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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Martedì 17 febbraio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Variazione nella composizione della Commissione:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 

Audizione dell'onorevole Luciano Violante:
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 3 
Violante Luciano  ... 4 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Violante Luciano  ... 7 
Grassi Gero (PD)  ... 7 
Violante Luciano  ... 8 
Grassi Gero (PD)  ... 8 
Violante Luciano  ... 8 
Grassi Gero (PD)  ... 8 
Violante Luciano  ... 9 
Grassi Gero (PD)  ... 9 
Violante Luciano  ... 10 
Grassi Gero (PD)  ... 10 
Violante Luciano  ... 10 
Grassi Gero (PD)  ... 10 
Violante Luciano  ... 10 
Grassi Gero (PD)  ... 10 
Violante Luciano  ... 11 
Grassi Gero (PD)  ... 11 
Violante Luciano  ... 11 
Corsini Paolo  ... 11 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Corsini Paolo  ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 12 
Grassi Gero (PD)  ... 12 
Cervellini Massimo  ... 12 
Violante Luciano  ... 12 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Violante Luciano  ... 13 
Grassi Gero (PD)  ... 13 
Violante Luciano  ... 13 
Corsini Paolo  ... 13 
Violante Luciano  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 13 
Violante Luciano  ... 13 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Violante Luciano  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14 
Violante Luciano  ... 14 
Fioroni Giuseppe , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIUSEPPE FIORONI

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche mediante l'attivazione dell'impianto audiovisivo a circuito chiuso.

Variazione nella composizione della Commissione.

  PRESIDENTE. Comunico che la Presidente della Camera ha chiamato a far parte della Commissione, in data 20 gennaio 2015, il deputato Fabio Lavagno, in sostituzione del deputato Nazzareno Pilozzi, dimissionario e, in data 12 febbraio 2015, il deputato Roberto Occhiuto, in sostituzione del deputato Rocco Palese, dimissionario. Nel ringraziare, anche a nome degli altri componenti della Commissione, i colleghi dimissionari, rivolgo ai deputati Lavagno e Occhiuto un saluto di benvenuto e l'augurio di buon lavoro.

Audizione dell'onorevole Luciano Violante.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente Luciano Violante, che ringraziamo per l'immediata e cortese disponibilità con cui ha accolto l'invito ad intervenire oggi in Commissione.
  Il presidente Violante è stato, come è noto, attivo e autorevole componente della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia, istituita nel corso della VIII legislatura e presieduta dapprima dall'onorevole Oddo Biasini, poi dal senatore Dante Schietroma, infine dal senatore Mario Valiante.
  La Commissione è stata la prima ad occuparsi del caso Moro a livello parlamentare e, attraverso la sua attività e la cospicua documentazione raccolta, ha fornito un contributo molto significativo alla ricostruzione e all'analisi di questa tragica vicenda, così cruciale per la storia della nostra Repubblica.
  La nostra Commissione ha naturalmente già acquisito agli atti dell'inchiesta l'intero patrimonio documentale prodotto dalla Commissione Moro nella VIII legislatura, ma le acquisizioni documentali sono in grado di testimoniare solo l'attività svolta e i risultati conseguiti, non anche le piste investigative che, per ragioni diverse, non si è potuto in tutto o in parte esplorare.
  Per questa ragione abbiamo ritenuto di ascoltare in audizione i presidenti e alcuni componenti delle precedenti Commissioni che si sono occupate del caso Moro, così da disporre in un quadro completo di tutti gli approfondimenti che sono stati condotti e di quelli che restano ancora da effettuare. In tale contesto abbiamo ascoltato l'onorevole Gerardo Bianco, il senatore Giovanni Pellegrino e il senatore Sergio Flamigni.
  È in questo solco che si colloca anche l'odierna audizione, dalla quale ci attendiamo un contributo di riflessione particolarmente attento e qualificato, considerato che il presidente Violante – oltre che uomo politico di primo piano, che ha ricoperto importanti incarichi istituzionali Pag. 4– è stato magistrato e, all'inizio della sua carriera accademica, assistente universitario di Aldo Moro.
  Noi ci aspettiamo oggi, sostanzialmente, dal presidente Violante, come abbiamo concordato in Ufficio di presidenza, non un suggerimento per aggiungere ulteriori fili di una matassa molto aggrovigliata, ma per indicare quali fili possiamo – e ha senso – continuare a seguire per aggiungere parole di chiarezza e di verità rispetto ai tanti lavori che su questa vicenda il Parlamento ha svolto e anche ai vari processi che nel corso degli anni si sono susseguiti.
  Ringrazio il presidente Violante e gli do la parola.

