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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione, della pirateria in campo commerciale e del commercio abusivo

Resoconto stenografico



Seduta n. 30 di Giovedì 16 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Catania Mario , Presidente ... 2 

Audizioni del Direttore della Direzione interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, Gianfranco Brosco.
Catania Mario , Presidente ... 2 
Brosco Gianfranco , Direttore della Direzione Interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 2 
Catania Mario , Presidente ... 5 
Cenni Susanna (PD)  ... 5 
Catania Mario , Presidente ... 6 
Garruto Luigi Igino , Responsabile dell'Ufficio Verifiche presso l'Ufficio dell'Agenzia delle dogane di Livorno ... 6 
Brosco Gianfranco , Direttore della Direzione Interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 7 
Cenni Susanna (PD)  ... 8 
Brosco Gianfranco , Direttore della Direzione Interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli ... 8 
Catania Mario , Presidente ... 10 

Audizione del Presidente del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana, Raimondo Domenico.
Catania Mario , Presidente ... 10 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 10 
Catania Mario , Presidente ... 14 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 14 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 14 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 15 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 15 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 15 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 15 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 15 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 15 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 15 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 15 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 15 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 15 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 16 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 16 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 16 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 16 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 16 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 16 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 16 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 16 
Catania Mario , Presidente ... 16 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 16 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 16 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 16 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 17 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 17 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 17 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 17 
Catania Mario , Presidente ... 17 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 17 
Catania Mario , Presidente ... 18 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 18 
Russo Paolo (FI-PdL)  ... 18 
Catania Mario , Presidente ... 18 
Domenico Raimondo , Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana ... 18 
Catania Mario , Presidente ... 19 

Allegati: Documentazione presentata dagli auditi ... 20

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MARIO CATANIA

  La seduta comincia alle 14.05.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del Direttore della Direzione interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli, Gianfranco Brosco.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'approfondimento che la collega Cenni sta facendo su tutta la problematica della contraffazione relativa al settore del tessile e della moda, con un focus specifico anche sulla vicenda Prato, del direttore della Direzione interregionale Toscana Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane, dottor Gianfranco Brosco, accompagnato dal dottor Luigi Igino Garruto, responsabile dell'Ufficio verifiche presso la Dogana di Livorno.
  Posso dare senz'altro la parola al direttore Brosco, che ci parlerà della sua esperienza sulla materia oggetto della nostra inchiesta.

  GIANFRANCO BROSCO, Direttore della Direzione Interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Innanzitutto, faccio una rapidissima premessa. Sono direttore con competenza sulla zona Toscana da quasi sei anni, quindi ho avuto modo di monitorare un po’ l'andamento dei flussi in questo settore in questi anni. Da un anno ho anche l'interinato su Marche ed Emilia-Romagna. Sono stato anche direttore in Liguria, a Bari e a Trieste, quindi ho un po’ di esperienza sui flussi.
  Fatta questa premessa, ho ritenuto di farmi accompagnare dal dottor Garruto perché è responsabile dell'area Verifiche dell'ufficio della Dogana di Livorno, porto notoriamente molto importante e interessato da questo tipo di flussi, oltre a essere anche un nostro funzionario di punta, che rappresenta anche a Bruxelles un gruppo che riguarda questa materia. Il dottor Garruto è stato artefice di varie indagini molto importanti, segnatamente nel settore dell'olio, ma anche nel settore del tessile.
  Dal punto di vista generale, il settore della contraffazione, con specifico riferimento alla zona di Prato e di Firenze, è un fenomeno storico. C’è sempre stato perché la zona di Prato, come è noto a tutti, è forse – mi esprimo sinteticamente – l’enclave cinese più importante di questo Paese e, soprattutto, è un posto a economia fondamentalmente cinese. Tutti i flussi, tutti gli arrivi, le importazioni, ma anche le esportazioni, di merce riguardano principalmente, e anzi quasi esclusivamente questo settore.
  Oltretutto, c’è la vicinanza con Firenze, dove notoriamente ci sono grandissime case di moda nel settore dell'abbigliamento e della pelletteria, e quindi è un posto cruciale nell'ambito nel panorama nazionale.Pag. 3
  La contraffazione – lei lo sa per questioni concrete e attuali – è cambiata molto negli ultimi anni. Prima i flussi di merce di importazione, soprattutto via terra, erano destinati proprio all'ufficio delle Dogane di Prato e a quello delle Dogane di Firenze in una linea diretta, e si trattava proprio di prodotti finiti. Fino a qualche anno fa, cioè, arrivava direttamente il prodotto finito, sottoposto a una serie di controlli, che l'Agenzia delle Dogane svolgeva sempre bene, ma certo non con i mezzi, la competenza e le banche dati di cui dispone attualmente.
  A seguito di questi controlli, in numero sempre minore, ma sempre più precisi ed efficaci, i flussi sono cambiati a seconda dei controlli. La merce ha cominciato a non arrivare più direttamente via terra, ma via mare su porti, che non era necessariamente quello di Livorno, l'unico interessato da questo tipo di importazioni in Toscana. Marina di Carrara è l'altro porto, ma riceve un tipo di merce completamente diverso.
  Le merci contraffatte – parliamo direttamente di merci contraffatte – sono arrivate soprattutto attraverso altri porti, segnatamente La Spezia e Genova. È chiaro, infatti, che laddove ci sono massicci flussi di merci, per quanto ottimale, il controllo è sempre una sorta di portiere che deve parare un rigore. Abbiamo questa situazione di impotenza naturale. Vedremo poi che in questo momento, invece, i risultati sono assolutamente ottimali. Fino al 2011 questa merce contraffatta arrivava anche direttamente. A seguito di una serie di sequestri e di azioni molto importanti, il flusso è cambiato, perché ci si è resi conto che effettivamente valeva la pena far arrivare la merce per via traversa, quindi non direttamente dai Paesi che contraffacevano la merce, ma via altri Paesi, come gli Emirati Arabi o anche Paesi africani.
  È chiaro che queste deviazioni di traffico hanno reso più difficoltoso il controllo. Peraltro, nonostante la collaborazione con le autorità cinesi, queste avevano difficoltà a indicarci, a fronte di specifiche richieste, quali fossero le spedizioni dirette e quali quelle inframmezzate da scali intermedi.
  Visto che i controlli erano fortemente efficaci, la mala vita cinese, anche in connessione con personaggi di pochi scrupoli a livello nazionale, quindi con collegamenti con figuri del napoletano o in parte della zona di Trieste – poi vi spiegherò perché – ha pensato di evitare di inviare direttamente merce contraffatta e di preferire merce assolutamente lecita. Sto parlando del flusso di esportazioni dalla Cina verso l'Italia. Ora, la contraffazione è avvenuta e avviene normalmente anche all'interno del nostro Paese.
  Chiaramente, questo rende ancora più difficile il controllo. A fronte di importazione di materiale assolutamente lecito, tessuti, filati, capi di abbigliamento – mi limito al settore dell'abbigliamento – è evidente che l'onere del controllo a questo punto si sposta in maniera sostanziale all'interno del territorio, cioè laddove queste merci importate lecitamente vengono lavorate per fare la contraffazione. Questo è stato ed è ancora in parte un fenomeno molto importante. Poi farò una mia considerazione, se mi è consentito, a riguardo. Questi, infatti, sono dati oggettivi, su cui penso di sviluppare, sia pure molto rapidamente, un commento.
  Ultimamente, per citare un esempio, abbiamo sequestrato un invio di etichette delle maggiori griffe della zona, tra cui Dolce & Gabbana e altri, separato rispetto all'invio della materia da lavorare, quindi filato tessuto. Chiaramente, il filato tessuto arriva per le vie e con un'importazione normale; l'etichetta arriva occultata in qualche modo, e d'altronde anche 20.000 etichette non occupano chissà quale spazio. Noi le abbiamo trovate, ma probabilmente ce ne potrebbero essere anche altre che arrivano. Questo materiale viene assemblato in un qualsiasi sito, molti dei quali anche vicini alle sedi delle griffe, dopodiché viene inviato per completare proprio il prodotto contraffatto.
  Questo è uno degli ultimi escamotage della malavita. È chiaro che, quando avviene questo tipo di passaggi, deve esserci Pag. 4un accordo tra chi esporta, la Cina, e chi qui si fa carico di prendere questa merce, lavorarla e inviarla per i vari canali. Questo è un fenomeno molto preoccupante.
  Ultimamente, c’è stata un'ulteriore evoluzione. Il nostro controllo del prodotto contraffatto che dovesse venire direttamente dall'estero è, sulla base delle nostra analisi dei rischi e delle banche dati, molto efficace: per aggirare questa percentuale positiva di controlli, è ritornato, sia pure in minima parte, un traffico via terra. In realtà, il prodotto non viene più in linea tendenziale – c’è stata una notevole riduzione rispetto a prima – importato a La Spezia, a Genova o direttamente a Prato, ma in un altro Paese dell'Unione europea, che lo mette in libera pratica.
  Viene, cioè, fatta l'importazione in un altro Paese europeo – senza voler criminalizzare nessuno, si cita sempre l'Olanda, o la Germania – poi via terra tranquillamente senza controlli questo prodotto arriva in Italia. Evidentemente, questo succede perché si tenta, appunto, di aggirare ed eliminare il rischio di un controllo diretto.
  È ovvio che, a fronte di questa situazione – sto facendo un semplicissimo sunto, per dare un'idea di come avviene questo traffico – a mio avviso ci sono delle potenzialità di controllo, ma di tipo diverso rispetto a quello diretto delle importazioni in un porto o verso un confine terrestre, anche se c’è solo quello con la Svizzera, ma questo non è un traffico che viene via Svizzera. Parlo di un controllo imprescindibile, di un'azione coordinata e contestuale di tutte le forze interessate a questo tipo di problema.
  È evidente che, nel momento in cui questa merce, arrivasse direttamente contraffatta o da assemblare, via terra o via nave, deve arrivare sempre nel posto dove deve essere fabbricato il prodotto contraffatto o in un deposito, dal quale poi deve essere smerciato capillarmente secondo l'organizzazione della malavita. La merce contraffatta o il materiale semilavorato che occorre per fabbricare il prodotto contraffatto arriva per il 35 per cento dalla Cina e, misura percentuale ancora minore, da vari altri Paesi del sud-est asiatico.
  Dovrebbe esserci un controllo nostro da poter fare o nei depositi o nelle ditte, anche di tipo fiscale più diretto, quindi con il coinvolgimento dell'Agenzia delle entrate, sicuramente della Guardia di finanza, dei NAS. Mi viene in mente anche l'INAIL. Basta andare all'Osmannoro a Prato, quartiere dal nome abbastanza cacofonico, occupato da cinesi, che lì sono imprenditori, non solo manovalanza. Mi sembra d'aver capito che questa sia anche una difficoltà a livello politico, perché effettivamente, laddove c’è un'imprenditoria, mettere mano è anche abbastanza problematico. Siccome, però, non mi compete, mi limito semplicemente a quest'accenno e taccio.
  Il contestuale avvento, come lo chiamo, di tutte queste forze in un sito del genere – ho citato l'Osmannoro, che è fatto di decine e decine di capannoni dove vengono lavorate queste merci – o su altri siti vicini, farebbe sì che in un unico accesso si riesca a esaminare ad ampio raggio tutte le problematiche relative alla contraffazione. È un'iniziativa che, almeno secondo la mia esperienza, andrebbe presa.
  Il secondo aspetto importante riguarda le partite IVA, di cui sono titolari questi imprenditori cinesi, che vengono accese anche se queste persone dichiarano – non si sa quanto sia vero – di non conoscere l'italiano. Quando andiamo a fare una verifica, questi si trincerano in maniera evidentemente pretestuosa, dicendo che non capiscono e di non conoscere la lingua, eppure la partita IVA è stata rilasciata. Non so se l'idea sia praticabile o meno, ma nella mia ingenuità posso dirvi che forse avere la preventiva affermazione di una conoscenza sia pur minima dell'italiano servirebbe, perché eviterebbe tante lungaggini e, nell'atto dell'azione giudiziaria, tanti rallentamenti.
  Il terzo potrebbe sembrare un aspetto minore, ma per noi è molto importante. Quando arriviamo in uno di questi siti e sequestriamo la merce, questa molto spesso è in cospicua entità, pertanto all'atto Pag. 5del sequestro qualcuno deve detenerla, e questo comporta un costo. L'amministrazione non può farsene carico, non ha le risorse né il modo per farlo, perché non ha propri depositi. Le procure, che prima pagavano, adesso non lo fanno più si procede, allora, a un affidamento diretto alla stessa ditta controllata, perché non c’è alternativa. Questo è un altro elemento di criticità, dovuto ai costi.
  Bisognerebbe trovare una soluzione che evitasse di dare in affidamento a questi imprenditori cinesi – ma che siano cinese o di altra nazionalità poco importa – che poi dichiarano una serie di furti, dopodiché è assolutamente impossibile intervenire. Questo è un terzo elemento di criticità.
  Queste sono le principali azioni che dovrebbero essere prese in considerazione per evitare che l'aggiramento dell'importazione di merce direttamente contraffatta possa risultare efficace. È evidente che questo è solo un primo accenno sommario per dare un panorama della situazione. È ovvio che la sinergia tra le varie forze, la cosa assolutamente più importante, deve avvenire sulla base di un coordinamento e di una normativa che sancisca i limiti e le possibilità di contestuale accesso, o comunque ciò che deve fare uno e l'altra, ma comunque nello stesso tempo.
  Secondo me, questo è assolutamente fondamentale. La dispersione di forze di controllo – è di questo che necessariamente dobbiamo parlare – è un buco che ci rende assolutamente vulnerabili. Se necessario, posso dare altre indicazioni.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Chiedo alla collega Cenni, relatrice sulla materia, se ha delle domande, ma sicuramente ne avrà.

