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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 17 di Martedì 20 settembre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bernardo Maurizio , Presidente ... 3 

Audizione del direttore della Direzione investigativa antimafia, generale Nunzio Antonio Ferla, sulle tematiche relative al riciclaggio nel settore finanziario (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Bernardo Maurizio , Presidente ... 3 ,
Ferla Nunzio Antonio , Direttore della Direzione investigativa antimafia ... 3 ,
Bernardo Maurizio , Presidente ... 13 ,
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 13 ,
Ribaudo Francesco (PD)  ... 13 ,
Pesco Daniele (M5S)  ... 14 ,
Ferla Nunzio Antonio , Direttore della Direzione investigativa antimafia ... 14 ,
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 15 ,
Ferla Nunzio Antonio , Direttore della Direzione investigativa antimafia ... 15 ,
Villarosa Alessio Mattia (M5S)  ... 15 ,
Ferla Nunzio Antonio , Direttore della Direzione investigativa antimafia ... 15 ,
Bernardo Maurizio , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione depositata dal generale Ferla ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
MAURIZIO BERNARDO

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva in differita sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del direttore della Direzione investigativa antimafia, generale Nunzio Antonio Ferla, sulle tematiche relative al riciclaggio nel settore finanziario.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento, l'audizione del direttore della Direzione investigativa antimafia, generale Nunzio Antonio Ferla, sulle tematiche relative al riciclaggio nel settore finanziario.
  Mi scuso con il direttore della Direzione investigativa antimafia (DIA), ma anche con i colleghi, del ritardo con cui cominciamo l'audizione. Rivolgo un saluto, da parte della Commissione Finanze, al generale Nunzio Antonio Ferla, direttore della DIA. Chi, come me, ha alle spalle qualche legislatura ricorderà il generale Ferla anche come responsabile dell'ufficio legislativo di una delle istituzioni d'eccellenza del nostro Paese: il Corpo della Guardia di Finanza.
  Il generale Ferla è accompagnato dal generale Fois, dal maggiore Tomassi e dal capitano Adami.
  Do la parola al generale Ferla per lo svolgimento della sua relazione.

  NUNZIO ANTONIO FERLA, Direttore della Direzione investigativa antimafia. Signor presidente, onorevoli deputati, innanzitutto sono veramente lieto e onorato di essere qui con voi e vi porto i saluti delle donne e degli uomini della Direzione investigativa antimafia.
  Devo esprimere la mia più profonda gratitudine a lei, presidente, perché ha chiamato in audizione la Direzione investigativa antimafia per sviluppare un tema – molto ampio, ma sul quale cercherò di essere molto sintetico – che riguarda, testualmente, l'attività della Direzione investigativa antimafia nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata e, in particolare, per la prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio.
  Come dicevo, è un tema molto ampio e complesso. Voglio sottolineare la sensibilità istituzionale del presidente Bernardo, che ha voluto che venisse ascoltata, su di esso, anche la voce della Direzione investigativa antimafia.
  Il mio auspicio è che, da questo dialogo, voi possiate trarre qualche indicazione di carattere operativo e utili suggerimenti per l'importantissimo ruolo che siete chiamati a svolgere, soprattutto in termini di iniziative legislative, le quali, a mio avviso, devono essere al passo, se non addirittura precedere, le mosse dei nostri avversari e, quindi, l'evoluzione dei fenomeni criminali.
  Credo che i tempi siano molto ristretti, perciò svilupperò in maniera molto sintetica il mio intervento, illustrandovi il modello organizzativo della DIA, per poi passare a illustrare i compiti e la missione istituzionale della Direzione investigativa antimafia, entrare nel merito dell'attività di Pag. 4prevenzione e di repressione e, infine, fare delle considerazioni conclusive.
  Il modello organizzativo su cui si basa la Direzione investigativa antimafia è quello voluto da Giovanni Falcone, il quale pensava che, quando si parla di attività investigative nei confronti di fenomeni criminali complessi come la mafia, bisogna pensare a un modello organizzativo basato su una regola molto semplice. Tuttavia, le cose semplici a volte sono molto complesse da realizzare.
  Il principio è quello della bontà della centralizzazione delle informazioni. Falcone aveva un metodo particolare nell'indicare le attività investigative. Lui affermava: «Quando facciamo questo tipo di indagini, noi dobbiamo rassegnarci a svolgere attività o indagini molto ampie, a raccogliere il massimo delle informazioni, utili e meno utili, e a impostare le indagini alla grande. Quando poi si hanno davanti i vari elementi del puzzle, bisogna costruire una strategia».
  Credo che il legislatore debba tenere bene a mente questo principio, che è basato sulla circolarità delle informazioni, soprattutto in settori come l'antimafia o la lotta al terrorismo, nei quali è assolutamente indispensabile che ci sia uno scambio di informazioni. Non è necessario e non è sufficiente procedere per singoli episodi, ma questi singoli episodi messi insieme possono formare una strategia molto ampia.
  Perché la DIA è basata su questo modello organizzativo? Essa è soprattutto un organismo interforze. Secondo me, un errore che è stato compiuto è stato quello di considerarla come un quarto corpo di polizia. La DIA non è un quarto corpo di polizia; essa è espressione delle tre forze di polizia. Io stesso, come ricordava il presidente Bernardo, sono un ufficiale della Guardia di Finanza.
  La DIA è composta da personale della Guardia di finanza, della Polizia di Stato e dell'Arma dei carabinieri. Più recentemente si sono aggiunti alcuni elementi del Corpo forestale dello Stato e della Polizia penitenziaria, soprattutto perché essi ci sono utili per avere collegamenti con l'ambiente carcerario e con le problematiche dell'ecomafia, che sono di interesse per la criminalità organizzata.
  La presenza dei tre corpi di polizia, secondo me, dà un valore aggiunto alle indagini, perché ciascuna professionalità costituisce, in un certo senso, una particolarità. Noi finanzieri siamo abituati all'analisi dei bilanci e della documentazione contabile e a misurarci con documenti bancari, mentre il poliziotto o il carabiniere è maggiormente in grado di svolgere attività investigative più tipiche della polizia giudiziaria e del Codice di procedura penale. Il risultato finale, a mio avviso, è sicuramente superiore alla somma delle singole componenti.
  Pertanto, a mio avviso, questa struttura interforze è sicuramente una realtà di eccellenza, a cui corrisponde, sul versante giudiziario, la Procura nazionale antimafia, avente anch'essa compiti di coordinamento e di analisi.
  Quali sono i compiti assegnati dal legislatore alla DIA? Ha sostanzialmente un compito mono-funzionale: il contrasto alla criminalità organizzata. Sul piano fattuale essa svolge due funzioni essenziali: quella, molto importante, della prevenzione e, quindi, delle attività preventive, e quella della repressione e, quindi, delle attività di polizia giudiziaria. Considerate che la DIA ha una mission unitaria che svolge sul piano della prevenzione e sul piano della repressione penale.
