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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V-XI Camera e 5a-11a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 20 maggio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, sulle iniziative conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n.70 del 2015 (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 8 
Sacconi Maurizio , Presidente della 11a Commissione del Senato della Repubblica ... 8 
Palese Rocco (FI-PdL)  ... 9 
Giacobbe Anna (PD)  ... 10 
Comaroli Silvana Andreina  ... 11 
Rizzetto Walter (Misto-AL)  ... 12 
Tripiedi Davide (M5S)  ... 13 
Santini Giorgio  ... 13 
Bonfrisco Anna Cinzia  ... 14 
Cariello Francesco (M5S)  ... 15 
Damiano Cesare (PD) , Presidente della XI Commissione della Camera dei deputati ... 16 
Boccia Francesco , Presidente ... 18 
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 18 
Boccia Francesco , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 19.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva in diretta sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, sulle iniziative conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno delle Commissioni riunite V e XI della Camera e 5a e 11a del Senato reca l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze Pier Carlo Padoan, sulle iniziative conseguenti alla sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 2015.
  Avverto che dopo la relazione del Ministro potrà intervenire un componente per ciascun Gruppo sia della Camera sia del Senato per non più di tre minuti. Qualora intervenga un solo componente per i Gruppi presenti in entrambi i rami del Parlamento, il tempo a disposizione viene raddoppiato a sei minuti.
  Prima di dare la parola al Ministro Padoan, al fine di assicurare un ordinato svolgimento dei lavori, invito i Gruppi a comunicare alla Presidenza entro i primi venti minuti della seduta il nome del deputato o senatore che intenda intervenire.
  Do la parola al Ministro Padoan e lo ringrazio per la partecipazione alla seduta odierna.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Buonasera a tutti e grazie per quest'opportunità di illustrare il decreto e di farlo ponendolo in un contesto più generale, anche per chiarirne meglio i princìpi ispiratori.
  Con quest'audizione il Governo intende informare il Parlamento in merito agli effetti sui conti pubblici derivanti dalla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, illustrando al contempo le misure adottate dal Consiglio dei ministri del 18 maggio scorso.
  Con la sentenza richiamata, come è noto, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della misura disposta con il decreto-legge n. 201 del 2011, che prevedeva la deindicizzazione nel biennio 2012-2013 per le pensioni di importo complessivamente superiore a tre volte il trattamento minimo. La sentenza cancella gli effetti di una norma che bloccava per due anni la rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a tre volte il trattamento minimo, ravvisando nella stessa norma profili di incostituzionalità rispetto ad alcuni aspetti.
  Come evidenzia la relazione che accompagnerà il decreto, ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 196 del 2009, si è reso necessario un intervento normativo che affrontasse la questione. In assenza di tale intervento, avrebbe trovato applicazione il meccanismo di indicizzazione contemplato dalla legge n. 388 del 2000, con la conseguente corresponsione degli arretrati Pag. 4relativi al triennio 2012-2014 e con un incremento non sostenibile della spesa per pensioni nel 2015 e negli anni seguenti.
  Secondo le regole della contabilità nazionale, che prevedono che gli effetti delle sentenze siano imputati nell'anno in cui la sentenza è emanata, gli oneri sarebbero contabilizzati nell'esercizio in corso, per la parte relativa al pagamento degli arretrati 2012-2014, e nei singoli esercizi di competenza, per quella relativa al pagamento delle spese maturate nell'anno 2015 e in ciascuno degli anni successivi.
  Nel 2015 la spesa aggiuntiva di competenza ammonterebbe a circa 17,6 miliardi di euro al netto degli effetti fiscali. Mantenendo immutato il quadro macroeconomico tendenziale previsto nel DEF, l'indebitamento netto tendenziale delle amministrazioni pubbliche in rapporto al PIL salirebbe nell'anno in corso dal 2,5 per cento previsto nel recente DEF al 3,6 per cento. Nel 2016 l'indebitamento netto tendenziale passerebbe, in rapporto al PIL, dall'1,4 all'1,7 per cento.
  Questi valori non consentirebbero all'Italia di rispettare le regole di bilancio europee. Ne conseguirebbe l'apertura di una procedura per deficit eccessivo nei confronti del nostro Paese per mancato rispetto sia del criterio del deficit sia del criterio del debito. L'indebitamento netto strutturale peggiorerebbe leggermente nel 2015. Non verrebbe così conseguito il miglioramento concordato in sede europea. Tutto ciò non permetterebbe all'Italia di usufruire della clausola delle riforme richiesta per il 2016 nel Documento di programmazione e di recente positivamente valutata dalle autorità europee. Inoltre, i maggiori oneri connessi alla sentenza ridurrebbero significativamente i margini di bilancio e di intervento per i prossimi anni sia in relazione all'intenzione del Governo di eliminare gli effetti delle clausole di salvaguardia, che altrimenti comporterebbero un aumento dell'IVA, sia per il finanziamento di nuovi interventi da porre in essere per sostenere la ripresa.
  Al fine di dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale, il Governo ha predisposto un decreto-legge che consente di salvaguardare gli obiettivi di finanza pubblica in coerenza con il percorso di rientro dei saldi di bilancio e del debito pubblico nell'ambito dei parametri europei e, allo stesso tempo, di coniugare tale percorso con i criteri solidaristici all'interno del sistema previdenziale e con i princìpi di adeguatezza, gradualità e proporzionalità enunciati dalla stessa Corte, prevedendo modifiche alla disciplina della rivalutazione automatica delle pensioni da applicare con riferimento agli indici di rivalutazione per gli anni 2012-2013.
  Tali misure consentiranno, anche utilizzando il margine di miglioramento tendenziale evidenziato nelle stime del DEF per l'anno in corso e, in misura minimale, negli anni successivi, di ricondurre il nuovo scenario tendenziale entro gli obiettivi indicati nel Documento programmatico dello scorso aprile. Prima di illustrare il contenuto dell'intervento adottato, ritengo utile ricordare il quadro in cui furono introdotti gli interventi di deindicizzazione effettuati nel 2011.
  Nel corso dell'anno 2011, con riferimento all'indicizzazione delle pensioni per il biennio 2012-2013, furono adottati due interventi nello spazio di pochi mesi. Con l'articolo 18, comma 3, del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito dalla legge n. 111 del 2011, veniva prevista una deindicizzazione parziale per il biennio 2012-2013 per le pensioni di importo complessivamente superiore a cinque volte il trattamento minimo, prevedendo un'indicizzazione al 70 per cento per la fascia d'importo fino a tre volte il minimo e nessuna indicizzazione per la fascia di importo superiore.
  Il secondo intervento a cui mi riferisco è costituito dall'articolo 24, comma 25, del decreto-legge n. 201 del 2011, convertito dalla legge n. 214 del 2011, che abrogava l'intervento appena precedente, prevedendo la deindicizzazione totale per le pensioni di importo complessivamente superiore a tre volte il trattamento minimo, Pag. 5con effetti finanziari pari al differenziale rispetto a quanto già previsto con il decreto-legge n. 98 del 2011.
  L'intervento di deindicizzazione disposto dal decreto-legge n. 201 del 2011 si collocava in un momento di particolare difficoltà dell'economia italiana e delle finanze pubbliche. Per arginare la crisi di fiducia che si era sviluppata nei mercati e ribadire l'impegno alla realizzazione del consolidamento dei conti, furono approvate tra maggio e dicembre 2011 tre manovre correttive, che, complessivamente considerate, determinarono una correzione del saldo di entità considerevole, circa 49 miliardi di euro nel 2012, 75,7 miliardi di euro nel 2013 e 81,3 miliardi di euro nel 2014, necessaria a raggiungere il pareggio di bilancio strutturale già nel 2013.
  Il decreto-legge n. 201 del 2011, il cosiddetto «Salva Italia», fu l'ultimo dei provvedimenti correttivi approvati nel corso dell'anno. Esso prevedeva un'importante ulteriore correzione dei conti, circa 20 miliardi di euro nel 2012, 21 miliardi di euro nel 2013 e 21 miliardi di euro nel 2014. Nei numerosi interventi disposti con questo provvedimento rientravano l'aumento dell'imposizione sugli immobili e sulle attività finanziarie, l'incremento dell'IVA e dell'accisa sui carburanti e l'aumento del carico contributivo per artigiani e commercianti. Infine, veniva anche prevista la deindicizzazione totale delle pensioni di importo pari o superiore a tre volte il trattamento minimo.