  SUSANNA CENNI. Ringrazio davvero il dottor Brosco per il suo contributo. Spero che possa esserci inoltrata anche la relazione, del materiale che possiamo acquisire. Se avete anche un po’ di dati, qualcosa da segnalarci, sicuramente ci saranno preziosi, perché questa è l'ultima delle audizioni che abbiamo in calendario per chiudere le indagini sul distretto di Prato, con tutte le sfaccettature che ha ben ripreso, come distretto strategico per l'Italia, ma anche per buona parte dell'Europa.
  Ascoltando la sua relazione e anche la sua interessante riflessione hanno riguardato l'evoluzione delle strade della contraffazione, dei percorsi e dei mezzi attraverso i quali soprattutto il tessuto, segnalato con più determinazione, oltre a una serie di altri oggetti, riguardo a queste indagini, una delle cose che sia le rappresentanze di imprese sia lo stesso sindaco di Prato ci hanno segnalato è stata proprio questa grossa movimentazione di enormi quantitativi di tessuto, che presumibilmente arrivano dal Pakistan e dalla Cina, di notte di norma, e che vedono. Quello che si rileva è l'utilizzo di questi tessuti per la produzione di abiti pronto moda, camicie, giacche e così via, che diventano made in Italy.
  Vi rivolgo alcune domande proprio su questo. Lei ha detto a un certo punto che la nuova modalità, dopo che arrivava il materiale completo, quindi contraffatto fuori, è quella di far arrivare materiale non contestabile dal punto di vista delle norme: secondo lei, questo tessuto rientra in questa casistica ? Va tenuto anche presente che le norme europee alla fine non prevedono un made in Italy in virtù del fatto che tutti i materiali sono esattamente provenienti dal nostro Paese: anche a lei torna che ci sia questo movimento, grandi quantitativi, e che siano questi i Paesi da cui arriva ?
  Inoltre, lei stesso giustamente ha detto, a proposito dell'evoluzione di questo movimento, che sarebbe utile per intervenire anche un maggiore coordinamento. Comunque, quando c’è una movimentazione di queste dimensioni, ovviamente a voi il fenomeno non sfugge, anche se regolare: mi chiedo se non scatti in qualche modo una segnalazione, pur nella regolarità di un prodotto che circola secondo norme riconosciute, perché probabilmente è il modo per arrivare in un secondo momento a comprendere che avviene il reato.
  In secondo luogo, sempre dal punto di vista del coordinamento, abbiamo sentito Pag. 6vari soggetti, ultimo in ordine di tempo il presidente della Toscana Rossi, ascoltato qualche settimana fa, ma un po’ tutti i soggetti istituzionali, il prefetto, il questore e così via, parlare con una certa soddisfazione dell'esperienza del patto locale per la sicurezza, quel meccanismo scattato soprattutto dopo la tragedia di due anni fa per l'incendio e che ha visto delle morti.
  Se ha prodotto dei risultati così positivi, per esempio l'investimento della regione Toscana su una serie di persone che vanno a fare controlli sulla sicurezza in imprese, laboratori o opifici, come vogliamo definirli, perché non c’è stata quest'ulteriore evoluzione ? Giustamente diceva che, se ci fossero Dogane, Agenzia delle entrate, Guardia di finanza, NAS, INPS assieme, a fare questo tipo di controlli, probabilmente riusciremmo ad approfondire ulteriormente: perché non è scattato questo ulteriore meccanismo ? Dove possono essere le ragioni ? Lo chiedo perché alla fine della relazione che stileremo abbiamo anche il dovere di segnalare i punti su cui si può lavorare per migliorare la situazione.
  Ancora, in tema di contraffazione si fa un gran parlare del ricorso a codici, ologrammi, forme di monitoraggio e riconoscimento che utilizzano anche nuove tecnologie che possono essere particolarmente efficaci: avete forme di rilevazione particolare, che possono esserci segnalate e diventare sistema di rilevazione complessiva ?
  Rispetto ai costi, sentendo il procuratore di Firenze e quello di Prato, ma anche altri – nelle indagini sui movimenti della contraffazione Milano, Roma, Firenze cominciano a diventare piuttosto indicative per il fenomeno – mi pare che alcune procure oramai si stiano indirizzando, anche assumendosi un po’ di responsabilità, a predisporre comunque la distruzione.
  Direi che forse è questa la strada più opportuna da percorrere, altrimenti penso che non riusciremo mai probabilmente nemmeno ad avere spazi per stoccare tutto questo materiale. Vorrei una vostra valutazione anche su questo.
  Infine, relativamente al quadro normativo, secondo la sua valutazione ci sono punti su cui sarebbe opportuno che aggiornassimo le norme che oggi abbiamo a disposizione ?