  Essa ha ereditato quelle che sono state le funzioni dell'Alto commissario antimafia. Qualcuno sicuramente ricorderà questa figura. I poteri dell'Alto commissario sono stati trasferiti in parte al direttore della DIA. Cito, ad esempio, quello di avanzare proposte di misure di prevenzione patrimoniale.
  Tuttavia, a differenza della figura dell'Alto commissario, la DIA ha una propria struttura territoriale. Noi abbiamo centri operativi e sezioni operative, le quali normalmente coincidono con le corti d'appello; quindi una procura distrettuale antimafia, fatta eccezione per alcune aree territoriali, specialmente in Sicilia, dove, anche se non c'è la presenza distrettuale, Pag. 5siamo comunque presenti. Cito l'esempio di Trapani o di Agrigento.
  La DIA svolge inoltre un'attività di analisi dei fenomeni criminali maggiormente posti sotto osservazione. Questo è un aspetto molto importante.
  La Direzione investigativa antimafia è l'unico organismo di polizia che deve presentare semestralmente gli esiti della sua attività. Li presenta, tramite il Ministro dell'interno, al Parlamento. Ogni sei mesi, quindi, la DIA è sottoposta a un esame. Presentiamo i risultati dell'attività svolta, ma forniamo anche indicazioni sulle linee evolutive della criminalità organizzata.
  Proprio con riferimento a queste linee evolutive, sapete che recentemente il National Risk Assessment ha classificato la minaccia della criminalità organizzata in Italia come molto significativa, perché c'è una pervasiva presenza della criminalità e una diffusione di condotte illegali come l'evasione fiscale, la corruzione, il narcotraffico, l'usura e le varie tipologie di reati fallimentari e societari, su cui spesso anche voi vi misurate.
  Tutto questo crea ovviamente un peso enorme. L'illegalità pesa sul nostro Paese, soprattutto quella derivante dalla presenza della criminalità.
  Giorni fa l'ISTAT ha calcolato nuovamente il volume d'affari delle attività criminali, cioè quelle attività rivenienti dal narcotraffico, dal contrabbando, dalla contraffazione. Ha calcolato che questa economia «illegale», rinveniente dalle organizzazioni criminali, è pari a circa 15 miliardi di euro, circa un punto percentuale del nostro prodotto interno lordo.
  Tuttavia, signori onorevoli, desidero sottolineare anche un altro aspetto, su cui, secondo me, bisogna riflettere ancor di più che sul dato numerico dell'economia illegale: quello relativo all'impatto che la presenza criminale ha nel nostro Paese, in termini, ad esempio, di mancati investimenti da parte di soggetti esteri in Italia. Il peso dell'economia illegale ha effetti ancora più evidenti se si considerano le distorsioni create dalla presenza di una criminalità così importante.
  Il rapporto della Banca mondiale ha calcolato che, se le istituzioni italiane fossero state qualitativamente simili a quelle dell'area euro, tra il 2006 e il 2012 i flussi di investimento estero in Italia sarebbero risultati superiori addirittura del 15 per cento. Parliamo di un valore di circa 16 miliardi di euro. Vi renderete conto che questi sono effetti ancora più importanti e forse di più lungo periodo.
  Quali sono le evidenze investigative che noi rileviamo attraverso l'osservazione dei fenomeni criminali? Quando si parla di Cosa Nostra, di camorra o di ’ndrangheta, si parla di strutture criminali che hanno una propria differenziazione in termini strutturali.
  Per quanto concerne, per esempio, Cosa Nostra, sotto questo profilo registriamo il mantenimento di una reticolare presenza sul territorio che privilegia l'apporto di sommersione, l'apporto corruttivo e, ove possibile, vuole evitare lo scontro frontale.
  Allo stesso modo la ’ndrangheta continua a caratterizzarsi per la pervasività dell'infiltrazione nell'economia. Abbiamo scongiurato numerosi tentativi, anche, come vi spiegherò più avanti, su Expo 2015. La ’ndrangheta ha una forte presenza e comporta un forte rischio in termini di infiltrazioni nell'economia legale.
  Se osserviamo la camorra o la criminalità pugliese, non ci troviamo di fronte a una strategia unitaria. Spesso la cronaca registra episodi a Napoli o anche in Puglia dove si verificano ancora omicidi e un vero e proprio scontro tra bande. C'è un frequente turnover nelle alleanze e anche nella funzione di capoclan o capobanda.
  Nonostante queste differenze strutturali tra le organizzazioni criminali, possiamo certamente individuare un filo rosso, ossia dei comportamenti comuni a queste organizzazioni.
  Innanzitutto, c'è un passaggio di mentalità: stanno tentando di esportare anche al di fuori dei luoghi di elezione il loro «protocollo di infiltrazione mafiosa». Non si tratta più di un controllo esclusivamente geografico e, quindi, relativo ai luoghi di elezione. Queste organizzazioni tendono, sempre più, a esportare il loro modello Pag. 6soprattutto nelle aree più «avanzate» del nostro Paese. Potremmo fare diversi esempi: la Liguria, l'Emilia Romagna, la Lombardia, il Veneto.
  Le evidenze investigative rimandano anche a forme di aggregazione. Quando operano al di fuori dei loro territori di elezione, queste organizzazioni normalmente fanno accordi e si ripartiscono gli ambiti.
  Questo avviene perché le mire espansionistiche delle mafie ricadono non solo sul luogo, ma soprattutto sui mercati e sui nuovi settori economici, la cui estensione è, ovviamente, trasversale. Questo crea un interesse, utilizzando anche le forme del web, a livello globale.
  Vorrei sottolineare alcuni specifici elementi che potrebbero ulteriormente, in prospettiva, provocare effetti di infiltrazione. Il primo elemento è la sottovalutazione del fenomeno, che non si verifica solo a livello nazionale. Io la riscontro anche quando ci misuriamo con colleghi di altri Paesi. Noi abbiamo molta difficoltà a far comprendere il rischio di infiltrazioni criminali in territori lontani dall'Italia.
  La sottovalutazione del fenomeno è avvertita anche in aree nazionali, dove non ci sono stati ancora effetti eclatanti, omicidi o arresti eccellenti. Tuttavia, il fenomeno è comunque presente.
  Il secondo elemento è la corruzione, che crea l’humus e i presupposti, con rischi seri nei processi di contatto con la pubblica amministrazione e, soprattutto, nell'intercettazione dei fondi pubblici.
  L'altro elemento è la globalizzazione, un termine di cui si fa un uso molto frequente e che a me non piace molto. Il fenomeno della globalizzazione sicuramente rende ancora più difficile l'azione di contrasto e soprattutto l'azione di individuazione dei flussi finanziari connessi alla criminalità organizzata.
  I tecnici parlano sempre più spesso di «impresa mafiosa», cioè di un'impresa che ha un modello efficiente e flessibile improntato anche a princìpi di economia moderna.
