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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 88 di Martedì 21 aprile 2015

INDICE

Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giovanni Musarò.
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Lumia Giuseppe  ... 8 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 8 
Buemi Enrico  ... 8 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 9 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 9 
Mirabelli Franco  ... 9 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 9 
Buemi Enrico  ... 9 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 9 
Falanga Ciro  ... 9 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 10 
Buemi Enrico  ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Mirabelli Franco  ... 10 
Bindi Rosy , Presidente ... 10 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 10 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 13 
Buemi Enrico  ... 13 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 13 
Falanga Ciro  ... 13 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 14 
Falanga Ciro  ... 14 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 14 
Falanga Ciro  ... 14 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 14 
Falanga Ciro  ... 15 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Falanga Ciro  ... 15 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Falanga Ciro  ... 15 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Sarti Giulia (M5S)  ... 15 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Sarti Giulia (M5S)  ... 15 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 15 
Sarti Giulia (M5S)  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 15 
Sarti Giulia (M5S)  ... 16 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 16 
Sarti Giulia (M5S)  ... 16 
Buemi Enrico  ... 16 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Lumia Giuseppe  ... 16 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 16 
Lumia Giuseppe  ... 16 
Falanga Ciro  ... 16 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 17 
Bindi Rosy , Presidente ... 17 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 17 
Falanga Ciro  ... 19 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 19 
Lumia Giuseppe  ... 19 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 19 
Buemi Enrico  ... 20 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 20 
Buemi Enrico  ... 21 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Falanga Ciro  ... 21 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 21 
Buemi Enrico  ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 21 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 21 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Mirabelli Franco  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Buemi Enrico  ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Buemi Enrico  ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Buemi Enrico  ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Bindi Rosy , Presidente ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Mirabelli Franco  ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Mirabelli Franco  ... 24 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 24 
Mirabelli Franco  ... 25 
Falanga Ciro  ... 25 
Bindi Rosy , Presidente ... 25 
Falanga Ciro  ... 25 
Bindi Rosy , Presidente ... 25 
Falanga Ciro  ... 25 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 25 
Falanga Ciro  ... 25 
Mattiello Davide (PD)  ... 25 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 25 
Falanga Ciro  ... 25 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 25 
Bindi Rosy , Presidente ... 25 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 25 
Falanga Ciro  ... 26 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 26 
Falanga Ciro  ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 26 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 26 
Falanga Ciro  ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 26 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 26 
Bindi Rosy , Presidente ... 27 
Musarò Giovanni , sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma ... 27