  LUCIANO VIOLANTE. Signor presidente, sono io che ringrazio lei e i componenti della Commissione per questa audizione.
  Mi sono chiesto quali possano essere il senso e l'oggetto di una Commissione d'inchiesta a trentotto anni da quella tragedia. Credo che uno dei vantaggi che ha questa Commissione sia quello di non avere più davanti i responsabili dell'epoca. Questo è certamente un punto di favore perché, come avrà visto chiunque di voi ha avuto modo di guardare gli atti della Commissione di cui feci parte, la prima sul sequestro e l'assassinio di Aldo Moro, trovammo difficoltà determinate dalla circostanza che avevamo di fronte coloro che non avevano fatto alcune cose che avrebbero dovuto fare o che avevano fatto cose che non avrebbero dovuto fare. Ciò rendeva certamente complicate le cose, quindi voi avete un vantaggio. Ho potuto constatare, inoltre, la profondità degli interventi dei commissari, che è di buon auspicio per un passo non so se definitivo ma certamente di chiarimento di tanti aspetti poco chiari di questa vicenda.
  Intendo fare due premesse. La prima è che è difficile che in una storia così complessa tutto sia razionalmente connesso, logico e coerente. Le vicende così complesse hanno sempre degli aspetti difficilmente comprensibili.
  La seconda è che un'organizzazione clandestina quale era quella delle Brigate rosse è molto più permeabile di un'organizzazione democratica, contrariamente a quello che si pensa. Nell'organizzazione aperta c’è un controllo e una verifica, si sa, si discute, si controlla, si ascolta; in un'organizzazione clandestina la compartimentazione, che era tipica della struttura brigatista, comportava una sorta di separatezza per nuclei o per persone, quindi l'importante era far parte del nucleo che ti riconosceva come appartenente per poi essere progressivamente integrato.
  Dico questo perché quello di Aldo Moro credo sia l'unico caso di uomo di Stato sequestrato e ucciso in Europa dopo la Seconda guerra mondiale. È chiaro che l'interesse a seguire la vicenda non era soltanto di politica criminale. C'era un interesse politico di fondo di tanti Paesi per conoscere l'esito della vicenda e gli effetti sul sistema politico italiano.
  Il terzo dato preliminare che pongo alla vostra attenzione è questo: l'obbiettivo era avere Moro libero o sconfiggere le BR ? Lo dico perché, leggendo, come molti di voi avranno fatto, tutti gli atti e in particolare quelli relativi al consulente americano polacco o polacco americano del Ministro dell'interno Cossiga, l'impressione che si ha, leggendo le sue dichiarazioni e le sue prese di posizione, è che la cosa importante fosse più sconfiggere le BR che trovare vivo Aldo Moro e che la morte di Moro o l'assassinio di Moro potesse accelerare la crisi dell'organizzazione terroristica. Questo è un altro degli aspetti che credo vada preso in considerazione.
  Ulteriore dato è quello relativo alla mancata comprensione della straordinaria gravità della tragedia. Non mi riferisco solo alle condizioni in cui si trovò a lavorare la magistratura: Infelisi ha detto anche a voi che non aveva il telefono nella stanza, quindi era privo di qualunque tipo di...
  C'era anche difficoltà di raccordo con i magistrati, nel senso che allora – mi permetto di segnalare una questione che forse non tutti conoscono – era considerata una lesione della deontologia professionale Pag. 5del magistrato parlare a un altro magistrato di un processo. Quindi, io non potevo chiedere a un collega: «Scusa, questa scrittura la conosci, l'hai vista ?». Questa era considerata una sorta di lesione, di violazione della riservatezza delle indagini.
  Si cercò in qualche modo di superare questa difficoltà, o comunque di coordinarsi, quando io venni chiamato dal Ministro Bonifacio al Ministero della giustizia, nel 1977, al fine di cercare di operare una sorta di raccordo tra le magistrature che si occupavano di terrorismo, con qualche difficoltà determinata appunto da questa resistenza, allora legittima, allo scambio di opinioni e al coordinamento. Insomma quello che oggi è il pool e via dicendo non era assolutamente presente nelle idee di allora.
  Quindi, si deve tener conto di queste difficoltà, però, ferme restando queste difficoltà, mancava capacità nelle indagini.
  Il 6 maggio 1978 sono identificati e rilasciati Morucci, Faranda e altri terroristi riconosciuti come tali. Il 7 maggio 1978 è fatta una richiesta di perquisizione concessa soltanto il 9 maggio, cioè due giorni dopo. Oggi una richiesta di perquisizione per un sequestro di questo livello sarebbe data dieci minuti dopo.
  Il pubblico ministero Infelisi venne a sapere della scoperta del covo di via Gradoli due ore dopo, e non dalla Polizia che l'aveva scoperto, ma dai Carabinieri che avevano intercettato una comunicazione della Polizia. Quindi, le forze di polizia non collaboravano tra loro.
  Scompaiono dagli atti del dottor Infelisi le fotografie scattate da un signore che era posto su un balcone al di sopra del luogo, fotografie ritenute non rilevanti dal dottor Infelisi. Poi credo che alcuni di voi abbiano avuto modo di leggere un'intercettazione telefonica di Freato e Cazora che parlavano tra loro con riferimento a una presenza della ’ndrangheta sul luogo della strage. Dico questo perché la foto presa dall'alto forse poteva consentire di riconoscere questa persona.
  L'auto di Aldo Moro venne ispezionata solo dopo cinque giorni dal sequestro e dall'assassinio della scorta. Per cinque giorni stette nel cortile della questura e solo al quinto giorno qualcuno andò a vedere cosa ci fosse dentro e scoprì che c'erano altre tre borse, oltre le due che avevano portato via le BR.
  Ecco, questo è il quadro di incapacità: una Polizia allora abituata più all'ordine pubblico che alle indagini di polizia giudiziaria, mentre oggi magari è abituata più alle indagini di polizia giudiziaria che all'ordine pubblico.
  Vengo alla questione di via Gradoli. Come è noto su via Gradoli ci sono tante interpretazioni. Su un punto mi permetto di richiamare l'attenzione dei commissari: come sapete via Gradoli viene scoperta perché c’è il famoso telefono della doccia collocato, con il rubinetto aperto, verso una sconnessione delle mattonelle sul muro. Chi fece questo e perché ?
  Lo dico poiché quell'appartamento non era una base «fredda», ma c'erano documenti, targhe, come ricorderete, quindi c'era qualcuno che voleva far scoprire quella roba. E perché ? Che interessi aveva che venisse scoperta ? Nessuno che abbia occupato una base ha interesse a farla scoprire, per ovvi motivi, dalle impronte digitali a tutto il resto. Quindi era qualcuno che aveva interesse a farla scoprire ed è qualcuno che aveva l'accesso. Perché c'era questo interesse ? Ci fu una rottura nelle BR ? C’è una cosa da capire. Forse qualcuno dei superstiti di quella vicenda potrà spiegare qualche aspetto. O anche perché si voleva dirottare l'attenzione verso quel posto perché doveva accadere qualche altra cosa da un'altra parte, è da vedere. Però, tra tutte le illazioni che sono state fatte su via Gradoli, credo che capire perché qualcuno interno alle BR ha fatto scoprire quella base, con documenti anche importanti, sia una questione non secondaria.
  A parte questo, credo che non vennero né prese né identificate tutte le impronte che potevano esserci. Allora non c'era la possibilità di rilevare il DNA eccetera, però credo che non venne fatto quel tipo di analisi.Pag. 6
