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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 25 marzo 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 3 

Audizione del Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, Giuseppe Peleggi:
Catania Mario , Presidente ... 3 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 3 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione ... 6 
Catania Mario , Presidente ... 8 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 8 
Gallinella Filippo (M5S)  ... 9 
Catania Mario , Presidente ... 9 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 9 
Mazzilli Edoardo Francesco , Direttore Ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 9 
Catania Mario , Presidente ... 11 
Cenni Susanna (PD)  ... 11 
Mongiello Colomba (PD)  ... 12 
Fantinati Mattia (M5S)  ... 13 
Senaldi Angelo (PD)  ... 13 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 14 
Catania Mario , Presidente ... 14 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 14 
Catania Mario , Presidente ... 15 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 16 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 17 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 17 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 17 
Alvaro Teresa , Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 17 
Catania Mario , Presidente ... 17 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 18 
Mazzilli Edoardo Francesco , Direttore Ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 19 
Peleggi Giuseppe , Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 23 
Mazzilli Edoardo Francesco , Direttore Ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 23 
Catania Mario , Presidente ... 26 

Allegati: Documentazione presentata dall'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 27

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, Giuseppe Peleggi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, Giuseppe Peleggi.
  Iniziamo subito, perché diversi colleghi hanno anche altre riunioni di Commissione a partire dalle 15. È importante avere la possibilità di ascoltare il nostro ospite con serenità e in modo esaustivo.
  Abbiamo con noi oggi il Direttore generale dell'Agenzia delle dogane, il dottor Giuseppe Peleggi, accompagnato dalla dottoressa Teresa Alvaro e dal dottor Paolo Raimondi, rispettivamente direttore centrale e capo segreteria del direttore responsabile dell'ufficio.
  La riunione di oggi è particolarmente importante, ragion per cui non le tolgo altro tempo. Farò poi le mie considerazioni e le mie domande.
  Do la parola al dottor Peleggi per lo svolgimento della relazione.