  PRESIDENTE. Direttore, c’è molta carne al fuoco. Vediamo di sintetizzare, ma cercando comunque di essere esaurienti. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  LUIGI IGINO GARRUTO, Responsabile dell'Ufficio Verifiche presso l'Ufficio dell'Agenzia delle dogane di Livorno. Il suo intervento, onorevole, è effettivamente ricchissimo di spunti. Partirei da alcuni dati statistici, perché è un elemento che a lei interessa.
  Noi abbiamo fatto delle proiezioni, visto che era il focus di questa Commissione, specificamente sui tessili. Abbiamo verificato che arrivano nelle province di Prato e Firenze milioni di euro in controvalore provenienti da diverse origini extracomunitarie, ma rispetto ad esempio al 2014, che vede 233 milioni di euro di importazioni, circa il 34 per cento è di origine della Cina. Questo dato statistico è stato riconfermato nel primo semestre 2015 e rispecchia pedissequamente ciò che era avvenuto anche nell'anno precedente.
  Siccome nel nostro diagramma di flussi, quando approcciamo le analisi dei rischi, seguiamo anche orientamenti di questo tipo, per misurare nello specifico un'attività di controllo più pregnante, anche alla luce della carenza di risorse, purtroppo endemica nella nostra agenzia, ci siamo resi perfettamente conto che gran parte dei tessili che arrivano direttamente come importazione provengono appunto dalla Cina.
  Alla sua domanda se quei flussi che arrivano nottetempo possano rientrare in questo contesto rispondo certamente di sì. Voglio precisare, però, anche sull'altro aspetto cui aveva accennato già il direttore, che circa l'8 per cento del materiale che arriva via nave viene raddoppiato con gli arrivi via terra di merci sdoganate nei Paesi terzi. Questo diventa un punto critico: Pag. 7alla luce della regolamentazione comunitaria, le merci comunitarie devono muoversi con estrema libertà, senza fardelli amministrativi o controlli.
  Pertanto, quando dalla nostra analisi dei rischi individuiamo spedizioni di merci comunitarie o immesse in libera pratica in un altro contesto comunitario, dobbiamo – uso un'iperbole, ma non è così – quasi forzare il dato normativo, perché effettivamente si rischia di andare contro il principio cardine della libera circolazione di merci all'interno dell'Unione europea. Questo diventa così un elemento critico. È verosimile che sia proprio la gran parte delle merci che arrivano nottetempo a muoversi su gommato, su strada. Oltretutto, le movimentazioni portuali a un certo orario si chiudono, e quindi vengono rinviate al giorno successivo.
  Nelle nostre indagini, quindi sono dati di fatto, molto spesso si utilizzano anche vettori non nazionali. Anche questo crea, se mi permette il termine, un contesto un po’ selvaggio. È difficile riuscire con i nostri mezzi italiani a monitorare tutto ciò che avviene oltre confine. Pertanto, anche in quest'ottica, un controllo dei siti ci permette di avere più puntualità e precisione nelle successive attività di controllo. La contraffazione è un reato particolarmente insidioso, il cui contrasto ha dato frutti importanti quando è stato possibile ricorrere ad attività tecniche di controllo, che siano le intercettazioni o un monitoraggio.
  Anche le analisi dei rischi fatte a monte dei flussi, però, possono fornire delle indicazioni particolarmente interessanti. Riprendendo quello che diceva il direttore, a differenza che nel 2013 – stiamo parlando di pochissimo tempo fa – quando il valore delle materie prime o semilavorate, tessuti e filati, si aggirava intorno ai 396 milioni di euro, contro circa 50 milioni di importazione di prodotti finiti, nel 2014 e nel primo semestre 2015 c’è un'inversione di tendenza.
  Questa è data, in particolar modo, non solo dal rilevante ammontare delle importazioni dirette, ma anche da circa 140 milioni di euro di acquisti intracomunitari, per cui non si possono più chiamare importazioni, perché ricadrebbero immediatamente sotto la nostra lente di ingrandimento. Gli acquisti intracomunitari, elemento che comunque l'Agenzia delle dogane prende in considerazione all'atto delle verifiche e delle analisi dei flussi, sfuggono leggermente a quel controllo serrato proprio perché vengono controllati dai nostri omologhi altrove.
  Noi abbiamo un'attività di indagine piuttosto importante, adesso cogestita insieme a Eurojust e all'OLAF, l'Ufficio europeo per la lotta antifrode, in cui un importante flusso di merci, passando vicino alla Germania, raggiungeva Prato, per poi essere disperso sul territorio, frammentato. A quel punto, il controllo diventa un po’ tardivo.
  L'idea di poter scambiare le informazioni con altri Corpi di polizia, anche quando fanno il banale controllo sul territorio o quello nella fase di distribuzione o ai grossisti, diventa fondamentale. Da questi passaggi si può risalire a ritroso all'importazione anche avvenuta in altri Paesi comunitari e attivare tutti quei meccanismi di cooperazione a livello doganale già consolidati e assolutamente efficaci.
  Perché non è fattibile o non è semplice ripetere l'esperienza del tavolo nazionale di Prato ? Perché in quel contesto è stata realizzata una vera e propria convenzione tra parti interessate. C’è stato un movimento volontario, richiamato probabilmente anche dalle autorità competenti sul territorio, ma di fatto non esistono meccanismi che – mi permetto – forzano questa collaborazione.
  L'Agenzia delle dogane negli anni scorsi ha tentato delle convenzioni con la forza di polizia più prossima a noi, cioè la Guardia di finanza, ma di fatto non ci sono stati riscontri così positivi come si sperava, probabilmente perché questo flusso di informazioni non c’è stato così come sperato.

