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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III, VIII, X e XIII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 24 settembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Realacci Ermete , Presidente della VIII Commissione ... 2 

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, in merito ai prossimi appuntamenti internazionali sui cambiamenti climatici, con particolare riferimento alla XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) (Parigi 30 novembre – 11 dicembre 2015) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Realacci Ermete , Presidente della VIII Commissione ... 2 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 
Realacci Ermete , Presidente della VIII Commissione ... 6 
Bianchi Stella (PD)  ... 7 
Realacci Ermete , Presidente della VIII Commissione ... 7 
Bianchi Stella (PD)  ... 7 
Busto Mirko (M5S)  ... 8 
Palazzotto Erasmo (SEL)  ... 9 
Braga Chiara (PD)  ... 10 
Zaratti Filiberto (SEL)  ... 10 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 10 
Benedetti Silvia (M5S)  ... 11 
Zaccagnini Adriano (SEL)  ... 11 
Dallai Luigi (PD)  ... 11 
Segoni Samuele (Misto-AL)  ... 12 
Realacci Ermete , Presidente della VIII Commissione ... 12 
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 13 
Realacci Ermete , Presidente della VIII Commissione ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera: Misto-AL.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA VIII COMMISSIONE ERMETE REALACCI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, in merito ai prossimi appuntamenti internazionali sui cambiamenti climatici, con particolare riferimento alla XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) (Parigi 30 novembre – 11 dicembre 2015) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, in merito ai prossimi appuntamenti internazionali sui cambiamenti climatici, con particolare riferimento alla XXI Conferenza delle Parti (COP 21) della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) (Parigi 30 novembre – 11 dicembre 2015).
  Nel ringraziare il ministro Gentiloni per la sua partecipazione, facendo altresì presente che il ministro è a nostra disposizione fino alle 15.30, sottolineo l'importanza di tale audizione che, insolitamente, si svolge presso quattro le Commissioni, a dimostrazione dell'interesse generale che c’è sul tema. È chiaro a tutti, infatti, che le problematiche di cui ci occupiamo – mutamenti climatici, COP 21 e trattative internazionali – non sono questioni ambientali in senso stretto, ma riguardano argomenti – politiche economiche e sociali – che richiamano in ballo fortemente la collocazione dell'Italia nel mondo. Invitiamo pertanto il Ministro Gentiloni a illustrarci, innanzitutto, lo stato della situazione negoziale in vista dell'appuntamento di Parigi. Sappiamo che la situazione è molto delicata e forte è l'impegno francese. Peraltro, il responsabile per la Francia del processo negoziale è il ministro degli esteri francese, Fabius, ma ribadisco che la situazione negoziale è tutt'altro che tranquilla. Vorremmo anche sapere se vi sono elementi di debolezza e inadempienza dell'Italia rispetto agli appuntamenti passati, per arrivare a Parigi con la forza necessaria per far sentire la nostra voce e per mettere in relazione la questione dei mutamenti climatici con le scelte di politica economica, di geopolitica e di politica sociale che l'Italia è chiamata a mettere in atto. Al riguardo, ricordo che il fatto che l'ENI abbia trovato un grande giacimento di gas al largo dell'Egitto ha una valenza sul fronte ambientale e sul fronte geopolitico, perché la stabilizzazione dell'Egitto dal punto di vista economico ha a che vedere con molte altre questioni. I dati, già disponibili, sui flussi migratori connessi ai cambiamenti climatici, vengono forniti dalle Agenzie dell'ONU, Pag. 3ma rilevo che spesso vengono discussi in sedi anche atipiche (ricordo un rapporto del Pentagono di qualche tempo fa). Si parla, fra emigranti e sfollati per ragioni ambientali, di 20 milioni di persone, che potrebbero diventare anche 200 entro i prossimi decenni. C’è, quindi, una connessione fra le scelte relative ai mutamenti climatici e le scelte di politica economica e di competitività del nostro Paese, del made in Italy, di innovazione e dei rapporti internazionali. Pertanto, il ministro degli esteri, da questo punto di vista, sicuramente potrà fornire delle suggestioni importanti.
  Per l'organizzazione dei nostri lavori, d'accordo con i presidenti delle altre Commissioni, propongo di seguire lo schema solitamente adottato. Chiedo pertanto ai colleghi di essere contenuti nelle questioni da porre al ministro. Darò quindi la parola, all'inizio, a un esponente per gruppo per poi darla, nella misura in cui avremo tempo, anche ad altri colleghi, per poter esprimere il proprio punto di vista.
  Do, quindi, la parola al Ministro Gentiloni.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Nel ringraziare il presidente Realacci, i presidenti delle altre Commissioni e i colleghi presenti, ritengo che l'audizione odierna sia molto utile, in quanto, come sapete, siamo alla vigilia del vertice sull'Agenda 2030 di New York. Credo, infatti, che sia una buona occasione anche per quanto attiene alla tempistica per fare il punto sul piano politico e diplomatico della situazione e dell'impegno italiano riguardo a un dossier che, naturalmente, segue direttamente il ministro dell'ambiente Galletti, ma che impegna tutto il Governo. L'impegno italiano parte da due premesse. La prima è che si tratta di una delle grandi priorità politiche globali. Certamente a oggi, tra i temi principali quali le migrazioni, la sicurezza, il terrorismo, lo sviluppo, la questione del cambiamento climatico è in cima all'agenda globale e l'audizione odierna, con la partecipazione di quattro Commissioni, dimostra che innanzitutto in Parlamento c’è la consapevolezza del fatto che non si tratta di un tema settoriale, ma di una questione assolutamente trasversale. Del resto, chi ha visto le immagini della visita del Papa ieri alla Casa Bianca e ha ascoltato anche le sue parole in riferimento all'enciclica Laudato si’, credo, si sia reso conto di quanto questo messaggio sia sempre più sul piano globale al centro dell'interesse. Sappiamo che siamo a poco più di due mesi di distanza dall'incontro di Parigi, che avrà forse un rilievo per le prospettive future del pianeta. La seconda premessa è che la sfida del cambiamento climatico, oltre a essere centrale sul piano politico, trascina con sé tante altre sfide innovative, dall'efficienza energetica allo sviluppo delle rinnovabili, ai trasporti più puliti – tema di grande attualità, come sappiamo –, dallo sviluppo della green economy alla diversa gestione del territorio e dell'agricoltura, dagli incentivi alla ricerca e all'innovazione agli interventi di ristrutturazione edilizia a fini energetici. Una volta si parlava di «modello di sviluppo», adesso possiamo usare una terminologia diversa, ma non c’è dubbio che cambiare orientamento sulla grande questione del cambiamento climatico trascina con sé la necessità di prendere decisioni innovative in tanti altri settori – ne ho segnalati solo alcuni – e addirittura, come sappiamo bene, ha riflessi anche sul nostro atteggiamento culturale e sui nostri modelli di comportamento. Dal punto di vista della sfida politica nella comunità internazionale, descriverei l'obiettivo in tal modo: si tratta, di fronte ai rischi, sui quali non mi soffermo, ma di cui credo siamo tutti abbastanza informati e consapevoli, di cercare di trovare finalmente, considerato che non è avvenuto nelle precedenti Conferenze, una soluzione globale condivisa nell'ambito della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sulla lotta ai