre 2012 – da due anni, sostanzialmente, sono in Campania – che il tratto di questa stagione da me vissuta, di questi ultimi due anni, è sostanzialmente una disarticolazione dei poteri, di tutti i poteri. Il vero segno del Mezzogiorno, in questo momento, è l'assenza, il vuoto del potere, la disarticolazione che riguarda la politica e, ovviamente, anche la mafia.
  Questo crea delle condizioni positive con riferimento, per esempio, alla libertà di stampa. Personalmente, ho trovato abbastanza facile il mio rapporto col potere a Napoli. Non esistono poteri a Napoli, in Campania, che hanno la forza condizionante dei poteri del passato. Qui parlo di poteri buoni, cioè leciti, e poteri illeciti.
  Devo dire anche che, per la mia modesta esperienza, ma che si è svolta in trentacinque anni in città molto diverse, da Milano a Roma, da Ancona a Lecce, a Napoli e a Taranto in tempi ed epoche diverse, mi pare che questo sia un momento in cui, come ha detto Antonio, la presenza di tre giornali autorevoli, indipendenti e in sana concorrenza tra loro, sia un elemento di garanzia enorme, forse inedita nella mia esperienza professionale. Questo contraddice un po’ un luogo comune.
  Si aggiunga la qualità del giornalismo napoletano, storicamente una qualità di razza. Il giornalista napoletano ama il suo lavoro, ha passione e ci sono fior di penne di giornalisti. Qui abbiamo una tra di voi, che vi abbiamo prestato temporaneamente, ma che spero ci riprenderemo presto.

  PRESIDENTE. Di questi tempi, queste affermazioni e in questa sede, non sono tanto...