  GIANFRANCO BROSCO, Direttore della Direzione Interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Il collega ha fatto delle considerazioni Pag. 8molto importanti e credo abbia risposto alla prima delle sue domande. Tento di ricordare tutte le altre, altrimenti eventualmente mi aiuterà.
  Per quanto riguarda il discorso del flusso di questo materiale da lavorare, ritengo di dover fare una precisazione tecnica. Non me ne vogliate, probabilmente lo saprete meglio di me, ma ai fini della fabbricazione di un capo di abbigliamento l'iter è fibra, filato, tessuto, capo di abbigliamento, confezionamento, storicamente, anche a prescindere dalla contraffazione.
  Sono già moltissimi anni che in Italia chi fa il filato è in grossa crisi. Non ci sono più filatori, per cui da tantissimi anni compriamo il filato terzo, segnatamente dagli Stati Uniti, naturalmente quando realizziamo capi d'abbigliamento di un certo tipo.
  Tutte le regole di origine doganali sono basate, quindi, a partire dal filato. Significa che si può comprare il filato di origine terza e realizzare il capo di abbigliamento, che è italiano, made in Italy, o comunque sulla base della regolamentazione d'origine. Questa è la filiera. Storicamente, quindi, l'approvvigionamento di tessuto e di filato c’è sempre stato. Poi si è inserita all'interno di quest'iter la tintura dei filati, che normalmente può avvenire nell'Unione Europea o anche in Italia per il tramite di tintori molto specializzati.
  Questo è importante perché comunque, per realizzare un capo di abbigliamento corretto o contraffatto male o bene – volevo aggiungere questa terza tipologia, che è importante – è sempre questo l'iter da seguire.
  Venendo alla sua considerazione, ci sono questi semilavorati, ma sono materiale base per realizzare il capo di abbigliamento finito. C’è un approvvigionamento, come c'era prima, ma prima si prendeva il filato statunitense e si realizzava un capo di abbigliamento fatto bene, mentre adesso si prende dalla Cina.
  È chiaro che tanto tessuto mi viene dalla Cina e tanti capi di abbigliamento ne devono conseguire. È matematico. Ecco dove possiamo con le nostre indagini ovviare a questo problema dell'impossibilità del controllo, visto che le merci arrivano da altri Paesi dell'Unione europea, ovvero attraverso l'analisi delle cessioni intracomunitarie.
  Un filato o un tessuto possono arrivare, quindi, dalla Cina, normalmente non di buona qualità, in un Paese dell'Unione europea, segnatamente la Germania citando l'ultimo caso, dove ci sono imprenditori cinesi, che va ricordato non sono solo in Italia. Questi imprenditori, che hanno una partita IVA tedesca, quindi sono ormai stabili in Germania, fanno a loro volta delle vendite di questo prodotto e parte di queste avviene a imprenditori di Prato. Noi possiamo controllare queste cessioni intracomunitarie, ma è chiaro che, se faccio una cessione intracomunitaria di tessuto, a fronte di questo deve essere realizzato un certo numero di capi, presumibilmente sulla base degli standard, che dovranno essere poi venduti.

  SUSANNA CENNI. Mi scusi, non so se ho capito bene. Lei parla di cessioni intracomunitarie, ma come si concilia l'osservazione di questo movimento con la libera circolazione delle merci ?

  GIANFRANCO BROSCO, Direttore della Direzione Interregionale Toscana, Sardegna e Umbria dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. La cessione intracomunitaria è la vendita. Mi scusi, è un linguaggio un po’ tecnico.
  Devo monitorare le vendite – chiamiamole così – di questo tessuto, di questo semilavorato, all'industria. Se rilevo la vendita di un grande quantitativo di tessuto, a fronte del quale viene emessa una fatturazione a Prato per un numero di capi di abbigliamento non corrispondente verosimilmente a quel quantitativo, o se vedo che quel quantitativo è stato lavorato da opificio, una manifattura cinese allo Smannoro con tre persone che vi figurano ufficialmente, qualcosa non funziona. È impossibile, infatti, che un numero di persone non adeguato lavori una certa quantità di materiale.
  Torniamo così al discorso di prima. Servirebbe una regolamentazione – uso Pag. 9volutamente un termine generico – che chiarisse esattamente i passaggi all'interno delle forze interessate, che io potessi comunicare all'INAIL che cosa viene lavorato e da quante persone. Questo ci consentirebbe di capire se sia possibile o meno. Servirebbe la possibilità di comunicare in tempo reale, senza competizioni tra amministrazioni. Parliamoci chiaro, a volte si instaura anche questo meccanismo di meriti da prendersi. Purtroppo, all'interno del nostro Paese c’è questo problema, ad esempio tra noi e la Guardia di finanza, ormai da cento anni, c’è sempre stato.
  Se riuscissimo a superare questo genere di problema tipicamente italico con una regolamentazione stringente che dicesse esattamente chi deve fare che cosa e come può essere veicolato questo flusso di informazioni con un accesso congiunto e dopo aver fatto un'analisi congiunta, questo sicuramente ci porterebbe a risultati enormi. Ultimamente, come Agenzia delle dogane abbiamo ottenuti risultati proprio grazie all'analisi di queste cessioni/vendite intracomunitarie, perché delle cose non quadrano. Questa è l'analisi su materiale effettivamente importato dalla Cina e poi veicolato nell'Unione europea, ma è chiaro che tutto quello che viene nascosto rientra in un quadro completamente diverso. Credo di aver risposto a un'altra delle sue domande. Se non ho o non abbiamo detto qualcosa, me lo ricordi, perché potrebbe sfuggirmi.
  Vorrei anche fare una precisazione. Molto spesso si parla di made in e di contraffazione: è molto importante capire che sono due cose completamente diverse. Si può avere una violazione della normativa sul made in senza avere una contraffazione, perché il prodotto non è contraffatto, cioè non è scadente, non è fatto con materiali particolari, ma semplicemente reca un'etichettatura non conforme alla normativa.
  Relativamente al made in, secondo me un altro elemento di approfondimento dal punto di vista legislativo è il seguente. Anche la nostra legge 350 del 2003 è in certi passaggi un po’ criptica: parla di made in Italy e fa riferimento alla regolamentazione d'origine comunitaria, ma le due cose non necessariamente vanno insieme. Per dichiarare che un prodotto rispetta le regole d'origine comunitaria, è fondamentale che si parta dal filato. Posso acquistare il filato terzo, realizzare il capo di abbigliamento e dire che è italiano, anzi comunitario per la verità, perché il made in è comunitario.
  Altro è il discorso se ho una regolamentazione specifica, made in Italy, ma diversa dal made in che si basa sulla regole d'origine comunitaria, che, come è stato fatto per alcuni prodotti dell'agroalimentare, mi dica esattamente quali sono le specifiche per le quali posso dire commercialmente, non dal punto di vista doganale, che quello è un prodotto italiano. Questo è un passaggio che molto spesso per il tessile manca. È stato fatto per l'agroalimentare perché si tutelano determinate produzioni, ma per il tessile questo non c’è. Questo è un altro elemento importante.
  Quella del made in è la violazione della normativa sulla proprietà intellettuale. Se etichetto un capo d'abbigliamento come «Primavera» e non preciso che è made in China, commetto una violazione, perché quello è un nome italiano che fa capire che quel prodotto è realizzato in Italia, e invece non è vero. Posso, invece, etichettare un capo come «Gucci» senza precisare nient'altro, perché la legge per la tutela del marchio me lo consente, non devo dire da dove viene quel prodotto, perché Gucci ha una tutela internazionale del marchio, e compro Gucci, non una giacca di cui devo conoscere la provenienza dal punto di vista commerciale. Quando vado in un negozio compro Gucci.
  Ecco come mi ricollego alla differenza di tipo di contraffazione. Normalmente, come cittadini comuni pensiamo alla contraffazione delle bancarelle per strada, ma in quel caso la clientela sa benissimo che non può trattarsi di un prodotto della marca che è riportata. Il prodotto della lavorazione di questi tessuti e filati che avviene in opifici anche di un certo livello è frutto di una contraffazione molto seria, fatta bene al punto che anche gli esperti Pag. 10hanno difficoltà a distinguere, e per buona parte quel prodotto va all'estero, negli Stati Uniti, in Giappone.
  Quelli sono proventi sinceramente cospicui. È un mercato che si sta allargando. Il problema non è più quello della contraffazione sulla bancarella, ma della contraffazione seria – scusate questa contraddizione in termini – cioè fatta bene, che va su mercati importanti. Anche quello è un fenomeno da analizzare.
  Noi lo analizziamo normalmente con il FALSTAFF (Fully Automated Logical SysTem Against Forgery Fraud), il progetto dell'Agenzia delle Dogane per la regolamentazione comunitaria della tutela dei diritti di proprietà intellettuale attraverso il coinvolgimento diretto delle ditte, che con i propri esperti vengono e ci dichiarano ufficialmente, secondo la procedura prevista dalla legge, se quel prodotto è contraffatto o meno. Questo sistema funziona benissimo. La normativa è assolutamente efficace, ma torniamo al discorso di prima: resta il problema dello smaltimento.
  Dovremmo riuscire a vendere subito i prodotti riconosciuti come contraffatti dalle ditte sulla scorta della normativa comunitaria o a distruggerli. Per questo, però, è necessario del tempo. Si può distruggere solo quando si è sicuri che il prodotto è contraffatto. In alternativa, dovremmo riuscire a togliere l'etichettatura e a darli in beneficenza. Anche questa è una cosa molto importante, e molto spesso lo abbiamo fatto. Queste misure sarebbero estremamente efficaci.
  Forse ho fatto un po’ di confusione e mi scuso, ma su qualsiasi altro punto possiamo tornare.