  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Grazie, presidente. Grazie alla Commissione, che ci concede questo spazio. Noi abbiamo preparato un documento da lasciare. È in progress. Immagino che il dialogo con la Commissione non finirà oggi.
  Peraltro, colgo anticipatamente l'occasione per invitarvi a una visita alla nostra sala antifrode per meglio cogliere l'operatività con cui lavoriamo e capire come funziona il nostro sistema di analisi dei rischi contro le frodi doganali e, quindi, il Servizio telematico doganale.
  Se me lo concedete, darò poi la parola agli esperti di settore. Ho con me la dottoressa Alvaro, direttore centrale tecnologie per l'innovazione, e il dottor Edoardo Mazzilli, che dirige attualmente l'Ufficio investigazioni dell'antifrode.
  Il documento ve lo illustro brevemente, così perdiamo meno tempo e magari andiamo più al cuore delle questioni. In primo luogo, si descrive che cos’è l'Agenzia delle dogane, che è un ente pubblico economico, e che tipo di controlli abbiamo. L'Agenzia è sottoposta alla vigilanza della Corte dei conti e del Ministero del tesoro e attraverso lo Statuto gode di un certo livello di autonomia.
  Dopodiché, si descrive il tipo di attività che facciamo e il fatto che rispondiamo al Codice doganale comunitario, sia a quello del 1992, sia al nuovo Codice doganale comunitario che entrerà in vigore dal 1o maggio dell'anno prossimo.
  Noi facciamo attività legate più a questioni tributarie per conto della Commissione europea e della Comunità europea. In realtà, lavoriamo su dazi – IVA all'importazione Pag. 4– e, quindi, sulle risorse proprie. È evidente, però, che l'Agenzia delle dogane si occupa anche di accise, che, pur essendo tributi quasi totalmente armonizzati, in realtà non costituiscono risorse proprie. Sono entrate tributarie spettanti all'Erario italiano.
  Parallelamente, da un paio d'anni a questa parte, abbiamo acquisito anche l'attività dell'AAMS cioè dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, con una fusione complessa e tuttora difficile.
  Andiamo alla questione che ci interessa, ossia alla questione del fenomeno contraffazione. Nel documento trovate un quadro normativo sintetico che riguarda i diritti di proprietà intellettuale, la lotta alla contraffazione e il quadro normativo sintetico per la tutela del made in Italy.
  Lo stretto sentiero su cui si muove l'Agenzia – lo sapete tutti, immagino – è quello di rendere più agevoli gli scambi, ovvero di tutelare il corretto commercio, cercando di ridurre al minimo l'impatto dei controlli, che devono essere sì efficaci, ma non devono intralciare gli scambi commerciali e, quindi, il commercio internazionale, ovvero il commercio con i Paesi terzi.
  Si tratta di questione non semplice, perché, da una parte, esiste la necessità di tutelare tutti gli operatori che operano per lo sviluppo economico legato alla logistica e al commercio dei prodotti sia in entrata che in uscita. Dall'altra parte, però, dobbiamo anche cercare di costruire una sorta di tutela per i nostri prodotti, ossia per l'origine italiana del prodotto e per la sua originalità. In parallelo troviamo la questione della tutela anche per il consumatore.
  Ci muoviamo, quindi, all'interno di questo spazio molto stretto. Come si può lavorare in uno spazio tanto stretto ? Attraverso un sistema che consenta capacità di selezioni adeguate in funzione della tipologia di frode.
  Il sistema doganale è un sistema che ha telematizzato la totalità delle operazioni. Ormai siamo prossimi al 100 per cento. Ci mancherà uno 0,2 per cento, ossia un pacco postale occasionale. Tutto il resto opera attraverso una dichiarazione telematica. L'analisi dei rischi filtra, attraverso profili di rischio che possono essere soggettivi, sull'individuo, su chi compie l'operazione o anche su un tipo unico di merce, oppure oggettivi, in relazione al Paese di origine, al Paese di provenienza, alla tipologia di merce e via elencando.
  Il vantaggio di aver telematizzato ci ha posto su una nuova frontiera, che è quella di velocizzare ulteriormente le operazioni doganali. Parlo di frontiera perché oggi a livello comunitario sulla frontiera siamo sostanzialmente il primo Paese che ha reso operativo lo Sportello unico doganale in termini veri, ossia in termini integralmente telematici, e che lo sta facendo in combinazione con lo sdoganamento in mare. Sulla scia dello Sportello unico, attraverso l'acquisizione dei manifesti di merce in arrivo e in partenza, costruiamo l'analisi dei rischi prima che la nave arrivi in porto.
  Perché ci siamo posti questo obiettivo ? Perché avevamo in mente il fatto che i nostri porti storici hanno spazi limitati. Pertanto, per rendere più fluido il passaggio all'interno dei nostri porti storici, dobbiamo costruire una sorta di banchina virtuale, che è data dall'innovazione tecnologica a costo zero, anticipando l'analisi dei rischi.
  Anticipatamente noi possiamo, quindi, stabilire se un determinato container che è ancora sulla nave e arriverà in porto tra due ore o cinque ore abbia bisogno di controlli. Mentre è già stata agganciata la nave dalla Capitaneria di porto, che parla con noi in interoperabilità, dicendoci che la nave non fa altre fermate e sta sulla rotta giusta, con l'analisi dei rischi noi filtriamo sul manifesto e poi, quando arriva la dichiarazione, il container ha già avuto il filtro. Pertanto, se non ha necessità di controllo, quel container può immediatamente uscire.
  Questo – capite qual è la potenzialità – potrebbe consentirci anche di dare appuntamento al camion che preleverà il container e di operare con un orario predeterminato. Questo significa programmare Pag. 5gli arrivi anche dei vettori che devono caricare i container e, quindi, costruire una programmazione sul traffico portuale e un buon funzionamento del porto, delle vie di accesso e dell'autostrada di Genova.
  È un fenomeno che noi pensiamo possa irradiarsi nella misura in cui, con la realizzazione della Piattaforma logistica nazionale, riusciremo a porre sotto tracciamento il container e il vettore di carico. Questo è un progetto ambizioso, ma già in corso.
  Parallelamente, c’è la questione del volume dei controlli. Da qualche anno a questa parte, da diversi anni, soprattutto in materia di anticontraffazione, nella quale siamo partiti per primi in ambito comunitario, la dogana italiana presenta uno strano record, quello sul numero dei sequestri. Noi sequestriamo più degli altri Paesi e delle altre dogane, a fronte del fatto, però, che il numero delle dichiarazioni doganali in importazione che pervengono al nostro Paese e che vengono sdoganate dal nostro Paese ci colloca al sesto posto nella graduatoria dei Paesi comunitari.
  Siamo bravi noi, non siamo bravi noi, la contraffazione è principalmente destinata nei nostri porti ? Fino a dieci anni fa – era più che un luogo comune – potevamo ritenere certo il fatto che alcuni porti italiani, per esempio Napoli, fossero un buon ricovero per gli arrivi di contraffazione. Oggi il nome è scomparso dall'elenco dei porti pirata, mentre sono tornati prepotentemente alla ribalta i porti del Nord Europa.
  Tutto questo perché ? Rispetto al fenomeno contraffazione non c’è una forte sensibilità tra le dogane comunitarie. Sei o sette anni fa noi dogane italiane abbiamo pensato di aprire un dibattito sull'altro versante, cioè sulla sotto-fatturazione. La sotto-fatturazione è il reato, secondo noi, dominante rispetto alla contraffazione. La merce contraffatta viene presentata con uno scarso valore. Viene presentata con uno scarso valore perché, in realtà, incontra il fisco comunitario e anche nazionale soltanto al momento di ingresso in Comunità europea. Là si tenta la sortita: pochi dazi bassi sul valore dichiarato, poca IVA sul valore dichiarato.
  Da quando noi abbiamo cominciato a effettuare l'analisi comparata del valore medio dichiarato all'importazione su alcuni settori a rischio, effettivamente ci siamo resi conto di come si spostano le merci più rischiose sotto questo aspetto. Due anni fa abbiamo visto balzare le importazioni sul tessile, per esempio, della Repubblica Ceca. Al momento sappiamo che uno dei punti preferiti per merci di basso valore tessile e, quindi presumibilmente contenenti anche un grande numero di contraffatto, è la Gran Bretagna.
  Chi opera sulla contraffazione e usa la sotto-fatturazione ha una discreta agilità nel posizionare la sede legale delle società di importazione. È evidente, quindi, che l'attività nostra sia quella di segnalare nomi di società e di soggetti che si spostano all'OLAF (Ufficio europeo per la lotta antifrode), alla dogana comunitaria competente. C’è tutto un rapporto tra le varie dogane comunitarie rispetto ai soggetti a rischio e al tipo di traffico che mettono in piedi.
  Sulla sotto-fatturazione noi abbiamo spinto molto con l'idea che, poiché la sotto-fatturazione attacca il bilancio comunitario direttamente, mentre sulla contraffazione l'OLAF poteva esimersi dall'esprimersi sul comportamento di alcune dogane, sul fenomeno della sotto-fatturazione non poteva risultare assente. Abbiamo usato, quindi, questo diversivo di attacco rispetto al comportamento di alcuni nostri colleghi doganali di altri Paesi, toccando proprio l'OLAF sul punto in cui è più sensibile per dovere istituzionale, che è quello della tutela del bilancio comunitario.
  Questo è il quadro che esiste rispetto agli altri Paesi comunitari e all'OLAF.
  Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra Agenzia e privati sull'anticontraffazione, è un rapporto che ha ormai più di dieci anni e che nasce da vari accordi che abbiamo fatto con le principali associazioni Pag. 6di produttori. Abbiamo stipulato 35 accordi con i principali produttori, proprio a tutela dei prodotti originali.
  Peraltro, in questo rapporto abbiamo anche tirato dentro il rapporto con i consumatori, nella misura in cui abbiamo sviluppato alcuni sistemi che consentono una più rapida informazione per chiunque.
  FALSTAFF è il nostro sistema che tutela le imprese che ne fanno richiesta dal fenomeno di contraffazione, in quanto acquisisce le caratteristiche tecniche del prodotto originale e lo diffonde in tempo reale su tutte le dogane. Il nostro funzionario, nel momento in cui apre uno scatolone e trova dentro un prodotto, può immediatamente leggere il nome della ditta e guardare le caratteristiche tecniche del prodotto. Se ha un dubbio, ha i riferimenti dei periti della ditta. Li contatta ed entro ventiquattr'ore la casa madre manda i periti, che fanno una perizia tecnica sul prodotto, laddove non siano sufficienti, invece, le immagini che abbiamo a sistema depositate dalla ditta che ha chiesto tutela.
  FALSTAFF è del 2004 e ha ricevuto la menzione d'onore al premio per i nuovi processi e le nuove tecnologie a vantaggio delle aziende. Si tratta di un premio (award) comunitario che viene conferito ogni due anni. È un premio che è stato introdotto dodici anni fa. Quest'anno mi sembra che ci sia la sesta edizione. Devo dire che noi abbiamo ricevuto quattro dei sei premi. Negli ultimi due anni non ci siamo presentati perché ci hanno chiesto di evitare, perché avevamo troppa fantasia.
  Il FALSTAFF del 2004, se lo guardate sul nostro sito, è un sistema interessante perché, al di là del fatto che consente anche la diffusione degli allarmi comunitari e il RAPEX (Rapid Alert System for non-food dangerous products), è un sistema che le aziende usano per segnalarci il prodotto che deve essere tutelato alla frontiera. È un sistema in evoluzione. Dentro a questo sistema abbiamo adesso spostato la frontiera verso il GLIFITALY.
  Se mi consentite, farei esporre la nuova frontiera alla dottoressa Alvaro. Il GLIFITALY è un QR Code che dovrebbe consentire, anzi che consentirà – è già stato preso bene da alcune associazioni cui lo abbiamo mostrato – di dare un attestato e di certificare l'originalità dell'informazione sul prodotto originario.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Peleggi e do la parola alla dottoressa Teresa Alvaro, direttore centrale tecnologie per l'innovazione. Prego, dottoressa.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione. Grazie, presidente. Volevo solo aggiungere a quanto ha detto il direttore due parole sulla struttura di FALSTAFF, ovvero la struttura di ogni progetto di innovazione realizzato dall'Agenzia delle dogane in termini strategici. Noi abbiamo fatto un'analisi molto attenta della nostra platea. Vi riporto alcune cifre che caratterizzano la criticità di ogni progetto di innovazione in termini di diffusione presso l'utenza.
  In Italia attualmente il tessuto produttivo è composto per il 97 per cento da piccole e medie imprese. Il 97 per cento di queste imprese hanno una struttura organizzativa che impegna meno di 50 dipendenti. Delle piccole e medie imprese il 75 per cento non ha un sito web e solo il 30 per cento utilizza l’e-commerce. Noi abbiamo, quindi, una platea molto polverizzata in termini anche di competenza e di digital divide. È molto affetta dal digital divide.
  Pertanto, ogni nostro intervento di automazione parte dal principio di favorire il più possibile l'abbattimento del digital divide. Noi non proponiamo mai progetti verticali, dedicati a uno specifico settore, per cui ogni azienda debba poi interfacciarsi con una pubblica amministrazione con strutture diverse. Utilizziamo, invece, una strategia cosiddetta full digital, ovvero facciamo in modo che le aziende possano adempiere agli obblighi che un'amministrazione richiede in base alle sue competenze e alla sua missione, estraendo direttamente i dati dal loro sistema informativo. Pag. 7Noi facciamo in modo, quindi, che si stimoli l'investimento strutturale in innovazione. FALSTAFF è nato così, il sistema informativo doganale è nato così e GLIFITALY nasce allo stesso modo.
  Consentitemi due parole per illustrarvi meglio la nostra strategia di digitalizzazione, che si basa anche su un altro importante elemento, il cosiddetto paradigma once, che viene più volte citato nell'ambito dell'Agenda digitale nazionale o dell'Agenda per il mercato unico digitale a livello europeo. Bisogna sempre ricordarsi che il cittadino o l'impresa non debbono essere veicolo dell'informazione e che sono le pubbliche amministrazioni che, in base a processi integrati, debbono fare in modo che le aziende inviino un'informazione una volta sola per raggiungere l'obiettivo, che peraltro abbiamo raggiunto con lo Sportello unico, ossia l'unificazione dei controlli.
  In questo modo i controlli, che nell'ambito della contraffazione sono particolarmente rilevanti, possono trarre beneficio da un'analisi dei rischi complessiva e non dalla visione parziale dei dati in possesso di ciascuna amministrazione. Noi riassumiamo questo principio parlando proprio di un'azione di contrasto globalizzata che vede ogni amministrazione condividere il patrimonio informativo per attuare un'analisi del rischio il più possibile efficace.
  Su queste basi si è poggiato FALSTAFF e si poggia anche GLIFITALY. Esso parte da un'idea molto semplice, che dovrebbe poi risolvere molti dei problemi legati agli ostacoli che derivano da una marcatura nazionale dei nostri prodotti, ossia dal riconoscere il made in Italy come un marchio. Nasce da quest'idea inserire anche il consumatore, che può risiedere in qualsiasi parte del mondo, nella lotta alla contraffazione sfruttando un principio, peraltro, del mercato unico: informare correttamente il consumatore sull'originalità, la qualità e la sicurezza dei prodotti.
  L'idea di base è questa. Il sistema si basa sull'utilizzo di un QR Code, che noi abbiamo chiamato GLIFITALY, perché il quadratino del QR Code è detto glifo, standard, ovvero riconoscibile in ogni parte del mondo con i più comuni device portatili, come un cellulare, e per il quale si possano scaricare gratuitamente le app per il riconoscimento da Internet. Questo è un aspetto molto rilevante se si vuole coinvolgere per la tutela del made in Italy anche il consumatore che risiede in un altro Paese e che, quindi, non può utilizzare le specifiche tecniche di un QR Code che non sia standard.
  L'altro aspetto è che tutte le applicazioni che noi dedichiamo all'utenza sono completamente gratuite, a differenza di ciò che fanno molti altri Stati membri, che dividono le categorie delle imprese con cui si interfacciano in imprese di grande rilevanza, cui fanno pagare i servizi, e imprese più piccole, cui forniscono non servizi integrati, ma spesso servizi verticali.
  L'adozione di questo QR Code standard consente, ovviamente, di etichettare il prodotto utilizzando un QR Code e un software free direttamente scaricabile da Internet. L'idea è fornire le specifiche tecniche per indicare che cosa andrà inserito nel QR Code.
  Il QR Code così formulato ha un altro vantaggio: le informazioni non sono direttamente indicate nell'insieme dei dati registrati, ma sono accessibili accedendo direttamente, acquisendo il QR Code, a un sito istituzionale. Il sito istituzionale che abbiamo individuato in questa prima fase per un'effettiva logica di riuso è proprio FALSTAFF.
  Perché ? Perché le informazioni sulla qualità, l'originalità e la sicurezza dei prodotti sono già presenti sul sito FALSTAFF, ragion per cui le aziende che hanno già richiesto tutela a costo zero, semplicemente apponendo questo QR Code sull'etichetta del prodotto, possono usufruire di questo servizio, che consente al consumatore nazionale e al consumatore di qualsiasi parte del mondo di verificare l'originalità del prodotto e di confrontare soprattutto quanto gli viene rappresentato sull'etichetta con quanto è effettivamente presente su un sito Pag. 8istituzionale. L'idea è stata quella di certificare le informazioni sull'originalità e sulla filiera.
  Il progetto, così come è stato pensato, si apre, ovviamente, a ulteriori semplificazioni, sempre riferendosi al quadro normativo attuale, che vede non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario, una stratificazione verticale dei controlli. Ogni settore dirama le sue norme, che poi insistono sulle aziende con una serie di controlli, fondamentalmente richiedendo alle aziende lo stesso nucleo di dati.
  A quale evoluzione si presta questo ? Si presta all'evoluzione del paradigma once, perché, ogni amministrazione che, per esempio, certifica la filiera di produzione, può integrare i dati e controllarli direttamente sui siti delle pubbliche amministrazioni. Non so se mi sono spiegata correttamente. Poi mi apro alle vostre domande, qualora questi concetti non siano stati da me chiariti a sufficienza.
  L'altro aspetto fondamentale è che il sistema si apre anche alle grandi aziende. Nel momento in cui una grande azienda – stiamo parlando, per esempio, di prodotti di alta gamma e di aziende con una grande organizzazione – ha già sul suo sito le informazioni relative alla filiera che possono essere certificate, il sistema, occupandosi di tutti i problemi relativi alla sicurezza dai fake website, mette a disposizione direttamente le pagine del sito dell'azienda certificate dalla dogana – anche FALSTAFF funziona così – in modo tale che l'azienda possa fornire ulteriori servizi anticontraffazione.
  Fa parte della nostra strategia condividere ogni progetto di innovazione in ogni dettaglio con la platea che poi lo dovrà utilizzare. Abbiamo destato molto interesse con questo progetto nei nostri tavoli tecnici, a cui partecipano tutte le associazioni di categoria. Sia le piccole che le grandi aziende hanno già manifestato un interesse per partire con una sperimentazione. In particolare, i più accesi sostenitori del GLIFITALY sono le aziende vitivinicole e le aziende del settore alimentare, quelle più colpite dalla contraffazione e dall’Italian sounding.
  Non so se sia meglio fermarsi qui. Eventualmente, sono a disposizione, se ci sono domande.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. Lei accennava, dottor Peleggi, all'intervento di un altro collega. Non so se intenda farlo svolgere.

  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Per il momento no. Se posso chiudere, come voi avete capito benissimo, il vantaggio per il consumatore è enorme. Il glifo può essere contraffatto a sua volta, ma il glifo contraffatto conduce a un sito specchio. Non è quello dell'azienda. In realtà, il glifo che noi proponiamo, al di là di essere a costo zero per le imprese, fa praticamente da sponda al sito dell'Agenzia delle dogane che, quindi, certifica il fatto di far rimbalzare la richiesta del consumatore sul sito dell'azienda, quella vera, quella che ha il diritto di proprietà intellettuale del prodotto, quella che conosce la filiera. Noi facciamo da certificazione sull'originalità dell'informazione richiesta dal consumatore.
  Questo è il vantaggio per le imprese, ed è questo che ha attirato l'attenzione, il costo zero su un prodotto certificato. Peraltro, rispetto ai blocchi comunitari, questo risolverebbe la questione della marchiatura, perché in realtà noi indirizziamo la conoscenza di quel prodotto direttamente sull'azienda e, quindi, sulla filiera del prodotto parlando al consumatore, il che ci è concesso. Ci eviterebbe, quindi di avere blocchi a livello comunitario.
  Un altro punto che abbiamo presentato nella relazione, sempre in modo sintetico, è quella che riguarda la normativa vigente e i punti di caduta che ancora sussistono soprattutto per quanto riguarda la tutela del made in Italy, le piccole spedizioni contenenti contraffazione e vari altri aspetti. Su questo, se volete una panoramica, passo la parola al dottor Mazzilli, oppure, se il tempo è scaduto, valutate voi.