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. È un auspicio egoistico, ma è ovvio che non vuole essere condizionante rispetto alla vostra autonomia.
  Questa, però, è una condizione che bisogna richiamare. Ovviamente, questa disarticolazione riguarda anche l'interfaccia criminale, disarticolata dalle inchieste che conoscete, per cui ho trovato già nel 2012 un fronte molto frammentato, una camorra già storicamente a Napoli sempre divisa in clan, ma che aveva avuto, come le cronache ci hanno raccontato, una stagione di costruzioni piramidali nell'egemonia dei casalesi e che, tuttavia, è stata obiettivamente disarticolata, per cui abbiamo i coriandoli.
  Nessun potere criminale oggi a Napoli, per fortuna, ha in questo momento una strategia che passi per un progetto di condizionamento della comunicazione, almeno dalla mia esperienza. Mi auguro di non sbagliare, perché magari domani mi accorgerò che non è così.
  La crisi economica, che è una crisi del Mezzogiorno molto profonda, ha attraversato evidentemente l'edilizia e gli appalti, che si sono fortemente ridotti. Le opere pubbliche nel Mezzogiorno oggi si contano sulla punta delle dita. Si è ridotto il commercio, che era stato in una certa stagione una stanza di riciclaggio di capitali illeciti. Esiste tuttora questo problema, ovviamente, ma è ovvio che un mercato i cui consumi sono in calo costante è meno appetibile.Pag. 11
  Restano, forse per questo al nord ci sono effervescenze più visibili, due settori ancora potenzialmente aggredibili e di fatto aggrediti da quello che ci dicono le ultime inchieste. Uno è quello della spesa sanitaria, la spesa pubblica, che comunque, seppure ridotta per la sua disorganizzazione storica, soprattutto nel Mezzogiorno molto visibile, per il suo decentramento dei centri di spesa, per il suo condizionamento dalla politica, è fortemente un'area dove abbiamo visto nel casertano ancora recenti inchieste proprio l'anno scorso che hanno portato a constatare quanto la criminalità mafiosa avesse infiltrato anche le dirigenze ospedaliere. Mi pare che ci sia stato un dirigente di ASL, se ricordo bene, e non solo, personaggi che gravitavano soprattutto nel casertano.
  Poi c’è la droga. Credo che i consumi di droga, dalla percezione che abbiamo, si siano ridotti su alcune tipologie di droga, spostati su altri, ma resta che comunque è diventato un mercato d'elezione.
  In questo quadro, però, di grande frammentazione, si inseriscono probabilmente queste piccole contaminazioni che riguardano il giornalismo che lei ha citato, che però camminano a un livello sottostante, di cui noi abbiamo effettivamente dei segnali. Ovviamente, ci sono giornali interamente strutturati sulla comunicazione criminale nel bene e nel male. Faccio fatica a individuare quanta di quella parte sia diritto di cronaca e dovere di cronaca e quanto sia, invece, messaggio, ma c’è.
  Quando sono arrivato a Napoli, mi ha stupito vedere, per esempio, sempre nell'area del casertano, ma anche a Napoli, giornali per i tre quarti costituiti da pagine formate da tante «capuzzelle», come le chiamano i napoletani, quaranta capoccette per pagina, per cui in un giornale ci sono 200-300 protagonisti indagati, arrestati, scarcerati, in tutta la loro vita processuale.
  Questo è un mercato che riguarda famiglie, perché c’è anche una domanda ovviamente di quel tipo di informazione, a cui il mio giornale non risponde, perché non avrei né lo spazio né la possibilità di pubblicare tutte quelle notizie. In un mercato, dove noi a Napoli abbiamo il 50 per cento della quota di mercato, quindi siamo fortemente monopolisti, però ci sono delle aree di tre per cento, di due per cento, a Caserta un po’ più cospicue, occupate da giornali che si occupano quasi esclusivamente di criminalità.
  Personalmente, però, non sono in grado di valutare quanto corretto e quanto libero sia l'esercizio di questi giornalisti nel loro territorio. Certamente, mi ha colpito questa presenza, come pure ci sono dei media di piccola estensione tanto sulla rete quanto sulle televisioni che rivelano una particolare aggressività, talvolta un'aggressività contro alcune istituzioni che è puntata in maniera unidirezionale, per la quale ti chiedi perché. È evidente che sono credo lo specchio di un una zona grigia, come lei ha detto, di piccolo cabotaggio, ma non completamente priva di forza e anche, probabilmente, di condizionamento, che però non arriva evidentemente al nostro livello.
  Noi abbiamo avuto negli anni qualche segnalazione di qualche corrispondente, di qualche freelance, il cui nome è comparso nelle intercettazioni di alcune inchieste che si sono svolte nel territorio e che poi abbiamo puntualmente ovviamente isolato quando il suo ruolo da quello che emergeva non sembrava congruo a rappresentare una testata come la nostra. Devo dire, però, che si è trattato di casi veramente molto marginali.
  Non sono in grado di dire se l'ordine dei giornalisti nei confronti di questo mondo abbia svolto un ruolo attento, esercitando la sua potestà deontologica e disciplinare. Lei, però, mi sollecita un'attenzione di cui farò tesoro, perché ha ragione, questo è un mondo che non possiamo considerare del tutto estraneo a noi, anche se non ci tocca. Questo, certamente, è un messaggio che colgo.