  C'è poi un altro fattore che emerge dall'osservazione di questi fenomeni. Accanto alla capacità che hanno le organizzazioni criminali di accumulare capitali finanziari, vediamo accrescersi sempre più la loro capacità di sommare quello che noi abbiamo definito «capitale sociale», ossia di manipolare e utilizzare le relazioni sociali.
  Riescono a combinare legami forti, che assicurano un senso di appartenenza, con legami flessibili, rivolti verso l'esterno, che consentono contatti con settori istituzionali e imprenditoriali. Ciò garantisce ai clan un ampio ed eterogeneo serbatoio di risorse.
  Questo è un dato che, per esempio, abbiamo riscontrato per quanto riguarda il fenomeno cosiddetto di «Mafia capitale», ma che abbiamo riscontrato statisticamente anche sui soggetti denunziati per l'utilizzo del metodo mafioso (l'aggravante prevista dall'articolo 7 del decreto-legge n. 152 del 1991). Si tratta di un dato significativo perché è in aumento.
  Credo che, se le mafie hanno saputo cambiare volto, metodi e anche geografia, il compito dell'antimafia sia quello di adattarsi, anticipando possibilmente i nuovi parametri di intervento che questa sfida ci richiede.
  Anche a questo proposito Falcone diceva una frase molto interessante: «Le informazioni invecchiano; i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati».
  La DIA non può rimanere ferma con le sue idee di contrasto, bensì deve continuamente aggiornare il proprio sistema di contrasto allineandosi continuamente alle nuove sfide presentate dalla criminalità e possibilmente anticipandole.
  Io maturerò il secondo anno alla direzione della DIA, avendola assunta nell'ottobre di due anni fa. Mi sono interrogato, con i miei collaboratori, su come affrontare queste sfide, tenuto conto delle risorse a disposizione, che non sono tantissime.
  Abbiamo ritenuto che, vista la strategia della sommersione e del mascheramento utilizzata dalle organizzazioni criminali, sia molto importante implementare l'attività di prevenzione, cioè tutte le azioni finalizzate a prevenire i rischi di infiltrazione.
  Abbiamo destinato molte risorse a questo settore di attività, ovviamente non tralasciando Pag. 7 quello del contrasto tout court e delle indagini di polizia giudiziaria delegate. Sul campo della prevenzione abbiamo fatto un forte investimento in termini di risorse umane e finanziarie.
  Voglio fare riferimento a tre settori, che sono quelli a mio avviso più importanti, dove il rischio di infiltrazione è notevole.
  Abbiamo tentato in tutti i modi di intercettare i flussi criminali, implementando e sfruttando al massimo lo strumento che avevamo a disposizione, cioè quello dell'aggressione patrimoniale delle organizzazioni criminali. Il direttore della DIA può avviare iniziative in termini di prevenzione. Abbiamo valorizzato al massimo questo potere di iniziativa, perché credo che uno dei vulnus più forti che possiamo arrecare alle organizzazioni criminali è sottrarre loro le ricchezze.
  Non posso dimenticare un episodio accaduto pochi mesi fa qui a Roma: abbiamo confiscato il patrimonio a un camorrista. Quando siamo andati a casa sua, egli pensava di essere condotto in carcere e, quindi, ha preso la borsa. Noi gli abbiamo detto: «No, non ti dobbiamo arrestare; dobbiamo sequestrare e confiscare la tua casa, i tuoi negozi e le tue aziende». A quel punto ha cominciato a battere la testa contro il muro e abbiamo dovuto chiamare il 118.
  Questo è un esempio molto elementare per spiegarvi come loro siano molto sensibili ad azioni quali il sequestro e la confisca dei beni; questa è, quindi, una leva che dobbiamo utilizzare e, secondo me, difendere anche a livello di strumenti legislativi.
  Dobbiamo difendere questa leva perché, come dirò più avanti, il sistema italiano, quello del cosiddetto «doppio binario», ci viene invidiato in tutto il mondo. Il sistema di prevenzione italiano viene infatti imitato all'estero.
  Ieri, ad esempio, è venuta in visita presso la D.I.A. una rappresentanza della Commissione Interna del Parlamento della regione del Nordrhein Westfalen, cui abbiamo illustrato, cercando di farne capire la valenza, il sistema di prevenzione vigente in Italia, per loro del tutto nuovo.
  Come dicevo, abbiamo incentivato moltissimo l'utilizzo di misure di aggressione patrimoniale. Ci siamo resi conto, a proposito della scarsa sensibilizzazione in alcune aree del Paese, che una cosa è parlare di misure di prevenzione in Calabria, in Campania o in Sicilia e un'altra cosa è parlarne in altre aree territoriali.
  Di conseguenza, abbiamo cercato di trovare un metodo per uniformare questa procedura. Abbiamo creato un gruppo, elaborato un vademecum e ideato una procedura. Mi sono misurato con i vari procuratori distrettuali per rendere più omogenea l'azione di prevenzione e dare un prodotto qualificato alla magistratura, la quale è, ovviamente, l'organo demandato a prendere provvedimenti.
  Ho allegato alcune schede alla mia relazione scritta su questo tema, quindi non vi esporrò cifre. Voglio citare solo un esempio numerico. Noi dal mese di gennaio 2015 ad agosto di quest'anno abbiamo presentato 144 proposte di misure di prevenzione.
  Considerate che una misura di prevenzione normalmente si compone di 1.000-2.000 pagine, perché bisogna illustrare l'aspetto soggettivo, la pericolosità specifica del soggetto, la pericolosità generica, la sperequazione reddituale e il patrimonio.
  Ebbene, 91 di queste proposte erano a firma del direttore, e il 93 per cento di esse ha superato il vaglio magistratuale. Ciò significa che, forse, siamo riusciti a fare un buon passo in avanti.
  Nel documento che vi consegno ho indicato anche alcune operazioni, non tanto per l'entità numerica dei sequestri, quanto per illustrare alla Commissione cosa intendo quando parlo di mafia. Ad esempio, nel caso del gruppo Virga, non avevamo più di fronte dei braccianti (come erano originariamente), ma ci siamo trovati di fronte a un patrimonio sconfinato, con trust all'estero a cui erano stati intestati 700 beni immobili.
  Ci troviamo di fronte a numerosi fenomeni di questo tipo. Ovviamente rimando agli esempi che ho riportato nella mia relazione scritta per un maggiore e incisivo esame di questi casi. Pag. 8
  L'altro settore su cui si incentra l'attività di prevenzione è quello dell'intercettazione dei flussi finanziari e soprattutto dei soldi pubblici destinati a lavori pubblici, i quali sono normalmente finanziati a livello nazionale, ma anche con finanziamenti dell'Unione europea.
  Anche in questo settore abbiamo sviluppato un sistema che mira a prevenire i tentativi e i rischi di infiltrazione nel campo degli appalti pubblici.