cambiamenti climatici. Questo è l'obiettivo della Conferenza che si terrà dal 30 novembre all'11 dicembre prossimi, la cosiddetta COP 21: trovare, in sostituzione del Protocollo di Kyoto, ma con ben altra ampiezza e carattere vincolante rispetto ad Pag. 4esso, un accordo per un protocollo vincolante a livello globale che sia ambizioso sul piano degli obiettivi che si prefigge, durevole nel tempo, dinamico, in quanto capace di adattarsi al mutamento della situazione, e trasparente, in termini di verificabilità degli impegni che vengono presi. Questo protocollo dovrebbe perseguire un obiettivo di lungo termine, cioè la riduzione, al 2050, delle emissioni globali di almeno il 60 per cento rispetto ai livelli del 2010. Il meccanismo con il quale si cerca di arrivare a questo accordo globale e si sta lavorando alla preparazione della COP 21 è basato sui cosiddetti INDC, sigla inglese che indica i contributi decisi da ciascun singolo Paese alla mitigazione dell'impatto delle emissioni di gas serra. Il ricorso a tale strumento è stato deciso, in sostanza, per cercare, con un approccio che in gergo si chiama bottom-up, cioè dal basso, che vede protagonisti i singoli Paesi, al fine di superare lo stallo che il negoziato sul clima aveva raggiunto negli ultimi due o tre anni in particolare attorno a quale fosse il significato della definizione che tradizionalmente le Nazioni Unite hanno utilizzato su tale questione. Scusate se vi ripropongo le terminologie diplomatiche che sono al centro del negoziato. Nella Convenzione dell'ONU si usa, circa le emissioni di gas e il cambiamento climatico, l'espressione «responsabilità comuni ma differenziate». D'altronde, il dibattito su quanto ci fosse di comune e quanto di differenziato nelle responsabilità tra Paesi industrializzati, Paesi di nuova industrializzazione e Paesi più poveri è un dibattito che, negli ultimi due o tre anni, ha di fatto prodotto un'enorme difficoltà a progredire, considerato anche il fallimento del vertice di Copenaghen. L'idea alla base della COP 21 è che a questo impasse si possa reagire non riproponendo l'approccio tradizionale di fissare un limite dall'alto, ovvero una soglia che dovrebbe essere valida per tutti – si aprirebbe poi il dibattito se con il termine «tutti» debbano essere intese tutte le diverse categorie di Paesi e che cosa significhi «differenziato» tra i diversi Paesi – ma, senza fissare soglie dall'alto sulle quali cercare l'accordo di tutti, con un approccio nel quale confluiscano contributi e decisioni di ciascun Paese. Il punto è che, fino a oggi, gli impegni che sono stati formalmente presentati da singoli Paesi sono 65 e che, di questi, 28 sono dei Paesi dell'Unione europea, che li hanno presentati poco meno di un anno fa. Questi 65 Paesi, per darvi un'idea, corrispondono a circa il 60 per cento della produzione mondiale di gas serra. Non è poco, ma è insufficiente rispetto agli obiettivi che la Conferenza si pone. Quest'ordine di grandezza, in sostanza, fa sì che, oggi come oggi, se non ci sono passi in avanti nelle prossime settimane, il fenomeno del riscaldamento globale andrebbe oltre l'aumento di 3 gradi. Questo risultato sarebbe qualcosa in meno di quello che succederebbe con un meccanismo lasciato alla libertà, di business as usual, con cui l'aumento si collocherebbe attorno ai 5-6 gradi. Un aumento superiore ai 3 gradi, però, è molto diverso dall'obiettivo che la Conferenza si pone, cioè quello di contenere al di sotto dei 2 gradi il cambiamento.
  Questa situazione è un po’ la fotografia del contesto attuale. Credo che gli incontri che ci saranno nei prossimi otto giorni a New York saranno fondamentali. Come sapete, abbiamo in sequenza prima l'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e poi l'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Come sempre, intorno a questi appuntamenti si svolgono tantissimi incontri, alcuni dei quali sono preparatori della COP 21. Ad alcuni parteciperà il Presidente del Consiglio, ad alcuni il Ministro dell'ambiente, ad altri il Ministro degli esteri. Dobbiamo tentare – ripeto, i prossimi dieci giorni sono fondamentali – di sbloccare l’impasse da parte di alcuni Paesi che ancora, pur avendo, ovviamente, un ruolo importante da questo punto di vista, non hanno presentato i loro impegni di contributo nazionale e che, quindi, tendenzialmente, se non cambia la situazione, non intendono concorrere a questo sforzo globale. Ritengo che, per il successo di questa operazione, siano altrettanto importanti le cosiddette politiche di climate Pag. 5financing, cioè di finanziamento delle attività sul clima, che sono un altro modo per risolvere la questione di cui parlavo prima. Si tratta della discussione che riguarda l'individuazione di chi sia responsabile della situazione in cui siamo e, quindi, quale debba essere l'apporto delle diverse categorie di Paesi. Le politiche di finanziamento cercano di venire incontro alle aspettative dei Paesi in via di sviluppo di essere destinatari di somme in grado di finanziare le attività, che oggi sono richieste, di cosiddetta mitigazione degli effetti dei gas serra e, quindi, delle conseguenze per il cambiamento climatico. A questo proposito è stato creato, come sapete, il Green Climate Fund, al quale l'Italia partecipa e si è impegnata a contribuire con 250 milioni di euro in cinque anni. Questo ci inserisce nel gruppo dei 10 principali contributori di tale fondo. Accanto a ciò, che rappresenta il punto essenziale, naturalmente, le Nazioni Unite stanno lavorando per arrivare – a differenza del Protocollo di Kyoto, che, come sapete, coinvolgeva in gran parte Paesi OCSE e che, tra l'altro, non coinvolgeva direttamente gli Stati Uniti – a un accordo vincolante per tutta la comunità delle Nazioni Unite, per tutti i Paesi del mondo. Ciò non vuol dire che ciascuno contribuisca allo stesso modo. Ho cercato di ricordare a tutti noi qual è il meccanismo. Tuttavia, il protocollo, una volta raggiunto, è vincolante per l'intera comunità onusiana. Accanto a ciò, naturalmente, sono importanti i diversi accordi bilaterali che sono stati, credo abbastanza utilmente, raggiunti nell'ultimo periodo. In particolare, ricordo a tutti noi l'intesa tra Stati Uniti e Cina, che è importante perché questi due Paesi da soli sono responsabili di un terzo delle emissioni mondiali di gas serra. Dobbiamo anche ricordare, però, che si tratta di un'intesa in cui gli impegni non sono altrettanto ambiziosi come quelli che ha preso l'Unione europea. È molto positivo che sia stata raggiunta questa intesa, ma il livello di impegni non è paragonabile a quello preso dai Paesi europei. L'iniziativa si sviluppa in diversi contesti multilaterali, di cui ricordo uno: Expo è stata sicuramente in questi primi cinque mesi, uno dei luoghi del confronto globale mondiale su questi argomenti, sia per il tema che ne era al centro, sia per il fatto che ci sono state oltre un centinaio di delegazioni di Governi, tra capi di governo e ministri degli esteri. Expo è diventata uno dei luoghi del confronto, e lo sarà ancor più con la presentazione della Carta di Milano e con la visita di Ban Ki Moon a metà ottobre prossimo, che, come sapete, il 15 sarà anche qui alla Camera dei deputati. Nell'ambito dell'Unione europea l'Italia ha sostenuto, e direi che ne è stata anche nell'ultimo periodo parte dirigente, l'impostazione che punta a un'economia a basso contenuto di carbonio e, all'orizzonte, al traguardo 2050 di una decarbonizzazione dell'economia. Si tratta di un percorso avviato con il pacchetto «20-20-20», che, nell'ottobre del 2014, durante la presidenza italiana e grazie anche all'iniziativa del nostro Paese, ha prodotto l'accordo quadro 2030 su Clima-energia, il quale – lo voglio ricordare – sancisce l'impegno dell'Unione per una riduzione di almeno il 40 per cento delle