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 20.35.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Audizione del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma, Giovanni Musarò.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del sostituto procuratore presso la procura della Repubblica di Roma, Giovanni Musarò.
  L'audizione rientra negli approfondimenti dedicati ai temi della sicurezza dei magistrati e delle modalità di attuazione del regime carcerario di cui all'articolo 41-bis della legge sull'ordinamento penitenziario nei confronti dei detenuti per mafia, ed è dedicata in particolare alla vicenda della gravissima aggressione subita nel 2012 dal dottor Musarò, all'epoca sostituto procuratore della DDA di Reggio Calabria, aggressione subita all'interno del carcere di Viterbo, in occasione dell'interrogatorio del detenuto Domenico Gallico, sottoposto a regime carcerario dell'articolo 41-bis.
  L'audizione è altresì dedicata alla vicenda della morte della testimone di giustizia Maria Concetta Cacciola e al ruolo svolto dagli organi di informazione locale in quella drammatica occasione.
  La seduta si svolge nelle forme dell'audizione libera e, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta. Nel ringraziare l'audito per la sua presenza, gli cedo volentieri la parola.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie, presidente, buonasera a tutti. La vicenda che mi ha visto coinvolto con Domenico Gallico è un fatto che si è verificato il 7 novembre 2012 presso la Casa circondariale di Viterbo. Devo premettere che facevo parte della DDA di Reggio Calabria dall'ottobre del 2008, mi sono sempre occupato della fascia tirrenica della provincia, cioè di Palmi, Gioia Tauro, Rosarno e in particolare della cosca Gallico.
  Nel 2010 avevamo eseguito l'ordinanza Cosa mia, per cui erano stati tratti in arresto trentadue componenti della cosca Gallico; successivamente abbiamo fatto ulteriori indagini, su cui posso essere molto più dettagliato. Di questa cosca il capo indiscusso era Domenico Gallico, classe 1958, personaggio leggendario a Palmi, per come l'ho conosciuto dalle carte e dalle intercettazioni fin da quando mi sono occupato di questa storia e di questa famiglia, pur essendo detenuto dall'8 febbraio 1990.
  Come avevamo accertato intercettando i colloqui dei detenuti, in particolare di Domenico e di Giuseppe Gallico (il fratello), entrambi ergastolani ed entrambi detenuti dal 1990, tramite colloqui con i familiari, come spesso accade continuava a gestire le attività della cosca e a coordinarle.
  L'8 giugno 2010 sono stati arrestati praticamente tutti, quindi anche la mamma Morgante Lucia Giuseppa, classe 1926, arrestata per associazione mafiosa e concorso in omicidio e poi condannata all'ergastolo, tutti i fratelli e tutte le sorelle, tutti i nipoti, tutte le nipoti, i fidanzati delle nipoti, insomma tutti tranne un ragazzo che all'epoca non era imputabile, Pag. 4Gallico Alfonso, classe 1997, che poi è stato arrestato appena diventato imputabile qualche anno fa. Questa è una precisazione importante per capire le ragioni del risentimento.
  Un'altra ragione di risentimento nei miei confronti deriva dal fatto che subito dopo l'esecuzione di questa misura cautelare Gallico Carmelo, il fratello, classe 1963, detenuto a Brescia, personaggio molto particolare che, pur avendo due precedenti specifici per associazione mafiosa, dopo essere stato scarcerato era riuscito a riaccreditarsi e ad avere un certo seguito, per cui stavano per pubblicare un suo libro e pare che la Fandango volesse trarne un film, personaggio che partecipava anche alle manifestazioni antimafia, quando è stato arrestato per associazione mafiosa con un ruolo di direzione e soprattutto per omicidio aggravato dall'articolo 7, tentò di suicidarsi recidendosi la carotide e fu salvato in extremis dalla polizia penitenziaria. Questo accade nel giugno del 2010.
  Da quel momento Domenico Gallico prende in pugno la situazione e, avendo un carisma incredibile, un notevole seguito nella sua famiglia e anche una grande intelligenza, diventa il capo del collegio difensivo dei Gallico, coordina gli avvocati e inizia a preordinare tutta una serie di attività per introdurre prove false nel procedimento che si doveva celebrare in corte d'assise.
  Tra le altre cose ricordo che lui inviava la corrispondenza per ragioni di giustizia a uno degli avvocati e all'interno di questa corrispondenza vi erano lettere retrodatate come se fossero state scritte molti anni prima, che precostituivano prove a discarico per varie ipotesi di reato. Il problema era che il suo avvocato era indagato e la corrispondenza era intercettata, per cui noi di volta in volta acquisivamo ulteriori elementi.
  Voleva inoltre dimostrare che il fratello Gallico Giuseppe, che nei colloqui era molto più loquace di lui e aveva inguaiato parecchi familiari, fosse un malato di mente. Intercettando questi colloqui, queste telefonare e soprattutto la corrispondenza, conoscendo il personaggio ci eravamo resi conto che aveva deciso (non sono parole mie, ma sono parole di un suo avvocato, che ne era stato anche compagno di scuola e lo dice in un'intercettazione) di far diventare questo processo una sorta di «palcoscenico».
  Il processo inizia il 7 novembre del 2011 in corte d'assise a Palmi e in effetti inizia come una sorta di palcoscenico, però poi prende una piega per lui inattesa. Dopo poche udienze, infatti, degli avvocati del collegio difensivo dei Gallico, che erano in contatto con lui, l'avvocato Vincenzo Minasi del foro di Palmi è stato arrestato per concorso esterno in associazione mafiosa ed è tuttora detenuto; l'avvocato Francesco Cardone del foro di Palmi fu indagato e subì una perquisizione il 30 novembre 2011 per favoreggiamento aggravato dall'articolo 7, e l'avvocato Giovanni Marafioti stesso discorso, favoreggiamento aggravato dall'articolo 7 e perquisizione.
  Da un giorno all'altro, quindi, dal momento in cui il processo doveva diventare una sorta di palcoscenico e presumibilmente un momento importante per riaffermare il suo carisma anche agli occhi della popolazione palmese, perché quello era il processo di Palmi, sulla cosca di Palmi, – c'era sempre tantissima gente, lui prendeva la parola e faceva dichiarazioni spontanee fiume ad ogni udienza, – è diventato il processo in cui paradossalmente ha perso potere, ha perso carisma, ha perso prestigio.
  Ho visto con i miei occhi tanti sodali, tanti detenuti della cosca Gallico, che prima pendevano dalle sue labbra quando prendeva la parola, a un certo punto chiedere di andare via e tornare in carcere pur di non sentirlo più. Gallico se n’è reso conto, ha accumulato notevole risentimento, nel processo è stato messo alla berlina, perché quando di volta in volta, davanti ai giudici popolari, in corte d'assise dimostravamo quello che volevano fare, cioè produrre delle prove false davanti ai giudici popolari, ha avuto un effetto boomerang per lui.Pag. 5
  La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il sequestro della villa dei Gallico, che era una villa storica. Loro avevano già subito numerosi sequestri anche importanti, anche di compendi immobiliari di milioni di euro, però il sequestro della villa dei Gallico, che a Palmi è una specie di santuario della ’ndrangheta, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
  Non aveva mai chiesto di essere interrogato in un processo in cui era imputato ed era stato indagato per diversi omicidi, per associazione mafiosa ed estorsione, ma in un procedimento parallelo, che era quello degli avvocati in cui era indagato per un reato per lui insignificante, cioè per interposizione di valori aggravato dall'articolo 7, verso la fine di ottobre del 2012, chiede di essere interrogato dopo la notifica del 415-bis.
  Penso di conoscerlo abbastanza bene, probabilmente molto meglio di quanto lui credesse, per cui quando ho visto questa richiesta di interrogatorio a me è sembrata immediatamente strana, perché non faceva parte del personaggio, in quanto non ha mai cercato il confronto con l'autorità giudiziaria, non ha mai chiesto di essere interrogato, anzi ha sempre avuto un atteggiamento ostentatamente di contrapposizione.
  Eravamo in scadenza termini, in questi casi di solito si chiede la rogatoria, cioè si chiede al collega della procura in cui si trova il detenuto di fare l'interrogatorio, tanto era una formalità trovandosi in custodia cautelare anche per quel reato da quasi un anno, però proprio conoscendo il personaggio, non volendo creare problemi al collega di Viterbo che magari si trovava davanti a una situazione che non poteva immaginare, ho fissato l'interrogatorio e ho deciso di andare personalmente.
  Nell'invito a comparire da notificare a Gallico ho scritto una lettera separata per la direzione della casa circondariale, chiedendo di essere assistito durante l'atto da due agenti di polizia penitenziaria, perché temevo di subire un'aggressione da questo soggetto.
  L'interrogatorio era fissato per il 7 novembre 2012, io sono partito il 5 novembre per andare a Milano, dove dovevo interrogare Gallico Carmelo, quello che aveva tentato di suicidarsi. Quando sono arrivato a Milano mi sono trovato in una situazione strana, perché l'avvocato di Carmelo Gallico non si è presentato, l'ho fatto contattare dalla segreteria e lui ha detto che si era dimenticato e non aveva intenzione di venire.
  Ho cercato di insistere con la segreteria, chiedendo di fargli presente che ero venuto da Reggio Calabria, ma non ha voluto sentire ragioni, quindi ho spostato l'interrogatorio al giorno dopo e Carmelo Gallico, che era stato nel frattempo ritradotto a Cuneo, ha rinunciato e non ha voluto più fare l'interrogatorio.
  Mi è sembrata una situazione un po’ strana. Ricordo che uscendo dalla casa circondariale di Milano Opera ho chiamato la mia segreteria, la cancelliera che è sempre stata con me nei dieci anni di Reggio Calabria, con cui avevamo un rapporto quasi fraterno, e le ho chiesto, visto che c'era una situazione che non mi piaceva con questi Gallico, di chiamare la casa circondariale di Viterbo e di precisare, ove non fosse chiaro, che nella lettera in cui avevo scritto di volere due persone di assistenza non mi riferivo a un aiuto per la verbalizzazione, perché sono abituato a verbalizzare da solo durante l'interrogatorio, non mi piace che un'altra persona metta mano al verbale, non faccio mai verbalizzare dalla polizia giudiziaria, ma intendevo due agenti prestanti per difesa personale.
  La cancelliera ha chiamato a Viterbo, ha fatto anche una relazione di servizio su questo punto, per cui il giorno dopo arrivo a Viterbo, l'interrogatorio era fissato a mezzogiorno o mezzogiorno e mezzo, sono arrivato più o meno a quell'ora, sono stato preso in carico dall'ispettore responsabile del 41-bis, l'ispettore Vittorini, e ricordo di aver detto a questo ispettore: «mi raccomando, guardi che questo detenuto, se avrà la possibilità di aggredirmi, lo farà al cento per cento». Mi chiese se stessi scherzando, risposi che purtroppo non Pag. 6stavo scherzando, quindi tenessero gli occhi aperti e lo facessero arrivare scortato. Ritengo di aver detto anche «con le manette e mani dietro la schiena», ma delle manette non sono sicuro. Mi rispose di non preoccuparmi.
  Aspettavo che arrivasse l'avvocato, il tempo passava, l'interrogatorio era fissato a mezzogiorno e si erano fatte quasi le tredici, quindi di nuovo ho chiamato la mia cancelliera chiedendo di chiamare l'avvocato di Gallico perché, se era in ritardo ed era ancora Roma, sarei andato a pranzo. Mi richiama la cancelliera e mi dice che l'avvocato, che era l'avvocato Guido Contestabile, si scusava molto però è ad Asti e si è dimenticato di questa incombenza.
  Questa è un'altra situazione stranissima perché l'avvocato Contestabile, oltre a essere una persona molto precisa, è anche una persona molto preparata, per cui dire «mi dispiace, mi sono dimenticato» quando hai avuto la notifica dell'interrogatorio in un fascicolo in cui l'indagato è in custodia cautelare in scadenza termini, significa dover nominare un sostituto processuale.
  Ho quindi chiesto alla mia cancelliera di darmi il numero dell'avvocato Contestabile perché mi sono seccato e l'ho chiamato, gli ho detto che ero a Viterbo e gli ho chiesto dove fosse, mi ha risposto che si scusava moltissimo. Gli ho detto che non m'interessava, ma avrebbe dovuto nominare subito un sostituto processuale, anche perché avevo l'aereo nel pomeriggio o la sera.
  Mi richiama e mi dice che arriverà l'avvocato Mancini del foro di Viterbo. Dopo venti minuti si presenta questo avvocato, che era un ragazzo, andiamo in questa saletta in cui dovevamo fare l'interrogatorio, che peraltro era anche molto piccola, come ho pensato appena l'ho vista, perché in un momento Gallico avrebbe potuto prendere la penna e fare qualsiasi cosa, tanto che ho pensato che se non avesse creato problemi sarebbe stato opportuno che rimanesse ammanettato. Ero comunque certo che avrebbe creato problemi, e del resto un interrogatorio ammanettato non l'avrei probabilmente fatto fare neanche io.
  La stanza era molto piccola, io ero seduto a una scrivania come questa, la porta era alla mia sinistra e proprio accanto a me avevo il muro. Gli agenti di polizia penitenziaria mi hanno chiesto se potessero far entrare il detenuto, io ho risposto di sì e non ho precisato con le manette e due di scorta, perché l'avevo già detto diverse volte.
  Io non avevo mai visto in vita mia Domenico Gallico dal vivo, l'avevo visto decine e decine di volte in videoconferenza, perché noi facevamo udienza due volte alla settimana a Palmi ormai da un anno; a un certo punto me lo vedo entrare da solo, senza manette e soprattutto senza nessuno di scorta. Mi è sembrata subito una situazione molto strana, però sono stati veramente attimi.
  Invece di andare da questo lato, dove c'era l'avvocato, dall'altro lato della scrivania, dove avrebbe dovuto sedersi durante l'interrogato, è venuto verso di me a passo abbastanza sostenuto e mi ha detto: «Dottore, che piacere, finalmente ci conosciamo dal vivo, posso avere l'onore di darle la mano ?».
  Per la verità avevo capito che qualcosa non quadrava però, a parte il fatto che la mano sono abituato a darla a tutti, non mi sembrava il caso di provocarlo dicendogli di no. Ho fatto per dargli la mano, mi stavo alzando dalla sedia, non mi ero neanche alzato del tutto, lui ha fatto finta di darmi la mano destra e con il braccio sinistro mi ha sferrato un pugno che non ho neanche visto partire e mi ha colpito in faccia, mi ha rotto subito il naso e sono caduto sulla sedia.
  Accanto avevo il muro, a quel punto sono stati dieci, quindici, venti o venticinque secondi infernali, perché penso di avere preso in quei secondi una cinquantina di pugni e una sessantina di calci. Per fortuna non so dove ho trovato la lucidità (probabilmente è stato istinto) di capire che voleva prendermi al collo, per cui ho alzato l'avambraccio per ripararmi, però avevo il muro alla mia destra, il naso rotto Pag. 7e soprattutto avevo Gallico Domenico addosso, che è un'esperienza che non auguro a nessuno.
  Per farmi togliere il braccio e per prendermi al collo, cosa che ha cercato di fare ripetutamente, mi ha massacrato di pugni e di calci, poi c’è stato un momento in cui sinceramente ho avuto veramente paura, perché quando l'ho visto entrare non ho neanche avuto il tempo di chiedermi come mai non ci fosse nessuno, l'ho visto entrare per primo e non sapevo se dietro ci fosse qualcuno, però quando sono passati sei, sette, otto secondi in cui avrò preso trenta pugni, mi sono reso conto che stavo cedendo perché non riuscivo più a resistere, anche perché quella è una violenza a cui le persone normali non sono abituate, ho avuto paura perché c’è stato un momento in cui ho pensato «mi sta ammazzando, se non lo bloccano mi sta ammazzando».
  Per fortuna c'era l'avvocato che mi ha salvato la vita, perché prima ha provato a toglierlo, ma non era cosa per l'avvocato Mancini, poi per fortuna ha chiesto aiuto e sono arrivati a tirarlo via, prima ci hanno provato in due e poi in quattro, finalmente l'hanno tirato e quando si è reso conto che non poteva più toccarmi ha fatto questo gesto plateale di alzare le mani per dire che non era successo niente ed era tranquillo, ma l'hanno sbattuto a terra e si sono seduti sullo sterno.
  Ricordo che per un po’ mi sono guardato bene dall'abbassare il braccio e guardare cosa stava succedendo, anche se l'aggressione era finita, perché non vedendo non capivo cosa succedesse e non volevo rischiare di prendere un altro pugno senza essere protetto dal braccio.
  Quando mi sono girato, lui era a terra supino, aveva uno della penitenziaria che era seduto sul suo petto, ricordo che diceva «soffoco, soffoco» e gli hanno detto che si sarebbero tolti se fosse rimasto calmo. Ha ribattuto che era calmissimo, quindi gli hanno chiesto se fosse impazzito, se si rendesse conto di quello che aveva fatto, e lui ha detto, puntando l'indice contro di me: «chiedete a lui cosa ha fatto a me e alla mia famiglia».
  A quel punto, anche per evitare di fare, ma soprattutto di dire cose fuori luogo anche perché mi aveva rotto il naso, ho preferito alzarmi e andare via. Quando l'hanno portato via sono rientrato. Andando in bagno mi sono reso conto subito che dovevo operarmi, perché era una cosa molto evidente, dovevo andare in ospedale, quindi sono tornato a riprendere il computer, ero tutto sporco di sangue perché ne avevo perso molto.
  Mentre mettevo a posto il computer per andare in ospedale, mi si è avvicinato un agente della polizia penitenziaria e mi ha detto: «dottore, mi dispiace molto, è stato un attimo, ci ha preso alla sprovvista, noi eravamo qui, ma è stato un attimo». A quel punto non so dove ho trovato la pazienza di non rispondere in maniera sgarbata, però ricordo di avergli detto queste parole: «io rispetto il lavoro di tutti e una leggerezza può capitare a tutti, però, se vuole un consiglio da magistrato, non vi sognate di dire o di scrivere che qui c'era qualcuno, perché qui c'eravamo io, l'avvocato e Gallico soprattutto, e basta» e sono andato in ospedale.
  In ospedale mi ha chiamato un collega di vertice del DAP, Roberto Piscitello, che non conoscevo, mi ha chiamato per esprimermi la sua solidarietà e mi ha detto che gli dispiaceva molto, però aveva saputo che la penitenziaria era stata tempestiva. A quel punto ho detto «guarda che la penitenziaria non c'era». Ha ipotizzato che potessi essere sotto shock, ma io ho ribattuto che ero fin troppo lucido e che non c'era.
  Mi ha detto che aveva davanti una relazione di servizio in cui si attestava la presenza di due o tre persone, ma io gli ho comunicato che quella relazione era ideologicamente falsa. Poi mi ha richiamato dopo mezz'ora e mi ha detto che avevo ragione, perché avevano controllato dalle telecamere nel corridoio ed effettivamente era entrato da solo. In questo modo ho evitato di passare per pazzo, perché ormai tutto è possibile. Questa è la storia.
  Qualche giorno dopo sono stato sentito a sommarie informazione dal pubblico ministero, mi è arrivata la notifica dopo Pag. 8un anno circa per essere sentito come testimone in dibattimento e sono stato sentito il 24 ottobre del 2013. So che è stato condannato, vi ho portato la sentenza, visto che è passata in giudicato, evidentemente non si sono resi conto che era decorso il termine per l'appello che hanno dichiarato inammissibile, perché ero convinto che avrebbero fatto appello.
  Questa è la vicenda di Viterbo.

  PRESIDENTE. Secondo lei perché, solo per il passato e per il fatto che lei aveva assicurato alle patrie galere tutta la famiglia o perché poteva avere anche dei vantaggi processuali ? Questa è la prima domanda. La seconda: ci sono state altre minacce o altri episodi che possono far pensare che ancora non si è placata questa rabbia ?

  GIUSEPPE LUMIA. Nel processo questa strana parte della vicenda che lei ci ha raccontato dell'assenza degli avvocati e della gestione della sua sicurezza dentro il carcere è stata chiarita ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. In tutte le sedi in cui sono stato sentito, che poi sono due, le sommarie informazioni dal pubblico ministero e come testimone in dibattimento, ho detto le stesse cose che ho detto in questa sede sia al pubblico ministero che al giudice in dibattimento.
  Ho visto che a Gallico hanno fatto il processo con rito immediato nei tre mesi dall'iscrizione, mentre hanno fatto un procedimento separato agli agenti della polizia penitenziaria per falso ideologico in atto pubblico. Cosa poi ci sia in quel fascicolo per quanto riguarda la polizia penitenziaria, che tipo di accertamenti siano stati fatti e a che tipo di conclusione siano arrivati non lo so. Mi risulta sia in udienza preliminare, ho letto su internet un paio di mesi fa che l'udienza preliminare era stata rinviata.

  PRESIDENTE. Ce l'hanno detto i procuratori di Viterbo.