  Quanto alle querele temerarie, sostanzialmente, mi riconosco in pieno con quello che ha detto Antonio Polito. Il rapporto con il potere, non solo con quello mafioso – anzi, paradossalmente, oggi Pag. 12questo potere mafioso non credo che sia nelle condizioni di esercitare querele temerarie – personalmente, ho verificato come invece è il potere lecito che usa le querele temerarie per affermare il dovere-diritto di cronaca in alcuni casi, però questo è un tema che non è oggetto di questa riflessione.
  Credo che quello che ha detto la presidente Bindi sia da accogliere con particolare attenzione nelle tre forme della narrazione pubblica che la politica, il giudiziario e il giornalismo fanno del Paese. Il livello di attenzione è sceso, effettivamente, perché forse è scaduta la qualità del nostro modo di operare a tutti i livelli.
  Siccome voglio assumere una posizione cristiana di guardare la trave nel mio occhio prima della pagliuzza nell'occhio del fratello, il giornalismo passivo è storicamente figlio del giornalismo giudiziario, che è la declinazione del giornalismo negli ultimi vent'anni di storia patria. Il giornalismo d'inchiesta è quello degli anni Settanta.
  Oggi, anche il giornalismo coraggioso, quello che si espone al rischio è giornalismo giudiziario. Le esperienze lo dimostrano. Non solo Saviano, ma tutti i giornalisti che si sono esposti hanno raccontato atti istruttori di cui erano in possesso grazie alla loro bravura e alla loro capacità di accedere alle fonti. Quello che dice è giusto e sacrosanto, perché è chiaro che, stando nella dimensione dell'interfaccia giudiziaria e del sinallagma tra prestazioni lecite e virtuose tra giornalista e fonte giudiziaria, si fa un'opera utile, ma si finisce per avere un solo occhio, quando invece gli occhi dovrebbero essere quanto meno due, punti di osservazione di indagine diversi, e la stampa dovrebbe essere proprio l'occhio in più per guardare, ma evidentemente questo è un problema del sistema Paese, del nostro modo di fare giornalismo.
  La settimana scorsa, in attesa di vedere una trasmissione a cui avevo partecipato e che veniva diffusa a tarda notte, ho girato casualmente – vedo poco la televisione – su Rai Storia e ho visto l'intervista di Sergio Zavoli a Valpreda: mi sono emozionato, mi è venuto da piangere. Ho pensato che dopo poco avrei dovuto vedere Barbano e alla differenza tra Barbano e Zavoli.
  In quell'intervista, Zavoli, oltre ad aver preparato bene le domande, portava Valpreda a una riflessione maieutica con se stesso e portava dentro la complessità di un mondo. Quelle erano trasmissioni preparate in venti giorni, in un mese, non talkshow a cui si è invitati per dire quello che si pensa. Anche il dibattito che seguiva quella trasmissione era studiato, preparato, quindi portava a comprendere le ragioni segrete dei fatti, come il giornalismo deve fare, illuminando il lato oscuro della realtà.
  Questo, però, è un problema del sistema Paese. È ovvio che un giornalismo giudiziario è un limite del Paese, ma è quello verso cui siamo andati complessivamente, come sistema mediale in tutte le sue articolazioni, come effetto di una serie di prevalenze, che in questa sede però non è il caso di evidenziare, ma certamente è un richiamo che sento fortemente.
  Quello dell'inchiesta è un tema che può portare a vedere delle cose che stanno sotto la soglia delle intercettazioni e che non passano nell'atto giudiziario, ma in Italia non lo fa nessuno. È molto oneroso, evidentemente abbiamo perso un sapere, investiamo poco, c’è la dimensione industriale, che ovviamente ha un peso enorme. In questi anni, la carta stampata è stata anche schiacciata in una concorrenza per la vita e per la morte con un sistema mediatico che ha mezzi da giungla. Di tutto questo bisogna tener conto.
  Ho detto talvolta a dei ministri che sono venuti a trovarmi che dovevano tenere conto che entro sette, otto anni avranno una democrazia in cui i giornali quasi non esisteranno più, che se di questo problema non volevano occuparsi, dovevano sapere che stiamo sostituendo la mediazione del giornalismo con uno strumento diverso, che è la mediazione quantitativa dello strumento tecnologico internettiano, ma questo riguarda anche la politica.Pag. 13
  Su questo abbiamo avuto un piacevole e utile scambio di idee anche polemico, nel senso di costruttivo sui contenuti, con la Presidente di questo consesso. Quando se ne parla, si parla di consenso che si fonda anche sul fallimento del ruolo della statualità in questi territori. L'esperienza negativa dei commissari che hanno sostituito i consigli comunali, che vanno due volte la settimana e che condannano un comune a non avere una sua rappresentanza per due anni e i cittadini a pensare che forse era meglio quando c'era l'assessore mafioso, è un tema, non è che non lo sia.
  Anche la stagione in cui la mitologia del commissario sembra la surroga ideale di ogni forma decentrata di democrazia non funzionante...