  La signora Moro, come forse qualcuno di voi ricorderà, dice che avendo chiesto a un funzionario di Polizia per quale motivo avessero ritenuto che alla parola «Gradoli» corrispondesse un luogo piuttosto che una strada, questo aveva risposto che via Gradoli non c'era sullo stradario perché era una via di recente costituzione.
  La tipografia Triaca aveva, come sapete, una stampante di provenienza dei servizi di sicurezza, Raggruppamento Unità Speciali. Alcuni dicono che il Raggruppamento Unità Speciali era un'articolazione dei servizi. Altri sostengono che si trattava di un supporto logistico puro e semplice, di scarso rilievo. In realtà, pare che si trattasse davvero di un nucleo dei servizi di sicurezza. Come una stampante possa passare da un nucleo dei servizi di sicurezza a un'organizzazione terroristica, certo qualcuno lo spiegherà, ma credo che occorrerà perlomeno farsi qualche domanda su questo punto. Devo dire che, come forse ricorderete, quella tipografia aveva anche un'altra macchina che proveniva da un ufficio pubblico, credo del Ministero dei trasporti. È abbastanza singolare che chi svolgeva attività terroristica potesse disporre di macchinari che provenivano da apparati pubblici.
  C’è poi tutta la sequenza dei documenti non consegnati – adesso forse voi potete acquisirli, e anche alcuni uffici giudiziari li hanno acquisiti successivamente – che riguardano tutte le riunioni che si tennero, quelle del CIS, del CESIS, dei comitati di crisi e così via. A noi ne consegnarono pochissimi, ma poi in realtà gli altri sono stati trovati successivamente.
  Leggendo quei documenti si vede una straordinaria improvvisazione. Sembrava quasi che non interessasse trovare vivo Aldo Moro.
  C'era anche una preoccupante impreparazione. Forse alcuni di voi – magari i meno giovani – ricorderanno che capitò varie volte che durante le perquisizioni delle auto i poliziotti dimenticassero il MAB, il mitra, nel portabagagli. Quindi, nel posto di blocco successivo la macchina veniva fermata e veniva trovato il mitra. Ci furono alcuni problemi da questo punto di vista. Le strutture della Polizia e dei Carabinieri non erano adeguate a questo tipo di operazioni.
  Il luogo della prigione è rimasto un mistero. Certamente non può essere stato sempre la base di via Montalcini, che era un appartamento piccolo, ristretto, mentre il corpo del presidente Moro risultò essere tonico, non di chi sta cinquantacinque giorni legato a un letto, insomma. Tuttora credo che quello sia uno dei grandi punti interrogativi della vicenda e che sia un punto significativo. Ricordo che nel luglio 1979 il SISDE riuscì a effettuare un'intercettazione ambientale di una conversazione tra due brigatisti detenuti all'Asinara in cui uno diceva all'altro che Moro era stato tenuto bene, trattato bene, mangiava, beveva, camminava, quindi non poteva essere stato imprigionato in un ambiente angusto come a via Montalcini.
  Circa la base di via Montalcini, questo è un altro punto interrogativo: perché la perquisizione ne fu disposta soltanto quando la proprietaria Braghetti se n'era andata ? Si attese da luglio ad ottobre. A luglio gli uffici di Polizia ebbero segnalazione che lì ci poteva essere una base terroristica e due funzionari dell'Ucigos, se non ricordo male, andarono a interrogare tutti i condomini per sapere chi fosse la persona che vi abitava. Ora, se c’è una lotta da fare al terrorismo la si fa e basta; non si chiede ai condomini se si può fare o meno. Si va e si perquisisce, insomma si agisce con una certa determinazione, cosa che francamente lì non accadde. Questa è un'altra delle cose abbastanza strane. Lo ripeto, da luglio, quando era arrivata la segnalazione orale, la perquisizione si fa ad ottobre; ma ad ottobre, era proprio il 4, la signora è già andata via e lì non c’è più niente.
  L'ultimo punto sul quale mi permetto di richiamare l'attenzione della Commissione è il problema dello scioglimento dell'Ispettorato antiterrorismo, allora diretto dal questore Santillo (a me capitò di lavorare come magistrato con questa struttura). Tale organismo era frutto di una scelta di questo tipo: è inutile avere un corpo massiccio; è bene invece avere Pag. 7un corpo di polizia fatto di 25, 30, 40 persone capaci di muoversi sul territorio. Dove c’è bisogno, ad esempio, di fare trenta perquisizioni per il tale giorno, si chiamano uomini che sappiano fare quel lavoro, e l'Ispettorato li mandava. Quindi, oggi servivano a Napoli, poi a Roma e via dicendo.
  Quel corpo cominciava a recuperare la mancanza di scambi di notizie che caratterizzava gli uffici giudiziari, perché, facendo quel tipo di operazioni, acquisiva tutte le informazioni e le restituiva ai singoli uffici: riferiva che, ad esempio, su una tale persona stava lavorando anche Padova o Verona o Roma o Napoli, e questo aiutava nel lavoro giudiziario.
  Successivamente il corpo fu ristrutturato meglio e costituito, se non ricordo male, di quattro divisioni: una divisione riguardava il terrorismo di sinistra, una il terrorismo di destra, una quello internazionale e la quarta era questa struttura mobile che, ripeto, era di grandissima utilità e intelligenza strategica.
  Sta di fatto che questa struttura fu sciolta nel gennaio 1978. La motivazione che venne data fu questa: la nuova legge dei servizi di sicurezza del 1977 stabiliva che entro sei mesi dovessero essere sciolti tutti gli uffici che avevano compiti di informazione e sicurezza. Perciò – si disse – si sciolse anche quello. Però stranamente vennero costituiti parallelamente l'Ucigos, che faceva le stesse cose, ma con altro personale privo delle competenze e delle conoscenze che avevano quegli altri, e dopo poco il nucleo del generale Dalla Chiesa, che aveva le stesse funzioni. Quindi, francamente fu smantellata una struttura che aveva le conoscenze e furono costituite strutture che le conoscenze non le avevano.
  Per quanto riguarda Dalla Chiesa, se non ricordo male il decreto di nomina che imponeva una collaborazione dei corpi di polizia con il generale Dalla Chiesa non fu comunicato né ai prefetti né alle strutture periferiche, per cui nessuno sapeva che doveva collaborare con lui. Per quanto il generale chiedesse collaborazione, non l'ottenne. Questo mi risulta direttamente.
  Mi sono permesso di indicare sette punti, ma tanti altri potranno conoscerne loro. Certamente occorre evitare il rischio – se mi è permesso, presidente – di disperdersi nella marea di indizi. Bisognerebbe selezionare le questioni ritenute più importanti e andare avanti.
  Credo che, da questo punto di vista, il lavoro che voi state compiendo potrebbe essere di particolare utilità, anzitutto per ricostruire una verità politica, in secondo luogo forse anche per fare in modo che complessivamente gli apparati pubblici siano il più possibile attrezzati non dopo ma prima dei fatti. Lo dico in una fase particolarmente delicata della nostra vita democratica, per le minacce che vengono dall'Isis.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Violante.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GERO GRASSI. Presidente Violante, lei ha detto che le due borse del 16 marzo, a differenza di quelle rinvenute alcuni giorni dopo nell'automobile, furono portate via dalle BR. Come fa a sostenere una cosa del genere ?

