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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (III Camera e 3a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 18 di Martedì 4 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sui recenti sviluppi della crisi siriana (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 ,
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 3 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 7 ,
Casini Pier Ferdinando , Presidente della 3a Commissione del Senato ... 8 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 ,
Compagna Luigi  ... 9 ,
Romani Paolo  ... 9 ,
Corsini Paolo  ... 11 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12 ,
Corsini Paolo  ... 12 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 12 ,
Sibilia Carlo (M5S)  ... 12 ,
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 13 ,
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 14 ,
Manciulli Andrea (PD)  ... 14 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 15 ,
Gentiloni Paolo , Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ... 15 ,
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA III COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sui recenti sviluppi della crisi siriana .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento della Camera e dell'articolo 47 del regolamento del Senato, del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, sui recenti sviluppi della crisi siriana.
  Saluto il presidente della Commissione Affari esteri del Senato, senatore Casini, e tutti i colleghi senatori e deputati presenti.
  Ringrazio il Ministro Gentiloni per la sua disponibilità a svolgere questa audizione e gli cedo subito la parola, riservandomi di intervenire al termine della sua relazione.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Presidente, purtroppo la convocazione è molto tempestiva, nel senso che, nell'ambito di una crisi di grandi proporzioni, che dura da molti anni, viviamo ore e giornate particolarmente complicate.
  La crisi è a un punto critico. Come sapete, ieri il Dipartimento di Stato americano ha formalmente dichiarato interrotte le relazioni bilaterali con la Russia per la gestione della cessazione delle ostilità, sostenendo che era un esercizio ormai impossibile. Infatti, con Aleppo sotto le bombe, era impossibile continuare un esercizio che sembrava una finzione. Credo, dunque, che quella americana sia stata una decisione inevitabile, di cui di certo non rallegrarsi, ma che ha preso atto di un contesto degenerato.
  Come sapete, la guerra dura da quasi sei anni ed è – non voglio farla lunga – il crocevia di tantissime guerre regionali contemporanee, tra sciiti e sunniti, con tensioni sulla questione curda e il conflitto con il terrorismo. La povera e martoriata Siria ha sofferto 400 mila vittime e 6 milioni di rifugiati, rappresentando, di fatto, la crisi più drammatica degli ultimi 10-20 anni per via, appunto, di questo incrocio che rende molto complicato districare questa matassa. Negli ultimi dieci giorni tutto questo sembra precipitare, in modo particolare nella tragedia di Aleppo, la seconda città siriana, di tradizioni culturali e religiose straordinarie, che è, come sapete, martellata dai bombardamenti in modo disumano.
  Riguardo alla posizione dell'Italia, si può dire che nella vicenda siriana siamo sempre stati – non so se la coerenza sia una virtù in diplomazia o un difetto; questo è opinabile – a favore di una soluzione diplomatica che passasse attraverso gli step che solitamente questa comporta, ovvero una tregua, l'apertura dei negoziati, il ruolo di mediazione delle Nazioni Unite e così via. Pag. 4
  Devo dire che fino al 2013, quindi fino a quasi tre anni fa, questa impostazione era piuttosto isolata nella comunità internazionale. Invece, da due o tre anni a questa parte i Paesi che erano convinti della possibilità di una soluzione militare si sono gradualmente ridotti di molto. I principali attori occidentali si sono, dunque, convinti che la soluzione diplomatica fosse l'unica strada, forse anche sulla base della prova provata della difficoltà di altre vie.
  Come sapete, c'era stata una fortissima attività di informazione e di training di «forze» ribelli siriane da parte di potenze occidentali che, alla prova dei fatti, non ha dato il risultato sperato. Di questo, come è noto, si è stradiscusso. Forse è stata la discussione di politica estera più accesa degli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti. Lo segnalavo semplicemente per dire che, con coerenza, l'Italia ha sempre proposto la soluzione diplomatica, sostenendo che non esiste una soluzione militare di questo conflitto. Abbiamo, quindi, constatato che, con il passare degli anni, questa posizione è diventata condivisa.
  Nel settembre dell'anno scorso l'Italia ha preso anche un'altra posizione. Ricordo di essere intervenuto personalmente su questo punto, in una sessione dell'Assemblea generale a New York. L'Italia ha dato un giudizio preoccupato, ma non pregiudizialmente negativo dell'intervento russo. Infatti, quando c'è stato l'intervento russo, pur esprimendo le preoccupazioni del caso, abbiamo detto subito – non è difficile trovarne verifica negli atti, probabilmente lo abbiamo detto spesso anche qui, in Parlamento – che poteva costituire un'opportunità, non solo un ulteriore rischio di aggravamento della crisi, nel senso che poteva essere una leva nei confronti del regime siriano per indurlo a una politica più aperta nei confronti dei negoziati. Questa speranza, per certi versi, è sembrata tradursi in risultati. Come sapete, a cominciare da una lunghissima riunione ministeriale che si è svolta Monaco di Baviera, in febbraio, è maturato un concerto internazionale tra 17-18 Paesi, tra cui l'Italia, per arrivare a quella che già nel primo accordo di Monaco fu definita non «tregua» e nemmeno «cessate il fuoco», bensì «cessazione delle ostilità».
  Per essere chiari e intenderci, l'origine del neologismo sta nel fatto che forze piuttosto decise, da una parte e dall'altra, rifiutavano l'idea di una tregua o di un «cessate il fuoco», per cui volevano che ci si limitasse a dire, appunto, «cessazione delle ostilità». Così è stato, nonostante sia i russi sia gli americani avrebbero preferito «tregua» o «cessate il fuoco». Si è aperta, dunque, una dinamica, che è parsa anche far compiere dei passi in avanti.
  Sapete che a Ginevra si sono avviati dei colloqui, anche se solo, come si dice, «di prossimità», con Staffan de Mistura che incontrava le diverse parti in stanze separate, senza metterle tutte attorno a un tavolo. Devo dire che, comunque, ci sono stati dei segnali incoraggianti, tra cui il fatto che l'Alto comitato per il negoziato (HNC) che riunisce le opposizioni al regime di Bashar al-Assad è andato via via elaborando una strategia politico-istituzionale di un certo rilievo, che è interessante, perché non dice semplicemente: «fuori Assad e poi cominciamo a discutere», ma prevede una transizione. Tuttavia, contro questa evoluzione hanno lavorato due difficoltà. La prima è la necessità di separare, sul terreno, le forze di opposizione che fanno riferimento all'HNC dalle forze terroriste e, in particolare, da quelle di al-Nusra, versione siriana di al-Qaeda. L'intreccio è stato utilizzato molto spesso nelle settimane scorse, soprattutto dalla Russia, per giustificare il comportamento di Bashar al-Assad. Poi, il fatto che al-Nusra abbia cambiato nome e abbia fatto finta di distaccarsi da al-Qaeda fa parte di un gioco di propaganda. La sostanza rimane che c'è una contiguità territoriale molto forte tra forze di opposizione e forze di al-Nusra, che adesso si chiama Jabhat Fateh al-Sham.
  Contemporaneamente, l'altra difficoltà insuperabile è stata che i russi non sono riusciti o non hanno voluto (io ho qualche dubbio sulla prima espressione, ovvero che non siano riusciti, perché il leverage russo nei confronti del regime è, in potenza, estremamente forte). Rispetto la posizione diplomatica che il ministero degli esteri Pag. 5russo e il suo ministro hanno sempre sostenuto, ovvero di aver tentato e non esserci riusciti; sta di fatto che il comportamento di Bashar al-Assad è stato sempre sostanzialmente tale da rendere molto difficile, per le forze di opposizione, accettare terreni negoziali mentre erano bombardate in modo più o meno violento.
  L'esercizio, nato a febbraio, ha avuto alti e bassi, fino a un ultimo rilancio del 9 settembre scorso. È stato, infatti, raggiunto un nuovo accordo, anche perché, nel frattempo, avevano assunto un ruolo particolare i due presidenti di questo gruppo internazionale, cioè il Segretario di Stato Kerry e il Ministro Lavrov.
  Peraltro, il ruolo particolare dei due presidenti si era tradotto anche in passi molto importanti soprattutto per la Russia, che li aveva molto cercati e richiesti, di condivisione tra militari americani e militari russi delle operazioni non solo di deconflicting (dunque, tese a evitare rischi), ma anche di intelligence comune e, addirittura, di intervento comune sul terreno per evitare che qualcuno non rispettasse i patti. Quindi, l'ultimo accordo tra i due copresidenti Kerry e Lavrov è del 9 settembre. Nel corso dei dieci giorni successivi, tra il 9 e il 19, però, l'accordo è completamente saltato. Dopo 5-6 giorni, Bashar al-Assad dichiara ufficialmente che la Siria ritiene l'accordo superato e impossibile. Ci sono rimpalli di accuse e di responsabilità da una parte e dall'altra.
  C'è, poi, un episodio particolare, ovvero il bombardamento del convoglio delle Nazioni Unite, composto da 26 camion che portavano aiuti umanitari. Ebbene, 21 dei 26 camion vengono distrutti; vengono uccisi il capomissione e 6 degli autisti dei 21 camion distrutti. Non era, ovviamente, un'operazione casuale o scappata di mano; viceversa, era molto, molto mirata.
  Oggi il punto è valutare le condizioni attuali, dopo aver fatto questa ricostruzione, e vedere come la posizione tradizionale italiana – secondo cui non ci sono soluzioni militari, ma bisogna puntare sulla diplomazia, ovvero a salvare il salvabile, anche nell'interesse umanitario della popolazione siriana – possa adattarsi alla nuova condizione. Allora, credo che dobbiamo essere chiari su un paio di punti. Il primo è che non c'è dubbio che, come sempre accade in questi casi, si stia assistendo a un ping-pong, in cui ognuno punta il dito contro l'altro, dicendo che è colpa sua. Tuttavia, al di là di questo gioco di accusare la controparte, nella sostanza, da un paio di settimane, stiamo assistendo a un'offensiva militare del regime di Damasco ad Aleppo, avendo di mira, in particolare, la parte orientale della città. Si tratta di un'offensiva di una violenza senza precedenti e, contemporaneamente, di una totale irragionevolezza. La violenza è perché – come documentato, non è difficile averne contezza – si tratta di bombardamenti indiscriminati, dall'utilizzo delle famose barrel bombs fino, come dice qualcuno, all'utilizzo di bombe che vanno a colpire i tunnel. Sapete, infatti, che ormai la parte orientale di Aleppo è un reticolo di gallerie e tunnel, dopo cinque o sei anni di guerra.