  PRESIDENTE. La ringrazio, dottor Peleggi. A questo stadio, poiché alcuni colleghi Pag. 9devono andare via, mi preme consentire la possibilità di fare domande. Sicuramente questa è la situazione del collega Gallinella.
  Do quindi la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FILIPPO GALLINELLA. Grazie. Con lei, dottor Peleggi, ci siamo visti in Commissione Agricoltura, sempre per parlare dello stesso tema. Mi permetto di riprendere un argomento che avrei voluto approfondire – poi, per motivi di tempo, non ce l'ho fatta – che si collega anche molto a quello che ha detto lei oggi su questo sistema.
  Se non ricordo male – ma magari mi sbaglio – voi, come Agenzia delle dogane avevate, almeno credo di aver capito così, attivato un sistema per cui i Consorzi di tutela, i Consorzi che gestiscono prodotti che subiscono contraffazione, potevano farvi segnalazioni. Mi ricordo che a questo sistema, almeno all'ultima audizione, non molti avevano aderito. Mi chiedevo se si può fare qualcosa per stimolare questo tipo di attività. Volevo un chiarimento su questo se è possibile.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Peleggi per la replica.

  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Abbiamo un problema di informazione generale delle tutele che possono avere le imprese in Italia. Si parla molto delle problematiche, esistono soluzioni. FALSTAFF, d'altra parte, è l'unico sistema che dialoga con gli altri sistemi comunitari. È l'unico accreditato in COPIS che esiste oggi nel Paese ed è l'unico che proprio istituzionalmente può raccogliere le richieste di tutela aziendali. Se ci aiutate a dialogare con i vari Consorzi, può essere utile.
  Se il presidente lo consente, Edoardo Mazzilli vorrebbe aggiungere qualcosa.

  EDOARDO FRANCESCO MAZZILLI, Direttore Ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Buon pomeriggio a tutti. Per la verità, questo è un motivo di mistero per noi. Io ho diretto l'ufficio che si occupava proprio della gestione delle domande di tutela fino all'anno scorso. Poi, per una riorganizzazione interna, il servizio è passato a un collega. Tuttavia, continuo a seguire le domande, perché a me è rimasta l'attività di enforcement, ossia l'attività di indagine e di applicazione della norma alle frontiere e di relazione con le altre Istituzioni europee, con l'OLAF, con le altre amministrazioni doganali e, all'interno, con le forze di polizia.
  Ho condotto numerosissimi incontri anche presso il Ministero delle politiche agricole con i rappresentanti dei Consorzi. Un'analoga speculare iniziativa l'abbiamo avviata, per esempio, in un dialogo strettissimo con le società di calcio o con altri settori merceologici, proprio per coinvolgerli assolutamente nella tutela di FALSTAFF.
  Perché a noi interessa ? Con ciò non intendo che noi abbiamo un interesse specifico. È chiaro, però, che il sistema FALSTAFF, per come vi è stato delineato, ci consente di intervenire alle frontiere con un tempo strettissimo, con la possibilità di leggere le caratteristiche del prodotto originale e di confrontarlo con il prodotto che ci si pone sul tavolo, ossia con il prodotto oggetto dell'importazione in questo momento, dietro la semplice presentazione di una domanda da parte del titolare del diritto.
  Qui parliamo di contraffazione, cioè di violazione di diritto di proprietà intellettuale. Sembra una precisazione inutile, ma in realtà in questo mondo – io mi occupo di contraffazione dal 2003 – la confusione, e io lo vedo in Italia anche nei dibattiti televisivi, regna sovrana. Si tende a mescolare questioni e normative giuridiche e, quindi, ricadute economiche e anche in termini di enforcement che sono tra loro completamente diversi.
  Spesso mi capita di sentire che alcune forze hanno sequestrato 30 milioni di pezzi che avevano contraffatto il marchio CE. Il marchio CE, come marchio in senso Pag. 10stretto, come diritto di proprietà industriale, non esiste. Il marchio CE è un'attestazione di conformità che viene apposta dall'importatore all'atto dell'importazione a seguito di un processo molto preciso che si fa in dogana. Interviene un ente certificatore, iscritto in un albo comunitario che è possibile controllare accedendo a un sito specifico della Commissione europea, che si chiama NANDO. Io guardo se il soggetto si è rivolto a un ente certificatore e ha fatto testare i suoi prodotti. L'ente certificatore gli attesta che i prodotti sono conformi alla normativa comunitaria, per esempio alla direttiva sui prodotti elettrici. Dopodiché, l'importatore può apporre il CE, che in buona sostanza è un'autocertificazione. Qui siamo nel settore della sicurezza dei prodotti, ragion per cui parlare di contraffazione del marchio CE è una cosa che non ha senso. Non ha alcuna base giuridica.
  In genere, la contraffazione viene mescolata abilmente con il problema dell’Italian sounding e del made in Italy. Tutti noi ci lamentiamo. In passato mi ha chiamato il Consorzio del prosecco di Treviso, uno dei pochi pionieri che hanno una domanda di tutela regolarmente registrata, il che gli ha permesso di accedere alla tutela, che si era recato in una fiera in Germania e aveva visto prosecco, esattamente con l'etichetta simile alla sua, importato dal Brasile.
  Mi ha chiamato il presidente del Consorzio e ha detto: «Voi a che servite ?» Io gli ho chiesto di fornirmi tutti i dati della fiera e della spedizione. Abbiamo attivato l'addetto doganale tedesco, che è intervenuto sull'importatore tedesco.
  Questa è l'esemplificazione di che cosa si può fare con FALSTAFF. Laddove la tutela è estesa, con una domanda comunitaria, a tutti i 28 Stati membri, ossia all'Italia e agli altri 27, noi possiamo intervenire direttamente sul suolo nazionale, ma, laddove qualcuno se ne sia dimenticato – come ha sottolineato il direttore, spesso le dogane straniere e gli altri Paesi dell'Unione si dimenticano del problema dei diritti di proprietà intellettuale – possiamo chiedere e sollecitare l'intervento delle amministrazioni doganali straniere a tutela del prodotto e, quindi, del titolare del diritto di proprietà intellettuale che ha registrato il suo marchio, il suo brevetto, l'IGP o il DOP nel sistema comunitario. Tutto questo è gratuito.
  Tornando al problema che aveva sollevato l'onorevole Gallinella, noi abbiamo coinvolto più volte i rappresentanti dei Consorzi, ma anche di altri settori merceologici, ma, proprio per i settori dell'agroalimentare, non abbiamo mai trovato un interesse diretto ad associarsi e a presentare la domanda di tutela, nonostante di volta in volta si proceda a sequestri di diritti di proprietà intellettuale riferibili ai Consorzi, per i quali poi attiviamo la procedura ex officio.
  Tutte le volte in cui non vi è una domanda di intervento presentata ritualmente, noi comunque blocchiamo il prodotto in dogana e poi chiediamo al titolare del diritto di «coprirci» con la presentazione successiva, a posteriori.
  Questo, purtroppo, non è avvenuto, come non è avvenuto per altri settori merceologici. Alcuni colleghi erano entrati in un magazzino – è una storia recentissima – qui a Roma, in una zona tipica del quartiere cinese, perché avevamo una segnalazione da una dogana comunitaria di violazione di un regime doganale particolare, il regime 42. Avevamo, cioè, un'immissione in libera pratica in territorio francese, con immissione in consumo nel territorio nazionale, in evasione quasi totale dell'IVA.
  Siamo entrati nel magazzino e – ovviamente, le ditte erano tantissime, quasi tutte di origine cinese o riconducibili a soggetti cinesi – abbiamo trovato anche un'enorme quantità di merchandising della Roma Calcio, con la quale noi avevamo avviato una serie di contatti. Li abbiamo chiamati, ci siamo fatti fare la perizia e abbiamo sequestrato anche quella merce. Ci stanno presentando la domanda.
  Questo la dice lunga sull'utilità di aprire una copertura dal punto di vista doganale, che può essere poi spesa anche Pag. 11all'interno del territorio nelle attività che noi svolgiamo su delega delle procure, o nel caso di verifiche amministrative.
  Si tratta di un settore e di un sistema che noi pubblicizziamo moltissimo e che costituisce la base giuridica naturale del glifo. Come ha detto chi mi ha autorevolmente preceduto, questo è l'unico sistema che ha un aggancio e una base giuridica in una norma comunitaria. Questo non dobbiamo dimenticarcelo. Noi possiamo spendere il glifo, così come possiamo spendere FALSTAFF, perché alla base vi è il Regolamento n. 608 nel 2014, che attribuisce alle amministrazioni doganali degli Stati membri uno specifico potere di controllo in relazione alle merci contraffatte.
  Noi siamo autorizzati a marchiarlo e con la marchiatura del glifo riusciamo ad aggirare – l'abbiamo detto tante volte, anche in quella sede; l'onorevole se lo ricorderà – e a frapporre un ostacolo alle norme severissime che derivano dalla competenza esclusiva che prevede il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, all'articolo 3, per cui la politica commerciale è in mano all'Unione europea. A cascata, deriva che tutto ciò che è etichettatura e norme tecniche l'Unione europea lo vede con estremo sospetto. Di qui i pilot e le procedure di infrazione che spesso ci inseguono.
  Attraverso l'apposizione del glifo, che è semplicemente un codice che può essere letto, di interesse aziendale, di interesse dello Stato, ma soprattutto di interesse del consumatore, noi di fatto non introduciamo un'etichetta. Non violiamo, quindi, l'articolo 34 dello stesso Trattato, cioè non frapponiamo limiti alla circolazione delle merci all'interno del mercato interno. Semplicemente istituiamo una forma di garanzia e di tutela avanzata per il consumatore.

  PRESIDENTE. Grazie anche al dottor Mazzilli. Riprendiamo il filo delle domande da parte dei colleghi.