  Alcuni provvedimenti normativi affidano il ruolo di cabina di regia per le azioni di contrasto alle infiltrazioni mafiose negli appalti alla Direzione investigativa antimafia.
  All'interno della DIA abbiamo creato un osservatorio centrale, che si chiama «Osservatorio centrale sugli appalti pubblici», e il Sistema informatico rilevamento accesso ai cantieri (SIRAC), che è una piattaforma informatica su cui confluiscono tutti i dati relativi agli appalti pubblici.
  Inoltre, per Expo 2015, abbiamo creato il cosiddetto «sistema SIPREX», che è una piattaforma informatica nella quale confluivano tutti i dati relativi alle imprese che sviluppavano attività nell'ambito di Expo, avendo vinto appalti o perché eseguivano subappalti.
  Il sistema antimafia ha funzionato. Laddove non ha funzionato – ci sono indagini in corso su questo – non è stato utilizzato il sistema SIPREX. Si tratta di imprese rimaste fuori dal sistema di prevenzione, le quali sono state scoperte in seguito, attraverso, ad esempio, l'accesso ai cantieri, un altro strumento che abbiamo utilizzato per individuare chi materialmente eseguiva le operazioni.
  Anche su questo vi risparmio il dato statistico. Voglio indicare soltanto il dato delle 130 misure interdittive antimafia che sono state emanate dal prefetto di Milano. Questo ci dà la misura dell'azione incisiva svolta dalla Direzione.
  Anche in questo campo in questi due anni ci siamo dati molto da fare, perché, come dicevo prima, se accettiamo l'idea di Giovanni Falcone che in questo campo ci deve essere un organismo nel quale deve confluire il patrimonio informativo, dobbiamo poi essere conseguenti sul piano fattuale.
  Dopo circa vent'anni, il Consiglio generale per la lotta alla criminalità organizzata ha emanato una specifica direttiva che disciplina finalmente in modo organico il flusso delle comunicazioni verso la Direzione investigativa antimafia. Le forze di polizia, quindi, devono far confluire alla DIA tutte le informazioni necessarie affinché essa possa svolgere il ruolo di cabina di regia nel settore della prevenzione. Credo che questo provvedimento sia una pietra miliare nella storia della legislazione.
  L'altro settore su cui vorrei soffermarmi brevemente è quello dell'antiriciclaggio. Partirò con una considerazione. Sapete che, nel 2015, gli ispettori del GAFI (Gruppo d'azione finanziaria internazionale) hanno approvato il rapporto di mutual evaluation del sistema Italia per la prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo. Questa è stata una valutazione molto complessa, molto delicata e importantissima per il nostro Paese e l'esito della valutazione è stato molto lusinghiero.
  Gli ispettori del GAFI hanno riconosciuto che il sistema italiano, come leggo testualmente dalla loro relazione, è caratterizzato da un robusto quadro giuridico e istituzionale, da una buona comprensione dei rischi e, in generale, da un buon grado di cooperazione e coordinamento delle policy tra Autorità. Credo che questo sia un successo – e quando ci sono dei successi, bisogna registrarli – sia per quanto riguarda la technical compliance, cioè in termini di formale rispetto dell'assetto normativo, sia per l'efficacia delle misure adottate.
  Tuttavia, il riciclaggio e le problematiche ad esso collegate rappresentano un aspetto molto significativo, in termini di minaccia del nostro Paese e, soprattutto, della nostra economia. Tale rilevanza risulta, poi, amplificata dall'eccessivo uso del contante, un altro capitolo su cui invito a una riflessione. L'eccessivo uso del contante è un elemento che certamente deve essere preso in considerazione, perché, a mio avviso, Pag. 9 pesa in termini di problematicità nell'azione antiriciclaggio.
  In generale, quando si parla di riciclaggio, possiamo distinguere, in un ideale «bilancio», le entrate principali delle organizzazioni criminali: sono quelle rinvenienti, di norma, dai traffici illeciti, cioè dal narcotraffico, dalla contraffazione, dal traffico di essere umani, e così via. Tuttavia, in ragione anche della rilevanza del fenomeno, l'individuazione coerente dei flussi finanziari ascrivibili alle consorterie mafiose, non è sempre agevole: abbiamo infatti di fronte evidenze investigative dalle quali emerge che questi soggetti fanno spesso ricorso a prestanome, all'utilizzo di sistemi e schermi operativi opachi e alla continua commistione di profitti criminali con profitti legali; tutti aspetti che creano, ovviamente, molte difficoltà.
  In ogni caso, l'individuazione dei flussi finanziari di provenienza illecita resta sempre un obiettivo prioritario dell'azione di prevenzione. Per questo motivo, a mio avviso, il tema dell'antiriciclaggio deve essere prevalentemente affrontato in termini di prevenzione; se noi, idealmente, pensiamo ai punti di forza e a quelli di debolezza delle organizzazioni criminali, sicuramente il momento dell'emersione, in cui viene lasciata traccia delle transazioni, è un momento di debolezza. È questa la fase in cui esse vengono necessariamente allo scoperto, perché o lo fanno direttamente o hanno bisogno di altre persone – che si offrono in termini di prestanome – ovvero di schermature societarie. In questo senso, la quarta direttiva antiriciclaggio, che sta per essere recepita, interviene appunto sui trust, creando un registro generale che ci consentirà di conoscere esattamente chi sta dietro un trust.
  Non c'è nessuna considerazione che vorrei aggiungere sull'attuale sistema antiriciclaggio, che a mio avviso funziona, come dicono anche gli ispettori del GAFI. In particolare, emerge chiaramente una chiara distinzione di ruoli nel nostro Paese, tra l'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia, che deve svolgere un'analisi finanziaria delle operazioni, e i due organismi investigativi, cioè la DIA e il Nucleo speciale di polizia valutaria della Guardia di Finanza, i quali devono svolgere gli approfondimenti investigativi.
  Il nostro sistema di prevenzione si basa sul principio della collaborazione attiva degli intermediari. Tutto il sistema funziona, se funziona bene il principio «conosci il tuo cliente», cioè se la banca conosce bene il suo cliente ed è in grado di svolgere la sua funzione di collaborazione attiva.
  Su questo aspetto, secondo i dati dell'Unità di informazione finanziaria, nel 2016 risulta confermata una vecchia tendenza, cioè quella dell'implementazione e dell'aumento delle segnalazioni di operazioni sospette, il che significa che c'è una certa diffusione di questa pratica e una crescente consapevolezza della collaborazione attiva degli intermediari. Tuttavia, il 2015 è un anno un po’ particolare, perché, come ricorderete, c'è stato il provvedimento di voluntary disclosure, quindi il numero delle segnalazioni è stato probabilmente condizionato da questa procedura.