emissioni di gas serra interne rispetto al 1990, assieme a un obiettivo europeo vincolante di aumento della quota di rinnovabili almeno fino al 27 per cento e a un obiettivo europeo indicativo del 27 per cento per l'efficienza energetica. Accanto e oltre a Parigi, credo che il summit delle Nazioni Unite sull'Agenda 2030 invierà molto fortemente un messaggio sulla necessità di quella che in gergo viene chiamata «diplomazia della sostenibilità», cioè della moltiplicazione degli sforzi diplomatici e di cooperazione allo sviluppo per affrontare le sfide che vengono sul piano geopolitico dai cambiamenti climatici. Si tratta di sfide che credo tutti conosciamo piuttosto bene e che sono evidenti, per esempio, in Africa. Il tema dell'acqua e della desertificazione è all'origine di molti dei fenomeni migratori. Addirittura – di questo si parla molto poco – la crisi siriana, che oggi è centrale sul piano internazionale, nasce inizialmente da un problema di siccità, di mancanza d'acqua. I primi movimenti di contestazione hanno Pag. 6radici di questo genere in Siria. Si pensi poi, ovviamente, all'innalzamento dei livelli del mare e agli impatti che questo innalzamento ha per alcuni Paesi, dalla Malesia al Bangladesh, o per gli Stati insulari del Pacifico. Ho letto che ieri la Corte suprema neozelandese ha emesso una sentenza interessante – è la prima volta che ciò avviene – negativa su una richiesta di diritto d'asilo da parte di una famiglia dell'isoletta di Kiribati per rischio di innalzamento del mare. Ho l'impressione che richieste di questo genere, se non riusciamo a invertire la tendenza, potrebbero moltiplicarsi e avrebbero necessariamente risposte diverse. Anche sul piano nazionale, il ruolo della cooperazione allo sviluppo sul fronte dei cambiamenti climatici deve aumentare. Da un paio d'anni c’è uno sforzo da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione in questa direzione su tutte le aree prioritarie della cooperazione, ma in modo particolare concentrato su due aspetti: da un lato, i Paesi africani, dove si lavora per il miglior adattamento e per aumentare la capacità di resilienza, che si traduce, ovviamente, in un contenimento delle spinte migratorie; dall'altro, in favore dei piccoli Stati insulari, che sono i più vulnerabili. Ricordiamoci che, pur rappresentando solo il 4 per cento delle terre emerse, questi piccoli Stati insulari racchiudono il 28 per cento della biodiversità mondiale e che, quindi, il riscaldamento globale non li minaccia solo nel senso dell'aumento del livello del mare, ma è anche una minaccia alla ricchezza del pianeta dal punto di vista della biodiversità. Abbiamo attraversato, negli ultimi 20-30 anni, diverse fasi nel confronto internazionale sul tema del cambiamento climatico. C’è stato, in una prima fase, un grande confronto, sia politico, sia nella comunità scientifica, sull'esistenza stessa del problema, con delle posizioni «negazioniste» molto solide, che si sono sviluppate anni fa. C’è stata poi una fase, che è quella che Parigi cercherà di sbloccare, nella quale, pur essendo aumentata la consapevolezza, la reazione della comunità internazionale si è bloccata di fronte alla diversa lettura del grado di responsabilità dei diversi gruppi di Paesi: chi deve rispondere a questa minaccia, quelli che hanno raggiunto un determinato livello di sviluppo, oppure, sia pure in misure differenziate, anche quelli che hanno un livello di sviluppo meno avanzato, ma cominciano a dare un contributo alle emissioni molto rilevante ? Credo che almeno a un punto si sia arrivati, cioè alla consapevolezza che il problema riguarda tutti e ciascuno. Non c’è più, nella discussione internazionale, una posizione che dice: «Il problema non riguarda noi». La discussione attiene alla misura in cui ciascuno può o deve contribuire alla soluzione, ma vi è anche il riconoscimento del fatto che il problema riguarda tutti. Tuttavia, la sfida di Parigi resta molto difficile. Ritengo che, come Italia, dobbiamo avere due consapevolezze. La prima è che l'Europa, almeno su questo campo, ha un ruolo di leadership positiva generalmente riconosciuto. La seconda è che il nostro Paese ha nelle sue imprese, nella ricerca, nella sua capacità di esportazione, tutte le capacità che sono necessarie a vivere questo grande cambiamento, che è necessario non solo come una rinuncia imposta, ma anche come un'occasione di sviluppo. Credo che il messaggio che dobbiamo cercare di trasmettere, e penso che l'Italia ne abbia tutte le capacità, è che ci troviamo di fronte, quando parliamo di come confrontare il cambiamento climatico, non ad obblighi, che abbiamo certamente verso le generazioni future, derivanti dalla necessità unicamente di una rinuncia, ma anche a una straordinaria occasione di sviluppo diverso e di diversa capacità della qualità italiana da tanti punti di vista. Questo cambiamento è anche una grande occasione, non è solo un limite con il quale dobbiamo fare i conti.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro anche per la concisione con cui ha affrontato le importanti tematiche affrontate, do pertanto la parola inizialmente a un deputato per gruppo, invitando ad essere molto contenuti, in maniera tale da poter far intervenire il maggior numero di Pag. 7colleghi possibile. Il Ministro ha fatto, giustamente, un riferimento alla vicenda della Volkswagen, che ci ricorda che anche per potentissime imprese la sfida del produrre pulito è determinante. Seguendo l'intervento di Papa Francesco con Obama, mi ha colpito, a parte la sintonia su questo tema – Obama, peraltro, qualche settimana fa era stato in Alaska a vedere lo stato dello scioglimento dei ghiacci – il fatto che l'applauso più forte abbia riguardato proprio tale vicenda. Quindi, è evidente che vi è un segno di sensibilità anche in un Paese in cui questo argomento è stato oggetto di scontro politico molto violento anche nelle elezioni primarie americane, fra Democratici e Repubblicani. Do, quindi, la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  STELLA BIANCHI. Grazie, presidente, anche per questa occasione così importante. Ringrazio il Ministro per le comunicazioni che ci ha fornito. Noi seguiamo con grande attenzione l'evolversi del negoziato verso Parigi perché vediamo, come ci ha detto il Ministro, che ci sono ancora molti passi da fare. Sono arrivati contributi nazionali da un numero non enorme di Paesi. La cosa che conforta, però, è che rappresentano una quota significativa di emissioni. Comincia ad affermarsi questa logica inclusiva del percorso, che non si limita ai confini del Trattato di Kyoto, che aveva i limiti che ricordava il Ministro.
  Ci sono, però, ancora molti passi da fare, e non c’è molto tempo per farli. Uno degli elementi di grande preoccupazione che noi abbiamo è che sappiamo che questo Accordo che – speriamo – si raggiungerà a Parigi, globale e vincolante, di riduzione delle emissioni, con l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media globale entro i 2 gradi, così come stabilito nel precedente vertice di Durban del 2011, entra in vigore, però, solo nel 2020, cosa che sicuramente il Ministro ha ben presente.
  Non solo, dunque, nel 2015 stiamo arrivando con una somma di contributi nazionali che rischia di essere ancora al di sotto dell'asticella necessaria per rimanere entro la soglia dei 2 gradi, ma questo Accordo entra in vigore entro il 2020. Ci vuole uno sforzo in più della comunità internazionale per riuscire a restare nella soglia oltre la quale, secondo gli scienziati dell'IPCC, l'organismo che risponde alle Nazioni Unite, scattano meccanismi non controllabili e reazioni non più prevedibili di combinazioni di innalzamento del livello dei mari e scioglimento dei ghiacciai, che anche il Ministro ricordava. Sarà qualcosa al quale noi non riusciremo più a porre rimedio.