  PRESIDENTE. Direttore, non c’è stata confusione. Lei si è espresso in modo molto diretto e, credo, molto comprensibile.
  La ringrazio anche a nome dei colleghi. È stato un utilissimo intervento, che chiude, come dicevamo, tutta la sequenza di lavoro della collega Cenni. Vi saluto e vi auguro buon ritorno alle sedi di rispettiva appartenenza.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che la documentazione che perverrà successivamente sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.

Audizione del Presidente del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana, Raimondo Domenico.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del Consorzio di tutela della mozzarella campana, il dottor Raimondo Domenico. Non ho altro da aggiungere per introdurla. La prego, pertanto, di fare il suo intervento. Il focus del lavoro della Commissione è la contraffazione. Ciò non le impedisce, ovviamente, di parlare in generale di eventuali quadri normativi in essere o in divenire, ma naturalmente nell'ottica dell'attenzione di questa Commissione d'inchiesta.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Ringrazio la Commissione per quest'audizione.
  Ho preparato una bozza per far capire il problema attuale che viviamo in Italia, in Europa e in parte anche oltre l'Europa, partendo da una piccola premessa. La denominazione di origine protetta mozzarella di bufala campana DOP, registrata ai sensi del Regolamento CEE 2081 del 1992, risulta a oggi iscritta nel registro delle denominazioni di origine protetta e delle indicazioni geografiche protette, di cui all'articolo 11 del Regolamento dell'Unione europea 1151 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari che hanno abrogato e sostituito, con decorrenza dal 3 gennaio 2013, il Regolamento CEE 510 del 2006, che a sua volta aveva sostituito e abrogato il 31 marzo 2006 il Regolamento CEE 2081 del 1992.
  La DOP mozzarella di bufala campana beneficia, pertanto, nell'ambito dell'Unione europea, della protezione di cui all'articolo 13 del Regolamento 1151 del 2012. Come è noto, si tratta di una protezione rilevante con particolare riferimento all'istituto Pag. 11delle vocazioni sul quale la Corte di giustizia dell'Unione europea si è soffermata in diverse occasioni delineandone chiaramente l'ampia portata.
  Ciononostante, ancora oggi è possibile riscontrate sul mercato dell'Unione europea, ivi compreso il territorio nazionale, diversi formaggi freschi a pasta filata prodotti con latte di bufala la cui etichettatura, a parere dello scrivente Consorzio, è suscettibile di revocare agli occhi del consumatore il formaggio fresco a pasta filata che beneficia della DOP mozzarella di bufala campana.
  I criteri per l'utilizzo dei termini di designazione relativi al prodotto a denominazione di origine protetta mozzarella di bufala campana previsti nel decreto 21 luglio 1998, seppur a suo tempo lungimiranti, non solo risultano invocabili – non trattandosi, come noto, di disposizioni cogenti – soltanto con riferimento al territorio nazionale, ove peraltro sono frequentemente disattesi dagli operatori, ma, aspetto ben più rilevante, non sembrano essere in sintonia con la protezione di cui beneficia la DOP mozzarella di bufala campana sulla base dell'articolo 13 del Regolamento 1151 nella giurisprudenza della Corte e del nuovo articolo 42 del Regolamento citato.
  Secondo tale disposizione, infatti, rubricata «Varietà vegetale e razza animale», «il presente Regolamento non osta l'omissione in commercio di prodotti la cui etichettatura riporti un nome o un termine protetti o riservati nell'ambito di un regime di qualità descritto al titolo 2, al titolo 3 o al titolo 4, che contiene o comprende il nome di una varietà vegetale o di razza animale purché siano soddisfatte le condizioni seguenti: a) il prodotto in questione comprenda la varietà o la razza indicata oppure ne è derivato; b) i consumatori non siano indotti a errori; c) l'uso del nome della varietà o della razza rispetti le regole della concorrenza leale; d) l'uso non sfrutta la notorietà del termine protetto; e) nel caso del regime di qualità descritto al titolo II, la produzione e la commercializzazione del prodotto si siano diffuse al di fuori della zona di origine prima della data della domanda di registrazione dell'indicazione geografica».
  Sulla base del secondo paragrafo della medesima disposizione, «al fine di chiarire ulteriormente la portata dei diritti e della libertà degli operatori del settore alimentare in relazione all'uso del nome di una varietà vegetale o di una specie animale, di cui al paragrafo 1 del presente articolo, alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all'articolo 56 per quanto riguarda le norme per la determinazione dell'uso di tali nomi».
  In altri termini, si dice chiaramente nelle nuove disposizioni come l'uso del nome della razza «bufala» nell'etichettatura i prodotti non conformi al disciplinare della DOP siano da considerare legittimi soltanto qualora siano soddisfatte le condizioni indicate. Si noti poi concretamente come, ogni qualvolta l'uso del nome della razza bufala associato alla denominazione «mozzarella», chiaramente non soltanto nella denominazione «mozzarella di bufala», ma anche a quella «mozzarella di latte di bufala», non è obbligatorio, trattandosi di prodotti la cui denominazione di vendita legale corrisponde a formaggio fresco a pasta filata, risulti ancora più censurabile alla luce delle nuove disposizioni.
  In virtù di quanto indicato, tra le attività finalizzate alla tutela e salvaguardia della DOP mozzarella di bufala campana, uno dei principali compiti dell'articolo 53, comma 15, della legge n. 128 del 1998, come sostituito dall'articolo 14, comma 1, della legge n. 526 del 1999, e i pertinenti decreti attuativi, affidate allo scrivente Consorzio, vi sarà pertanto in primis l'azione mirata ad assicurare il rispetto sul mercato dell'Unione europea, ivi compreso il mercato nazionale, della mozzarella di bufala campana DOP nei confronti di formaggi freschi a pasta filata ottenuti da latte di bufala, la cui etichettatura sia suscettibile di evocare quest'ultima sulla base della protezione offerta dall'articolo 13 del Regolamento 1151 Pag. 12della giurisprudenza della Corte e del nuovo articolo 42 del Regolamento sopra richiamato.
  In tal senso, si auspica che la cosiddetta protezione ex officio delle denominazioni di origine e indicazione geografica protette dei prodotti agricoli e alimentari prodotta dal Regolamento n. 1151 possa agevolare, in particolare ove sollecitata dallo scrivente Consorzio, la tutela effettiva della DOP mozzarella di bufala campana sul territorio europeo.
  Nei Paesi extra Unione europea, a meno che si tratti di Paesi con i quali l'Unione abbia concluso accordi bilaterali per la protezione delle indicazioni geografiche con un ambito di protezione analogo a quello previsto dal Regolamento 1151, per esempio con la Svizzera, l'azione finalizzata a tutelare e salvaguardare la DOP mozzarella di bufala campana è ancora più difficile.
  Trattandosi, però, in diversi casi di Paesi che possono rappresentare un mercato importante per l'esportazione del prodotto, e quindi per i produttori di mozzarella di bufala campana DOP, il Consorzio è determinato ad agire per assicurare nella misura possibile e compatibilmente con gli strumenti giuridici a disposizione nei singoli Paesi la massima protezione alla denominazione.
  In tal senso, come evidenziato nel dettaglio più innanzi, il Consorzio si è adoperato fortemente negli ultimi anni ad assicurare in tali Paesi la protezione della denominazione mozzarella di bufala campana generalmente attraverso la figura del marchio collettivo e di certificazione. Benché i risultati raggiunti possano considerarsi soddisfacenti, è comunque intenzionato a rafforzare tale protezione avvalendosi di tutti gli strumenti giuridici a disposizione, e in questa direzione si attiverà per ottenere la registrazione della denominazione «mozzarella di bufala campana» in seno all'Accordo di Lisbona per la protezione della denominazione d'origine e la sua registrazione internazionale.
  Allo stesso modo, è intenzionato a realizzare uno studio per presentare nei Paesi di maggiore interesse che presentano un sistema sui generis di protezioni e indicazioni geografiche la domanda di registrazione della denominazione «mozzarella di bufala campana» o, nei Paesi privi di tale sistema, la domanda di registrazione della denominazione come marchio collettivo di certificazione. In tal senso, indicazioni già molto utili sono offerte dal manuale pratico per i consorzi: proteggere le indicazioni geografiche nei mercati emergenti, come Brasile, Russia, India, Cina e altri.
  È, inoltre, determinato ad attivarsi per presentare la domanda di intervento delle autorità doganali ai sensi del Regolamento CEE 1383 del 2003, con riferimento alla DOP «mozzarella di bufala campana» e al marchio collettivo utilizzato come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare.
  Infine, considerata la già evidenziata presenza sul mercato dell'Unione europea di diversi formaggi freschi a pasta filata ottenuti da latte di bufala, la cui etichettatura a parere dello scrivente Consorzio è suscettibile di evocare agli occhi del consumatore il formaggio fresco a pasta filata che beneficia della DOP «mozzarella di bufala campana», si rende necessaria una costante azione di monitoraggio, con particolare riferimento al mercato nazionale e a determinati Paesi nell'interesse primario dei consumatori. Tale monitoraggio riguarderà anche il settore della collettività.
  Le possibili violazioni riscontrate a seguito di tale attività di monitoraggio determineranno l'assunzione da parte del Consorzio delle azioni di tutela opportune come di seguito meglio illustrate. Tali azioni, pertanto, riguarderanno in primis i Paesi dell'Unione europea, senza peraltro tralasciare gli interventi nei confronti di prodotti rinvenuti sui mercati extra Unione europea sulla base della protezione della denominazione mozzarella di bufala campana ottenuta negli ultimi anni dal Consorzio a seguito della propria attività di registrazione della denominazione o del marchio utilizzato come segno distintivo del prodotto.
  Infine, il Consorzio continuerà ad affidare a una società esterna un incarico Pag. 13circa la sorveglianza sui marchi depositati da terzi e potenzialmente in conflitto con la DOP «mozzarella di bufala campana» e/o marchi registrati dal Consorzio. Tale attività di sorveglianza, che da anni riguarda gli Stati Uniti e il Canada, sarà estesa a livello mondiale.
  Vengo alle azioni da porre in essere: presentazione della domanda di registrazione della denominazione «mozzarella di bufala campana» insieme all'Accordo di Lisbona per la protezione della denominazione d'origine e la loro registrazione internazionale; presentazione della domanda di registrazione della denominazione «mozzarella di bufala campana» in Paesi di particolare interesse che presentano un sistema sui generis di protezione delle indicazioni geografiche, come la Federazione russa, la Norvegia o l'India; presentazione delle domande di registrazione della denominazione «mozzarella di bufala campana» e/o della domanda di registrazione e rinnovo del marchio collettivo come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare nei Paesi privi del sistema di protezione delle indicazioni geografiche; sorveglianza dei marchi depositati o registrati da terzi in ambito internazionale e, se del caso, presentazione avanti ai competenti uffici o giudici delle opportune osservazioni o opposizioni di nullità; presentazione della domanda di intervento delle autorità doganali ai sensi del Regolamento 1383 con riferimento alla DOP «mozzarella di bufala campana» e al marchio collettivo utilizzato come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare; monitoraggio sul mercato anche in relazione alla collettività finalizzato ad assicurare il rispetto della denominazione «mozzarella di bufala campana» e del marchio collettivo utilizzato come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare, con particolare riferimento ai seguenti Paesi, anche attraverso prelevamento di campioni da parti degli agenti vigilatori con qualifica di agenti di pubblica sicurezza legati da rapporto di lavoro al Consorzio: Germania, Paesi Bassi, Regno Unito e Spagna; invio di lettere di diffida e assunzione di eventuali azioni legali, in particolare sul territorio dell'Unione europea, ivi compreso il territorio nazionale, al fine di assicurare il rispetto della denominazione di mozzarella di bufala campana e del marchio collettivo utilizzato come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare; presentazione di esposti alle autorità degli Stati membri dell'Unione europea responsabili del controllo sul mercato sul rispetto delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche sulla base del regolamento 1151; invio di lettere di diffida e assunzione di eventuali azioni legali, nei Paesi terzi ove sia assicurata la protezione della denominazione o del marchio utilizzato come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare.
  Le azioni realizzate negli ultimi anni dal Consorzio anche con il sostegno del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali hanno avuto come obiettivo innanzitutto di assicurare la protezione della denominazione mozzarella di bufala campana in Paesi terzi. Ciò è avvenuto in particolar modo con la registrazione del logo utilizzato come segno distintivo del prodotto conforme al disciplinare sempre come marchio collettivo o di certificazione.
  È stato così possibile ottenere la registrazione dello stesso in Paesi di particolare interesse, quali Stati Uniti, Canada, Svizzera, Giappone, Australia e Argentina. La domanda di registrazione è attualmente in corso in Brasile e India, mentre in altri Paesi, quali Cina e Federazione russa, la registrazione ci veniva negata.
  Le azioni del Consorzio sono state, peraltro, indirizzate anche a impedire l'uso del marchio di etichettatura che potesse evocare agli occhi del consumatore il formaggio che beneficia della DOP «mozzarella di bufala campana» per formaggi freschi a pasta filata prodotti interamente o parzialmente con latte di bufala non conformi al pertinente disciplinare.
  Tra le principali iniziative assunte in tempi recenti basti ricordare l'azione nei confronti di un operatore svizzero che commercializzava sul territorio svizzero un formaggio fresco a pasta filata contenente Pag. 14latte di bufala e il 20 per cento di latte di mucca recante un'etichettatura caratterizzata, tra le altre informazioni, da designazione di mozzarella di bufala con l'immagine raffigurante la testa di una bufala e l'uso dei colori bianco, rosso e verde. A seguito dell'intervento del Consorzio, assistito in tale vicenda da uno studio legale esperto di normativa svizzera in materia di etichettatura di derrate alimentari o sulla protezione garantita sul territorio svizzero alla DOP «mozzarella di bufala campana», in virtù dell'accordo tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera relativo alla protezione della denominazione d'origine e delle indicazioni geografiche dei prodotti agricoli e alimentari recante Modifica dell'accordo tra l'Unione europea e la Confederazione svizzera sul commercio di prodotti agricoli, entrato in vigore dal 1o dicembre 2011, sostanzialmente analogo a quello oggi prevista all'articolo 13 del Regolamento 1151, l'operatore si impegnava a modificare la denominazione del prodotto in questione in modo da utilizzare un'etichettatura non più suscettibile di evadere la DOP «mozzarella di bufala campana» e di ingannare i consumatori.
  Il Consorzio poi invitava un operatore immesso nel sistema del controllo della DOP «mozzarella di bufala campana» a modificare diverse informazioni presenti sul proprio sito, in quanto idonee a far ritenere al consumatore che formaggi freschi a pasta filata prodotti con latte di bufala non conforme al pertinente disciplinare promossi sul sito beneficiassero della DOP mozzarella di bufala campana. Anche tal caso veniva risolto in via bonaria.
  Infine, il Consorzio presentava, assistito dai propri consulenti in marchi, osservazioni di terzi avanti all'UIBM, Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, al fine di impedire la registrazione di un marchio rivendicato per latte e prodotti derivati, da latte in particolare e mozzarella, in quanto suscettibile di rientrare, a parere del Consorzio, nell'ipotesi di cui all'articolo 14, Regolamenti 510 e 1151. Purtroppo, le osservazioni presentate dal Consorzio risultavano infruttuose e la domanda di marchio in questione veniva accolta. Il Consorzio sta quindi valutando le azioni più opportune da assumere per tale caso, che formeranno parte delle attività da porre in essere nell'imminente futuro.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente, e do la parola al collega Russo.