  Nel 2013 l'indebitamento netto è stato ricondotto entro il limite del 3 per cento del PIL, risultato confermato nell'anno successivo, e nel giugno 2013 la procedura per disavanzo eccessivo è stata chiusa. In un contesto di rallentamento dell'economia europea e di tensioni finanziarie, la flessione del PIL si è arrestata solo nell'ultimo trimestre del 2014.
  Nel complesso, tra il 2007 e il 2014 l'economia italiana ha subìto una flessione del PIL in termini reali pari a circa nove punti percentuali. A questa dinamica ha corrisposto un forte aumento della disoccupazione, un aumento dei lavoratori in cassa integrazione e la riduzione del potere d'acquisto di ampie fasce di lavoratori, tra i quali quelli del pubblico impiego. I sacrifici imposti dalla crisi e dai conseguenti interventi del Governo per evitare una deriva ancor più drammatica hanno colpito tutte le fasce della popolazione.
  Va, inoltre, ricordato che tra il 2011 e il 2014, a fronte di una flessione del PIL nominale, la spesa per pensioni è aumentata da 243,7 miliardi di euro a 256,9 miliardi di euro, passando dal 14,9 al 15,9 per cento del PIL. Senza l'intervento attuato nel 2011, essa sarebbe salita al 16,3 per cento del PIL. L'intervento sulle pensioni ha reso i titolari di pensioni più elevate, anche se certo non solo di quelle elevate, compartecipi della flessione del potere d'acquisto che ha interessato gli italiani in età lavorativa. L'intervento sull'indicizzazione delle pensioni di importo superiore a tre volte il livello minimo deve essere quindi considerato alla luce di un difficile consolidamento dei conti pubblici, nel contesto di una recessione prolungata e intensa.
  Richiamo adesso i princìpi essenziali della sentenza della Corte costituzionale. La sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del primo periodo del comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011. Sotto i profili della proporzionalità e dell'adeguatezza del trattamento pensionistico, la Corte ha ritenuto che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza con riferimento ai criteri di proporzionalità e adeguatezza delle prestazioni, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività.
  La disposizione censurata si limita a richiamare genericamente la «contingente situazione finanziaria», senza che emerga dal disegno complessivo la necessaria prevalenza delle esigenze finanziarie sui diritti oggetto di bilanciamento, nei cui confronti si effettuano interventi così incisivi. Pag. 6L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere d'acquisto delle somme percepite, da cui deriva, in modo consequenziale, il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, è stato ritenuto irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio.
  Dalla dichiarazione di illegittimità costituzionale conseguono, come detto, rilevanti effetti negativi per la finanza pubblica rispetto al quadro previsto a legislazione vigente nel DEF 2015. In assenza di un intervento normativo diretto a ridisciplinare la materia, riprenderebbe vigore per gli anni in esame, il 2012 e il 2013, la disciplina dell'indicizzazione delle pensioni per fasce di importo di cui alla legge n. 388 del 2000. Si tratta del regime generale di indicizzazione, il quale prevede per tutte le pensioni l'indicizzazione al 100 per cento per le fasce di pensioni fino a tre volte il trattamento minimo, al 90 per cento per le fasce di pensioni comprese tra tre e cinque volte il trattamento minimo e al 75 per cento per le fasce di importo superiore a cinque volte il trattamento minimo.
  Gli oneri per la finanza pubblica risulterebbero valutabili nei seguenti termini: maggiore onere al lordo degli effetti fiscali pari a 24,1 miliardi di euro circa per il 2015, relativo al periodo 2012-2015, di cui circa 6,85 miliardi come competenza 2015, avente carattere strutturale per gli anni successivi al 2015, sebbene in parte decrescente. Al netto degli effetti fiscali, l'impatto peggiorativo sui saldi di finanza pubblica può essere stimato, come detto, in circa 17,6 miliardi di euro per l'anno 2015 relativo al periodo 2012-2015, di cui circa 4,5 miliardi di euro come competenza 2015 avente carattere strutturale per gli anni successivi al 2015, sebbene con una tendenza leggermente flettente.
  È risultato necessario adottare un intervento normativo ai sensi della legge n. 196 del 2009, di contabilità e finanza pubblica, diretto a ridisciplinare la materia in attuazione della sentenza in esame, in una cornice finanziaria coerente con gli obiettivi di finanza pubblica assunti a livello europeo. Il decreto-legge adottato dal Consiglio dei ministri interviene sulla regolamentazione del regime pensionistico per gli anni 2012-2013, direttamente incisi dalla sentenza, e per gli anni successivi.
  L'intervento in esame si pone un duplice obiettivo. Il primo è quello di dare attuazione alla sentenza n. 70 del 2015, nell'ottica di ripristinare un adeguamento al costo della vita relativamente agli anni in esame per le pensioni di importo compreso tra circa 1.500 euro lordi e circa 3.000 euro lordi mensili, ispirato a criteri di proporzionalità e nell'ottica di una garanzia di adeguatezza delle prestazioni. Per le pensioni di importo superiore a circa 3.000 euro lordi mensili, la rivalutazione non viene invece riconosciuta, nell'ambito di un'impostazione solidaristica sia intragenerazionale sia intergenerazionale, in presenza di vincoli di bilancio stringenti.
  La graduazione della rivalutazione a regime dell'importo del trattamento pensionistico risponde al principio della solidarietà intragenerazionale. In un'ottica intergenerazionale, occorre riconoscere che il pagamento di 17,6 miliardi di euro nel 2015 e di circa 4,5 miliardi di euro annui negli anni successivi si rifletterebbe negativamente sulla pressione fiscale e sulla fornitura di servizi pubblici e trasferimenti, inclusi quelli alle generazioni più giovani.
  L'altro obiettivo è quello di coniugare i princìpi sanciti dalla sentenza n. 70 del 2015 con il mantenimento degli obiettivi di finanza pubblica di convergenza verso l'obiettivo di medio termine, che, parimenti, si sostanzia in un interesse generale del Paese, come sancito dalla Costituzione.
  La disposizione adottata prevede, per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, il riconoscimento della rivalutazione relativa agli anni 2012 e 2013 secondo le seguenti modalità: per Pag. 7gli anni 2012 e 2013, nella misura del 40 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiore a tre volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a quattro volte il trattamento minimo INPS, con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi; nella misura del 20 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a quattro volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a cinque volte il trattamento minimo INPS, con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi; nella misura del 10 per cento per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a cinque volte il trattamento minimo INPS e pari o inferiori a sei volte il trattamento minimo INPS, con riferimento all'importo complessivo dei trattamenti medesimi. La rivalutazione non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici complessivamente superiori a sei volte il trattamento minimo INPS.
  Per il periodo successivo, negli anni 2014 e 2015 il riconoscimento avviene nella misura del 20 per cento di quanto stabilito per le mensilità del biennio 2012-2013; a decorrere dall'anno 2016, nella misura del 50 per cento di quanto stabilito per la mensilità del biennio 2012-2013.
  Con questa misura il Governo compie la scelta di aumentare la capacità di spesa delle fasce meno abbienti della popolazione, come già fatto in passato. A titolo puramente esemplificativo e sulla base di una valutazione di massima, nel caso di un pensionato che riceve un assegno di circa 1.700 euro lordi mensili, che si colloca tra tre e quattro volte il trattamento minimo, il beneficio di questo intervento per l'anno 2015 è stimabile in circa 750 euro netti; per un pensionato che riceve un assegno di circa 2.200 euro lordi mensili, che si colloca tra quattro e cinque volte il trattamento minimo, il beneficio è stimabile in circa 460 euro netti; per chi riceve un assegno di circa 2.700 euro lordi mensili, che si colloca tra cinque e sei volte il trattamento minimo, il beneficio è stimabile in circa 280 euro netti. Ancora una volta, il Governo ha prestato più attenzione a chi ha redditi più contenuti.
  Infine, vengo ad alcune osservazioni sugli effetti del provvedimento sulla finanza pubblica. L'intervento proposto consente di ridurre la maggiore spesa per pensioni derivante dalla sentenza della Corte costituzionale a circa 2,8 miliardi di euro per l'anno 2015 e a circa 0,7 miliardi di euro annui dal 2016, con profilo leggermente decrescente. Al netto degli effetti fiscali, l'onere della sentenza sui conti pubblici è pari a circa 2,2 miliardi di euro per il 2015 e a circa 0,5 miliardi di euro dal 2016, con profilo leggermente decrescente. Restano fermi i livelli del saldo netto da finanziare e del ricorso al mercato fissati nella legge di stabilità 2015. Il provvedimento di assestamento per il medesimo anno terrà conto degli effetti del decreto-legge, nonché di quelli derivanti dal nuovo quadro di finanza pubblica.