  Tutti noi siamo molto preoccupati di qualcosa cui il Ministro faceva riferimento, cioè questa sottovalutazione, questa mancata consapevolezza di quanto sia importante affrontare i cambiamenti climatici, e lo siamo tanto di più dopo i campanelli di allarme che stanno suonando a ripetizione anche nel nostro Paese, che è particolarmente vulnerabile, così come è vulnerabile tutta l'area del Mediterraneo, ma il nostro Paese forse ancora un pochino di più. I campanelli di allarme che suonano sono, ovviamente, il ripetersi di alluvioni, di trombe d'aria...

  PRESIDENTE. Collega Bianchi, poniamo le questioni al Ministro.

  STELLA BIANCHI. Perdonate. Passo alle questioni che volevo porre.
  Una riguarda il tipo di accordo che si sta facendo. Il Ministro faceva riferimento alle caratteristiche dell'accordo, dinamico e trasparente. Questi sono elementi assolutamente essenziali. Io ho visto che nella posizione dell'Unione europea viene riportato un impegno ai meccanismi di monitoraggio e al fatto che l'Accordo debba essere rivisto ogni cinque anni, o comunque in un tempo congruo, in modo che i Paesi siano incoraggiati, in un circolo virtuoso, a entrare nel sistema di produzione e di consumo necessario a rimanere nella soglia dei 2 gradi.
  La cosa che volevo segnalare soprattutto è questa. Giustamente il Ministro faceva riferimento alla questione dell'energia. I due terzi delle emissioni di CO2Pag. 8vengono dalla produzione e dall'uso dell'energia, e sappiamo che, in particolare, il carbone è la maggiore fonte responsabile dell'inquinamento (40 per cento di energia prodotta nel mondo e 70 per cento di emissioni). Io mi chiedo se l'Italia, in seno all'Unione europea, ritenga di farsi portavoce di un'iniziativa per fermare soprattutto le centrali a carbone, che sono ancora 350 nell'Unione europea. Le 10 centrali più inquinanti sono in Germania, in Polonia e nel Regno Unito. Siamo abituati ad additare la Polonia, ma la maggiore responsabilità sta in Germania. Le chiedo se l'Italia si può fare portavoce di una campagna di chiusura delle centrali a carbone e di una campagna per impedire che siano costruite nuove centrali a carbone.
  L'altra cosa su cui mi piacerebbe vedere un forte impegno dell'Italia è un sistema di carbon tax. Io penso che sia fondamentale non solo fare leva su quanto già la green economy si è sviluppata e su quanto le rinnovabili e l'efficienza energetica si sono sviluppate. Bisogna anche prevedere un prezzo per le esternalità negative, che invece noi, fino a questo momento, non abbiamo mai considerato. Lo faccio presente al Ministro e gli chiedo una particolare attenzione sul fatto che il meccanismo di revisione del sistema di scambio delle quote di emissione ETS in sede europea, che pure sembra vedere la luce, rischia di non portarci a un sistema efficiente, mentre quello che ci vorrebbe è davvero un sistema di carbon tax, qualcosa che dia un prezzo al carbonio e che porti le imprese a investire nelle attività che sono a bassissimo impatto di carbonio.

  MIRKO BUSTO. Mi permetta di aggiungere due dati alla sua analisi. Oltre agli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra, quantificati nel meno 60 per cento, c’è un dato risalente al 2013 dell'IPCC che riguarda i budget cumulativi di emissione. I budget sono più significativi perché ci fanno capire quanto resta per rimanere sotto l'obiettivo dei 2 gradi. Il budget attualmente dice che, per avere il 66 per cento di probabilità, noi dobbiamo stare sotto 1.000 gigatonnellate di CO2. Mille gigatonnellate, ai ritmi attuali di crescita, sono poco più di vent'anni. Ciò vuol dire che in circa vent'anni dobbiamo trasformare radicalmente il sistema produttivo ed economico in un sistema a emissioni zero. Questa è la sfida di questo secolo, che ci troviamo noi, come politici, a dover affrontare.
  C’è ancora meno tempo, poi, per affrontare la questione relativa all'obiettivo del grado e mezzo, che sta riemergendo ultimamente per gli effetti che proprio lei citava, con riferimento agli Stati insulari, dell'Africa subsahariana e di tutta quella parte di popolazione della Terra che si troverà a pagare le conseguenze del cambiamento climatico in prima persona, e sarà la parte che potrà mitigare e potrà adattarsi di meno, perché non avrà le risorse per farlo. Ci sono pochi anni, sei o sette, per trasformare il nostro sistema in un sistema a emissioni zero.
  C’è da chiedersi, dunque, quale proposta noi andiamo a portare in Europa. È vero che andare lì a partecipare ai negoziati è importantissimo, ma noi dobbiamo avere una visione di mondo da proporre. Noi dobbiamo andare là dentro con una visione chiara di quelle che saranno le nostre politiche per raggiungere gli obiettivi. Non possiamo arrivare portando avanti un sistema in cui si tiene «un piede in una scarpa e un piede nell'altra», in cui, da una parte, si dice di investire nelle rinnovabili e dall'altra si continua a investire nel petrolio, nell'olio e nei gas di scisto, come sta avvenendo adesso anche in Europa, argomento sul quale si sta discutendo. Noi dobbiamo avere una visione chiara.
  L'energia, è stato detto, è uno dei settori più importanti, che incidono maggiormente. Abbiamo un Piano energetico per trasformare il nostro sistema produttivo in un sistema a emissioni zero, in un numero di anni ? Definiamolo, ma facciamo un Piano. Noi, che siamo una forza di opposizione, che non abbiamo le risorse, stiamo provando a farlo. Voi lo state facendo ? Avete un'idea chiara ? Due terzi delle riserve petrolifere e di gas devono Pag. 9rimanere nel sottosuolo, questo ci dice Nature, altrimenti noi supereremo i 2 gradi. Quindi, dobbiamo avere una visione molto chiara.
  Lo stesso vale per i trasporti. Stiamo portando avanti un piano sulla mobilità sostenibile, lo stiamo realizzando, abbiamo idee chiare da portare in Europa ?
  Inoltre, dobbiamo parlare di un'altra cosa importante: il cibo. Avete citato Expo. Il cibo sarà un'altra delle enormi sfide di questo secolo. C’è un problema: abbiamo 400 parti per milione di CO2 in atmosfera. Anche se noi azzerassimo, la forzante antropica che aumenterà la temperatura del pianeta Terra continuerà. Dobbiamo abbassare la concentrazione in atmosfera. Oggi quello che ci può aiutare è l'agricoltura, l'agroecologia, fare in modo che ci sia una nuova rivoluzione nella produzione agricola. Come facciamo il cibo ? In maniera da prendere la CO2 e stoccarla nei suoli e avere un'agricoltura che sia resiliente, capace di assorbire, di resistere al cambiamento climatico.
  Per questo a noi l'Expo non è piaciuta, perché questa Expo parla di cibo, non parla di come facciamo il cibo. Parla di marche, non parla di come noi produrremo il cibo nel futuro, di come sfameremo la popolazione della Terra. Oggi l'80 per cento – sono dati della FAO – della produzione alimentare globale la fanno i piccoli agricoltori, l'agricoltura contadina. Questo è lo schema che noi dobbiamo implementare. Può servire a sfamare il pianeta Terra un'agricoltura diversa dall'agricoltura industriale, che non usa pesticidi, o ne usa il meno possibile, che non usa la fertilizzazione e che diventi resiliente.