  FRANCESCO D'UVA. Secondo lei (eventualmente possiamo segretare) si è trattato più di malafede o di negligenza da parte della polizia penitenziaria ? Secondo lei Gallico voleva soltanto giocare alla lotta oppure voleva ucciderla ? Mi risulta infatti che non si sia parlato di tentato omicidio nelle accuse, quindi è stata una svista da parte della Procura di Viterbo oppure voleva giocare alla lotta.

  ENRICO BUEMI. Solo per capire meglio la dinamica durante l'aggressione e i comportamenti successivi della polizia penitenziaria, lei ha avuto la sensazione che ci fosse un tentativo da parte della struttura di coprire il comportamento degli agenti ? Ha il dubbio che eventualmente quell'assenza fosse predisposta più che dovuta a cause imprecisate ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Se alla presidente va bene, risponderei prima a queste ultime domande perché sono più semplici. Partendo dalla polizia penitenziaria, ovviamente io posso fare solo una valutazione ancorandola ad alcune circostanze di fatto.
  La mia impressione è che non sia stata una negligenza, ma non sia stata neanche una cosa preordinata perché non è stata fatta neanche bene. Per esempio Gallico andava arrestato in flagranza in quella situazione, invece hanno completamente perso la testa oppure le telecamere...
  Mentre aspettavo che arrivasse l'avvocato e non sapevo che fare per curiosità avevo chiesto che mi facessero vedere quali galantuomini fossero al 41-bis e avevo iniziato a leggere l'elenco. C'erano esponenti del calibro di Pesce Vincenzo di Rosarno e di Rogoli Giuseppe, che mi aveva colpito in quanto sono salentino e Rogoli Giuseppe è il fondatore della Sacra Corona Unita, la mafia salentina, battezzato da Umberto Bellocco in carcere.
  Si tratta di un personaggio che io conosco bene, per cui ho concluso che si trattava di un carcere serio, ma la penitenziaria mi ha detto che lì era Gallico a comandare tutti, perché aveva un carisma Pag. 9tale che tutti pendevano dalle sue labbra. Prendetela con le pinze perché è una valutazione, ma secondo me deve essere successo qualcosa...

  PRESIDENTE. Fanno parte del gruppo sociale tutti questi signori ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. No, li osservano quando vanno a passeggio. Gallico è laureato in giurisprudenza ed è convinto di essere un luminare del diritto, probabilmente non lo è, però rispetto a Pino Rogoli e a Pesce Vincenzo è un luminare del diritto, per cui tutti come prima istanza quando hanno un problema parlano con lui.
  Ha competenza, sa parlare, perché se leggete le sue dichiarazioni spontanee è uno che parla un italiano perfetto, ha carisma, è un capomafia, a Palmi era una specie di leggenda prima del processo «Cosa mia». Per cui loro mi avevano detto questa cosa...

  FRANCO MIRABELLI. Mi scusi, ma era il 41-bis ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì.

  FRANCO MIRABELLI. E aveva relazioni con tutti questi ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Il 41-bis serve a evitare i contatti con l'esterno. All'interno del carcere...

  FRANCO MIRABELLI. Sì, però di norma dovrebbe parlare con due o tre persone selezionate, non con chiunque.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, però stando là per anni, di volta in volta può accadere. Sarebbe opportuno non accadesse, ma non mi ha sorpreso più di tanto.
  Ricordo però che quelli della penitenziaria avevano perfettamente chiaro che, pur essendo al 41-bis dove sono tutti detenuti particolari, quello era un detenuto particolarmente...

  ENRICO BUEMI. Non è che avuto la sensazione che comandasse Gallico invece che il comandante della penitenziaria ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. La mia impressione (però è una valutazione mia, ancorata al fatto che poi non è stato arrestato) è che è possibile che durante il tragitto per essere portato abbia chiesto che lo lasciassero parlare un attimo con il magistrato perché voleva collaborare, qualcosa del genere, perché la negligenza è francamente difficile da credere.
  A parte il fatto che al 41-bis gli agenti della polizia penitenziaria hanno una posizione di garanzia, non dovevo neanche spiegare loro come va fatto il lavoro, comunque l'ho messo per iscritto, l'ho detto a voce, anzi ricordo che quando sono arrivato ho raccontato un aneddoto per far capire che non stavo scherzando e che Gallico non mi ha mai fatto paura, ma per essere un capomafia era ingestibile, perché il vero capo mafia comunque rispetta determinare regole.
  Gallico appartiene alla fascia tirrenica dove sono particolari, però si è sempre distinto perché ho sentito raccontare che nel 1992, durante un processo in corte d'assise, lui voleva fare astenere il presidente della corte perché riteneva fosse un giudice ostile o voleva ricusarlo. Chiese quindi di rendere dichiarazioni spontanee e, avvicinandosi al banco per sedersi, improvvisamente diede un ceffone al presidente della corte, lo sollevò dalla sedia e gli avvocati lo ricusarono un secondo dopo.
  Questo episodio si racconta spesso a Palmi, per fortuna il pubblico ministero non si può ricusare, ma il presidente fu ricusato.

  CIRO FALANGA. Gli avvocati ricusarono il presidente ?

Pag. 10

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, ho raccontato loro anche questo episodio per fargli capire che era così, quindi se mi fossi trovato da solo con lui... Per cui mi è difficile credere alla negligenza così come anche a una cosa preordinata in maniera scientifica, perché era stata fatta male. Andava arrestato in flagranza e non è stato arrestato, c'erano le telecamere...

  PRESIDENTE. Un esercizio di leadership di fatto.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. È la mia valutazione, presidente, però negli anni mi sono formato questa convinzione. Non mi risulta sia mai stata dimostrata, ma mi tengo la mia convinzione.
  Per quanto riguarda l'altra domanda sul tentato omicidio o meno. Non credo mi volesse fare un massaggio al collo, Gallico è uno che quando sono andato a interrogarlo aveva cinque sentenze passate in giudicato per diversi omicidi, una a venticinque anni e quattro ergastoli, è stato protagonista della faida di Palmi durante la quale sono state ammazzate cinquantadue persone. Nel processo Cosa mia, quello da cui voleva farmi astenere, è stato condannato all'ergastolo per un altro omicidio. È uno che se ti mette le mani sul collo, ci mette mezzo secondo a spezzartelo.
  Questa è la mia impressione. Le valutazioni le ha fatte l'autorità giudiziaria competente. Io ho raccontato il fatto, mi sono sempre guardato dal sindacare le decisioni o dall'interferire perché non mi sembrava neanche corretto. Ho preso atto che l'imputazione era quella, mi hanno chiesto di testimoniare, sono andato ed è finita là.

  ENRICO BUEMI. Dove ?

  PRESIDENTE. A Viterbo. Vi siete persi l'ultima audizione dei procuratori di Viterbo.

  FRANCO MIRABELLI. Stavamo votando.