  A seguito del decreto-legge, il rapporto programmatico tra indebitamento netto e PIL nel 2015 risulta confermato al 2,6 per cento. Per gli anni successivi restano sostanzialmente invariati i valori dell'indebitamento netto in rapporto al PIL previsti nel quadro tendenziale, pari all'1,4 per cento nel 2016 e allo 0,2 per cento nel 2017. Restano, inoltre, confermati gli obiettivi programmatici indicati nel Documento di economia e finanza. Per il 2018 e il 2019, si conferma la previsione di un avanzo di bilancio pari, rispettivamente, allo 0,5 per cento e allo 0,9 per cento. L'intervento del Governo consente di confermare il rispetto delle regole di bilancio europee. In particolare, la variazione dell'indebitamento netto strutturale, tenuto conto del pagamento di una quota relativa agli arretrati 2012-2014, che potrebbero essere considerati come una tantum, stanti le decisioni che dovranno essere assunte dalla Commissione europea nel 2015, rispetta pienamente il requisito dello 0,25 per cento previsto dal percorso di aggiustamento verso l'obiettivo di medio termine. Inoltre, il debito pubblico si mantiene su un sentiero declinante, consentendo Pag. 8di rispettare la regola del debito. In definitiva, la conferma dei valori dell'indebitamento netto già approvati con risoluzione dalle Camere e valutati positivamente dalla Commissione europea consentirà all'Italia di rispettare pienamente il quadro delle regole europee e nazionali, con chiari benefici in termini di risposta dei mercati, fiducia nelle istituzioni e sostenibilità della crescita. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Padoan.
  Do quindi la parola agli onorevoli collegi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAURIZIO SACCONI, Presidente della 11a Commissione del Senato della Repubblica. Intervengo nei limiti che devono essere, a mio avviso, propri a un parlamentare che a suo tempo votò quel provvedimento, e quindi consegno altre riflessioni a coloro che invece possono più liberamente di me esprimere critiche relative alla scelta che allora fu fatta. In ogni caso, voglio sottolineare come la sentenza della Corte costituzionale si ponga in assoluta continuità con la giurisprudenza della Consulta degli anni trascorsi.
  Lei, signor Ministro, ha giustamente fatto riferimento a criteri di gradualità, di proporzionalità, di solidarietà e di temporaneità. Può essere opinabile la scelta che il Governo compie di ritenere disponibili quelle risorse di cui lei, Ministro, ha parlato a proposito della restituzione e ridefinizione del meccanismo perequativo. Come si osservava poco fa, infatti, l'attenzione si è concentrata più sulla restituzione, ma è doveroso guardare anche alla definizione dei limiti entro i quali la perequazione si realizza. Può essere opinabile, ma è evidente che l'attività di restituzione si sviluppa dal basso, non certo dall'alto. Una volta definito il limite di intervento sulla base delle esigenze di stabilità di finanza pubblica, ne conseguono le soluzioni che sono state individuate.
  Per chi, come me, è attento al ceto medio e a quel salario differito che è la prestazione previdenziale che consegue a un'attività lavorativa svolta da quadro, prima ancora che da dirigente aziendale o da impiegato di buona responsabilità, e conseguentemente retribuito, evidentemente c’è l'amara constatazione che costoro subiscono un ulteriore insufficiente adeguamento al costo della vita in anni nei quali un po’ più di inflazione c’è stata. Ripeto, però, che parlo nei limiti di chi ha votato quel provvedimento.
  Quello che mi interessa sottolinearle, signor Ministro, è che dovremo ricordarci di questi criteri, che la Corte per l'ennesima volta ha ribadito, non sorprendendoci, perché è stata continua nella sua giurisprudenza: gradualità, proporzionalità, solidarietà, temporaneità, non strutturalità degli interventi. Dovremo ricordarcene quando ulteriormente discuteremo di pensioni. Con questi criteri, di cui è bene che tenga conto anche chi ne discute con molta libertà in questo periodo, è incompatibile ogni ricalcolo strutturale di prestazioni già erogate o prossime a essere liquidate.
  La Corte non considera, infatti, assoluta la tutela dei diritti acquisiti, o quesiti che dir si voglia, ma certamente ha riproposto per l'ennesima volta, in termini relativi, questa tutela. Questo significa che qualsiasi intervento può avere solo caratteri congiunturali, ben motivati da esigenze emergenziali di finanza pubblica e con quelle caratteristiche di gradualità e di proporzionalità che sono state ricordate, ma non può mai essere un intervento strutturale.
  Nell'acconsentire alle sue considerazioni, quindi, mi consenta di sottolineare che quegli stessi criteri dovranno orientare la futura e auspicabile attività legislativa in materia previdenziale, auspicabile soprattutto per i problemi della flessibilità che sono stati evocati dal Presidente del Consiglio e che sono assolutamente condivisi. La legge Fornero ha dimostrato di essere la più rigida d'Europa, senza confronto con alcun'altra legislazione, e quindi impone esigenze complementari di flessibilità, che dovranno essere quanto prima soddisfatte.

Pag. 9

  ROCCO PALESE. Ringrazio il Ministro che, anche se a nostro avviso con un po’ di ritardo, in attuazione di quanto previsto dalla legge n. 196 del 2009, all'articolo 17, comma 13, è venuto qui in Parlamento con una decisione già assunta da parte del Governo e annunciata dal Presidente del Consiglio nella maniera in cui sappiamo. Ancora non abbiamo, però, un atto formale scritto e trasmesso, cioè il decreto, di cui vorremmo avere contezza, per esprimere un giudizio definitivo, rispetto alle anticipazioni che ci sono state fatte in via ufficiale questa sera.
  Pensiamo, in riferimento a quanto esposto, che l'attuazione della sentenza abbia due aspetti: uno relativo alla norma ordinaria giudicata incostituzionale, poiché le sentenze della Corte costituzionale debbono essere attuate senza indugio dai vari organi, compreso lo Stato, regioni, province, comuni e così via; l'altro riguardante le eventuali correzioni a livello di finanza pubblica, in attuazione della legge di bilancio n. 196 del 2009, che regolamenta la contabilità, come prima accennavo.
  La valutazione di base, in riferimento a commenti autorevolissimi sui contenuti e gli indirizzi della sentenza, pone un problema molto serio: sarà pure per motivi di finanza pubblica, ma l'esiguità delle risorse continua forse a non soddisfare le motivazioni della sentenza. In secondo luogo, è limitata rispetto anche ai potenziali aventi diritto. Non è escluso che tutto ciò possa innescare un duplice contenzioso: da un lato, l'esiguità delle indicizzazioni, perché comunque viene ridotto a scaglioni rispetto ai vari tetti che sono stati già preannunciati qui dal Ministro e che saranno contenuti nel decreto; dall'altro, le esclusioni.
  Non essendoci certezza rispetto all'eventuale orientamento da parte della Corte di nuovo in riferimento a tutto questo, il Governo, pur in presenza di limiti di finanza pubblica, ha valutato fino in fondo un intervento anche di rimborso dilazionato negli anni a seguire, nel contesto della restituzione delle indicizzazioni mancanti, attesa la rilevanza delle somme ? Lei ha parlato di 21 miliardi di euro tra il 2012 e il 2013 e fino al 2015. Eventualmente, è anche questo da prendere in considerazione.
  Noi riteniamo che il tema rimanga ancora del tutto aperto. Allo stesso modo, poco fa il presidente Sacconi richiamava che non è per niente una novità, pur comprendendo la situazione di procedura di deficit eccessivo e quella in cui all'epoca il Governo e il Parlamento hanno dovuto agire. In maniera reiterata e continuativa, però, la Corte si è pronunciata, ad esempio sul contributo di solidarietà e recentemente in materia di sigaretta elettronica e così via. Abbiamo un contenzioso continuo presso la Corte, con indirizzi precisi. Il Governo, seppur in presenza di ristrettezza di risorse pubbliche, non prevede con questo decreto l'attuazione che possa dare un margine di garanzia in riferimento ad altri contenziosi e a quello che ne può derivare come spesa pubblica.
  Inoltre, in che maniera avverrà l'indicizzazione a partire dal 2016, quando sarà a regime ? Come verrà quantificata ?
  Ancora, apprendiamo quotidianamente sulla stampa, e non solo, nuove notizie sulla legge Fornero, sulle pensioni, sul sistema previdenziale e chi più ne ha più ne metta. Non ritiene il Governo, per il suo tramite, di fare il punto della situazione ? La legge n. 421 del 1992, la legge delega con cui si è costruito l'attuale sistema, è un punto fermo, ma poi c’è stata una serie enorme di interventi e a seguire fino a oggi: non ritiene il Governo di mettere un punto fermo sulla situazione previdenziale e fare una ricognizione ?