  Queste sono le sfide. Io vorrei che voi proponiate in Europa un modello, perché noi abbiamo una responsabilità storica. Abbiamo promosso un modello nei Paesi emergenti. Abbiamo oggi la responsabilità di promuoverne uno che sia giusto e sostenibile.

  ERASMO PALAZZOTTO. Intervengo brevemente, solo per fare alcune considerazioni e chiedere anche su questo al Ministro quali sono gli impegni che il nostro Paese può prendere.
  Noi ci presentiamo a questa Conferenza a seguito di un'infinita serie di fallimenti, e le premesse di questa Conferenza hanno ancora qualche dato preoccupante. Non è un caso che molti Paesi non abbiano ancora presentato i propri contributi e i propri impegni.
  Contestualmente, invece, tutte le previsioni ci parlano di una situazione devastante. Lo ricordava Lei, ma tutti i rapporti dell'ONU ci dicono che c’è un nesso inscindibile tra i processi di desertificazione e i conflitti attualmente presenti. Se noi andiamo a guardare la mappa dei conflitti e la sovrapponiamo alla mappa dei processi di desertificazione, dall'Africa subsahariana fino al Medio Oriente, vediamo che c’è una connessione strettissima.
  Noi abbiamo la necessità di mettere in discussione un modello di sviluppo. Purtroppo, devo dire che anche la discussione di oggi ci pone nell'ottica della riduzione del danno. Noi arriviamo a questa Conferenza con la massima aspettativa di riuscire a mettere in campo politiche di riduzione del danno, senza mettere in discussione, in realtà, un modello di sviluppo, che è il punto centrale, oggi che questo tocca anche noi. I processi di tropicalizzazione del Mediterraneo sono evidenti e sotto i nostri occhi.
  Il tema è se ci sia da questo punto di vista – Lei diceva con diversi gradi anche di responsabilità – l'acquisizione di un concetto, che ha espresso anche Papa Francesco nella sua enciclica, che è il tema del debito ecologico, cioè l'idea che i Paesi maggiormente sviluppati, visto che il loro modello di sviluppo ha inciso di più sulla condizione di vita dei Paesi meno sviluppati, abbiano in qualche modo un debito ecologico da saldare. Questo è un tema centrale perché riguarda il modello di sviluppo non solo rispetto al nostro modello interno, ma anche rispetto a quello che mettiamo in campo. Noi ci troviamo nella condizione di dover rimettere in discussione anche l'etica della politica internazionale. Mentre andiamo a Parigi a Pag. 10proporre modelli di riduzione delle emissioni, allo stesso tempo continuiamo a investire nelle fonti non rinnovabili, a partire dalla politica interna con lo «Sblocca Italia», con il quale abbiamo messo in campo un processo che guarda principalmente allo sviluppo delle fonti fossili, per arrivare alla politica che fa anche la nostra azienda di Stato, l'ENI, in Paesi in via di sviluppo, che vedono nella grande proprietà di risorse, soprattutto di idrocarburi, una possibilità di avvicinarsi al nostro modello di sviluppo.
  Io credo che, fino a quando non si interromperà quella catena e noi non promuoveremo nei confronti anche di questi Paesi modelli di sviluppo, di crescita industriale e di investimenti, per esempio, sulla cooperazione, che siano legati principalmente all'agricoltura e al consumo sostenibile, noi potremo fare altre venti Conferenze, ma ci ritroveremo sempre al punto di partenza, probabilmente con mezzo grado in più rispetto alla crescita della temperatura, ma sempre sull'orlo del baratro. Pertanto, mi chiedevo se questo sia un tema che noi proporremo sia nelle nostre scelte di politica internazionale ed economica sia dentro la Conferenza di Parigi.

  CHIARA BRAGA. Per brevità, anche per consentire ad altri colleghi di intervenire e sentire le risposte del Ministro, vorrei porre soltanto una questione. È impressionante – credo che sia anche l'elemento di maggiore preoccupazione – il ritardo con cui alcuni Paesi stanno rispondendo a questo impegno relativo alla presentazione delle proprie proposte e posizioni. Mi chiedevo se questa sia una difficoltà legata a una prudenza e a una difficoltà oggettiva di assumere impegni che poi entrano a pieno titolo nella definizione dell'Accordo, o se ci sia anche un ritardo determinato dalla difficoltà di questi Paesi a sviluppare proposte da trasmettere e, quindi, da fare entrare nella discussione. Mi chiedo anche se ci sia uno spazio per il lavoro della cooperazione da parte degli altri Paesi, di supporto, soprattutto, agli Stati più arretrati dal punto di vista di una proposta su questi temi.

  FILIBERTO ZARATTI. Grazie, signor Ministro. Pongo molto velocemente tre questioni.
  Ho apprezzato l'accenno da parte del Ministro alla vicenda dei rifugiati climatici e dell'acqua. Ricordo che i rifugiati climatici soltanto nel 2014 sono stati 19 milioni e tutto lascia pensare che cresceranno in modo significativo e la transizione verso il mondo decarbonizzato deve essere rapida per tenere l'aumento della temperatura a un grado e mezzo, o al massimo due, altrimenti avremo un aumento, se continuiamo così, da 4 a 6 gradi.
  Tre questioni io penso siano fondamentali.
  La prima è se il Governo italiano intenda portare una posizione ufficiale che chieda la chiusura di tutte le centrali a carbone nel nostro Paese come elemento fondamentale degli accordi di Parigi.
  La seconda è come il Governo intenda incrementare nel nostro Paese la produzione di energia da fonti rinnovabili, visto che sono stati sostanzialmente tagliati tutti gli incentivi.
  La terza è se il Governo non ritenga doveroso ripensare alla politica che ha prodotto il piano che ha portato a incentivare le trivellazioni nei nostri mari. È evidente che quel tipo di scelta contrasta nettamente con tutte le posizioni che sono state espresse qui dal Ministro.
  Infine, vorrei sapere se il Governo italiano ritiene importante e fondamentale portare una posizione che chieda che tutti gli accordi siano legalmente vincolanti alla fine degli accordi di Parigi.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Grazie Ministro, per aver affrontato un tema effettivamente di grande rilevanza anche sulla politica estera. Si andrà, infatti, a negoziare a Parigi un Accordo multilaterale, perché molti dei dossier di politica estera hanno a che fare con il tema climatico. Parliamo di sicurezza energetica. È stato ricordato che vi sono 6 milioni di profughi per ragioni ambientali. In particolare, i prossimi quindici anni di azioni per lo sviluppo saranno direzionati effettivamente ad azioni di sviluppo sostenibile. Pag. 11Quest'audizione avviene non solo prima del summit di Parigi, ma anche prima dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite in cui si discuterà degli obiettivi post-2015.
  In merito ho due domande da porre.
  Essendo il tema climatico un tema che si intreccia molto con quello dello sviluppo – riprendo anche alcuni degli interventi dei colleghi – l'Italia intende dotarsi di un'agenda italiana per il raggiungimento degli obiettivi post-2015, inclusi gli obiettivi climatici ?
  In secondo luogo, abbiamo ascoltato e siamo in attesa di vedere come riusciremo, nella legge di stabilità, a iniziare un percorso che riallinei gli obiettivi di finanza pubblica rispetto agli obiettivi che ci siamo dati sulla cooperazione internazionale, ossia lo 0,7 per cento del PIL. Alla luce di questi impegni e di questo sforzo, quanta parte di quelle risorse saranno destinate a fondi contenuti nell'accordo di Parigi o ad azioni collaterali ?