  Gli intermediari finanziari e, soprattutto, le banche sono i primi a fornire la loro collaborazione ma, se analizziamo il rapporto dell'Unità di informazione finanziaria, notiamo che il principio della collaborazione attiva assume colorazioni diverse. Ci sono categorie, come i professionisti, che hanno aumentato il numero di segnalazioni, accrescendo quindi la loro capacità di collaborazione attiva verso gli organismi investigativi; in realtà, però, analizzando il dato al netto delle segnalazioni connesse alle operazioni di voluntary disclosure, tale incremento si ridimensiona di molto.
  Se osservate inoltre la distribuzione territoriale delle segnalazioni effettuate, noterete che ci sono tre regioni in Italia, le quali, sommate, raggiungono il 40 per cento del totale: si tratta di Lombardia, Lazio e Campania, le quali raggiungono il 40 per cento delle segnalazioni effettuate in Italia. Il principio di collaborazione attiva, che è alla base del sistema di prevenzione, assume, quindi, probabilmente colorazioni diverse e tonalità diverse nelle diverse aree del Paese. Pag. 10
  Ci siamo trovati di fronte a due fenomeni molto complessi. Uno è quello che riguarda la qualità delle segnalazioni: esse sono aumentate in termini di qualità; abbiamo ricevuto segnalazioni, effettivamente, molto importanti. Inoltre, c'è stato l'aumento a dismisura del numero di segnalazioni. Considerate che noi abbiamo ricevuto, se non erro, lo scorso anno, all'incirca 85.000 segnalazioni di operazioni sospette. Qual è stato l'adeguamento della DIA rispetto a ciò? Ci siamo trovati di fronte a questa problematica, per cui abbiamo completamente «reingegnerizzato» il sistema di approfondimento delle segnalazioni. Abbiamo innanzitutto monitorato informaticamente tutte le segnalazioni che giungono dall'Unità di informazione finanziaria, per cui, oggi, siamo in grado di analizzare tutte le segnalazioni che pervengono.
  Ciò significa che, attraverso dei ratios, riusciamo, attraverso strumenti informatici, a estrapolare le segnalazioni di interesse investigativo, posto che noi ci occupiamo soltanto di quelle connesse con la criminalità organizzata qualificata.
  Abbiamo realizzato un protocollo d'intesa con la Procura nazionale antimafia, in base al quale, quando estrapoliamo le segnalazioni di interesse, consegniamo immediatamente, in tempo reale, le segnalazioni di interesse investigativo alla Procura nazionale antimafia. Questo significa che la Procura nazionale antimafia immediatamente interroga il suo sistema informatico e verifica se, nei confronti di un determinato soggetto, c'è un procedimento penale in corso e trasferisce subito la segnalazione alla Procura distrettuale antimafia. Il risultato finale è che abbiamo un immediato ampliamento del fronte investigativo, cosa che non avveniva prima.
  Che cosa accade quando non c'è un procedimento penale in corso? Le segnalazioni, in questo caso, ritornano su un tavolo di lavoro che abbiamo aperto con la Procura nazionale, e riusciamo a elaborare delle progettualità di tipo investigativo ex novo, quindi sfruttiamo, ormai al 100 per cento, tutto il patrimonio informativo rinveniente dalle segnalazioni.
  Il gruppo di lavoro ha fatto molto quest'anno. Abbiamo dato numerosi input (i famosi atti di impulso), e abbiamo creato le premesse per svolgere le attività che, finora, erano state fatte fino a un certo punto, cioè le indagini di polizia giudiziaria collegate, il che è quello che doveva fare la DIA. La DIA, infatti, non deve svolgere qualunque tipo di attività, ma deve svolgere attività di polizia giudiziaria relativamente a indagini collegate. Il termine «collegate» significa di tipo strutturale, cioè noi dobbiamo destrutturare un'organizzazione criminale e non dobbiamo agire per spot e per singoli episodi. Questa possibilità ci viene, ora, offerta attraverso l'utilizzo massimo delle segnalazioni.
  Nella relazione scritta che vi consegno ho fatto anche riferimento a qualche esempio di investigazione.
  Vorrei fare un accenno semplicemente al piano internazionale. Durante la Presidenza italiana dell'Unione europea, è stato presentata una progettualità di tipo investigativo, per dare ancora maggiore forza all'azione di individuazione dei beni mafiosi, perché ovviamente questi non conoscono confini, non avendo limiti territoriali. Abbiamo necessità di sviluppare la collaborazione con l'estero e di sequestrare, per fare alcuni esempi, la pizzeria di Duisburg, piuttosto che l'immobile a Londra o la casa a Medellìn, per cui abbiamo necessità di sviluppare la collaborazione internazionale in questo senso.
  Abbiamo presentato un progetto, che si chiama @on (Antimafia Operational Network), che si avvale dei fondi comunitari e, soprattutto, del canale SIENA (Secure Information Exchange Network Application), in ambito Europol. Noi finalmente, come DIA, riusciamo, attraverso il progetto @on, cioè attraverso il canale di cooperazione, a dialogare con organismi omologhi. Ciò è molto importante, perché io devo poter parlare non con la polizia del piccolo paese della Germania, bensì con la polizia federale tedesca (BKA) o con l'FBI, cioè con dei nostri omologhi, che si occupano di serious crime. Questo meccanismo mette quindi insieme organismi che si occupano di questa materia; finalmente riusciamo a Pag. 11dialogare con persone, con cui – detto in termini molto elementari – parliamo la stessa lingua.
  L'Italia è il driver di questo progetto: fanno parte, insieme a noi, del core group, la Germania, la Francia e la Spagna. È un progetto in cui crediamo, perché – oltre alla cooperazione di polizia, e quindi i canali che già abbiamo di cooperazione investigativa, quali Europol, Interpol e SIRENE – attraverso questo canale e un collegamento con i magistrati di Eurojust, riusciamo a diffondere la cultura della prevenzione e della necessità del mutuo riconoscimento dei provvedimenti di prevenzione. È questo un aspetto, secondo me, importantissimo, poiché riusciamo a facilitare il dialogo tra i magistrati.
  Avviandomi molto velocemente alla conclusione, vorrei dire che il sistema giuridico italiano in questo settore è certamente avanzato, perché lo diciamo non solo noi, ma anche gli esperti stranieri del GAFI. Il 2015 è stato un anno molto importante, da un punto di vista degli adeguamenti normativi, perché c'è stato l'innalzamento della soglia di trasferimento del contante, nonché il differimento dei termini per la voluntary disclosure. Le modifiche di cui alla legge n. 69 del 2015 hanno modificato la disciplina relativa ai delitti contro la pubblica amministrazione e hanno anche inasprito i reati di associazione mafiosa e di falso in bilancio. C'è stato poi il decreto legislativo n. 8 del 2016, che ha depenalizzato i reati minori. Attenzione, perché questo provvedimento ha anche intaccato il sistema sanzionatorio, in materia di antiriciclaggio.