  Se si continua in questa maniera, veramente poi c’è un grande sbandamento, con un gravissimo rischio di conflitti continui intragenerazionali e intergenerazionali, ma soprattutto in riferimento a quella che può essere la sostenibilità stessa del sistema, tenendo presenti ormai, che piacciano o meno, gli orientamenti della Corte costituzionale, non solo quello di quest'ultima sentenza, la n. 70, ma anche tutti quelli precedenti che ci sono stati in riferimento a questa materia.Pag. 10
  Alla fine, bisogna pur osservarli nel contesto delle garanzie, non solo dal punto di vista quantitativo, cioè rispetto a diritti acquisiti o meno, ma soprattutto rispetto a un sistema che deve essere equilibrato in riferimento a diritti soggettivi e generalizzati, che spesso, per motivi di finanza pubblica o per altro, vengono violati da parte dei Governi.

  ANNA GIACOBBE. Ringrazio il Ministro.
  Il coinvolgimento delle Commissioni è, ovviamente, necessario. Mi permetto di dire anche che abbiamo bisogno di lavorare molto presto su un testo di decreto. In generale, per affrontare questo tema, è necessario un approccio che tenga insieme senz'altro le valutazioni di carattere finanziario e l'attenzione agli equilibri di finanza pubblica, ma anche valutazioni relative ai diritti delle persone coinvolte, la cui tutela non può essere affidata soltanto alla Corte costituzionale.
  Voglio dire in modo esplicito che quella che chiamiamo manovra «Salva Italia» intervenne in una situazione davvero difficile per il Paese. I rischi erano reali, quegli interventi furono decisi in un quadro di regole dell'Unione europea di carattere restrittivo e dopo che chi aveva governato fino ad allora aveva negato la crisi e lasciato crescere le sue conseguenze negative.
  La seconda osservazione da fare, però, è che quella manovra pesò sulla previdenza con un carico molto forte, allora sottostimato nel suo complesso, anche per quello che riguarda la specifica parte del blocco della rivalutazione delle pensioni. Fu sottostimato sia per i risparmi attesi, che si sono rivelati molto maggiori, sia per le conseguenze e gli effetti sulla vita e sul reddito dei lavoratori e dei pensionati, che si potrebbero elencare, cosa che vi risparmio. Dire oggi che servirebbero, per una restituzione integrale delle somme non corrisposte allora, a seguito appunto del blocco della perequazione 2012-2013, 17,6 miliardi di euro netti conferma quanto fu grande quel peso e anche quella sottostima.
  Detto questo, nelle condizioni e nei vincoli che abbiamo, è evidente che si rende necessario un intervento legislativo, perché non sarebbe realisticamente possibile corrispondere per intero ai pensionati quell'importo. Come lo si fa ? Come si decide di rispondere con il decreto che dovremo convertire ? Farà la differenza anche in che quadro ciò verrà fatto, non soltanto per rendere difendibile il provvedimento nei confronti di ulteriori ricorsi, ma anche per realizzare un intervento che abbia davvero i caratteri di redistribuzione, di solidarietà e di attenzione e rispetto dei diritti delle persone.
  Quei risparmi, molto maggiori rispetto a quelli stimati, sono stati una delle leve fondamentali per uscire da quelle difficoltà, e quindi è giusto, non solo un dovere per via delle sentenze, che alla previdenza, anche se gradualmente, tornino risorse per sanare i danni più evidenti di quell'operazione.
  La sentenza della Corte deve essere poi rispettata attraverso un provvedimento che rimuova le componenti di quell'intervento che sono state censurate dalla Corte, sicuramente la durata di quel blocco e il fatto che non ci fosse progressività in rapporto alle diverse fasce di pensione percepita. Le obiezioni della Consulta riguardano anche l'aver determinato una perdita costante nel tempo e il non aver motivato il blocco con ragioni di solidarietà interna al sistema. Anche la sentenza ci fa guardare all'insieme dell'equilibrio del sistema.
  A proposito del blocco che era stato disposto nel 2007, si sottolinea che si trattava di una misura finalizzata a concorrere solidaristicamente al finanziamento di altri interventi e già appunto con una sentenza del 2010 la Corte aveva reputato non illegittimo quel blocco, tra le altre ragioni anche perché la scelta del legislatore in quel caso era sostenuta da una ratio redistributiva del sacrificio imposto e, appunto, con un principio solidaristico.
  Con il decreto, per quello che abbiamo potuto apprendere, si realizza una copertura molto parziale della perdita di quel Pag. 11valore. Un adeguamento parziale si motiva e si giustifica non solo, ma anche, ovviamente, con i vincoli di bilancio, ma appunto se si riavvia una discussione sulle rigidità e le storture del sistema, alle quali anche vanno destinate risorse. Il nostro ruolo, quindi, non può e non deve essere, come non lo è quello del Governo e del Parlamento, quello di esecutori della sentenza. Dobbiamo cercare di capire che cosa c’è nel sistema che non va e provare, in un tempo e con gradualità, a risolverlo.
  Il Presidente del Consiglio ha fatto riferimento alla necessità di reintrodurre elementi di flessibilità: bene, questo è importante, le Commissioni hanno già incardinato proposte di legge sulle quali si può lavorare. Mi permetto di osservare, ma ne parleremo meglio in seguito, che l'operazione non può essere tutta autofinanziata dalla riduzione degli assegni previdenziali. Ci sono emergenze note, frutto degli interventi più duri, in qualche caso immotivati, della manovra sulle pensioni di allora.
  Quanto al decreto, alcune cose sono più chiare a seguito di quanto è stato detto oggi. Chiedo una conferma: gli importi previsti d'ora in avanti si riferiscono al ristabilire gli effetti della perequazione del 2012-2013 e a questi, nel prossimo anno, si sommano gli effetti della perequazione che oggi è prevista sulla base della legge di stabilità 2014 ? O questa previsione si sostituisce a quel meccanismo ?
  È importante dire che la perequazione automatica non ha una funzione soltanto di tutela delle fasce più basse dei redditi da pensione, che è importante in questo momento tutelare in via privilegiata, ma anche quella di conservare il valore delle pensioni nel tempo, e quindi si pone forse un problema di riconsiderazione del meccanismo di rivalutazione delle pensioni. Oggi è tutto affidato soltanto alla perequazione sulla base della variazione del costo della vita e, da questo punto di vista, è esposto appunto a qualche problema.
  Ripeto che avremo modo con un testo di fare delle valutazioni più approfondite. Si condivide il fatto che in questo momento sia necessario un provvedimento legislativo che non consenta un effetto davvero molto pericoloso per i conti pubblici e anche per gli elementi di equità, ma sono tutti temi aperti e che saranno poi parte della nostra discussione.

  SILVANA ANDREINA COMAROLI. Ministro, a me hanno colpito due frasi che questa sera ci ha detto e che sono inserite nella sentenza, in modo particolare la prima: che c’è stato pregiudizio delle aspettative legittime del lavoratore. L'altra frase chiave è che si tratta di un diritto illegittimamente sacrificato.
  Sulla base di queste due frasi e premesso che è stata tolta una cosa che doveva essere data al lavoratore, considerando anche tutti gli scaglioni che prevede, perché non si dà subito tutto e, invece, si scagliona 40, 20 e 10 ? Soprattutto, quando li darete ? Non ho sentito da lei la data in cui restituirete.
  Proprio su questa base, siete così sicuri di star facendo la cosa giusta e che, quindi, non ci saranno ancora ricorsi ?
  Vengo a un altro aspetto importante. Visto che ha continuato a ribadire la situazione dei conti e l'onere della vecchia norma, quanto costa invece questa che prevedete ? Dove andate a prendere le coperture, premesso che gli 1,6 miliardi di euro, il famoso tesoretto di cui tanto si sentiva parlare in occasione del DEF, è già una cifra abbastanza incerta ? Sicuramente, oltretutto, non basta nemmeno quella a coprire tutto il costo di quanto prevedete. Mi scusi se le rivolgo domande dettagliate, ma è proprio per capire meglio.
  Quando un cittadino non paga, gli vengono applicate sanzioni e interessi. In questo caso non si pretende di far pagare una sanzione allo Stato che non ha effettuato un pagamento dovuto, ma almeno gli interessi del ritardato pagamento sono previsti ? Si rimane, infatti, un po’ perplessi, sembra sempre la solita storia.
