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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 82 di Mercoledì 13 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Verducci Francesco , Presidente ... 2 

Audizione del direttore di RaiUno, Andrea Fabiano, e del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli:
Verducci Francesco , Presidente ... 2 ,
Gasparri Maurizio  ... 2 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 3 ,
Airola Alberto  ... 3 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 3 ,
Gasparri Maurizio  ... 3 ,
Verducci Francesco , Presidente ... 3 ,
Fabiano Andrea , direttore di RaiUno ... 4 ,
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 7 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 7 ,
Pisicchio Pino (Misto)  ... 7 ,
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 7 ,
Verducci Francesco , Presidente ... 8 ,
Pisicchio Pino (Misto)  ... 8 ,
D'Ambrosio Lettieri Luigi  ... 9 ,
Villari Riccardo  ... 10 ,
Gasparri Maurizio  ... 11 ,
Verducci Francesco , Presidente ... 14 ,
Minzolini Augusto  ... 14 ,
Margiotta Salvatore  ... 16 ,
Lupi Maurizio (AP)  ... 17 ,
Fratoianni Nicola (SI-SEL)  ... 18 ,
Anzaldi Michele (PD)  ... 19 ,
Airola Alberto  ... 20 ,
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 22 ,
Rossi Maurizio  ... 23 ,
Verducci Francesco , Presidente ... 23 ,
Verdelli Carlo , direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai ... 24 ,
Verducci Francesco , Presidente ... 28

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FRANCESCO VERDUCCI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

(Così rimane stabilito).

Audizione del direttore di RaiUno, Andrea Fabiano, e del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del direttore di RaiUno, Andrea Fabiano, e del direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai, Carlo Verdelli, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione, che relazioneranno in merito allo svolgimento della puntata di Porta a porta dello scorso 6 aprile.
  Prima di dare la parola al direttore Fabiano, ha chiesto di intervenire sull'ordine dei lavori il senatore Gasparri, al quale do la parola.

  MAURIZIO GASPARRI. Intervengo solo per dire, presidente, che francamente a me fa piacere che ci sia questa audizione e ovviamente abbiamo la massima considerazione degli interlocutori che abbiamo di fronte; anzi, entrando nel merito, abbiamo cose interessanti da discutere rispetto al controllo dell'informazione. Francamente, però, trovo singolare che si faccia, in Commissione parlamentare di vigilanza, una discussione postuma con un interlocutore autorevole, ma non con i vertici della Rai, che – lo voglio chiarire – sono assolutamente incolpevoli, perché né il direttore generale né il presidente hanno negato disponibilità al Parlamento. È il Parlamento che forse ha usato strumenti impropri. Mi riferisco all'immediata convocazione del presidente e del direttore generale in Commissione antimafia, dove penso che dovrebbero ascoltare i pentiti e i procuratori della Repubblica e fare attività connesse alla delicata funzione di quella Commissione.
  Si è svolta l'audizione in Commissione antimafia dei vertici della Rai. Per fortuna, non sono stati arrestati. Si è detto di tutto e di più. Avremmo dovuto fare quell'audizione nella Commissione di vigilanza, parlando di questi temi, come faremo.
  La mia doglianza è riferita all'organizzazione dei lavori del Parlamento, nei confronti della presidenza della Commissione di vigilanza, che doveva ribadire le proprie competenze, e per gli errori comportamentali della Commissione antimafia, che ha competenze importantissime e che dovrebbe esercitare in quegli ambiti. Avremmo dovuto fare un'audizione del presidente e del direttore generale della Rai, che abbiamo letto sui giornali. Adesso facciamo l'under 21 dell'audizione, derubricati noi per primi evidentemente a una funzione inferiore alla Commissione antimafia, con interlocutori autorevolissimi.
  La mia protesta, che voglio resti a verbale, è nei confronti delle presidenze delle due Commissioni, l'una, la nostra, per non essersi fatta valere e per non aver rivendicato Pag. 3 le proprie competenze, e l'altra per aver esorbitato, avendo competenze molto più delicate e importanti della Commissione di vigilanza sui servizi radiotelevisivi. Sono ben consapevole della rilevanza della Commissione antimafia, che, proprio per questo, dovrebbe occuparsi di quegli aspetti. Vorrei che questo rimanga agli atti. Dopodiché, faremo la nostra audizione, avendo comunque argomenti importanti da discutere.
  Voglio dare atto, poiché potrebbe insorgere qualche equivoco, che né la presidente Maggioni né il direttore generale hanno alcuna responsabilità, perché si sono recati laddove il Parlamento li ha invitati ad andare. È il Parlamento che avrebbe dovuto organizzare diversamente i propri lavori.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Intervengo sull'ordine dei lavori, perché il Gruppo del Partito Democratico aveva chiesto al Presidente Fico, direttamente e attraverso gli uffici, che questa audizione, con i soggetti che oggi sono qui presenti, venisse svolta con tempestività. Invece, questa audizione si svolge a una settimana dai fatti, troppo tardi. Credo che non sia responsabilità della Commissione antimafia, come diceva il presidente Gasparri. Credo che sia responsabilità del Presidente Fico, che non è stato tempestivo nel calendarizzare questa audizione. Ritengo che questo ritardo e questa incertezza vadano a detrimento del ruolo della Commissione e abbiano limitato la possibilità dei singoli componenti della Commissione stessa di svolgere la propria funzione. Per questo, vogliamo che se ne parli nel prossimo Ufficio di presidenza, che dovrebbe essere convocato ad hoc, evidentemente alla presenza del Presidente Fico. La critica non è nei confronti del presidente temporaneo di oggi, Verducci, ma è nei confronti del Presidente Fico.

  ALBERTO AIROLA. Ne avevamo discusso nell'Ufficio di presidenza, ma l'Ufficio di presidenza non è pubblicizzato come i lavori della plenaria. Oggi qui si fa un attacco alla Commissione di vigilanza, soprattutto al Presidente Fico, affermando che non si è mosso tempestivamente. Tuttavia, noi eravamo in Ufficio di presidenza e ne abbiamo discusso. Adesso si fa questa denuncia pubblica, ma c'eravate anche voi, colleghi. Il collega Peluffo non c'era, ma c'era lei, presidente. Avevamo stabilito di svolgere l'audizione al più presto, ma i tempi tecnici si sono rivelati lunghi. Non mi sembra che questo sia riconducibile necessariamente a un'intempestività della presidenza.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Presidente, lo dico solo perché resti a verbale e per chiarezza: la richiesta è stata rivolta al presidente prima della riunione dell'Ufficio di presidenza, per via degli uffici. La richiesta è stata consegnata prima dell'Ufficio di presidenza a cui faceva riferimento il senatore Airola.

  MAURIZIO GASPARRI. Intervengo anch'io per lasciare a verbale e per chiarire all'onorevole Peluffo che la mia critica era rivolta in primis, come ho detto chiaramente, alla presidenza di questa Commissione e in secondo luogo all'esorbitante ruolo dell'altra Commissione, che ha compiti talmente delicati, che io rispetto, che dovrebbe esercitare parlando con i procuratori, con la polizia, con i carabinieri e con i servizi segreti, non con la Rai.

  PRESIDENTE. Le questioni poste sono rilevanti. Penso che vadano assolutamente affrontate nel prossimo Ufficio di presidenza, naturalmente alla presenza del Presidente Fico. Voglio chiarire che il presidente Fico oggi non è qui perché sta partecipando alla camera ardente di Gianroberto Casaleggio. Interpretando l'opinione di tutta la Commissione, mi unisco al cordoglio ed esprimo vicinanza ai familiari per la scomparsa di Gianroberto Casaleggio.
  Voglio anch'io rimarcare che faremo il nostro dibattito in Ufficio di presidenza per quanto riguarda le modalità d'intervento della nostra Commissione. Naturalmente la Commissione antimafia, così come avvenne all'indomani della puntata di Porta a Porta con protagonista un esponente dei Casamonica, opera nell'ambito delle sue prerogative Pag. 4 e delle sue competenze. Del resto, la vicenda della puntata di Porta a Porta con l'intervista a Salvo Riina non ha suscitato solamente l'iniziativa della Commissione antimafia e della nostra, ma anche quelle di alte cariche dello Stato, tra le quali voglio ricordare la presa di posizione molto forte del Presidente del Senato, Piero Grasso.
  Do la parola al direttore Fabiano e al direttore Verdelli per lo svolgimento della loro relazione.