  All'orizzonte, però, noi abbiamo due provvedimenti molto importanti, di cui uno è il recepimento della quarta direttiva comunitaria. Sicuramente il provvedimento conduce a un adeguamento della nostra normativa alle ultime raccomandazioni dell'OCSE, quindi è sicuramente un adeguamento necessario: esso amplia i poteri di collaborazione internazionale e prevede, come dicevo, l'istituzione del registro pubblico centrale, contenente le informazioni sulla titolarità effettiva delle società e dei trust, che sono degli schermi spesso utilizzati. Con ciò, non voglio dire che il trust sia uno strumento con questo fine, però viene spesso utilizzato a fini di nascondimento e di mascheramento. Tuttavia, auspico, sul piano sistematico, che permanga la ripartizione netta, che il nostro legislatore ha voluto, tra organismi che fanno l'analisi finanziaria e organismi che fanno l'analisi investigativa.
  Mi permetto inoltre di segnalare l'Atto del Senato n. 2134, di modifica del Codice delle leggi antimafia. Si tratta di una riforma molto importante la quale, per quanto riguarda le norme che attengono all'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, tende al rafforzamento e al perfezionamento della gestione dei beni confiscati. Credo quindi che essa debba essere salvaguardata. C'è una parte che attiene ai rapporti tra gli organismi proponenti e gli organismi investigativi giudiziari, quindi si stabiliscono forme di coordinamento, ma tali forme di coordinamento non devono assolutamente sminuire e svilire l'iniziativa investigativa. Ciò infatti sarebbe, secondo me, controproducente e faremmo un grande regalo alle organizzazioni criminali.
  Dalle mie considerazioni comprenderete che ci troviamo di fronte, e dobbiamo contrastare, fenomeni che non sono nazionali, essendo essi, per loro stessa natura, transnazionali. Ricorderete che, nel 2011, accadde una cosa che suscitò un certo allarme. Obama, quando presentò il suo rapporto, disse che la camorra napoletana era tra le quattro organizzazioni criminali più potenti e più pericolose al mondo e la affiancò alla Yakuza giapponese, a Los Zetas messicano e al Brothers’ Circle russo, perché in grado di condizionare le scelte strategiche politiche di un Paese. Per tale ragione, Obama sequestrò tutti gli asset ai camorristi italiani che erano negli Stati Uniti.
  Abbiamo bisogno che questo fenomeno venga considerato nella sua complessità: loro sono straordinariamente abili ad adattarsi, il che significa che sono molto abili nel comprendere quali sono le maglie larghe dei sistemi normativi e a sfruttarle. Il Pag. 12legislatore, a mio avviso, deve tenere alta l'attenzione sui fenomeni, che, in qualche modo, ad esempio, favoriscono la non tracciabilità delle transazioni. Leggendo gli atti della Commissione Finanze, ho visto che avete affrontato il tema del money transfer, sul quale c'è una differente legislazione tra i vari Paesi. Non mi soffermerò su quest'aspetto, ma sapete perfettamente che crea una serie di problematiche. Anche il tema delle valute virtuali è molto importante.
  Ci sono inoltre iniziative comunitarie in cui si introduce lo stato di residente non domiciliato, che consente di operare attraverso una società domiciliata in un Paese off-shore e movimentare capitali senza lasciare alcuna traccia. Si tratta di iniziative che, a mio avviso, devono essere tenute in considerazione perché, ferma restando la libera circolazione dei capitali leciti, dobbiamo stare attenti a quelli di provenienza illecita.
  Anche Strasburgo, sul tema della omogeneizzazione, ha più volte richiamato la necessità di misure di contrasto e di prevenzione che siano omogenee e reciprocamente riconosciute in tutti gli Stati. Anche la Commissione antimafia, con cui noi abbiamo rapporti di collaborazione frequenti e molto importanti, ha stigmatizzato la necessità di rendere più efficace la lotta al riciclaggio attraverso quest'opera di omogeneizzazione.
  In buona sostanza, a mio avviso, occorre un'azione corale: di questo siete a conoscenza sicuramente e avete fatto molti passi in avanti anche in questa Commissione. Occorre rendere effettivo il principio della collaborazione attiva da me richiamato. Il suddetto principio impone anche una sinergia stabile tra i soggetti pubblici e privati e adeguate misure di educazione finanziaria, come, per esempio, quella dell'alfabetizzazione finanziaria della popolazione. Anche ciò può servire, perché crea la necessaria sinergia nel rapporto tra cittadino e operatore finanziario, nonché la piena consapevolezza reciproca tra singolo e operatore, così da consentire all'operatore di individuare eventuali anomalie nella condotta del risparmiatore e, quindi, di segnalare operazioni sospette di riciclaggio. Ben venga, quindi, l'attività di promozione dell'educazione finanziaria come quella oggetto della proposta di legge C. 3666, all'esame di questa Commissione.
  Concludendo, vorrei sottolineare che il rischio della presenza della criminalità organizzata costituisce certamente una minaccia molto grave e molto significativa. Tuttavia questa è un'azione, che, come dicevo prima, bisogna svolgere, oltre che con l'azione di prevenzione e contrasto, anche con forme di educazione culturale e finanziaria, come, in un certo senso, fanno le iniziative in corso.
  La DIA ha investito molto nell'attività di prevenzione e soprattutto nella scelta delle iniziative di contrasto, anche individuando la figura del nuovo antagonista delle mafie. Non possiamo pensare di contrastare esclusivamente la mafia, perché siamo bravi a fare pedinamenti. Abbiamo bisogno di analisti e di persone che padroneggino le analisi di bilancio e le tecniche bancarie; abbiamo cioè bisogno di professionisti a tutto tondo. La nuova figura del professionista antimafia proviene appunto dalla DIA, perché questa offre la possibilità di attingere a skill e background diversi, mettendo insieme varie professionalità.
  Abbiamo bisogno di questo e ne hanno bisogno, soprattutto, i nostri interlocutori. Ogni volta che vado in giro per l'Italia, i prefetti e i procuratori non mi dicono altro, cioè che hanno bisogno di una maggiore presenza della DIA sul territorio. Io ho fatto qualcosa, ma con le risorse che abbiamo e senza alcun ampliamento. Abbiamo istituito le sezioni di Bologna e di Brescia, perché c'era una Direzione distrettuale antimafia, come quella di Brescia, che non aveva la DIA presente sul territorio, e l'abbiamo fatto con le risorse a nostra disposizione. Abbiamo certamente bisogno di maggiori risorse in termini quantitativi, ma questo ovviamente richiede un intervento legislativo.
  Infine, c'è un'ultima considerazione, che non faccio certo per me, perché io sarò Direttore ancora per un anno. Questa è la sede istituzionale pertinente per rappresentare un tema, che è particolarmente sentito dal personale e che mi permetto di Pag. 13segnalare, perché riguarda il trattamento economico del personale. Mi sento di farlo come Direttore perché credo che la professionalità vada premiata.
