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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta su sicurezza e degrado delle città

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 10 gennaio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Causin Andrea , Presidente ... 3 

Audizione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli:
Causin Andrea , Presidente ... 3 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 3 ,
Causin Andrea , Presidente ... 21 ,
Rampelli Fabio (FdI-AN)  ... 21 ,
Miccoli Marco (PD)  ... 22 ,
Causin Andrea , Presidente ... 22 ,
Miccoli Marco (PD)  ... 22 ,
Rampelli Fabio (FdI-AN)  ... 23 ,
Santerini Milena (DeS-CD)  ... 24 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 25 ,
Gasparini Daniela Matilde Maria (PD)  ... 26 ,
Morassut Roberto (PD)  ... 27 ,
De Maria Andrea (PD)  ... 27 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 27 ,
De Maria Andrea (PD)  ... 27 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 27 ,
De Maria Andrea (PD)  ... 27 ,
Gandolfi Paolo (PD)  ... 28 ,
Causin Andrea , Presidente ... 28 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 29 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 33 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 33 ,
Mannino Claudia (M5S)  ... 33 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 33 ,
De Maria Andrea (PD)  ... 34 ,
Gabrielli Franco , Capo della Polizia ... 34 ,
Causin Andrea , Presidente ... 36 36 36

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ANDREA CAUSIN

  La seduta comincia alle 12.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che, ai sensi dell'art. 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà anche assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del Capo della Polizia,
Franco Gabrielli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Capo della Polizia, Franco Gabrielli, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione.
  Sono presenti, inoltre, il Prefetto Stefano Gambacurta, direttore dell'Ufficio per l'amministrazione generale del Dipartimento della pubblica sicurezza, e il viceprefetto Paola Mannella, direttore dell'Ufficio legislazione e affari parlamentari dell'Ufficio per l'amministrazione generale del Dipartimento della pubblica sicurezza, che ringrazio per la loro presenza.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera; se il nostro ospite lo riterrà opportuno, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Quindi, ove ci fossero delle esigenze, passeremo per delibera alla seduta segreta.
  Do la parola al Prefetto Gabrielli, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimento.

  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Onorevole presidente, onorevoli commissari, in apertura del mio intervento mi preme rivolgere un sentito ringraziamento per l'opportunità che mi viene offerta di svolgere un punto sullo stato della sicurezza delle periferie delle nostre 14 grandi città.
  Si tratta di un tema che, sull'onda di una serie di episodi e circostanze di varia rilevanza, è tornato al centro di un vivace dibattito sulle cause del disagio in cui versano i quartieri più eccentrici delle realtà metropolitane e sulle possibili politiche pubbliche da attuare per superarle.
  La stessa Commissione europea si è via via sempre più interessata ai problemi della città, considerati come punti di attacco fondamentali per la realizzazione delle politiche per l'occupazione e l'inclusione sociale, arrivando a dettare una vera e propria agenda in cui viene sottolineata l'importanza di una rigenerazione dei tessuti urbani. A questi sforzi non è rimasto estraneo neanche il nostro Paese, dove, a partire dal 2012, non sono mancate iniziative del Governo volte a stimolare l'avvio di un ripensamento delle politiche per la città. Il riaffacciarsi del problema periferie non ha mancato di interrogare anche l'amministrazione della pubblica sicurezza, che dal 2015 ha messo in campo una serie di sforzi nell'intento di rinnovare i propri modelli di prevenzione generale e di contrasto ai fenomeni criminali che si manifestano negli ambienti urbani più densamente popolati.
  Prima di entrare nel merito delle situazioni relative a ciascuna città, consentitemi un'annotazione preliminare. Mi riferisco Pag. 4alla profonda trasformazione delle realtà metropolitane, che nell'ultimo trentennio si sono sempre più sviluppate secondo un modello orizzontale nel senso della dilatazione sia degli spazi edificati, sia dei livelli di governance del territorio. Questa evoluzione ha cambiato anche la nozione di periferia, mettendo a nudo l'insufficienza dei criteri classici della distanza dal centro e dell'esistenza di uno stato di marginalità sociale ed economica. Più di questi fattori assumono oggi rilievo le condizioni della qualità urbana, misurata su parametri afferenti ai livelli di sicurezza, di fruibilità e di vivibilità e l'incidenza che su di essi possono avere i fenomeni sia di degrado, quali la prostituzione da strada, sia criminali, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti. Il complesso di questi fattori sta all'origine delle dinamiche che portano le comunità dei quartieri più in sofferenza a smarrire il senso di appartenenza alla città, intesa come luogo condiviso, dove si sviluppano organicamente i rapporti tra gruppi sociali caratterizzati da varietà di comportamenti e culture. Sono questi meccanismi che quando giungono alle estreme conseguenze portano alla nascita di enclave, a composizione monoetnica o monoculturale, capaci di diventare il terreno di coltura di fenomeni di radicalizzazione di soggetti pronti a tramutarsi in feroci terroristi, come quelli che hanno perpetrato gli efferati attacchi in Francia e in Belgio del 2015 e del 2016. Nel nostro Paese, in cui ogni quartiere ha la propria diversificata comunità di stranieri, non siamo ancora – e sottolineo 2-3 volte «ancora» – giunti a questo livello, ma ciò non toglie che il rischio di una simile involuzione debba comunque essere preso in considerazione e che occorra adottare le misure necessarie affinché esso non si concretizzi. Tutto ciò per dire che le periferie oggi non coincidono con i sobborghi esterni della cinta urbana, ma si identificano anche in quartieri incuneati nel centro metropolitano. Roma, Milano, Napoli, ma anche Genova e Torino recano significativi esempi di questa evoluzione. Le periferie sono, dunque, una realtà profondamente eterogenea e complessa, che presenta significativi elementi di diversificazione non solo da città a città, ma anche all'interno del medesimo agglomerato urbano. L'esistenza di queste forti differenze è puntualmente rispecchiata dal quadro composito di fattori che in ciascun contesto producono impatti sullo stato della sicurezza.
  Se l'onorevole presidente lo consente, mi soffermerei, anche per ragioni di tempo, sulle tre più grandi realtà metropolitane: Roma, oggetto di specifiche richieste conoscitive di codesta onorevole Commissione, Milano e Napoli. Sulle altre grandi città mi limiterei a fornire più sintetici ragguagli.