  LUCIANO VIOLANTE. Dopo che Moro venne ucciso, vennero restituiti alla famiglia alcuni documenti od oggetti che erano in quelle borse. Scusate, sto andando a memoria.

  GERO GRASSI. È vero. Sapevo che era questa la ragione, ma volevo una conferma da lei.
  Riguardo alla base di via Gradoli, lei giustamente si chiede per quale motivo e chi ha deciso di farla scoprire. A questo proposito si ipotizza che ci sia stata una scientifica azione interna alle Brigate Rosse. Quello che non si dice, invece, è che nel covo di via Gradoli le bombole del gas – all'epoca non c'era il gas di città – le portava il signor Enzo Gismondi, che era un sottufficiale dei Carabinieri. E quello che non si dice, inoltre – ma ci sono Pag. 8interrogatori dei coinquilini di via Gradoli che lo attestano – è che Moretti spesso era visto parlottare la mattina con il signor Arcangelo Montani, che aveva tre caratteristiche: abitava dello stabile di fronte al 96 (via Gradoli, per chi non la conosce, è larga poco più di tre metri e mezzo); era di Porto San Giorgio come Moretti; era nato tre anni prima di Moretti, ma soprattutto faceva il maresciallo dei Carabinieri.
  Arrivo alla domanda. La sua conoscenza, la sua esperienza esclude che la base di via Gradoli possa essere stata conseguenza di un'informazione delle stesse forze dell'ordine ?

  LUCIANO VIOLANTE. Scusi, escludo che la conoscenza... ?

  GERO GRASSI. Che la possibilità della scoperta di via Gradoli sia conseguenza di una «delazione» delle stesse forze dell'ordine ?

  LUCIANO VIOLANTE. Guardi, in questo campo non si può escludere mai nulla.
  Tutti i dati vanno presi, valutati uno per uno con grande freddezza, senza ipotesi precostituite. Certamente, mi permetto di dire, se fosse venuta una soffiata, non ci sarebbe stato bisogno del marchingegno della doccia. Però, guardi, in queste vicende può darsi tutto.
  Certamente, però, se questi sono signori che parlavano con un capo delle BR, avrebbero dovuto denunciarlo subito, no ? Invece lo fanno successivamente. Quindi, può darsi anche che si siano incrociati vari elementi. Quello che allora mi fece sollevare qualche incertezza che oggi qui ho confermato, è la precostituzione del ritrovamento della base con i documenti dentro, sulla base del principio che se io faccio il terrorista e sto in una base lascio il meno possibile dentro. Basti pensare a quello che fece Riina a casa sua, cioè il fenomeno opposto. Lì non si trovarono neanche le mattonelle e i muri, in questo caso invece si trovarono i documenti e le targhe.