  PRESIDENTE. Sì, ma la dovete leggere.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. A Viterbo è stato condannato a due anni e otto mesi per lesioni, è stato assolto dal reato di minaccia a pubblico ufficiale grazie alla mia deposizione, perché paradossalmente in quel processo in cui ero persona offesa io non mi sono costituito parte civile e la polizia penitenziaria sì.
  Hanno portato un referto da cui pare che abbiano riportato lesioni durante la colluttazione con Gallico, ma nel processo ho detto che non riesco a immaginare come se le siano procurate, visto che Gallico appena me lo hanno tolto da dosso si è bloccato in maniera ostentata, ha alzato le mani.
  Da quei reati quindi è stato assolto, è stato condannato solo per le lesioni a due anni e otto mesi e la sentenza è passata in giudicato. Sulla qualificazione giuridica del fatto io non posso dire nulla di più, del resto non spettava a me farlo.
  Per quanto riguarda invece l'altra domanda su quale potesse essere il fine, io penso di poter documentare quale era il fine di Domenico Gallico. Il processo è andato avanti e quando mi sono ripreso ho continuato, anche se sono rientrato in servizio prima della scadenza del termine di prognosi, perché il GIP di Reggio Calabria aveva emesso un'ordinanza sui Bellocco di Rosarno, indagine che avevamo in coordinamento investigativo con Milano, una cosa molto delicata a cui tenevo molto, quindi sono tornato ugualmente in ufficio anche se non mi sentivo molto bene.
  Una volta tornato in ufficio ho continuato a rappresentare l'accusa nel processo e questa cosa per lui è inaccettabile, non se l'aspettava. Il 5 giugno 2013 ha fatto un'istanza (oggi ho portato alcuni atti su CD) di rimessione per legittimo sospetto in Cassazione, chiedendo che il processo ormai in fase di conclusione fosse spostato Pag. 11in altra sede, sostenendo che non c'era più serenità né avrebbe più potuto esserci dopo quanto era successo, in quanto c'era un clima di solidarietà nei confronti del dottor Musarò anche da parte degli avvocati.
  In aula incombeva (ricordo che ha utilizzato questa espressione) la presenza minacciosa di un PM letteralmente inferocito che – argomento che ha usato costantemente fino a poco tempo fa – usava i poteri pubblici per perseguire vendette private e trasversali. A riprova del fatto che il dottor Musarò era una persona accanita nei confronti della cosca Gallico, evidenziava che chiunque si sarebbe astenuto al posto suo e lui non l'aveva fatto.
  Veramente io non l'ho fatto per spirito di servizio, che però per lui è un concetto complicato. Fa quindi istanza di rimessione per legittimo sospetto in Cassazione, scrivendo expressis verbis «si doveva astenere e non l'ha fatto», come si è permesso di non astenersi. Questo a giugno 2013.
  Qualche tempo fa mi ha chiamato una collega, perché nel frattempo il processo è andato in appello, per fortuna li hanno condannati tutti, hanno condannato pure la madre all'ergastolo, hanno condannato il fratello all'ergastolo, hanno condannato lui all'ergastolo, quindi il processo per noi è andato bene.
  Va in appello, io nel frattempo sono stato trasferito a Roma, l'accusa viene rappresentata da una collega della procura generale di Reggio Calabria, Adriana Fimiani, e dal collega che insieme a me ha fatto il processo in primo grado, Roberto Di Palma. Attorno all'8-10 marzo la collega Fimiani mi chiama e mi dice che Domenico Gallico aveva reso dichiarazioni spontanee parlando a lungo di me. Speravo che si fosse dimenticato di me, ma era bello sapere che dopo un anno di processo d'appello continuava.
  Mi ha mandato il verbale di queste dichiarazioni. Gli argomenti che l'hanno fatto impazzire sono due. Il primo è che dopo la sentenza di primo grado la corte d'assise – che ha scritto che la sorella Gallico Teresa, che non è la classica donna di ’ndrangheta che va ai colloqui, porta i messaggi, ma è proprio una capomafia ed è stata condannata a ventitré anni e sei mesi dalla corte d'assise di Palmi, – ha trasmesso gli atti per un omicidio, ritenendo che dalle intercettazioni emergesse che Gallico Teresa era corresponsabile di un omicidio che aveva fatto portando fuori dal carcere un messaggio.
  A quel punto abbiamo chiesto il 41-bis per Teresa Gallico e lo abbiamo avuto. Lui ha detto esplicitamente che questo 41-bis a Teresa Gallico era una vendetta privata da parte di chi nutriva un odio personale nei suoi confronti e perseguiva vendette trasversali. Questa è stata la prima cosa.
  La seconda cosa è contenuta in quelle dichiarazioni spontanee che poi reitera in maniera più esplicita in una seconda istanza di rimessione. L'aveva già fatto in primo grado per legittimo sospetto e la Cassazione l'ha dichiarata inammissibile; il 31 marzo, cioè venti giorni fa, presenta un'altra istanza di rimessione per legittimo sospetto, quindi ancora c’è la corte d'assise d'appello che aspetta di poter andare in camera di consiglio se la Cassazione si pronuncerà, e ancora una volta esplicita i motivi di legittimo sospetto, che sono motivi nuovi secondo lui, tra cui la vicenda relativa all'omicidio di Squadriti Carmine, vicenda complicata che vi sintetizzo in poche battute.
  Uno degli omicidi per i quali si procedeva in quel procedimento era l'omicidio di questo ragazzo vittima di lupara bianca, scomparso nel maggio del 1981, che riusciamo a ricostruire perché nel colloquio del 1o febbraio 2007 da Gallico Giuseppe, (non Domenico, ma Giuseppe, suo fratello) va il figlio.
  Di solito al colloquio andavano tutti i familiari, ma quel colloquio va solo il figlio che aveva diciannove anni. A quel punto Gallico Giuseppe, un po’ perché aveva fatto tanti anni di detenzione e voleva fare bella figura con il figlio, un po’ perché c'era solo il figlio, un po’ perché il figlio era ormai diventato grande e doveva capire come funziona, gli racconta la faida e una serie di omicidi che erano rimasti insoluti, fra cui quello di questo giovane, Pag. 12che si sospettava fosse stato ucciso dai Condello, cioè dagli avversari del Gallico, era invece stato ucciso da lui perché sospettato di tradimento. Gli racconta quindi questo omicidio, che fra l'altro è particolarmente raccapricciante.
  Gallico Domenico che fa ? Pensa sempre di essere molto intelligente. Pur essendo rimasto senza avvocati, senza prove false da produrre, senza niente, in una delle ultime udienze fa il colpo di teatro in corte d'assise in primo grado per demolire l'attendibilità di Gallico Giuseppe. Ha sempre detto che il fratello è pazzo, che quando parla nei colloqui millanta, dice scemenze, ma non ha mai ammazzato nessuno.
  Domenico Gallico prende quindi la parola e dichiara di averlo ucciso lui e non suo fratello, di essere disposto a far trovare il cadavere a patto però di non dover collaborare con la DDA di Reggio Calabria con la quale ha ormai un conto personale, perché era già successo quello che era successo.
  Ovviamente l'obiettivo era evidente a tutti: demolire l'attendibilità di Gallico Giuseppe perché nel momento in cui la corte d'assise avesse scritto che Gallico Giuseppe non era attendibile per l'omicidio lui avrebbe cercato di trarne tutta una serie di conclusioni.
  La corte d'assise prende atto di queste dichiarazioni spontanee. Noi iscriviamo un fascicolo per omicidio a Reggio Calabria e iscriviamo Gallico Domenico e il fascicolo viene assegnato a me. Era un fascicolo per omicidio non aggravato dall'articolo 7, perché era un omicidio commesso nel 1981 mentre l'articolo 7 è stato introdotto da una legge del 1991, quindi gli è stata notificata una proroga di indagini a firma del dottor Giovanni Musarò.
  Ho preso atto della motivazione della corte d'assise d'appello, che come ragionamento è assolutamente condivisibile perché ha evidenziato l'assoluta inattendibilità di questa dichiarazione, e sulla scorta di quella motivazione ho chiesto l'archiviazione al GIP, e il GIP ha archiviato. In seguito, poiché da diverse udienze ribadiva di averlo ammazzato, i colleghi hanno prodotto il decreto di archiviazione evidenziando che il GIP lo aveva archiviato e quindi non era attendibile.
  A quel punto, il 31 marzo 2015 fa un'istanza di rimessione per legittimo sospetto scrivendo che è inaccettabile non solo che io non mi sia astenuto in quel procedimento, ma che addirittura mi abbiano assegnato ulteriori processi tra cui questo per omicidio. A riprova del fatto che il dottor Musarò non è sereno, evidenzia che qualsiasi pubblico ministero davanti a uno che si dichiara colpevole di omicidio sarebbe andato a interrogarlo, per cui delle due l'una: o non è venuto a interrogarmi per vigliaccheria, perché temeva una nuova aggressione (fra parentesi, se per caso fossi andato a interrogarlo, sarei andato con quaranta persone di scorta e me le sarei portate da Reggio Calabria) o per un calcolo strategico.
  Per farla breve, ha denunciato me, il GIP e tutti gli altri, ha evidenziato una serie di altre circostanze, ancora una volta il 41-bis a Gallico Lucia, per cui il 31 marzo 2015 ancora una volta la Cassazione è stata investita di una istanza di rimessione per legittimo sospetto, in cui la ragione del legittimo sospetto sostanzialmente sono io, che però sono a Roma da sei mesi e in appello non sono mai stato.
  Speravo di non vederlo mai più, invece nel processo agli avvocati (io sono a Roma, però sono applicato nel processo agli avvocati a Reggio Calabria, che finirà il mese prossimo) sono emerse delle nuove risultanze nei confronti dell'avvocato Cardone, che era proprio il difensore Domenico Gallico, e io ho modificato il capo di imputazione. Modificando il capo d'imputazione, la difesa ha chiesto prova contraria, come era suo diritto, e ha indicato una serie di testi a discarico, fra cui Domenico Gallico, per fortuna in videoconferenza.
  L'udienza si è svolta il 18 marzo 2015, ma a un certo punto ho dovuto interrompere le domande, perché si stava veramente trascendendo, nonostante il presidente cercasse di richiamarlo all'ordine. Lo ha richiamato all'ordine una volta, ma lui ha risposto: «ma no, presidente, finalmente ho il piacere di confrontarmi con il Pag. 13dottor Musarò che non vedevo da tanto tempo !», il presidente gli ha fatto rilevare che non si trattava di un confronto fra lui e Musarò, che era un testimone tenuto a rispondere alle domande.
  Il presidente lo ha invitato a rispettare il pubblico ministero, ma Gallico ha detto «io rispetto l'ufficio di procura, ci tengo a dirlo, ma questo pubblico ministero no». A un certo punto, anche se c'erano una serie di domande che sarebbero state utili, ho preferito interrompere l'esame. Spero ragionevolmente di non vederlo mai più.
  Questa è la storia.

  DAVIDE MATTIELLO. Dottor Musarò, io credo che questo incontro serva intanto per testimoniarle solidarietà e rispetto e poi per capire qualcosa di più sul funzionamento del 41-bis, come diceva anche la presidente introducendo la sua audizione.
  Tre domande. Gallico è al 41-bis, quelli che lo hanno accompagnato sono della penitenziaria o del GOM ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Della penitenziaria.

  DAVIDE MATTIELLO. Perché non il GOM ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Non è una domanda che dovete fare a me.

  DAVIDE MATTIELLO. Seconda domanda, così forse mi aiuta a risolvere un dubbio: i colloqui tra detenuti al 41-bis e i familiari sono soltanto osservati tramite telecamera, senza che ci sia la possibilità di ascoltare quello che si dicono, o anche ascoltati ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. No, sono tutti registrati, è previsto dalla legge. Tra l'altro, c’è un vetro di protezione e parlano tramite un telefono, per cui non c’è possibilità... La ratio del 41-bis è proprio quella.

  DAVIDE MATTIELLO. Terza e ultima domanda, anche rispetto all'eventuale premeditazione del gesto. Per quanto riguarda il ruolo degli avvocati e il fatto che, come lei ci ha raccontato, nelle ventiquattro ore precedenti entrambi gli avvocati abbiano dato forfait all'incontro, lei ritiene che questo comportamento strano soprattutto rispetto ad avvocati celeberrimi possa in qualche modo essere ricondotto a una premeditazione del gesto cui questi avvocati non volessero essere prossimi ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Io questo ovviamente non lo posso dire. Tra l'altro, erano due avvocati molto diversi tra loro, nel senso che l'avvocato di Gallico Carmelo era l'avvocato Arcai del foro di Brescia, perché Gallico Carmelo ha sempre cercato da un punto di vista formale di prendere le distanze dalla famiglia, anche nominando avvocati che non difendevano altri familiari. Ritengo che l'avvocato Arcai non conosca neanche l'avvocato Contestabile.
  L'assenza dell'avvocato Contestabile...

  ENRICO BUEMI. È un politico l'avvocato Contestabile ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. No. L'avvocato Contestabile non lo so, sinceramente non mi sembra neanche giusto dirlo perché non ne ho idea. Ho solo registrato la stranezza di un professionista che fa esclusivamente penale, che fa quasi esclusivamente criminalità organizzata, che ha fatto nella sua vita migliaia di interrogatori di detenuti in custodia cautelare, per cui sa benissimo di non potermi dire «sono ad Asti, mi dispiace» quando sono venuto da Reggio Calabria e la misura è in scadenza. Soltanto questo, francamente di più non so. Non credo che l'avvocato Contestabile sia stato sentito dalla procura di Viterbo.

  CIRO FALANGA. Soltanto una curiosità, dottore, perché non conosco gli atti. Pag. 14Lei ha detto di non essersi costituito parte civile. Come è giunto a questa sua determinazione ? Perché ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Innanzitutto per una questione personale: non avevo alcuna voglia di lucrare su questa vicenda, volevo proprio dimenticarla, poi perché non volevo creare ragioni di incompatibilità. Io non ho neanche denunciato Gallico, si è proceduto nei suoi confronti perché era un reato procedibile d'ufficio, quando sono stato chiamato sono stato sentito, non ho mai detto una parola di più, che comunque non avrei detto.
  Quando i colleghi hanno ritenuto di qualificare il fatto in quel modo, io non ho mai detto niente e non ho mai neanche nominato un avvocato. Avrei potuto nominare l'avvocato della persona offesa per andare a parlare con il pubblico ministero per farlo riflettere sulla qualificazione giuridica, cosa che fanno tutti, ma io ho evitato anche per correttezza nei confronti dei colleghi di Viterbo, perché non volevo in alcun modo influenzarli in questa storia.
  È paradossale che si sia costituita la polizia penitenziaria. Per fortuna almeno è stato assolto da quei reati e non hanno avuto un risarcimento.

  CIRO FALANGA. Lei conviene con me che il legittimo sospetto attiene ai comportamenti o a valutazioni riferibili all'organo giudicante, non al pubblico ministero...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, ma lui è molto abile in questo, non è l'ultimo arrivato. Non la poneva così, ma diceva che non c'era più la serenità che poi è la causa classica di legittimo...

  CIRO FALANGA. La serenità nell'organo giudicante ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Nell'organo giudicante, perché, diceva, in corte d'assise ci sono i giudici popolari che sono sei su otto e che per un anno hanno visto il pubblico ministero per due volte alla settimana, sanno quello che è successo, lo hanno visto tornare nelle prime udienze non proprio in forma, con gli avvocati che sostanzialmente tengono un profilo basso...
  Gallico citava un episodio in particolare nella prima istanza di rimessione e diceva che il dottor Musarò era stato aggredito il 7 novembre, aveva avuto una prognosi di quaranta giorni, che in teoria avrebbe dovuto finire a metà dicembre, invece si era presentato all'udienza del 3 dicembre, che è vero, ma io ero in servizio da fine novembre per altre questioni.
  Nel corso di quell'udienza è stato sentito Barone Vincenzo, che era stato giudicato con rito abbreviato, che era il marito di Lucia Gallico, sua nipote, ed era teste della difesa. Durante il controesame l'ho un po’ incalzato, ma chi mi conosce sa che, se faccio una domanda in controesame, la faccio perché il teste va incalzato.
  Visto che questo ragazzo non capiva come funzionava, ossia che doveva aspettare che il pubblico ministero finisse di fare la domanda, e quindi ci accavallavamo gli ho detto un paio di volte che doveva stare zitto quando gli ponevo una domanda. Gallico ha scritto nell'istanza di rimessione che il PM inferocito aveva detto per ben due volte «stia zitto» al teste, senza che nessuno gli dicesse niente, non solo il presidente della corte ma anche gli avvocati, a riprova del fatto che c’è un clima di intimidazione. Ha strumentalizzato la vicenda.
  Anche adesso, nell'ultima istanza di rimessione, ha scritto che, siccome ha preso atto dalla stampa che un collaboratore ha detto che i Bellocco volevano fare un attentato al dottor Musarò e al dottor Prestipino a Palmi e c'era l'avallo dei Gallico, a questo punto è turbata la serenità, perché i giudici popolari leggono i giornali. Gallico strumentalizza qualsiasi cosa, il problema è che poi il processo viene sospeso.