  Parto dalle periferie romane. Roma, con i suoi quasi 3 milioni di residenti e una comunità di 364.000 stranieri irregolari distribuiti nel territorio della città metropolitana, rappresenta un vero e proprio caleidoscopio nel quale è possibile scorgere una multiformità di situazioni che, sia pure con alcune non trascurabili variabili, si ritrovano spesso in altre grandi realtà urbane. Nonostante la complessità del momento attraversato dalla Capitale, l'andamento della sicurezza rilevato conosce un segno marcatamente positivo. A partire dal 2015 il numero dei reati, sia quelli di maggiore allarme sociale, sia quelli predatori, è sensibilmente diminuito, in una misura che si è fatta più significativa lo scorso anno, durante il quale si è registrata una riduzione pari a circa il 15 per cento. Si tratta di un dato sul quale ha sicuramente influito positivamente anche il capillare dispositivo di controllo del territorio attuato durante l'Anno Santo, ma che, al contempo, appare significativo di una tendenza strutturale, se viene riguardato insieme ad altri indici. Solo nei primi 11 mesi dello scorso anno a Roma e nel suo hinterland sono stati scoperti gli autori di oltre 26.000 reati, con la denuncia o l'arresto di circa 40.000 persone, mentre le misure di prevenzione patrimoniali applicate hanno consentito di sottrarre ai sodalizi delinquenziali beni per un valore superiore agli 830 milioni di euro. Questi risultati non cancellano il differenziale che permane tra il livello della sicurezza rilevata e quello percepito nella Capitale, uno iato che – mi preme sottolinearlo – si ascrive in parte a Pag. 5fattori riconducibili al sistema sicurezza, tra cui anche la distribuzione non omogenea dei presìdi sul territorio urbano, e in altra parte, forse maggiore, alla sensazione di insicurezza e di indifferenza alle regole suscitata dalle situazioni di degrado e di disagio esistente in diversi quartieri romani. Da questo punto di vista le periferie di San Basilio, Tor Sapienza, Ponte di Nona e Tor Bella Monaca rappresentano senz'altro aree connotate da un più forte tasso di problematicità. Nella zona di San Basilio e Tor Sapienza la rete dei presìdi territoriali di polizia è assicurata, oltre che da due stazioni dell'Arma dei Carabinieri, dal Commissariato di pubblica sicurezza San Basilio, che oggi conta su una dotazione effettiva di 81 unità. Si tratta di un organico che presenta alcuni vuoti, anche se occorre dire che nella zona gravitano sia altri uffici della questura, sia la sede del Compartimento e della sezione della Polizia stradale, sia, ancora, il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza. I distretti di Tor Bella Monaca e Ponte di Nona sono, invece, presidiati, oltre che da due stazioni dei Carabinieri, dai Commissariati Casilino nuovo, con una forza di 129 unità, e Prenestino, con una forza di 159 unità. Anche in questo caso gli organici presenti hanno scoperture, che per il Commissariato Casilino nuovo sono inferiori alla media delle vacanze organiche riscontrabili negli uffici della Polizia di Stato della Capitale e che comunque potranno essere ripianati nel tempo in occasione dei nuovi reclutamenti. Nel complesso, negli uffici della Polizia di Stato, ivi compresi quelli operanti presso sedi istituzionali, sono presenti 11.483 unità di personale a fronte di un organico pari a 11.373. Nel corso del 2016 nelle aree citate sono stati denunciati o accertati solo dai competenti Commissariati di pubblica sicurezza 1.759 delitti. La fattispecie più ricorrente riguarda, insieme ai furti (938), i reati in materia di stupefacenti, con 161 episodi segnalati all'autorità giudiziaria. L'incidenza di quest'ultima tipologia di delitti trova spiegazione nel fatto che proprio in queste quattro periferie si concentrano non solo piazze dello spaccio particolarmente frequentate, ma anche le basi utilizzate dai sodalizi criminali per smistare la droga verso i quartieri della movida romana. Il distretto di Tor Bella Monaca rappresenta un esempio paradigmatico di come i fenomeni di degrado e di abbandono possano favorire il radicamento di manifestazioni di illegalità. Il quartiere, nato negli anni Ottanta e composto da edifici residenziali pubblici, conta oggi una popolazione di 40.000 residenti ufficiali e una forte concentrazione di extracomunitari, con la presenza di tre associazioni a carattere religioso e culturale frequentate soprattutto dai cittadini del Bangladesh, dell'India, del Marocco e della Tunisia. Nella zona il basso livello dei servizi e delle infrastrutture pubbliche si associa a un'alta concentrazione di pregiudicati, anche appartenenti a famiglie storiche della criminalità romana, in particolare nell'area denominata Le Torri, dove in passato si sono registrati numerosi episodi di occupazione abusiva. È significativo che nel quartiere siano circa 300 i residenti destinatari di misure di prevenzione o di sicurezza. A ciò si aggiunge la presenza di una delinquenza minorile dedita al piccolo spaccio di stupefacenti, a reati predatori e ad altre forme di violenza non di rado fini solo a sé stesse. In un contesto così difficile non stupisce come la maggioranza dei residenti estranea all'ambiente criminale mantenga un atteggiamento remissivo, indotto dalla forza dei condizionamenti subiti. L'azione di contrasto sviluppata dalle forze di polizia nelle quattro periferie si è fortemente concentrata sulla disarticolazione dei gruppi dediti al traffico e allo spaccio di stupefacenti. Per un verso, è stata intensificata l'attività di controllo del territorio, con iniziative mirate cui hanno concorso anche i Reparti prevenzione crimine della Polizia di Stato. Nel corso di tali attività il personale dei Commissariati San Basilio e Casilino nuovo ha sequestrato durante lo scorso anno circa 107 chilogrammi di stupefacenti, nonché armi clandestine, anche da guerra, procedendo alla denuncia o all'arresto di 315 persone. Sono 76 le ordinanze di custodia cautelare eseguite nel quartiere. Insieme a questo la Squadra mobile capitolina ha impresso un forte impulso all'attività investigativa Pag. 6 finalizzata a disarticolare i sodalizi in lotta tra loro per la conquista delle piazze dello spaccio. Le articolate iniziative di indagini coordinate dalla DDA hanno permesso nel luglio del 2016 di disarticolare la rete di trafficanti facente capo alla famiglia Cordaro, che aveva conquistato il predominio nel comparto R9 di Tor Bella Monaca, conseguendo introiti ingentissimi, stimabili in 100.000 euro al giorno, puntualmente reimpiegati in attività commerciali ed economiche. L'iniziativa ha portato all'esecuzione di provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti di 37 soggetti. Nell'occasione sono state eseguite perquisizioni per blocchi di edifici, modus operandi che ha consentito di trovare e sequestrare, oltre a rilevanti quantità di droga, anche armi e ingenti somme di denaro. Il successivo 12 ottobre un'altra iniziativa di indagine ha permesso di assicurare alla giustizia un pregiudicato resosi responsabile di un tentato omicidio nell'ambito della lotta per l'egemonia sui luoghi di spaccio. Nel successivo mese di novembre si sono concluse due ulteriori attività investigative. Una di esse ha permesso di arrestare 26 persone appartenenti a diversi sodalizi attivi nel traffico di stupefacenti nell'area di Tor Bella Monaca. La seconda ha portato all'arresto di una donna resasi responsabile di un tentato omicidio, sempre riconducibile alla dinamica dei contrasti tra trafficanti di droga. Nell'ambito dell'operazione è stata tratta in arresto un'altra donna appartenente al clan Cordaro per il reato di traffico di stupefacenti. Tali iniziative si inquadrano nell'articolata attività antidroga di disarticolazione delle organizzazioni criminali che gestiscono il traffico nella Capitale realizzata attraverso 1.954 operazioni che hanno permesso di sequestrare 2.220 chilogrammi di stupefacenti.
  Un ulteriore elemento di criticità è riconducibile a una serie di fenomeni e comportamenti che si sviluppano intorno ai campi rom, sia quelli autorizzati dall'amministrazione capitolina, sia quelli sorti abusivamente. Le situazioni più incidenti sono gli insediamenti di via Salviati, sito in una zona contigua a San Basilio e a Tor Sapienza, e di via Salone. Si tratta, in entrambi i casi, di campi autorizzati, caratterizzati da una popolazione cospicua, dedita spesso al rovistaggio dei contenitori dei rifiuti finalizzato alla ricerca di oggetti e materiali, in particolare di quelli ferrosi suscettibili di recupero. Le ricadute di tali attività riguardano la combustione dei residui scartati, che determina fenomeni di inquinamento ambientale, con grave nocumento per la popolazione. A questi si aggiungono i campi realizzati abusivamente nelle aree più degradate e isolate delle periferie, il più grande dei quali è quello sito in via Costi, nel quartiere Tor Sapienza. Faccio appello alla mia precedente esperienza di prefetto di Roma per ricordare che su questo versante sono state intraprese, tra il 2015 e il 2016, diverse iniziative volte, per un verso, a intensificare il controllo mobile del territorio nelle aree circostanti gli insediamenti autorizzati e, per un altro, a scoprire gli autori dei roghi, contestando loro il reato di illecita combustione dei rifiuti. Inoltre, la prefettura è stata parte attiva per promuovere un'intensificazione dei controlli sugli esercenti l'attività di recupero di materiali ferrosi, che ha anemizzato i canali di acquisto illegale dei medesimi materiali nella Capitale.
  Come ho già avuto modo di accennare, le quattro periferie di Roma sono caratterizzate da forte presenza di immigrati, che nel capoluogo e nel resto della provincia assommano a 364.057 unità regolarmente soggiornanti. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 8.189. La presenza di associazioni e centri che prestano assistenza agli stranieri non è però un dato che si riscontra in tutti questi distretti. A Tor Bella Monaca risultano attive tre associazioni di carattere prevalentemente religioso e culturale, frequentate da cittadini indiani, marocchini, tunisini, nigeriani e del Bangladesh. Nell'area di San Basilio sono invece presenti diversi centri e strutture di accoglienza dei migranti. Due di essi sono inseriti nella rete dello SPRAR e ospitano un centinaio di stranieri. Altre quattro strutture sono dedicate all'accoglienza dei migranti e ospitano, allo stato, circa 160 extracomunitari, Pag. 7 una novantina dei quali sono minori. Aggiungo che sempre a San Basilio ha sede l'associazione Italia e Ucraina, che svolge un'attività di mediazione culturale in favore dei cittadini di quel Paese. Nel quartiere di Ponte di Nona è oggi attivo un centro di accoglienza per extracomunitari richiedenti asilo, nel quale sono ospitate 80 persone, mentre nell'agosto dello scorso anno è stato chiuso un centro di preghiera a seguito dell'accertamento di irregolarità edilizie. Di contro, nell'area di Tor Sapienza non risultano attive associazioni o strutture di accoglienza.