  ANDREA FABIANO, direttore di RaiUno. Ringrazio il presidente e tutti voi per l'invito a questa audizione, che mi offre un'opportunità di confronto e di miglioramento. Mi unisco anch'io al cordoglio per la scomparsa di Casaleggio.
  Parto da un punto essenziale, a cui tengo molto, sia per la mia profonda convinzione personale sia per essere nato e cresciuto professionalmente nella Rai, presso la quale lavoro da diciassette anni: RaiUno e tutta la Rai sono sempre stati e saranno sempre da un'unica parte, quella dell'antimafia e della legalità. Non si tratta di un mero e doveroso rispetto del nostro ruolo di servizio pubblico; c'è qualcosa di molto più profondo, che è geneticamente nella testa e nel cuore delle persone della Rai e che trova espressione in tutto quello che facciamo. Le forme di questo impegno sono molteplici – credo che le conosciate bene e spero che le apprezziate – e delineano un contesto editoriale di diffuso impegno civile, che peraltro ha un alto impatto sulla società. Si tratta di un dovere innanzitutto, di un valore e di una responsabilità di cui abbiamo e ho piena consapevolezza.
  Il direttore generale nell'audizione presso la Commissione antimafia ha ricordato tutte le iniziative che la Rai negli ultimi mesi ha adottato contro le mafie e quelle che intraprenderà nelle prossime settimane. In questa busta troverete un po' di materiali che rappresentano questo impegno. La consegno al presidente. In questa sede mi limito a ricordare solo una di queste iniziative che verranno, che mi sta particolarmente a cuore. Mi riferisco al programma Cose nostre, una nuova produzione di RaiUno, che abbiamo lanciato lo scorso gennaio e proposto il sabato in seconda serata, realizzata all'interno da un giovane gruppo autorale, dedicata a raccontare le storie, senza filtri e sul campo, di giornalisti impegnati contro le mafie e, per questo, costretti a vivere sotto scorta. La mia prima decisione editoriale da direttore di RaiUno è stata quella di portare questo prodotto in prima serata. Questa decisione è stata formalizzata il 3 marzo, il giorno prima della mia formale entrata in carica come direttore. Cose nostre sarà in prima serata il 4 luglio alle 21,20. Sarà un giorno particolare, perché nel mezzo della pausa delle fasi finali del campionato europeo di calcio e ci permetterà di avere un bel palcoscenico di promozione per questo prodotto. Questo è un esempio concreto di un pezzo del futuro che immagino per RaiUno, per la rete che dirigo, e che abbiamo già iniziato a costruire e a mettere in campo.
  La direzione già tracciata è quella dell'intensificazione dell'impegno civile, cercando di imprimere a questo impegno una spinta ancora più forte, con scelte editoriali e di comunicazione come questa che vi ho rappresentato come esempio.
  È in questa chiara, univoca e permanente cornice editoriale e valoriale che si inserisce il caso dell'intervista al mafioso Salvo Riina nell'ambito di Porta a Porta e degli approfondimenti che ne sono seguiti, tanto all'interno del programma Porta a porta quanto, in un'accezione più ampia, in tutto quello che è successo dopo all'interno di RaiUno stessa e anche sulle altre reti della Rai.
  Subito dopo il mio insediamento come direttore, in questa nuova veste – sono stato vicedirettore di RaiUno – ho avviato le prime relazioni e le prime attività con i gruppi di lavoro dei programmi, per un confronto sulle iniziative che ci sarebbero state nella parte finale di questa stagione televisiva. Tra questi c'era anche Porta a porta e il suo ideatore e conduttore, Bruno Vespa. Nel confronto con lui, tra i vari argomenti affrontati e tra le varie opportunità editoriali, è emersa anche la possibilità dell'intervista al mafioso Salvo Riina, Pag. 5evidentemente connessa all'uscita del libro, di cui sapevamo che sarebbe stata fornita un'anticipazione su un importante quotidiano nazionale. Il contesto di questa possibilità che mi è stata prospettata da Vespa prevedeva la realizzazione dell'intervista al di fuori dello studio di Porta a Porta e di un dibattito di approfondimento, che avrebbe coinvolto, come poi è successo, vittime della mafia, conoscitori esperti della mafia ed esponenti del contrasto alle mafie. Questo contesto che mi è stato rappresentato, unitamente all'esperienza giornalistica di Bruno Vespa, mi ha portato a ritenere che l'insieme – lo sottolineo – di queste iniziative, ovvero l'intervista e l'approfondimento, avrebbe potuto presentare potenzialmente uno strumento di racconto di un pezzo della realtà mafiosa, destinato alla seconda serata. Ho ritenuto questo nel convincimento che non ci possono essere limiti aprioristici a iniziative giornalistiche nel servizio pubblico. Alludo in particolare al perimetro del praticabile per il servizio pubblico, con riferimento tanto alle storie da raccontare, anche le più forti, quanto ai soggetti da raccontare, anche i più controversi.
  Questa è stata la prima valutazione e l'unica intenzione alla base della possibilità prospettatami da Vespa. Altre intenzioni o volontà, di cui pure si è letto anche nei vostri interventi, sono geneticamente incompatibili con la Rai, con le sue persone e con i suoi contenuti.
  Torno al punto della praticabilità di una possibilità del genere per l'informazione del servizio pubblico. Il dibattito che si è creato su questo caso, specialmente prima della messa in onda, ha messo in luce l'esistenza di sensibilità molto marcate e molto differenti. Non posso che prendere atto di questo e avviare una riflessione. Pur rimanendo ancora forte e molto diffuso l'orientamento secondo cui questo tipo di iniziative giornalistiche debbano essere escluse a priori da parte del servizio pubblico, con il passare delle ore, evidentemente dopo la messa in onda dell'intervista e degli approfondimenti che sono seguiti, l'attenzione si è spostata sui versanti del come. Al centro del dibattito sono entrati il contesto, la conduzione, i contenuti, la confezione dell'intervista e in generale la sua dinamica e quella del dibattito che l'ha seguita.
  Quando ho ricevuto i materiali delle due registrazioni, sia dell'intervista sia del dibattito che è andato in onda subito dopo – questo è successo a poche ore dalla messa in onda prevista, perché, come da prassi consolidata nel tempo, le scelte su cosa trasmettere e su quali argomenti affrontare vengono prese dal responsabile del programma – ho avuto la netta sensazione, con quei materiali e con quei documenti, in particolare con l'intervista, di avere di fronte un pezzo importante di mafia, una realtà che è stata definita da noi stessi sconcertante, che poi nel dibattito successivo veniva discussa, approfondita e stigmatizzata. In realtà, nel dibattito è stata stigmatizzata anche l'intervista in sé.
  Data la natura di questi materiali, ho sottoposto il tutto al direttore editoriale per l'offerta informativa, il dottor Carlo Verdelli, che ringrazio e che è qui con me. Dal confronto e dalla visione di queste registrazioni, è scaturita la decisione di confermarne la messa in onda, per le motivazioni editoriali che, in caso, potremmo esporre con il dottor Carlo Verdelli. Tale decisione è stata presa, peraltro, nel contesto della volontà di proseguire, arricchire e completare l'approfondimento il giorno seguente, con una puntata ulteriore di Porta a Porta totalmente dedicata, con un parterre di ospiti più ampio.
  Quanto alla dinamica dell'intervista, compreso il tema delicato del rilascio della liberatoria, le principali modalità, in sintesi, sono state le seguenti. Vespa ha incontrato il mafioso Salvo Riina a Padova, solo in occasione della registrazione dell'intervista. Nessun compenso è stato riconosciuto all'intervistato (ci mancherebbe) e le domande non sono state anticipate in nessuna forma (ci mancherebbe). L'intervista è stata registrata senza alcuna interruzione ed è stata trasmessa integralmente, per una durata complessiva di 24 minuti. Così come è stata registrata, è stata trasmessa. La liberatoria, come noto, è stata rilasciata dopo la registrazione. Questo è un punto Pag. 6critico, è del tutto evidente. Può capitare in casi particolari che questo accada, ma la prassi abituale prevede il rilascio della liberatoria prima della registrazione quando la messa in onda è prevista a stretto giro rispetto alla registrazione stessa e, per ovvi motivi, prima di un programma in diretta. Non potrebbe essere altrimenti. In ogni caso, Vespa mi ha assicurato – e non credo che ci possano essere motivi per dubitarne – che qualsiasi eventuale richiesta di modifica o di taglio dell'intervista che sarebbe pervenuta sarebbe stata respinta al mittente (ci mancherebbe) e, quindi, non presa in considerazione. Quanto alla dinamica della scelta degli ospiti dei dibattiti che hanno seguito l'intervista, anche questo rientra nella prassi classica di scelte operate dal responsabile del programma.
  Torno ai temi legati alla forma e ai contenuti dell'intervista. Su questo sono giunte da voi, da alti rappresentanti delle istituzioni e dall'opinione pubblica forti critiche e forti osservazioni, che coinvolgono e tirano in ballo la sfera della competenza e dell'iniziativa giornalistica, di cui certamente non possono essere messi in discussione la libertà e l'autonomia, e in modo più ampio la sfera etica e pratica dell'essere e fare servizio pubblico.
  È chiaro che queste critiche e osservazioni personalmente non mi possono lasciare indifferente. Ne traggo segnali molto forti e molto limpidi sul senso profondo del servizio pubblico. Dobbiamo essere sempre in ascolto della società, dell'opinione pubblica e delle sue istituzioni, fermo restando il principio inviolabile dell'indipendenza e dell'autonomia editoriale, che deve essere praticata nel perimetro di un set di valori e codici, che dovrà essere necessariamente più esplicito e più esplicitato, al fine di disporre di una più efficace bussola di orientamento strategico e operativo quotidiano per il nostro operato, per ogni nostra singola scelta editoriale, per ridurre l'approccio soggettivo e non dover lavorare in emergenza, come capita, specie sui terreni più controversi e delicati. Nella nostra rete, in ogni suo singolo programma, possiamo e dobbiamo lavorare per migliorarci. È un lavoro che riguarda tutta la nostra offerta, a partire da quella informativa e di infotainment, che, come sapete, caratterizza qualitativamente e quantitativamente una porzione molto rilevante della nostra programmazione, anche dal punto di vista dell'identità e dell'immagine della rete. Il percorso è già iniziato e verrà accelerato a partire dall'evoluzione del piano editoriale, che avrà un quadro chiaro di obiettivi, cornice valoriale e priorità. Uno degli obiettivi è lo sviluppo di un approccio orientato a produrre comprensione e consapevolezza. In poche parole, stiamo cominciando a muoverci e ci muoveremo sempre di più verso la profondità dei fatti, per fornire maggiori e migliori strumenti di conoscenza anche sui temi più controversi e difficili.
  Un altro livello è la diversificazione del modo con cui raccontiamo, con un maggiore ricorso alle nuove e più immersive forme di narrazione per immagini.
  Sul piano dei valori, cura e rispetto sono al centro. La cura è intesa, ad esempio, come attenzione al minimo dettaglio e più rigorosa preparazione. Il rispetto è inteso come rispetto dei dati di fatto e anche delle persone coinvolte.
  Quanto alle priorità, lo sviluppo della cultura della legalità, come è evidente, naturale e doveroso – ma c'è anche qualcosa in più del dovere – continuerà a essere un faro costante. Come detto, innoveremo le nostre modalità di racconto per essere più efficaci.
  Le modalità organizzative e i processi all'interno della rete saranno tesi a favorire l'indirizzo e il supporto dei singoli gruppi di lavoro dei programmi, affinché l'attuazione delle linee editoriali sia la più piena. Nello spazio tra la definizione delle linee editoriali e la loro attuazione attraverso modalità organizzative e processi si inserisce perfettamente il costante confronto progettuale e operativo con la direzione editoriale per l'offerta informativa, che è stato tracciato dal direttore generale fin dalla sua audizione in questa Commissione, in cui vi è stata anche illustrata la filosofia di questa nuova realtà organizzativa dell'azienda. Pag. 7
  Infine, torno al tema del rilascio delle liberatorie. Dal 6 aprile c'è una regola d'ingaggio semplice, che riguarda futuri casi così complessi o comunque potenzialmente critici: il rilascio delle liberatorie dovrà sempre e solo avvenire prima. Non ci sarà discussione.
  Vi ringrazio per l'attenzione che mi avete dedicato e per le critiche, le domande, le indicazioni e i suggerimenti che vorrete propormi.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Dopo quello che ha detto Fabiano, se il Presidente è d'accordo, risponderò alle domande dei commissari, per lasciare più spazio al dibattito.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Ringrazio gli auditi per la presenza e in particolare il dottor Fabiano per la comunicazione che ci ha fatto. Non abbiamo sentito il direttore Verdelli...

  PINO PISICCHIO. Lui è un audiendo, non un audito.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. Sentiremo l'audiendo, secondo il lodo Pisicchio, in una fase successiva. Le cose che ha detto Fabiano mi consentono in ogni caso di fare alcune considerazioni. Voglio essere molto chiaro: non mi trovo d'accordo con le cose che ha affermato il direttore. Non mi riferisco alla parte che riguarda l'impegno di Rai a sostegno della legalità e per la diffusione di una cultura contro la mafia. Credo che su questo l'impegno dell'azienda nel suo complesso traspaia sia dalle parole che ha richiamato lei oggi, sia dai materiali che ci avete consegnato sia dalle parole dei vertici che sono state rese in Commissione antimafia.
  Non sono d'accordo sull'oggetto dell'audizione odierna, ovvero l'intervista del figlio di Totò Riina nella puntata di Porta a Porta, rispetto alla quale lei, direttore Fabiano, e, da quanto abbiamo appreso, il direttore Verdelli avete una responsabilità specifica. Questo è l'oggetto dell'audizione di oggi. Non sono d'accordo perché la domanda che abbiamo posto con interventi pubblici in quelle ore e che oggi vogliamo porre è se quell'intervista c'entra con il servizio pubblico. Questa è la domanda che abbiamo posto prima della messa in onda. Non c'era nessun intento censorio, perché sta alla responsabilità dell'azienda Rai fare le scelte in termini editoriali nel massimo dell'indipendenza, però questa era una domanda che era stata posta prima della messa in onda. Avendo visto la puntata con l'intervista, la domanda si è fatta ancora più forte e contiene in sé una risposta. Infatti, credo che non c'entri con il servizio pubblico, per la modalità con la quale è stata svolta quell'intervista. Sarebbe stata un'altra cosa se inserita in uno speciale complessivo, dove si sarebbero sentite più voci e ci sarebbe stato un racconto più puntuale e attento di cos'è la realtà mafiosa. Con quella conduzione, secondo me – però, questo non è il mio mestiere – si sarebbe potuta fare qualche domanda e qualche riferimento in più.
  Mi è capitato in queste ore di sentire, da una persona che ha maggiore esperienza in campo giornalistico, un episodio di diverso tempo fa, quando una radio indipendente corsara come Radio Popolare, che chi è di Milano conosce bene, fece un'intervista a Vallanzasca. In quella intervista venivano poste una serie di domande e venivano opposti anche una serie di fatti e di dati rispetto a quello che Vallanzasca affermava. Pertanto, non è vero che in assoluto non si possano e non si debbano fare interviste di questo tipo, ma la conduzione dell'intervista c'entra molto rispetto alla resa complessiva. Inoltre, c'è un problema rispetto al messaggio che è stato veicolato dal figlio di Riina. Su questo ho visto l'audizione in Commissione antimafia, le considerazioni che sono state svolte da diversi commissari, a cui rimando, e quelle fatte da Roberto Saviano.
  Peraltro, mi sembra che la notizia di per sé non ci fosse, se non quella di un libro in uscita. Il tema, però, è un altro. È quasi come se servisse alla promozione del libro stesso.
  Infine, rispetto alla liberatoria giudico gravissimo quello che è accaduto, ossia che Pag. 8la liberatoria è stata firmata soltanto dopo. Apprendiamo che in Rai dal 6 aprile questo non accadrà più, ma non doveva accadere prima.
  In ragione di queste domande, a mio giudizio la risposta a quella domanda è negativa: quell'intervista non c'entra con il servizio pubblico.
  La seconda questione è: non si ripeterà più? C'è un precedente, anche in termini di audizione e discussione in questa Commissione, che è accaduto rispetto alla vicenda dei Casamonica, sempre per la trasmissione Porta a porta e sempre con la conduzione di Bruno Vespa.
  Il direttore di RaiUno, suo predecessore, dottor Fabiano, audito da noi disse: «Mi rendo conto di quello che è avvenuto in termini di opinione pubblica e della reazione che è stata suscitata. Non dovrà accadere più». Invece, è accaduto. Avere degli elementi precisi, in termini di impegni perché questo non accada più, è oggetto di questa audizione. Su questo non c'è stata una risposta, ma c'è un rimando al piano editoriale. Peraltro, qui stiamo attendendo il piano editoriale su molti aspetti della discussione. È stato preannunciato a fine aprile-maggio: lo attendiamo. È ovvio che quando discuteremo del piano editoriale tratteremo anche questo aspetto. Quello che registro è che rispetto a questa domanda precipua (quali sono gli impegni concreti), oggi non abbiamo avuto risposte, almeno per ora. Comunque, manca ancora una parte dell'audizione...

  PRESIDENTE. Manca ancora una parte dell'audizione, che verrà svolta al termine delle domande.

  PINO PISICCHIO. Devo dire che l'intervento che ho appena ascoltato dell'onorevole Peluffo mi spinge a essere ancor più sintetico perché alcuni temi che volevo porre all'attenzione sono stati da lui egregiamente svolti. Al direttore Fabiano vorrei dire che lo ritengo in qualche modo incolpevole, perché è arrivato quando già il meccanismo era innestato. Tuttavia, il suo ragionamento che peraltro ho apprezzato per altri aspetti, non può essere – mi perdoni, direttore – l'evocazione del catalogo dei prodotti antimafia della Rai perché, in questo caso, A non è uguale a B che non è uguale a C.
  Faccio un esempio molto concreto: se estrapoliamo Bruno Vespa da Porta a Porta con il suo bel portato di interviste «hard» e lo collochiamo nel contesto di RaiTre della Gabanelli, probabilmente quel tipo di sensibilità, quel tipo di attenzione e quel tipo di difficoltà che loro hanno potuto riscontrare, ma anche di indignazione, nel dibattito pubblico, non ci sarebbero state perché il contesto – e qui arriviamo al punto – è diverso. Il contesto già, in ragione dell'emittente, ha il messaggio e lo colloca dentro una possibilità di lettura che ha anche un sottotesto di tipo diverso. Come dicevo, se togliamo Bruno Vespa da RaiUno a quell'ora e lo collochiamo in un'altra rete, probabilmente questo non farebbe lo stesso effetto. Diciamolo con molta franchezza. Il punto, dunque, è il contesto. L'onorevole Peluffo faceva giustamente riferimento a una recidività del dottor Vespa, il quale già, in una circostanza da tutta la Commissione di vigilanza rimarcata in senso negativo (il caso Casamonica), aveva sviluppato sensibilità e attenzioni che noi non abbiamo affatto potuto apprezzare appunto perché non ci è sembrato, così come non ci sembra oggi, essere questo il modo migliore di interpretare il servizio pubblico. Ho letto una lettera di Bruno Vespa, fatta nei giorni successivi, sulla stampa nazionale, in cui il responsabile di Porta a Porta diceva: «io sono giornalista e avrei intervistato anche il brigante Musolino, Al Capone e Saddam Hussein». Questo è giustissimo, ma dipende dal contesto.
  Radio Popolare, caro collega e onorevole Peluffo, che manda in onda Vallanzasca nel corso del programma evidentemente ha un'efficacia del tutto diversa da RaiUno.
  Riguardo al dato relativo alla firma della liberatoria dopo l'intervista, ha fatto bene il direttore a dire che non accadrà mai più, però, attenzione, fermiamoci per un attimo perché non si tratta solo di un'infrazione, cioè della rottura di una regola. Si tratta dell'espressione consapevole Pag. 9 di una soddisfazione da parte dell'audito, Bruno Vespa, di come era andata l'intervista, quindi quell'intervista ha colto gli obiettivi che il signor Riina si proponeva di cogliere. Questo è gravissimo. Io non credo che ci si possa, anche in questa circostanza, limitare ad affermare: «va bene, c'è stato un errore e vedremo in futuro di fare cose diverse». In realtà, Bruno Vespa ha cambiato un po' il registro perché non li ha più chiamati in studio, come fece per tutta quella parentela cospicua del signor Casamonica, e l'intervista è stata fatta fuori dallo studio, quindi sotto il profilo formale è venuto fuori dallo schema che era stato già oggetto di una significativa censura da parte di questa Commissione di vigilanza.
  Il punto non è questo, ma è il contesto: quello è un contesto dove queste cose, gentili nostri auditi e audiendi, non si possono fare, perché il sottotesto è uno solo, in un Paese dove purtroppo le organizzazioni di malaffare non sono così marginali. In queste ore, la Camera dei deputati sta approvando il codice di condotta per i parlamentari, al fine di innalzare il livello etico dei comportamenti nel nostro Parlamento, per cui non è possibile che, al di fuori, ci lasciamo in qualche modo coinvolgere in un'operazione che ha un sottotesto che non può essere da noi accettato.