  Adesso abbiamo il grave problema di reperire 16 miliardi di euro per evitare che scatti l'aumento delle aliquote IVA e Pag. 12molte volte si cerca di fare, come abbiamo visto in questi ultimi anni, i famosi tagli a tutti gli enti locali, che poi si ripercuotono ancora una volta sul cittadino. Non dimentichiamo che, quando parliamo di pensioni pari a cinque volte il minimo, che sono circa 2.500 euro, sembrano cifre esagerate, ma parliamo di cifre lorde. Il pensionato percepisce circa 1.700 euro e a fine mese non so quanto di questa somma riesce a risparmiare, considerando anche tutte le spese, tutte le addizionali comunali, tutte le medicine, molte delle quali magari non coperte più dal Servizio sanitario, e che quindi dovranno essere pagate.
  Infine, Ministro, ho una preghiera: non chiamatelo «Bonus Poletti», ma restituzione di un maltolto ai pensionati.

  WALTER RIZZETTO. Ringrazio il Ministro.
  Secondo me è stato fin troppo elegante nell'illustrarci la genesi che ha portato a tutto questo, nel senso che quello che è stato fatto al Governo da parte di coloro che governavano due volte prima di questo esecutivo è un regalo piuttosto importante.
  L'ho ascoltata con attenzione e l'unico aspetto su cui vorrei soffermarmi è proprio quello della sentenza della Corte costituzionale. Leggendola, non siamo molto sicuri rispetto alla cosiddetta intangibilità dei diritti acquisiti dei pensionati. Sappiamo tutti cosa siano nel linguaggio legale i diritti acquisiti: diritti o posizioni soggettive immutabili per quanto riguarda la sfera giuridica.
  In questo caso, però, Ministro, ci viene in soccorso la sentenza della Cassazione n. 26102 dell'11 dicembre 2014, che proprio in ambito pensionistico recita: «In ambito pensionistico e relativamente ai diritti acquisiti del pensionato, non possono essere incisi in peius per alcuna ragione i trattamenti in atto, se non in forza di una legge od un atto avente forza di legge, il quale comunque deve essere ispirato a criteri di oggettiva ragionevolezza». Di fatto, in questo caso la Cassazione, come la Corte costituzionale in seguito, dichiara violato non tanto quanto detto in precedenza, ma l'effettiva oggettiva ragionevolezza. In sintesi, ci dicono che una legge può tornare indietro rispetto a quanto fatto.
  Ricordiamo, tra l'altro, che il blocco dell'adeguamento – e qui può venirci in aiuto anche colui o colei che c'era al tempo – stabilito per il 2008, il cosiddetto «scalone», fu dichiarato costituzionalmente legittimo dalla Corte perché colpiva, come ricorderà, soltanto i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a otto volte il minimo INPS. Qui a tutti gli effetti anche qualche prossimo ricorso può essere effettivamente tagliato in termini di giurisprudenza.
  All'epoca dello scalone, però, i giudici con uno scritto avvertirono il legislatore che sarebbe potuto entrare in collisione con gli invalicabili princìpi di quanto diceva lei prima, ovvero di ragionevolezza e proporzionalità. Questo monito è stato completamente disatteso dal Governo Monti e dal Ministro Fornero.
  Le disposizioni contenute nel comma 25 dell'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011 si limitavano a richiamare genericamente la contingente situazione finanziaria. Secondo noi, le ragioni addotte da parte di quel Governo rispetto al blocco delle indicizzazioni sono, quindi, assolutamente false. Peraltro, in un documento ufficiale, questa falsità era stata svelata pochi mesi prima proprio dalla Commissione europea in uno studio pubblicato a settembre del 2011, secondo il quale il debito italiano a medio e lungo termine era perfettamente sostenibile. Questo diceva la Commissione europea nel 2011.
  Le vere ragioni di quanto fatto furono, secondo noi, oggettivamente due: riequilibrare la nostra bilancia dei pagamenti e far sì che l'Italia versasse quanto dovuto al fondo Salva Stati, tanto che a ottobre 2012, nel pieno di una ricerca spasmodica all'epoca di circa un miliardo di euro per evitare l'innalzamento dell'aliquota IVA, il Governo versò poco dopo all'Europa, senza fiatare, circa 2,4 miliardi di euro per la rata del meccanismo europeo di stabilità.Pag. 13
  Vorrei chiederle alcune cose rapidamente. È vero che ve la cavate con poco, nel senso che 2 miliardi e 180 milioni di euro effettivamente non sono una gran cosa rispetto a quanto prima detto. È anche vero che non si applica mai in Italia il principio che chi sbaglia paga, quanto meno per il pagamento degli interessi come la senatrice Comaroli ricordava. Forse sarebbe giusto che qualcuno, che in quel tempo votò quella manovra, pagasse almeno gli interessi ai pensionati.
  Vorrei anche chiederle, Ministro, quando uscirà il decreto. Quando le Commissioni potranno avere in mano questo documento ? Vedo che qui è presente anche il sottosegretario per l'economia e per le finanze Baretta: vorrete darci una risposta in questo senso. A oggi non abbiamo nulla se non un proclama del Presidente del Consiglio Matteo Renzi. Vorrei capire, tra l'altro, se avete fatto le cose senza le Commissioni e, soprattutto, senza ascoltare i sindacati.
  Inoltre, le coperture trovate, ovvero il tesoretto che era destinato al contrasto della povertà, questi 2 miliardi di euro, saranno ripristinati prima o poi ? Qui diamo i soldi per le pensioni, superiori a tre volte la minima, ma alle persone che percepiscono trattamenti fino a tre volte la pensione minima, a queste persone non viene dato nulla, nel senso che restano con 486-490 euro di pensione minima al mese.
  Si aspetta un altro regalo da parte della Consulta rispetto al blocco degli scatti di anzianità per la pubblica amministrazione, fermi dal 2010 ?
  Infine, il meccanismo Letta prevedeva un'indicizzazione congelata fino al 2017: prevede di rivedere gli scaglioni o di allungarli al 2018 ?

  DAVIDE TRIPIEDI. Nell'intervento del Ministro abbiamo sentito il termine «beneficio», che i giornali di regime invece chiamano «Bonus». Dobbiamo ricordare a tutti che questo non è un bonus, ma un diritto sancito, quindi è un errore che è stato fatto e al quale in qualche maniera dobbiamo rimediare.
  In una dichiarazione la Fornero diceva che nella sua proposta non c'era questa norma: vogliamo sapere, allora, chi ha proposto questa norma e come mai è stata approvata così tranquillamente dal Parlamento. Non si capisce come mai un ex Ministro vada in televisione e dica che non è colpa sua, facendo quasi capire che l'hanno obbligata a inserire questa norma. Vorremmo conoscere il responsabile. Magari facciamo pagare qualche soldo anche a lui. Forse è qualche funzionario europeo di quest'Europa non solidale, ma totalmente fiscale, dove l'austerità e non la solidarietà va di moda. Vorremmo sapere proprio chi è stato, oltre a conoscere i partiti che hanno sostenuto questa vergognosa legge. Nel complesso, secondo il nostro punto di vista, è proprio la legge Fornero a essere una vergogna.
  Ripeto la domanda dell'onorevole Rizzetto: quando pensa di mandare il testo alle Commissioni competenti ?
  Sappiamo poi che il famoso tesoretto ormai non ci sarà più, che ormai è saltato. La mia paura è che in Commissione lavoro non si possa approvare quella legge sulla flessibilità in uscita dei pensionati. Lei, Ministro, pensa che ci saranno le coperture per affrontare quella proposta di legge, che tra l'altro è del presidente Damiano ?
  Ho un'altra bella domanda: dove sono finiti i risparmi, quei soldi che abbiamo tolto illegittimamente ai pensionati ? Dove e come sono stati utilizzati ? Dovete dirci quanto meno questo, o quanto meno spiegarci cosa vuol dire una tantum.
  Purtroppo, la filosofia del Governo è stata quella di togliere subito a discapito dei pensionati e ridare i soldi a rate, tra l'altro non a tutti. Come dice anche la mia collega: che cosa vuol dire una tantum, Ministro ?

  GIORGIO SANTINI. Ringrazio il Ministro per le cose che ha detto e svolgo alcune rapide considerazioni e valutazioni.
  In primo luogo, ho trovato molto opportuna la ricostruzione da parte del Ministro del quadro di contesto relativo al 2011 e della natura degli interventi attuati Pag. 14in quegli anni, e in quell'anno in particolare, che a mio avviso sono stati – non so se volutamente o indirettamente – poco contestualizzati nella recente sentenza della Corte costituzionale, nel senso che in essa non se n’è trovata sostanzialmente traccia.