  PRESIDENTE. Su questo eravamo d'accordo.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Totalmente d'accordo. Eravamo d'accordo su tutto, poi è chiaro che io devo sollecitare alcuni temi e che lei ha una responsabilità diversa dalla mia.
  Forse su una cosa non eravamo d'accordo, ma su questo ho una cultura non giuridica, ho una cultura civile forse di segno diverso, ma non è detto che la mia sia migliore della sua: credo che sul tema della lotta alla mafia l'eccezionalismo giudiziario non sia uno strumento adatto, perché struttura un prezzo per le garanzie a cui non corrisponde spesso un vantaggio. L'idea che la legislazione antimafia si fondi su provvedimenti di prevenzione il cui paradigma del garantismo, sostanzialmente, viene meno, un po’ mi sgomenta. Capisco che, però, ci sono stagioni e stagioni, ma in fondo stiamo parlando della stessa cosa.
  Il dramma dei beni sequestrati è un altro grandissimo tema. Guardate che in Campania sta crescendo la raccolta di beni sequestrati, tra l'altro in assenza di giudicato, e questo attiene al mio storcere il naso: non solo li si confisca in assenza di giudicato sul presupposto che si è in guerra, ma li si fa pure morire ! Allora, si violano i princìpi, ma poi...

  PRESIDENTE. Siccome siamo in pubblica, tengo a precisare che l'unica differenza tra me e il direttore era sulle misure di prevenzione.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Sì, assolutamente.

  PRESIDENTE. Era sul fatto che si sequestrasse e si confiscasse in attesa di sentenza in sede penale, poi sul fatto che i beni vanno utilizzati e non vanno fatti morire questa Commissione ha lavorato un anno. Ormai risale a un anno fa il nostro scambio.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Le cose, però, poi non cambiano.

  PRESIDENTE. Non cambiano.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. La politica ha altre urgenze.

  PRESIDENTE. Non c’è dubbio.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Nella percezione del cittadino, le cose non sono cambiate.

  PRESIDENTE. Le assicuro, però, che da questo punto di vista stiamo spingendo con grande determinazione.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Ne sono convinto.

  PRESIDENTE. Ci auguriamo di avere anche qualche risultato.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Da ultimo, c’è anche il terreno del giudiziario. Credo che anche il giudiziario e l'investigativo debbano fare una forte riflessione. Il livello d'attenzione è sceso anche perché ci sono un giudiziario e un investigativo volti al vecchio.
  Mi pare che abbiamo avuto dall'inizio dell'anno, come mi faceva notare un collega che ha una passione per il data Pag. 14journalism e che ha messo in archivio tutti i delitti compiuti a Napoli, nella cerchia di Napoli, della città urbana, non dell'area metropolitana, quindi un milione di abitanti, quindici omicidi, tutti di criminalità, alcuni proprio con una dinamica anche mafiosa, che non hanno colpevole.
  Non vorrei dire che è scesa la soglia d'attenzione perché c’è una mistica della ricostruzione storica, ma certamente il rischio c’è. Bisogna spostare le indagini in avanti. Non possiamo raccontare il 1992 e il 2000, ma il 2014, di cui non sappiamo niente. Lo abbiamo denunciato fortemente nelle ultime indagini. Diversamente, faremo delle bellissime ricostruzioni, ma non sappiamo cosa sta accadendo sotto i nostri piedi.
  Non so se ho risposto a tutto quello che mi è stato sollecitato, ma sono disponibile a chiarire altri aspetti su cui posso essere stato lacunoso.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore Barbano.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che vogliano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.
  Inizia il vicepresidente Fava.