  Il punto dell'irragionevolezza è che non stiamo parlando dell'attacco a quattro caseggiati in cui sono asserragliati ottanta terroristi. Per capirci, non è una grande Sirte, ma stiamo parlando di una città delle dimensioni di Bologna, per usare un paragone italiano (vedo l'onorevole Zampa che fa gli scongiuri, ma è un riferimento puramente numerico), abitata da quasi 300 mila persone, nella quale, secondo il regime siriano, si annidano – o, secondo loro, combattono – 15-16 mila militanti delle forze ribelli. Non stanno, però, facendo la guerra a questi 15 mila, e neppure potrebbero, ma stanno spianando una città. Qualcuno dice – qui entriamo, di nuovo, nel campo delle ipotesi e delle interpretazioni – che lo spianamento della città non sarebbe casuale. Tendo, tuttavia, a non accreditare troppo questa tesi, anche se vi devo dire che è presente in alcune diplomazie occidentali l'idea che si tratterebbe di applicare ad Aleppo il modello che Putin ha applicato a Groznyj, in Cecenia.
  Invece, qualcun altro dice – mi pare che questa ipotesi sia molto più seria e fondata – che il tentativo di vincere ad Aleppo è il tentativo per consentire al regime di Bashar al-Assad di prendere il controllo di tutta la Pag. 6fascia occidentale della Siria, perché, poi, rimarrebbe fuori solo Idlib. Si tratta, comunque, di una fascia nella quale risiede oltre il 70 per cento della popolazione siriana. In sostanza, c'è di nuovo l'idea che si possa vincere questa guerra senza arrivare a un'intesa, a un tavolo o al negoziato.
  Penso che questo atteggiamento – ovvero l'idea di radere al suolo una città per ottenere un vantaggio politico-diplomatico – sia assolutamente inaccettabile, per ragioni politiche, diplomatiche e anche umanitarie, come lo è anche la copertura a questa azione da parte russa. Infatti, tecnicamente, questa azione non potrebbe avvenire senza la copertura aerea e militare russa. Mi aggrappo, dunque, ancora alla valutazione che facemmo un anno fa, quando la Russia iniziò il suo intervento in Siria, cioè che potesse avere un ruolo di influenza su Bashar al-Assad, anche se riconosco che l'andamento degli ultimi dieci giorni la rende sempre meno solida. Peraltro, il punto su cui non siamo riusciti a chiudere a New York era che noi proponevamo sette giorni di tregua, che consistevano nell'impegno comune russo e americano a tenere a terra gli aerei e gli elicotteri di Bashar al-Assad.
  «Grounding Assad»: questa era la condizione di una tregua meno debole e meno precaria di quella del 9 settembre, poi saltata. A questa intesa non si è arrivati – dopo un ping-pong su tre o sette giorni e via dicendo – perché da parte russa è venuta un'argomentazione a mio parere chiaramente strumentale, sebbene non priva di fondamento. Si è detto, infatti, che prima si devono separare quelli dell'opposizione siriana da quelli di al-Nusra, dopodiché – come sempre nelle bagarre diplomatiche, potete immaginare tutto il contorno – la sostanza è che quell'ipotesi è saltata.
  A questo punto è molto difficile – per questo dico che capisco la decisione americana – continuare in una logica secondo cui russi e americani gestiscono la presidenza di un tavolo diplomatico, mentre le bombe cadono ad Aleppo. Questo vuol dire che anche l'Italia deve rassegnarsi all'idea che una soluzione militare sia inevitabile, come sostengono alcune milizie estreme locali? Si tratta, da un lato, di milizie sciite di provenienza libanese o irachena e, dall'altro, di milizie sunnite vicine a Paesi come il Qatar, l'Arabia Saudita e la Turchia, entrambe contrarie, nel corso di mesi e mesi, all'idea di una tregua o di un «cessate il fuoco», perché entrambe convinte che si potesse prevalere sul campo. Ebbene, noi non ci accodiamo a questa idea, perché continuiamo a pensare che, al di fuori di una soluzione diplomatica e poi negoziale, non ci libereremo da questo atroce conflitto; crediamo quindi che, in questo momento, si debba dare la precedenza a operazioni umanitarie. L'Unione europea, peraltro, sta cercando di metterne in campo una, a cui diamo tutto il nostro sostegno.
  Pensiamo, però, anche di avere una leva nei confronti della Russia; anche per questo dico che considero praticamente inesistenti le opzioni non diplomatiche. Lo dico non perché abbia un enorme ottimismo sulle opzioni diplomatiche, ma perché in politica estera si fanno delle scelte molto concrete: o c'è una soluzione di natura diplomatica oppure c'è qualcuno che pensa che ci possa essere una soluzione di natura militare. Tuttavia, qualcuno può far finta che rafforzare questo o quello degli attori che si confrontano in quel teatro sia una soluzione militare, ma non lo è. Quelle sono azioni di contenimento che questo o quel Paese può fare (come, magari, accadrà nei prossimi giorni), ma non sono la soluzione del problema. Le opzioni non diplomatiche, quindi, sono quasi assenti in questo momento, al di là delle propagande, nella realtà. Ciò nonostante, continuo a pensare che ci sia una leva nei confronti di Putin e del sostegno, del tutto irragionevole, ad Assad, per due ragioni.
  La prima è che, con il passare del tempo, questa avventura potrebbe costare molto cara a Mosca, per evidenti ragioni. Infatti, legare le proprie sorti alle sorti di Bashar al-Assad – soprattutto del comportamento attuale di Bashar al-Assad in Siria – significa, di fatto, farsi nemico l'intero mondo sunnita nel mondo arabo, e non solo arabo. Come sapete, infatti, il mondo sunnita ha presenze anche in regioni della stessa Russia o confinanti con essa. Pag. 7
  La seconda ragione è che sono sempre partito dalla convinzione che per Mosca il tavolo sulla Siria – quindi, questo stare insieme di Lavrov e Kerry intorno ad un tavolo e il fatto che i militari del Pentagono e i militari russi lavorassero insieme per gestire la situazione – fosse un obiettivo fondamentale per la sua politica estera. Se si guarda alla narrativa della Russia rispetto alle crisi internazionali, ora sono di nuovo con gli americani, due grandi potenze e due grandi Paesi a confronto, nonostante, nel frattempo, il mondo sia cambiato rispetto a 35 anni fa, perché non c'è più il Patto di Varsavia e l'economia russa è nelle difficoltà che sappiamo. Insomma, guidare insieme quella che, forse, è la crisi internazionale più difficile di questo momento era un grandissimo obiettivo per Putin. Per questo ritengo che la scelta americana di interrompere quel tipo di canale, se le cose vanno avanti in questo modo, non sia una scelta che prelude a chissà quale difficile, se non irrealistica, soluzione militare, ma sia mettere in chiaro, in termini politici e diplomatici, qual è il prezzo che la Russia si accinge a pagare se continuerà a sostenere, come ha fatto in questi ultimi 10-15 giorni, Bashar al-Assad nella sua azione di bombardamento e di attacco ad Aleppo.
  Penso, dunque, che questa crisi sia reversibile, ma la reversibilità necessita, da parte nostra, grande comprensione della decisione americana – almeno da parte del Governo – e grande compattezza nel dire che è stato sorpassato il limite, per cui se non si torna a ragionare e a costringere Bashar al-Assad a interrompere la sua azione ad Aleppo, questo rende inutile il proseguimento di una condivisione diplomatica tra russi e americani. Questo è il punto in cui siamo.
  Mi auguro che nell'incontro che faremo tra uno o due mesi, quando i presidenti lo decideranno, la situazione abbia delle opzioni più promettenti sul terreno. Tuttavia, come faccio sempre, cerco di dire la verità, senza raccontare una storia particolarmente imbellettata, perché la storia della Siria di oggi non è, purtroppo, imbellettabile.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro, per la sua esposizione. Comincio con alcune mie osservazioni, prima di passare la parola ai colleghi che hanno chiesto di intervenire.
  Sul terreno dei valori, condivido la parte finale dell'esposizione del Ministro Gentiloni, Infatti, sul terreno dei valori auspico una soluzione diplomatica affinché si trovi il percorso per salvare la vita di 200 mila persone che sono nella situazione che sappiamo.
  Detto questo, però, trovo convalidato il pessimismo che ebbi nel 2014 e che mi differenziava dalla valutazione del Governo sulla positività potenziale dell'intervento russo perché della strategia di Putin a livello mondiale, che adesso metto da parte, e della strategia russa in loco, diedi, appunto, una valutazione totalmente diversa, poi convalidata dai fatti.
  Alle spalle di tutto, non dobbiamo dimenticare mai che c'è una dittatura che ha prodotto 400 mila morti e che ha inguaiato la Giordania e altri Paesi del Medio Oriente, nonché l'Europa, accentuando la crisi europea per quello che riguarda l'immigrazione. Insomma, abbiamo una delle dittature tra le più sanguinose che, avendo perso consenso, si è aggrappata a un intervento militare di una durezza spaventosa, con il sostegno in modo crescente da parte dell'Iran e dagli Hezbollah, ma specialmente della Russia.
  Questo non significa, però, che Assad abbia trainato e trascinato la Russia; c'è un'unità di intenti anche perché, nell'ultima fase, i bombardamenti sono stati fatti sia dall'aviazione di Assad sia da quella russa. Questo è il punto.
  Anch'io auspico una soluzione diplomatica. Mi sembra, invece, che la linea che viene chiamata da alcuni osservatori «linea Groznyj», riferendosi alla vicenda cecena, la abbiamo vista già realizzata in un'altra località della Siria, a Daraya. Daraya è stata rasa al suolo e poi Assad è andato lì a dare il messaggio richiamato dal Ministro Gentiloni, ossia che sarebbe tornato in campo e avrebbe riconquistato interamente la Siria. Pag. 8
  Abbiamo, quindi, una situazione nella quale la Russia, che dopo l'intesa del 7 settembre poteva mettersi in campo su un terreno di defatiganti trattative con gli Stati Uniti, con le varie componenti della rivoluzione siriana, con Assad, per arrivare ad una soluzione di tregua, a un certo punto ha scelto una linea di segno assolutamente opposto, nella quale non c'è affatto il progetto di cui parlava il Ministro Gentiloni, di dare il senso di una gestione del mondo che ritorna finalmente a due, Russia e Stati Uniti. Anzi, la Russia ha utilizzato tutti gli errori compiuti dagli Stati Uniti sul campo nel 2011 e nel 2013, lasciando la rivoluzione siriana abbandonata a se stessa, quindi a tutti gli interventi di parte sunnita sul terreno estremistico, le debolezze americane e anche il fatto di essere alla vigilia delle elezioni americane per creare un fatto compiuto per cui anche Aleppo, come Daraya, viene «normalizzata» e, a quel punto, si crea una situazione che può consentire di fare i conti con la prossima amministrazione americana da posizioni di forza.
  Siccome considero i russi dei grandi professionisti sia sul terreno diplomatico che sul terreno militare quando scelgono una strada, credo che in loro non ci sia una contraddizione, né tantomeno vedo Putin trascinato nell'avventura da Assad, ma vedo una situazione organicamente di questo tipo. Questo è dimostrato non dalle opinioni, ma dai fatti e dalla tragedia alla quale stiamo assistendo, e anche – sia nelle espressioni esplicite che in altre – dal senso di impotenza che il Segretario di Stato americano Kerry ha manifestato rispetto al fatto che da una parte c'era una realtà, quella russa e siriana, che procedeva con le armi, e dall'altro lato un'impotenza su questo terreno.
  Faccio mio l'auspicio che la parola sia alla diplomazia, ma esprimo una valutazione nettissima non solo sulla Siria, ma anche sulla Russia, per quanto riguarda il comportamento, nonché una valutazione geopolitica sul fatto che le cose stiano andando in modo diverso rispetto alle nostre speranze e a quello che si poteva ipotizzare con l'intesa del 7 settembre.
  Lascio quindi la parola al presidente Casini.