  LUIGI D'AMBROSIO LETTIERI. Colleghe e colleghi, desidero preliminarmente aggiungere una nota di pieno consenso alle osservazioni che, sull'ordine dei lavori, ha esposto il collega Gasparri. Naturalmente non mi soffermerò su questo, anche per il dovuto rispetto che voglio destinare alla Presidenza in un momento delicato. Il collega Fico è assente, dunque mi sembra opportuno riprendere questo argomento in una prossima occasione, magari in Ufficio di Presidenza.
  Devo dire che provo un certo senso di imbarazzo. È la prima volta che ascolto il dottor Fabiano, peraltro mio conterraneo, cui rivolgo anche un pensiero cordiale di augurio per questo lavoro ai vertici della Rai. Trovo imbarazzante dover unire, all'augurio di buon lavoro da una parte, anche una nota di perplessità e di rammarico, anzi di doglianza per essere più precisi, in merito all'argomento che forma l'oggetto della odierna audizione. Il collega Pisicchio ha recuperato una parolina molto semplice che temo finisca col rimanere sbiadita dentro il vocabolario dei comportamenti ovvero talvolta addirittura abusata. Si tratta del termine «eticità». Il sostantivo e gli aggettivi relativi alla parola «etico» vengono recuperati anche all'articolo 2, comma 3, lettera d), del Contratto di servizio stipulato il 6 luglio 2011, scaduto da tempo, ma tuttora vigente, laddove, in relazione ai principi generali che la concessionaria deve osservare, si ricorda la necessità che debbano essere garantiti i principi del pluralismo, della completezza, dell'imparzialità e altri che ometto, così da garantire l'informazione, l'apprendimento e lo sviluppo del senso critico civile ed etico della collettività nazionale.
  Su questo fronte, personalmente ritengo che questa trasmissione con quella impostazione abbia tradito il suo obbligo. Lei, direttore, ha usato cinque sostantivi, per disegnare il perimetro dentro il quale si è svolta quest'iniziativa: ha fatto riferimento al contesto, alla conduzione, ai contenuti, alla dinamica e alla confezione. Non ho nulla da dire rispetto agli ultimi quattro, ma molto da dire relativamente al primo punto, al contesto. Condivido quanto ha detto, con la profondità che gli appartiene, il collega Pisicchio che ha spiegato e ha illustrato l'avviso suo, che diventa anche il mio, e i motivi per i quali il contesto era assolutamente improprio. Tutto ciò rappresenta il motivo principale per il quale personalmente ribadisco quanto ho già esposto con un mio comunicato. Non ho voluto fare interrogazioni perché penso che l'audizione sia sufficiente per potere chiarire, ma vorrei che, accanto al chiarimento, si dirima il quesito principale. Il quesito principale che mi chiedo e che penso noi ci chiediamo è: accadrà ancora una volta? Lo dico perché il punto è questo. Vorrei che ciò non accadesse più.
  Questo tipo di interviste purtroppo, per quello che si desume nella valutazione puntuale e – mi permetto di dirlo – anche non speculativa perché serena, finiscono Pag. 10con l'avere una finalità impropria, per le competenze e le prerogative della Rai che si presta a diventare un veicolo di marketing editoriale per il figlio di un boss mafioso.
  Ho desiderato e desidererei che, anche in articulo mortis, venga recuperato il principio netto chiaro e preciso della non ripetizione di questo. Così come si è detto che dal 6 aprile la liberatoria sarà sempre definita ex ante, mi sarei aspettato e mi attenderei ancora che le dichiarazioni non unanimi, ma assai diffuse, provenienti dalla più ampia e qualitativamente rappresentativa porzione della nostra società, dalle più alte istituzioni dello Stato alle più autorevoli rappresentanze della società civile, possano essere uno stimolo per una riflessione aggiuntiva che pure c'è stata, ma che non ha prodotto quel risultato che oggi mi sarei atteso.
  Ho un'ultima considerazione che può servire a poco, ma la segnalo. In un'altra trasmissione televisiva di una rete che non è della Rai, è stato mandato un servizio in audio, nel quale una signora, la cui figura non si vedeva e che presumibilmente era l'agente del signor Riina junior, rispondeva alla telefonata di un giornalista delle Iene che chiedeva la possibilità di fare un'intervista. Costei affermava: «sì, la prenderemo in esame, ma abbiamo bisogno di sapere prima le domande». Alla domanda del giornalista «come mai è necessario avere prima le domande?», la risposta della signora è stata: «perché così abbiamo l'abitudine di fare e così abbiamo fatto anche con le altre trasmissioni». Certamente questa è una dichiarazione che può essere irrilevante e infondata, però la segnalo in relazione a quanto il direttore ha voluto riferirci in merito alle dichiarazioni ricevute dal dottor Vespa.
  Concludo il mio intervento rinnovando assolutamente la piena fiducia e la stima sia al dottor Vespa che ai vertici della Rai. Tuttavia, ritengo che vada posto in modo risolutivo l'aspetto del recupero pieno e declinato in tutte le sue forme di trasparenza e di evidenza nonché l'equilibrio fra la libertà e l'autonomia del professionista giornalista che nessuno vuole mettere in discussione e la necessità anche di mantenere prioritaria l'attenzione sugli obblighi che la TV di Stato – chiamiamola così – contrae non soltanto per obbligo di legge, ma anche per obbligo morale, nei riguardi del Paese.

  RICCARDO VILLARI. Ringrazio i direttori Verdelli e Fabiano per essere qui. Non so cosa possiamo aggiungere. C'è poco da aggiungere: ormai sono giorni che si parla e si legge di quest'argomento e molto è stato detto anche oggi. Personalmente condivido alcune cose e altre meno. Comunque l'argomento è sicuramente scivoloso, quindi vorrei evitare la retorica ed entrare un attimo nel merito del tema.
  Faccio una ricostruzione della vicenda come a me risulta, anche per poi averne conferma e per capire la catena decisionale. A me risulta che questa intervista sia stata registrata circa tre settimane prima della messa in onda e sia rimasta a disposizione dei vertici della rete. Ho detto che mi aspetto di essere smentito, ma lo dico dal momento che è stato riferito dal direttore Fabiano «a poche ore». A me risulta che, quando un quotidiano ha portato fuori la notizia e allorquando intorno all'intervista si è corredata la presenza degli ospiti in studio, un quotidiano nazionale ha posto il tema. Solo allora, mi risulta, ma aspetto conferme o smentite senza nessun problema, che il direttore editoriale ne ha preso visione, quindi la prima domanda che faccio è: una volta si diceva «fatti separati dalle opinioni», oggi direi «interviste a prescindere dai contenuti»?. Lo dico perché quell'intervista resta lì. Io l'ho vista quella serata e fatico a trovare elementi rilevanti. Questo è un mio parere personale che vale appunto quanto quello degli altri. Lo dico per entrare anche nel merito dei contenuti; tanto è vero che l'azienda ha detto: «dal primo settembre faremo una valutazione di merito anche del contenuto», quindi mi sembra che non si possa prescindere.
  Ora, se immagino il pubblico all'interno del quale dobbiamo comprendere i familiari delle vittime, l'azienda Rai e il mafioso Riina che presenta il libro, mi chiedo, in questo gioco – chiamiamolo così per intenderci – con queste posizioni, chi ne ha Pag. 11ricavato qualcosa oggettivamente è sicuramente Riina che ha pubblicizzato il suo libro. Questa è la mia personale visione. Tutto ciò non significa non riconoscere merito alla Rai o mettere in discussione la posizione della Rai rispetto alla mafia. Ci sono stati esercizi piuttosto avventurosi che qualcuno ha fatto, ma non è questo il tema.
  L'episodio onestamente mi sembra particolarmente spiacevole. Inoltre, ho sentito dire poco, da parte del direttore di rete, in merito. Mi chiedo come ciò sia possibile, soprattutto se è vero – e insisto per saperlo – che questa intervista è stata tenuta lì tre settimane, ritenuta contenutisticamente difendibile e giornalisticamente difendibile, come ha riferito Campo Dall'Orto dicendo: «questa è un'intervista giornalisticamente difendibile, come è stato ritenuto dal direttore Verdelli». Conosco un po' la catena decisionale: c'è il responsabile di rete che segue il programma e poi il direttore di rete che ha tutta la facoltà di dire «va bene così e non c'è problema», ma mi chiedo perché questo tema è sorto soltanto quando il quotidiano nazionale lo ha posto, a poche ore dalla messa in onda dell'intervista. Lo chiedo per capire la trasparenza della catena decisionale che non mi è molto chiara.
  In secondo luogo, ho un parere assolutamente personale che, però, voglio lasciare agli atti. Il servizio pubblico deve in qualche modo affrontare queste tematiche con una particolare modalità, per cui mi chiedo se è materia di servizio pubblico l'intervista a un mafioso che non dice «signori, io sono un mafioso, figlio di un mafioso, con otto anni di condanna e vengo qui a dire che la mafia mi fa schifo e che la voglio respingere perché voglio parlare di questo tema». Io non ho visto questo, ma un comportamento omissivo e omertoso. Ora, questo configura un atteggiamento mafioso. Del resto, Riina ha otto anni di condanna, quindi su questo siamo d'accordo. Quello che non mi torna è che, nel libro di cui ho letto la presentazione che vi risparmio, questo signore racconti – l'avete visto anche voi – dell'indifferenza del padre di fronte agli attentati che conosciamo. Mi chiedo come tutto questo, scusatemi, si giustifichi – direttore Verdelli, lo chiedo anche a lei – da un punto di vista di contenuti.
  La Rai – e finisco il mio intervento – ha detto: «per la prima volta abbiamo l'opportunità di rappresentare le dinamiche di una famiglia mafiosa dall'interno». Poi, evidentemente in preda a un attimo di sbandamento, l'azienda ha emesso un comunicato che, per me, è una toppa peggiore del buco, perché si dice che ospiteranno un'ulteriore puntata per far prevalere l'altro punto di vista. È stato un incidente. Tra l'altro, che un'azienda che fa comunicazione dica questo, oggettivamente mi sembra una scivolata non di poco conto. Mi interessa capire – e finisco – la catena decisionale per avere ben chiaro se il direttore di rete, oltre a lei, aveva informato qualcun altro in quelle settimane, come a me risulta. Dico cose che a me risultano, non me le sto sognando, però se lei me le smentisce accetterò la smentita.
  Vorrei anche capire la vostra visione dell'azienda e del servizio pubblico in che modo si deve esprimere, rispetto a queste tematiche. Ho sentito parlare di contesto e questo, sicuramente, non mi sembra un elemento secondario. Chiarisco che vengo qui per capire, e non per mitragliare, perché non ho ascoltato dubbi da parte dell'azienda. Per carità, l'intervista è difendibile, il direttore dice che va bene, a Campo Dall'Orto pure va bene, ma poi si dice che dal primo settembre si farà una valutazione più puntuale. Allora, vuol dire che questa cosa andava fatta forse anche un po' prima. Questo è il problema.