  GERO GRASSI. Presidente Violante, nella documentazione Moro – quando parlo di documentazione intendo dire i due milioni di pagine tra Commissioni e atti processuali che hanno riguardato il caso Moro – lei è stato il primo, e comunque quello che con maggiore forza dialettica, seguito dal dottor Guerzoni e per certi versi dal senatore Flamigni, a ipotizzare il cosiddetto «canale di ritorno».
  Credo, dal mio punto di vista, che la sua intuizione non solo fosse vera, ma fosse anche conseguenza della doppia veste che lei rivestiva, di magistrato e di componente della Commissione.
  Vengo alla domanda. Il canale di ritorno non ha avuto grande successo nel caso Moro. È stato ripreso nel libro Ho sentito Aldo Moro che piangeva di Prospero Gallinari, firmato con la dicitura Edmond Dantés, l'anno prima di morire. Ma la vicenda del canale di ritorno, che non è mai esplosa – lo dico con rammarico – e non ha avuto mai grande successo, si interseca anche con un fatto gravissimo, successo anni dopo, sul quale non ci sono grandi prove, ma probabilmente è un settore in cui si potrebbe anche lavorare con delle ricerche.
  La notizia collegata a questa è che le Brigate Rosse non solo abbiano consentito l'arrivo nella cosiddetta «prigione del popolo» di un testimone eccellente, che nel caso di specie potrebbe essere un sacerdote andato lì. E sulle intercettazioni del sacerdote ci sono voragini perché sono scomparse le cassette, c’è una testimonianza di tale appuntato Fenzi che avvisa il sacerdote che è intercettato eccetera.
  Accanto a questo, poi, ci potrebbe essere un altro tentativo non riuscito di canale di ritorno che riguarderebbe Walter Tobagi. Mi spiego: Walter Tobagi fu invitato dalle Brigate Rosse a intervistare Moro nel carcere e sarebbe stato ucciso per il suo diniego, perché si rese conto che sarebbe diventato complice delle Brigate Rosse ove avesse accettato.
  Lei, però, in tutta la vicenda Moro di Tobagi non parla, forse perché non ne era a conoscenza; parla benissimo invece del Pag. 9sacerdote, di don Antonello Mennini. Io leggo, nelle diverse audizioni e nelle diverse testimonianze, un tentativo mal riuscito da parte di alcuni di sottacere la vicenda Mennini. Visto che lei ha la paternità di questo merito – io credo che lei abbia perfettamente ragione e abbia individuato benissimo le cose – spero che ci voglia chiarire, seppur dopo tanti anni, quello che lei ricorda e, magari, aggiungere ulteriori elementi di conoscenza.

  LUCIANO VIOLANTE. Guardi, onorevole Grassi, credo che i canali siano stati più di uno, non uno soltanto. Bisogna vedere, poi, cosa si intende per canali, cioè se si tratta di un soggetto che fa abitualmente trasporto di corrispondenza o porta notizie, che sono cose molto diverse l'una dall'altra, però certamente i contatti non noti tra BR e mondo esterno furono più di uno.
  La signora Moro, quando consegna una lettera ai suoi interlocutori e l'interlocutore le chiede da dove viene la lettera, risponde: «È meglio che lei non lo sappia». Il giornalista Fabio Isman del Messaggero rivelò poi al senatore Pecchioli che contrariamente a quello che Isman stesso aveva dichiarato all'autorità giudiziaria in ordine al ritrovamento di una certa lettera nella sua auto, quella lettera gliel'aveva consegnata Rana, un collaboratore molto stretto di Moro, quindi la lettera era arrivata per un altro canale.
  Mennini certamente fu uno dei canali, tant’è che a un certo punto scomparve e fu poi inviato dal Vaticano in Russia.
  Quindi, i canali furono certamente più di uno, e questo non ci deve stupire, perché stiamo parlando di un'organizzazione che, essendo clandestina, non si affida mai o raramente alle stesse persone. Affidarsi alle stesse persone significa, infatti, mettersi nelle mani di quelle persone. Occorre, quindi, avere più persone da contattare una volta o due e poi basta, proprio per evitare che questo possa costituire un canale di ritorno di indagini.
  Comunque, avemmo l'impressione che don Mennini fosse davvero, adempiendo magari alle sue funzioni religiose, un punto di connessione e di collegamento tra il presidente Moro e l'esterno. Non si trattò certamente del solo punto di collegamento. Credo che ci fossero più canali di connessione, sia per una ragione logica, che ho appena spiegato, determinata dalle caratteristiche proprie dell'organizzazione clandestina e compartimentata, sia perché da dati di fatto oggettivi emerge che c'era una serie di connessioni e di collegamenti tra BR e mondo esterno, anche di carattere criminale.
  Mi viene in mente un'altra cosa. Forse chi ha potuto leggere i documenti ricorderà che il dottor Vitalone ebbe in mente, a un certo punto, di creare dei documenti falsi delle BR, il che era già qualcosa extra ordinem.
  A parte questo, ci fu un momento in cui la banda della Magliana entrò nella vicenda, come è noto. Poi ci fu il comunicato sul lago della Duchessa, che fu un po’ strano.
  Intendo dire che su questa vicenda ci furono tanti tentativi di interferenza, al di là dei canali, con il vero e proprio lavoro investigativo, il che rese tutto più complicato. Nessuno di noi sa se la scelta che il dottor Vitalone aveva proposto di fare sia stata seguita poi da altri magistrati o da corpi di polizia.
  Come vedete, sono questioni molto complesse e piene di interferenze non coerenti fra di loro e con la finalità di sconfiggere le BR e, insieme, liberare Moro.