  PIER FERDINANDO CASINI, Presidente della 3a Commissione del Senato. Sarò brevissimo. Volevo dirvi che prima abbiamo sentito l'Arcivescovo metropolita maronita di Aleppo, che sta ad Aleppo ovest – naturalmente c'è a disposizione una sorta di verbale che possiamo dare ai colleghi della Camera che siano interessati – e la visione è molto chiara dal suo punto di vista, che non coincide con quello espresso dal presidente Cicchitto adesso: era prevedibile che fosse così, lui ritiene che l'indebolimento del regime di Assad sia stato il presupposto per questo caos, che è peggio per tutti.
  Un punto mi è sembrato particolarmente interessante sul tema della tregua: dice che i cittadini di Aleppo ovest ogni volta che sentono parlare di tregua hanno i brividi alla schiena, perché solitamente queste tregue sono il presupposto per lo scoppio di una forza decuplicata una volta concluse, perché servono soprattutto ai gruppi di al-Nusra (lui dice, io relata refero) ad armarsi e a fare arrivare i missili.
  L'Arcivescovo dice, quindi, che certamente per la pace ci vuole la tregua, ma che la tregua deve essere concertata, monitorata e verificata, perché altrimenti è meglio non fare alcuna tregua. Relata refero, l'ho detto non esprimendo una mia opinione, ma riferendo dell'incontro, anche perché è molto più complicato, invidio chi ha la verità in tasca.
  Altre due considerazioni che non c'entrano nulla con questo, ma che come presidente di Commissione mi interessa dire per far partecipi i colleghi della Camera. Ci sono due cose che noi abbiamo organizzato, che naturalmente sono aperte al presidente e a voi: il 20 ottobre, alle 15, al Senato ci sarà la conferenza di Ghannouchi sul tema Islam e democrazia. La via tunisina in collaborazione con l'ISPI; l'11 novembre abbiamo una giornata seminariale interna senza stampa ma naturalmente aperta ai parlamentari che vogliano partecipare – credo che parteciperà anche il Ministro Gentiloni – sul tema della Cina, per farci spiegare dagli esperti l'attuale Pag. 9situazione cinese. Ci saranno Prodi e altri che sanno di cosa parlano, io francamente non avrei da trasmettere informative particolari.