  MAURIZIO GASPARRI. Non ripeterò le cose dette in premessa, che riguardavano l'organizzazione dei lavori in Parlamento e nelle Commissioni, e non invece la Rai, che fa quello che il Parlamento le chiede di fare. Vengono invitati esponenti della Rai e vengono in Parlamento, a maggior ragione essendo il servizio pubblico.
  Per quanto riguarda la questione in oggetto, stiamo facendo un dibattito sulla sociologica giornalistica, perché a tratti mi sembra la commissione d'esame dell'ordine dei giornalisti, al cui esame mi sono sottoposto molto tempo fa, e con le domande stiamo giudicando se il tale giornalista ha Pag. 12fatto bene il suo lavoro. Non so se abbiamo i titoli per fare questo o se dobbiamo fare il palinsesto della Rai. Credo che non dobbiamo fare la commissione giudicatrice ex post e giudicare se il tal giornalista ha uno stile più aggressivo o se quell'altro fa le domande in un certo modo. Ognuno ha il suo stile e se alcuni, di vario orientamento, stanno in video, evidentemente ci sarà una ragione, un pubblico, un'audience che giustifichi questo. Stiamo facendo una discussione un po' sociologica su questa vicenda, dopo una discussione ben più drammatica che si è svolta in antimafia. L'intervista l'ho anche registrata – non ero in casa – per un fatto di documentazione e di conoscenza, e l'ho vista la sera stessa. Non mi è sembrata molto interessante, quindi non andrò a rivederla. Intendo dire che non è una roba che dalla videoteca verrà estratta, magari tra dieci anni, per ricavarne alcunché, né la storia della mafia né le minacce. Giornalisticamente è una roba mediocre, in quanto l'intervistato mi è sembrato un soggetto delinquente – le sentenze ci dicono questo – ma di scarso interesse. Ci sono stati delinquenti di maggiore interesse drammatico televisivo. Quello che non riesco a capire è di cosa stiamo parlando. Se dobbiamo dare un giudizio sull'intervista, facciamo un dibattito come al circolo della caccia e ognuno dice se gli è piaciuta o meno. Sul discorso del «genere», allora dico che non sono entusiasta del genere, ma la mia opinione conta quello che conta. L'intervista al terrorista, personalmente, non mi è mai piaciuta, chiunque l'abbia fatta. Ce ne sono da videoteca, più interessanti o meno, ma per la mia impostazione, se fossi il direttore – e ho fatto il direttore di cose molto meno importanti – non l'avrei fatta (ma è una mia sensibilità) in assoluto. Dopodiché, se queste interviste si fanno, ce ne saranno di importanti o meno, ma ciò che conta è non farsi strumento di messaggi altrui.
  Se dobbiamo fare una discussione letteraria e postuma, allora facciamola su tutti. Alcuni soggetti che citerò non sono più protagonisti della vita giornalistica perché, ahimè, non sono più in vita. Enzo Biagi ha intervistato Michele Sindona nel 1982 e Patrizio Peci nel 1983. Ricordo ai più giovani che si trattò di una vicenda drammatica riguardante le Brigate Rosse, in quanto il fratello di Peci fu sequestrato e ucciso dalle BR. Sempre nel 1983 Biagi intervistò Toni Negri, un cattivo maestro che, tra l'altro, è pure finito in Parlamento. Enzo Biagi, se fosse vivo, potrebbe dire: «ce l'avete avuto voi in Parlamento, perché non posso averlo io in trasmissione?». Ancora, intervistò Luciano Liggio nel 1989 e Tommaso Buscetta nel 1992.
  La prima domanda di Enzo Biagi – sono andato a sentire – a Michele Sindona fu: «avvocato come sta?». La commissione giudicatrice qui riunita come giudicherebbe tale domanda a Sindona? Non gli disse mica: «brutto delinquente, assassino, prenditi un caffè così vediamo come finisce», ma: «avvocato come sta?». Eppure Biagi è considerato giustamente una figura tra le più insigni del giornalismo italiano. Sergio Zavoli, nostro collega senatore, l'abbiamo lodato spesso anche in questa Commissione perché ha fatto delle interviste, soprattutto con La notte della Repubblica, di grande drammaticità e importanza. Tuttavia, Mario Moretti era un assassino e in interviste importanti, drammatiche e storiche che Zavoli gli fece, cercò di portare acqua al suo mulino. Zavoli ha intervistato anche Stefano Delle Chiaie, per parlare di un personaggio di un versante del tutto diverso. Joe Marrazzo, giornalista che appartiene alla storia, per il servizio pubblico intervistò Piromalli, capo dalla 'ndrangheta, nel 1977. Anche Cutolo fu intervistato nel 1983, ma credo che l'abbia intervistato anche qualcun altro in Rai. Remondino, un giornalista d'inchiesta, intervistò nel 1997 don Tano Badalamenti. Dopodiché c'è il capitolo Santoro. Amici miei, sono stato uno dei pochi a fare polemica, non nel 1982, ma nel 2009, per le ripetute apparizioni sul servizio pubblico televisivo di Ciancimino junior, spesso in connessione con altre interviste al dottor Ingroia, allora pubblico ministero a Palermo, che definì in suoi scritti «icona dell'antimafia» Ciancimino junior, poi condannato per calunnia e per detenzione di tritolo in casa. Forse mentre andava in televisione, nel 2009, Pag. 13aveva il tritolo in casa e Santoro non lo sapeva.
  Ruotolo, già dipendente Rai – persona che conosco, mi dispiace doverlo citare – andava in vacanza con Ciancimino. Chiedo quindi ai dirigenti Rai se esista o meno un'autonomia giornalistica rispetto alla domanda, ad esempio quando il giornalista è amico o va in vacanza con l'intervistato. Per carità, uno può andare in vacanza con chi vuole, però questo dà un background. Ciancimino junior pianse in televisione – me lo ricordo, era su Rai 2 – citando le sofferenze della mamma, mentre aveva i soldi del padre mafioso in Romania per gestire attività di rifiuti e mentre aveva il tritolo in casa, per cui l'hanno condannato. L'hanno messo per nasconderlo, non per farlo saltare.
  Quando feci polemica su questa vicenda – era il 2009 – ci fu un sacco di gente di altro settore politico che mi attaccò dicendo che si faceva la censura a Santoro. Ciancimino stava lì che fingeva di piangere, commosso. Andate a vedere l'intervista. Qualcuno vedendolo avrà detto «poveretto, se piange vorrà dire che c'è del buono in lui. Parla della madre piangendo, chi lo sa, anche il figlio di Ciancimino potrebbe essere meno peggio di come è descritto». Quindi, c'era anche un giornalismo funzionale.
  In seguito Ingroia ha anche fondato un partito, nel quale Ruotolo si è candidato. Si obietterà che avesse il diritto di fare un partito. Per carità, tutti hanno diritto di fondare un partito, però intanto si usa il servizio pubblico e si fa di quella persona l'icona antimafia. Ingroia, che era il PM... per risparmiare tempo non mi dilungo sull'argomento, anche se c'è una letteratura sulle connessioni. Ciancimino scrisse persino un libro, a proposito di libri. Ha scritto un libro il figlio di Riina, malissimo, non lo comprerò e non lo leggerò perché credo che non sia interessante, pur essendo interessato ad approfondire, ai fini della lotta alla mafia, testi e volumi. Ciancimino però scrisse cataste di libri – Feltrinelli editore – ma poi fu condannato e le cataste sono scomparse. Ciancimino l'altro giorno alla Zanzara ha detto che l'intervista era una vergogna, ma Cruciani fa un giornalismo «movimentista», quindi gli faceva comodo che Ciancimino dicesse che Vespa faceva schifo. Dopodiché, Santoro si è esibito anche con Spatola nel 1991, con Brusca nel 1998 – Brusca, quello che scioglieva i bambini nell'acido: ne vogliamo parlare? – e anche con Provenzano nel 2012.
  Cito un altro fatto che non c'entra con la Rai. Nel 2012 vengono diffusi, su vari canali on line, delle immagini di Totò Riina, il babbo, personaggio sicuramente più efferato del figlio, anche condannato, quindi sicuramente mafioso per sentenza. In carcere, al 41-bis, regime particolarmente e giustamente severo, ci sono telecamere che riprendono i detenuti nel cortiletto anche nell'ora d'aria. Nelle riprese Riina, parlando col suo compagno di panchina, un tale Lorusso, un altro delinquente al 41-bis, proferisce minacce gravissime al dottor Di Matteo. Queste riprese, che dovrebbero essere a disposizione della magistratura, immagino, e non finire in televisione, ma offrire notizie a chi dirige il carcere o al magistrato su ulteriori reati – credo che sia questa la ratio della telecamera nel cortiletto dell'ora d'aria del 41-bis, non la mondovisione – finiscono invece in rete (siamo nel mondo moderno), vengono diffuse dai vari canali e non la Rai, ma una trasmissione che si chiama Servizio pubblico, su La7, il 30 gennaio del 2014, conduttore – guarda un po' – Santoro, le manda in onda. Si dirà che era una documentazione, ma Riina sapete che cosa diceva (con sottotitoli, perché il linguaggio di Riina nel colloquio era particolarmente dialettale)? «Perché questo Di Matteo non se ne va? Gli hanno rinforzato la scorta e allora se fosse possibile ucciderlo, un'esecuzione, come Roma a quel tempo e a Palermo, partivamo la mattina da Palermo a Mazara, c'erano i soldati, poverini, in fila indiana a quel tempo e si fecero spaventare...».
  Ma per Santoro non è la stessa cosa? È peggio, perché, in base alla legge del 2004, di cui qualche conoscenza ho, tutta la televisione deve rispettare i princìpi di pluralismo e di rispetto della verità. Oltre il fatto che il servizio pubblico ha compiti Pag. 14diversi, poiché c'è la convenzione Stato-Rai, c'è il contratto di servizio, c'è il canone, quindi la Rai ha un surplus di doveri di cui è consapevole, tutte le televisioni, in base alla legge di riforma (non ne cito l'autore), devono rispettare alcuni canoni e criteri. Quindi, trasmettere le minacce di Riina a Di Matteo non è una bella cosa. Tra l'altro, la trasmissione si chiamava Servizio pubblico polemicamente, perché era volontariamente fatta su un altro canale, visto che Santoro, come ricordate, dalla Rai trasmigrò volontariamente. Allora, presidente pro tempore, propongo di organizzare un bel convegno della Commissione di vigilanza. Lo dico seriamente, io ne organizzo tanti e spesso ho invitato anche voi colleghi. Ne faremo un altro il 10 maggio sul rinnovo della convenzione Stato-Rai.
  Facciamo una discussione, che è importante: il delinquente va in video o non va in video? direttamente o indirettamente? come lo si intervista? Non farei l'albo degli intervistatori, perché non sta a noi, né degli intervistati. È chiaro che c'è l'intervistatore più spigoloso, ma non abbiamo nessuna potestà, né sugli intervistatori, né tanto meno sugli intervistati. Mi ricordo, moltissimi anni fa, credo che fosse a Canale 5, un'intervista a Michele Greco in cui si coniò il termine «mafiare»: «in cosa ho mafiato io?». E questo termine, che non esisteva, divenne un neologismo, come «petaloso», ma un po' più brutto. L'Accademia della Crusca l'avrà pure scritto. Il giornalista che ha fatto quell'intervista, che credo fosse di Canale 5, sarà stato anche un giornalista che ha fatto uno «scoop». Allora, discutiamo di questo tema, perché – ripeto – a me il genere non piace, sia che si tratti del brigatista rosso, sia che si tratti di Delle Chiaie, sia che si tratti di Riina junior. Non mi piace nemmeno Riina senior ritrasmesso nel 2014 che dice che Di Matteo... Peraltro, Di Matteo è uno che gira col jammer, un dispositivo che disattiva le connessioni dei telefoni quando passa. Di Matteo non ha solo – giustamente – scorte e macchine blindate, ma anche un dispositivo che disattiva le telecomunicazioni. E si è polemizzato anche in Parlamento perché non era sufficientemente protetto. Per me trasmettere le minacce di Riina padre non è un bel servizio pubblico, ma non c'entra il direttore Fabiano né Verdelli.
  Spero che si possa discutere invece di quello che accade dal primo settembre. Campo Dall'Orto poi va in Commissione antimafia a spiegare cosa fa per filtrare le notizie, ma non era un bel posto. Qui, invece, si può discutere. Il dottor Verdelli notoriamente ha assunto un ruolo di coordinamento editoriale, si confronterà con l'azienda. È venuto qui, e tornerà.
  Vogliamo capire cosa accade dal primo settembre? Anche in questo caso, l'autonomia dei direttori, di cui alcuni di altri settori politici si sono fatti usbergo – l'autonomia, i direttori, il contratto, ma non vi sto a citare vicende – ora è scomparsa. Siccome Vespa non è omologato a un certo orientamento, si può fare di tutto. Il dottor Verdelli se ha avuto un incarico lo eserciterà, ma penso che lo farà rispettando contratti di lavoro e deontologie professionali. Se poi si decide di non intervistare più delinquenti, sono d'accordo, ma questo vale erga omnes. Si prende il codice penale e se qualcuno ha fatto un reato non viene intervistato, ma nemmeno dalla TV dei ragazzi e nemmeno se torna Ruotolo dalle vacanze con Ciancimino.

  PRESIDENTE. Abbiamo ancora nove interventi. Ricordo che alle 16.30 è convocata l'Assemblea del Senato, quindi vi invito a un'autoregolamentazione.