  PAOLO RUSSO. Ringrazio il presidente del Consorzio.
  Vorrei capire quali sono i numeri del Consorzio di questi ultimi anni, quelli del fatturato, della vendita: qual è la situazione del prodotto ? Qual è la condizione che si misura sul prodotto in un momento di straordinaria criticità per il Paese ? Le tante criticità, che pure ha vissuto questo prodotto – penso alle diossine, ai rifiuti, alla brucellosi, alle indagini – sono state superate dalle ragioni di mercato ? Si misurano i successi che pure questo prodotto merita ? Vorrei conoscere qualche numero in questo senso.
  Inoltre, vorrei provare a capire un po’ meglio la vostra sensazione sulla normativa, peraltro di recente approvata, che di fatto sta costruendo una tracciabilità assoluta nella filiera bufalina. Vorrei capire se siamo in condizioni già ora, attraverso il Consorzio, di conoscere la quantità di latte prodotto quotidianamente, di produzione, se vi sia un'adesione al sistema da parte delle aziende. Qual è la vostra idea su questo fronte più specifico ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Nonostante tutte le crisi che il Paese e l'Europa stanno attraversando, tutte a noi ben note, il prodotto ha retto all'impatto e all'urto. Il 2014 è stato chiuso con il segno più, anche se ameremmo avere segni più a due cifre, che purtroppo non ci sono. Ci accontentiamo già del segno più. Già questo è un dato positivo. A piccoli passi, i numeri sono in crescita.
  Quello che ci auguriamo, invece, da questa nuova tracciabilità è di portarla a termine quanto prima. Qualunque cosa si dica della Regione Campania, è l'unica che Pag. 15sta facendo la tracciabilità. In questi minuti stanno avendo un'altra riunione, quindi non conosco i dati attuali, ma nella riunione di un mese e mezzo fa sapevamo quanto latte di bufala si produceva in Campania e non si sapeva quanto latte si produceva nel resto dell'Italia.
  Onestamente, il Consorzio è un po’ offeso da questo, perché eravamo sempre noi campani gli additati, e invece abbiamo scoperto che in lungo e in largo per l'Italia – si tratta di poche altre aziende, perché oltre alle due macroaree di Caserta e Salerno con il basso Lazio, le altre aziende sparse per l'Italia non fanno volume – non conosciamo alcun numero. Chiedevo in commissione al ministero perché solo e sempre questo feroce attacco nei confronti dei produttori, allevatori e trasformatori campani, mentre altri trasformatori e produttori sparsi non sono controllati da nessuno.
  Eppure questo Regolamento è andato in vigore già dal 1o dicembre, e ad aprile non avevano fatto alcuna registrazione sul sito del ministero. Chiedevo, quindi, di sollecitare gli organi preposti di far venir fuori questi dati, altrimenti si parla senza cognizione di causa. Non è utile sapere che arriva latte da Milano, per esempio, senza sapere in quale quantità e se esista un'azienda.