  GERO GRASSI. Una figura poco conosciuta del caso Moro è quella di Giovanni Senzani. Secondo Valerio Morucci, Giovanni Senzani è colui il quale vive nella casa di Firenze. Non viene mai citato da Moretti. Morucci invita Moretti a parlare e invita la Commissione a chiedere a Moretti chi è la mente e l'illustre personaggio della casa di Firenze.
  Il procuratore della Repubblica di Pistoia, Tindari Baglione, alla domanda «Chi vincerà la guerra tra magistratura e forze dell'ordine, da un lato, e brigatisti, dall'altro ?», risponde testualmente: «Io non so chi vincerà questa guerra. So, però, che Pag. 10l'allenatore è lo stesso, perché Senzani è consulente nostro ed è consulente delle Brigate Rosse».
  Senzani, che nella storia è colui che ha indicato alle Brigate Rosse di uccidere i giudici Amato, Minervini e Tartaglione, era consulente del Ministero di grazia e giustizia. Quando viene arrestato in via della Vite, qui vicino, a Roma – a parte l'anomalia per cui convive in una casa con un agente dei servizi segreti – nella casa si trova il filmato della morte di Roberto Peci, che Senzani filma mentre lo uccide. Lo uccide con undici colpi di pistola, gli stessi di Moro, e dopo averlo trattenuto per cinquantacinque giorni, gli stessi di Moro, quale segnale mafioso alle BR per dire che chi parla fa una brutta fine.
  Absit iniuria verbis, si dice anche (ma io non sono in grado di dimostrarlo) che accanto al filmato di Peci ci fossero il filmato di Moro e le cassette delle registrazioni degli interrogatori di Moro.
  Fatta questa breve, ma cruenta cronistoria, la domanda è questa: secondo lei, com’è stato possibile che nel nostro ordinamento una persona come Senzani avesse questa capacità di duplicazione, ossia che fosse una sorta di Mister Hyde e Dottor Jekyll che si duplicava e stava a contatto con i magistrati, da un lato, e con le Brigate Rosse, dall'altro ?

  LUCIANO VIOLANTE. Vivevamo un'epoca con una forte contrapposizione ideologica, per cui, per essere accettati, era sufficiente mostrarsi su un dato fronte politico. Se si era su un fronte di sinistra o, peggio che mai, vicini al PCI, si era sospetti per questo motivo. Se ci si comportava, pur appartenendo alle BR, in modo antagonistico nei confronti di questo tipo di forza e magari in modo vicino ad altre, si era accettati.
  Se mi permette, le cito un episodio personale. Quando il Ministro Bonifacio mi chiamò al Ministero della giustizia, come ho accennato all'inizio, l'onorevole Bozzi, liberale, presentò un'interrogazione parlamentare contro il fatto che avesse chiamato uno come me lì al Ministero.
  Mi misero all'inizio in una stanza che era in fondo a un corridoio con tre o quattro stanze libere davanti e un piantone. Il piantone doveva controllare che io non facessi scorrettezze, che non tramassi. Dopo qualche settimana, peraltro, le cose si normalizzarono.
  In questo tipo di lotta ideologica e di contrapposizione che c'era, determinata da tanti fattori che tutti noi conosciamo, era ben possibile che uno potesse fare il doppio gioco. L'importante era che non fosse sospetto sulla base delle categorie generali che in quel momento dominavano la vita politica italiana.
  Devo aggiungere un'altra cosa. Capitava abbastanza spesso che i capi dei nostri uffici ci dicessero: «Andate voi a sentire quelli delle BR. Voi li capite». Questo per dire qual era il clima nel quale lavoravamo.

  GERO GRASSI. Presidente Violante, accetto e condivido quello che dice. Senza polemica, però, le ricordo che in quello stesso periodo un signore soprannominato Gregory Peck, all'anagrafe Ugo Pecchioli, concordava con Francesco Cossiga, Ministro degli interni, tutte le nomine dei servizi segreti italiani. Era lo stesso periodo.

  LUCIANO VIOLANTE. Lo so benissimo. Infatti, il problema non riguardava i vertici del Paese, che erano, per fortuna, democratici. Il problema riguardava il livello più basso.

  GERO GRASSI. Lo dico soltanto perché ne resti memoria. Anche nel discrimine, quindi, c'era qualcuno più discriminato di altri.

  LUCIANO VIOLANTE. Non c'era discrimine allora, a livello di vertice. Il discrimine avveniva ai piani inferiori.

  GERO GRASSI. L'ultima domanda che voglio farle riguarda via Montalcini. Moretti non ha mai affermato che la base in cui era stato tenuto Moro fosse in via Montalcini. L'hanno detto altri, ma Moretti Pag. 11non l'ha mai detto. Lei ha giustamente ricordato una fase molto lunga tra il 9 maggio e la scoperta del covo, con una morte sospetta, quella dell'ingegner Manfredi, che aveva testimoniato, e la cui moglie, vivente, non vuol più sentire parlare del caso Moro. Al riguardo, c’è un elemento da segnalare: l'appartamento di via Montalcini fu venduto per procura dalla Braghetti e l'atto notarile lo fece un notaio. Quel notaio era stato fino a pochi mesi prima dipendente del Ministero degli interni. Nella storia di Moro ci sono due notai che da ex dipendenti del Ministero degli interni fanno contratti anomali. Lei sa che il contratto di vendita di via Montalcini fu stipulato per procura da parte della zia di Laura Braghetti. Le cito questo episodio per suffragare la sua giusta sensazione che tra la scoperta del covo e l'apertura da parte delle forze dell'ordine passò un tempo immemorabile.
  Sempre per evitare una damnatio memoriae, questo periodo coincide anche con il periodo di interregno al Ministero degli interni dopo le dimissioni di Cossiga, il 10 maggio 1978, fino all'arrivo di Virginio Rognoni. In questo periodo di interregno, nel quale il Presidente Andreotti mantiene ad interim l'incarico di Ministro degli interni, scompaiono anche tutti i verbali del cosiddetto «comitato di crisi» che cercava Moro.
  Alla luce di tutto questo lei non ritiene che anche su via Montalcini manchi completamente la verità, a distanza di trentasei anni ? Eppure si tratta semplicemente di un luogo nel quale Moro sarebbe stato tenuto durante parte dei cinquantacinque giorni. Se qualcuno non dice la verità nemmeno sulla prigione, evidentemente potrebbe essere che quella verità non sia raccontabile.