  In questa panoramica ho lasciato per ultimo il tema delle occupazioni abusive. Si tratta di un fenomeno con il quale Roma si è dovuta ciclicamente confrontare, ma che si è accentuato in questi anni di crisi, in cui la crescente domanda di alloggi non riesce a trovare una risposta adeguata né nel libero mercato immobiliare e delle locazioni, né nell'offerta di housing pubblico. A questo si aggiungono le difficoltà incontrate sia dall'amministrazione capitolina, sia dagli altri enti nel realizzare una sana gestione di un patrimonio edilizio pubblico che, nonostante tutto, rimane di proporzioni ingenti. Questo complesso di fattori è alla radice delle occupazioni abusive perpetrate ai danni degli edifici dell'edilizia residenziale pubblica rimasti temporaneamente liberi in attesa della loro presa in consegna da parte dei legittimi assegnatari. A questa criticità sono ovviamente più esposte le quattro periferie di cui ho trattato, proprio perché in esse si concentra un'alta percentuale di alloggi popolari. Le invasioni di edifici sono, dunque, una presenza ricorrente in queste aree, che si manifesta in maniera più accentuata a San Basilio e nel contiguo quartiere Tiburtino III, nonché a Tor Bella Monaca, dove non di rado i plessi abitativi vengono privati delle indicazioni dei numeri civici e dei residenti e anche i box e i locali sotterranei diventano oggetto di abusive utilizzazioni da parte di soggetti privi di titolo. Il fenomeno non è comunque appannaggio solo delle quattro periferie di cui stiamo parlando, ma si riscontra, con dinamiche non differenti, anche in altre zone di Roma. Ne è un esempio la situazione del complesso di Corviale, il cui progetto di riqualificazione promosso dalla competente ATER deve fare i conti con i numerosi occupanti abusivi di unità immobiliari utilizzate anche per l'esercizio di attività economiche e professionali. Non sono però solo gli appartamenti dell'edilizia residenziale pubblica a essere oggetto delle invasioni illegali. Il bersaglio delle occupazioni sono anche stabili inutilizzati o siti industriali dismessi. In taluni casi questi edifici diventano il ritrovo di soggetti senza fissa dimora, di etnia rom o di nazionalità straniera, come accade per taluni immobili situati nell'area di San Basilio. Più frequenti però sono le occupazioni gestite dai movimenti antagonisti. Questi ultimi, in un più ampio contesto di rivendicazione dei diritti sociali, hanno da tempo avviato una campagna per il diritto alla casa, nell'intento di acquisire consensi tra le fasce più deboli, non esclusi gli immigrati, che vengono incoraggiate a intraprendere percorsi di impegno politico all'interno degli stessi movimenti. Si inquadra in questo contesto la costituzione, ormai da alcuni anni, della rete denominata «Abitare nella crisi» e un più frequente ricorso all'occupazione degli immobili. Nel recente passato Roma è stata il teatro di una serie di iniziative coordinate dal mondo antagonista, i cosiddetti Tsunami Tour, che avevano portato, in particolare negli anni tra il 2011 e il 2013, all'invasione in contemporanea anche di 5-6 edifici alla volta. Complessivamente, agli inizi del 2015 le occupazioni di stabili di varia matrice, non esclusa quella riconducibile all'estremismo di destra, sono 111. Il numero degli edifici illegalmente occupati si è oggi ridotto a 101 (-9,1 per cento), distribuiti nei diversi quartieri romani, compresi quelli del centro. Di essi 7 sono situati nella zona di Tor Sapienza, 6 in quella di San Basilio e uno nell'area di Ponte di Nona. L'inversione di tendenza è stata resa possibile da una mirata strategia messa in campo dalle autorità provinciali di pubblica sicurezza tesa, per un verso, a bloccare i tentativi di realizzare nuove invasioni e, per un altro, a incidere sulle dimensioni del fenomeno, avviando un programma di graduale liberazione Pag. 8 degli edifici in modo da diluire gli impatti per l'ordine pubblico. Colgo l'occasione per riferire che gli interventi diretti ad arrestare questa deriva di illegalità, che rischia anche di essere uno dei leitmotiv di campagne strumentali a sfondo xenofobo, non si sono limitati al solo contesto della Capitale. Durante lo scorso anno su tutto il territorio nazionale sono stati sgomberati 54 edifici, con l'arresto di 12 persone e il deferimento all'autorità giudiziaria per vari reati di altre 381.
  Passo a fornire una panoramica sulla situazione di Milano, il cui assetto urbanistico è caratterizzato da uno sviluppo su una superficie relativamente circoscritta, che resta delimitata a una ravvicinata cintura di comuni, anche particolarmente popolosi. In questo contesto le periferie sono più prossime al centro, con la conseguenza che i fenomeni di degrado e di disagio diventano in qualche maniera più evidenti. Mi preme sottolineare che il capoluogo lombardo fa registrare un trend positivo degli indicatori della sicurezza rilevata. Difatti, anche nel 2016 si è assistito a una diminuzione dei delitti (-5,3 per cento), in particolare degli omicidi, delle rapine e dei furti. I dati, non ancora del tutto consolidati, mettono in luce come nello scorso anno le attività investigative svolte dalle forze di polizia abbiano portato a individuare gli autori di oltre 15.000 delitti, con la denuncia e l'arresto di più di 23.000 persone. A questi risultati si aggiunge il sequestro di beni per oltre 31 milioni di euro attuato in esecuzione di misure di prevenzione. Le periferie più esposte ai fenomeni di criminalità diffusa e di degrado ricadono principalmente nella giurisdizione dei Commissariati di pubblica sicurezza Lambrate, Mecenate, Quarto Oggiaro e Scalo Romana, i cui organici sono stati nel tempo rafforzati proprio per far fronte alle esigenze di contrasto. Attualmente, infatti, la dotazione organica di questi uffici supera quella teorica prevista in una misura percentuale che va da un minimo del 7 per cento per il Commissariato Mecenate a un massimo del 22 per cento per il Commissariato Lambrate. Aggiungo che, in linea generale, gli uffici dei reparti della Polizia di Stato di Milano presentano scoperture organiche che complessivamente non superano il 5,3 per cento. Si tratta quindi di vacanze che possono essere considerate quasi fisiologiche, se si tiene conto che la Polizia di Stato risente a livello nazionale di carenze pari al 14,5 per cento del complessivo organico teorico. Nel complesso, negli uffici della Polizia di Stato operano 5.779 unità di personale, a fronte di un organico pari a 6.100. Grazie anche a una situazione tutto sommato favorevole, oltre che al livello di professionalità degli operatori, è stato possibile mantenere un capillare dispositivo di controllo del territorio, ed è proprio tale dispositivo che ha consentito, nella notte tra il 22 e il 23 dicembre scorso, di individuare e neutralizzare a Sesto San Giovanni l'autore della strage di Berlino. Dal punto di vista dei fenomeni di criminalità diffusa il capoluogo lombardo presenta alcune peculiarità. La più evidente è la presenza delle bande giovanili formate da sudamericani, in prevalenza ecuadoregni, peruviani, dominicani e salvadoregni, che si rendono protagoniste di reati predatori, nonché di risse e aggressioni perpetrate soprattutto nei parchi, presso le fermate della metropolitana e delle aree di circostanza e nei luoghi di aggregazione. La logica di queste azioni violente è la conquista del predominio su porzioni di territorio e sui traffici criminali che su di essi si sviluppano, tra cui anche lo spaccio della droga. Si iscrive in questa dinamica e nei contrasti per il controllo dello spaccio degli stupefacenti l'aggressione del 12 novembre scorso a un cittadino dominicano, deceduto due giorni dopo, avvenuto nella zona tra Piazzale Loreto e via Padova, un punto in cui centro e periferia sono a diretto contatto. Le indagini sviluppate hanno consentito di individuare e trarre in arresto, nella notte tra il 5 e il 6 dicembre, uno dei responsabili dell'episodio. Durante lo scorso anno, peraltro, la Squadra mobile di Milano ha concluso con successo diverse operazioni di contrasto alla criminalità delle gang giovanili. Tra queste meritano una particolare menzione le attività investigative culminate il 29 gennaio 2016 nell'esecuzione di un'ordinanza Pag. 9 di custodia cautelare nei confronti di tre affiliati