  SUSANNA CENNI. Grazie, presidente. Grazie, direttore, per l'audizione e per la documentazione. Confesso che ho diverse domande, perché vorrei capire meglio alcune delle cose che lei ci ha illustrato e anche chiederle alcune valutazioni di carattere più generale sul lavoro che questa Commissione sta svolgendo.
  Lei ha parlato anche di un'evoluzione del fenomeno. Ha fatto uno specifico riferimento, per esempio, al porto di Napoli, che per un po'di tempo è stato interessato da importanti sequestri, e a una trasformazione dei circuiti di arrivo nel nostro Paese di merci contraffatte. Vorrei avere da lei qualche sensazione proprio sull'evoluzione del fenomeno.
  Da quando l'attività della Commissione è iniziata, noi abbiamo ascoltato autorevoli relazioni che parlano di una proiezione di continua crescita esponenziale del fenomeno nel mondo, con qualche attenuazione dei consumi più legati alla crisi che all'attività vera e propria di contraffazione. Sarebbe interessante anche capire come, di fronte a magari una lotta di contrasto più efficace, ci si organizzi per aggirare meglio il fenomeno.
  Alla luce di questo le faccio subito una domanda che discende da una delle indagini che la Commissione sta facendo in modo particolare sul distretto di Prato. Noi abbiamo avviato un lavoro su quella realtà e abbiamo svolto alcune prime audizioni. Fra i fenomeni che ci sono stati segnalati in maniera piuttosto pesante c’è l'arrivo in quella realtà di quantitativi enormi di tessuto, rotoli e rotoli, quantitativi stratosferici, che arrivano a Prato nella notte. Questi rotoli di tessuto sono scaricati e diventano poi immediatamente tessuto made in Italy.
  Come arrivano questi rotoli ? Quali sono le vostre valutazioni su quantitativi così grandi che riescono ad arrivare dentro il distretto ? Alla luce di questo, io mi chiedo quali relazioni, se ci sono, di collaborazione esistano fra la vostra amministrazione e, per esempio, le esperienze di protocollo locale che si stanno costruendo e che, peraltro, stanno sortendo dei buoni risultati, come in quel caso. Mi riferisco alle forze dell'ordine, alle Istituzioni e alle associazioni economiche. Questa è una prima domanda.Pag. 12
  Passo a un'altra cosa che volevo chiedervi, che probabilmente sarà scritta nella relazione, che ho solo sfogliato. Nel caso, mi scuso anticipatamente. Come vi comportate, per esempio, con la merce in transito che magari passa soltanto dal nostro Paese ? Vorrei capire meglio alcuni aspetti.
  Voi sapete che la legge n. 67 del 2014 ha rivisto alcune delle norme che riguardano anche il reato di contraffazione, prevedendo sanzioni amministrative per alcune ipotesi meno gravi. Io mi chiedo, in questo caso, se ci sia sequestro della merce o distruzione della stessa e che cosa cambia per voi rispetto all'evoluzione della norma.
  Voi ci avete parlato di questi nuovi progetti, come FALSTAFF, e anche di un'evoluzione con un grande utilizzo delle nuove tecnologie. Ho visto nella relazione il riferimento alle banche dati, che credo siano fondamentali per lavorare in maniera abbastanza efficace.
  Volevo capire il livello di interscambio concreto che c’è, per esempio, con i dati della Guardia di finanza, dei Carabinieri o di tutti i soggetti e di tutte le forze dell'ordine che hanno un ruolo in questa materia. A che punto siamo ? Questa è una delle questioni a cui io ricordo che una parte del lavoro del precedente CNAC e del Piano anticontraffazione fa continuamente riferimento.
  L'ultimissima domanda è proprio in relazione a questo QR Code, a questo GLIFITALY che ci avete illustrato. Io devo dire che non mi è chiarissimo il funzionamento di questo progetto e di questo sistema di cui ci avete parlato. Non ho capito come si attiva, chi l'attiva e se ha una funzione per l’export o di garanzia di circolazione dentro il sistema economico dell'Unione europea.
  Non ho capito quale relazione c’è fra questo contrassegno e altri contrassegni. Voi avete fatto riferimento specifico al mondo vitivinicolo, che ha una sua tracciabilità, attraverso l'etichetta. Ha già un suo sistema, se vogliamo, di certificazione, riconosciuto almeno dentro l'Unione europea.
  Vorrei sapere anche quale relazione e quale coinvolgimento ci siano del sistema delle piccole e medie imprese. Giustamente la dottoressa ha fatto un riferimento «spietato» sul livello di utilizzo delle nuove tecnologie da parte del nostro sistema. Non c’è il rischio che esso tocchi davvero solo una parte marginale del nostro sistema produttivo ?
  Passo all'ultimissima domanda e finisco, altrimenti la faccio veramente troppo lunga. Vorrei sapere se c’è un vostro coinvolgimento nel lavoro che in questo momento si sta facendo sul TTIP (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti).

  COLOMBA MONGIELLO. La presenza del dottor Peleggi è troppo ghiotta perché noi non possiamo fare una serie di riflessioni con l'Agenzia delle dogane. Me lo consentirà, dottore. Ovviamente, lei è sempre molto disponibile e noi la ringraziamo per questo. Inoltre, è una persona schietta, ragion per cui troviamo efficace anche questo tipo di interlocuzione.
  Io ho letto una parte della relazione che ha consegnato alla Commissione. Ancora una volta lei si sofferma sulla debolezza normativa a tutela dell'italianità. Non è la prima volta che lo fa. Io l'ho già ascoltata in passato, in particolare su quella famosa legge del 24 dicembre 2003, la legge finanziaria che apportò alcune modifiche sulla materia.
  Soprattutto mi ha colpito molto il fatto che nella relazione si legga una riflessione sul quadro normativo italiano piuttosto carente – a vostro modo di vedere – ma soprattutto mi ha colpito la risultanza di questo quadro normativo in termini quantitativi. È questo che mi ha allarmato.
  L'impatto profondamente negativo della normativa citata è dimostrato dal calo dei sequestri. I numeri mi hanno sorpreso molto. Dagli oltre 10 milioni di pezzi sequestrati nel 2008 si è passati ai 3,5 milioni del 2010, per arrivare agli 1,1 milioni per il 2014. Non solo il dato è calato drasticamente, ma altri numeri hanno una significativa importanza.Pag. 13
  Un aspetto che sorprende è il valore stimato in euro. È ovvio che ciò significa sequestro di merce e mancato introito. Quando leggo, però, che per prodotti agroalimentari e bevande il valore stimato per il 2014 è di 38.000 euro, sinceramente resto molto sorpresa. A questo punto si spiega come mai ci siano gli agropirati in costante attività. Perché mai dovrebbero avere timore alcuno di contraffare le merci, per esprimersi con semplicità ?
  Questa è una questione che ho letto nella vostra relazione, ma approfondirò, perché le cifre sono allarmanti sul numero dei sequestri, sul quantitativo di merce sequestrata e sul valore complessivo delle merci, anche per i diversi settori produttivi.
  Le faccio alcune domande precise. Come si attivano i principali porti a rischio ? Abbiamo parlato di Napoli, ma ci sono anche piccoli porti in cui arrivano, da determinate rotte, alcuni prodotti che raggiungono questo Paese, ma anche che scelgono questo Paese come transito.
  Aggiungo una domanda specifica: controlliamo le merci in entrata, ma controlliamo anche le merci in uscita, e come ? Per esempio, io, che mi occupo abitudinariamente di olio, so che arrivano nel nostro Paese fusti di olio da un Paese comunitario, ed è tutto in regola. È tutto in regola, etichettato, scritto. Non ci sono problemi. Poi, però, viene imbottigliato ed esce dai porti italiani come olio straniero vestito da olio italiano. Chi controlla, dove si controlla e come scattano i controlli ?
  Passando a un'altra domanda, io ho partecipato a un convegno internazionale sulla tutela del cibo vero, dove c’è stato un elogio alla pratica ex officio, che sta funzionando bene. Come vi parlate tra i diversi organismi ? C’è un momento di incontro in cui tutte le forze si parlano ? C’è un centro, un luogo in cui voi trasmettete le vostre esperienze ?
  Il QR Code – e con questo chiudo – è un'etichettatura spinta. Dovrebbe essere molto gradita ai consumatori, ma anche ai produttori di qualità. I numeri, invece, dimostrano l'esatto contrario. Io mi chiedo perché mai soltanto alcuni abbiano aderito a questa etichettatura spinta, che rappresenta un codice attraverso il quale un consumatore conoscerebbe esattamente il percorso di un prodotto.

  MATTIA FANTINATI. Ringrazio per l'audizione perché è stata davvero interessante. Mi spiace aver aspettato così tanto tempo. In modo molto informale, io ho visitato l'Agenzia delle dogane e chiedo anche a lei, presidente, se sia possibile che tutta la Commissione visiti in loco per valutare il sistema, che io trovo davvero molto interessante.
  Detto questo, chiaramente mi fa molto piacere che sia venuto fuori, anche se non in audizione, nelle domande, il tema del made in Italy e soprattutto della protezione proprio alle dogane dei nostri prodotti. Anch'io mi associo alle domande ed è per questo motivo che avrei voluto attendere la sua risposta.
  Vorrei sapere se, dal punto di vista normativo, i 49-bis e ter abbiano fatto più bene o più male e se effettivamente sono quelli la causa che ha portato agli 11 milioni di pezzi sequestrati quattro anni fa. Dopodiché, siamo passati da un reato penale a un illecito amministrativo.
  Io ritengo – lo dico qui davanti a tutti; infatti, c’è una mia proposta di legge sul tema – che una fallace indicazione sia un imbroglio e che, quindi, debba esserci un reato penale, perché per un'azienda che contraffà del materiale pagare una multa è troppo poco. Anche dal punto di vista giuridico non si riesce a sequestrare la merce e forse a tenerla nei porti. Se anche voi, come credo, potete portarci una testimonianza della questione, ve ne ringrazio e darei un'ulteriore spiegazione.
  Mi auguro che questa legge nella nostra Commissione venga calendarizzata e magari anche che quel famoso emendamento venga approvato, ma questa è una questione politica.

  ANGELO SENALDI. Sarò molto veloce. Ringrazio i rappresentanti dell'Agenzia delle dogane, con cui ho già avuto occasione di avere uno scambio sul problema di etichettature e verifiche della provenienza Pag. 14e della tracciabilità dei prodotti. Credo che questo sia un argomento molto ampio. Forse oggi non abbiamo neanche il tempo per approfondirlo.
  Io credo che sia necessario verificare a fondo l'impossibilità di una contraffazione di etichetta e di codici, perché questo potrebbe essere uno dei problemi maggiori nell'instaurare un marchio che, peraltro, non so se poi potrà essere chiamato GLIFITALY, perché, tutte le volte che si adopera il nome di un Paese, mi sembra che l'Europa alzi le antenne in maniera esagerata.
  Vorrei centrare la domanda su un paio di questioni. Una riguarda il rapporto che voi avete col CNAC. Come lo vedete, ci sono difficoltà di lavoro e come valutate l'attività del CNAC rispetto alle vostre attività ?

  PAOLO RUSSO. Vorrei chiederle se ci aiuta a capire due questioni. La prima è il trend sul fronte della contraffazione farmaci. Vorrei sapere se è un trend in crescita e se state percependo elementi che inducano a una preoccupazione ulteriore.
  L'altra è se ci aiuta a capire la specifica vicenda che riguarda il porto di Salerno e il concentrato di pomodoro.