  Ritengo, inoltre, che le cose che il Ministro ha detto sulla lettura della sentenza, cioè gli impegni che da quella lettura derivano in termini cogenti, siano corretti. L'adeguatezza, la proporzionalità, la temporaneità e la solidarietà sono chiavi di lettura utilizzate in maniera a mio avviso corretta.
  Sul merito delle scelte realizzate, mi pare assolutamente giusta quella compiuta dal Governo di contemperare il rispetto della sentenza con la salvaguardia, come ha detto il Ministro in questa sede, degli obiettivi di finanza pubblica. È evidente, infatti, che le questioni, tra cui il rispetto della sentenza stessa, si collocano in un contesto né astratto né asettico, bensì fatto di obiettivi e di conseguenze del mancato rispetto degli obiettivi proprio in rapporto all'adeguatezza dei trattamenti generali dei redditi e delle pensioni. Questo mi pare quindi un punto imprescindibile, che il Governo ha correttamente posto al centro del suo intervento.
  Per quanto riguarda l'intervento che si intende operare attraverso il decreto-legge, credo che siano assolutamente giuste le richieste in questa sede formulate di disporre quanto prima del testo e di rispettare sostanzialmente i tempi indicati, che compaiono anche nel verbale del Consiglio dei ministri dello scorso lunedì. È necessario che le Camere e le Commissioni ne valutino con molta attenzione il contenuto ed è altrettanto necessario che quei criteri che il Governo ha scelto di adottare – ossia la parzialità e, soprattutto, la restituzione decrescente per scaglioni, sulla base di un principio solidaristico – siano effettivamente attuati. Da questo punto di vista, mi pare giusto che ci sia rapidamente la possibilità di esaminare i testi e di valutare se quello che il Ministro ha detto sia, come sicuramente sarà, presente nei testi e con l'indicazione di date precise.
  Mi pare, infine, molto serio avviare una riflessione su ciò che capiterà da qui in avanti. Il tema della indicizzazione entra, a mio avviso, nel discorso più ampio relativo al tema della flessibilità previdenziale, e quindi occorre valutare un terzo elemento: accanto agli obiettivi di finanza pubblica e ovviamente agli obiettivi di indicizzazione, secondo i princìpi che abbiamo ricordato, anche gli obiettivi di flessibilità previdenziale, che paiono assolutamente necessari. Bene ha fatto, a mio avviso, il Governo ad aprire anche questa discussione e questa riflessione.
  Se lei ricorda, nelle risoluzioni sul DEF di Camera e Senato questo tema era stato introdotto anche dal Parlamento come esigenza da valutare. Mi pare questo un orizzonte più ampio e più corretto, nel quale si ricolloca anche il tema, sicuramente dal 2016 al 2017, del rapporto tra flessibilità, indicizzazione e finanza pubblica. Sono tre elementi da contemperare in maniera molto attenta. Come sappiamo, il tema della flessibilità in uscita attiene alla consistenza del valore della pensione e ciò chiaramente ripropone anche la necessità di considerare questo parametro. Credo pertanto che, alla luce di ciò, sia molto importante discuterne approfonditamente, soprattutto per quello che capiterà dal 2015 in poi.

  ANNA CINZIA BONFRISCO. Cercherò di essere molto rapida, signor Ministro, perché gli interventi dei colleghi hanno toccato numerosi aspetti, anche molto ampi, tra cui quello della proiezione futura tra spesa pensionistica ed equilibri di finanza pubblica. Oggi, però, siamo alle prese con un fatto cogente, e cioè che 5 milioni ed oltre di italiani devono vedersi restituita una somma che, ingiustamente e impropriamente, è stata loro sottratta. La dinamica, che non ricordiamo mai abbastanza, è quella di uno «stipendio differito», che, sulla base dei contributi versati, è poi la nostra pensione.
  Penso, come pensavo allora, che non fosse quello il tema da aggredire e affrontare per riportare quanto prima il Paese in un ambito di sicurezza di finanza pubblica, Pag. 15casomai ce ne fosse stato realmente bisogno.
  Il collega che mi ha preceduto, che ha ricordato quel contesto e gli impegni che il Governo dell'epoca assunse proprio per la sicurezza dei conti pubblici italiani, ha memoria perfetta di ciò che avvenne esattamente anche nella sequenza corretta, e cioè che il nostro Paese subiva una pressione speculativa e non solo, soprattutto mediatica, perché si doveva aderire a quel fondo, che doveva salvaguardare all'epoca situazioni finanziarie drammatiche, come quelle che avremmo conosciuto ancor più da vicino, come quella che colpì la Grecia, da affrontare in quel modo, ossia da parte di tutti e non solo di chi aveva le banche coinvolte nel sistema greco e che avrebbe dovuto caricarsi di quella gravosissima situazione.
  Ma vengo subito all'unica questione che sento di poterle porre rispetto alla sua corretta esposizione e che considero centrale. Noi dobbiamo restituire quelle somme a tutti, questo è il principio al quale si ispira la sentenza della Corte, pur nella salvaguardia di quei princìpi, tra cui proporzionalità, gradualità e temporaneità, che tutti hanno già citato ampiamente.
  Al collega Santini manca forse, nella sentenza della Corte, l'analisi di quel contesto; a me non manca un'analisi politica all'interno della sentenza della Corte. Mi basta sapere che, probabilmente, quell'intervento doveva e poteva essere fatto diversamente. Quello che chiedo a lei, signor Ministro, anche se non è lei il garante di ultima istanza, è che qualsiasi provvedimento scriviate in questo decreto-legge sia almeno a prova di sentenza di Corte, ossia che non ci ritroveremo tra qualche tempo o tra qualche anno, per una toppa oggi messa male e in fretta, a dover rispondere della medesima contestazione, magari con una complicazione ulteriore dal punto di vista dell'aggravio per la finanza pubblica.
  I 5 milioni di italiani che attendono questo rimborso del loro stipendio differito, vale a dire la loro pensione, che abbiamo bloccato in quel modo, saranno certamente delusi nel vedere la soluzione proposta da questo Governo che copre l'11 per cento dell'intero ammontare di ciò che scaturisce dalla sentenza, in un contesto in cui restituire tutto a tutti non verrà rispettato secondo il divenire della sua proposta. Restituire ciò che è stato impropriamente, ingiustamente e irregolarmente tolto, infatti, vale anche per chi prende la pensione due, tre, quattro o cinque volte il minimo del trattamento INPS. Quel principio, pur impostandolo correttamente il Governo in termini di proporzionalità nel rimediare a questa vicenda, resta il medesimo.
  Se è vero, come ha detto il collega Santini, che questa è anche l'occasione per affrontare in termini di prospettiva futura alcune distorsioni che, a prescindere dalla sentenza, non possiamo che registrare, mi auguro che potremo ispirare il provvedimento che sana questa distorsione attraverso una più stretta corrispondenza tra prestazioni e contributi versati. È questo il principio più giusto al quale ritengo ci si debba ispirare.
  Allo stesso modo, forse oggi vale la pena, pur nell'ambito di ciò che dal punto di vista del profilo costituzionale è legittimo fare, riaprire una discussione sul tema delle baby-pensioni e della totale distanza tra contributi versati e pensione percepita. All'interno di quel profilo costituzionale, al quale tutti vogliamo richiamarci, possiamo infatti chiedere quel contributo di solidarietà per coprire dal punto di vista finanziario una sentenza che ci invita ad agire presto e bene per tutti e, secondo la mia proposta, a introdurre finalmente un'analisi di ciò che è dovuto a tutti sulla base di ciò che tutti hanno versato.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il Ministro per quest'audizione.
  Vorrei porre all'attenzione di tutti e anche del Ministro la questione dal punto di vista del debito. Nel 2012 il nostro Paese viaggiava intorno a uno spread di 500 punti base, per cui all'epoca l'Italia decise di finanziarsi con i soldi degli italiani stessi, perché chiedeva ai pensionati di Pag. 16rinunciare all'indicizzazione. Praticamente, il nostro Paese si è finanziato con i soldi stessi degli italiani. All'epoca abbiamo chiesto agli italiani di sottoscrivere un derivato, una scommessa sul loro futuro, cioè sul fatto che, bloccando le loro pensioni, abbiamo scommesso che la finanza pubblica sarebbe rientrata e oggi avremmo portato il famoso spread a livelli accettabili, perché la finanza pubblica non lo permetteva all'epoca.