Pag. 15

  CIRO FALANGA. Lei non ha mai pensato di astenersi, dato questo clima che effettivamente, per come lei lo descrive...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. No, per due motivi: primo perché sinceramente io mi sentivo sereno nel processo perché, se avessi percepito una mancanza di lucidità e di serenità, mi sarei astenuto, e poi perché quelli sono processi in cui non si può sostituire un pubblico ministero con un altro, perché il patrimonio conoscitivo che c’è a monte, che è frutto di anni di indagine, non si sostituisce. Sinceramente non ho voluto accontentare Gallico che mi aveva aggredito per farmi astenere, arrecando un danno al processo, visto che mi sentivo pure sereno, e non ho ritenuto di astenermi.

  CIRO FALANGA. Un'ultima cosa: la ricusazione degli avvocati al presidente fu conseguenza ovviamente dell'episodio...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì.

  CIRO FALANGA. Credo che il presidente sia perseguibile d'ufficio, ma sarà nato un altro processo.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. È un fatto che si è verificato nel 1992, quando andavo all'università. Ne ho sentito parlare quindici anni dopo, quando sono arrivato a Palmi. Ci sarà stato sicuramente un processo a Catanzaro, ma non so come sia finito.

  GIULIA SARTI. Volevo chiederle se dopo l'aggressione siano state adottate misure ulteriori all'interno del carcere di Viterbo nei confronti di Domenico Gallico, se gli sia stato applicato il 4-bis dell'ordinamento penitenziario.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, lui è stato trasferito immediatamente a Tolmezzo ed è in isolamento da quel giorno. Questo lo so perché finché sono stato a Reggio Calabria lui era indagato in un altro procedimento. Anche per questo si arrabbia. Anche a luglio 2014 è arrivata un'altra ordinanza a lui e ad alcuni suoi familiari, abbiamo sequestrato beni, ma era ancora in isolamento a Tolmezzo.

  GIULIA SARTI. Un'altra cosa: lei ritiene che la DDA di Roma dovesse essere informata dalla procura di Viterbo in merito all'aggressione che c’è stata nei suoi confronti ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Funziona così: se la procura territorialmente competente, che era quella di Viterbo, ritiene di non essere funzionalmente competente perché ravvisa gli estremi della circostanza aggravante dell'articolo 7 della legge n. 203 del 1991, deve trasmettere gli atti alla DDA, non la deve informare, però è una valutazione che spetta alla procura di Viterbo, che non ha fatto una valutazione di questo tipo e io non ho mai interferito. Come non ho interferito sulla qualificazione giuridica del fatto, non ho detto niente neanche su questo. Sono valutazioni...

  GIULIA SARTI. Glielo dico perché loro...

  PRESIDENTE. Può servire ripeterle la risposta del procuratore di Viterbo. Quando gli ho chiesto perché non fossero stati trasmessi gli atti alla DDA, il sostituto procuratore Petroselli mi ha risposto «perché questo non rientra in alcuno dei casi per i quali è prevista la competenza della DDA. Se un mafioso, ’ndranghetista o un appartenente ad associazioni criminose commette un reato qualunque, non per questo è competente la DDA».
  Ho chiesto quindi se ritenesse quello di chi aggredisce il magistrato che l'ha condannato e che lo sta interrogando un reato qualunque, e il sostituto procuratore mi Pag. 16ha risposto «sono lesioni aggravate, è qualunque nel senso che non è compreso tra quelli per i quali è previsto».
  Scusate, quale era l'obiettivo che poteva avere il Gallico nell'afferrare per il collo il dottor Musarò, se non quello di avere dei vantaggi come persona accusata di 416-ter e a regime di 41-bis ? Il procuratore mi risponde: «quali vantaggi ? Voleva vendicarsi. Vantaggi non ne avrebbe avuti». Scusate, ma poteva far fuori il magistrato che aveva in mano tutta la sua vicenda o no ? Sostituto procuratore: «sì, ma il vantaggio sarebbe stato eliminare lui».

  GIULIA SARTI. Un'altra cosa, presidente: ci deve essere un altro passaggio in cui giustificano tale scelta con il fatto che il difetto di competenza non sia stato rilevato né dal giudice, né da altri, quindi a supporto della loro tesi sulla competenza e sul non trasmettere gli atti...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sul giudice hanno ragione sicuramente, non vedo chi altro avrebbe dovuto rilevarlo.

  GIULIA SARTI. Citavano addirittura gli avvocati di parte !

  ENRICO BUEMI. All'epoca dei fatti era in servizio questo sostituto ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, però ognuno fa il suo lavoro, loro hanno fatto il loro, preferisco non dire nulla.

  PRESIDENTE. Noi apprezziamo il suo comportamento, ma lei apprezzi il nostro. Facciamo un altro mestiere, siamo parte in causa in questo caso.

  GIUSEPPE LUMIA. Per capire bene la vicenda dell'articolo 7, del favoreggiamento, che avrebbe fatto scattare la competenza della DDA di Roma, è importante la figura di Gallico.
  Gallico ha un ruolo dominante nella cosca, quindi un gesto di aggressione di un magistrato serve a rafforzare la leadership, quindi del 416-bis nella sua organizzazione mafiosa.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Facendo un discorso accademico, l'articolo 7 ha due accezioni. Un reato può essere aggravato dall'articolo 7 perché commesso al fine di agevolare l'attività della cosca, che è l'ipotesi che mi pare di capire state valutando voi, però può essere aggravato dall'articolo 7 anche perché commesso solo con metodo mafioso. Sono valutazioni.

  GIUSEPPE LUMIA. Volevo andare su questo secondo punto e chiedo a lei ed eventualmente alla presidente, perché la valutazione del metodo mafioso anche all'interno del carcere, una sezione di 41-bis, tiene conto, presidente, anche della possibilità di acquisire le ore di socializzazione negli anni in cui Gallico è stato a Viterbo, in modo da capire i rapporti con le cosche della ’ndrangheta lì presenti o con i capimafia in condizione di costruire dei legami.
  Abbiamo detto che Gallico è un esponente di una famiglia tra le più potenti della ’ndrangheta tirrenica, quindi dobbiamo comprendere quali altri capi della ’ndrangheta fossero presenti a Viterbo e i momenti di socializzazione.
  Dovremmo verificare anche se sia stato detenuto nella sezione in cui ci sono le celle a testa a fronte, che, come sostengo da anni, consentono di fare delle assemblee anche nelle sezioni specializzate, e quali detenuti sono stati nelle celle a fronte negli anni in cui è stato a Viterbo. Grazie.

  CIRO FALANGA. Una considerazione finale. Pur volendo assumere una posizione estranea a giudizi di valutazione, precisando come l'articolo 7 si applichi non soltanto quando il reato ha una caratterizzazione di stampo mafioso, ma anche quando un reato comune è consumato Pag. 17con metodo mafioso, mi pare che abbia asserito il suo convincimento che per quel processo fosse opportuna l'applicazione dell'articolo 7. È una mia valutazione, una mia interpretazione del suo pensiero.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. È una valutazione. Bisogna anche dire che ovviamente per chi è stato dieci anni a Reggio Calabria la percezione dell'articolo 7 è più facile, la mastichiamo di più. Il resto sono valutazioni. Hanno ritenuto di fare quella valutazione, il giudice non si è ritenuto neanche incompetente, pazienza !