  PRESIDENTE. Sul terreno della convegnistica ne aggiungo un'altra, perché domani, in questa sede, in modo non formalizzato, facciamo una riflessione e un convegno sulle elezioni americane.
  Lascio la parola al senatore Compagna.

  LUIGI COMPAGNA. Grazie, presidente. Signor Ministro, nella Sua attenta ricostruzione mi pare che un punto importante – lo richiamava anche l'intervento del presidente Cicchitto – sia il fatto che quando, poco più di un anno fa, l'intervento russo al fianco di Assad è stato deciso, se ne potevano comprendere, se non le ragioni, moltissime delle radici di questa decisione del presidente Putin.
  È, però, un fatto che rispetto ad allora, se noi guardiamo – c'è stato un Suo accenno in quel senso – il fronte del variegato demi-monde del comitato delle opposizioni al regime di Assad, molte pregiudiziali sono andate distendendosi, le dimissioni di Assad non sono più sembrate l'immediato punto di partenza pregiudiziale, ma si è anche prospettata una possibile transizione, mentre dal fronte strettamente assadiano, diventato anche putiniano, la sensazione è che non si possa e non si voglia rinunziare ai bombardamenti su Aleppo. Di qui quella tragedia disumana, tutto quello che abbiamo sentito dall'arcivescovo questa mattina. Si capisce che l'arcivescovo deve tornare lì, però questo esprimere il desiderio di gente sulla quale piovono bombe sulla testa, in un ospedale, in luoghi con popolazione civile, ed è preoccupata innanzitutto della tregua dovrebbe indurci a pensare che questo rafforzamento di oltranzismo putinian-assadiano ritorna in campo a cavallo del presidente Assad, quale che sia la valutazione di astuzia o intransigenza diplomatica dell'atteggiamento preso dagli Stati Uniti, è molto, molto, molto più preoccupante degli argomenti con i quali, poco più di un anno fa, in questa sede, abbiamo analizzato le cause che avevano portato la Russia a schierarsi così direttamente a fianco di Assad.