  Oggi, quindi, siamo in pratica nella stessa condizione della Grecia: quest'ultima deve restituire i suoi soldi alla trojka e ha già annunciato che il 5 giugno non rispetterà la scadenza nei confronti del Fondo monetario internazionale; l'Italia sta facendo la medesima cosa, cioè sta dicendo ai pensionati, ai quali ha chiesto un finanziamento, che non lo pagherà benché una sentenza della Corte costituzionale la obblighi a farlo.
  La domanda è questa: che cosa avreste fatto se fossero venuti quelli della troika a chiedere di rimborsare un debito che magari all'epoca avevamo sottoscritto con loro ? Agli italiani si può dire di no, ai creditori interni, ai cittadini stessi che finanziano lo Stato per sopperire a una situazione. Oggi siamo tornati nelle stesse condizioni esistenti prima dello scoppio della bolla dello spread, quindi oggi siamo a 122 punti base di spread. Perché non si può ripagare ? Significa che se questo stesso Governo fosse in quelle condizioni, a 122 punti base di spread, avrebbe detto comunque ai pensionati che non li avrebbe pagati.
  Questo Governo, allora, deve andare a casa, così come quel Governo che ha determinato la causa di cui stiamo oggi discutendo. È questa la situazione. Qui stiamo parlando di un debitore e di un creditore: i creditori sono i cittadini, i pensionati che, stando alla Costituzione, hanno diritto a quel pagamento, mentre il debitore è praticamente fallito. Non vogliamo dirlo, ma è questa la situazione, ossia quella di insostenibilità del pagamento anche delle nostre pensioni.

  CESARE DAMIANO, Presidente della XI Commissione della Camera dei deputati. Vorrei fare alcune osservazioni. Quando parliamo dell'argomento pensioni, sappiamo purtroppo che l'errore è in agguato e abbiamo sotto gli occhi un caso lampante. Mi permetto di dare un suggerimento al Governo: sarebbe stato preferibile, prima di emanare il decreto, senza entrare nei dettagli – i diritti di un Governo sono inalienabili – magari sentire qualche suggerimento preventivo delle Commissioni di merito, lavoro e bilancio, e magari anche dei sindacati confederali dei pensionati, che hanno, come si dice, competenza sulla materia. Monti non lo fece e gli errori ci sono stati.
  Come il senatore Sacconi, ho votato quel provvedimento. Ricordo, però, che il provvedimento iniziale parlava addirittura di un blocco totale sopra le due volte il minimo. Facemmo un braccio di ferro molto forte in Parlamento e lo portammo a tre volte, per fortuna. Ricordo che avvertimmo il Governo di un rischio di incostituzionalità e lo facemmo a ragion veduta. C'era già una sentenza: quand'ero Ministro del lavoro, ho bloccato per primo l'indicizzazione sopra le otto volte il minimo e la Corte ha giudicato lecita quell'iniziativa, perché era adeguata. Le pensioni alte soffrono meno la perdita di adeguamento rispetto all'inflazione. Poi quella cifra fu redistribuita al basso, e la quattordicesima per i pensionati poveri ne era un esempio.
  Ora, stiamo discutendo da molto tempo di diritti acquisiti. Sono d'accordo col senatore Sacconi. Quando si parla di pensioni, si sentono voci inquietanti, come quella sul ricalcolo di tutte le pensioni in essere che sono state liquidate col sistema retributivo. Penso che sia un terreno minato che sarebbe bene abbandonare.
  Distinguerei tra pensioni d'oro – mi pare che il Governo Letta abbia fissato l'asticella sui 90.000 euro lordi annui, 5.000 netti mensili, 7.000 lordi mensili – e pensioni che sono state sudate. Distinguerei i fondi speciali, che hanno calcoli particolari, dalla pensione delle persone normali, del ceto medio del lavoro, da Pag. 171.500-2.000 euro mensili. Se andiamo su quel terreno, gettiamo nel terrore e nell'inquietudine 15 milioni di famiglie, che di questi tempi non mi sembrerebbe molto giusto né molto saggio. Sui diritti acquisiti, quindi, bisogna andarci abbastanza cauti.
  Penso che nelle more della situazione e per le spiegazioni che ci ha dato il Ministro Padoan, la scelta del Governo vada nella direzione giusta. Semplifico molto: anzitutto, capisco che dobbiamo rispondere a una domanda della Corte e non è vero che la Corte dice che si deve restituire tutto a tutti. La Corte dice che bisogna obbedire a dei princìpi, quelli di adeguatezza, solidarietà e proporzionalità, e quindi lascia al Governo la facoltà di un intervento di modulazione.
  Capisco che 16 miliardi non siano 2 miliardi di euro. Stiamo parlando degli anni 2012-2013. Attualmente, infatti, è in vigore un nuovo e diverso regime: mentre in quel biennio era a regime, per così dire, la disciplina varata dal Governo Monti, dal 2014 al 2016 siamo nel calcolo del Governo Letta per fasce. Credo che sia inattaccabile anche sotto il profilo di una sentenza della Corte, in quanto anche chi è sopra alle sei volte prenderà comunque un adeguamento del 40 per cento e anche quello delle fasce sottostanti. Al riguardo, credo sia sufficiente leggere l'articolo 1, comma 483, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013. Semmai affronteremo il problema dal 2017 in poi, con la legge di stabilità del prossimo anno.
  Penso che la scelta di un rimborso che fissa una soglia massima delle sei volte corrisponda a un principio di adeguatezza, perché si separano le pensioni alte da quelle medio-basse: 3.000 euro lordi sono 2.200 euro netti. Il fatto che all'interno della fascia che va dalle tre alle sei volte il minimo ci sia una restituzione non piatta ma inversamente proporzionale, in un rapporto 740/280, rappresenta un principio di solidarietà. Secondo me, questa risposta c’è.
  Vengo alle domande, e concludo, sul rischio di contenzioso. Ho sentito parlare – non abbiamo infatti avuto modo di confrontarci prima – di una misura una tantum: si tratta effettivamente di questo ? Ossia, è una cifra che possiamo considerare un elemento distinto dalla base di calcolo delle pensioni o quella cifra stessa entra nel sistema pensionistico ? Capisco la differenza di costo, in tale seconda ipotesi. Per così dire, per una paga di un operaio è un elemento distinto della retribuzione, è un elemento distinto della pensione, che rimane in una casella a sé stante, un rimborso una tantum, per chiudere un contenzioso che non entra nel calcolo, o entra nel calcolo per l'adeguamento successivo dell'indicizzazione ?
  Qualcuno ha chiesto delucidazioni in ordine al discorso delle esclusioni: come ho già chiarito prima, non vedo questo principio di esclusione. È stata un'esclusione non strutturale, ma congiunturale, perché stiamo parlando del 2012 e del 2013. Se fosse strutturale, correremmo il rischio di avere nuovamente un'obiezione della Corte.
  L'altra questione è la seguente: nel decreto che presenterete domani ci sarà anche quello che è stato detto, ovvero il miliardo per il rifinanziamento della cassa integrazione in deroga ? Ci sarà, sempre nel decreto, anche l'anticipo al primo del mese del pagamento delle pensioni ? E da quando ? Sono misure che costano ma che vanno in una direzione che apprezzo.
  Infine, il Presidente del Consiglio ha accennato al tema della flessibilità e noi, come Commissione lavoro, di ciò siamo molto contenti. Già all'indomani della legge Fornero sulle pensioni – avevamo avvertito anche sugli esodati, ma non siamo stati ascoltati neanche in quella circostanza – avevamo inserito nel nostro ragionamento il principio della flessibilità. Noi siamo pronti in Commissione lavoro, sia presso la Camera che presso il Senato, e abbiamo anche un'opinione convergente tra i due rami del Parlamento. In proposito, risultano peraltro presentate proposte di legge da parte di tutti i partiti.
  Se si affronta questo tema estremamente delicato, che interviene sulla possibilità di anticipare l'uscita dal lavoro verso la pensione, riducendo quindi anche il rischio di povertà delle persone che rimangono Pag. 18a lungo senza reddito, e favorisce sicuramente il turnover dei nostri figli, a meno che non vogliamo fabbriche di settantenni, ma non credo questo sia il futuro, perché per gli stessi imprenditori sarebbe un problema, ci auguriamo che la discussione che sarà inserita nella legge di stabilità sia oggetto, in questo caso, di un confronto preventivo col Parlamento e con le parti sociali, proprio per evitare un annuncio allettante che non porta a un risultato realistico.