  PRESIDENTE. È il motivo per il quale insieme alla specializzazione bisognerebbe fare una formazione generale per trasferire questa sensibilità. Mi pare che questo emerga con molta chiarezza.
  Le farei un'ultima domanda per poi passare alla seconda parte (aggiunga comunque tutto quello che ritiene): secondo lei ci sono connessioni tra l'aggressione che lei ha subito per mano di Gallico Domenico, le dichiarazioni di Fondacaro Marcello sull'attentato ai danni suoi e del dottor Prestipino e la vicenda di Maria Concetta Cacciola ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Connessioni ... Marcello Fondacaro ha detto una cosa precisa, e vi ho portato anche questo verbale: ha detto che i Bellocco, a seguito di una serie di indagini, da ultimo quella sulla vicenda Cacciola, avevano deciso di fare una cosa che per la ’ndrangheta sarebbe stata una novità, cioè di fare un attentato ai danni miei e del dottore Prestipino. Il dottor Prestipino all'epoca era il mio aggiunto di riferimento, lo è sempre stato a Reggio Calabria perché era il coordinatore dei sostituiti della fascia tirrenica.
  Avrebbero dovuto fare questo attentato a Palmi in una delle ultime udienze del processo «Cosa mia». Fondacaro aveva informazioni molto precise sulla macchina che utilizzavo, sui miei spostamenti, sul percorso che facevamo.
  La connessione sicuramente è dovuta al fatto che negli anni di Reggio Calabria abbiamo fatto tante cose, però per quanto mi riguarda, se dovessi scegliere due famiglie che sono state colpite per le indagini che ho fatto, sceglierei sicuramente i Gallico e i Bellocco. Questo è un motivo.
  Il secondo profilo di connessione è sicuramente il fatto che l'attentato si doveva fare a Palmi e ovviamente per una cosa del genere ci voleva il consenso anche di altre cosche (in teoria anche della provincia, ma mi pare di capire che avessero deciso di bypassarla), in primis quello della cosca sul cui territorio si sarebbe fatto l'attentato e che per prima quindi sarebbe stata oggetto di attenzione investigativa, che era quella dei Gallico, che secondo Fondacaro aveva dato il consenso. Questa è la connessione.
  La vicenda Cacciola è molto complessa. Se volete ve la espongo sinteticamente, è una vicenda che umanamente lascia un po’ di amarezza. Maria Concetta Cacciola apparteneva a una famiglia di ’ndrangheta di Rosarno, i Cacciola, che sono una sorta di braccio armato dei Bellocco, che sembra una battuta perché i Bellocco non hanno bisogno di un braccio armato, ma sono la frangia particolarmente violenta dei Bellocco con i quali sono anche imparentati.
  Questa ragazza era figlia di Cacciola Michele, che era cognato di Bellocco Gregorio, che è uno dei capi storici dei Bellocco. Questa ragazza, senza essere mai stata oggetto di attenzione investigativa da parte nostra, si presenta presso la stazione dei Carabinieri di Rosarno l'11 maggio del 2011, perché l'avevano convocata per una notifica di un'informazione di garanzia al figlio che era minorenne, per la patria potestà.
  In questa occasione lei si lascia un po’ andare con i militari e dice di temere seriamente per la sua incolumità, perché questa ragazza, che aveva all'epoca trentuno anni, era sposata da quando ne aveva quindici, aveva una figlia di quattordici – quindici anni, il marito era detenuto da Pag. 18molti anni e lei aveva una relazione extraconiugale. I familiari se ne erano accorti o lo sospettavano, erano arrivate lettere anonime, a Rosarno per una cosa di queste in una famiglia mafiosa la soluzione per recuperare l'onore è solo una, quindi lei giustamente aveva paura.
  I Carabinieri le dissero che l'avrebbero riconvocata e lei disse che avrebbero effettivamente dovuto convocarla, perché non si poteva spostare liberamente, non poteva prendere la macchina e recarsi lì. La riconvocano, lei aggiunge altro in quell'occasione, dice di aver paura perché, se i suoi avessero saputo che si trovava là, l'avrebbero uccisa. In particolare aveva paura del fratello Giuseppe e di diventare vittima di un episodio di lupara bianca. Del resto a Rosarno ce ne sono tanti così.
  Veniamo informati noi, facciamo una delega ai Carabinieri, la sentono questa volta i dirigenti, il capitano Borracchia e il tenente Ceccagnoli della compagnia dei Carabinieri di Gioia Tauro, e questa ragazza immediatamente (era il 23 maggio 2011) fa capire che ha una serie di cose da dire sui Bellocco. Andiamo a sentirla il 25 maggio 2011 io e la collega Alessandra Cerreti. Assumiamo le informazioni perché lei non era indagata, e ricordo che in questo primo verbale lei parlò di una serie di omicidi di cui mi ero occupato io e di uno in particolare che purtroppo era rimasto insoluto.
  Mentre parlava io mi rendevo conto che gran parte delle cose che diceva erano già riscontrate dalle indagini, quindi era attendibile. Questo verbale sarà durato due ore ma è stato un calvario, perché lei era terrorizzata perché doveva andare via, perché non poteva giustificare un'assenza di due ore da casa e i familiari sospettavano che avesse un amante, quindi viene messa sotto protezione, viene spostata il 29 maggio del 2011.
  Nei giorni successivi la sentiamo due volte, una volta va la dottoressa Cerreti e lei rende una serie di dichiarazioni e consente di trovare dei bunker, il 28 giugno 2011 vado io a Cassano allo Ionio, facciamo un lunghissimo verbale in cui rende dichiarazioni che poi hanno portato anche ad operazioni di polizia giudiziaria importanti.
  Succede però che i familiari riescono a rimettersi in contatto con lei, approfittando del fatto che aveva tre figli minorenni a Rosarno, per cui su Facebook aveva creato un profilo con un nome falso, aveva chiesto l'amicizia alla figlia, la figlia l'aveva accettata, le aveva detto che era lei e si erano rimesse in contatto.
  La costringono a tornare a Rosarno, la costringono a registrare una ritrattazione delle dichiarazioni che aveva reso a noi senza essere interrogata, perché sapeva che, se fosse venuta da noi a dire di essersi inventata tutto, sarebbe stata sottoposta a un esame piuttosto serrato. Le fanno scrivere una ritrattazione per quella che è l'ipotesi accusatoria, che in abbreviato ha retto, da due avvocati, registrano questa ritrattazione (vi produco anche una memoria perché uno dei processi in cui sono applicato è questo a Palmi e la settimana scorsa ho fatto la requisitoria).
  In abbreviato hanno condannato tutti, in dibattimento era rimasto uno degli avvocati, l'avvocato Cacciola, è stato un dibattimento difficile che ha avuto un momento importante perché l'altro avvocato, quello condannato in abbreviato, l'avvocato Vittorio Pisani, ha chiesto di collaborare con l'autorità giudiziaria e ha confermato tutta la nostra impostazione.
  La settimana scorsa ho fatto la requisitoria. L'udienza per la definizione è fissata per giovedì 23. La settimana scorsa ho depositato una memoria in cui sono sintetizzate la requisitoria (ve la produco su cd) e tutta la vicenda. Le intercettazioni di Maria Concetta Cacciola poco prima di tornare a Rosarno e quando torna a Rosarno sono intercettazioni veramente terribili, perché chi le legge e ha fatto studi classici sa che non è materia per un processo, è materia per una tragedia greca.
  Questa ragazza torna infatti a Rosarno consapevole di quello che sarebbe successo e che nel momento in cui avesse ritrattato le dichiarazioni sarebbe finita quella che lei chiama nelle intercettazioni «la garanzia Pag. 19sulla vita», perché ovviamente finché c'era un verbale di dichiarazioni al pubblico ministero nessuno l'avrebbe toccata, perché se avessero ammazzata sarebbe stato utilizzabile de plano, come prevede il codice di procedura penale. Pur essendo una ragazza che non aveva mai commesso reati, era intrisa di quella cultura, di quella mentalità e capiva perfettamente le dinamiche ’ndranghetiste.
  In una telefonata terrificante con una sua amica dice: «so che succede: io torno, mi fanno ritrattare e poi mi ammazzano, ma io ho paura a tornare, però non posso non tornare perché devo tornare per i miei figli» e succede esattamente questo, con la chicca che simulano un suicidio.
  Lei torna a Rosarno il 9 agosto, fa questa registrazione il 12 agosto, è terrorizzata, contatta i Carabinieri del ROS che erano il suo anello di congiunzione con il servizio centrale, chiede di tornare nel programma (ci sono intercettazioni su questo), ma quando sembra tutto pronto per tornare ci sono due giorni di silenzio telefonico e poi la trovano morta per aver ingerito acido muriatico, che purtroppo è anche un gesto evocativo, cioè una fine che viene riservata ai collaboratori di giustizia, a chi parla troppo.
  Fanno un processo a Palmi in cui processano i familiari per maltrattamenti aggravati dall'evento morte, che è un processo di cui hanno fatto anche trasmissioni televisive nelle settimane scorse come Un giorno in pretura. All'esito di questo dibattimento complicatissimo, il 13 luglio del 2013 la corte d'assise di Palmi se ne esce con un dispositivo scioccante, condannando i familiari solo per i maltrattamenti, non riconosce l'aggravante dell'aver provocato il suicidio, trasmette gli atti alla DDA per omicidio e poi scrive chiaramente in sentenza che l'hanno ammazzata e trasmette gli atti anche per gli avvocati.
  L'indagine per omicidio è tuttora in corso, mentre gli avvocati sono stati arrestati per una serie di reati aggravati dall'articolo 7, uno è stato condannato con rito abbreviato, per l'altro, l'avvocato Cacciola, mercoledì scorso ho chiesto per lui una condanna a nove anni e sei mesi e sinceramente spero che la richiesta venga accolta. Questa è in sintesi la storia di Maria Concetta Cacciola.

  CIRO FALANGA. Terribile. Quando è stata sottoposta al programma di protezione si sapeva però che aveva tre figli minori. Non sarebbe stato opportuno che questa donna fosse allontanata anche con i bambini ? Lasciare i tre bambini a Rosarno è stato un errore madornale.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Guardi, per la verità lei lo ha detto fin dal primo verbale: all'inizio non voleva i figli perché questa ragazza, come risulta anche dalle deposizioni dibattimentali, aveva una voglia di vivere pazzesca, perché aveva fatto la solita fuitina a tredici anni, si era sposata a sedici anni con uno che poi era stato condannato per associazione mafiosa e che era detenuto da tanti anni, aveva voglia di vivere.
  Ha chiesto di andare via sotto protezione, perché aveva paura di essere ammazzata e all'inizio, siccome con la madre aveva un rapporto simbiotico, ha detto che con sua madre sarebbero stati bene, poi ovviamente dopo quaranta giorni non ha retto e ha cercato un contatto, però ritengo che questo non sia stato un errore del servizio di protezione, perché è stata una sua richiesta esplicita.

  GIUSEPPE LUMIA. Mi scusi, però anche a me questa cosa è sembrata un po’ anomala, perché nei riti della ’ndrangheta e anche delle altre mafie questo è un punto micidiale di debolezza, di minaccia e di ritorsione. Mi sembrano strane anche quelle quarantotto ore di silenzio tra la richiesta di tornare sotto protezione e la predisposizione di un ulteriore provvedimento per la messa in sicurezza, perché non siamo più a quindici o vent'anni fa e sappiamo che ogni ora è preziosissima, quindi è probabile che quel ritardo sia stato fatale.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale Pag. 20di Roma. Mi sono spiegato male: quelle quarantotto ore di ritardo non erano da addebitare al servizio di protezione, non avevamo bisogno di un provvedimento del servizio di protezione davanti a una persona che aveva paura di essere ammazzata.
  È agli atti una serie di conversazioni con il maresciallo dei Carabinieri, in particolare il maresciallo del ROS che era il suo personaggio di fiducia, in cui lei diceva di non essere libera di uscire, i Carabinieri le dicevano che sarebbero andati fuori dalla porta a prenderla, ma lei ribatteva che non poteva uscire di notte, tanto più che il fratello abitava di fronte, tanto che chiedeva ai Carabinieri di simulare un arresto, ma quelli obiettavano che era meglio evitare un falso in atto pubblico.
  Le proponevano allora di farlo quando usciva di mattina con sua madre, ma lei diceva che in quel caso il padre se la sarebbe presa con la madre. C’è stata una specie di ping-pong per due giorni. Aveva un appuntamento di notte con i Carabinieri, ma poi li ha chiamati perché la figlia piccola non stava bene. Bisogna anche tenere presente che questa ragazza non era libera di parlare al telefono e parlava con un cellulare che teneva nascosto ai familiari, che teneva spento tutto il giorno.
  Le cose che hanno fatto capire chiaramente che non si poteva essere suicidata erano innanzitutto che il silenzio di due giorni è con i Carabinieri ma non con la persona con cui aveva una relazione extraconiugale, con cui stava progettando un futuro insieme e le conversazioni sono fino al giorno prima, e poi c’è l'esposto a cui allegano una lettera, lasciando intendere che fossero le ultime volontà della ragazza mentre era stata scritta molto tempo prima, e poi c’è l'autopsia da cui risulta chiaramente, tanto che la corte d'assise denuncia per falsa perizia il consulente, perché anche vedendo le foto si capiva che questa ragazza era stata presa e tenuta dal collo, cosa che non risultava invece dalla relazione del consulente tecnico.
  C'era anche il fatto che questa ragazza che era sorvegliata a vista, tanto che non aveva modo di uscire per farsi prelevare dai Carabinieri, ma quel pomeriggio in cui è stata trovata morta guarda caso l'avevano persa di vista. Poi ci sono tante altre cose che la corte d'assise di Palmi evidenzia.
  La sentenza è passata in giudicato, per cui allo stato l'indagine per omicidio procede, però si può dire che è stato accertato con sentenza passata in giudicato che Maria Concetta Cacciola è stata ammazzata, e la corte d'assise dice chiaramente che è stata ammazzata nell'ambito familiare, poi non si può dire esattamente da chi, altrimenti sarebbero già stati arrestati, che però il contesto sia quello, la matrice sia quella, la causale sia quella è fuori di dubbio.

  ENRICO BUEMI. La perizia ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Mi sono espresso male, perché non era una perizia, era una consulenza tecnica del pubblico ministero, cioè l'autopsia.
  L'esame del consulente del pubblico ministero in assise è piuttosto incalzante, rileva una serie di cose che non erano state evidenziate dal consulente, che aveva sposato in toto la tesi del suicidio, mentre anche guardando solo le foto si capisce che c’è qualcosa che non va, c’è una serie di anomalie.
  La corte d'assise trasmette gli atti, ravvisando ipotesi di reato per favoreggiamento aggravato dall'articolo 7 per questo consulente, se non sbaglio anche corruzione aggravata dall'articolo 7, perché c'era una conversazione subito dopo aver portato la ragazza in ospedale.
  Viene trovata dalla madre e dal padre e caricata a bordo della loro Mercedes, in cui c'era una microspia, per cui gli ultimi momenti li abbiamo sentiti in diretta. Subito dopo c’è una conversazione in cui il padre chiede se il perito sia di Reggio e si parla di una busta di soldi, conversazione che la corte ha valorizzato considerando altamente probabile che fossero destinati a lui, però su questo l'indagine è in corso.Pag. 21
  L'esito processuale e procedimentale di quella trasmissione degli atti è stato l'arresto degli avvocati. La collaborazione di uno dei due ha aperto scenari inquietanti.

  ENRICO BUEMI. Ai periti dobbiamo dedicare un'attenzione specifica, perché questa questione dei periti ritorna costantemente non soltanto nei processi di mafia, però nei processi di mafia ha un peso rilevante.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Anche Gallico si lamenta dei periti.

  PRESIDENTE. Ci sono alcuni casi di imperizia e negligenza, altri che probabilmente sono di...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. L'autopsia è un atto urgente e non c’è il tempo di fare un incidente probatorio. Di solito lo nomina il pubblico ministero, quindi quello era un consulente del pubblico ministero.

  PRESIDENTE. Magari basta sapere chi è e poi si interviene, basta sapere quando è stato nominato.