  Il personale della DIA fruiva di un trattamento economico accessorio. Questo trattamento, il primo gennaio 2012, a causa della particolare e difficile congiuntura economica, venne abolito e il personale ha accettato, doverosamente e disciplinatamente, quest'abolizione. In seguito, questo trattamento è stato parzialmente rifinanziato, prevedendo che fosse abbattuto prima del 65 per cento, quindi del 58 per cento.
  Ora, viste le mutate condizioni, che hanno consentito, tra l'altro, di riattivare, nel comparto sicurezza e difesa, la corresponsione di emolumenti, e quindi lo sblocco stipendiale, ritengo auspicabile che il trattamento economico accessorio per il personale della DIA possa essere gradualmente reintrodotto. Io credo che, se la DIA rappresenta un'eccellenza, occorra anche valorizzarne l'eccellenza in termini economici, posto che si tratta di importi non elevati.
  La DIA continuerà a fare la sua parte con il massimo impegno, ben consapevole delle responsabilità affidate dalla legge e certa di poter contare, oltre che sull'abnegazione del proprio personale – il che ovviamente è scontato – anche sul fermo sostegno delle istituzioni, compresa questa Commissione, che siamo certi saprà tutelare nelle sedi appropriate le esigenze della DIA.
  Signor presidente e signori onorevoli deputati, rinnovo la mia sentita gratitudine per la cortese attenzione e sono a disposizione per eventuali approfondimenti.

  PRESIDENTE. Grazie, generale Ferla, per il suo intervento e anche per la relazione scritta che ci ha consegnato. Si tratta di una relazione corposa, posto che fanno capo alla DIA molte competenze; essa mette assieme più esperienze, nell'ambito di professionalità certamente di grande qualità. Avevo già parlato di quest'ultimo aspetto con il direttore Ferla poco prima dell'estate. Cercheremo di fare una riflessione su questi temi con le forze politiche presenti all'interno della Commissione Finanze.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Grazie, generale. Le vorrei fare velocemente una domanda. Nell'ultima parte del suo intervento lei ha sottolineato un punto, secondo me fondamentale, cioè quello dei rapporti con l'estero, e poi ci ha fatto chiaramente capire quanto sia importante sequestrare i capitali ai criminali mafiosi, anziché arrestarli, e come questo sia addirittura molto più grave per loro. Vorrei farle una domanda in relazione alla necessità di professionalità di un determinato tipo, le quali siano in grado di comprendere l’«ingegnerizzazione» finanziaria oggi messa in atto dai criminali.
  Io sono di Barcellona Pozzo di Gotto, di cui probabilmente conoscete il territorio, e vi ringrazio per il lavoro fatto negli ultimi anni nella mia città. Ho parlato con il Comandante generale della Guardia di Finanza, Capolupo, il quale mi ha confermato che non è possibile svolgere bene le vostre attività senza una vera legge di reciprocità tra Paesi: essi devono iniziare a parlare tra di loro e ad istituire rapporti con i Paesi off-shore nello stesso modo. Altrimenti, è sufficiente una semplice triangolazione finanziaria e nessuno di voi riuscirà mai a sapere se Provenzano o Santapaola sono titolari di società in uno dei Paesi off-shore. Il lavoro fatto da questa Commissione nel cancellare tali Paesi dalla black list, lasciando solo una white list è, a mio parere, controproducente per le vostre attività. Voi cosa ne pensate?

  FRANCESCO RIBAUDO. Ringrazio il dottor Ferla, il cui intervento è stato molto esauriente. Condivido ampiamente l'impostazione che date alla vostra attività di prevenzione, attuata seguendo i patrimoni, accumulati illecitamente o lecitamente. Da questo punto di vista, vorrei capire meglio il vostro rapporto con l'Agenzia delle entrate, nei casi in cui essa riscontra evasioni fiscali, nei quali probabilmente c'è anche Pag. 14qualche profilo di illegalità, di accumulo illecito e di attività mafiosa.
  Più in generale, c'è una questione importante, giustamente sollevata dal mio collega e amico di Catania. Mi riferisco al fatto che, se questa struttura non riesce a relazionarsi con le strutture omologhe all'estero, probabilmente ciò crea delle difficoltà. Lei ci ha detto che l'Italia è driver, in questo senso, e che sta stimolando anche gli altri Paesi, e che svolge questo ruolo non solo su questo versante. È chiaro quindi che quella è la frontiera per affrontare la situazione e per seguire i capitali, che ormai, in un mondo globalizzato, vengono trasferiti tra Paesi, per cui noi non è possibile controllarli restando nei confini italiani.
  C'è un'ultima questione. In realtà, ho seguito la vicenda direttamente nel 2013, subito dopo che era stata tolta l'indennità al vostro personale; approvammo un emendamento alla legge di stabilità 2014 in base al quale furono messi a disposizione 100 milioni di euro per tutto il personale del comparto sicurezza. Vorrei capire se è poi arrivata una parte di quelle risorse, che erano indivise, a beneficio del personale della DIA, perché sarebbero dovuti intervenire decreti del Ministero dell'interno per la ripartizione, per ripristinare, almeno parzialmente, l'indennità che era stata tolta al personale.
  Visto il lavoro che state facendo e la funzione che svolgete, diversamente dall'idea – che era presente nel mondo della politica – per cui la vostra sarebbe stata una struttura in concorrenza con le altre e, per certi versi, superflua, credo che essa debba essere incoraggiata e sostenuta. Lei, molto modestamente, non ha affermato chiaramente che, per affrontare le attività nuove di quelle figure professionali avreste bisogno di implementare la struttura, altrimenti rischiate di non farcela. Credo che la vostra funzione di prevenzione sia fondamentale, se vogliamo attaccare efficacemente le mafie e i loro patrimoni.

  DANIELE PESCO. In primo luogo la ringrazio per il suo intervento. Vorrei dire tre cose molto veloci e rapide, La prima riguarda il personale, perché lei ha parlato del fatto che sono necessarie maggiori risorse per poter fare un buon lavoro. Mi chiedo, però, se negli anni la vostra struttura abbia subito un depauperamento delle risorse umane. Le chiedo questo perché, parlando con operatori della DIA, mi sembra di aver capito che molte persone sono rientrate presso la Guardia di finanza, la Polizia di Stato o i Carabinieri dopo essere state comandate presso di voi. Queste unità non vengono reintegrate. Si tratta di un fenomeno veramente diffuso, al quale vorremmo appunto porre rimedio.
  Il secondo aspetto riguarda il ruolo delle banche. Leggendo la cronaca finanziario-giudiziaria, ci accorgiamo del ruolo delle banche nel trasferire soldi all'estero; ciò non può essere negato. Inoltre, le banche sono quelle che, tra i vari soggetti, forniscono informazioni all'UIF. Mi chiedo quali siano, secondo voi, gli strumenti per riuscire ad arginare questo servizio occulto, offerto da questi intermediari.