  PRESIDENTE. Direttore, aggiungo anch'io un paio di domande, non senza aver rassicurato sin da ora il collega Fantinati: raccoglieremo l'invito del direttore Peleggi e organizzeremo una visita della Commissione alla sala operativa. Vedremo quando lo faremo, ma io sono totalmente d'accordo.
  Io ho tre richieste che in parte ricalcano cose già dette. Ci tengo, però, a fissarle bene.
  La prima questione riguarda FALSTAFF. Ho capito bene che FALSTAFF vi consente di interagire con le amministrazioni degli altri Paesi membri non solo per l'accesso al territorio comunitario del prodotto nelle dogane di quei Paesi, ma anche nella misura in cui il prodotto presunto contraffatto è in circolazione ? Sì, è così. Avevo capito bene.
  In secondo luogo, vorrei una valutazione su quello che sta succedendo a livello comunitario, inteso nei seguenti termini. Possiamo ritenere, come sembrerebbe negli ultimissimi anni, che ci sia una maggiore attenzione delle Istituzioni comunitarie per ottenere comportamenti omogenei da tutte le dogane con maggiore attenzione, oppure è una falsa impressione e, in realtà, non si sta muovendo sostanzialmente nulla ? Se è così, che cosa dovrebbe fare il Governo in sede comunitaria per spostare i termini della situazione ?
  Come terza e ultima questione, torno anch'io, come hanno fatto i colleghi, su GLIFITALY. Anch'io su questo non ho capito perfettamente tutto. Ho capito che il sistema è messo a disposizione delle imprese per «certificare», attraverso GLIFITALY, alcune caratteristiche del prodotto che va sul mercato, se ho ben capito, a prescindere dal fatto che esso sia esportato o meno.
  Questo è il punto su cui vi chiedo di essere piuttosto precisi. Che cosa viene certificato da GLIFITALY ? Un'origine del prodotto ? In questo caso, su quale base ? Fatemi capire un po’ meglio: voi che cosa arrivate a certificare, che il prodotto X esce da quella fabbrica ubicata in Italia, o cos'altro ?
  Grazie.
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Procedo con ordine.
  Come si attiva il GLIFITALY ? Come tutti i sistemi dell'Agenzia, in modo volontario. Noi offriamo un servizio alle aziende e le aziende aderiscono, perché normalmente nei servizi che noi forniamo riconoscono un valore aggiunto, trattandosi di servizi completamente gratuiti.
  Al riguardo volevo fare una precisazione, proprio in relazione ai numeri che vi ho prima esposto, rispetto al digital divide. Vi rivolgo una preghiera. Nel colloquio che noi abbiamo regolarmente con le aziende il maggior successo che abbiamo ottenuto è nel momento in cui abbiamo dato corso a progetti di innovazioni. Pag. 15Lo riconosco nel fatto che le aziende del settore in particolare vitivinicolo, che per loro natura sono molto piccole, nel momento in cui noi abbiamo attivato il progetto di telematizzazione delle accise, si sono dotate di sistemi ERP.
  Il vantaggio è che eventuali incentivi alle imprese non vanno erogati su segmenti verticali di innovazione, ma in modo strutturale, affinché esse si pongano in una prospettiva di digitalizzazione complessiva. Questa è una cosa che, secondo me, va presa fortemente in considerazione, altrimenti abbiamo lo stesso problema riportato nel campo dell'innovazione della normativa settoriale, ossia di norme che generano un'enorme incertezza nelle aziende, in un momento in cui esse si devono rivolgere a ogni pubblica amministrazione con un sistema diverso.
  La digitalizzazione crea enormi problemi di costi nelle aziende, se non è assolutamente condivisa, secondo la logica di cui dicevamo prima, il che mi riporta all'altra sua domanda. Come si attiva volontariamente e chi l'attiva ? Le aziende che lo vogliono adottare. L'Agenzia delle dogane fornisce sempre le specifiche su come si attiva questo sistema.
  A che cosa serve ? Rispondo alla domanda del presidente. Serve a risolvere il problema di non poter, in base alle norme attuali, dare corso a un'etichettatura d'origine, sfruttando il fatto che le aziende chiedono tutela in base a una norma comunitaria. Nell'ambito di questa norma comunitaria, il Regolamento n. 608 e il precedente Regolamento n. 1383 del 2003, comunicano all'Agenzia delle dogane tutte le caratteristiche del prodotto. L'Agenzia delle dogane mette a disposizione del consumatore tutte le caratteristiche del prodotto, comprese l'origine e tutta la filiera di produzione. Indirettamente si aggira così l'ostacolo dell'etichettatura d'origine.
  Quanto agli elementi di semplificazione – ne parlo molto rapidamente; non sono scesa in particolari e sicuramente non sono stata chiara – molte delle filiere di produzione sono certificate dal Ministero dello sviluppo economico e dal Ministero delle politiche agricole, che effettuano controlli sulle aziende. Le aziende, quindi, avranno dei protocolli di produzione che generano poi dei controlli, a fronte dei controlli esercitati dalle varie pubbliche amministrazioni, che in pratica non fanno altro che descrivere qual è la filiera di produzione.
  L'idea della massima semplificazione è la seguente: integriamoci con le aziende, in termini di filiera di produzione. Sia gli adempimenti che vengono loro richiesti, sia i controlli che vengono eseguiti possono essere basati su informazioni certificate da ciascun ente, messe poi a disposizione del consumatore. È ovvio che questo richiede un percorso.
  Qual è il vantaggio di GLIFITALY ? Il vantaggio è che tutte le aziende che hanno già chiesto tutela a FALSTAFF queste informazioni le hanno già fornite e, quindi, noi le mettiamo subito a disposizione. Se poi le grandi aziende che hanno già aderito a FALSTAFF intendono abbinare a questi altri servizi, non hanno che da chiedere. Noi abbiamo due strategie di intervento rispetto a questo. Ci spendo due parole.
  A che cosa serve superare l'etichettatura e, quindi, costituire fondamentalmente una vetrina dei nostri prodotti in tutto il mondo ? Serve perché si ha la possibilità di accedere a un ente istituzionale che garantisce l'originalità di quelle informazioni, per essere sicuri che quel prodotto che stiamo acquistando sia veramente made in Italy.
  GLIFITALY è solo il nome del progetto. È chiaro che un progetto di questo genere, per essere poi diffuso in ambito mondiale, richiede un'adeguata campagna di informazione.

  PRESIDENTE. Dottoressa, mi scusi, ma il tema è molto delicato. Prima che scivoliamo via da GLIFITALY, questo sistema è circoscritto, quindi, a quei prodotti che hanno, in virtù di altre normative, una certificazione pubblica già sull'origine ? Faccio un esempio per capirci: sull'agroalimentare il sistema è fruibile soltanto dalle imprese del sistema DOP, IGP e basta ?

Pag. 16

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. In questo momento con questa cornice giuridica sì, sicuramente.

  PRESIDENTE. Quindi, sono soltanto loro che possono chiedervi il servizio. Parimenti, fuori dal sistema agroalimentare, ve lo possono chiedere soltanto quei segmenti di produzione nazionale in cui c’è una certificazione analoga, che non so quanti siano, francamente.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Questo da un punto di vista tecnico-giuridico. Da un punto di vista tecnologico, ovviamente, è estensibile.

  PRESIDENTE. Stiamo parlando di operatività del sistema, il che è fondamentale, dottoressa. Mi risponda. Le faccio un esempio ancora più concreto: se viene il pastificio X, regolarmente ubicato in Italia, che non ha una certificazione specifica da parte del Ministero dell'agricoltura o altro sulla filiera e la tracciabilità...

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Non lo può fare.

  PRESIDENTE. Non ha accesso al sistema ?

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Io direi ancora meglio. Sempre per evitare problemi e che questo venga scambiato per un aggiramento dell'etichettatura d'origine, oltre alla tutela offerta in termini di originalità del prodotto, FALSTAFF raccoglie informazioni anche rispetto alla qualità e alla sicurezza dei prodotti, ossia alla conformità agli standard comunitari. Può offrire, quindi, anche questo servizio. Un produttore che abbia richiesto la tutela...

  PRESIDENTE. Adesso stiamo parlando di GLIFITALY.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. È questo. GLIFITALY si lega a FALSTAFF. È un nuovo servizio di FALSTAFF. Chiarisco: le aziende forniscono, tramite FALSTAFF, le caratteristiche dei prodotti originali per la tutela contro la contraffazione e forniscono anche, in base alla normativa comunitaria, le caratteristiche dei prodotti conformi agli standard di qualità e sicurezza. Sono gli stessi controlli che facciamo alla frontiera. Quindi, su FALSTAFF noi abbiamo già questo ventaglio di prodotti.

  PRESIDENTE. Il parco di utenti potenziali di FALSTAFF è quello – lo immagino; mi correggerete, se sbaglio – dei titolari di marchio, che sono tutelati dalla proprietà industriale.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. No. FALSTAFF si apre anche alla qualità e alla sicurezza. Forse abbiamo mancato di dirlo. Lavora anche su quello. Si può chiedere tutela anche su quello, per rappresentare la qualità e la sicurezza.

  PRESIDENTE. Comunque, non è lo stesso spettro di potenziali utenti di GLIFITALY. GLIFITALY ha, se capisco bene, e mi pare che non possa essere diversamente, un ambito più limitato. Supponiamo che ci sia un'azienda di pasta internazionale, con un marchio depositato, ma potrebbe essere un'azienda di qualsiasi cosa, meccanica, di orologi e via elencando. Può chiedere l'accesso al sistema FALSTAFF che la tutela, che tutela il suo marchio e la sua proprietà industriale, ma non può chiedere l'accesso a GLIFITALY perché non è certificata da una pubblica amministrazione sotto il profilo dell'origine. È così ?

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia Pag. 17delle dogane e dei monopoli. No. Può chiedere l'accesso a GLIFITALY, perché è stato tutelato il marchio.

  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Non dà l'origine. Conferisce l'origine del prodotto. Questo è chiaro.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Provo a spiegarmi, perché la domanda è stata illuminante.

  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Scusate, ma la metà delle domande fatte sarebbero risolte con la visita in sala. La metà delle domande che avete fatto si risolverebbe nel giro di un quarto d'ora. Rispondere qui è molto faticoso. La Commissione precedente ci ha convocato quattro volte. Alla quarta io ho chiesto che venisse in visita, perché è illuminante vedere come funziona il sistema.
  All'interno delle dogane comunitarie il nostro è il sistema telematico più evoluto, che consente una gamma di servizi enorme. Sono tutti servizi ceduti gratuitamente e a valore aggiunto per le imprese. È difficile spiegare alcune cose. È più facile vederle all'opera.
  Riesco a capire la confusione. Il fatto di mettere un prodotto, affidargli il glifo e certificare che si faccia riferimento al sito aziendale non significa che su quel prodotto noi stravolgiamo le regole dell'origine in senso doganale. Questo è evidente.

  TERESA ALVARO, Direttore centrale tecnologie per l'innovazione dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Lo spiego, così proviamo a vedere se riesco a essere chiara.
  Per la tutela del marchio le aziende chiedono tutela a FALSTAFF. FALSTAFF offre un servizio per cui fa indicare loro questo glifo. Tramite questo glifo, il consumatore in qualsiasi parte del mondo può vedere se quel marchio, se quel prodotto con quell'etichetta corrisponde al marchio registrato su FALSTAFF, addirittura prodotto per prodotto.
  Se poi la grande azienda, per esempio un'azienda che produce spumante, ha etichettato tutti i suoi prodotti con un numero unico, per cui riesce a capire la capillarità di diffusione, ci può chiedere non solo di fornire queste informazioni al consumatore, dicendo che effettivamente questo è il marchio per cui l'azienda ha chiesto tutela e queste sono le informazioni collegate, ma anche di rimandare al suo sito, dove si possono trovare gli altri servizi anticontraffazione, che la grande azienda è in grado di fornire. Per esempio, i grandi brand cancellano il numero di matricola, in modo tale che si sappia che è l'unico in circolazione.
  Non so se adesso ho risposto. La tutela dei marchi, dei diritti di proprietà intellettuale, viene offerta in base a una regolamentazione comunitaria. Il nostro sistema funziona in modo tale che le aziende ci forniscano tutte le caratteristiche dei prodotti.
  Faccio un esempio: alcune grandi marche, alcuni grandi brand del fashion addirittura ci trasmettono tutto il loro catalogo, tutta la loro collezione. Nel momento in cui un consumatore in qualsiasi parte del mondo trova un prodotto utilizzando il glifo, si collega al sito di FALSTAFF e può vedere, con un valore aggiunto, che la certificazione dell'informazione gli viene da un ente il pubblico, se quel prodotto è stato registrato su FALSTAFF. Si sfrutta, quindi, un insieme di informazioni già presenti.
  Noi abbiamo una presentazione che fa vedere in modo molto grafico quello che accade. Durante la visita all'Agenzia potrete vedere il sistema in diretta. La cornice giuridica l'abbiamo...