  PAOLO ROMANI. Io concordo con il Ministro sull'esordio, meno sulla conclusione. Nell'esordio il Ministro ha detto che in Siria ci troviamo di fronte a un crocevia di molte guerre.
  La guerra di questi anni in Siria è una delle più spaventose che si siano mai verificate, ha portato alla distruzione di intere città, perché la città di Homs, che pure è «liberata» dal regime di Assad, è completamente distrutta, così come sta diventando Aleppo est.
  Bisognerebbe partire dai dati di fatto in campo. Il primo è che la Siria è un Paese di 23 milioni di persone e che delle scelte che hanno fatto le popolazioni rispetto alla guerra si debba tener conto. Se, quindi, 7 milioni di siriani hanno scelto di trasferirsi dalle zone in cui abitavano nelle zone controllate dal regime, è un dato di fatto; se 4 milioni di siriani sono scappati all'estero per scappare dalla guerra, è un altro dato di fatto: metà della popolazione siriana si è trasferita, in parte all'estero nei Paesi vicini, in parte in Europa, ma 7,5 milioni si sono spostati e sono andati nelle zone controllate dal regime. L'85 per cento dei siriani sono arabi sunniti, quindi si sono spostati in una zona controllata dal governo di chiara dominanza alauita e sciita.
  Secondo dato di fatto: nessuno pare fare la guerra all'ISIS, perché i fronti con Daesh sono tutti fermi, salvo il regime che ha liberato Palmira – grazie al cielo, per la nostra civiltà – con il contributo delle truppe e dell'aviazione russa, ma l'unica guerra guerreggiata con spostamenti di fronte avviene al nord, dove la Turchia, Paese limitrofo, non ha deciso di fare la guerra ad ISIS, ma ha deciso di evitare che i curdi si ricongiungessero, di evitare che il cantone di Rojava si collegasse con il cantone di Afrin, e non voleva assolutamente con l'operazione Scudo dell'Eufrate che i curdi creassero una continuità territoriale a nord della Siria.
  Questa è la guerra che stanno facendo i turchi, con la condivisione, la complicità e il silenzio della comunità internazionale: uno Stato sovrano viene invaso dallo Stato Pag. 10vicino con la finta di alimentare i gruppi dell'FSA, che combattono – male per di più – quelli dell'ISIS, che sono stati già comunque sconfitti dai curdi, che, grazie anche agli americani, sono arrivati dove sono arrivati.
  Il problema adesso è capire chi dovrà arrivare a Raqqa, perché nessuno a quanto pare ha voglia di arrivarci, perché tutti hanno altri problemi.
  In campo, ad Aleppo ci sono forze che non c'entrano nulla con i ribelli moderati. Ad Aleppo ci sono fondamentalmente due gruppi, fatto conto che ce ne siano circa un centinaio, ma i due gruppi maggiori si chiamano Fatah Halab, cioè Conquista di Aleppo, all'interno del quale ci sono due gruppi fondamentalmente, Jaysh al-Islam, quello sostenuto dall'Arabia Saudita, e l'ESL, il famoso Esercito siriano libero, che, guarda caso, però, ha un collegamento con la coalizione siriana che ha base a Doha nel Qatar. C'è poi il gruppo Esercito della conquista, Jaysh Fatah, al cui interno c'è la camuffata ex al-Nusra e al-Sham, quella foraggiata e sostenuta da Turchia e Qatar.
  Questi sono i gruppi ed è impossibile separare i terroristi di al-Nusra e quelli di altre organizzazioni, che terroristi sono, dai famosi ribelli moderati che praticamente non esistono più. Si sono collegati fra di loro e adesso è in atto un assedio di Aleppo est, la zona più povera della città, mentre la zona residenziale, ricca e borghese è sempre stata Aleppo ovest, ma ad Aleppo ovest ci sono 1,5 milioni di aleppini, ad Aleppo est i 250 mila che sono rimasti. Il problema è capire se siano diventati scudi umani delle organizzazioni terroristiche che lì ci sono oppure vogliano effettivamente rimanere lì. Dalla testimonianza che abbiamo sentito questa mattina dell'arcivescovo maronita di rito cattolico di Aleppo, pare che gran parte avrebbe solo voglia di venir via, ma non è messa nelle condizioni di uscire.
  Questo è quello che succede in Siria oggi, la convivenza religiosa in questo straordinario melting pot religioso che è la Siria era comunque garantita, ma, se noi dobbiamo giudicare secondo i criteri della democrazia occidentale rappresentativa la Siria o l'Iraq, facciamo l'errore più clamoroso della storia. Gli americani, nel 2003, hanno fatto la colossale sciocchezza di invadere l'Iraq, il 60 per cento degli sciiti voterà sempre un partito religioso sciita e, quindi, i sunniti saranno sempre vittime di quelle maldestre, terribili milizie sciite che hanno generato il fatto che a Mosul, a Tikrit, a Ramadi i militanti dell'ISIS venissero accolti come dei liberatori perché comunque erano composti da tribù sunnite.
  L'approccio alla crisi siriana – il Ministro degli esteri mi perdonerà – non può essere solo la tregua «grounding Assad», perché dalla testimonianza molto importante di questa mattina sappiamo che ci sono trenta, quaranta, cinquanta morti al giorno ad Aleppo ovest, e non sono gli aerei o le barrel bomb: sono i missili, sono i mortai dei cosiddetti «ribelli» di Aleppo est che bombardano Aleppo ovest. Se si toglie anche la possibilità di difesa di Aleppo ovest rispetto a quello che fanno ad Aleppo est, ovvero gli aerei o gli elicotteri, si attiva di nuovo una guerra asimmetrica e quelli possono continuare a bombardare. Lo stesso attacco al convoglio, a parte che è ancora da dimostrare, Ministro, che siano stati aerei russi o siriani, ma, ammesso che l'abbiano fatto, la strage di Razor, con cui gli americani hanno ucciso 62 soldati siriani e ne hanno feriti gravemente cento, a quale criterio corrisponde? I ponti che vengono colpiti lungo l'Eufrate a sud di Razor a quale regola, a quale programma, a quale obiettivo corrispondono?
  Se partiamo dall'analisi fredda di ciò che c'è in campo, allora, accetto la valutazione che la tregua, monitorata correttamente – come diceva giustamente il presidente Casini – controllata ed efficace e, che non sia il rafforzamento delle parti in campo, possa essere propedeutica a un processo di pace, ma, se si dice che da una parte ci sono i cattivi ovvero il regime di Assad e i russi, che bombardano questi poveri cristi che stanno ad Aleppo est, dove sono annidati i 15 mila (spero che siano meno, presidente Casini, mi dicono che siano molti di meno, grazie al cielo), e non si riesce ad arrivare a una conclusione che parta da un equilibrio territoriale delle Pag. 11forze in campo, dove le forze in campo dall'altra parte sono quelle che ho cercato di descrivere, sarà difficile arrivare, attraverso qualsiasi tregua, a un processo di pace autentico.
  Mi piacerebbe che il Governo italiano, su queste analisi che mi sono permesso di fare velocemente in questa sede, potesse essere partecipe e anche un po'più protagonista di quanto non sia stato fino ad oggi.