  AUGUSTO MINZOLINI. Cerco di essere breve, anche per lasciare a tutti la possibilità di parlare.
  Penso che su questa vicenda si sia fatta molta confusione. Lo dico perché, sotto certi aspetti, anche il dibattito di oggi, secondo me, è un po' sopra le righe. Intanto diciamo subito che io eliminerei la retorica: qui non è che dobbiamo discutere di mafia o antimafia, siamo tutti contro la mafia e stare a parlarne per alcuni versi è ridicolo. Sotto certi aspetti, se si dovesse dare un punto, in questa maniera lo si darebbe alla mafia, perché sembra quasi che ci possa essere un dibattito tra mafia e antimafia in Parlamento, il che mi sembra paradossale. Pag. 15In secondo luogo, non voglio neanche fare il commissario del popolo. Penso che ognuno possa fare quello che vuole in questo mestiere. Ricordo che una volta, per citare un paragone, feci un'intervista – non ero neanche in Rai – a Craxi in esilio e il giorno dopo ci fu una puntata riparatrice sul perché avessi fatto quell'intervista. Faccio questo riferimento perché, secondo me, il problema centrale di questa vicenda – mi aiuto anche con paragoni fatti dall'amico Gasparri, che però non condivido per alcuni versi – è che quando parliamo del contenuto giornalistico, un conto è se si intervista Sindona, un conto è se si intervista Cutolo, un conto è se si intervista Assad, un conto è se si intervista Vallanzasca. In quel caso, qualunque cosa venga detta ha un contenuto giornalistico importante.
  Faccio un esempio. Mettere in bocca di Totò Riina quello che ha detto il figlio aveva di per sé un significato, perché creava una situazione di imbarazzo, dava un'idea. Detto dal figlio, quel discorso ha un altro tipo di interesse giornalistico, tant'è che quell'intervista è finita il giorno dopo. La notizia ha riguardato il motivo per cui l'abbiamo intervistato, non quello che ha detto. Questo è il dato essenziale su cui uno dovrebbe riflettere.
  Sono solidale con Verdelli, perché quando si usa l'espressione «servizio pubblico» si impazzisce, quindi lasciamo perdere. Ne faccio una questione più evidente, che può essere utilizzata per tutto, tanto più dal servizio pubblico. Ha un senso fare un'intervista di quel tipo a un personaggio grande? Sindona che risponde e dice come sta ha un suo senso giornalistico, perché parla il protagonista, e anche l'imbarazzo e il silenzio del protagonista hanno un valore giornalistico. Il figlio che parla e che probabilmente sa quello che deve dire a menadito non ha un interesse giornalistico, e lo si dimostra immediatamente dopo, dal tipo di dibattito che si è sviluppato successivamente.
  In più c'è un problema, ossia il tipo di trasmissione. Giusto o sbagliato, parliamo di Porta a Porta come della terza Camera, cioè di un livello istituzionale estremamente alto. Credo che, da questo punto di vista, l'idea di ospitare qualcosa che ha un contenuto giornalistico ridotto a Porta a Porta debba essere valutata, non in termini se sia giusta o meno, ma se valga la pena o no. Purtroppo, il dramma, secondo me – ma dipende anche dal tipo di programmazione che abbiamo – è che se una trasmissione la si fa tutti i giorni, alla fine si deve trovare una cosa di cui parlare tutti i giorni, e diventa drammatico. Si abbassa il livello della trasmissione in determinati momenti, soprattutto con un pubblico che si aspetta determinate cose. Un conto è se si ha un pubblico di un certo tipo, ma quando parliamo di terza Camera istituzionale, chiamiamola così, si ha un pubblico particolare a cui, bene o male, ci si deve riferire in una certa maniera.
  Poi, come al solito, si va avanti e mi viene anche da sorridere. Ho letto un'intervista di Freccero che chiede il motivo per cui l'intervista l'abbia fatta Vespa. La risposta è che, essendo a fine carriera, voleva uscire da eroe e non da servo. Se si pensa che Vespa per dimostrare di essere un eroe intervista il figlio di Riina, si può capire a che punto di ossessioni, un po' paradossali, è arrivato il dibattito.
  L'unica ragione che vedo in uno schema del genere – ed è quello che secondo me cozza poi con il concetto di servizio pubblico, che cerco di avere sempre abbastanza limitato, altrimenti non so dove arriviamo – è quella dell'audience. Però se l'audience deve essere perseguita in questa maniera, avendo cioè un determinato personaggio e facendo un determinato tipo di intervista, è più lecito che questo avvenga in una tv commerciale. Insomma, nel salotto di Barbara D'Urso una cosa di questo tipo l'avrei vista. Vederla, invece, a Porta a Porta è una cosa che, secondo me, senza voler parlare di mafia, antimafia e via dicendo, non rientrava nei canoni.
  Caro Verdelli, lo dico in termini di spettatore, neanche di commissario: l'impressione è questa, specialmente se l'ambizione giusta che avete è quella di andare avanti, cioè di fare qualcosa di diverso in questa azienda. Ecco, su questo rifletterei, non tanto per dare pagelle o altro, però nell'idea Pag. 16 che un discorso del genere ormai deve essere anche proiettato verso il futuro, per i discorsi che abbiamo fatto la volta scorsa.

  SALVATORE MARGIOTTA. Procederò molto brevemente perché è stato detto molto e perché alle 16.30 dobbiamo chiudere, almeno per quanto riguarda noi senatori, quindi andrò per flash. Mi scuseranno sia gli auditi sia i colleghi, se sarò un po' sinteticamente brutale.
  In primo luogo, vorrei fare i miei auguri al dottor Fabiano che per la prima volta incontro in questa sede. Ne ho stima e sono contento che ci sia stato anche un rinnovamento a RaiUno. Sono anche molto contento che ogni tanto capiti anche a un dipendente della Rai di avere una promozione. In questo nuovo corso, questo fatto mi pare una cosa buona e un'eccezione che qualche volta potrebbe essere seguita un po' di più.
  La seconda questione riguarda il fatto che sulla vicenda si è discusso prima in Commissione antimafia e poi questa Commissione, per cui hanno ragione Gasparri e Peluffo e, sia pur con angolature diverse, anch'io trovo assolutamente sbagliato che questo confronto, qui, avvenga dopo. Ora, non voglio parlare della dimensione degli auditi, ma soltanto dei tempi. Il fatto che si discuta in Commissione di vigilanza, dopo che si è discusso in Commissione antimafia, di una trasmissione televisiva, mi pare un errore. Probabilmente, da parte del Presidente Fico che mi dispiace non ci sia perché è antipatico criticare gli assenti, c'è stata una sottovalutazione della questione. Insomma, se neanche di queste cose si parla prima in Vigilanza che in Antimafia, non capisco se siamo tutti contenti che poi il nostro ruolo sia sminuito fino a questo punto.
  Sulla questione che riguarda Vespa, vi dico che ho due certezze e qualche dubbio.
  Prima certezza: l'errore è stato soprattutto intervistare Riina, nel momento in cui aveva un libro da presentare. Trovo in assoluto che questa sia sbagliata come circostanza perché obiettivamente abbiamo fatto da megafono a una persona che aveva un prodotto da vendere e che era un mafioso – perché è un mafioso, figlio di un mafioso – che non aveva nessuna abiura da fare.
  La seconda, come avete detto tutti e Peluffo in maniera molto chiara, è la vicenda della liberatoria ex post. Ora, non ricordo quale delle personalità abbia detto «a me è stata fatta firmare prima e non capisco perché a lui, invece, è stato concesso questo privilegio».
  Detto ciò, mi rimangono molti dubbi. Certo, l'informazione è informazione. Ora, non citerò le cose che ha detto il presidente Gasparri, ma penso sia sempre molto difficile trovare, almeno dal mio punto di vista e invidiando quelli che hanno certezze sull'argomento, il discrimine tra informazione e servizio pubblico, chiedendosi se è giusto o non è giusto intervistarlo e se sto dando comunque un servizio pubblico. Lo dico perché non so se avere l'idea di come la pensano queste persone così diverse da noi sia un fatto positivo. So, però, che un importantissimo giornalista di un'altra rete, che è una sorta di simbolo dell'antimafia e che non cito perché me lo ha detto in una conversazione privata, era assolutamente dell'idea che Vespa avesse fatto bene a invitare i Casamonica perché il giornalismo è così, se stai sul pezzo e sull'informazione. Sul modo, invece, possiamo assolutamente convergere e soprattutto possiamo convergere – ripeto – sulla gravità di due circostanze che mi pare siano insuperabili, quella del libro e quella della liberatoria.
  Approfondirei un po' di più tutte le questioni che avete affrontato e che ha affrontato il dottor Fabiano. Certo, ci avvarremo anche dell'intervento conclusivo di Carlo Verdelli.
  Lo dico perché sono preoccupato da una serie di questioni. L'equilibrio chi lo detta? Il direttore editoriale che fa? Dico, anche qui brutalmente, che tra una informazione anarchica e un'informazione normalizzata, preferisco quella anarchica, non quella normalizzata. Il codice etico fino a che punto si spinge a fare la lista appunto degli intervistati e degli intervistabili? Come si fissano queste cose e chi le fissa? Il Parlamento ha voce in capitolo? Insomma, come potete capire, la questione è Pag. 17talmente magmatica che, secondo me, prescinde anche molto da questo episodio, su cui poi sarà facile essere tutti d'accordo, ma va fino in fondo, nel corpo e nel sangue, dell'informazione nel servizio pubblico. Mi chiedo: qual è la catena decisionale?
  Ho fatto un'interrogazione a proposito delle newsroom che sono state abbandonate e avrò risposta nei prossimi giorni. Su tutto questo, ho sentito dire dal mio capogruppo che siamo in attesa del piano editoriale, quindi lo guarderemo, ci rifletteremo e daremo la nostra opinione. Ovviamente non vuole essere una critica la mia, ma vorrei dire che ho trovato persino eccessivo quanto detto dal dottor Fabiano sul diffondersi del fatto che la cultura della Rai è contro la mafia. Ci mancherebbe altro, io l'avrei dato per scontato. Capisco che vi siate sentiti così accerchiati da dover dire in premessa tutto questo, ma che la Rai stia dalla parte giusta mi pare assolutamente scontato. Certo, se qualcuno lo mettesse in dubbio, mi preoccuperebbe molto, però appunto comprendo che quelle stesse frasi siano frutto di un clima piuttosto avvelenato. Per esempio, ho visto la trasmissione Petrolio che parlava delle questioni della mafia in Sicilia, su RaiUno. Insomma, nessuno mette in dubbio la buona fede. Certo, ci vorrebbe un po' di attenzione in più, però stiamo attenti a non farla diventare normalizzazione, il che mi preoccuperebbe molto.

  MAURIZIO LUPI. Mi piacerebbe anche ascoltare le risposte del dottor Verdelli, per cui porrò tre questioni, sperando di fare un passo avanti rispetto alle discussioni che avevamo già fatto, tra l'altro con molti meno colleghi.
  La prima riguarda la scelta editoriale. Da quello che ho ascoltato, mi sembra che non ci sia stato un colpo di mano, ma una scelta, giusta o sbagliata che fosse, consapevole. Si è valutato e si è deciso che quell'intervista rientrasse all'interno dell'ambito di un servizio pubblico, dell'informazione di rete. Mi sembra che questo sia un primo dato importante perché, qualora così non fosse stato, indipendentemente dalle nostre posizioni e se la riteniamo bella, brutta, sbagliata o giusta, è chiaro che quella scelta sarebbe un errore. Certo, tale scelta editoriale può essere sviluppata e ho capito come può essere implementata, però in questo caso, dall'intervento del dottor Fabiano, ho compreso questo. Dal mio punto di vista – vedrete che non la penso come altri che sono intervenuti o colleghi che stimo – credo che questo sia un elemento che, per chi fa parte di una Commissione di vigilanza, è importante, indipendentemente dal fatto che quella scelta sia condivisa oppure no. Comprendo, invece, molto bene – ho grande stima di Margiotta – la ragione per cui il direttore si è dilungato in quel discorso. Lo dico perché, quando autorevoli colleghi, senza neanche vedere la trasmissione, dicono che si vuole fare il negazionismo della mafia, credo che ognuno di noi, prima di parlare, dovrebbe pensare alla portata delle parole che dice. È evidente che quella è una frase di tale gravità e che coinvolge un servizio pubblico, per cui, se fosse vero, dovremmo ovviamente cacciare tutti e chiudere tutto. Si tratta di una cosa – condivido quello che hanno detto altri colleghi – che sembrava dovesse essere scontata e che, purtroppo, in questo periodo deve essere ripetuta perché bisogna sempre fare i buoni e i cattivi per affermare le proprie idee.
  La seconda questione riguarda il contesto e il format, su cui abbiamo discusso molte volte e su cui, anche qui, io pongo due osservazioni. Innanzitutto, stiamo attenti ai limiti che poniamo perché, una volta che poni un'asticella, quell'asticella diventa un parametro per tutti. Io non accetto, per la stima che ho dei giornalisti e dell'informazione e anche per la mia formazione, che ci siano ascoltatori di serie A o ascoltatori di serie B e giornalisti di serie A o giornalisti di serie B. Secondo me, è un'avventura molto coraggiosa e difficile quella di teorizzare che quella stessa intervista con la Gabanelli andava bene, invece a Porta a Porta non andava bene. Lo dico semplicemente perché, quando ne abbiamo discusso prima, a proposito di Verducci, col collega del Movimento 5 Stelle, si diceva «Vespa lo ha messo nel salotto di Porta a Porta» o «si dà autorevolezza a un altro». Mi sembra, per come ho visto la trasmissione, Pag. 18 che il tema si sia sviluppato in altro modo, quindi, sul tema del contesto e del format, mi piacerebbe capire se l'unica garanzia che un'intervista o un tipo di informazione possono dare dipenda dal contesto. Questo sarebbe pericoloso per il servizio pubblico. Mi riferisco al fatto che si possa dire su RaiTre e su RaiDue va bene, ma su RaiUno non va bene, o che a Porta a Porta da Vespa non va bene, ma dalla Gabanelli va bene. Tutto ciò mi sembra sbagliato e dico che si correrebbero dei rischi pericolosi.
  Ho un'ultima osservazione da fare perché la penso in maniera totalmente diversa, anche se comprendo le tante discussioni che ho fatto con colleghi che magari anche in prima persona sono stati toccati dalla mafia. Che cos'è il servizio pubblico e che cos'è l'informazione nel servizio pubblico? Questo è formare una coscienza e raccontare. Per me, che l'ho vista, quell'intervista aveva una grande cosa che nessuno ha raccontato e che non sottovalutiamo: la banalità del male. Dobbiamo renderci conto che proprio in quella banalità – Vespa lo ha detto, io l'ho visto e mi si è accapponata la pelle – nell'essere insignificante di quell'uomo sta il pericolo più grande della mafia. Anche raccontarlo e mostrarlo, tra l'altro con ascoltatori diversi – eravamo in seconda serata, non in prima, con un pubblico abituato – secondo me è un aspetto. Certamente, non è un'intervista che possa passare alla storia, ma da questo punto di vista personalmente ringrazio per avermi fatto capire che è una storia diversa da tante altre, che la pericolosità della mafia è anche quello, e forse è innanzitutto questo, l'impassibilità, il non reagire di fronte alle immagini che sono state mandate, come quel pezzo in cui Frajese diceva che ha vinto lo Stato, contrapposto al silenzio. A volte, l'informazione del servizio pubblico è anche questo. Poi può piacere, non piacere, poteva essere più pesante o meno pesante. Se per me il servizio pubblico è fare informazione e cercare di creare coscienza, una coscienza culturale, di giudizio, di aiuto, se aiutata anche in questo, credo che si sia fatto un passo avanti, un piccolo passo avanti.