alla banda dei Latin Kings Chicago, resisi responsabili dell'uccisione di un soggetto del clan rivale MS-13, e quelle riguardanti l'omicidio di un soggetto e il tentato omicidio di un altro, verificatisi il 3 luglio del 2016. Le accurate indagini della Squadra mobile, conclusesi il successivo 11 agosto, hanno permesso di individuare e trarre in arresto 8 stranieri, tutti appartenenti alla citata gang degli MS-13. Anche gli interessi delle bande sudamericane nel traffico della droga sono stati oggetto di importanti iniziative di indagine. In particolare, l'operazione Badlands, sviluppata tra il settembre e l'ottobre dello scorso anno dalla Squadra mobile in collaborazione con il Commissariato di pubblica sicurezza Comasina, ha permesso di arrestare quattro soggetti resisi responsabili per diversi reati in materia di stupefacenti. Lo spaccio è uno dei fenomeni di criminalità diffusa più ricorrenti sia in alcune zone più centrali come il quartiere San Siro e l'area circostante Porta Venezia e la stazione centrale, sia in alcuni quartieri periferici dove immobili a uso industriale ormai in disuso vengono sovente utilizzati come luogo di spaccio degli stupefacenti e per l'esercizio della prostituzione. I distretti più esposti sono soprattutto quelli di Lambrate, Quarto Oggiaro e Rogoredo. Lo scorso anno proprio in quest'ultima area è stata sviluppata una pressante attività di prevenzione generale e controllo interforze che ha permesso di ridurre significativamente la presenza dei pusher intorno all'area della stazione ferroviaria. Complessivamente, durante il 2016 l'attività antidroga sviluppatasi attraverso 1.198 operazioni ha permesso di sequestrare 1.135 kg di stupefacenti e di denunciare all'autorità giudiziaria 1.519 soggetti, 1.193 dei quali arrestati. Nei distretti di competenza dei quattro Commissariati milanesi sono, inoltre, numerose le occupazioni abusive di appartamenti di edilizia popolare. Per contrastare questo fenomeno è stata avviata un'intensa collaborazione interistituzionale che coinvolge la prefettura, la questura e le società che gestiscono il patrimonio dell'edilizia residenziale pubblica. Il protocollo operativo stipulato ha consentito di sviluppare importanti sinergie e contrastare i tentativi di nuove invasioni e di avviare un programma delle operazioni di sgombero delle occupazioni più risalenti. Negli stessi distretti peraltro insistono, insieme ad alcuni campi rom regolamentati dal comune di Milano, anche una serie di insediamenti abusivi, concentrati soprattutto nella zona orientale. Nei confronti di tali insediamenti sono state intraprese iniziative di sgombero, che vengono realizzate delle forze di polizia in collaborazione con la Polizia locale. Milano, dove risiedono poco più di 1.300.000 abitanti, e il suo hinterland hanno assunto in questi anni una composizione sempre più multietnica. Gli stranieri regolarmente soggiornanti nel capoluogo meneghino e nel resto della provincia sono, infatti, 471.222, pari a circa il 12 per cento della popolazione. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 5.466 unità. Le presenze e le attività economiche degli stranieri sono distribuite in diverse aree, situate in quartieri dell'area orientale e sudorientale della città. Si tratta di insediamenti che, seppure concentrati e con caratterizzazioni immediatamente riconoscibili, non assumono dimensioni tali da costituire veri e propri quartieri autonomi. Non mancano comunque situazioni di degrado urbano legato sia alle condizioni in cui versano gli edifici dove sovente abitano gli immigrati, sia la presenza di altri fattori negativi, quali le occupazioni abusive. Nei quartieri a maggiore presenza di stranieri sono attive associazioni e centri religiosi e di mediazione culturale. In particolare, nella zona orientale si concentra una serie di luoghi di aggregazione di fedeli musulmani, tra i quali vanno segnalati il centro di via Anacreonte e la Casa della cultura islamica di via Padova, particolarmente frequentata. Nella stessa zona hanno sede anche diversi sodalizi legati all'UCOII. Al momento la presenza dell'attività di questi centri non ha dato luogo a specifiche problematiche sul piano dell'ordine pubblico, né sono emersi fenomeni di radicalizzazione religiosa tra i loro frequentatori. Sempre in questa zona si concentrano alcuni comitati di associazioni composte da cittadini egiziani, Pag. 10 siriani e curdi che gravitano nell'orbita dell'associazione islamica di Milano con sede in via Padova. Mirate attività investigative hanno, invece, riguardato sin dal 1993 le attività di proselitismo svolte all'interno dell'Istituto culturale islamico. L'istituto è uno dei punti di maggiore aggregazione dei fedeli di religione musulmana, grazie anche alle attività di assistenza svolte in favore dei correligionari. Completo il quadro riferendo che nella città sono, inoltre, attivi cinque centri religiosi frequentati dalla comunità dei cittadini del Bangladesh e un altro centro cui fa riferimento la comunità turca.
  Rispetto alle altre realtà metropolitane, Napoli presenta caratteristiche uniche, a cominciare dalla sua densità abitativa, la più alta d'Italia, con 8.309 abitanti per chilometro quadrato, un dato peraltro comune al suo hinterland, dove risiedono 3.100.000 abitanti. Peculiare è anche la dislocazione dei quartieri che in un'accezione moderna possiamo considerare come le periferie. Essi infatti si identificano sia in zone del centro, sia nei distretti esterni, sviluppatisi in maniera tumultuosa per effetto del processo di ricostruzione conseguente al sisma del 1980. È su queste aree che si innesta l'ulteriore elemento del radicamento storico dei gruppi camorristici che mirano ad affermare il controllo, anche di tipo militare, su aree della città considerate essenziali per i loro traffici illeciti. In questo contesto i duri colpi inferti dalle forze di polizia ai clan, con la cattura di esponenti di spicco e di elementi di più basso livello criminale, hanno determinato vuoti di potere all'origine degli scontri tra i diversi sodalizi alla ricerca dell'affermazione della propria egemonia. Lo testimonia il dato degli omicidi verificatisi lo scorso anno, che, seppure in diminuzione rispetto al 2015 (-8,3 per cento), evidenziano un numero consistente di episodi ascrivibili a dinamiche di criminalità organizzata (26 casi su 36). Nei quartieri dove è più forte il disadattamento giovanile la camorra esercita una forte attrattiva anche nei confronti dei minori, favorendone l'ingresso nei propri ranghi per impiegarli nei traffici tipici della microcriminalità, nel traffico di armi o per il controllo delle piazze dello spaccio. Insieme ai fenomeni di criminalità organizzata la situazione delle periferie napoletane è caratterizzata da una marcata presenza della delinquenza comune dedita soprattutto a reati predatori. In questo contesto si inserisce il fenomeno delle baby gang, che, in una perversa logica di emulazione dei gruppi camorristici, ricorrono a forme di accentuata violenza per commettere atti di bullismo ai danni di persone e di vandalismo ai danni degli edifici pubblici, in particolare di quelli scolastici. In questo contesto l'azione investigativa e di controllo del territorio ha consentito, nello scorso anno, come emerge dalle prime elaborazioni statistiche, non ancora definitive, di scoprire gli autori di quasi 11.000 reati e di denunciare all'autorità giudiziaria 18.000 persone, delle quali 5.720 sono state arrestate. Nel complesso, i reati commessi a Napoli sono diminuiti lo scorso anno del 3,1 per cento. A ciò si aggiungono le iniziative di prevenzione dirette all'aggressione alla ricchezza illecita dei clan, grazie alle quali è stato possibile sequestrare beni per oltre 108 milioni di euro. Si tratta di dati sicuramente positivi, ma che evidentemente non compensano i bassi livelli di sicurezza percepita da una comunità che vede anche i luoghi della downtown diventare teatro di sanguinose azioni criminali. Ne è riprova l'agguato del 4 gennaio scorso, avvenuto a ridosso della centralissima Piazza Garibaldi, in cui sono rimasti feriti tre immigrati e una bambina di dieci anni. I quartieri che più soffrono di questa situazione sono i distretti esterni di Scampia, Ponticelli e Secondigliano e quelli di Forcella e dei rioni Sanità e Traiano, inseriti