  PAOLO CORSINI. Ringrazio innanzitutto il signor Ministro perché ho trovato molto persuasiva la descrizione delle vicende nella loro successione evenemenziale, e altrettanto convincente l'interpretazione in chiave politica del problema.
  Ringrazio anche il senatore Romani perché ci ha offerto dei riscontri di natura fattuale, dai quali non si può prescindere. Ha fatto bene il presidente Casini a richiamare la testimonianza del vescovo maronita, che è stata a dir poco straziante nel suo realismo e ci ha spiegato che, dopo Hiroshima, Aleppo è il caso più drammatico di distruzione di una città, con tutto quello che comporta in termini di crisi umanitaria, di problemi che attengono non solo alla sopravvivenza, ma alle modalità di vita, aggiungendo un dato, che fa saltare una tradizione che ho potuto constatare nelle due visite fatte ad Aleppo prima dell'esplosione della vicenda siriana: emerge un problema che riguarda aspetti significativi di altri Paesi d'Oriente, cioè il venir meno di ogni forma di pace religiosa. Non c'è dubbio, infatti, che il regime alauita di Assad era estremamente tollerante e intratteneva rapporti positivi con le varie confessioni.
  Dobbiamo, quindi, sforzarci di fornire un'interpretazione convincente delle vicende belliche alle quali stiamo assistendo, nel senso che trovo convincente la valutazione di chi non si ferma alle classiche interpretazioni (la guerra asimmetrica, la guerra ibrida), ma definisce la natura di questo conflitto nei termini di un conflitto per interposta persona.
  La Siria è vittima di se stessa per taluni versi, le responsabilità di Assad sono assolutamente indiscutibili, ma è un terreno sul quale si gioca una partita che altri protagonisti a livello internazionale giocano per affermare un ruolo e un primato.
  Due brevissime conclusioni, anche perché è giusto che altri colleghi possano intervenire. Innanzitutto, credo che i due soggetti principali ai quali dobbiamo guardare siano Stati Uniti e Russia, perché non c'è dubbio che Assad sia, per molti versi, pilotato e comunque condizionabile dalla Russia. Credo che dobbiamo esercitare la pressione maggiore su questi due protagonisti, di queste due dramatis personae, fermo restando che scontiamo una considerevole debolezza, che anche qui ritorna drammaticamente, cioè l'assenza dell'Europa. Anche qui constatiamo che, se l'Europa non diventa una grande potenza, non dico semplicemente sotto il profilo delle potenzialità economiche o della possibile organizzazione militare (qui si apre il problema con la NATO), ma anche dal punto di vista del suo ruolo politico, questo è un deficit della politica internazionale.
  La mia conclusione condivide quella del Ministro, perché, al di là della descrizione che abbiamo sentito e delle valutazioni del presidente Cicchitto, che trovo sempre molto intelligenti, ma molto discutibili, qualcuno mi deve spiegare qual è l'alternativa alla soluzione del negoziato politico, qual è l'alternativa alla tregua controllata e monitorata: non c'è un'alternativa sul piano umanitario, a meno che si decida che possiamo intervenire mettendo in conto che migliaia di civili verranno annientati, perché forzare la soluzione in chiave militare ha certamente questa conseguenza.
  Proprio la descrizione delle forze in campo, la loro collocazione mi conferma in questa valutazione. Possiamo decidere cinicamente e realisticamente a tavolino che noi mettiamo in conto il massacro di centinaia di migliaia di persone? Non è persuasiva l'alternativa alla ricerca del negoziato politico-diplomatico sotto il profilo politico, perché sotto il profilo politico credo che entrambe le dramatis personae, Stati Uniti e Russia, abbiano qualcosa da perdere, nei termini della riconferma per gli Stati Uniti di una leadership, di un'egemonia che non sia riluttante, e nei termini della Russia di Putin nella capacità di ritrovare Pag. 12 un ruolo a livello internazionale. Sotto questo profilo, entrambi i protagonisti devono essere chiamati a rispondere, perché la chiave di volta non è Assad, che è naturalmente un criminale, che ha delle gravissime responsabilità, che sta massacrando un popolo e questo non può essere sottaciuto, ma non ha alternative sotto il profilo militare. Anche una sconfitta sul campo di Assad – che mi pare il presidente Cicchitto evochi e, invece, la sua vittoria il senatore Romani – produce delle significative contraddizioni. Chi mi garantisce che la sconfitta di Assad non sia la vittoria dell'ISIS?
  E la sconfitta di Assad ha questo rischio...

  PRESIDENTE. Non ho affatto evocato la sconfitta di Assad, che è impossibile, visto il sostegno che gli sta dando la Russia, quindi...

  PAOLO CORSINI. D'accordo, però non c'è dubbio che prendere in considerazione il ruolo che Assad può giocare e al quale può essere portato se la pressione sulla Russia è adeguata e sufficiente, è certamente una chiave di volta del problema. Ecco le ragioni per le quali io credo che, obiettivamente e razionalmente, non ci sia alternativa alla scelta che il ministro opportunamente impegna l'Italia a perseguire.

  PRESIDENTE. Faccio presente che mi si dà come tempo massimo per concludere l'audizione le 14.50. Hanno chiesto di intervenire l'onorevole Sibilia, l'onorevole Palazzotto, l'onorevole Locatelli e l'onorevole Manciulli. Mi affido alla loro capacità di sintesi, avendo noi questo vincolo, e dovendo poi ascoltare anche una breve replica del Ministro.

  CARLO SIBILIA. Grazie, presidente, mi asterrò da analisi, anche per questioni di brevità.
  Due domande abbastanza rapide. Sabato 17 settembre gli Stati Uniti d'America bombardano posizioni dell'esercito siriano a Deir Ezzor e uccidono decine di soldati siriani, facilitando l'avanzata dell'ISIS e ponendo fine di fatto alla tregua siglata il 9 novembre a Ginevra con la Russia. Sono morti 62 soldati siriani e altri cento sono stati gravemente feriti mentre combattevano contro lo Stato islamico. L'attacco, secondo noi, è ancora più grave perché ad esso è seguita l'immediata avanzata dell'ISIS. Si è trattato di una gravissima violazione, secondo noi, ancora più grave perché la decisione (errore, come dichiarato da Washington) è stata presa all'interno di una coalizione internazionale di cui fa parte, fino a prova contraria, anche l'Italia che, dopo aver passato mesi a far finta di combattere l'ISIS, ora ne facilita addirittura l'avanzata in Siria. Australia, Danimarca e Regno Unito hanno ammesso di aver partecipato alle operazioni che hanno portato al bombardamento delle postazioni siriane. Lei, Ministro, dovrebbe, a nostro avviso, dirci se il suo Governo fosse informato di questo attacco e, in caso fosse stato informato, che ruolo abbia avuto l'Italia e, infine, perché, a distanza di due settimane, ancora non si sia mai dissociato, visto che le soluzioni sono diplomatiche, come Lei ha più volte ribadito.
  Seconda domanda: diverse fonti nelle ultime ore hanno confermato il segreto di Pulcinella sulla situazione siriana, ossia nell'ultimo periodo si è ulteriormente rafforzata l'alleanza tra i ribelli moderati od opposizione o tutti gli altri termini ipocriti che vengono utilizzati per definire questo fronte. In altre parole, il fallimento più palese della strategia italiana, che segue purtroppo le drammatiche linee del Governo Monti già dal 2011, quando Monti ospitava già le riunioni del Gruppo Amici della Siria e ha iniziato a finanziare i gruppi paramilitari islamici per rovesciare un Governo legittimo. Questi gruppi oggi è palese che sono come al-Qaeda, mentre il Governo che vende armi e supporta i ribelli moderati per una nuova Siria, dopo aver avallato la distruzione di Afghanistan, Iraq, Libia, dopo milioni di morti sulla coscienza, ora chiude gli occhi anche su ciò che i sauditi stanno facendo in Yemen. Altre migliaia di morti arriveranno sulla nostra coscienza. Pag. 13
  Il Movimento 5 Stelle chiede da tempo il ripristino delle relazioni diplomatiche con Damasco, piena collaborazione per la liberazione del territorio dal terrorismo e la fine delle sanzioni dell'Unione europea che affamano ulteriormente la popolazione.
  La nostra domanda è: quand'è che si ammetterà che questa strategia è stata del tutto fallimentare e quando si prenderà atto che la strategia sul governo della Siria, che ha condotto anche l'Italia, è contraria al diritto internazionale, al principio di non ingerenza negli affari interni di altri Stati, alla convivenza pacifica dei popoli?
  Queste sono le due domande che mettiamo sul piatto e speriamo di avere risposta.