  NICOLA FRATOIANNI. Voglio anch'io ringraziare il direttore Fabiano e il direttore Verdelli per quest'audizione, ma devo dire che mi sarei aspettato forse, o avrei auspicato – adesso non so dirlo – un approccio un po' diverso.
  L'onorevole Lupi giustamente sottolineava il fatto che, relativamente a quello che ci avete detto, ed è un punto di riflessione, c'è stata una valutazione, una valutazione editoriale. Ecco, mi sarei aspettato, ripeto avrei sperato che foste venuti qui oggi a dirci una cosa molto semplice: abbiamo fatto un errore di valutazione, abbiamo sottovalutato, forse abbiamo sbagliato, quell'intervista così non doveva andare. Vedete, io, che non mi iscrivo al partito di chi pensa che si debba o non si debba a prescindere mandare in video l'intervista di un mafioso, di un terrorista, di un carnefice, penso però che si debba discutere molto di che cosa si domanda a quel mafioso, a quell'intervista. Qui non c'è una questione di intervento, di limitazione della libertà del giornalista, perché nello stesso tempo non mi iscrivo, e anzi sto dall'altra parte del partito di chi pensa che si debba esercitare preventivamente un elemento di censura sulla libertà del giornalista.
  C'è, però, un punto decisivo. Se si invita il figlio di Riina, si considera che quella presenza possa essere giornalisticamente interessante, interessante dal punto di vista del servizio pubblico. Non si può consentire che il figlio di Riina vada in una trasmissione, che sia RaiUno o RaiTre – francamente, sulla questione del contesto la penso come chi mi ha preceduto – e di ridurre quell'intervista al Natale in casa Riina, al rapporto col papà. Sì, c'è la banalità del male, ma la banalità del male ha una forza anche dal punto di vista della sua capacità di informare e di costruire coscienza se è capace di essere mostrata insieme alla crudezza del male.
  Se qualcuno risponde di fronte a quelle immagini, che pure scorrevano, che non le commenterà perché della mafia si occupano i tribunali, lì c'è un problema. C'è un problema, perché lì, in quell'impianto, in quella costruzione, il rischio è di produrre Pag. 19un rovesciamento insopportabile rispetto alla necessità, invece, di costringere quell'interlocutore a misurarsi fino in fondo con quella dimensione, che lo riguarda non solo e non tanto per la sua condanna – anche lui è stato condannato – ma per la funzione per cui è stato chiamato: non perché è stato condannato a otto anni, ma perché è il figlio di Totò Riina.
  Bisogna costringere quell'interlocutore a cimentarsi in una relazione diretta e senza omissioni con la vicenda del padre, nella quale ci sta anche la domanda sulla dimensione della vita relazionale, certo che ci sta, ma se quello diventa il centro dell'intervista, con la rimozione di tutto il resto, allora c'è un gigantesco problema. Di questo forse sarebbe stato utile discutere. Questo credo sia il centro della discussione. Ripeto che forse sarebbe stato meglio – può capitare a ciascuno – riconoscere che c'è stata, evidentemente, perfino una sottovalutazione, un errore di valutazione. Credo che sia indifendibile quella trasmissione.
  Altra questione è fare quello che ci è stato detto dal direttore di RaiUno sul tema della liberatoria. Benissimo, da questo punto di vista sono pienamente soddisfatto, la Rai ha deciso che da qui in avanti le liberatorie, vivaddio, saranno rilasciate prima. Del resto, succede a tutti noi. Ciascuno di noi che va in una qualsiasi trasmissione firma la liberatoria prima.
  Ci è stato detto che le domande non erano state concordate. È stato ricordato da un intervento che in un'altra trasmissione nell'interlocuzione diretta con una collaboratrice di Salvo Riina l'informazione è stata diversa. Naturalmente, stiamo a quello che ci avete detto, ma diventa perfino marginale rispetto al tema della liberatoria. Può essere che non ci sia stato nessun taglio, nessuna modifica, ma non è questo il punto. Il punto è che non ci si può mettere nella condizione nella quale l'assenza di una liberatoria eventuale può anche semplicemente rendere più complicata la trasmissione del programma. Non è in discussione il fatto che, se Riina avesse messo in discussione dopo la visione l'organizzazione dell'intervista, la Rai o Vespa avrebbero acconsentito a cambiare, a tagliare come voleva lui. Il punto è che gli sia stato consentito, anche solo in punto di teoria come condizione di possibilità, di mettere in discussione l'intervista. Credo che di fronte a questo elemento si tratti di fare un'operazione di verità.
  Io non so se la Gabanelli l'avrebbe fatta meglio. Il punto non è stilare preventivamente una lista. So che in questo Paese la televisione pubblica ha intervistato personaggi di spicco per la loro carriera criminale, a destra, a sinistra, mafia, 'ndrangheta, e lo ha fatto con la schiena dritta e la capacità, però, di dare su questo terreno un elemento di conoscenza e di consapevolezza. In questo caso, purtroppo, abbiamo avuto uno spettacolo ben diverso.

  MICHELE ANZALDI. Vorrei chiarire da subito un punto. Dopo aver assistito alla puntata di Porta a Porta, non è tanto in discussione il fatto di aver intervistato il figlio di Totò Riina, anche se intervistarlo alla vigilia dell'uscita del suo libro a me non è sembrato opportuno, e anzi ha creato degli imbarazzi. Chi ricorda che Biagi intervistò Buscetta e Marrazzo, invece, Piromalli, a mio avviso è fuori tema. Il punto, alla luce di quanto hanno riferito esperti del dibattito e commissari dell'antimafia, è l'intervista in sé, le sue modalità e il messaggio che ha lanciato. Quando il dottor Verdelli la volta scorsa è venuto in Commissione di vigilanza, ci ha detto di conoscere soltanto il giornalismo buono e il giornalismo cattivo. Sono d'accordo, aggiungendo però che un giornalista Rai deve anche avere ben presenti i valori che il servizio pubblico deve promuovere, come stabilisce molto chiaramente il contratto di servizio.
  Bene, mi permetto di fare due notazioni. Del giornalismo buono sono la competenza e la responsabilità. Competenza significa, ad esempio, raccontare un fatto o realizzare un'intervista avendo una profonda conoscenza dei temi che si stanno trattando. Salvo Riina è un condannato per associazione mafiosa. Forse sarebbe stato opportuno che l'autore dell'intervista si documentasse di più e documentasse meglio la situazione ai telespettatori. Se avesse Pag. 20studiato gli atti dell'inchiesta che lo portarono al processo o, come tutti i buoni giornalisti avrebbero dovuto fare, avesse fatto anche semplicemente una ricerca con una rassegna stampa, avrebbe potuto sottolineare le risposte non veritiere rese dallo stesso Riina, segnalandole al pubblico. Alla domanda sulle vittime della mafia, ad esempio, Riina risponde: «Tutti i morti meritano rispetto». Negli atti dell'inchiesta, vi è un'intercettazione nel corso della quale lo stesso Riina dice testualmente, riferendosi a Falcone «ci appizzano ancora le corone di fiori a 'stu cosu?». 'Stu cosu – lo spiego per chi non è siciliano – è il monumento eretto sull'autostrada a ricordo della strage di Capaci. Quell'intercettazione forse doveva essere contestata, anzi forse doveva essere ascoltata dal pubblico televisivo, mostrata. Ancora, Riina sostanzialmente dice di non avere mai saputo che il padre è un capomafia, lo descrive come un buon padre di famiglia, che la mattina esce per andare a lavorare e la sera guarda la televisione insieme alla famiglia. Di fronte all'immagine di Capaci, Riina racconta che insieme e in silenzio si limitarono a seguire le notizie del telegiornale. Negli atti che ho citato prima c'è un'intercettazione di Riina in cui definisce il padre colonnello, e dice al suo interlocutore, in riferimento all'uccisione di Falcone e Borsellino «un colonnello deve sempre decidere, e la decisione fu “abbattiamoli”». Le chiedo, se un'intervista o un servizio sono incompleti o parziali, non trasmetterli o rinviarne la messa in onda per integrarli in montaggio è censura o è solo buon giornalismo?
  Questa mia valutazione riguarda anche il ruolo svolto da lei, visto che dopo averla visionata, come ci ha detto il dottor Campo Dall'Orto e oggi il direttore della rete, l'ha evidentemente giudicata buon giornalismo, e ha dato il via libera alla messa in onda, come ha riferito appunto in Antimafia il dottor Campo Dall'Orto. Le chiedo: in base a quali valutazioni? Forse la qualità delle immagini e del montaggio? O anche lei, come ha detto qualcuno, ha visto nello sguardo fisso di Riina la denuncia e la prova che la mafia esiste? Sarà d'accordo con me nel dire che non avevamo bisogno di quello sguardo per ritenere ancora oggi mafia, camorra e 'ndrangheta come piaga della nostra società. Forse sarebbe stata utile maggiore umiltà, sarebbe stato utile ascoltare il parere di coloro che hanno seguìto i fatti di mafia, e in Rai ce ne sono molti, e a quel punto l'azienda sarebbe stata messa in allerta dei messaggi che Riina voleva mandare al suo mondo. Del resto, è stata la stessa presidente della Rai a definire quella un'intervista da mafioso. Pertanto, anche la presidente ha avuto una valutazione diversa dalla sua. Visto che è anche una giornalista, forse sarebbe stato prudente interpellarla prima, per avere una valutazione di più?
  Le chiedo, infine, come ha reagito al comunicato dell'editore? Lo mette in rete l'ANSA del 6 aprile delle 19.23, prima della messa in onda e in tempo per un ravvedimento sulla sua decisione. L'editore rivela testualmente: «Alla fine dell'intervista Salvo Riina ha preteso – il testo dice proprio preteso – di guardare tutta l'intervista e di ascoltarla. Andava tutto bene e ha firmato la liberatoria». Sull'anomala procedura della liberatoria è già intervenuto più autorevolmente di me il Presidente del Senato nonché ex Procuratore nazionale antimafia. Nella sua nota, dice che in tutta la sua carriera ha sempre firmato prima la liberatoria. Quando ha letto che la Rai si era assoggettata a una pretesa simile del figlio del capo della mafia, e che l'intervista, sempre secondo il figlio di un capo della mafia, andava bene, non le è venuto il sospetto, o almeno il dubbio che quell'intervista così come era stata realizzata non era un buon giornalismo e che la sua trasmissione rischiava di diventare un favore alla mafia?

  ALBERTO AIROLA. Ringrazio i direttori che sono qua oggi a parlare di questo caso, che in effetti giustamente ha indignato opinione pubblica, protagonisti della lotta alla mafia, parti politiche. Allora, iniziamo da un punto centrale.
  Il problema è anche dirimente per la domanda sul perché Ciancimino sia servizio pubblico e Salvo Riina a Porta a Porta con Vespa no. Come diceva lei giustamente, Pag. 21direttore, l'infotainment tiene un ampio spazio in Rai e per sua essenza, sua natura, un contenitore che ha una parte di spettacolarizzazione e intrattenimento, una di estetizzazione e una di informazione, eventualmente di giornalismo.
  Il primo punto è che Vespa si trova in una posizione in cui mette questa tematica in un contenitore non adatto ad affrontarla, e lo fa anche con una modalità che poi criticheremo, ma per altre ragioni. Il primo problema è che abbiamo un personaggio che non è così significativo. Come dice giustamente l'avvocato Li Gotti a seguito dell'intervista, Salvo Riina un giudizio ce l'ha, ma non vuole dircelo. Allora, perché ci scrive un libro? Questo è per riassumere un po' il fatto che non esce niente da quest'intervista che non sappiamo già sulla mafia, sul fenomeno mafioso, sugli eventuali rapporti familiari all'interno della famiglia appunto di un boss di Cosa nostra.
  La seconda questione è che appunto da Vespa vediamo trattati nello stesso modo temi faceti e temi molto seri. Questo è il problema. Quando Santoro intervista Ciancimino, lo fa in un determinato contenitore, con determinate regole giornalistiche. Quando Biagi intervista Sindona, un criminale, Gelli, lo fa in un contenitore che ha determinate regole giornalistiche. Quando lo fa Vespa, lo fa con la libertà di superare questi limiti. Il problema principale è questo. Il signore in questione non ha apportato nulla. Presenta un libro, come è già stato sottolineato più volte. È un pregiudicato. È una persona che non denuncia la mafia, non apporta nuove informazioni, come fa per esempio Ciancimino in tante occasioni, che sia più o meno credibile. In ogni caso, c'è un contenitore diverso. Mi scuserete, altrimenti mi distrae il collega Gasparri col suo depistaggio... Ma io non l'ho interrotta, Gasparri.
  Gravissima è la questione, e questo – mi dispiace – dimostra che non è un'iniziativa giornalistica, che la liberatoria venga firmata dopo. Senza entrare nel merito delle domande, che fossero più o meno concordate, visto appunto che in altre occasioni il signor Salvo Riina le ha concordate, ha preteso di concordarle, che cosa sarebbe successo se avesse detto che non avrebbe firmato la liberatoria? Evidentemente, non sarebbe stata trasmessa l'intervista. Anche questo non è giornalismo. L'aspetto ulteriore è che l'approfondimento, come dice lei, che sembra poi una puntata riparatrice, ci fa supporre che questo sia il pluralismo di Vespa, cioè una puntata pro mafia e una puntata contro, o perlomeno il dubbio viene assolutamente che sia un senso di colpa. Perché devo fare la puntata riparatrice su una puntata del genere, cosa che fece anche con Casamonica, altro momento di massima estetizzazione di una famiglia criminale?
  Quanto alla questione dei messaggi mafiosi, proprio perché Salvo Riina dice che va bene, ha visto l'intervista e gli piace, che può essere mandata in onda, c'è il dubbio, espresso dai nostri colleghi della Commissione antimafia, nel merito sicuramente più competenti di noi, che i messaggi trasmessi siano mafiosi. Quando, per esempio, dice che oggi la mafia può essere tutto o nulla e che non tocca a lui dirlo, o quando delegittima i pentiti, quando cita l'articolo 41-bis mettendolo in discussione, ci sono messaggi che possono essere codificati in modo che noi o il signor Vespa non ce ne rendiamo conto, ma un mafioso sì. È questo che stiamo facendo, gli apriamo i canali del servizio pubblico, con una serata che pare abbia avuto il 14 per cento di share, quindi almeno 1.200.000 spettatori. Peraltro, la puntata riparatrice ha avuto il 15 per cento, quindi forse non invitare mafiosi aumenta persino l'audience.
  Poi ribadisco la questione che non era lì, evidentemente, altro che per una promozione, visto che poi mi pare abbia già ristampato libro perché lo stava vendendo. Quest'intervista è stata fatta anche, probabilmente – me lo direte voi – con un certo silenzio in Rai. Mi risulta che ci siano state anche delle discussioni in redazione, che alcuni autori fossero contrari, proprio a sottolineare quest'aspetto.
  Noi non vogliamo, come dice la presidente Maggioni, che ci sia un comitato o la creazione di un comitato che preventivamente censuri. Non chiediamo che Vespa Pag. 22se ne vada e di avere la sua testa su un piatto d'argento. Chiediamo che si scelga che cosa fare, se intrattenimento o informazione. Anche nel caso di intrattenimento, poi, vediamo se la mafia sia un argomento di intrattenimento o meno. Perlomeno, però, scelga dove stare, perché così non va bene. Così abbiamo avuto un'alzata di scudi, di attacchi al suo apparato, e parlo di una fetta della società che ha un certo valore sia simbolico sia effettivo nella lotta, nel contrasto alla mafia. E voi vi ritrovate a dover fare le puntate riparatrici. Il mio consiglio è: non facciamo le puntate riparatrici per fare dei danni. Facciamo dell'informazione. Una buona puntata riparatrice potrebbe essere trasmettere sulla trattativa, che si chiede da tempo, sul referendum del 17, su cui Vespa si era impegnato. Questo è quello che può fare la Rai adesso per cercare di riparare a questa che è stata, secondo noi, una grave scivolata, peraltro reiterata più volte. Mi sembra che sia ora di mettere un punto e cambiare l'assetto. Come dice giustamente lei, l'infotainment è un'ampia fetta, forse un po' troppo ampia, che forse ha anche fatto il suo tempo.
  In tutto questo, non parliamo né di censure né di volontà di indicare la strada o di imporre temi alla libertà giornalistico-editoriale della Rai. Tra l'altro, questo non sia alibi per rimettere mano anche ad altri personaggi scomodi. Questo potrebbe essere anche, infatti, un attacco portato alla Rai con finalità ulteriori di riposizionamento di certi conduttori, di certi programmi. Perlomeno si faccia l'indipendenza dell'informazione che noi auspichiamo sempre.