nel tessuto urbano storico. Su queste aree opera la rete dei diversi commissariati di pubblica sicurezza, che, in alcuni casi, risentono di vuoti organici. Segnalo, tuttavia, che alcuni di questi uffici, in particolare quelli competenti per l'area di Secondigliano (47 operatori) e Ponticelli (54 operatori), versano in una situazione sostanzialmente coincidente con i livelli delle dotazioni organiche teoriche previste. In considerazione della carenza degli organici della Polizia di Stato, che vede 5.747 unità effettive a fronte di 6.873 previste, le sofferenze Pag. 11 degli uffici della Polizia di Stato di Napoli saranno una delle priorità di cui occorrerà tenere conto in occasione delle prossime immissioni di personale. I fenomeni criminali più diffusi riguardano, insieme ai furti e alle rapine, il traffico degli stupefacenti, alimentato dai clan camorristici, non ultimi quelli che si trovano nei territori dell'area vesuviana e dei comuni di Torre Annunziata e Castellammare di Stabia. Le attività di spaccio sono esercitate con forme diversificate. Accanto all'autorizzazione di strutture tipiche chiaramente riconoscibili e sorvegliate presenti, in particolare, nell'area di Soccavo e del rione Sanità, stanno prendendo piede sistemi in cui la vendita al dettaglio della droga avviene sulla base di ordinazioni e consegne singole effettuate prelevando la sostanza in punti di appoggio preorganizzate. Si tratta di modalità poste in essere nel chiaro intento di eludere i controlli di polizia, ma che comunque non hanno impedito lo sviluppo, durante il 2016, nel solo comune di Napoli di 604 operazioni di contrasto, con la denuncia di 924 persone, di cui 807 arrestate, e il sequestro di più di 288 chilogrammi di stupefacenti. Il capoluogo partenopeo non è immune dal fenomeno dell'invasione di edifici, non solo nei quartieri cui ho fatto prima cenno, ma anche in quelli di San Giovanni a Teduccio, Pianura e Piscinola. Nel tessuto cittadino esistono anche insediamenti abusivi di nomadi. I campi più importanti sono oggi 6. Secondo una stima comunicata dalla questura, vi vivono circa 1.700 persone, più di un terzo delle quali sono minori. Per due di tali insediamenti, quelli situati nei pressi di via Brecce a Sant'Erasmo e di via Cupa del Cimitero nel quartiere Barra, l'autorità giudiziaria aveva in origine disposto lo sgombero, incaricando dell'esecuzione la polizia locale. L'esecuzione di tale operazione è stata però sospesa per consentire al comune di Napoli di reperire soluzioni alloggiative per i dimoranti dei campi e di eseguire le necessarie attività di bonifica ambientale. Alla presenza di questi insediamenti si associano fenomeni, non dissimili a quelli riscontrati nella «Terra dei fuochi», conseguenti allo sversamento illegale di rifiuti. Sovente, infatti, alcuni dei dimoranti dei campi procedono a incendiare i rifiuti, o perché incaricati da terzi di provvedere al loro smaltimento illegale, o per ricavarne materiali ferrosi o in rame da immettere nel mercato clandestino. Per contrastare questo fenomeno sin dal 2013 è attivo un dispositivo che vede l'impiego di unità delle forze armate e di personale delle forze di polizia, cui si aggiungono mirati servizi di prevenzione generale. È grazie a queste attività che, durante lo scorso anno, è stato possibile sviluppare 1.633 servizi di pattugliamento che hanno permesso di deferire alla magistratura 132 persone, di cui 6 tratte in arresto. La comunità degli stranieri regolarmente soggiornanti nell'intero territorio della provincia di Napoli conta 96.289 persone, di cui oltre 22.000 provengono dall'Ucraina. In favore di queste comunità operano diverse associazioni, tre delle quali (Dedalus, ARCI e Somala) sono riconosciute e collaborano con l'Ufficio immigrazione della questura. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 3.934.
  Vengo alle altre realtà metropolitane del Nord. Tra le realtà metropolitane del Nord, Genova è forse quella che presenta uno dei più evidenti esempi di periferia incuneata nel centro storico. Mi riferisco all'area urbana prossima alla zona portuale storica, che conserva il peculiare assetto urbanistico fatto di stretti carruggi, dove insistono immobili in condizioni precarie. È in questa zona che trovano un terreno più fertile, in un quadro complessivo di sicurezza rilevata positiva, testimoniata da una regressione dei delitti, pari a circa il 10 per cento, fenomeni di criminalità diffusa come la prostituzione e lo spaccio di stupefacenti. Aggiungo che nella provincia l'organico della Polizia di Stato è pari a 2.352 unità effettive, a fronte di 2.736 previste. Sul versante dei reati in materia di stupefacenti sono state avviate mirate attività investigative volte a disarticolare i canali di rifornimento della droga. In particolare, l'operazione Trait d'union condotta dalla Squadra mobile genovese ha consentito di scoprire e disarticolare un'organizzazione composta Pag. 12da soggetti calabresi legati alle ’ndrine e da esponenti della malavita organizzata marsigliese. Complessivamente, l'azione di contrasto sviluppata in questo campo durante il 2016 attraverso 460 operazioni ha consentito di sequestrare più di 561 chilogrammi di droga, con il deferimento all'autorità giudiziaria di 556 persone, di cui 342 arrestate. Quanto alle forme di criminalità diffusa, segnalo che nel capoluogo ligure si sono registrate nel tempo occupazioni abusive. Dopo una serie di sgomberi, l'ultimo dei quali è stato eseguito il 14 dicembre scorso, le invasioni di edifici sono limitate a tre spazi adibiti a sedi di sodalizi del mondo antagonista. Le occupazioni a scopo abitativo sono invece circa 200, prevalentemente di immobili di proprietà degli enti di edilizia residenziale pubblica. Anche in tale ambito è stata avviata un'intensa attività di collaborazione interistituzionale, che ha consentito l'avvio di un graduale programma di liberazione degli edifici, in modo da diluire gli impatti sotto il profilo dell'ordine pubblico. Per quanto riguarda il fenomeno migratorio, nell'area metropolitana sono presenti 67.288 persone irregolarmente soggiornanti e 24 risultano le associazioni e le organizzazioni che operano per la mediazione culturale e l'inclusione delle stesse. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 2.786 unità.
  Torino annovera alcune aree particolarmente in sofferenza per l'elevato tasso di criminalità, come quelle di Porta Palazzo, Aurora e San Salvario, dove è anche diffuso lo spaccio di sostanze stupefacenti. Le diverse operazioni di polizia poste in essere hanno inferto duri colpi alla manovalanza del traffico di droga, con la scoperta di numerose abitazioni utilizzate come basi di fabbricazione e stoccaggio delle dosi. Infatti, nel corso delle 469 operazioni effettuate nel 2016 sono stati sequestrati oltre 1.099 kg di sostanze e sono state segnalate all'autorità giudiziaria 742 persone, di cui 604 in stato di arresto. Aggiungo che l'organico della Polizia di Stato nella provincia è pari a 3.373 unità effettive, a fronte di 3.924 previste. Per quanto riguarda la problematica dell'occupazione di immobili, tale fenomeno è particolarmente sentito nel capoluogo torinese, caratterizzato dalla presenza di forti componenti anarchiche e antagoniste. I centri sociali cittadini e le aree di matrice anarchica, attraverso sigle appositamente costituite riconducibili ai sodalizi Askatasuna e Gabrio, hanno avviato un'intensa attività di sostegno nei confronti dei cittadini di nazionalità italiana e straniera in stato di indigenza e destinatari di procedura di sfratto esecutivo per morosità. Allo stato, gli stabili occupati sono 24. Analogamente alle iniziative intraprese dai centri sociali riferibili all'area di sinistra, l'ala più intransigente del movimento anarchico ha intrapreso una campagna contro l'esecuzione degli sfratti per morosità. In ambito cittadino, infine, sono presenti alcuni insediamenti abusivi di soggetti di etnia rom intorno ai quali si verificano episodi di combustione di rifiuti. Segnalo, infine, che nel capoluogo piemontese e nella cintura dei comuni circostanti sono presenti 129.938 immigrati regolarmente soggiornanti e 56 organizzazioni attive nel campo della mediazione culturale e dell'inclusione sociale. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 6.164 unità.