  ERASMO PALAZZOTTO. Mi pare di capire che le posizioni nel dibattito della politica italiana siano, più o meno, quelle che sono sul campo in Siria in questo momento, cioè ognuno ha un'idea diversa e probabilmente anche un posizionamento diverso.
  Vorrei però provare, se possibile, a fare una discussione che esca fuori dal "campismo", fuori da una dimensione in cui noi individuiamo, nel conflitto siriano, buoni e cattivi non perché non ci siano i cattivi, probabilmente quelli che mancano in questo conflitto sono i buoni, e nel campo noi abbiamo una serie di interessi che uno può ritenere più o meno legittimi, a seconda del punto di vista. Non è che gli americani, in questo momento, in Siria stiano facendo una partita per il bene dell'umanità, a meno che l'onorevole Sibilia non volesse proporre, per par condicio, un premio Nobel ad Assad per far pace con quello dato ad Obama, ma il tema vero è che lì i russi sono intervenuti per difendere una serie di equilibri geopolitici, di interessi economici e militari, lo sbocco a mare di un asse che determina anche gli equilibri mediorientali, l'Iran da una parte, gli Hezbollah dall'altra. Gli americani sono intervenuti per porre rimedio a una serie di disastri creati per scelte più o meno improvvisate, dall'Iraq a seguire, e anche per cercare di puntellare una serie di elementi che riguardano alleati storici (i sauditi da una parte, la Turchia dall'altra), che hanno agevolato, in una strategia di sobillazione del regime di Assad. A meno che non mi si dica qui che il Dipartimento di Stato americano non era a conoscenza di tre anni di politica di attraversamento dei confini, di finanziamento dei gruppi jihadisti per andare a combattere ad Aleppo, quei gruppi che oggi sono lì, quei 15 mila combattenti o terroristi come si vogliono chiamare sono lì e sono bene armati e insediati anche perché qualcuno li ha aiutati a costruire questa enclave.
  Oggi, il tema è provare a capire, dentro questo nuovo ordine mondiale, come si trova la chiave risolutiva del caos e qual è la proposta politica da mettere in campo. L'unica cosa che mi è chiara anche da questa discussione è che l'ISIS è diventato il problema minore, in questo momento sta confinato a Raqqa e non mette il naso fuori, perché ha capito che tira brutta aria, ma anche il disegno egemonico espansivo dell'ISIS è completamente scomparso in questo momento, perché sul campo i problemi sono altri. Ovviamente, non mi riferisco alla minaccia terroristica soprattutto da noi, mi riferisco alla dinamica sul campo in Siria, perché siamo partiti dal fatto che l'ISIS controllava quasi mezza Siria, mentre oggi è confinato e non ha un progetto espansionistico in questa fase, ma difende quelle postazioni.
  Il tema vero, però, è che mi pare che in questa discussione, la pace non interessi a nessuno, e ci siano due grandi assenze. Una è quella dell'Europa, che gioca una partita di subalternità rispetto a un conflitto di guerra fredda, a due grandi potenze che sono in campo e si contendono interessi egemonici. L'altra questione, che veniva richiamata dal senatore Romani, è la presenza sul campo dei curdi, che probabilmente sono gli unici a controllare completamente una delle parti più grandi della Siria, eppure sono completamente tagliati fuori da ogni tavolo negoziale, perché diventano carta da gioco, che Assad e Putin sono in grado di barattare nella trattativa con Erdogan, e gli americani hanno fatto la stessa cosa. Quindi uno dei soggetti che potrebbe essere più utile nella stabilità Pag. 14dell'area e uno degli interlocutori più affidabili è completamente tagliato fuori.
  Secondo me, dovremmo provare a uscire e a far uscire anche la diplomazia del nostro Paese fuori da questo campismo e a giocare un ruolo che dica per esempio che, se va ricercata la via diplomatica, va bene superare il tavolo negoziale, ma probabilmente riaprire la discussione sulle sanzioni non aiuterà a riprendere quella via diplomatica, dicendo che oggi le sanzioni sono uno strumento del tutto stupido e ritorsivo, che non ha una funzione negoziale.

  PIA ELDA LOCATELLI. Anch'io ringrazio il Ministro, per questa esposizione chiara e condivido il fatto che non dobbiamo rassegnarci alla inevitabilità della soluzione militare, però ci sono due cose in particolare che voglio sottolineare, per la preoccupazione che ho.
  La prima riguarda l'accordo Lavrov-Kerry, che è saltato. Mi pare – l'avevo percepito e, poi, l'ho letto questa mattina – che questo accordo sia saltato perché qualcosa è andato storto alle spalle di Lavrov e di Putin, perché è molto strano che due persone ci mettano la faccia e la cosa salti, temo che sia andato al di là di loro, anche perché, se non fosse saltato, il passo successivo sarebbe stato insieme contro l'ISIS, che sembra diventato un dettaglio di questa vicenda.
  La seconda ragione di preoccupazione riguarda i tempi di questa reversibilità. Lei, Ministro, ha detto che pensa che questa crisi sia reversibile perché ci sono due leve; una è quella che potrebbe costare molto cara alla Russia: avere tutto il mondo sunnita contro (e sono d'accordo), la seconda, quella che mi provoca maggiore preoccupazione, è che vedere le due potenze, attraverso i loro ministri degli esteri, alla pari ad un tavolo è stato l'obiettivo fondamentale della politica russa, ma è stata questa crisi che ha consentito alla Russia di tornare ad essere considerata potenza alla pari con gli Stati Uniti. Non solo ha raggiunto questo, ma adesso la Russia detta le condizioni, che è un passo in più. A me pare che la Russia stia sfruttando un momento di debolezza degli Stati Uniti, dovuta al fatto che ci sono le elezioni americane, e finché non passano continuerà a sfruttare questa debolezza.
  Un'altra ragione di preoccupazione risiede in un ambito che non c'entra quasi niente con la Siria: le elezioni presidenziali russe si terranno nel 2018 e pare che saranno anticipate al 2017; noi abbiamo visto come la popolarità di Putin sia cresciuta con la vicenda Crimea, mi chiedo se anche questo elemento non sia importante nel vedere se la reversibilità avverrà dopo sia le elezioni presidenziali americane sia quelle russe. Sono d'accordo che dobbiamo continuare a negoziare, negoziare, negoziare, però diventa sempre tutto più grande, più largo e più difficilmente controllabile.