  PRESIDENTE. Torneremo sulla visita all'Agenzia prima che andiate via. C'erano, però, in sospeso alcune domande, che correttamente attendono una risposta, tralasciando per ora GLIFITALY e FALSTAFF.

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  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Veniamo all'olio. Tra produttori e imbottigliatori, è una realtà complessa. Non è vietato imbottigliare l'olio, lo sappiamo. Sappiamo che ci sono grossi flussi di importazione. La sponda spesso è un altro Paese comunitario, questo è evidente. Si tratta di un olio anche di buona qualità. Il problema è quando esce di nuovo e viene classificato come extravergine di origine italiana. In questo senso c’è un bel dibattito. In parte c’è stato anche al convegno della settimana scorsa.
  Noi riteniamo che i controlli sui flussi all'entrata debbano non essere fatti, in quel caso, ossia nel caso dell'olio in arrivo, all'importazione, altrimenti l'importatore ci dice: «Grazie, mi avete trovato un olio che mi era stato venduto come extravergine, ma che, in realtà, è un banale olio d'oliva. Io quello non l'avrei mai messo nelle mie bottiglie».
  Proponiamo, invece, un altro approccio, quello di controllare all'uscita, o perlomeno di seguire quel flusso d'entrata di olio, che probabilmente avrà 60 alchil-esteri, mentre l'olio puro italiano extravergine sta tra i 20 e i 30. Sappiamo che la qualità è diversa e sappiamo anche che abbiamo poco olio, per esempio, nell'anno in corso.
  Dopodiché, c’è un dibattito piuttosto acceso su quando fare i controlli e come farli. Quando fare i controlli e come farli ci riporta all'altra risposta, quella legata alla questione della normativa e a come sia andata avanti negli anni dopo il 2009. Torniamo ai commi 49-bis e ter.
  La soluzione più semplice è rispondere con un'altra domanda. Immaginate l'antitaccheggio in un supermercato: è normale che io utilizzi il sistema di antitaccheggio andando a casa della gente, dopo che è arrivata, è passata alla cassa, ha pagato il conto e si è portata le buste a casa ? Io vado dentro casa di ciascun mio cliente della giornata e vado a guardare che cosa ha comprato dentro al supermercato.
  Di fatto, le modifiche normative introdotte sulla fallace indicazione consentono di scavalcare la dogana dicendo che si potrà rimediare poi alla fallace indicazione pagando un'ammenda amministrativa. Lei dice che io sono piuttosto schietto. Le questioni normative vere ve le racconterà il dottor Mazzilli, che è molto più bravo di me. Vista da fuori, però, io vedo la questione così: se salti il mio punto di ingresso e dici che il controllo va fatto sul territorio, valla poi a ritrovare, la merce. La fallace indicazione è andata e a noi lasciano una letterina da Babbo Natale: «Non vi preoccupate, faremo i bravi e rimetteremo a posto le indicazioni prima che il consumatore ci compri».
  Questo è quello che abbiamo in mano. Siamo passati da 11 milioni a 1,5 milioni ? Ci credo: che altro possiamo fare ? Non abbiamo più la normativa per sostenere che questa è fallace indicazione da denunciare penalmente.
  Questo, però, non riguarda l'anticontraffazione. Sull'anticontraffazione negli anni la normativa è cresciuta in modo fortissimo. Oggi sull'anticontraffazione manca l'ergastolo. Per il resto c’è quasi tutto. Non abbiamo problemi di questo tipo.
  Anzi, vi dico anche che, tutto sommato, sul piccolo quantitativo, cioè sul paio di scarpe da ginnastica – non parlo dei marchi – che arriva col pacco postale l'obbligo di fare notizia di reato e andare alla procura di Milano perché arriva al deposito postale che sta lì vicino è inutile. Andare in procura e consegnare la notizia di reato per un paio di scarpe da ginnastica arrivato per pacco postale intasa la procura, riempie una stanza di fogli e quel caso non verrà mai discusso. Questo è evidente.
  In quel caso, ritengo io, la depenalizzazione è più educativa. Una bella multa da 150-200 euro, a fronte di un pacco che vale 50, risolverebbe.
  Quei 38.000 euro rappresentano il valore del dichiarato. È evidente che il valore del dichiarato è un valore che non ha senso. Qual è il valore di un prodotto contraffatto ? Del Rolex da 20 euro contraffatto qual è il valore ? È il valore del bene sostitutivo ? Assolutamente no, è un valore minimo. Quel dato, quindi, ha poco Pag. 19senso nelle statistiche. Mi è sfuggito il fatto che ci sia, io non ce l'avrei messo, è un errore mio, ma il valore del contraffatto è un dato che non ha alcun senso economico.
  Quanto ai porti a rischio, per me lo sono tutti e lo sono tutte le dogane. Non abbiamo una variabile di rischio territoriale. Genova non è più a rischio di Napoli. Non funziona così il sistema. Non esiste la variabile geografica. Il sistema di analisi dei rischi prevede che le merci si muovano rapidissimamente. Oggi i flussi commerciali di merce sono come i flussi finanziari: si muovono in un secondo, non ci vuole niente a spostare i container.
  In questo senso i parametri di rischio e i filtri dell'analisi del rischio li abbiamo indipendentemente da dove la merce sbarca. Se adesso qui decidessimo di fermare tutti i limoni in arrivo dall'Argentina, basterebbero tre minuti per farlo: scriviamo un algoritmo, lo immettiamo dentro al sistema e da qui a cinque minuti in tutti i porti italiani si fermerebbero i container di limoni che vengono dall'Argentina. Questo vale per qualsiasi cosa.
  Il nostro sistema, sotto questo aspetto, è blindato. Qualche anno fa abbiamo avuto esperienze sull'aviaria. Il sistema opera in tempo reale. Il vantaggio di avere un sistema telematico è anche questo, che chiude subito le saracinesche in entrata. In quel caso, se l'allarme è di livello totale, si blocca il 100 per cento.
  Quanto ai tessuti, il tessile in arrivo in Italia è andato scendendo negli anni. Molto tessile adesso arriva dai porti del Nord. Quanto all'esperienza di Prato, nel distretto di Prato ci si lavora da anni. Il prefetto si è molto attivato, c’è stato un tavolo al Ministero dell'interno. Ci sono andato di frequente anch'io. Noi partecipiamo al tavolo.
  Mi ricordo in una delle prime riunioni una questione interessante che era emersa. La contraffazione non aveva ancora il coordinamento della Direzione nazionale antimafia. Io misi in evidenza il fatto che, tutto sommato, le procure fiorentine poco sapessero di quelli che potevano essere i flussi di contraffatto in arrivo a Prato. Gli atti, infatti, erano depositati o alla procura di Napoli, o alla procura di La Spezia, o alla procura di Genova, perché i sequestri venivano fatti all'importazione, anche se la destinataria era un'azienda pratese. Questo era un problema.
  L'altra questione che ho messo in evidenza è che noi, pur potendo svolgere attività di polizia giudiziaria, come facciamo, non possediamo la lettura dello SDI, cioè della banca dati riservata alle forze di polizia. Non possiamo leggerla, ma non possiamo neanche scriverci, il che significa che nelle statistiche i reati di alcune etnie che sono particolarmente dedite al commercio, peraltro in buona misura contraffatto, sono fuori sistema. Li abbiamo noi nella banca dati antifrode delle dogane, ma non le troviamo in SDI. Tutto questo ingessa il sistema dei controlli.
  Sono stato forse troppo schietto, ma la domanda era chiara e io sono tenuto a rispondere in modo chiaro. Io ho chiesto l'accesso allo SDI nove o dieci volte negli ultimi cinque o sei anni, perché credo che il sistema vada in qualche modo chiuso. È una questione sia di informazione che leggiamo, sia di possibilità di mettere dei filtri a monte, al momento dell'entrata – essendo più difficile rintracciare merce sul territorio, tanto vale chiuderli sulla frontiera – sia del fatto che alcune informazioni che noi abbiamo vanno messe dentro il sistema.
  I dati di alcune comunità che sono molto attive su reati doganali – non dico che siano reati più o meno gravi di altri – a sistema non ci sono.
  Quanto ai rapporti col CNAC, passo la parola al collega.