  SILVIA BENEDETTI. Il discorso riguarda sempre il Fondo verde per il clima. L'obiettivo dei 100 miliardi di euro è sicuramente ambizioso. L'Italia è uno dei 10 principali contributori, ma non uno dei massimi per quel che riguarda la cifra pro capite, se consideriamo appunto la popolazione italiana. Si parla di 47 Paesi su 195. C’è del lavoro da fare. Vorrei capire che cosa è in corso per far sì che questo Fondo abbia il contributo di più Paesi e che cosa eventualmente potrebbe succedere, nel caso in cui alcuni Paesi non dimostrassero interesse a dare questo contributo.

  ADRIANO ZACCAGNINI. Sottolineo, innanzitutto, che non c’è consapevolezza riguardo ai cambiamenti climatici; vorrei anche evidenziare che crediamo che sia incoerente promuovere le trivellazioni. Nel medio termine – i vent'anni, appunto, che citava il collega Busto – questo, forse, non è proprio uno degli strumenti più adeguati per accedere a fonti energetiche, a queste fonti fossili. Chiedo, quindi, se non sia da rivedere il Piano delle trivellazioni per andare con maggiore coerenza nei consessi internazionali a portare proposte che vadano nella direzione di mitigare, ma soprattutto di modificare un modello di sviluppo che in questo momento sta producendo cambiamenti forse irreversibili.
  Chiedo anche al Ministro se dobbiamo sviluppare noi un budget cumulativo italiano e definirlo bene in relazione alla Strategia energetica nazionale.
  Chiedo, inoltre, quali buone pratiche e quali nuovi strumenti andremo a proporre, se di questi farà parte la gestione dei rifiuti, per arrivare, attraverso i processi produttivi, alla trasformazione dei rifiuti in risorse, e quali tecniche agroecologiche, collegate non solo alla ricerca e alla tecnologia, ma anche al sociale e, quindi, alla vita diretta degli agricoltori, andremo a proporre a Parigi.
  L'ultimo punto riguarda la sicurezza alimentare dei popoli. Con lo slancio che Expo ha determinato sul tema dell'agricoltura e del cibo, le chiedo se non sia il caso di porre la questione del land grabbing in maniera più forte e di cominciare anche a proporre sanzioni a chi fa deforestazione, soprattutto illegale, in luoghi del pianeta che, invece, andrebbero preservati, sottolineando che noi in Europa siamo uno dei maggiori Paesi che acquistano prodotti da disboscamento illegale. Le chiedo, quindi, se non andrebbe rivisto e sanzionato maggiormente l'acquisto di prodotti da disboscamento illegale in Europa e se non sarebbe il caso di farci promotori di questo obiettivo all'interno della Comunità europea.
  Infine, sottolineo come il debito ecologico e ambientale nei confronti dei Paesi in via di sviluppo debba essere centrale a Parigi.

  LUIGI DALLAI. Il Ministro ha citato più volte l'espressione «cooperazione internazionale». Chiedo al Ministro, in primo luogo, se si ipotizza – noi abbiamo ratificato recentemente accordi bilaterali di cooperazione scientifica con Paesi in via di sviluppo o con Paesi con economie non «della prima fascia», – una politica di sostegno alla cooperazione scientifica internazionale Pag. 12con Paesi (ne sono stati citati diversi) che hanno economie che chiaramente non possono ottemperare agli impegni presi già con Kyoto.
  Chiedo anche se questo supporto possa essere coadiuvato anche dalle nostre aziende che lavorano nel campo dell'energia, che sono tra le più grandi e tra le più capaci aziende a livello mondiale, in particolare ENI ed ENEL, che sono presenti in numerosi Stati.
  A questo proposito, volevo aggiungere anche che, essendo tutti noi all'interno di un'economia di transizione – dubito che la nostra economia possa diventare assolutamente priva di carbonio nell'arco di pochi anni – mi chiedo se, a livello internazionale, non potesse essere l'Italia a farsi promotrice di politiche per la cattura della CO2. Questi sono progetti che a livello europeo già erano stati proposti e portati avanti dalle Nazioni del Nord Europa, in particolare dai Paesi della parte scandinava, dalla Norvegia in particolare, con le aziende di Stato: mi riferisco, per esempio, alla Statoil. Mi chiedo se anche questo non possa essere un aspetto di cui l'Italia si faccia promotrice, proprio anche in virtù delle capacità scientifiche che ha sviluppato nel corso degli ultimi anni.

  SAMUELE SEGONI. Io sono convinto che a Parigi sarà necessario lottare per l'accordo migliore possibile. Noi, nella nostra mozione, a luglio avevamo proposto un grado e mezzo, anche se poi il Governo ha accettato il limite dei 2 gradi. Io sono altrettanto convinto, però, che l'Italia non debba adeguarsi agli altri. Soprattutto se l'accordo non è soddisfacente, a nostro avviso, l'Italia deve e può fare di più degli altri.
  So che questo non sarà estremamente rilevante sul riscaldamento globale – ovviamente, lo sforzo dell'Italia è ben poca cosa, se non è seguito da uno sforzo analogo da parte di Brasile, India, Cina e altre economie che hanno numeri ben più grossi dei nostri – ma io ne faccio più un discorso utilitaristico, proprio dal punto di vista dell'Italia e dell'economia italiana. Sappiamo che nel futuro dovremo andare in questa direzione. Il futuro è già tracciato, il terzo millennio è là. Allora, perché non ci avviamo in quella direzione in anticipo e con più speditezza rispetto agli altri Paesi, in modo, un domani, da poter essere i leader di questo processo, anche industriale e produttivo, invece che andare sempre a rimorchio ?
  A luglio Alternativa libera, nella sua mozione, propose un impegno di questo tipo, che non fu accettato. Forse questo è il momento di chiedere spiegazioni di questo rifiuto.
  Come ultimo punto – sarò molto sintetico – esistono tomi e tomi di studi e strategie per l'adattamento ai cambiamenti climatici e per la riduzione dei gas serra anche in Italia, alcuni proprio commissionati e redatti dal Ministro dell'ambiente, per esempio. Volevo sapere se è lecito aspettarsi che già nella legge di stabilità quest'anno possa esserci qualche adeguata copertura finanziaria a misure e interventi in questo senso.

  PRESIDENTE. Grazie, collega Segoni. Siamo tutti protesi ad anticipare i tempi. Grazie anche ai colleghi, per la sintesi e per le questioni poste al Ministro, con riferimento a quelle che sono di sua competenza. Io ne aggiungo una e poi faccio alcune considerazioni.
  Io non ho capito bene se l'Italia è adempiente rispetto agli impegni presi in sede internazionale su questi vari fondi – penso, per esempio, a quanto accaduto a Doha – o se ci sono dei passaggi parlamentari. Noi sappiamo che a volte questi fondi hanno bisogno di ratifiche parlamentari, che è necessario fare. Io credo che sotto tutti i punti di vista, se noi andiamo a Parigi con le carte in regola, sia per gli impegni rispettati sia per le prospettive che poniamo, siamo un po’ più forti.
  Le considerazioni sono queste. Una è sull'Europa. È chiaro che questa è una sfida europea. Kyoto è esistito perché l'ha voluto l'Europa. Senza l'Europa non ci sarebbe stato Kyoto. Erano fuori tutti gli altri. Siamo noi che abbiamo svolto quest'azione di traino, che io penso sia Pag. 13un'azione anche di competitività positiva sul piano economico e industriale. Il ragionamento su Volkswagen Auto sarebbe lungo.