  GIORGIO LAINATI. Dopo quasi due ore di interventi, alcuni fiume, dei colleghi, caro Presidente Verducci, cercherò di essere un po' più rapido.
  Intervengo semplicemente per ricordare a lei, presidente, e agli ospiti che, essendo stato vicepresidente di questa Commissione anche nella scorsa legislatura con il presidente Zavoli, ho avuto modo nel nostro Ufficio di presidenza di ricordare che Sergio Zavoli, probabilmente il più famoso, bravo e ricordato giornalista del servizio pubblico, è stato forse l'autore della più bella trasmissione di informazione sui fenomeni del terrorismo e della mafia, come La notte della Repubblica. Lì un moderno Sergio Zavoli avrebbe potuto intervistare quel signore.
  La maggioranza dei miei colleghi, però, a parte qualcuno, ha sostanzialmente dato un giudizio critico di questa scelta della Rai e di Vespa stesso. È vero che Porta a Porta ha 21 anni di vita, che possono essere pochi o tanti, dipende dalle opinioni di ciascuno di noi, è vero che si occupa del crollo delle Torri gemelle o dell'attentato di Parigi o di Bruxelles, ma si occupa anche della dieta di Valeria Marini. O iniziamo a escludere alcuni argomenti, come diceva giustamente il senatore Airola, o continuerà a essere questa grande macedonia di tutto. Un argomento così delicato come la mafia forse poteva essere espunto dalla scaletta di Porta a Porta, e comunque non è detto che, siccome questo libro diventa un argomento che va sul Corriere della Sera, debba automaticamente diventare un argomento da Porta a Porta.
  Sostanzialmente, presidente Verducci, gentili ospiti, onorevoli colleghi, consiglierei maggiore prudenza sul piano editoriale. In sedici anni ho sempre assistito a conflitti su come deve essere il servizio pubblico e nessuno ha trovato la risposta alla questione delle questioni. Forse, proprio perché è una questione così difficile da risolvere, converrebbe non dico volare bassi – per carità – ma in fondo, a parte La7, non mi pare che il gruppo Mediaset vi dia molto fastidio come concorrenza di talk show. Volare basso non sarebbe la soluzione, ma vorrei consigliare una prudenza maggiore, tenendo conto che in Parlamento e fuori ci sono delle forze politiche che vorrebbero chiudere la Rai, altre che sollecitano, facendosene un vanto, il non pagamento del canone, ipotesi legislative di privatizzazione. Queste sono opportunità, eventualità, che ovviamente non riguardano questa XVII legislatura, ma probabilmente riguarderanno la XVIII. Nella XVI una proposta di legge di privatizzazione della Rai presentata dal partito fondato dall'allora Presidente della Camera Fini non ebbe alcun Pag. 23seguito, ma è un argomento di grande delicatezza e che apre degli scenari piuttosto curiosi, tenendo conto anche che scade tra poco la convenzione tra Stato e Rai.
  Quando parlo di maggiore prudenza, chiedo se convenga alla Rai entrare in uno tsunami che vede coinvolto il Presidente della Repubblica, il Presidente del Senato, i presidenti di autorevoli Commissioni bicamerali, la maggior parte dei parlamentari, che tutti insieme danno un giudizio critico su questa scelta? Conviene alla Rai?

  MAURIZIO ROSSI. Direttore Verdelli, cercherò di formulare delle domande abbastanza veloci, così da evitare tante parole.
  Il problema è che nessuno sa che cosa sia il servizio pubblico. Non si sa come sia definibile il servizio pubblico, e quindi diventa solo un fatto discrezionale dire se un'intervista come questa, ma come tante altre, sia servizio pubblico o meno. Questo è il punto, che non è mai stato definito, e dovrebbe esserlo da una consultazione pubblica che dovrebbe fare il MISE. Poi dovrebbe rientrare in quella che dovrebbe essere una convenzione, supposto che non ci siano colpi di scena, che assegna alla Rai il servizio pubblico per ulteriori dieci anni.
  Non capisco una cosa: che cos'è questa scadenza di settembre, quando in effetti la scadenza sarà la nuova concessione? Mi farebbe piacere capire – forse mi sono perso qualche pezzo – perché da settembre si vedranno alcuni cambiamenti, mentre c'è una convenzione che dovrebbe essere stabilita. Peraltro, la proroga dovrebbe esserci sino a ottobre. Sinceramente, secondo me è troppo breve. Dovrebbe esserci più tempo per dibattere proprio quello che sarà il servizio pubblico e chiedo anche a lei se si ritiene sufficiente questo tempo. Si dovrà capire che cosa si scriverà nella nuova convenzione. Lei può dare un'idea di come casi del genere dovranno essere regolamentati in una nuova convenzione?
  A me non è piaciuta l'intervista, e le dico il motivo, mettendo il cappello da editore: da quest'intervista non è stata la Rai a trarre vantaggi, ma Riina, che anzi ha tratto degli enormi vantaggi. Ha usato a suo piacimento la Rai per comunicare quello che riteneva. Secondo me, è questo il punto veramente inaccettabile di quest'intervista sia per la Rai sia per tutti i cittadini. Chiaramente, si è aperto un conflitto. Direi che in questo momento sicuramente, come diceva Lainati – mi trovo perfettamente d'accordo da editore – sarei stato molto più cauto. Mi interessa molto, però, sapere come pensa che si regolamenterà in futuro.

  PRESIDENTE. Direttore Fabiano, direttore Verdelli, voglio aggiungere alcune considerazioni a quelle dei colleghi in questa seduta, che naturalmente considero molto importante per il lavoro della Vigilanza e anche per l'interlocuzione istituzionale che c'è tra questa Commissione e l'azienda.
  Voglio partire da un tema che insieme, azienda concessionaria e Commissione di vigilanza, abbiamo come punto decisivo, quello di una riconquista di credibilità e di legittimazione del servizio pubblico, e quindi anche della Rai. Questo è tanto più vero nel momento in cui una riforma ambiziosa ha voluto anche legare il canone della Rai alla bolletta elettrica. Tutto questo significa anche che c'è bisogno davvero per l'azienda di un riconoscimento sociale molto forte.
  Allora, la domanda che mi faccio è se la vicenda di Porta a Porta dello scorso 6 aprile abbia aiutato o meno a riconquistare o ad avere maggiore credibilità e legittimazione. La risposta che qui ci siamo dati con grande nettezza è che no, non abbia aiutato, anzi che da questo punto di vista sia stato un passo falso, un infortunio, anche abbastanza incredibile. Trovo che sia stata una pessima pagina per la Rai, soprattutto perché tutto quello che si fa va misurato con l'utilità del servizio pubblico. Siamo convinti che l'obiettivo del servizio pubblico sia quello di educare ai valori della legalità, di costruire un forte senso civico contro tutte le mafie, contro tutte le criminalità organizzate. Se questo è il parametro, penso che non solo la puntata di Porta a Porta dello scorso 6 aprile non abbia contribuito, ma in qualche modo abbia anche compromesso in termini appunto di credibilità quella gran mole di lavoro che vi riconosco, che vi riconosciamo, Pag. 24 e che qui il direttore Fabiano richiamava, cioè l'impegno richiamato della Rai per la legalità contro le mafie.
  Anzitutto, c'è un punto, che non so se sia sociologico, come dice il senatore Gasparri, ma è un punto culturale importante, e ha a che fare con l'iniziativa del servizio pubblico: si contrastano le mafie innanzitutto da un punto di vista culturale, e la Rai è la principale azienda culturale del Paese. Per farlo, va isolato innanzitutto un certo tipo di subcultura mafiosa che ha nell'ostentazione della sua capacità di potere un suo punto di forza pervasivo, di suggestione molto forte, soprattutto nei confronti delle fasce più emarginate della nostra società e anche delle nuove generazioni. Si tratta dell'ostentazione di sottocultura di stampo mafioso che avevamo già stigmatizzato e denunciato, ad esempio, nel protagonismo della famiglia Casamonica in una puntata di Porta a Porta del settembre 2015. È una subcultura che si sconfigge innanzitutto con l'isolamento e, certamente, non dando luoghi di spettacolarizzazione, né permettendo di parlare di un fenomeno come quello mafioso, che nel nostro Paese porta con sé una scia enorme di dramma, di sangue, di vittime, o col registro dell'amore filiale e dell'amore familiare. Non è un caso che, quando si è saputo di questa messa in onda, l'eco delle proteste è stata enorme, non solo quella delle figure istituzionali o politiche che veniva richiamata, ma quella dei familiari delle vittime, delle associazioni antimafia.
  Per combattere la mafia bisogna conoscerla, naturalmente, e bisogna fare informazione, come la Rai sta facendo, ma come hanno detto altri colleghi, e su questo voglio concludere unendomi a quelle considerazioni, è fondamentale farlo nel giusto contenitore e nel giusto format. Porta a Porta è diventato in questi vent'anni un salotto istituzionale, in cui viene dato un crisma appunto di autorevolezza a molte figure istituzionali o comunque pubbliche.
  Penso che il senatore Gasparri abbia citato a sproposito il caso di Enzo Biagi o quello di Sergio Zavoli. Le interviste di Sergio Zavoli, come diceva il collega Lainati, avvenivano in un contenitore il cui titolo parlava da solo, perché si intitolava La notte della Repubblica, con accezione già da subito pesantemente negativa. Da questo punto di vista, penso che sia stato travisato il mandato del servizio pubblico e penso, davvero concludendo, che questo sia più grave perché abbiamo qui come Commissione di vigilanza – lo ha fatto anche la Commissione antimafia all'epoca – audito il direttore di Rai, Leone, al quale abbiamo chiesto alcune cose dopo la punta dei Casamonica e ci è stato risposto che una cosa del genere non si sarebbe più ripetuta. Per questo deve esserci anche maggiore rigore, maggiore attenzione, e penso sia giusto che questa Commissione di vigilanza, come è stato detto la volta scorsa, fornisca alcuni spunti per un regolamento più rigoroso, un atto di indirizzo anche per entrare nel merito di una forma di ibridazione, l'infotainment, che mescola molto spesso in maniera non utile spettacolo e informazione.
  Prima di darle la parola, direttore, mi chiedo allora perché, nonostante quello che era avvenuto a settembre, ci sia stata nel processo decisionale la scelta di mandare in onda questa trasmissione. Mi chiedo anche se non ci sia il rischio nell'azienda di una zona franca per alcuni che esuli da un regolamento complessivo. Mi chiedo la ragione della liberatoria firmata dopo e perché si sia comunque scelto di mandare in onda una trasmissione, un'intervista che è stata definita insopportabile dal presidente del consiglio di amministrazione della Rai, in un format che il direttore ha definito, legato alla vicenda Casamonica, molto scivoloso su queste tematiche, penso contravvenendo anche all'interlocuzione che questa Commissione di vigilanza aveva avuto con l'azienda negli scorsi mesi, al mandato del servizio pubblico e al dovere di riconquistare credibilità, legittimazione e riconoscimento sociale.