  La peculiare conformazione del territorio di Venezia e la presenza di grandi infrastrutture di trasporto sono fattori che la malavita comune organizzata cerca di sfruttare a proprio vantaggio per sviluppare traffici illeciti. I fenomeni delinquenziali riscontrati sono dunque espressioni non solo della delinquenza comune, ma anche di quella a carattere transnazionale. Ciononostante, nel corso del 2016 l'andamento della delittuosità ha registrato un calo dei reati di oltre il 15 per cento. Il fenomeno dello spaccio al minuto di droga è diffuso, in particolare, nei parchi della terraferma. Nel corso delle 81 operazioni antidroga effettuate nel 2016 sono stati sequestrati oltre 503 kg di stupefacenti e sono state segnalate all'autorità giudiziaria 114 persone, di cui 71 in stato di arresto. Nel 2016 si sono, inoltre, verificate 19 occupazioni abusive di immobili, oltre a 14 episodi di invasione di terreni. Per superare alcune situazioni di degrado il comune Pag. 13di Venezia ha avviato l'ampio progetto di riqualificazione urbana Oculus, in esecuzione del quale la polizia locale ha eseguito vari sgomberi di insediamenti abusivi, perlopiù situati nelle zone di Marghera. Aggiungo che nel territorio della città metropolitana di Venezia i circa 70.000 immigrati presenti vengono assistiti da 55 organizzazioni finalizzate alla mediazione culturale e all'inclusione sociale. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 2.471 unità. Soggiungo, infine, che l'organico della Polizia di Stato nella provincia è pari a 1.343 unità effettive, a fronte delle 1.548 previste.
  La situazione delle due principali città del centro Italia, Firenze e Bologna, non desta particolare allarme sul piano dell'ordine e della sicurezza pubblica. Sia Firenze che Bologna fanno registrare un calo tendenziale dei delitti rispettivamente del 6 e del 10 per cento. Nel capoluogo toscano le manifestazioni criminali sono principalmente legate ai reati predatori, perpetrati soprattutto nei quartieri più esterni da soggetti e gruppi criminali locali. Lo spaccio degli stupefacenti, gestito in prevalenza da extracomunitari, è presente sia in zone del centro storico particolarmente frequentate da giovani e turisti, sia in alcuni distretti periferici, in particolare Rifredi, Novoli e Piagge. Su questo versante le forze di polizia hanno sviluppato un'intensa attività di contrasto, volta anche all'individuazione delle basi di rifornimento del mercato fiorentino. Ciò ha permesso di sequestrare nel 2016 più di 551 kg di stupefacenti e di denunciare 305 persone, di cui 195 arrestate. A differenza di altri contesti metropolitani il fenomeno delle occupazioni abusive a Firenze non assume dimensioni particolarmente significative. Le invasioni di unità alloggiative, in particolare di appartamenti sfitti o comunque non abitati, conosce una casistica limitata, ascrivibile perlopiù a cittadini extracomunitari. Sono invece una decina le occupazioni riconducibili al movimento antagonista «Lotta per la casa» e riguardano stabili siti soprattutto nel quartiere periferico di Novoli. A fronte dell'attivismo del predetto gruppo è stata intensificata l'azione di contrasto, con l'immediata liberazione e il sequestro degli immobili da parte della locale questura. Solo nel 2016 infatti sono stati eseguiti 7 sgomberi immediati, mentre per le situazioni di emergenza sociale connesse alle caratteristiche degli occupanti, in accordo con il comune e con l'autorità giudiziaria, è in corso di applicazione un programma che prevede la graduale risoluzione delle invasioni a mano a mano che si rendono disponibili adeguate soluzioni abitative regolari. Nel territorio di Firenze sono presenti 69.491 immigrati regolarmente soggiornanti e diversi centri di accoglienza gestiti da cooperative di mediazione culturale in stretta collaborazione con il sistema di assistenza delle Misericordie e gruppi di ispirazione religiosa, quali la Caritas diocesana e la Comunità di Sant'Egidio. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere pari a 5.514 unità. Segnalo infine che l'organico della Polizia di Stato della provincia è pari a 2.002 unità effettive, a fronte delle 2.106 previste.
  Anche a Bologna i fattori di criminalità più incidenti sui livelli di sicurezza percepita si individuano nella criminalità predatoria e nello spaccio di stupefacenti gestito soprattutto da stranieri. È quest'ultimo fenomeno a destare maggiore allarme sociale nella cittadinanza, alla luce dei decessi per overdose verificatisi durante lo scorso anno. Non diversamente da quanto si registra a Firenze, le aree urbane più interessate dal fenomeno si trovano sia nel centro, soprattutto nelle adiacenze dell'università e della stazione di Bologna centrale, sia nei quartieri popolari, quali San Donato e Bolognina. La mirata attività di contrasto sviluppata lo scorso anno con il supporto del locale Reparto prevenzione crimine della Polizia di Stato ha consentito di sequestrare più di 156 kg di stupefacenti e di denunciare 584 persone, di cui 481 arrestate. Quanto alle altre forme di illegalità diffusa, un'attenzione deve essere dedicata al fenomeno degli insediamenti abusivi che si concentrano in prossimità del fiume Reno, all'interno di aree demaniali o in corrispondenza di aree industriali dismesse. In tali insediamenti dimorano prevalentemente cittadini Pag. 14 dell'Est europeo dediti all'accattonaggio o a reati predatori. Tale fenomeno tuttavia è in forte calo, grazie ai frequenti servizi di bonifica e di abbattimento di costruzioni precarie effettuati dai commissariati di zona in collaborazione con la polizia locale. Il fenomeno delle invasioni di immobili di edilizia residenziale pubblica conosce una casistica limitata, grazie a una mirata strategia di contrasto che ha consentito alla polizia municipale, con l'ausilio delle forze di polizia, di recuperare 43 appartamenti nel solo 2016. Allo stato attuale, sono circa 30 le situazioni ancora da ripristinare. Potenzialmente più di rilievo è il tema dell'occupazione di edifici riconducibili ai diversi centri sociali attivi nel panorama bolognese, capaci di generare situazioni durature nel tempo di elevata precarietà e pericolosità per la stessa sicurezza degli occupanti. Su questo versante sono state avviate e coordinate iniziative che hanno permesso di azzerare il fenomeno. Negli ultimi due anni sono stati, infatti, eseguiti 19 sgomberi di edifici di rilevanti dimensioni, con la conseguenza che oggi sono soltanto due le occupazioni di edifici, peraltro a fini non abitativi, riconducibili a questi movimenti. A Bologna e nella provincia sono presenti 91.196 immigrati regolarmente soggiornanti, mentre risultano ospitati in diverse strutture 1.948 richiedenti asilo. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta pari a 2.420 unità. Sono una decina le associazioni che offrono supporto ai migranti anche per l'espletamento delle procedure amministrative relative alla richiesta d'asilo. In questo contesto, infine, segnalo che l'organico della Polizia di Stato nella provincia è pari a 2.350 unità effettive, a fronte delle 2.320 previste.