  Io sono colpito da un aspetto, Ministro: i Paesi che sono più arretrati sulla linea del contenimento dell'emissione di CO2 e i Paesi che sono più arretrati sul fronte degli immigrati tendono a coincidere, e sono tutti Paesi dell'Est. È come se la «glaciazione» che c’è stata lì a un certo punto avesse lasciato sotto delle cose che poi, in qualche maniera, non hanno fatto maturare un'idea in sintonia con l'idea di Europa un po’ offensiva che molti di noi avevano. Mi chiedo se questo non sia un problema anche politico, perché alla fine questi sono Paesi che noi abbiamo molto sostenuto, anche economicamente. Se poi essi frenano sempre – frenano sulla gestione degli immigrati, frenano sulla questione della CO2 – io mi chiedo se questa non sia una questione di cui tener conto.
  Infine, faccio proprio veramente una battuta. Questa è una sfida che riguarda non solo un Governo o una forza politica, ma l'economia e la società. L'Italia è un po’ indietro in questo senso. Ci riferivamo a Obama che va in Alaska a controllare i ghiacciai. Io sono stato in Francia. Il Ministro segue la questione. Basta leggere i giornali francesi per capire. Per esempio, non solo perché c’è in campo l'orgoglio francese, che è cosa diversa dall'orgoglio danese – speriamo che rispetto a Copenaghen abbiamo qualcosa in più; so che il collega Manciulli sarà sensibile a questo – ma lì, nel dibattito generale, nel dibattito politico, questa questione è molto più presente, mentre nel nostro dibattito politico è completamente assente, anche per i leader politici e i talkshow televisivi, e questo è drammatico. Questo tema non è trattato da nessuno. Io sono stato colpito dal fatto che martedì nessuno dei due talkshow di riferimento, che sono stati battuti da Rambo, abbia fatto un pezzo sulla Volkswagen. Secondo me, se avessero fatto qualcosa sulla Volkswagen, avrebbero fatto il doppio degli ascolti, per l'interesse che ci sarebbe stato per il tema.
  Mi ricordo che, quando ci fu Copenaghen – consentitemi proprio veramente una battuta di alleggerimento – io mandai una lettera a quelli che gestivano i talkshow politici, che sono in larga parte gli stessi che li gestiscono adesso, dicendo che c'era questo appuntamento importante, perché si parlava di mutamenti climatici e invitandoli a seguirlo. Mi rispose uno degli attuali conduttori di talkshow, dicendo: «Hai ragione. Non lo sapevo, ma in questo momento la politica è molto importante». Io gli risposi: «Sì, infatti. Io penso che Obama vada lì a parlare di sesso, droga e rock'n’roll», come se quello che si discute in questi appuntamenti fosse cosa altra dalla politica.
  Qui c’è un problema di arretratezza anche del dibattito culturale e politico italiano, che sta a tutti superare, perché alla fine fa essere più disarmati. Spesso è più avanti l'economia, nel cogliere le opportunità, di quanto non lo sia il racconto del nostro Paese.
  Do la parola al Ministro Gentiloni per la replica.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Certamente il presidente Realacci ha messo l'accento su un problema molto serio che noi abbiamo. Per questo ritengo che il fatto che il Presidente del Consiglio partecipi a questo vertice sull'Agenda 2030 e che sia stato ad Addis Abeba, al vertice africano, sia significativo. Dipende molto, ovviamente, dalla classe politica in genere, ma anche dall'impegno del Governo, cercare di dare a questa dimensione la centralità che merita.
  Indubbiamente anche la riforma della cooperazione che è stata approvata dal Parlamento e che adesso è in fase di attuazione – mi sembra che lo ricordasse l'onorevole Quartapelle – sarà un'occasione in questo senso. La nuova Agenzia dovrà infatti disporre, come credo sarà, a partire dalla prossima legge di stabilità, di risorse maggiori, perché l'Italia ha un livello attualmente troppo basso di aiuto pubblico allo sviluppo, se comparato con gli altri grandi Paesi, non all'altezza della Pag. 14nostra economia e della nostra civiltà. Oltre ad aumentare il livello dei contributi, però, bisognerà concentrare molto il lavoro e sempre più su progetti che tengano assieme lo sviluppo, la resilienza e la capacità di resistere ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo.
  L'altra questione alla quale ha fatto un cenno il presidente Realacci riguarda, in effetti, uno dei tanti adempimenti internazionali su cui il Governo sta cercando di recuperare un certo ritardo, che è la ratifica, che non è stata ancora presentata alle Camere, in Parlamento dell'emendamento fatto a Doha sul Protocollo di Kyoto, che quantifica una serie di impegni dei Paesi industrializzati.
  È un emendamento su cui è in corso, come sempre, un concerto un po’ lento e faticoso tra i diversi ministeri. Io mi auguro che, in particolare, arrivi un via libera dal Ministero dell'economia su questa questione, perché noi siamo, purtroppo, tra i 10 Paesi europei che ancora non hanno ratificato questo emendamento. Non è una questione enorme, ma prima si chiedeva se l'Italia può fare più degli altri. Io tendo a rispondere di sì, la premessa dovrebbe essere di fare innanzitutto quello che nelle diverse sedi abbiamo comunque condiviso di fare, il che sarebbe già tanto.
  L'Accordo quadro europeo 2030 che abbiamo promosso nel corso della Presidenza italiana, se attuato seriamente, risponde a una parte delle osservazioni e dei quesiti che sono stati avanzati qui: qual è il mix tra energie rinnovabili e combustibili fossili, qual è il contributo delle rinnovabili ? L'Italia può essere Paese leader, ne ha le caratteristiche e le tecnologie e, per certi versi, ne ha anche la consapevolezza, anche se in maniera ancora insufficiente. Tuttavia, quegli obiettivi europei che sono stati indicati proprio nel corso della nostra Presidenza sono obiettivi ambiziosi da raggiungere e da mantenere.
  Vorrei fare altre due o tre osservazioni per quanto riguarda i fondi. Ripeto, i fondi italiani di cooperazione verranno gradualmente aumentati, a cominciare dalla prossima legge di stabilità e il loro orientamento dovrà essere sempre più mirato a prevenire anche le crisi ambientali.
  Per quanto riguarda, invece, il fondo di finanziamento dei cambiamenti climatici, quello internazionale, come sapete, rispetto all'obiettivo molto ambizioso dei 100 miliardi, attualmente siamo arrivati al 10 per cento. Sono stati finora messi sul piatto 10 miliardi.
  È tanto ? È poco ? Ogni Paese ha che fare, ovviamente, con i propri vincoli di bilancio e con le proprie difficoltà. Noi dobbiamo sapere che questa questione, nonostante la consapevolezza dei diversi vincoli di bilancio, fa parte dell'equilibrio che si sta cercando in vista di Parigi. Si può sostenere che gli impegni devono riguardare tutti, ragion per cui alla domanda che qualcuno ha fatto se gli impegni debbano essere o no vincolanti la risposta è che l'intenzione della Conferenza di Parigi è che gli impegni siano vincolanti, verificabili e verificati periodicamente perché il loro carattere vincolante sia rispettato.
  Tuttavia, questa proposta si regge fondamentalmente su due pilastri. Il primo è che una parte dei Paesi che tradizionalmente abbiamo definito in via di sviluppo e che oggi nel gergo onusiano sono definiti Paesi a medio reddito, o middle-income countries, contribuiscano alla mitigazione dei fenomeni provocati dalle emissioni di gas serra. Se questi Paesi – penso al cosiddetto Gruppo dei 77, di cui quelli più noti sono i famosi BRICS – se queste grandi economie, che certamente non hanno lo stesso livello di consolidata industrializzazione dell'Europa o degli Stati Uniti, ma che oggi non sono più definibili come Paesi poveri tout-court, non contribuissero, io credo che sarebbe molto difficile raggiungere l'obiettivo di restare al di sotto dei 2 gradi.