  CIRO FALANGA. Per capire se sia stato già nominato in altri processi.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, era uno abitualmente nominato. Le materie su cui di solito i periti hanno molto spazio per attestare il falso dal punto di vista sanitario sono le malattie psichiatriche oppure spesso capita che i periti nominati per trascrivere le intercettazioni non sentano la parola chiave e invece di scrivere Gallico scrivono «incomprensibile» cambiando il senso di una intercettazione e quindi di un processo. Però qualche processo ai periti e ai consulenti l'abbiamo fatto, sia ai trascrittori che ai medici.

  ENRICO BUEMI. Magari una pagellina sugli errori come si fa con altri soggetti...

  PRESIDENTE. Volevo fare un'altra domanda che riguarda la stampa, perché il caso Cacciola fu trattato diversamente dalla stampa nazionale e dalla stampa locale, in particolare la lettera della ritrattazione fu pubblicizzata da un giornale, L'Ora della Calabria.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, su questo ha aperto gli scenari il collaboratore Vittorio Pisani, che era uno dei due avvocati, perché Maria Concetta Cacciola nomina due avvocati che sono coinvolti in questa vicenda, Vittorio Pisani che rappresenta i Bellocco, perché era l'avvocato dei Bellocco, e Gregorio Cacciola che rappresentava i Cacciola. Ovviamente erano interessi convergenti.
  Pisani è stato condannato in abbreviato e ha iniziato a collaborare. La collaborazione di Vittorio Pisani è stata particolarmente soddisfacente sia per il valore e l'importanza delle dichiarazioni che ha reso, sia perché la legge non lo pretende, però per quello che ho potuto percepire io e anche la collega e il tribunale di Palmi mi sembra che abbia avuto veramente un momento di rivisitazione critica di quello che è successo, e Pisani ci ha parlato dei rapporti con la stampa.
  Ne ho parlato anche durante la requisitoria, sia pure tenendo bassi i toni perché non è mio interesse o abitudine fare polemiche con la stampa, però si è verificata una situazione molto particolare quando dicevano che Maria Concetta Cacciola si fosse suicidata il 20 agosto del 2011, qualche giorno dopo partì una campagna stampa molto pesante su un quotidiano, L'Ora della Calabria. Erano degli articoli in esclusiva fatti per giorni e il titolo era: «Cronaca di un suicidio annunciato». Veniva attaccata pesantemente la DDA di Reggio Calabria, il modo in cui era stata gestita e veniva pubblicato un esposto dei familiari in cui gli inquirenti venivano accusati di aver approfittato di una depressione Pag. 22psichica di Maria Concetta Cacciola, che poi si è accertato non essere mai esistita, di aver prospettato la possibilità di un futuro migliore se avesse reso una collaborazione che, come scrivevano in questo esposto, «mai avrebbe potuto rendere».
  All'esposto pubblicato su questo giornale erano allegate la trascrizione della ritrattazione e una lettera. Questa lettera dai familiari è stata artatamente allegata all'esposto, cioè sembravano le ultime volontà di una persona che decide di suicidarsi, che quindi registra una ritrattazione, dice di aver detto cose inventate, che non poteva inventare, di aver subito pressioni e poi scrive una lettera in cui affida i figli alla mamma, quindi sembrava effettivamente una lettera di addio particolarmente toccante indirizzata alla madre per cui esprime parole di amore vero a differenza degli altri familiari.
  Poi si scopre facilmente che questa lettera di addio non l'aveva scritta prima di suicidarsi, ma l'aveva scritta a maggio, prima di andare via da Rosarno quando era stata messa sotto protezione. In dibattimento l'avvocato Pisani, sentito come collaboratore, ha raccontato che mentre redigevano questo esposto, l'avvocato Cacciola era in contatto con la stampa, non solo con L'Ora della Calabria, ma anche con La Gazzetta del Sud con i due direttori ai quali preannunciava l'invio di questo materiale prima o in concomitanza con il deposito dell'esposto. Era appena morta una ragazza, che necessità c'era di alzare tutto questo polverone, non solo di fare l'esposto, che aveva la finalità di favorire quelli che erano stati accusati dalla Cacciola, ma addirittura di darlo alla stampa con questa cura per il particolare ?
  L'avvocato Pisani in dibattimento ha detto chiaramente che il fine dei Cacciola era quello di utilizzare la stampa per delegittimare il modo in cui venivano gestiti i collaboratori di giustizia dalla DDA di Reggio Calabria in quel momento storico, che da quel punto di vista era particolarmente proficuo.
  Pisani fa un collegamento ulteriore con la vicenda di Giuseppina Pesce. Non sono valutazioni mie, ma riferisco quello che ha detto il collaboratore, relata refero, e riporto anche i verbali di trascrizione. Giuseppina Pesce, che apparteneva alla famiglia Pesce, altra famiglia importante di Rosarno, non era una testimone di giustizia, cioè non era una persona che non aveva fatto reati, rendeva dichiarazione e veniva messa sotto protezione, era una collaboratrice di giustizia. Era stata arrestata nell'operazione «All Inside» dell'aprile 2010 e che dopo sei mesi di detenzione aveva scritto alla DDA di Reggio Calabria e aveva iniziato a collaborare. Questa è la storia di Giuseppina Pesce.
  A distanza di alcuni mesi, nell'aprile 2011, Giuseppina Pesce invia una lettera al GUP di Reggio Calabria in cui dichiara di ritrattare le accuse, di aver detto cose non vere, e utilizza anche un'espressione: le domande che le venivano poste durante gli interrogatori contenevano un'esplicitazione, per cui più accusi i tuoi familiari, più sei credibile, ma io mi vergogno di quello che ho fatto, mi sento usata. Questa è la storia di Giuseppina Pesce, e anche qui una ritrattazione.
  Mentre conoscevo bene la vicenda Cacciola Bellocco, la vicenda Pesce la conoscevo perché stavo in quell'ufficio e mi occupavo di quella fascia di territorio, però a Rosarno come sostituiti della DDA siamo stati sempre divisi da quando c’è stato il procuratore Pignatone-Prestipino. Io mi occupavo dei Bellocco e la collega Cerreti si occupava dei Pesce, per cui tutte le vicende dei Pesce le conosceva meglio lei.
  Pisani ha detto che nella vicenda della Pesce è successa sostanzialmente la stessa cosa, cioè, lei fu avvicinata dai familiari, convinta a uscire dal piano di protezione, un avvocato le scrisse una ritrattazione che poi fu pubblicata sui giornali. Più o meno conoscevo la storia, ma non così bene. A quel punto, per riscontrare le dichiarazioni del collaboratore, perché per me in dibattimento era importante dimostrare che quello che diceva era vero, quindi tutto quello che si poteva riscontrare Pag. 23ho cercato di riscontrarlo, ho letto la sentenza del processo «All Inside» del tribunale di Palmi del 3 maggio 2013 sulla cosca Pesce, in cui viene ricostruita questa vicenda, ed effettivamente è ricostruita in questi termini.
  Questa ragazza è agli arresti domiciliari, una collaboratrice di giustizia sotto protezione. Lei aveva i figli, a differenza della Cacciola, però anche lì vengono utilizzati per farla uscire dal piano di protezione, al contrario, però, cioè i parenti del marito (i cognati, i suoceri) riescono a mettersi in contatto con questa ragazzina che avrà avuto quattordici – quindici anni, la convincono a far capire alla mamma che sta sbagliando, poi si mettono in contatto con la madre, convincono la Pesce che può uscire in maniera elegante dalla situazione e le dicono di non preoccuparsi (questo lo dice la Pesce in dibattimento) perché avrebbero nominato un avvocato per risolvere la questione.
  I cognati portano a Giuseppina Pesce una lettera dattiloscritta, scritta dall'avvocato Giuseppe Madia del foro di Palmi, che lei doveva copiare a mano e inviare al GUP. Nell'articolo c’è scritto che il capostipite era Titti Madia, senatore della Repubblica, un avvocato che sinceramente non conoscevo.
  In dibattimento si accerta che questo avvocato le invia una lettera, poi la Pesce in dibattimento dice che l’ avvocato le ha chiesto se «fossi convinta e cosa pensassi di questi passaggi, ma lui sapeva che io ero costretta e io sapevo che anche lui era costretto».
  Questa lettera che non è scritta da lei viene inviata al GUP, poi pubblicata su Calabria Ora il 28 aprile 2011, in cui c’è un'intervista in cui è scritto che la Pesce è stata costretta a collaborare per una serie di ragioni: hanno approfittato del fatto che le mancavano i figli, l'hanno trasferita a Milano, come se questo potere l'avesse la DDA e non il DAP, per tenerla lontana dai figli.
  L'articolo si concludeva in questo modo: «è evidente, racconta l'avvocato Madia, che la signora Pesce non ha detto la verità, ha solo detto quello che i magistrati volevano che dicesse. Per questo racconta, allungando finalmente la lettera della figlia, ha scritto questa cosa».
  Quindi pubblicano questa lettera che però non era stata scritta dalla Pesce, quindi parte una campagna stampa abbastanza tambureggiate, perché poi diventava una questione sui massimi sistemi. Mi ricordo che c'era una campagna sulla stagione dei collaboratori che doveva essere conclusa.
  Dopo due mesi e mezzo Giuseppina Pesce viene arrestata per evasione, chiede di essere interrogata, ritorna a collaborare e racconta tutto, poi lo racconta anche in dibattimento, per cui racconta tutto quello che è successo. Quando si verifica la vicenda di Maria Concetta Cacciola, tutto questo era già successo, cioè c'era già stata una stampa che in assoluta buona fede (non posso pensare diversamente) si era prestata, pensando di fare lo scoop e del buon giornalismo, a pubblicare questa lettera. Quando si verifica la vicenda di Maria Concetta Cacciola, la verità sulla vicenda Pesce era già emersa, poi è successo quello che ci ha raccontato il collaboratore Pisani.
  Un riscontro di quella dichiarazione è anche la frase finale dell'esposto che loro depositano e poi danno ai giornalisti, una frase che è una specie di monito: noi quali genitori (lo scrivono gli avvocati, ma lo firmano i genitori di Maria Concetta Cacciola) chiediamo che non succeda mai più che altre giovani ragazze vengano rapite e violentate psicologicamente (questo il senso), ma era chiaramente una cosa che andava oltre la vicenda Cacciola.
  La parte dell'esposto sulla vicenda Cacciola verteva sulla ritrattazione e poi scrivevano che la figlia era depressa, cosa che non era vera, e non poteva sapere niente, quindi non aveva niente da raccontare. Quella era la parte dell'esposto, chiaramente finalizzata a depotenziare le dichiarazioni che aveva reso.
  L'ultima parte va oltre, infatti l'altro giorno l'ho anche utilizzata per motivare la sussistenza dell'articolo 7 nella requisitoria, perché è evidente che non è solo la vicenda che comunque era più che sufficiente Pag. 24per l'articolo 7, qui andiamo oltre, c’è la finalità di disincentivare future collaborazioni, di renderle impopolari.
  Le vicende sono simili, però quella di Maria Concetta Cacciola forse era ancora più inaccettabile, perché mentre la Pesce era stata arrestata e aveva poi fatto una scelta di vita, accedendo ai benefici previsti dalla legge sui collaboratori, Maria Concetta Cacciola non era neanche detenuta, per cui era veramente inaccettabile in un certo ambiente.

  PRESIDENTE. C’è il primo titolo del giornale ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sì, Voi avete spinto mia figlia al suicidio. Poi il tempo è stato galantuomo, anche se purtroppo la tragedia è rimasta.

  FRANCO MIRABELLI. Volevo solo sapere se tutta questa parte del rapporto con i giornali calabresi sia stata già indagata dal comitato che sta svolgendo l'inchiesta sul rapporto tra mafia e giornalismo.

  PRESIDENTE. Erano domande che avremmo dovuto acquisire noi. Sicuramente nel lavoro finale rientrerà anche questa parte.