  CLAUDIO FAVA. Intervengo per approfondimento e anche qualche provocazione sul piano più intellettuale.
  Condivido quasi tutte le osservazioni che ha fatto sul perimetro complessivo del problema di cui si occupa questa Commissione, ma vorrei tornare al tema che anima questo Comitato, e cioè questi due mondi paralleli entrambi molto reali, molto concreti: quello che lei rappresenta, cioè di poteri talmente frazionati e indeboliti che non sono più in condizione di condizionare e determinare le scelte di giornali consolidati e solidi come il suo, come gli altri grandi quotidiani della Campania; quello del Paese materiale, nel senso che l'Italia ha il più alto numero di giornalisti minacciati di tutta l'Unione europea, con censimenti non legati ai «si dice», ma a cronache, ad atti giudiziari, a denunce sporte, a vicende che lei, come me, conosce perfettamente.
  La vostra è l'audizione di direttori di giornali che non hanno avuto nell'immediatezza questi problemi, ma che hanno uno sguardo su quello che accade nel giornalismo meridionale, che non può prescindere da questo dato materiale, e cioè che abbiamo una periferia in cui il condizionamento non deve mettere in discussione una struttura molto forte, ma basta poco per condizionare, basta far sapere al cronista che raccontare dell'inchino della Santa alla casa di un mafioso è un fatto grave, è una bestemmia grave, che sarà punita, intanto facendogli sapere che se ne sono accorti.
  Allora, mi chiedo come reagisca quest'altro mondo, il mondo di un giornalismo che ha una sua autorevolezza e una sua garanzia di autonomia rispetto a quest'altro mondo minore, figlio di un'editoria minore – chiamiamola così – minore anche sul piano geografico, che però esiste.
  Ho rivolto una domanda al suo collega e la rivolgo anche a lei, che mi ha dato atto che questa è una riflessione che forse andrà approfondita, sulla capacità di intervento dell'ordine dei giornalisti, ma in genere della categoria. Stiamo parlando di una categoria, di un ordine del quale siete core business voi direttori. È si l'ordine dei giornalisti, ma lei è direttore, mi consentirà, di un giornale che rappresenta l'applicazione in laboratorio giorno per giorno delle qualità e delle regole della deontologia professionale, la manifestazione, l'inverazione stessa di ciò che dovrebbe rappresentare la legge istitutiva dell'ordine dei giornalisti.
  Abbiamo avuto in Campania, in Sicilia, in Calabria, su questo migliaio di giornalisti minacciati, delle storie raccapriccianti: un giornale che va a procurarsi a casa dell'avvocato la lettera con cui una pentita, che poi si ammazzerà, è costretta sotto dettatura a dire che il suo pentimento è stato estorto e a metterla in prima pagina perché sia il fulcro di un attacco frontale alla procura della Repubblica.
  La Gazzetta di Caserta riceveva e pubblicava in prima pagina le lettere del signor Sandokan, Francesco Schiavone, Pag. 15che diceva «Complimenti al vostro giornale». Il direttore di Cronache è stato arrestato dopo che questo giornale è stato considerato megafono di tanti e per tanto tempo. In Sicilia, un quotidiano di cui ospiteremo il direttore, La Sicilia, ha ospitato in prima pagina le lettere di un signore al 41-bis insieme a Benedetto Santapaola e che interveniva nel dibattito pubblico spiegando quale fosse il suo punto di vista sulle cose del mondo !
  In nessuno di questi casi l'ordine è intervenuto, lo stesso ordine – apro e chiudo una parentesi – che adesso reintroduce nell'olimpo degli eletti l'agente Betulla, considerando che quello che è accaduto sia degno del nostro oblio, ma non è mai intervenuto in questi casi.
  Allora, non le chiedo di fare quello che non le compete. Lei non è il presidente dell'ordine dei giornalisti, ma mi rivolgo al direttore di un grande giornale che agisce su un territorio, che quest'anno ha censito alcune decine di giornalisti minacciati, quelli precari, quelli come Ester Castano.
  Ester Castano è una ragazza che ha permesso, attraverso un lavoro faticoso, indefesso e rischioso, la denuncia civile e giornalistica che ha portato allo scioglimento del primo comune della regione Lombardia, Sedriano. Ester Castano è una ragazza che oggi, per continuare precariamente a fare questo mestiere, deve lavorare in pizzeria, perché c’è una marginalità sociale e professionale di mestiere che le permette di ricevere le minacce, ma non di fare questo lavoro.
  Qual è il punto di vista del direttore di un grande quotidiano del sud rispetto a questo tema, che è un tema reale ?

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Io nasco in un giornale, che si chiamava il Quotidiano di Lecce, nel 1979 come cronista di nera, quindi la mia esperienza è proprio iscritta in contesti simili a quelli, anche se la Puglia non era la Calabria. È esattamente quello che ho sostenuto un anno fa, quando si trattava di attribuire un premio a una grande giornalista di un quotidiano nazionale o piuttosto, come avevamo proposto io e altri, ai giornalisti del Giornale della Calabria, ma non ricordo il nome.

  CLAUDIO FAVA. Giornale della Calabria.