  LUCIANO VIOLANTE. Via Montalcini è possibile che sia stata una base in cui custodire e tenere Moro, ma non credo per molto tempo, per le ragioni che ho detto prima, ossia perché il corpo dell'onorevole Moro non era un corpo indebolito dalla stasi. Questo è impossibile.
  Devo dire che in tutte queste vicende, come ho accennato all'inizio, parlando in buona fede, non tutto è coerente. Non tutto può essere coerente, trattandosi di vicende molto complesse. Furono condotte con un tale disordine che certamente è così.
  Resta il fatto che quella base suscita notevoli interrogativi, soprattutto se lei fa il parallelo con la base di via Gradoli. Una base è pulita, non c’è nulla, ed è via Montalcini. L'altra è, invece, piena di elementi.
  Visto che lei fa riferimento alla vendita, ci ponemmo il problema allora, come magistrati, di come fare per trovare le basi delle BR. Allora fu varata quella norma, che qualcuno ricorderà, che stabiliva che bisognasse denunciare gli ospiti entro un dato numero di giorni. Chiedemmo che venisse fatta quella norma.

  GERO GRASSI. Credo sia quella del 21 marzo 1978.

  LUCIANO VIOLANTE. Sì, quella. Allora bisognava denunciare, con l'idea che poi avremmo messo in piedi schedature colossali, cosa che non si riuscì a fare. La minaccia e il pericolo però furono talmente elevati che i brigatisti cominciarono a comprare le case. Tuttavia, poiché non potevano comprarle con i documenti veri, dovevano comprarle con quelli falsi. Pertanto, acquisimmo l'elenco di tutti gli alloggi comprati e, laddove a un acquirente si capiva che corrispondesse un nome falso, si andava a vedere e quasi sempre si trovava la base.
  Fu una sciocchezza, se si vuole, di questo tipo, che consentì poi, attraverso gli alloggi, di mettere le mani su numerose basi delle Brigate Rosse, soprattutto a Genova.

  PAOLO CORSINI. Evidentemente non posso rivolgere domande all'onorevole Violante perché non ho potuto partecipare all'audizione, avendo in concomitanza la seduta di un'altra Commissione. Tuttavia, devo fare una domanda all'onorevole Grassi, perché voglio che mi rinfreschi la memoria.Pag. 12
  Quando nella XIII legislatura, nell'ambito della Commissione stragi, ci occupammo di questa vicenda, ricordo che io rivolsi una serie di domande, durante un'audizione, a un notaio, che suscitava in noi molti dubbi e molte perplessità, perché era sostanzialmente un recordman dei tempi di laurea e di acquisizione del titolo di notaio. È per caso un notaio altoatesino o trentino il soggetto che registra quel contratto ? Questo era un aspetto che allora ci era sfuggito.

  GERO GRASSI. La paternità del notaio non la conosco ancora, però posso dire come si chiama.

  PAOLO CORSINI. È questo che mi interessa.

  GERO GRASSI. Nicasio Ciaccio. Non credo che il cognome ci riporti in Trentino.

  PRESIDENTE. Il notariato si esercita ovunque. La provenienza difficilmente è altoatesina.

  GERO GRASSI. Questo della vendita della Braghetti era il notaio Nicasio Ciaccio, della segreteria del Ministro della difesa Ruffini, che era stato precedentemente dipendente del Ministero degli interni. Ce n’è anche un altro, ma il cognome Ciaccio non ci riporta in Sud Tirolo.

  MASSIMO CERVELLINI. Ringrazio il presidente. Nell'introduzione lei poneva la questione dell'elemento bizzarro della scoperta di via Gradoli. È evidente che già in quegli anni, e poi in maniera manifesta, questa è stata definita – così si è scritto – «la strada dei servizi». Sicuramente lo è stata successivamente e probabilmente lo è tuttora.
  Io chiedo proprio al presidente Violante che idea si è fatto. Veniva ricordato dall'onorevole Grassi l'allenatore in comune delle due squadre. Si riferisce probabilmente a una persona fisica o, come si suol dire, a una persona giuridica ?

  LUCIANO VIOLANTE. Onorevole, il clima di quegli anni era davvero di incertezza su chi avrebbe vinto. In qualcuno di quei momenti si pensava che avremmo ceduto. Tenga presente che ci fu a volte un omicidio per settimana.
  Mi permetto, se il presidente lo consente, di dire una cosa. Quando fu sequestrato l'onorevole Moro, io lavoravo al Ministero della giustizia. In tarda mattinata mi giunse una telefonata da parte della segreteria del senatore Pecchioli che mi chiese se fosse possibile che io passassi dalla direzione del PCI nel primo pomeriggio. Io andai. Non ero più iscritto al partito. Ero stato iscritto da ragazzo, ma non lo ero più. Da magistrato lo conoscevo, perché la lotta contro il terrorismo c'erano alcune forze che la facevano e altre no. Ci fu una riunione dall'onorevole Berlinguer. La domanda era: «Che succede ? Ci sarà una proposta di trattativa» Erano presenti altre persone, nessuna delle quali oggi è viva. A me capitò di dire: «La scelta la prenderà la politica, ma tenete presente che quello che si fa per l'onorevole Moro va fatto per tutti». Inoltre, aggiunsi che non potevamo chiedere a Polizia, Carabinieri e magistrati di rischiare la vita per arrestare persone che poi sarebbero state liberate dopo una settimana o quindici giorni. Ancora, affermai che quegli omicidi stavano ponendo in crisi gli apparati di polizia.
  Voglio dire che non era tutto così scontato. Tenga presente che allora non c'erano assicurazioni, non c'erano premi e non c'erano riconoscimenti per chi veniva ammazzato. Queste cose vennero dopo. La situazione per poliziotti e magistrati era piuttosto delicata. Quando dicevo che non si sapeva chi avrebbe vinto, davvero non si sapeva.
  Quanto al problema dello stesso allenatore, Baglione è un toscano fiorentino e magari a volte, come capita, poteva eccedere nella battuta. Tuttavia, l'idea che ci fosse qualcuno apparentemente vicino a noi, ma che stava da quella parte c'era. Da questo punto di vista io non so se Tindari Baglione avesse qualche elemento in più per dire che fosse Senzani. Tuttavia, corrispondendo, Pag. 13se non capisco male, al senso politico della sua domanda, certamente l'idea che ci potesse essere qualcuno da questa parte che dava una mano a quelli che erano dall'altra parte, o per viltà, o per coincidenza di valori e di interessi, o perché voleva mettersi al sicuro se ci fosse stato un capovolgimento di fronte, c'era.