  ENRICO BUEMI. Riguardo a questo collega, Piscitello, dirigente del DAP, che sensazione ha avuto lei di questo intervento ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Il collega è stato assolutamente corretto.

  ENRICO BUEMI. Su un fatto così grave come quello che le è accaduto, un minimo di verifica da parte dei livelli superiori, anche centrali rispetto alle dinamiche riguardanti il fatto specifico, una verifica interna...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. La telefonata che ho ricevuto è stata una telefonata nell'immediatezza, fatta per dare solidarietà a un collega. Sicuramente stavano facendo le verifiche o le avrebbero fatte, non è che sono andati a guardare le telecamere perché gliel'ho suggerito io, questo mi sento di escluderlo. Il collega è stato assolutamente corretto e anche affettuoso.

  ENRICO BUEMI. Quando succedono fatti di quella rilevanza...

  PRESIDENTE. Una verifica interna del DAP c’è stata ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Io non posso saperlo.

  PRESIDENTE. Dobbiamo chiederlo noi, d'altra parte uno non può immaginare che quando un magistrato viene aggredito in carcere ci siano quei precedenti ai quali ha fatto riferimento, però mi auguro che un'inchiesta ci sia stata.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sicuramente è stata fatta.

  FRANCO MIRABELLI. Presidente, mi sembrava che prima il procuratore dicesse che nel processo che non sta seguendo lui non sapeva che tipo di indagine fosse stata fatta sul DAP e sugli agenti, per cui magari possiamo acquisire gli atti di quel processo...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Che sono pubblici, ormai sono in udienza preliminare.

  FRANCO MIRABELLI. Esatto.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Sicuramente la procura di Viterbo ha fatto una scelta processuale diversa, cioè non li ha processati tutti insieme. Se avesse fatto l'interrogatorio agli Pag. 25agenti della penitenziaria, avrebbe potuto fare un unico processo. Non l'ha fatto e questo mi fa pensare che avessero altri accertamenti da fare. Poi però cosa sia stato fatto sinceramente non lo so.

  FRANCO MIRABELLI. Però se ci fosse stata un'indagine interna al DAP, risulterebbe probabilmente agli atti processuali. Verifichiamo quindi se possiamo acquisire gli atti processuali.

  CIRO FALANGA. Va attenzionata la stampa locale, presidente, perché la stampa locale si regge sulla base...

  PRESIDENTE. Soprattutto in Calabria, dove non c’è neanche un giornale nazionale.

  CIRO FALANGA. Non soltanto dove non c’è un giornale nazionale, ma anche in altre realtà...

  PRESIDENTE C’è però un po’ di pluralismo in più...

  CIRO FALANGA. Sì, ma un certo tipo di stampa locale deve necessariamente avere l'assenso dell'ambiente. Io lo chiamo consenso alla mafia, per usare un'espressione già usata da Mimmo Airoma, un consenso passivo.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Secondo me non è un consenso e non è passivo.

  CIRO FALANGA. Salvo questi casi, in genere una stampa locale quantomeno deve muoversi in una condizione di consenso passivo, poi ovviamente ci sono situazioni diverse, ma la base è quella, come minimo comune denominatore.

  DAVIDE MATTIELLO. Nella cornice di questi episodi, vorrei chiederle qualcosa sull'omicidio di Franca Bellocco, se si colloca in questa prospettiva.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Quella è una vicenda che io conosco perché ero titolare dell'indagine prima di essere trasferito. È un classico omicidio. I motivi per i quali Maria Concetta Cacciola aveva paura di essere ammazzata e per i quali ha iniziato a collaborare Giuseppina Pesce, che aveva paura di essere ammazzata se non fosse stata arrestata perché aveva una relazione extraconiugale, sono gli stessi motivi per cui è stata ammazzata Franca Bellocco.
  C’è un'ordinanza del GIP di Reggio Calabria, è stato arrestato il figlio per omicidio aggravato dall'articolo 7, perché questa signora aveva una relazione extraconiugale da diversi anni con Cacciola Domenico, elemento di un certo spessore nella famiglia Cacciola, e a un certo punto i Bellocco hanno deciso, come dicono in Calabria, di togliersi l'onta in questo modo.
  Cosa poi sia successo a Domenico Cacciola non lo sappiamo, perché il giorno che è scomparsa Franca Bellocco è scomparso anche Domenico Cacciola, la cui scomparsa non è mai stata denunciata dai familiari.

  CIRO FALANGA. Chi era il procuratore capo di Palmi ? Si sono succeduti vari procuratori ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Nella vicenda Cacciola il procuratore della Repubblica era il dottor Creazzo, attualmente procuratore di Firenze, che è stato procuratore di Palmi fino al maggio o giugno del 2014. Nel periodo Cacciola 2011-2012, e anche nel processo in cui fece le richieste di pena era lui il procuratore.

  PRESIDENTE. Come definirebbe questa fase in Calabria per i collaboratori di giustizia, proficua o difficile ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Proficua e difficile, entrambe le Pag. 26cose. Ricordo che quando sono arrivato a Reggio Calabria per me era un territorio sconosciuto, ho sempre sentito dire che nella ’ndrangheta non ci sono collaboratori di giustizia perché hanno un vincolo di sangue, ma da un certo momento storico i collaboratori ci sono stati e sono stati anche importanti.
  Certo, è stato difficile soprattutto quando hanno iniziato a collaborare le donne. Il caso di Maria Concetta Cacciola da questo punto di vista è emblematico, perché pur di delegittimare la gestione dei collaboratori di giustizia si era disposti a pagare qualsiasi prezzo, anche quello di far passare la povera Maria Concetta Cacciola come una sorta di pazza, perché questo c'era scritto, ed anche a costo (lo scrive il GUP) di violarne l'intimità.
  Dei genitori che allegano a un esposto una lettera, non dicendolo esplicitamente, però lasciando intendere che fossero le ultime volontà e la danno ai giornalisti, perché è l'avvocato Cacciola che la dà al giornalista ed erano tutti d'accordo...

  CIRO FALANGA. Io sono avvocato, perché lei lo chiama avvocato ?

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Perché è avvocato.

  PRESIDENTE. Lei, senatore, non ha assistito all'audizione dell'avvocato Alpa, perché, se avesse assistito, non avrebbe questa certezza, perché ci ha detto che fin quando non c’è una sentenza passata in giudicato, loro non li radiano dall'albo.

  CIRO FALANGA. Io sono stato consigliere dell'ordine per dieci anni e gli avvocati li sospendevo dall'albo.

  PRESIDENTE. Bene !

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Questi sono sospesi dall'albo, però, proprio per la vicenda Cacciola, quando erano indagati avevamo montato le microspie all'interno degli studi legali, perché Reggio Calabria è un territorio difficile, però c’è una polizia giudiziaria eccezionale, che è riuscita a montarle soprattutto nello studio dell'avvocato Cacciola, che è una specie di enclave a Rosarno, tanto che l'avvocato Cacciola parlava a ruota libera pur sapendo di essere indagato, perché la corte d'assise aveva trasmesso gli atti alla DDA, perché era convinto che nessuno sarebbe mai riuscito a montare delle microspie nello studio.
  Proprio per quella vicenda ci fu un comunicato piuttosto polemico delle camere penali di Palmi per la pratica diffusa di montare microspie all'interno degli studi legali, cosa che comprimeva in maniera inaccettabile il diritto di difesa. In effetti, in una situazione normale è vero, sarebbe vietato dalla legge. Sono stati sospesi, però lo chiamo ancora avvocato perché è avvocato.

  CIRO FALANGA. Io per la verità però condivido la posizione della camera penale, perché lei sa bene che le microspie in uno studio professionale di avvocato...

  PRESIDENTE. Non avevamo dubbi. C’è un interessante convegno svolto a Palmi su questi temi. So che è tardi, però avrei una domanda finale, non so se le faccio fare il magistrato o un altro mestiere per rispondere a questa domanda, ma le donne nella ’ndrangheta, anche se abbiamo visto la funzione importante della Cacciola, della Pesce, però sono anche capi, boss...

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. A me è capitato di scrivere una richiesta, poi condivisa dal procuratore, di 41-bis per due donne, poi accolte, Gallico Teresa, che ho citato prima, e Aurora Spanò, moglie di Giulio Bellocco, capo dei Bellocco di San Ferdinando.
  Queste sono due autentiche capomafia, anche se hanno caratteristiche diverse, nel senso che Aurora Spanò è una capomafia a tutti gli effetti perché Giulio Bellocco era libero quando lei lo faceva, mentre Gallico Teresa ha approfittato della vacanza, perché tutti i fratelli di maggiore spessore, di Pag. 27maggiore carisma, Gallico Domenico, Gallico Giuseppe e Gallico Carmelo, erano detenuti.
  Ci sono quindi donne che esercitano un ruolo di vertice, di solito accade in un momento di vacanza, fungono da reggenti in mancanza degli uomini, e devo dire che lo sanno fare.
  La maggior parte delle donne viene raggiunta da provvedimenti custodiali per associazione mafiosa, perché fanno «i postini», cioè vanno ai colloqui con i detenuti, ricevono dall'esterno del carcere richieste di informazione, o portano le cosiddette «ambasciate», parlano con i detenuti che di solito sono gli elementi di vertice e portano fuori dal carcere le direttive.
  Questa è una condotta che per il codice penale è reato, la prima volta fu per l'operazione «Cent'anni di storia», il 21 luglio del 2008, quando furono arrestate Albanese Caterina e Mesiani Mazzacuva Valeria che erano rispettivamente le mogli di Molè Girolamo, classe ’61, e Molè Domenico, classe ’62, cioè gli elementi di vertice della cosca Molè, importante cosca di Gioia Tauro. Questo a mia memoria è stato il primo, il 21 luglio 2008.
  Negli anni successivi sono state arrestate tante donne dei Bellocco, dei Gallico, dei Pesce, perché avevano una funzione importante, quella di andare in carcere con tutti i parenti detenuti. Probabilmente anche questo ha spaventato qualcuno, perché cominciavano ad esserci collaborazioni e c'erano tantissime operazioni di polizia giudiziaria negli anni 2009, 2010 e 2011 a Reggio Calabria, per cui c'erano anche tante potenziali collaborazioni.
  Facendo la requisitoria, da pubblico ministero in udienza mi sono potuto permettere una valutazione e l'ho detta, secondo me è ancorata a qualche dato di fatto. La parte finale di quell'esposto aveva quella finalità, perché era chiaramente diretta alla DDA per dire adesso basta, e anche alle donne. Fondacaro racconta che parlando della vicenda Cacciola, Cosoleto Francesco gli disse: «hai visto che fine fanno i collaboratori di giustizia ?».

  PRESIDENTE. La ringraziamo, dottor Musarò. Non l'abbiamo audita solo per esprimerle solidarietà, ma perché eravamo sicuri (e le sue parole ce l'hanno confermato) che sarebbe stata una fonte di conoscenza molto importante per le nostre inchieste, in particolare quella sul 41-bis, sul quale da questa vicenda emergono criticità che bisognerà prendere in esame.
  Magari torneremo a disturbarla perché questa sera si è fatto tardi, ma dalla sua esperienza di Reggio, oltre alla vicenda di Viterbo, ci potrà fornire ulteriori elementi. Anche quello sui collaboratori di giustizia è un lavoro che inizieremo a fare. Oggi abbiamo presentato la relazione sui testimoni, ma faremo anche un lavoro sui collaboratori e questa esperienza sarà preziosa.
  Noi la ringraziamo, siamo orgogliosi che in questo Paese ci siano magistrati come lei, che fanno il loro dovere e lo fanno con grande dottrina, grande esperienza, ma anche con grande umanità, che per noi è un aspetto molto importante. Grazie.

  GIOVANNI MUSARÒ, sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Roma. Grazie a voi.

  La seduta termina alle 22.35.