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola al Ministro Padoan, aggiungo solo una brevissima riflessione. Anche per l'impatto che questa sentenza ha avuto sul bilancio dello Stato, penso che sia quasi naturale per chi ha vissuto quei momenti chiedere al Parlamento stesso una riflessione ulteriore, una volta che quest'emergenza sarà stata affrontata. È, direi, la terza o quarta volta nell'ultimo decennio che, in funzione di un momento drammatico del quadro finanziario, ci si regola in un certo modo. Successe anche nel 2011, come alcuni colleghi presenti ricorderanno, quando il Parlamento fu chiamato in quest'aula il 14 agosto e facemmo tre manovre cumulate in quattro mesi, a partire da aprile, di modo che si determinò una sorta di sessione di bilancio permanente dal citato mese di aprile fino a settembre-ottobre. Lo dico guardando i protagonisti di allora.
  Alcune di quelle misure furono di fatto imposte. Anche allora ci fu un dibattito, una reazione. Alcune misure inserite in quelle manovre, alla prova dei fatti, risultarono infatti incostituzionali. La stessa cosa è accaduta nel 2012. In quella fase, a onore della verità, tre punti, di cui alcuni richiamati dal presidente Damiano, furono oggetto di una discussione molto forte in Parlamento, dove il provvedimento arrivò con l'indicizzazione due volte il minimo e ne uscì con una indicizzazione tre volte il minimo, ma producendo un pesantissimo malcontento.
  Quanto all'indicizzazione, molti sapevano che aveva un tetto esente dalla Corte costituzionale, cioè le otto volte il minimo richiamato da Damiano, poiché era stato oggetto di un blocco negli anni precedenti. Assieme all'indicizzazione, gli esodati e la flessibilità in uscita costituirono i tre punti su cui questo Parlamento svolse la discussione più aspra. Non fu ascoltato nessuno in nome di vincoli stringenti che, nei momenti drammatici, si traducono in policies, in politiche.
  Penso che sia arrivato il momento di provare a mettere in linea i vincoli stringenti che nei momenti drammatici diventano «politiche» con i princìpi che la Corte costituzionale ha richiamato. Delle due l'una: o adeguiamo la Carta ai vincoli o facciamo diventare i vincoli un po’ più vicini alla Carta, altrimenti il rischio è che qualsiasi sforzo, anche straordinario, che si possa fare in questi momenti, poi verrà rivisto in qualche modo dai Parlamenti successivi.
  Penso che sia stata una manovra coraggiosa quella che il Governo in questo momento ha messo sul tavolo, nel senso che chiude una vicenda con le risorse disponibili ed in maniera progressiva, come richiamava Damiano; tuttavia diventa inevitabile la riforma sulla quale si aprirà un dibattito e che imporrà al Parlamento di toccare questi temi, a partire dalla flessibilità in uscita, che non possono non essere oggetto di una profonda riflessione. Auspicherei, Ministro Padoan, che la discussione possa avere luogo senza fretta: ossia, discutiamo ed entriamo nel merito, magari concludendo qualche settimana dopo ma sapendo di aver fatto una riforma strutturale, che incide anche sulla tenuta dei conti. Do ora la parola al Ministro Padoan per la replica.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Innanzitutto, relativamente alla richiesta assolutamente legittima di molti di voi su quando sarà disponibile la misura, domani mattina presto verrà inviata al Quirinale e da lì alle Camere. I tempi un po’ più lunghi del previsto sono stati dovuti alle procedure relative alla bollinatura.
  Ci sono state molte domande, che proverò a raggruppare anche per una questione di tempo, sulla descrizione del provvedimento, Pag. 19che mi rendo conto non è semplicissimo e sicuramente non sono stato molto chiaro nel descriverlo. Essenzialmente, questo provvedimento si compone di tre parti: una prima riguarda la reintroduzione dell'indicizzazione per gli anni 2012-2013, che però è parziale, in base alle fasce di reddito che ho descritto – 40, 20 e 10 per cento a seconda dei multipli del trattamento minimo considerato. Essa costituisce una prima componente del rimborso che costituisce l’una tantum, su cui tornerò tra un attimo.
  Poi c’è il rimborso dell'indicizzazione per gli anni 2014-2015, almeno fino al 1o agosto, che è una parte di quello che viene rimborsato per il 2012-2013. Il 20 per cento di quello che viene rimborsato per il 2012-2013 viene rimborsato, quindi, per il 2014-2015 fino al 1o agosto. Questi due pezzi costituiscono la restituzione e vengono dati in un'unica soluzione, il 1o agosto. Questa è la componente una tantum del provvedimento, ma è solo una componente, perché poi c’è l'indicizzazione a partire dalla seconda parte del 2015, in realtà dal 2016, calcolata sempre rispetto alle misure adottate per il 2012-2013, ma in una misura superiore a quella del biennio 2014-2015. Si introduce, quindi, a regime un meccanismo di indicizzazione che non copre tutto quello che è stato stabilito dalla sentenza della Corte costituzionale, ma è un rimborso a regime.
  Su questo punto ci sono state domande puntuali volte a chiarire come si conciliano l'indicizzazione 2012-2103 e quella del 2014. Il recupero dell'indicizzazione 2012-2013 si somma all'indicizzazione in vigore dal 2014, quindi c’è un gradino positivo a favore dei percettori di pensione con questo meccanismo. Non si toglie qualcosa di più. La rivalutazione del 2016 si aggiunge a quella in vigore per il periodo 2014-2016, introdotta dalla legge di stabilità per il 2014, quindi sono benefìci permanenti. Dal 2017, sugli assegni così rivalutati si applica l'indicizzazione della regola generale, cioè la legge n. 388 del 2000. Ribadisco pertanto che la data del rimborso concernente gli anni 2012, 2013, 2014 e gli otto mesi del 2015 è quella che si avrà il 1o agosto di quest'anno. Da settembre ci saranno le pensioni rivalutate.
  La senatrice Comaroli mi ha chiesto, tra l'altro, come si coprono queste cifre. Il pagamento una tantum effettuato nel 2015 viene coperto dal «di più» della performance di finanza pubblica rispetto al tendenziale. Visto che mi è stato detto giustamente di non usare parole come bonus o altro, non vorrei usare il termine che tutti voi avete in mente, ma è quello. Quella cifra viene utilizzata in un'unica soluzione di continuità per pagare gli arretrati. Questo meccanismo di pagamento ha due benefìci: da un lato, toglie dal tavolo la questione degli arretrati dal 2012-2013; dall'altro, dal punto di vista delle regole europee non incide sul sentiero di aggiustamento strutturale e, di conseguenza, ci evita un eventuale problema che ci sarebbe stato se avessimo usato un metodo di pagamento diverso.
  A questo scopo mi è stato anche chiesto se non si poteva avere un meccanismo di pagamento rateizzato, implicitamente dicendo che si sarebbe pagato di più. Anche in quel caso, la dinamica della finanza pubblica sarebbe stata in violazione dei parametri europei, quindi non è questione di rateizzare o meno, ma delle risorse cumulate a oggi e che sarebbero state insufficienti se avessimo rimborsato una parte maggiore di quella che abbiamo deciso di rimborsare, pur rateizzandola. Sto cercando in qualche modo di raggruppare le domande. Non so se ho esaurito gli aspetti specificamente descrittivi. Mi scuso di nuovo per la scarsa chiarezza. Spero che quando avrete tutti il documento con la relativa nota tecnica e descrizione, questi temi saranno meno oscuri. Non ne trovo altre, nei miei appunti, ma c'erano però altri due punti generali.
  Una questione è quella relativa al fatto che in questo modo non rimborsiamo i soldi e che questo mancato pagamento del debito ci metterebbe in condizioni simili alla Grecia. Questa è un'affermazione con la quale sono totalmente in disaccordo. È proprio per non essere simili alla Grecia che le misure del decreto sono state prese, Pag. 20altrimenti saremmo in una situazione estremamente seria. Non solo e non tanto romperemmo le regole europee, ma soprattutto rimetteremmo la finanza pubblica su un sentiero insostenibile. Non solo le regole, quindi, ma anche la fiducia sui mercati, che con grande difficoltà abbiamo riconquistato, verrebbe messa in discussione.
  Non so se ho risposto al presidente Damiano, comunque il decreto conterrà le misure relative alla cassa integrazione ed includerà l'anticipo del pagamento al primo del mese.
  Molti hanno inoltre fatto cenno a discorsi futuri, compresa la flessibilità in uscita. Qui dico semplicemente che sono princìpi enunciati dal Presidente del Consiglio: dovremo senza fretta, ma adesso sì con molta fretta, dedicarci in tempo a una riconsiderazione su temi più generali. Mi scuso se ho involontariamente trascurato qualche domanda.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Padoan e tutti gli intervenuti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 20.50.