  PRESIDENTE. Affronto una questione per un canale che stiamo seguendo, che riguarda la vicenda di Edgardo Sogno e degli eventuali coinvolgimenti o rapporti con gli ambienti dell'eversione di sinistra delle BR. La domanda è in relazione, in particolare, a un libro, Gli infiltrati nelle Brigate Rosse, scritto da Roberto Bartali, che forse conosce, in cui si mette in evidenza come, secondo Franceschini, Mara Cagol fosse stata messa in contatto con una persona di estrema fiducia di Corrado Simioni, tal Dotti. Questo Dotti era lo stesso del necrologio sul Corriere della Sera, della Terrazza Martini ed era la persona a cui la Cagol doveva consegnare le schede delle BR e a cui si doveva rivolgere se aveva bisogno di soldi.
  Questo ci serve per avere uno spaccato, perché, come dicevamo ieri nel colloquio informale, le organizzazioni trasparenti sono difficili da infiltrare. Quelle segrete sono molto permeabili e molto infiltrate.
  L'altro aspetto è se sono a sua conoscenza rapporti di investigazione tra la strage di via Fani e l'omicidio del giornalista Casalegno, la cui istruttoria fu fatta dall'autorità giudiziaria torinese.

  LUCIANO VIOLANTE. A me non risulta nulla che possa riguardare il rapporto tra Edgardo Sogno e organizzazioni di estrema sinistra. Sogno si pose a un certo punto in un altro schema politico. Mi riferisco al problema di impedire che la sinistra italiana potesse andare al governo. Per quello che ne so io, escluderei del tutto questa possibilità.
  Sogno, in un libro-intervista che ha poi rilasciato, ha riconosciuto pienamente di aver organizzato quel tentativo di colpo di Stato. La questione si pone in correlazione con tutto ciò che si agitava all'epoca in Italia.
  Rileggendo con calma l'interrogatorio di Delle Chiaie, si vede che egli anticipa molti anni prima la vicenda Gladio. Dice che c'erano persone, partigiani bianchi, sinceramente anticomuniste, come è legittimo in democrazia, ed altre che si erano organizzate in strutture segrete per prevenire quell'eventualità. Le dichiarazioni di Andreotti verranno molto tempo dopo.
  Allora non capimmo di che cosa si trattava. Può darsi che Sogno fosse – a me non risulta – dentro quel tipo di strutture, ma non mi risultano assolutamente rapporti con il terrorismo di sinistra. So che le BR avevano delle informazioni, delle schede su Sogno. In un sequestro che si fece a Torino venne fuori quel materiale, ma lo vedrei in senso antagonistico, non nel senso di colleganza.

  GERO GRASSI. Si riferisce al sequestro di Vittorio Vallarino Gancia ?

  LUCIANO VIOLANTE. Sì, mi riferisco al sequestro Gancia.

  PAOLO CORSINI. E la questione di Casalegno ?

  LUCIANO VIOLANTE. Qual era la questione Casalegno, per capire meglio ?

  PRESIDENTE. L'autorità giudiziaria torinese fece tutte le indagini sull'omicidio di Casalegno. Vorremmo sapere se lei ha memoria, nel corso di quelle indagini, di vicende che riguardarono via Fani.

  LUCIANO VIOLANTE. No, lo escludo, anche perché la vicenda di via Fani fu molto gestita da Roma, con sbarramenti nei confronti di collaborazione e cooperazione. Quello che c'era nelle polizie c'era anche nella magistratura. Come le polizie non collaboravano o avevano difficoltà a collaborare, c'era difficoltà di collaborare anche nella magistratura, anzi c'era un tentativo di appropriarsi delle indagini. Era un mondo un po’ disordinato.

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  PRESIDENTE. L'ultima questione riguarda via Gradoli e, in modo particolare, il ruolo svolto dalla famiglia Conforto nel caso Moro. La proprietaria dell'appartamento di via Gradoli era Luciana Bozzi, legata da un rapporto di amicizia con Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, il cui nome figurava nella lista Mitrokhin. Giuliana Conforto era la proprietaria di un altro covo, in cui furono arrestati Valerio Morucci e Adriana Faranda; anche per la zia di Giuliana Conforto si è ipotizzato, nei lavori della XIII legislatura, un coinvolgimento in relazione a un deposito di armi di terroristi di sinistra.
  Chiedo se nella sua memoria c’è qualcosa di particolare.

  LUCIANO VIOLANTE. No.

  PRESIDENTE. Sono questioni che vengono, in realtà, molto dopo.

  LUCIANO VIOLANTE. Sì, vengono molto dopo. Non ho memoria di questo.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringraziamo il presidente Violante, soprattutto per i quattro spunti fondamentali di domande sulle quali noi abbiamo già incominciato a lavorare e che meritano di essere approfondite.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.40.