  EDOARDO FRANCESCO MAZZILLI, Direttore Ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Ci sono alcune altre domande che sono rimaste senza risposta. Mi è piaciuta molto, se permettete, la domanda che ha fatto l'onorevole sui rotoli di tessuto che arrivano a Prato.Pag. 20
  Guarda caso, io ho lavorato a Prato cinque anni e credo di aver sdoganato tessuto greggio e materie prime tessili quasi tutti i giorni. È assolutamente normale che queste merci arrivino a Prato e nel distretto pratese. In genere, i distretti del tessile sono grandi trasformatori di prodotto. Io mi ricordo ancora i container con la lana sucida che arrivava dall'Argentina.
  Qui, però, siamo in un mondo diverso dalla contraffazione, ci siamo spostati. Qui stiamo parlando di verifica delle regole di origine. Il Codice doganale comunitario – ancora per poco il Regolamento n. 2913 del 1992 – agli articoli 23 e seguenti prevede un'origine preferenziale, che in questo momento non ci interessa perché ci porta lontano, e un'origine non preferenziale della merce.
  L'origine preferenziale della merce è prevista per una serie di casistiche. Io credo, da doganale, che una delle materie più complicate da capire e da penetrare sia l'origine non preferenziale delle merci, perché è molto complessa, in quanto attiene ai flussi commerciali in entrata e in uscita, alle trasformazioni e ai processi industriali.
  Se parliamo di tessuto, noi importiamo merce grezza e lavoriamo ed esportiamo il classico vestito all'estero. Se partiamo dal filato grezzo – io ricordo che a Prato le aziende ne importavano tantissimo dai Paesi dell'Estremo Oriente, per esempio il lino, il cotone o la lana dall'Argentina – e realizziamo la confezione completa, il Codice doganale comunitario dice che l'origine di quel prodotto è italiana, ragion per cui io su quel prodotto posso scrivere made in Italy, perché la norma comunitaria non lo prevede: lo impone. È diverso.
  Se parliamo, invece, di rotolo di tessuto e, quindi, non partiamo dal filato greggio, ma abbiamo il prodotto già a livello di rotolo di tessuto, la confezione completa non ci dà l'origine italiana.
  Tutto questo, però, attiene alle regole commerciali dell'origine non preferenziale e, quindi, non tocca la contraffazione, che in senso stretto è, invece, la violazione di un diritto industriale. Pertanto, se – voglio fare un nome assolutamente a caso, il primo che mi viene – Marzotto esporta made in Italy un vestito che non parte dal filato ma dal tessuto, non lo può fare. Quel made in Italy cade appieno nella normativa della legge n. 350 del 2003.
  Veniamo alla normativa della legge n. 350 del 2003. Siamo sempre nel settore origine. Il direttore voi lo conoscete come un uomo estremamente schietto. Anche noi ci siamo allineati alla sua scuola. L'articolo 4, comma 49, della legge n. 350 dovrebbe essere cancellato, perché è inutile e inutilmente complicato. Io me ne sono occupato sin dalla sua nascita. Ci ha causato sempre moltissimi problemi in dogana perché chi l'ha scritto probabilmente non era consapevole di un fatto.
  Io mi rendo conto che è molto difficile immaginare il mondo doganale, ma quello che rilevo sull'articolo 4, comma 49, è che partiva da un impianto di base che aveva una sua coerenza, seppure fosse sbagliato, perché parlava di provenienza. Poi qualcuno si è accorto che era sbagliato e ha aggiunto, con un decreto-legge, «o di origine», il che è, a sua volta, sbagliato, perché «di provenienza o di origine» mette sullo stesso piano due concetti giuridicamente completamente diversi. Comunque, l'impianto originario aveva una sua coerenza.
  In realtà, però, quel corpo normativo è stato poi martirizzato da una serie di norme successive che sono intervenute su un testo base e che l'hanno privato, secondo me, assolutamente di coerenza, ragion per cui assistiamo al 49-bis o al 49-ter.
  In questo momento le dogane, per quanto riguarda la merce, controllano poco, perché non hanno alcun mezzo, come ha detto il direttore, per poter controllare, non hanno un mezzo giuridico. Quando la merce arriva ed è priva di una documentazione relativa all'origine, l'importatore si limita a presentare in dogana, sulla base di una circolare del Ministero dello sviluppo economico assolutamente legittima, perché è norma applicativa di una norma primaria, una dichiarazione con la quale si impegna, al Pag. 21momento della commercializzazione, a fornire al consumatore finale ogni indicazione circa l'origine della merce.
  Noi qui non siamo tifosi di una soluzione piuttosto che di un'altra. Ci limitiamo a considerare che con quella dichiarazione, di fatto, il momento del controllo è stato spostato, come ha chiarito perfettamente il direttore, dal momento doganale, che è un momento limitato – ci sono pochi punti di ingresso in Italia – sul territorio. Noi sappiamo che per il commercio al minuto i punti vendita in Italia, a differenza che negli altri Paesi europei, sono polverizzati in tantissimi centri. Questo rende di fatto impossibile verificare la regolarità dell'indicazione di origine.
  In generale, però, il problema del made in Italy è un problema che non rispecchia questo articolo 4, comma 49-bis. Noi ci siamo sempre occupati di questo. La legge n. 350 ha aggredito il problema del made in Italy cominciando dalla fine, cioè tutelando la violazione.
  Qualcuno si è chiesto se noi abbiamo un'idea esattamente chiara di che cosa sia il made in Italy ? Se noi vogliamo tutelare un istituto, prima dobbiamo avere chiaro che cosa vogliamo tutelare. La mia domanda, forse un po’ provocatoria, è la seguente: noi sappiamo esattamente che cos’è il made in Italy ? Sappiamo che cosa vogliamo tutelare ? Secondo me, no.
  L'ha esemplificato chiaramente il direttore quando ha parlato dell'olio d'oliva, ma in generale di tutti i settori industriali italiani. Esiste una produzione artigianale da bottega, che è diventata semi-industriale, ma che comunque rimane artigianale, che è legata da determinate regole e aderente a determinati settori produttivi e territori, il che è molto interessante.
  Abbiamo poi una produzione altamente industriale, le grandi marche, che però con il made in Italy, cioè con la localizzazione italiana, hanno poco o nulla a che fare, perché hanno impianti produttivi in altri Paesi, o europei (direi poco) o molto lontani da noi. Abbiamo visto le trasmissioni di Report sul Bangladesh, sulla Cina o in alcune zone impervie anche dal punto di vista politico dell'Europa dell'Est.
  Noi non siamo favorevoli o contrari al fenomeno – stiamo parlando di questo – della delocalizzazione, ma dobbiamo intenderci su che cosa intendiamo noi per made in Italy. Normalmente il titolare di un marchio che ha delocalizzato il suo prodotto e lo fa produrre in un Paese di questo tipo, quando il prodotto arriva in Italia, vi appone il suo marchio. Questo genera immediatamente una confusione nel consumatore, che vede un marchio italiano e immagina, nove volte su dieci, che questa merce sia prodotta in Italia, mentre questo non avviene.
  Questa è la storia dell'articolo 4, comma 49, che ha subìto una serie di modifiche. Per esempio, l'articolo 17 della legge n. 99 del 2009 prevedeva che il titolare di un marchio registrato dovesse fornire le prove dell'origine italiana all'atto dell'importazione. Quell'articolo 17, entrato in vigore mi pare a luglio, è durato un mese e mezzo. È durato il tempo naturale per farci fare una circolare esplicativa che poi è stata immediatamente ritirata perché un'altra norma primaria, l'articolo 8 della legge n. 166, ha cancellato l'articolo 17.
  Mi rendo conto che tutta questa elencazione di norme è molto complessa, ma questo perché avviene ? Perché ci sono tante norme sul made in Italy ? La risposta forse più semplice è questa: perché nessuno ha chiaro che cosa sia il made in Italy. Ce l'ha chiaro il legislatore comunitario, perché l'ha previsto agli articoli 23 e seguenti di un Regolamento comunitario, che dovrebbe essere applicato. Tuttavia, l'applicazione diretta di quel Regolamento comunitario con la prima versione dell'articolo 4, comma 49, ha portato numerosissimi sequestri, poi finiti in Cassazione, con pronunce quasi sempre discordanti.
  Io credo che l'articolo 4, comma 49 e in generale la tutela del made in Italy in questo senso necessitino adesso di una revisione da parte del legislatore.
  Le altre domande, che erano molto interessanti, erano a proposito dei controlli sul transito. Questo è un problema Pag. 22enorme, che abbiamo affrontato nel corso dell'ultimo semestre di presidenza italiana della UE.
  Voi sapete che è stato in discussione nel trilogo il cosiddetto «pacchetto marchi», che prevedeva la rivisitazione della direttiva e del Regolamento in tema di marchi. Perché si era posto questo problema ? Si era posto questo problema perché un paio di anni prima era entrata con la forza di un incrociatore nel tessuto normativo europeo la sentenza Nokia-Philips.
  La sentenza Nokia-Philips della Corte di giustizia riguardava il transito di una merce che partiva con origine e provenienza da un Paese terzo, attraversava il territorio doganale dell'Unione europea ed era destinata a essere immessa in consumo in un altro Paese terzo. Le dogane europee l'avevano bloccata.
  Gli avvocati della Nokia-Philips avevano rilevato che non vi era alcun pericolo per il mercato interno dell'Unione europea, perché la merce era comunque destinata semplicemente ad attraversare l'Unione europea per essere immessa in consumo in un mercato terzo, ragion per cui quei diritti non avevano una tutela. Illustro la vicenda molto banalmente.
  La sentenza Nokia-Philips, che è stata sponsorizzata e sposata appieno da tutti i Paesi del Nord Europa, che ce la rinfacciano ancora, ha costituito un grande vulnus nella tutela della contraffazione a livello Unione europea. Perché ? Innanzitutto perché sappiamo che molto spesso che, in relazione alle spedizioni, soprattutto di particolari merci, che possono essere l'agroalimentare, ma anche il fashion, la moda o l'elettronica, che attraversano l'Unione europea per finire formalmente in un Paese terzo, esistono alcuni Paesi, senza fare nomi, per i quali l'appuramento di questi transiti avviene in maniera molto semplicistica. Tutte queste ingenti spedizioni destinate formalmente a un Paese terzo finiscono, quindi, per essere immesse in consumo nel territorio dell'Unione europea.
  Questa è la posizione che è stata portata avanti dalla dogana e dal Ministero dello sviluppo economico in sede di negoziazione del pacchetto marchi, in cui noi abbiamo chiesto ripetutamente che fosse il titolare della merce, il proprietario della merce che aveva organizzato la spedizione che attraversa l'Unione europea, a dover fornire la prova che la merce fosse effettivamente destinata all'immissione in consumo in un Paese terzo. Questo per evitare il rischio di ritrovarcela in casa consumata nei mercati rionali o in tanti mercati italiani.
  È stato un braccio di ferro fortissimo. Ci sono stati anche a livello comunitario dei gruppi informali che hanno cercato di trovare una mediazione a questo problema, da cui si è usciti con una soluzione di compromesso. Mi risulta dai colleghi del Ministero dello sviluppo economico che avevano in carico il dossier, con i quali, però, noi abbiamo lavorato lungamente, che la soluzione sia stata congelata.
  Con riferimento al discorso del controllo delle merci in transito, noi avevamo imposto che il controllo dovesse avvenire secondo le modalità del Regolamento n. 608, il Regolamento sulla contraffazione, ossia il Regolamento che permette alle dogane il controllo delle merci contraffatte e, quindi, il loro blocco. Questo pacchetto marchi è tuttora congelato in attesa di un chiarimento proprio sul problema del transito.
  Per quanto riguarda l'esperienza, non, a questo punto, dell'Unione europea, ma italiana, la dogana italiana controlla i transiti perché sfrutta, tirandolo un po’ per i capelli, l'articolo 474 del Codice penale, che prevede la sanzione penale in caso di importazione di merce contraffatta, laddove dice «o comunque messa in circolazione». Noi ci aggrappiamo a quell'ultimo comma e, quindi, controlliamo anche i transiti e presentiamo notizie di reato al procuratore della Repubblica tutte le volte in cui, anche se la merce è vincolata a regime sospensivo del transito esterno e, quindi, è destinata a un altro Paese, attraversa il territorio doganale italiano.
  Questo, però, sarà oggetto di una visita – ve lo posso anticipare – prevista per giugno della Commissione europea, che Pag. 23vuole proprio chiarimenti su questa procedura italiana, che loro non considerano assolutamente legittima. Io ho ribadito che, per quanto attiene alle norme penali nazionali e, quindi, al diritto penale nazionale, l'Italia si regola in maniera autonoma e non è vincolata dal Regolamento n. 608 e dal pacchetto marchi. Abbiamo avuto uno scambio di idee piuttosto vivace a livello epistolare, via e-mail. Vedremo i Commissari il 29 giugno per tre giorni e ne discuteremo di persona.
  L'onorevole ci chiedeva se noi controlliamo parimenti anche l'uscita. Noi controlliamo la contraffazione e, quindi, la violazione di un diritto di proprietà intellettuale in tutti i regimi doganali, ossia nell'importazione definitiva, nell'esportazione, nel transito – ne abbiamo appena parlato – e negli altri regimi sospensivi, che sono regimi giuridici, ma riflettono procedure e processi economici, per esempio il deposito doganale, la trasformazione sotto controllo doganale, i traffici di perfezionamento attivo e passivo e via elencando.
  Tutte le dichiarazioni vengono controllate dal punto di vista della contraffazione, anche se con percentuali di controllo diverse. È più penetrante il controllo all'importazione perché normalmente l'immissione di libera pratica con l'immissione in consumo è una questione che ci preoccupa di più. L'immissione in consumo avviene, infatti, nel territorio doganale dell'Unione europea, ma con immissione in consumo in Italia. È chiaro che la questione ci preoccupa.
  L'onorevole Russo faceva riferimento al caso dei pomodori San Marzano transitati da Salerno che sono stati bloccati. Quello è un esempio, che noi abbiamo portato anche a livello di Unione europea, di best practice, perché quella procedura doganale non era una procedura di importazione definitiva, era un perfezionamento attivo. Si trattava, cioè, di un concentrato di pomodoro che entrava in Italia e che riusciva come pomodoro made in Italy.
  In realtà, la lavorazione consisteva semplicemente nell'aggiunta di sodio e nella diluizione del prodotto. Venivano aggiunti acqua e sale, per esprimersi volgarmente, e veniva diluito il prodotto. Questa lavorazione – abbiamo parlato prima delle stringenti regole sull'origine secondo i Regolamenti comunitari – non è idonea a conferire l'origine non preferenziale italiana. Per questo motivo, all'atto della riesportazione con quell'etichetta, che era fallace, il prodotto è stato sequestrato e il titolare è stato denunciato alla procura. È la prima condanna in Italia.
  Noi abbiamo lavorato tantissimo sull'olio – poi magari, quando verrete in sala, vi faremo una panoramica – non senza conseguenze dirette, perché abbiamo ricevuto lettere di protesta da tutti gli organismi. Ci mancano soltanto i boy-scout.
  Dobbiamo parlare ancora dei farmaci e del CNAC e poi chiudo.
  Per quanto riguarda i farmaci...