  CARLO VERDELLI, direttore editoriale per l'offerta informativa della Rai. Cercherò di rispondere ad alcune delle domande che sono state poste, anche al direttore di RaiUno. Trovo anche in quest'ultimo intervento, mi perdoni, degli accenti che sono poi quelli che prevalentemente hanno caratterizzato un dibattito in certi momenti Pag. 25veramente scomposto intorno a questa trasmissione.
  Lei dice che la Rai deve riconquistare la fiducia persa dei cittadini. Stiamo parlando di un'intervista al figlio di Riina durata 24 minuti, andata in onda a mezzanotte, e si liquida in quasi tutti gli interventi come un obbligo normale quello che invece, almeno negli ultimi mesi – non faccio la storia precedente della Rai – la Rai non ha fatto come un obbligo normale, e anche il dottor Fabiano lo ha ricordato per la sua parte, ma come impegno. È normale che la Rai sia dalla parte dell'antimafia, ma dipende da come. Tutti, in quest'aula, ovunque, sono contro la mafia. La Rai l'ha fatto. Il 21 marzo, per scelta di quel direttore generale che poi è stato audito in Commissione antimafia, la Rai ha dedicato tutta la giornata, con le edizioni principali dei telegiornali, le dirette, anche dalle varie sedi regionali, al ricordo delle vittime della mafia, il 21 marzo, l'altro ieri, organizzata da Libera di don Ciotti. Questo non è un episodio marginale. Ci mancherebbe. No, la Rai ha un impegno forte, fortissimo con questa direzione generale su quel fronte. Francamente, la credibilità, l'informazione di un'azienda si giocano tutte ogni volta. Conta quello che ha fatto prima, quello che ha fatto dopo, poi torniamo all'intervista.
  Guardiamo com'è stata gestita l'intervista, poi entrerò nel merito della parte che mi compete, cioè di essere quello che ha autorizzato l'intervista. Si parla di scandalo, di puntata riparatrice, ma guardate che proprio sbagliate. In tutti questi giorni, a cominciare da quando sono uscite le anticipazioni, ci sono stati giudizi pesantissimi sulla Rai. Sono state usate parole nei confronti non soltanto della Rai, ma dei giornalisti coinvolti – lascio perdere me, perché è veramente poco importante – ma anche nei confronti di Bruno Vespa, che pure interpreta un giornalismo che ha fatto parte della storia della Rai per lunghi anni, molto lontano dal giornalismo che ho fatto io, ma questo non ha nessuna importanza.
  Vespa è stato accusato di essere un megafono della mafia, che mi sembra francamente... Quando il dibattito prende questi toni, è difficile ragionare, riportarlo fuori dall'emozione del momento.
  Guardate come l'azienda ha gestito quell'intervista. Quei 23 minuti di intervista sono stati seguiti da un dibattito. Lo dico al senatore Airola, che aveva dei dati che danno l'idea di come la trasmissione andata in onda a mezzanotte non sia andata benissimo, perché il 14 per cento non è molto, un milione di spettatori. Il picco di quella trasmissione, tanto per fornire un dettaglio in più, è stato l'intervento di Emanuele Schifani, il figlio di una vittima, per esempio, ma non è questo il punto. E non c'è stata una puntata riparatrice dopo. Si sapeva che si era toccato un nervo scoperto, anzi un nervo molto sensibile dell'opinione pubblica, e si è pensato che fosse giusto, non per riparare. Torno poi al merito dell'intervista: non è stato un favore alla mafia per il lancio del libro di Riina, una cosa che solo a pensarla mi vengono i brividi; è stata gestita in un certo modo proprio perché ci siamo resi conto dell'ondata emotiva delle dichiarazioni, alcune assolutamente fertili e utili a far riflettere tutte le persone in qualche modo coinvolte in questa vicenda, altre che spingono in una direzione contraria.
  Di fronte agli anatemi, al «non va in onda», «non deve andare in onda», bisogna chiarire quali sono le regole del gioco. Ci si assume tutti le proprie responsabilità, ma non posso censurare un qualunque programma soltanto perché ci sono cinque, dieci, quindici dichiarazioni di politici che mi chiedono di farlo. Questo costituirebbe un precedente pericoloso per il funzionamento non soltanto della Rai, ma anche dei meccanismi democratici del Paese. Il problema è: mi rendo conto di quello che sta succedendo? Me ne rendo conto benissimo. Mi rendo conto che quest'iniziativa da alcune parti è considerata dolorosa, inutile, da altre è fatta diventare quello che non era, con accuse, compresa quella di negazionismo alla mafia da parte della Rai, che mi sembrano avere francamente toni troppo irreali, meschini, moralistici. È molto facile tirare contro un'azienda così impegnata, tra l'altro, su quel fronte su un Pag. 26episodio così. Mi viene il sospetto che ci sia dell'altro.
  È stata gestita quell'intervista. Il giorno dopo, nella preoccupazione convinta che quell'intervista non fosse compresa, abbiamo fatto un'altra puntata, ma non soltanto. È Saviano, che può essere considerato da qualcuno un campione dello studio del fenomeno mafioso, che chiede alla Rai di venire a spiegare il senso vero di quell'intervista, i messaggi che probabilmente non soltanto Vespa, ma – mi permetto – molti altri giornalisti, anche esperti giudiziari forse, non erano in grado di decrittare. È Saviano che chiede a TV Talk di andare a spiegare i messaggi presenti in quell'intervista. La cosa viene poi ripresa e rilanciata più lungamente nel programma di Fazio. Petrolio, che viene citato come un esempio positivo, è un'altra cosa, è un'inchiesta. Era in onda, già programmata, a non riparare niente, molto prima che l'intervista a Riina andasse in onda.
  Sul merito dell'intervista specifico, in quei 24 minuti, viene dimenticata una cosa, che l'intervista sia stata opportuna o meno. Che l'intervista sia servita a favorire le vendite del libro di Riina francamente non sta né in cielo né in terra. Scusate, ma succede esattamente il contrario, per parlare molto francamente. Perché il figlio di Riina non è mai stato intervistato da nessuno? Per quale ragione? Il figlio di Riina diventa disponibile nel momento in cui, attraverso i suoi avvocati, avendo un libro in uscita, concede tre interviste: una al Corriere della Sera, una al settimanale Oggi e una alla Rai. Prima non c'era la possibilità di intervistare Riina, è molto semplice.
  Nell'intervista di Vespa il libro viene citato in una domanda, ma non c'è la copertina del libro. Sospettare che Vespa o la Rai abbia fatto questo per fare pubblicità al libro francamente non è accettabile. L'intervista di Vespa, che dura 24 minuti e sono i 24 minuti di girato, perdonatemi, viene preceduta da una frase di Vespa che dice che quella è l'intervista a un mafioso condannato a otto anni – andate a rivederla – per associazione a delinquere di stampo mafioso, figlio di un mafioso con nove ergastoli, che si chiama Totò Riina.
  Sicuramente, ogni cosa può essere fatta meglio, non c'è dubbio. Questo vale per principio e vale anche per quell'intervista, ma Vespa le domande le fa. Fa molte domande Vespa: «Di fronte a queste stragi è possibile che voi – guardate l'intervista – non reagivate...». La cosa straordinaria delle risposte di Salvo Riina, che per la prima volta va in televisione e mostra il volto, nel senso che il suo volto non era conosciuto – si conoscevano le intercettazioni, per chi è esperto della materia, ma non il volto, perché non era mai stato in televisione – è che dà le stesse risposte, per quanto riguardava l'ambiente familiare, che dà sua sorella – Riina ha avuto tre figli – in un'intervista antica alla Repubblica. Maria Concetta Riina, l'unica dei figli di Riina che non ha avuto pendenze penali, sul clima che c'è in casa Riina durante il periodo delle stragi di cui è responsabile, dà delle risposte uguali: «padre affettuoso, che tornava a casa la sera». Vespa continua a chiedergli, senza ottenere risposta «come è possibile che...», «non si sente responsabile di...».
  Non solo la lettura che ne fa Saviano, ma il modo in cui viene gestita nei giorni successivi, fa dire ieri a Maria Falcone, una delle vittime – eccome! – del padre di Riina, come tutte le altre vittime della mafia; che da una cosa cattiva è nata una cosa buona. Dice che la cosa cattiva è l'intervista in sé, la cosa buona è la reazione che questa ha determinato nel Paese, tanto che a Palermo c'è stata grande solidarietà, a Catania molte librerie si sono impegnate a non vendere il libro. La verità, è un dato di fatto, l'ha detta Maria Falcone ieri: da una cosa cattiva è nata una cosa buona. Credo che in qualche modo la Rai abbia contribuito a far sì che da una cosa cattiva nascesse una cosa buona.
  Sul fatto di intervistare i cattivi o soltanto i buoni o quelli molto cattivi che non dicono di essere cattivi, scusatemi ma è nell'auspicio di chiunque che il figlio di un grande mafioso, forse il più grande mafioso degli ultimi quarant'anni in Italia, dica che il padre faceva schifo e che si è dissociato Pag. 27da lui. Purtroppo, non succede. La realtà è questa. Se devo tirare una riga alla fine di questa vicenda una settimana dopo, la riga è che il vero errore l'ha commesso Riina a rilasciare quell'intervista, prima della quale personalmente, e credo molti italiani come me, del figlio di Riina non sapevo niente, neanche che avesse una condanna a otto anni. Prima di quell'intervista, di tutto quello che è successo, del dibattito che c'è stato, il figlio di Riina poteva tranquillamente dire che non ne sapeva niente. Le intercettazioni a cui si fa riferimento escono sui giornali a seguito di quell'intervista. Allora sì che scopri che il figlio di Riina, di fronte al monumento di Capaci, dice che ancora appendono i fiori a «quellu cosu», davanti a quelle persone. Dopo vengono fuori quelle intercettazioni.
  A questo proposito, perdonatemi se lo dico, ma quel monumento di Capaci, se qualcuno l'ha visto da vicino, fermi restando tutti i dubbi legittimi se andasse fatto o meno, se potesse essere fatto meglio – condivido assolutamente tutti i dubbi – riguardatelo, passateci davanti: è un'infamia. Di fronte a quel monumento delle vittime della mafia non ci si può neanche fermare con la macchina, perché ti mettono sotto. È vero, c'è una piazzola piccolissima. Se l'associazione Libera di don Ciotti decide che il 21 marzo diventa il giorno di ricordo delle vittime della mafia, è perché non vengono ricordate, altrimenti non ci sarebbe bisogno di questo 21 marzo.
  Relativamente al dibattito seguìto a tutta la vicenda e che l'ha preceduta, capisco la preoccupazione e la condivido. Ha tormentato, come ha detto il direttore di RaiUno, credo abbia preoccupato lo stesso Vespa, che credo in piena onestà non volesse fare un favore né alla mafia né a Riina, ma ci siamo resi conto tutti che la cosa era delicatissima. Abbiamo cercato di gestirla e di continuare a gestirla nella maniera che informasse il più possibile i cittadini.
  Il saldo finale di questa vicenda, a parte il danno del dibattito che c'è stato per quello che riguarda la Rai, è che il figlio di Riina in questo momento per tutta l'Italia è un mafioso acclarato, che ha mandato messaggi decrittati, veri o falsi che siano, per candidarsi a nuovo capo della mafia. La sua vita sarà molto meno tranquilla. Questo è il frutto dell'informazione. Sappiamo qualcosa di più del figlio di Riina di quanto sapessimo prima. Resta fermo – lo dico con molta onestà – che i dubbi vengono anche a noi, ogni giorno, non soltanto quando si tratta di materie sensibili, ma sono materie sensibili non solo perché ci sono i morti di mafia, perché si toccano coscienze ferite per sempre per questo, ma perché qual è il giusto modo di affrontare un'intervista a un «cattivo»? Intendo cattivo nel senso di una persona che non ti dirà la verità, che racconterà la sua versione, come succede con molti Capi di Stato, con molti banchieri, con molti politici, con molti personaggi pubblici.
  Credo al fatto che le domande che Vespa ha posto a Riina non siano state concordate prima. Credo anche che sia possibilissimo perché Riina non ha risposto, neanche alle domande in cui Vespa chiedeva se fosse possibile che lui e la sua famiglia eccetera: Riina non ha risposto. Vespa poteva chiedergli qualunque cosa, e quello non rispondeva, con la faccia che Freccero ha raffigurato in quella descrizione che cito, perché secondo me è interessante non soltanto per la conoscenza della televisione da parte di Freccero, ma anche come consigliere di amministrazione della Rai: «Lo sguardo di Salvo Riina da straniero, completamente privo di empatia, mentre scorrevano accanto a lui le immagini della strage di Capaci, è il solo attimo di verità di quest'intervista, uno sguardo che chiarisce e denuncia cos'è la mafia».
  Se Riina voleva promuovere il suo libro, ha scelto il modo sbagliato. Se voleva garantirsi una vita più tranquilla, ha scelto il modo sbagliato. Restano poi i tormenti e i dubbi – almeno uno lo dissolvo – che emergono su quanto detto dal direttore generale circa il mio ruolo. Lui ha parlato del primo settembre semplicemente perché è quando cominceranno i nuovi palinsesti. Non c'entra la convenzione, che avrà una gestazione diversa. In realtà, il consiglio di amministrazione e il direttore generale, affidandomi il ruolo di direttore editoriale Pag. 28dell'informazione, mi hanno dato un compito che non è quello del censore. Francamente, chi conosce minimamente la mia storia, sa che non può essere così, ma avete tutto il diritto di non conoscerla. Non sono venuto in Rai per fare il censore di alcunché, né il commissario politico né il commissario giudiziario. Sono venuto ad aiutare quest'azienda a guardare un po' più avanti, anche perché è molto indietro rispetto a quello che sta succedendo nel mercato dei media, e anche a garantire una certa armonia nell'informazione, che vuol dire evitare sovrapposizioni, sapere prima quali sono le dislocazioni dell'informazione nei vari palinsesti, fare in modo che le reti si parlino e ragionare per tempo con le persone che trattano argomenti sensibili qual è il modo migliore per il servizio pubblico e per il giornalismo per farlo, credetemi, dal punto di vista non tanto di chi interviene per dire «questo sì, questo no», ma per costruire insieme un linguaggio del servizio pubblico, della Rai, che sia più moderno e la ravvicini di più ai cittadini. Questo è il compito. Quando il direttore generale dice «si occuperà anche dell'infotainment» è perché l'infotainment, in qualche modo, come ricordavano tanti onorevoli prima, ha parti che hanno a che fare con l'alleggerimento e parti che hanno a che fare con l'informazione.
  Voglio ricordare solo una cosa. Niente – voglio dirlo all'onorevole Fratoianni – è difendibile, niente è completamente indifendibile. Non c'è soddisfazione, non c'è motivazione di ascolti, non c'è motivazione di marketing. È stata una scelta sofferta, ma c'è un principio dietro la scelta di mandare in onda quell'intervista: stava montando – questo per me è importantissimo, per il mio ruolo finché lo avrò – intorno a quel programma una richiesta di cancellarlo che, visionato il programma, non potevo accettare, pena rinunciare al fatto di svolgere il mio lavoro in autonomia. Non per me, ma per l'autonomia della Rai, questo veniva come primo valore. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti. Continueremo a lavorare su questi temi nelle prossime sedute.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.35.