  La città metropolitana di Bari è caratterizzata da una compresenza di organizzazioni criminali e di forme di delinquenza comune. La malavita organizzata è costituita soprattutto da famiglie mafiose connotate da una struttura verticistica e a base rionale, con consolidati interessi illeciti, nei quali vengono coinvolti anche i minori con compito di manovalanza. Questi clan non hanno un punto di aggregazione stabile e danno vita ad alleanze temporanee e a frequenti contrasti per l'egemonia, in particolare sul traffico degli stupefacenti. Nondimeno, la versatilità nello stringere rapporti con altre consorterie malavitose, anche straniere, assicura ai sodalizi baresi un ampio bacino di relazioni anche a livello transnazionale che vengono sfruttate per ampliare gli interessi nel campo dei traffici illegali. In questo senso l'analisi dei dati emersi dalle numerose iniziative investigative dimostra come i clan, in particolare quelli più strutturati, tentino di penetrare anche nei comuni limitrofi per amplificare le occasioni di profitto illecito in settori meno frequentati e per condizionare la gestione della cosa pubblica. La criminalità comune sovente si intreccia e palesa forti contiguità con le locali organizzazioni mafiose. Similmente a queste ultime, essa si presenta particolarmente violenta e capace di coinvolgere ampie fasce della popolazione giovanile. Le manifestazioni delittuose più frequenti sono i furti, le estorsioni e le rapine, in particolare ai danni di portavalori e di Tir i cui conducenti restano talvolta anche vittime di sequestri di persona. In tale contesto, a partire dal 2014 sono stati sviluppati diversi progetti di contrasto alla criminalità diffusa, cui ha contribuito il locale reparto prevenzione anticrimine della Polizia di Stato, con positivi risultati sia nel campo della lotta ai reati contro il patrimonio, sia in quello della lotta allo spaccio di stupefacenti e allo sfruttamento della prostituzione. L'insieme delle misure ha finora consentito di ottenere risultati positivi, attestati dalla sensibile diminuzione dei delitti (-14 per cento). In particolare, sono state effettuate 233 operazioni antidroga, grazie alle quali sono stati sequestrati 2.616 kg di stupefacenti e denunciate 395 persone, di cui 348 in stato di arresto. Segnalo, in questo contesto, che l'organico della Polizia di Stato nella provincia è pari a 1.117 unità effettive, a fronte di 1.298 previste. Con riguardo alle altre forme di illegalità diffusa, viene segnalata la presenza di alcuni accampamenti di soggetti di etnia rom nelle zone periferiche del capoluogo, che, per le loro modeste dimensioni, non sembrano avere una particolare Pag. 15incidenza sull'ordine e la sicurezza pubblica. Nel territorio di Bari, ove risultano 40.557 stranieri regolarmente soggiornanti, è ubicato il centro di accoglienza richiedenti asilo di Bari Palese, che ospita attualmente oltre 1.600 immigrati in attesa di definizione della loro posizione di soggiorno in merito alla richiesta di protezione internazionale. Il dato delle persone presenti nelle diverse strutture di accoglienza risulta essere complessivamente pari a 3.335 unità. Sono peraltro numerose le associazioni e le organizzazioni che operano per l'inclusione degli stranieri nel territorio barese. Tra queste quelle più significative risultano essere Babilon, Help, CGIL, ARCI, Giraffa, Caritas, Encalmpal. Molte delle comunità straniere presenti nella città di Bari e nel territorio della città metropolitana sono organizzate in associazioni culturali, con annessi luoghi di preghiera. In particolare, a Bari sono attivi due luoghi di culto islamico, il più significativo dei quali è il Centro culturale islamico Rahma, dove sono state istituite anche le sedi nazionali della Comunità islamica d'Italia (CIDI) e dell'associazione onlus Consiglio supremo dell'Islam. Il centro, di ispirazione sunnita, è frequentato da alcune centinaia di musulmani originari sia dei paesi nordafricani, sia del Medio Oriente, che si riuniscono prevalentemente per la tradizionale preghiera del venerdì. L'altro centro culturale islamico del capoluogo è Al Umma, frequentato da un esiguo gruppo di cittadini del Bangladesh residenti nella zona.
  La disamina della situazione delle periferie di Reggio Calabria non può prescindere da alcune considerazioni sul forte condizionamento esercitato dalla ’ndrangheta. Tra le mafie storiche essa è sicuramente quella più pericolosa, per le sue caratteristiche claniche e fortemente verticistiche, che rendono più difficile la penetrazione investigativa. Sebbene articolata su base territoriale, la ’ndrangheta tende ad agire con processi decisionali unitari, strategicamente finalizzati ad assicurare compattezza ed efficacia d'azione anche in contesti diversi da quelli di origine, dove non può essere realizzato il controllo militare del territorio. Non mi dilungo sui variegati interessi criminali perseguiti da questa consorteria, che spaziano dai settori più tradizionali del narcotraffico, del riciclaggio dei capitali sporchi e dell'ingerenza nella cosa pubblica a campi più nuovi, quale la gestione dei giochi leciti e delle scommesse e le attività economiche nel campo delle energie alternative. Mi limiterò a sottolineare come queste attività illecite, seppur estremamente lucrose, non abbiano comunque indotto la ’ndrangheta ad abbandonare la sua dimensione più locale, ancorata al controllo del territorio di origine attraverso l'estorsione e l'usura praticata ai danni del tessuto imprenditoriale e commerciale. Proprio questa forte pressione del crimine organizzato fa sì che a Reggio Calabria la malavita comune sia una componente residuale, confinata in quei settori illeciti non di interesse delle cosche, quali reati predatori o tipici della delinquenza rurale di furti di rame, nonché lo spaccio al minuto degli stupefacenti. Aggiungo che il litorale ionico è meta di flussi di migranti irregolari, trasportati solitamente da natanti condotti da soggetti reclutati tra le marinerie del Mar Nero o su navi che vengono abbandonate in prossimità della costa. Proprio in considerazione di questa particolare situazione il dispositivo della Polizia di Stato, il cui organico nella provincia è pari a 2.017 unità effettive, a fronte delle 2.137 previste, è stato significativamente potenziato, con il distacco presso il Commissariato di Siderno e Gioia Tauro di due articolazioni della Squadra mobile di Reggio Calabria, ognuna composta da 20 operatori. A questo si aggiunge il costante supporto assicurato dal Reparto prevenzione crimine di Siderno e il concorso prestato dal Corpo delle Capitanerie di porto e dalle Polizie locali nell'ambito delle operazioni di controllo del territorio condotto in esecuzione di un delicato piano d'azione anti –’ndrangheta. Il complesso di questi interventi sta all'origine della marcata riduzione dei delitti commessi nel reggino durante il 2016 (-12 per cento) e della rilevante attività di contrasto nell'ambito della quale si inquadrano le operazioni che hanno portato alla cattura di 6 pericolosi latitanti. Inoltre, nel corso del 2016 sono Pag. 16state eseguite 81 operazioni antidroga, che hanno consentito di denunciare all'autorità giudiziaria 117 persone, di cui 101 in stato di arresto. Proprio in queste ore, peraltro, la Squadra mobile ha portato a termine una vasta operazione antidroga, che ha consentito di arrestare a Reggio Calabria e in altre città 19 affiliati a diverse cosche della Locride che gestivano un rilevantissimo traffico internazionale di narcotici, con pericolose ramificazioni in altri Paesi. Anche nelle periferie di Reggio Calabria sono presenti fenomeni di disagio riscontrati in altre realtà metropolitane. Le zone più toccate sono i quartieri di Ciccarello e Arghillà, che fanno, peraltro, registrare significativi insediamenti residenziali di soggetti di etnia rom. In particolare, nel rione Arghillà sono 110 gli alloggi popolari occupati abusivamente da famiglie rom. Fenomeni di invasioni illecite di edifici o complessi abbandonati da parte di soggetti extracomunitari si riscontrano nelle aree urbane del rione G e nel quartiere Gebbione. Per quanto riguarda il fenomeno migratorio, segnalo che il 2016 ha fatto registrare numerosi sbarchi, avvenuti, in particolare, presso il porto di Reggio Calabria, oltre che in diverse altre località della provincia. L'attività investigativa ha consentito di trarre in arresto 36 scafisti, ai quali è stato contestato il reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Gli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio della provincia sono 18.539, mentre nelle diverse strutture di accoglienza risultano presenti 1.518 persone. Completo l'esposizione su Reggio Calabria segnalando che nella città sono attivi due centri culturali frequentati da cittadini di fede musulmana, costantemente monitorati al fine di individuare eventuali soggetti contigui ad ambienti radicalizzati, nonché una sezione dell'Associazione giovani musulmani d'Italia, che opera nel campo della mediazione culturale e dell'inclusione sociale.