  La terza domanda, che vorrei porvi, riguarda le segnalazioni dell'UIF. Anch'io ho letto che sono tantissime le segnalazioni inviate; sembra però, purtroppo, piuttosto esiguo il numero delle informazioni che vengono, poi, utilizzate a scopo investigativo. Secondo lei, il dato dell'utilizzo delle informazioni è effettivamente così basso? Domando questo perché, se questo dato così basso fosse veritiero, dovremmo chiederci se non sia necessario cambiare qualcosa.

  NUNZIO ANTONIO FERLA, Direttore della Direzione investigativa antimafia. Cercherò di dare risposte flash, ma vi anticipo che mi piacerebbe – lo farò tramite il Presidente – fornirvi una scheda sul Trattamento economico accessorio. Vi chiedo scusa se sarò veramente rapido, in questa sede, ma i tempi sono molto ristretti.
  Sui rapporti con l'estero, è vero che il tema è fondamentale ma, se avete seguito un po’ il mio intervento, ho parlato moltissimo degli sforzi che facciamo per incentivare i rapporti con l'estero, perché le mafie non hanno confini. Noi abbiamo confini geografici e politici, mentre loro non hanno confini; occorre quindi incentivare la collaborazione con i Paesi esteri e, Pag. 15soprattutto, c'è la necessità di avere un'interlocuzione qualificata. Questo non vuol dire che la DIA non abbia mai parlato, in passato, con gli altri interlocutori, però è importante avere un circuito privilegiato e una sorta di corsia preferenziale, in modo che riusciamo a dialogare con gli investigatori che si occupano di questi problemi.
  In questa direzione è andato il decreto legislativo n. 137 del 2015, che ha recepito la decisione quadro del Consiglio sul reciproco riconoscimento dei provvedimenti di carattere giurisdizionale. Credo che ciò costituisca un vero passo in avanti. Faccio riferimento a questi aspetti nella relazione scritta che vi consegnerò. Sicuramente questo è un passo in avanti, ma è molto importante anche creare una sorta di corsia preferenziale sui reciproci riconoscimenti dei sequestri e delle confische.
  Per quanto riguarda l'ingegnerizzazione del sistema delle segnalazioni ...

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Ormai li conosciamo: lavorano nei mercati finanziari e non sono più cacciatori-pescatori, quindi riescono a costruire delle reti. Mi riferisco a famose società – non parlo di mafia – come la Apple e un'altra grande società, che facevano operazioni cosiddette di sandwich olandese o di raddoppio irlandese, cioè operazioni di triangolazione. Voglio dire che diventa un problema, se io parlo con l'Olanda, con cui abbiamo un sistema di reciprocità, ma non parlo con Bermuda.

  NUNZIO ANTONIO FERLA, Direttore della Direzione investigativa antimafia. Questa è una giusta osservazione, ma comprende benissimo che questo tipo di azioni deve essere svolto non a livello nazionale, perché deve essere svolta nei fori internazionali.

  ALESSIO MATTIA VILLAROSA. Oppure dovremmo limitare i rapporti con questi Paesi ...

  NUNZIO ANTONIO FERLA, Direttore della Direzione investigativa antimafia. Questa, però, è una scelta politica. Credo sia importante far valere questo genere di approccio nei fori internazionali, perché è premiante, e non si può solo dire «i capitali devono circolare liberamente». Certamente i capitali devono circolare liberamente, però dobbiamo essere in grado di identificare i capitali che sono di origine illecita, e ci dovete mettere nelle condizioni di poterlo fare, fermi restando la libera concorrenza, il libero mercato e la libertà di capitali.
  Velocemente vorrei passare al rapporto con l'Agenzia delle entrate. Chiedo scusa se non ho fatto menzione dei rapporti con l'Agenzia delle Entrate, ma posso dirvi che essa è stata una delle prime interlocutrici che ho avuto e a cui mi sono rivolto per stabilire un rapporto sinergico. Abbiamo trovato una grande collaborazione da parte della direttrice, dottoressa Orlandi, che ci ha messo a disposizione un Punto Fisco per ogni sede della DIA; abbiamo quindi un Punto Fisco dedicato, per cui, andando in quest'ufficio dedicato nell'ambito dell'Agenzia, possiamo interrogare tutti i sistemi di accesso delle banche dati.
  Sull'indennità, mi riservo di dare una risposta. In merito all'osservazione che faceva lei, posso dire che i 100 milioni di euro a cui faceva riferimento il deputato Ribaudo sono probabilmente serviti a mantenere, sia pure depauperandolo, quel trattamento economico accessorio, che mi pare sia stato attribuito nella misura del 42 per cento, anziché del 100 per cento.
  Per quanto riguarda il personale e le risorse, sono d'accordo sul fatto che abbiamo bisogno di maggiori risorse, soprattutto sulla turnazione del personale, perché la DIA non ha un ruolo unico, quindi abbiamo necessità di chiedere le risorse e, quando qualcuno vuole o deve rientrare nella sua amministrazione di appartenenza, ne chiediamo la sostituzione. In genere, non incontriamo molte difficoltà, sebbene probabilmente ci siano anche tempi tecnici da rispettare per i comandi generali o la Direzione del personale del Ministero dell'interno, per cui c'è una sorta di vacatio, ma, da questo punto di vista, mi sentirei di tranquillizzarla. Pag. 16
  Sul ruolo delle banche, l'attenzione, secondo me, deve essere concentrata soprattutto sul mondo degli intermediari bancari e finanziari che non sono così disciplinati come le banche. Esistono molti circuiti collaterali, i quali purtroppo non sono ancora molto presidiati e di cui abbiamo fatto qualche esempio, parlando dei money transfer o delle monete virtuali. In questi casi, bisogna porre attenzione, perché le banche e gli intermediari «normali» sono quelli che collaborano di più in termini di segnalazioni.
  Sempre sul tema delle segnalazioni, forse le sarà sfuggito che ho detto che la qualità è molto cresciuta in quest'ultimo periodo, com'è naturale che sia, perché un meccanismo ha necessità di adeguarsi nel tempo. Oggi, le segnalazioni sono molto più robuste da un punto di vista investigativo, ma mi piacerebbe ottenere segnalazioni anche da altri settori, e con ciò intendo riferirmi al mondo delle professioni o dei «compro oro», cioè di tutte quelle persone che dovrebbero segnalare e che, invece, fanno poche segnalazioni; non se ne capisce bene il perché. L'opera di informazione, ma anche di crescita della cultura finanziaria, serve anche a creare una consapevolezza su questi temi e credo che, in tal senso, la Commissione Finanze stia facendo un ottimo lavoro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il generale Ferla, nonché il generale Fois, il maggiore Tomassi e il capitano Adami, che lo hanno accompagnato.
  Autorizzo la pubblicazione, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna, della documentazione consegnata dal generale Nunzio Antonio Ferla (vedi allegato) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.20.

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