  Contemporaneamente sappiamo che ci sono, invece, Paesi più poveri, quelli che oggi in gergo vengono definiti i Paesi meno sviluppati, gli LDC, come sigla onusiana, con i quali, invece, si deve lavorare affinché anche la mitigazione sia finanziata. L'obiettivo di questo fondo internazionale Pag. 15è quello di dare un contributo soprattutto ai Paesi più poveri, ai Paesi, se volete, titolari di quel debito ecologico di cui qualcuno dei colleghi ha parlato, perché abbiano la possibilità di far fronte a questa situazione con risorse che provengono dalla comunità internazionale.
  Veniva chiesto se l'Italia stipula degli accordi con questo genere di Paesi e se questi accordi riguardano anche imprese, soprattutto pubbliche. La risposta è sì. Noi abbiamo diversi accordi su temi come energie rinnovabili e dintorni, per capirci, con i Paesi più poveri e con le piccole isole del Pacifico e dei Caraibi. Sono accordi che, per il know-how che abbiamo come Paese e come sistema di imprese, possono essere molto preziosi per i Paesi con i quali li realizziamo e, tutto sommato, non enormemente onerosi per l'Italia.
  Un'altra questione che veniva posta tra i primi interventi – mi pare quello dell'onorevole Busto – è se abbiamo un modello da proporre. Certamente noi cerchiamo di proporre un modello in termini di cooperazione. Quando si parla di agricoltura sostenibile, di sostegno alle piccole e medie imprese, di sostegno ed empowerment del ruolo delle donne nell'agricoltura, soprattutto in Africa, vi assicuro che la cooperazione italiana è considerata generalmente, nonostante la scarsità di risorse di cui dispone, come un modello, come un esempio positivo.
  Dopodiché l'Italia deve fare la sua parte in termini di Piano energetico nazionale, di riduzione delle proprie emissioni, di strategie per la decarbonizzazione. Se per modello si intende imporre queste scelte ad altri Paesi, è molto complicato. Come noi non esportiamo la democrazia, non esportiamo neanche l'ecologia. Si tratta di una dinamica diplomatica internazionale che non credo possiamo oggi immaginare possa andare avanti a livello di sanzioni. Deve andare avanti con la faticosa ricerca di costruzione di consenso.
  Su questa faticosa ricerca, ripeto, dei passi avanti sono stati fatti, tutto sommato, perché siamo usciti dalla logica della contrapposizione tra Paesi OCSE, che devono pagare, e tutto il resto del mondo, che non ha responsabilità, e siamo arrivati a una situazione di condivisione della responsabilità almeno da parte di una parte consistente dei Paesi di più recente industrializzazione. Io tengo a questa distinzione. Quando parliamo di Sud del mondo, tutti noi siamo consapevoli che non siamo più all'epoca di Frantz Fanon e de I dannati della terra. Sono passati settant'anni. Oggi ci sono alcuni Paesi, che abbiamo definito Paesi poveri o Paesi in via di sviluppo, che certamente non hanno lo stesso livello di industrializzazione che c’è in Occidente, ma che hanno fior di economie industriali, con enormi responsabilità dal punto di vista delle emissioni, alle quali cominciano, essi stessi, a essere consapevoli di dover rispondere.
  Un grande Paese come la Cina sta gradualmente introducendo delle normative sulle emissioni per gli autoveicoli molto severe. Tra l'altro, bisognerà vedere la conseguenza della vicenda di queste settimane, sapendo che – adesso non voglio entrare in questa dinamica – certamente le regolazioni più restrittive della Cina avranno su tutta l'industria automobilistica mondiale un impatto gigantesco. Del resto, chiunque di voi sia stato recentemente da quelle parti sa che il problema dell'inquinamento e delle emissioni nelle grandi metropoli di quel Paese, così ricco e così capace di crescita, è un problema gigantesco.
  Abbiamo, quindi, un modello di cooperazione ? Sì. Abbiamo un modello di società che si deve basare sulla qualità, sull'efficienza energetica, sul risparmio, sull'uso decrescente delle fonti fossili e tendenzialmente sulla decarbonizzazione ? La risposta è sì. Questo, però, è un modello che deve entrare in una dialettica diplomatica. Molto difficilmente, infatti, noi possiamo dire al Presidente al-Sisi che il grande giacimento di gas che l'ENI ha trovato nelle acque territoriali prospicienti l'Egitto non lo deve sfruttare perché dal punto di vista ambientale questo crea un danno.
  Ovviamente, stiamo dentro una dialettica e una dinamica diplomatica e geopolitica Pag. 16che devono portare a impegnarsi tutti insieme. Questo è il segreto di Parigi, ed è anche il rischio di Parigi – attenzione – perché si abbandona una logica in cui c’è solo un gruppo di Paesi che prende questa decisione, lo fa in proprio e ci mette del proprio. Si è visto che questa logica non regge più, perché il contributo di altre parti del mondo alle emissioni è ormai troppo significativo e, quindi, si dice che lo si deve fare tutti insieme. Per farlo tutti insieme, però, serve un'operazione diplomatica e di mediazione e contemporaneamente di finanziamento per i Paesi più poveri, senza la quale il farlo tutti insieme diventa, io credo, molto molto difficile.
  Sinceramente, io non so se dobbiamo parlare finora di fallimenti. Certamente, condivido la preoccupazione che molti interventi hanno espresso. Tutti sappiamo che, se non siamo molto attivi su queste politiche, le guerre e le tensioni dei prossimi anni in alcune aree del mondo, per esempio in Africa, riguarderanno l'acqua, che sarà la vera risorsa scarsa attorno a cui si svilupperanno le tensioni.
  A chi diceva che i Paesi finora sono pochi io rispondo che siamo arrivati al 60 per cento, in termini non di numero di Paesi, ma di quantità di emissioni. È tanto o poco ? Certamente è poco. Bisogna arrivare prima di Parigi. Non possiamo infatti fare come a Copenaghen, quando ci fu, a un certo punto, l'illusione che nel corso della Conferenza – vi ricordate ? – arrivassero il Presidente degli Stati Uniti e alcuni grandi leader del mondo a sbloccare la situazione, ma purtroppo l'esito non fu del tutto favorevole, per usare un linguaggio molto diplomatico. Oggi bisogna arrivare alla vigilia della Conferenza di Parigi avendo incassato impegni non dico che portino al 100 per cento, ma che rendano realistico l'obiettivo che ci siamo posti, di quel 2 per cento.
  Su questo il Governo italiano farà il massimo – lo dico a chi faceva domande in questa direzione – traducendo gli impegni che vengono presi nella legislazione italiana, non so sinceramente se con un'Agenda 2030 a carattere legislativo italiano (potrebbe essere anche un'idea da approfondire), ma certamente attraverso il Piano energetico nazionale, le leggi di stabilità e le diverse misure che dobbiamo prendere e, per quanto riguarda la Farnesina, anche attraverso un ulteriore orientamento della nostra cooperazione in quella direzione e un ulteriore sforzo per accordi su questi temi, soprattutto con i Paesi più poveri e più minacciati.

  PRESIDENTE. Ringrazio, anche a nome dei presidenti delle altre Commissioni, il Ministro, con cui collaboreremo in vista della Conferenza di Parigi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.30.