  PAOLO RUSSO. Ovviamente, per la filiera bufalina non DOP.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Non DOP. Il ministero, però, ha pensato alla certificazione e alla tracciabilità di tutto il latte nazionale, sia DOP sia non DOP: abbiamo visto che il DOP è tutto giustificato, mentre di quello non DOP non sappiamo nulla. Spesso troviamo all'interno della nostra area DOP delle aziende che tendenzialmente escono dalla DOP o, all'interno dello stesso stabilimento, cercano di fare la non DOP per non essere controllati. Alla fine, la realtà è questa: chi fa DOP viene controllato; per chi non fa DOP, purché si attenga ai regolamenti sanitari, tutto il resto, come diceva un cantante, è noia.

  PAOLO RUSSO. Anche il 2014, quindi, è stato un po’ di crescita. Immagino che non ci sia stata straordinaria crescita degli allevamenti. Grossomodo, siamo lì. Semmai, c’è stata una flessione.
  Che lei sappia, il prezzo del latte è cresciuto o diminuito alla stalla ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. È diminuito, perché c’è crisi economica, perché non siamo capaci di dare un'offerta quando c’è la richiesta. Purtroppo, siamo inevitabilmente in controtendenza: quando c’è la richiesta, non abbiamo il prodotto; quando abbiamo il prodotto, non c’è la richiesta. È questo il nostro grosso problema. Abbiamo sempre quel gap di 35-40 per cento di materia prima che non riusciamo a collocare nella DOP per effetto delle 60 ore del disciplinare.

  PAOLO RUSSO. Su possono ipotizzare delle soluzioni, anche se ci stiamo allontanando dal tema, come destagionalizzare lavorando sugli allevamenti ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. È una delle ipotesi possibili, ma non risolviamo il problema.

  PAOLO RUSSO. Secondo lei, come si può risolvere il problema ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Abbiamo fatto delle proposte, che sono al ministero. Siamo in attesa che il ministero ci dica sì o no. È una battaglia che stiamo facendo da qualche anno.

  PAOLO RUSSO. Che cosa avete proposto ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Abbiamo avanzato proposte di modifica del disciplinare.

Pag. 16

  PAOLO RUSSO. Si riferisce a questa storia di cui leggiamo del latte congelato ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Non si tratta del latte congelato. Purtroppo, a volte i giornalisti scrivono cose dettate o sentite nei corridoi o davanti al bar. Abbiamo avanzato proposte per destinare del prodotto già trasformato – non parliamo di latte, quindi, ma di prodotto già trasformato – per il canale HORECA (Hotel, Restaurant, Café).
  Perché, ad esempio, una pizzeria al nord dovrebbe comprare la mozzarella di bufala campana fresca portata lì con l'aereo e pagare il costo del trasporto più di un prodotto e non fare magazzino, che non si può fare per un prodotto fresco ? Alla fine, onorevole Russo, noi siamo campani: lei mangerebbe mai una pizza con mozzarella di bufala su cui venga messo dell'ananas, semmai a New York – io non la mangerei – per poi pagarla 20 dollari ?
  Se, invece, avessimo la possibilità di mandare un prodotto surgelato, sarebbe diverso.
  La nostra ipotesi di modifica è sul prodotto finito, per il canale HORECA, non per darla ai ristoranti che la servano da mangiare in tavola.

  PAOLO RUSSO. Questo, quindi, non ha nulla a che fare con quello che leggiamo – non abbiamo altri strumenti – delle 60 ore.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Le 60 ore scomparirebbero automaticamente, perché tutto il latte che entra nell'azienda viene trasformato.

  PAOLO RUSSO. Nelle audizioni che abbiamo tenuto in queste ore abbiamo rilevato delle criticità anche sul fronte che ci interessa in questa fase della tutela e della tracciabilità e dell'evitare porte aperte alla contraffazione. Una delle criticità espressa è proprio l'eventuale ipotesi di apertura al disciplinare oltre le 60 ore. Non è, quindi, un'ipotesi.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Assolutamente no. Due sono i paletti fondamentali. Uno è l'utilizzo di tutto il latte DOP all'interno dell'azienda. Se si vuole il marchio per il proprio stabilimento, si deve utilizzare esclusivamente latte DOP. Questo si evince dalle fatture d'ingresso. A valle, c’è la destinazione diversa di fresco o surgelato per il canale HORECA. Ormai si abbatte il pesce che arriva nei ristoranti. Se non passa per l'abbattitore, non si porta a tavola. Non capisco perché, se si porta la mozzarella surgelata per fare la pizza, si gridi allo scandalo.

  PAOLO RUSSO. Qual è l'altra ipotesi di modifica ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. È questa la modifica. Nel momento in cui riusciamo a ottenere questo, avendo risolto le 60 ore, secondo me a quel punto vanno eliminate.

  PRESIDENTE. Scusi se mi permetto, collega Russo, ma il punto è delicato e vorrei ben capire, come sicuramente anche lei: la regola delle 60 ore resta o non resta nella vostra ipotesi ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Le 60 ore alla fine possono rimanere, ma non le utilizzeremo più come ultimo termine. Se tutti i giorni coagulo il latte che raccolgo, è latte di 12, al massimo 24 ore.

  PAOLO RUSSO. Non ho capito, ma sono ignorante. Ho capito che l'ipotesi di modifica, perlomeno da quello che mi diceva, non è come avevo pensato di eliminare le 60 ore, e quindi consentire di congelare il latte a monte.
  L'ipotesi sulla quale lavorate è di consentire che sia DOP un prodotto surgelato.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Certo.

Pag. 17

  PAOLO RUSSO. Le 60 ore rimangono.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Possono rimanere.

  PAOLO RUSSO. Non capisco.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Possono, perché a noi non interessa più. Se oggi facciamo un grafico, otteniamo le aziende che lavorano in modo molto diseguale dal periodo invernale a quello estivo. In questo periodo si lavora notte e giorno, in quello invernale si lavora appena un quarto di giornata, con dei costi in più perché bisogna organizzare l'azienda per lavorare in tal modo.
  Noi potremmo realizzare questo prodotto finito surgelato, che sarebbe comunque marchiato DOP. Il problema è acquistare la materia prima e pagarla per DOP: oggi passano le 60 ore e da quel latte non è più realizzabile un prodotto DOP, vado a vendere un prodotto senza marchio, e automaticamente il cliente non spende gli stessi soldi che per quello con il marchio. Questo è la ragione per cui il prezzo oscilla nei periodi invernali a tal punto da mettere in ginocchio a volte gli allevatori.
  Dall'altra parte, però, da trasformatori bisogna capire che a volte si prende quel latte, non lo si utilizza, non lo si trasforma, lo mettiamo in delle celle e rimane lì per 6-8 mesi fermo, con esborsi e anticipazioni di capitali. Quando lo utilizziamo, abbiamo anche un abbattimento di resa. Il prezzo che viene fuori è dettato dal mercato, non da una nostra scelta.