  ANDREA MANCIULLI. Mi scuso per essere eccessivamente schematico. È evidente che la vicenda siriana è nata con una doppia matrice, una matrice locale di conflitto e una matrice geopolitica. Del resto l'intervento russo aveva, ed ha, questa matrice.
  È, però, ancora più evidente che, dopo la vicenda turca, la seconda parte, cioè quella geopolitica, è diventata estremamente preponderante, e, a mio avviso, qualsiasi analisi che non tenga conto di questo aspetto è deficitaria. Apprezzo, in questo senso, la grande franchezza che ha espresso il ministro.
  Vengo da un viaggio nel Golfo, in particolare in Oman, che tra i Paesi del Golfo è l'unico che ha un sistema di relazioni incrociato sunniti-sciiti, e fa della sua neutralità un punto cardine, e ho trovato nella loro diplomazia e nel loro mondo della sicurezza una grande preoccupazione: che, alla fine, la vicenda siriana, se non si chiude – e oggettivamente si va in un periodo di stallo – tenda a esacerbare oltremodo e a riaprire la piaga tra mondo sunnita e mondo sciita, che – parallelamente alla Siria, conflitto del quale non parla nessuno, ma che è ancora in atto – sta giocando una partita assai seria in Yemen, luogo sul quale a mio avviso dobbiamo porre l'attenzione.
  Molti interventi hanno evidenziato come nessuno si occupi di Daesh che è in crisi, ma, da questo punto di vista, ritengo che ci sia una certa sottovalutazione: Daesh – è vero – ha avuto delle perdite importanti di Pag. 15alcuni suoi leader carismatici e capi militari, in questo momento sta approfittando di una centralità diversa dei combattimenti, ma si sta anche riorientando. Daesh sta decidendo – cosa che è nella letteratura di tutti quelli che si occupano di questo fenomeno, in questo momento – di essere un'organizzazione che recupera il tratto originale prevalentemente terroristico, e, ad esempio, in Yemen ormai sono abbastanza documentati i rapporti fra Daesh e l'organizzazione più forte di al-Qaeda che è al-Qaeda nella penisola arabica.
  Se questa situazione non si risolve, noi rischiamo che ci sia un blocco sunnita molto ostile alla dinamica che, purtroppo, si è creata con l'intervento russo, e che questo blocco crei un humus culturale più diffuso, nel quale le posizioni che il terrorismo di matrice sunnita esprime possono essere più legittimate, non meno legittimate. Questa, a mio avviso, è un tema estremamente serio e per questo la cautela che il nostro Governo esprime, pur scegliendo, perché si tratta di un confronto geopolitico nel quale l'Occidente non è che non debba mostrare se stesso, è una scelta di saggezza.
  Farei molta attenzione, perché, ad esempio, vi è un'analisi di questa mattina sull'Iran, anche di un certo raffreddamento verso i russi, non banale, perché, a mio avviso, bisogna far leva su tutte quelle forze che non vogliono un acuirsi della tensione, cosa che deve animare la politica estera del nostro Paese, che, in questo momento, può giocare un ruolo positivo in questo senso.

  PRESIDENTE. Lascio ora la parola al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, per la replica.

  PAOLO GENTILONI, Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. Procedo per «telegrammi». Conosco, naturalmente, la posizione del presidente Cicchitto, che ha argomentato, come sempre con grande intelligenza, ed è chiaro che io penso quello che ho detto, cioè che noi abbiamo fatto bene a scommettere su una potenzialità del ruolo della Russia e non dobbiamo rassegnarci al fatto che questa potenzialità – dando, in questo, ragione al presidente Cicchitto – rischi di non essere confermata dal comportamento degli ultimi giorni.
  Che ci sia un disegno globale non c'è dubbio, che siano vere le cose che diceva l'onorevole Locatelli, sui meccanismi del consenso interno in Russia è indubbio, ma, al tempo stesso, consideriamo che non siamo più a venti o trenta anni fa, che le debolezze economiche sono quelle che sono, che l'ultima riunione della NATO si è svolta a Varsavia, in un palazzo in cui era stato firmato, qualche decennio prima, il Patto di Varsavia. Non siamo quindi esattamente nel contesto di due superpotenze, due schieramenti, due sistemi, ma c'è un grande, importante Paese che si chiama Russia con il quale dobbiamo fare i conti, e noi stiamo in un'alleanza molto, molto forte.
  Per quanto riguarda ciò che diceva il senatore Romani, non mi metto a fare l’«entomologia» dei diversi gruppi, però segnalo che questo esercizio è stato fatto dal gruppo internazionale presieduto da russi e americani ed è arrivato a una conclusione, ossia a una comune condivisione che i gruppi terroristici sono al-Nusra, che adesso ha cambiato nome, e Daesh. Attorno al tavolo c'erano quelli che volevano aggiungerci i curdi, quelli che volevano aggiungerci Hezbollah, quelli che volevano aggiungerci Jaysh al-Islam, ed altro. È chiaro che, se descrivi, giustamente, il fatto che nella battaglia di Aleppo ci sono milizie non solo terroristiche, ma legate ad alcuni Paesi della regione che hanno un atteggiamento oltranzista, non puoi dimenticare che ce ne sono altre legate ad altri Paesi della regione che hanno un atteggiamento altrettanto oltranzista, che sono le milizie irachene e libanesi con qualche rapporto, visto che si chiamano Hezbollah, con l'Iran.
  La situazione è complicata, come abbiamo detto tutti, c'è un incrocio tra la guerra tra Assad e i suoi oppositori, la guerra tra turchi e curdi, la guerra tra i sunniti e gli sciiti, la guerra di tutti contro i terroristi, l'intervento russo; il quadro è, appunto, complesso. In tale contesto, l'Italia, visto che non ha truppe sul terreno, Pag. 16non è stata informata dell'operazione che ha portato all'uccisione dei sessantadue soldati siriani. Come sapete, l'amministrazione americana ha definito questa operazione «un errore» e se ne è assunta la responsabilità, e questo fa la differenza tra le grandi democrazie e altri Paesi, perché, da un lato, c'è un'operazione di cui non solo ti assumi la responsabilità, ma ti scusi, dall'altro c'è un'altra operazione in cui si dice che non si sa se sia stato Assad o no. L'opinione diffusa è che si sia trattato di un'operazione non caduta dal cielo, all'insaputa di tutti.
  Voglio tranquillizzare l'onorevole Sibilia, che in questo momento non è presente, che ritengo irrealistico che sia stato il senatore Monti ad armare i ribelli siriani; francamente non mi sembra credibile, quindi l'Italia non era informata, come è ovvio, e Monti non mi pare che sia il principale armatore dei ribelli siriani.
  Detto questo, rimane il fatto che noi dobbiamo cercare le vie della diplomazia, del negoziato e della pace, per quanto appaiano impervie, non perché siamo più buoni, ma semplicemente perché è, oltre un dovere per chi ci crede dal punto di vista dei valori, nel nostro interesse nazionale dal punto di vista geopolitico, dal punto di vista dei flussi migratori, che in quella regione si arrivi a un'intesa e perché il Governo resta convinto che avere una soluzione militare sia illusorio.
  Se avessimo tempo, ci metteremmo attorno a un tavolo a discutere su qual è la soluzione militare, e quando, giustamente, si lamenta la difficoltà della diplomazia degli Stati Uniti in questa vicenda, perché dovrebbe essere più assertiva, tale considerazione non è qualcosa che si sposa perfettamente con il discorso che si fa sull'Iraq nel 2003, Gheddafi e il resto. Purtroppo, è complicato fare entrambe le cose insieme, ma – si può essere d'accordo o meno, lo dico al presidente, che giustamente mette in evidenza difficoltà, che peraltro sono evidenti – Obama ha deciso e annunciato, otto anni fa, di non voler proseguire su una linea interventista. Poi faremo i bilanci e può darsi – l'onorevole Locatelli ha ragione – che le nuove elezioni americane cambino un po’ il quadro, vedremo. Per noi italiani, per il Governo non credo che cambierà il fatto che prima di tutto cerchiamo la via del negoziato e della pace.

  PRESIDENTE. Nel ringraziare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.