  GIUSEPPE PELEGGI, Direttore generale dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Scusi, visto che è in scia, rispetto alle normative e alle problematiche potrebbe aggiungere qualcosa rispetto alla questione dei tre giorni. Con l'olio può essere interessante.

  EDOARDO FRANCESCO MAZZILLI, Direttore Ufficio centrale antifrode dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. È previsto dalla legge un termine temporale di tre giorni lavorativi di fermo amministrativo non soltanto in questo caso – invito gli onorevoli a riflettere su questo aspetto perché riguarda direttamente la salute di tutti, soprattutto dei più piccoli – ma anche e soprattutto in tema di prodotti non sicuri.
  Parlerei ora dei farmaci e, rapidissimamente, dei rapporti con il CNAC, per rispondere a due domande che erano state fatte.
  Cominciando dal settore farmaceutico, in Italia abbiamo un settore molto controllato dal Ministero della salute, nel senso che, anche se il cittadino ha la ricetta, deve comprare il farmaco soltanto in farmacia. Questo sistema non è comune agli altri Paesi dell'Unione europea. In altri Paesi, per esempio in Gran Bretagna Pag. 24e nei Paesi del Nord, con una ricetta si può comprare il farmaco online. In Italia questo non può succedere.
  Questo che cosa determina ? Con l'esplosione dei servizi Internet e, quindi, con il moltiplicarsi delle spedizioni che vengono veicolate attraverso Internet è sempre più facile approvvigionarsi di farmaci, che, quando sono regolari – si tratta di farmaci comuni, che comunque non possono essere comprati – non presentano un rischio per la salute del cittadino. Molto spesso, però, le farmacie virtuali possono essere anche veicolo di merci contraffatte.
  Noi che cosa stiamo facendo ? Innanzitutto abbiamo attivato un canale di controllo dell’e-commerce. Stiamo monitorando le spedizioni online attraverso gli ordini che vengono poi veicolati dai corrieri aerei.
  Quando io ordino (questo è un problema anche di logistica doganale), normalmente il traffico merci avviene attraverso container per il 70 per cento, ma per tutta una serie di settori merceologici – per questo io parlo non della contraffazione, ma piuttosto delle contraffazioni, perché la contraffazione in realtà è un arcipelago molto frastagliato – ci sono diversi prodotti che vengono veicolati e consegnati attraverso sistemi molto rapidi, come il servizio postale universale, ossia le Poste Italiane e le consociate estere. Ancor più rapidi sono i corrieri aerei (DHL, TNT).
  Con loro noi abbiamo un rapporto privilegiato. Tutti i soggetti che esercitano quest'attività, ossia i soggetti che ho appena nominato, sono interlocutori doganali privilegiati perché godono di una serie di semplificazioni e di facilitazioni, quali la procedura domiciliata e lo sdoganamento in volo, di cui ha parlato la dottoressa Alvaro.
  Come contropartita di queste facilitazioni, che rendono più semplice la loro vita in termini di procedure doganali e, quindi, velocizzano la consegna della merce e determinano un minor costo per il corriere, noi chiediamo l'accesso e stiamo chiedendo l'accesso ai loro sistemi informativi, al fine di tracciare le spedizioni, con particolare profilazione per le spedizioni che arrivano da Paesi dell'Estremo Oriente.
  In merito si apre un problema di non semplice soluzione, perché non è una soluzione che possiamo trovare noi in Italia. Questi grandi corrieri aerei hanno degli hub di riferimento. Che cosa sono gli hub ? Sono degli aeroporti molto grandi in cui la merce che arriva da Paesi terzi (Nordamerica, Sudamerica, Estremo Oriente) viene fermata e trasferita in vettori aerei più piccoli, che poi raggiungono i singoli aeroporti di destinazione. È una sorta di transhipment aereo.
  Vi faccio degli esempi. Un grande punto di transhipment aereo è Lipsia, un altro è Liegi, un altro ancora è East Midlands in Gran Bretagna. Proprio a proposito delle operazioni doganali congiunte sui farmaci contraffatti, i colleghi tedeschi e i colleghi belgi hanno candidamente ammesso che nei loro hub di riferimento loro controllano le spedizioni attraverso corriere aereo solo se destinate al loro mercato interno.
  In termini ancora più semplici, se un pacco arriva dalla Cina – e io ho dei forti sospetti su di esso – e transita per l’hub di Lipsia, al momento del transito per l’hub di Lipsia cambia aereo e viene inserito in un manifesto merci in arrivo, che è il manifesto che fotografa il contenuto dell'aereo in arrivo, per esempio, a Bergamo Orio al Serio o a Bologna Borgo Panigale, entra in questi aeroporti con la lettera C contrassegnata, cioè «comunitario». Questo perché ha già fatto dogana la prima volta a Lipsia e, secondo le regole del mercato interno, la merce non può fare dogana due volte.
  In realtà, a questo non si riferiscono una tecnica e un momento di controllo che a Lipsia o a Liegi o a East Midlands sono stati realmente svolti. A volte vengono svolti, ma molto spesso no, forse non per cattiva volontà, ma semplicemente per l'enorme massa di spedizioni, più o meno piccole.
  Nel settore i tecnici dividono queste spedizioni da due chili e mezzo in su e sotto i due chili e mezzo, ma questa Pag. 25grande massa di spedizioni, se non destinata nei mercati interni dei Paesi degli hub, normalmente viene avviata a destino senza alcun controllo. Noi abbiamo fatto dei carotaggi, ossia dei sondaggi, per esempio all'aeroporto di Orio al Serio, dove abbiamo trovato di tutto.
  In questo momento vi posso dire che abbiamo un progetto, in fase di avanzata realizzazione, proprio con la Direzione centrale per i servizi antidroga, sul settore della droga e del commercio online di sostanze stupefacenti, che vede l'intervento anche della procura della Repubblica di Roma e dello SCO, ossia del Servizio centrale operativo, della Polizia, per un monitoraggio di siti e di spedizioni cosiddetti a rischio nel settore delle droghe sintetiche. Il problema, però, tocca le droghe sintetiche, i farmaci, ma anche la contraffazione, ancorché in minime quantità, e tocca, in generale, la sicurezza dei prodotti.
  Il problema dei corrieri aerei è un problema che noi in Italia abbiamo e che stiamo cercando di risolvere spingendo i Paesi europei titolari di hub, ossia Germania, Belgio e Gran Bretagna principalmente, a intensificare i controlli anche su tutte le altre spedizioni. È, ovviamente, un lavoro molto faticoso, anche perché – e chiudo questo argomento – immaginate che, quando un aereo arriva con un manifesto merci in arrivo contrassegnato dalla lettera C, la dogana teoricamente dovrebbe non controllarle. Essendo la merce comunitaria e, quindi, avendo già svolto un controllo doganale, io non sono legittimato, se non ai sensi di un comma dell'articolo 13, a verificare se effettivamente la merce a bordo sia tutta comunitaria o se ci sia merce terza.
  Questo aspetto dei farmaci e, in generale, delle spedizioni aeree, è di un tecnicismo assoluto e di una grossa complessità, ragion per cui magari possiamo, se volete, risentirci in un secondo momento.
  L'ultimo tema di riferimento sono i nostri rapporti con il CNAC. Il direttore ha delegato me a partecipare alle sedute del CNAC. Sicuramente la platea è ricca, così come lo scambio di opinioni, perché ci sono tanti interlocutori e ci sono vari piani di lavoro. L'Istituzione è strutturata.
  Quello che, però, io trovo forse deficitario è che quello che serve in Italia nel settore della contraffazione e della tutela e della specificità dei prodotti italiani, ossia del made in Italy, è realizzare una vera e propria forma di coordinamento. Quando si mettono intorno a un tavolo tante autorità – forze di polizia, autorità amministrative e l'Associazione dei consumatori – il rischio è di creare una sorta di Stati generali della contraffazione, che però non producono strategie e risultati effettivamente efficaci. Questo rischio è concreto.
  Al di là di un interessante dibattito che adesso è stato svolto, proprio in seno al CNAC, sulla normativa, anche con riferimento a questo decreto di cui vi volevo parlare, ossia al decreto legislativo 16 marzo 2015, n. 28, la cui influenza è tutta da valutare, ma che va a impattare tranquillamente su tutte le norme penali che tutelano gli interessi di cui si è discusso fino a questo momento, agroalimentare, sicurezza dei prodotti e contraffazione finiscono tutti in questa tagliola. Pertanto, sarà molto difficile capire che cosa poi, come esercizio dell'azione penale, andrà avanti e cosa no.
  Faccio un'ultima considerazione su questo decreto, che ho scritto personalmente al CNAC. Sulla contraffazione noi abbiamo una tutela penale, ma abbiamo anche la legge n. 80, che prevede delle sanzioni amministrative. Se non c’è la punibilità, perché il fatto è di particolare tenuità e il soggetto non è considerato recidivo, cioè non c'era reiterazione nel reato, non c’è esercizio dell'azione penale, o meglio si ferma al giudice per le indagini preliminari. Noi, però, avremo la possibilità di colpire il fatto con una sanzione amministrativa.
  Dal punto di vista doganale, noi abbiamo tutta una serie di «piccoli» reati, che però tutelano grandi interessi, che non dispongono, parallelamente, di una sanzione amministrativa. Questo comporta che un fatto astrattamente previsto dalla legge come reato, ossia un fatto penalmente Pag. 26rilevante, non abbia punibilità per l'applicazione – mi pare – del 131-bis. Non essendoci una sanzione amministrativa a corredo, questo determina l'assoluta e totale impunità del soggetto che ha commesso il reato.

  PRESIDENTE. Grazie. Incidentalmente vi faccio rilevare come oggi siano emerse da parte dei nostri auditi alcune considerazioni sul quadro penale. Le ultime sono quelle testé fatte, che ritrovate in buona misura nel documento di riflessione che vi ho sottoposto una decina di giorni fa e che dovremo riprendere, tale è la delicatezza della tematica.
  Comunque, mi fa piacere che oggi le abbiate ascoltate anche dagli auditi. È evidente, a mio avviso, che, soprattutto dopo il decreto legislativo sulla tenuità del fatto, ma non solo dopo quello – c’è tutto il tema dei vari comma 49 e seguenti, anch'esso necessitante di una revisione – tutto l'impianto complessivo imponga un ripensamento.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che l'audizione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.
  La seduta termina alle 16.40.

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