  PRESIDENTE. Se il collega consente, in qualsiasi momento, ovviamente, volesse proseguire, come relatore ha la priorità.
  Lo scenario auspicato dal Consorzio, quindi, è quello di modificare il disciplinare rendendo possibile la surgelazione del prodotto finito senza perdere la DOP, con vincolo però di destinazione nella distribuzione al canale HORECA esclusivamente. Va bene, questo è lo scenario relativamente al disciplinare.
  Ho ancora un punto, poi il presidente aggiungerà quello che ritiene. Torno su una cosa brillantemente messa già in luce dal relatore, che le chiede come va il prodotto, e lei risponde che tutto sommato va bene. In effetti, anche a me risulta nell'arco di un periodo anche lungo un trend di crescita che ha subìto solo leggere perturbazioni da vari eventi, come brucellosi e così via. Il parco delle bufaline è sostanzialmente stabile, se non addirittura in leggero regresso, nella zona DOP. Il prezzo, però, agli allevatori scende.
  Non viene da pensare, a questo punto, che possa esserci nella filiera qualche problema di immissione di materia prima non appartenente alla zona DOP ? Lei ha una percezione in questo senso o no ? Può essere anche una valutazione impropria e sbagliata.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Non ho questa percezione, ancor meno da quest'anno con questa nuova tracciabilità. La mattina si fa la raccolta del latte e – solo alla mia azienda è capitato a me due volte e al mio autista altre quattro – arrivano dei controlli. Personalmente, sono stato trovato sul camion una mattina e si sono stupiti che raccogliessi il latte. I Carabinieri ci fermano le macchine e i camion e ci controllano quello che c’è sulla botte e quello che abbiamo registrato. Non ci sono stati casi di sequestro, eccetto uno.
  Avevamo cambiato l'autista da pochi giorni, questo ragazzo la mattina in azienda non ha trovato l'operatore, e non sapeva fare la registrazione. Aveva mille litri di latte raccolti in un'azienda DOP, riconosciuta e certificata, e li aveva portati via senza la registrazione. Giustamente, i Carabinieri gli hanno sequestrato il latte, poi si sono resi conto dell'errore umano, che può succedere, ma eccetto questo caso, sono stati fatti controlli a tappeto e non è stato evidenziato nessun problema.
  Lei chiede come mai, essendo il trend del latte un po’ in crescita, il prezzo del latte scende. Nell'arco di dieci anni – la invito a vedere le registrazioni del parco Pag. 18bufalino presso Teramo – si è quasi raddoppiato il numero delle bufale. Sul mercato l'offerta della materia prima è aumentata in base alla richiesta del mercato. È pur vero che le aziende vendono, che è cresciuta in percentuale la produzione, ma i dati economici sono scesi. Per unità di chilogrammo prodotto e venduto il prezzo è diminuito, è andato a marcia indietro per poter vendere.

  PRESIDENTE. Allora sbagliavo affermando che la mandria è stabile. È cresciuta sul periodo del decennio ?

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. Sì.

  PAOLO RUSSO. Vorrei qualche elemento in più. È cresciuta negli ultimi dieci anni, ma negli ultimi tre anni non è cresciuta. Ovviamente, ragiono non solo con l'idea che ogni nostra attività è tesa alla tutela del prodotto, dei consumatori, della filiera e delle imprese, ma se negli ultimi tre anni è cresciuta complessivamente a due cifre la produzione di mozzarella di bufala campana DOP, ad occhio e croce poco meno del 20 per cento, e non è cresciuta però la mandria, è evidente che o c'era troppo latte invenduto, che ora si sta assorbendo, o è strano che non cresca il prezzo alla stalla.
  E siccome non cresce il prezzo alla stalla, anzi tende lievemente a diminuire, è evidente che qualche problema nella filiera c’è, e ogni problema della filiera naturalmente diventa un problema della filiera della contraffazione, o meglio dell'anticontraffazione.

  PRESIDENTE. Se vuole ancora rispondere alle considerazioni del collega Russo e poi anche, se lo ritiene, aggiungere la considerazione che ha rinviato prima, può rispondere, e poi ci avviamo alla chiusura dell'audizione.

  RAIMONDO DOMENICO, Presidente del Consorzio Tutela Mozzarella di Bufala campana. La considerazione era quella che vi ho detto nel frattempo, e cioè che il prezzo non è cresciuto ed è cresciuto il quantitativo.
  La preoccupazione dell'onorevole Russo è giusta. Il problema è che ancora una gran parte, più del 50 per cento, degli allevatori in primis non destagionalizza, e quindi offre la materia prima in un momento in cui il mercato non la richiede. Questo genera poi sul mercato una flessione di prezzo. Ecco perché avevamo pensato di eliminare il problema delle 60 ore. Qualche azienda italiana vende latte fresco con una durata di 30 giorni: come ci regoliamo in quel caso ? Ecco spiegate le 60 ore. Se è fresco il latte di un'azienda alimentare, non capisco perché non possa essere fresco il nostro delle 60 ore.
  Per quanto riguarda le aziende di trasformazione, quando hanno del latte che dopo le 60 ore diventa non più DOP, abbassano il prezzo per vendere alla grande distribuzione, che acquista, abbassando il prezzo. Quando, invece, purtroppo il prezzo di mercato non riesce a superare i 6,20-6,30 euro, come posso pagare un litro di latte 1,20-1,30 euro ? È impossibile. Di conseguenza, si abbassa il prezzo e, purtroppo, l'allevatore non riesce a stare, come si suol dire, nei panni da recuperare i soldi per dar da mangiare agli animali.
  Qualche allevatore in quest'ultimo anno, avendo forse dei pregressi problemi economici, ha rischiato di chiudere l'allevamento. Non ha dovuto chiudere la stalla perché il caseificio paga poco. Voglio ricordare all'onorevole Russo che gli 80-90 centesimi di euro che si sentono in Campania e che fanno gridare allo scandalo perché gli allevatori non riescono a dar da mangiare agli animali, sono lo stesso prezzo per il latte che scende da Bergamo portato fino in Campania. Mi faccio allora qualche domanda: perché l'allevatore che sta a Bergamo con 80-90 centesimi di euro riesce a vendere e a rimanere a galla per quadrare i conti e l'allevatore in Campania non è capace ?
  Il problema è un altro. Purtroppo, in Campania l'altra mancanza di riguardo è che non si rispettano i capi per ettari di Pag. 19terreno. Noi siamo di gran lunga oltre il parametro dei famosi quattro capi per ettaro o otto in zone svantaggiate. Personalmente, richiamo le aziende che fanno dormire le bufale nei letti a castello. Magari per un ettaro di terreno con gli adeguamenti arriviamo a dieci, ma quando poi su un ettaro di terreno mettiamo trenta o quaranta animali, poi non riusciamo più a soddisfare l'azienda per la produzione dei foraggi per gli animali. Automaticamente diventa una fabbrica, non più un allevamento.
  Abbiamo degli allevatori forse poco imprenditoriali, ma molto allevatori. Questo significa che ci troviamo senza destagionalizzazione, non riusciamo a organizzare un'azienda dal punto di vista economico e troviamo l'allevatore che si lamenta perché non va bene. Probabilmente, ha guadagnato qualcosa in più negli anni passati, quando il latte era poco, e quindi l'offerta sul mercato era inferiore alla richiesta, per cui c'era un rialzo anno per anno. Purtroppo, quei numeri non ci sono più.

  PRESIDENTE. Ringrazio vivamente il presidente Domenico. Credo che la riunione sia stata molto fruttuosa, che sia servita a tutti noi anche per mettere bene a fuoco il punto di vista del Consorzio sul disciplinare, elemento non di dettaglio.
  Dichiaro conclusa l'audizione e dispongo che la relazione presentata sia allegata al resoconto stenografico della seduta odierna.

  La seduta termina alle 15.45.

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