  ALESSANDRO BARBANO, direttore del quotidiano Il Mattino. Esatto.
  Ho fatto il cronista in Puglia ed è molto più difficile sfidare il potere in Calabria di quanto non lo sia sfidarlo a Roma, a Napoli e anche a Milano, quindi condivido in pieno. Quando si è posto il caso della Calabria, ho subito mandato lì un bravissimo inviato. Penso che Il Mattino sia la voce del Mezzogiorno e l'unico giornale del Mezzogiorno dotato di proiezione nazionale. Pensateci. È l'unico mezzo di informazione che può veicolare la voce del Mezzogiorno, in un contesto in cui l'informazione è assediata.
  Io sento questa responsabilità, perché siamo un presidio civile. Esistono altri giornali, indubbiamente, ma nessuno parla al Paese. Quanto meno, a noi guardano, poi fanno il contrario di quello che diciamo, ma se facciamo una cosa, si vede.
  Anche se la nostra area funzionale è la Campania, per fortuna arriviamo ancora anche in Calabria e io ho mandato lì un inviato. Per due giorni ho raccontato quello che stava avvenendo. Credo che sia fondamentale sostenere queste esperienze. Indubbiamente, in provincia è molto più forte il rischio di micropoteri, che però, nel contesto in cui si esercitano, sono di una pericolosità estrema, perché gli altri filtri mancano.
  Non so quale possa essere il ruolo dell'ordine. Complessivamente, credo che gli ordini abbiano fallito in questo Paese la loro funzione, perché hanno rappresentato, sostanzialmente, il peggio di una dimensione corporativa. Il vero problema di questo Paese è la tendenza a corporativizzare ogni consesso umano. Se quindici ricercatori di Harvard fossero portati in Italia, dopo quindici giorni si strutturerebbero come un consesso corporativo. Questo è un dato interclassista e interculturale, che attraversa tutti i livelli. È una delle nostre patologie nazionali.Pag. 16
  Anche nelle inchieste sui farmacisti in Campania si è visto cosa fosse l'ordine dei farmacisti, quindi gli ordini hanno fallito. Galli Della Loggia sostiene che lo Stato post fascista, la nostra democrazia, è una proiezione di quello Stato corporativo fascista transitato nella democrazia, dove l'elemento strutturale è l'ordine. L'ordine fallisce perché spesso risponde a interessi corporativi che fanno valere il microinteresse pernicioso sulla finalità etica per la quale l'ordine è stato istituito.
  Si aggiunge una specifica del giornalismo: è una professione che, purtroppo, nasce come un mestiere. Grazie a una scellerata legge pattizia del 1962 tra potere politico e corporazione dei giornalisti, si arrivava a fare i giornalisti in assenza di un titolo di studio adeguato e si continua a sostenere che il giornalismo, con questa mitologia molto suggestiva, ma altrettanto rozza, si fa consumando le suole delle scarpe. È vero, ma così si fa anche il finanziere, eppure bisogna avere anche il sapere. Abbiamo rinunciato a costruire un sapere.
  Ho scritto degli umili manuali di giornalismo, l'ultimo per Laterza, un libro ignorante, dal titolo Manuale di giornalismo. È ignorante perché lei non troverà un libro dal titolo Manuale di medicina. Se va in una facoltà universitaria e cerca un libro su un caso medico importante, come l'infarto, troverà 200 libri; se va a cercare in una libreria universitaria un libro sull'intervista, non lo troverà, non esiste.
  Abbiamo rinunciato a costruire un sapere accademico. Abbiamo rinunciato in ragione del fatto che, siccome siamo giornalisti, dobbiamo insegnare il mestiere dal maestro all'apprendista, nascondendoci, senza far vedere, come fa l'artigiano. Rinunciando a questa prospettiva scientifica, siamo arrivati alle soglie del Duemila con questo vulnus.
  Le scuole di giornalismo sono espressione di questo sapere esperienziale, a cui manca, evidentemente, una prospettiva più ampia. Le università che hanno investito in scienze della comunicazione sono fallimentari, perché sono una declinazione sociologica del giornalismo. Il matrimonio tra esperienza dei giornalisti e sapere accademico non si è mai realizzato, perché non si sono messi d'accordo quando, alla fine degli anni Novanta, si pensò a questa commistione per approdare a un percorso professionalizzante e qualificante.
  Siamo uno dei Paesi che non ha una facoltà di giornalismo, mentre in Perù c’è. Lei pensa che sia diffusa una coscienza dei diritti e una conoscenza dei limiti deontologici penali e civili da parte dei giornalisti, che spesso si occupano, soprattutto in provincia, di materie così delicate, e invece non c’è. Bisogna essere onesti. Bisogna dirlo. Non c’è.
  È evidente, quindi, che una professione debole, perché culturalmente debole, è più debole di fronte al potere, al netto di tutte le contaminazioni, gli interessi che ci sono, ma qui raccontiamo un'altra storia.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il direttore Barbano e gli auguriamo buon lavoro.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.35.