  Passo alle tre realtà metropolitane della Sicilia, cominciando da Palermo, dove, sia pure con alcune differenze, gli equilibri tra malavita organizzata e delinquenza comune presentano affinità con le dinamiche riscontrate a Reggio Calabria. Le importanti inchieste giudiziarie degli ultimi anni e la cattura dei boss storici latitanti hanno sicuramente minato la vitalità delle famiglie di Cosa Nostra, che oggi appare priva di un vertice regionale e di uomini d'onore di spicco. Le cosche mafiose non hanno però abbandonato il progetto di recuperare l'antica consistenza attraverso strategie che fanno perno su una maggiore integrazione tra famiglie e mandamenti differenti, allo scopo di conseguire un più incisivo controllo, anche economico, del territorio metropolitano. Si spiegano in questo modo, oltre che con le esigenze di mantenimento degli affiliati, gli sforzi per riguadagnare un ruolo di maggiore rilievo nel narcotraffico anche attraverso alleanze con ’ndrangheta e camorra. Non sono estranei a queste dinamiche i tentativi di infiltrazione nella gestione della cosa pubblica e il ricorso alla pratica dell'estorsione, che trova però una crescente resistenza nella società civile palermitana. A ciò si aggiungono gli interessi che le famiglie mafiose radicate nel capoluogo cercano di sviluppare attraverso traffici illeciti in settori meno tipici, quali l'energia rinnovabile, il gioco lecito e le scommesse, il ciclo dei rifiuti e il contrabbando di tabacchi lavorati esteri. Le cosche mafiose non mancano, peraltro, di stringere alleanze opportunistiche per lo sviluppo dei traffici illeciti con la criminalità straniera, che è particolarmente attiva nello sfruttamento della prostituzione e nei reati contro il patrimonio. Proprio su questo versante, nel novembre dello scorso anno, la Squadra mobile palermitana ha conseguito un importante successo con l'operazione Black Axe, che ha permesso di sgominare una pericolosa organizzazione con base in Nigeria, dedita al traffico di esseri umani e ad altri gravi delitti. In questo contesto anche a Palermo la delinquenza comune si concentra sua attività illecite di risulta, quali i furti di autoveicoli e in danno di abitazioni e le rapine ai danni di esercizi commerciali, uffici postali o istituti di credito perpetrati da tossicodipendenti o da bande di giovani malviventi. Questi fenomeni si riscontrano in tutta la città, senza distinzione di quartieri, dato anche il peculiare assetto del tessuto urbano, in cui Pag. 17quartieri a forte incidenza criminale si trovano a ridosso di zone del centro o residenziali. Del resto, anche la realtà urbana di Palermo presenta esempi di periferie inserite nel cuore della downtown. Si tratta di quartieri come Ballarò, Kalsa e Vucciria, che si sviluppano intorno a una viabilità angusta e in cui esistono situazioni di degrado immobiliare, un complesso di fattori che rende più difficoltoso l'immediato intervento delle forze di polizia. Non diversamente da altre realtà metropolitane, uno dei fenomeni di criminalità diffusa maggiormente incidenti è lo spaccio al minuto di stupefacenti. Il fenomeno è particolarmente presente in alcune specifiche piazze, ubicate anche in quartieri del centro storico, sulle quali le cosche mafiose esercitano un rigido controllo, affidando alla delinquenza comune e straniera compiti di manovalanza. Su questo versante le forze di polizia hanno sviluppato un'intensa attività di contrasto, culminata nello scorso anno nell'esecuzione di 266 operazioni antidroga che hanno permesso di sequestrare 1.386 kg di droga e di denunciare 348 persone di cui 296 in stato di arresto. Questi risultati sono frutto di una capillare azione di controllo del territorio, che si giova anche della collaudata collaborazione con l'autorità giudiziaria e che vede la partecipazione di tutte le forze di polizia, secondo un articolato e coordinato piano d'azione. Nell'ambito di tale piano vengono attuati settimanalmente, sia nel capoluogo, sia negli altri centri della provincia, servizi straordinari di controllo del territorio, secondo un modello di raccordo info-operativo che coinvolge la Polizia di Stato, l'Arma dei Carabinieri e la Guardia di finanza, anche con l'impiego dei reparti delle diverse specialità e con la collaborazione della polizia locale. A ciò si aggiungono gli ulteriori servizi coordinati che vengono sviluppati nell'ambito di un ulteriore piano d'azione di livello regionale. Il Modello Trinacria è teso a intensificare su tutto il territorio regionale l'attività di prevenzione lungo arterie stradali e a incrementare i controlli su soggetti sottoposti a misure di prevenzione. Nel complesso, l'organico della Polizia di Stato è pari a 3.308 unità effettive, a fronte delle 3.950 previste. Sono le attività sopra descritte, unitamente a un'incessante azione investigativa, che stanno alla base del significativo decremento del numero dei delitti registrati durante lo scorso anno nel palermitano (-12 per cento). Il capoluogo siciliano è comunque segnato da un forte fenomeno di occupazione abusiva, le cui origini risalgono agli anni Sessanta-Settanta, quando la città fu interessata da forti flussi di migrazione dalle campagne. L'area più esposta è lo ZEN (Zona Espansione Nord), complesso di edilizia residenziale pubblica che già all'epoca fu oggetto di occupazione, commessa in prevalenza da nuclei familiari provenienti dai comuni limitrofi. Una successiva ondata, verificatasi negli anni ’80-’90, ha riguardato il polo dello ZEN 1. Le sanatorie accordate, previo pagamento degli oneri di urbanizzazione, hanno tuttavia consentito di superare le condizioni di illegalità venutesi a determinare. Sempre agli anni ’80-’90 risalgono le invasioni di edifici siti nel quartiere San Filippo Neri, più noto come ZEN 2, che è composto da 17 plessi abitativi, per un totale di 3.000 appartamenti. La situazione più critica riguarda uno di tali plessi, che manca dei requisiti di abitabilità, in quanto la sua occupazione è avvenuta quando ancora non erano state completate le necessarie opere edilizie. Le invasioni di edifici determinate dalla crisi degli alloggi si riscontrano anche in altri quartieri di Palermo e riguardano non solo edifici residenziali pubblici, ma anche immobili di proprietà pubblica e privata. La liberazione delle unità abitative occupate è resa più complessa dalle difficoltà incontrate dal comune di Palermo nel mettere in campo strumenti alloggiativi di sostegno alternativo in favore di quei nuclei familiari con persone minori o affette da gravi problemi di salute o diversamente abili. Nell'area metropolitana di Palermo, che lo scorso anno è stata interessata anche dalla presenza di numerosi migranti giunti a seguito di operazioni di soccorso in mare, sono presenti 21.749 stranieri regolarmente soggiornanti. Allo stato attuale, nelle diverse strutture di accoglienza risultano presenti 971 persone. I minori stranieri Pag. 18non accompagnati sono stati affidati e collocati presso diverse comunità messe a disposizione dal comune di Palermo, principalmente ubicate nel capoluogo e in altri centri della provincia. Aggiungo che nel capoluogo sono attive quattro associazioni operanti nel campo della mediazione culturale, che interloquiscono costantemente con i rappresentanti e il portavoce dei centri culturali delle varie etnie presenti sul territorio.
  A Catania la mafia etnea ha acquisito una posizione predominante sugli altri sodalizi criminali. I suoi settori di interesse comprendono, oltre al traffico di droga, l'estorsione e l'usura e reati contro il patrimonio, in primis le rapine. A ciò si aggiungono tentativi di infiltrazione in diversi settori economici e imprenditoriali, tra cui lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, le onoranze funebri, le scommesse sportive e il gioco lecito, nonché l'acquisizione di esercizi commerciali utilizzati come canale per il reimpiego dei capitali sporchi. Il clan dominante è quello dei Santapaola-Ercolano, i cui interessi si estendono anche all'infiltrazione negli ambienti politico-amministrativi e che spesso entra in conflitto con gli altri clan presenti nel capoluogo. In questo contesto di forte predominio mafioso la delinquenza comune è dedita soprattutto ai reati contro il patrimonio, allo spaccio di stupefacenti al minuto e, in misura più limitata, allo sfruttamento della prostituzione da strada. Si affiliano a questa forma di malavita anche i frequenti episodi di danneggiamento e di incendio doloso. La mafia etnea e, in particolare, le famiglie Santapaola-Ercolano e Cappello-Bonaccorsi conservano il controllo diretto delle piazze di spaccio, che sono situate principalmente nei quartieri popolari ad alta densità criminale, come San Giovanni Galermo, San Berillo Nuovo, San Cristoforo e Librino. L'intensa attività di contrasto sviluppata dalle forze di polizia ha permesso di conseguire importanti risultati. Solo nel 2016 sono state effettuate 213 operazioni antidroga, con il sequestro di oltre 1.168 kg di sostanze, e le denunce di 400 persone, di cui 338 in stato di arresto. Anche l'andamento generale della delittuosità risulta positivo, registrandosi una diminuzione generale dei delitti di oltre il 15 per cento. Aggiungo che nella provincia l'organico della Polizia di Stato è pari a 1.979 unità effettive, a fronte di 2.028 previste. Passando ai fenomeni di illegalità diffusa, segnalo come nel territorio di Catania gli insediamenti abusivi rappresentino un fenomeno abbastanza limitato. Il caso più significativo si registra in Corso Martiri della Libertà, dove è presente un insediamento di un centinaio di soggetti di nazionalità bulgara e rumena. Di più ampia portata, invece, è il fenomeno delle invasioni di immobili di edilizia residenziale pubblica, che riguarda un centinaio di unità immobiliari in diversi quartieri della provincia. Inoltre, da circa un anno è in atto l'occupazione da parte di alcune famiglie di uno stabile disabitato promossa e sostenuta da esponenti del comitato casaxtutti, riconducibile al centro sociale anarco-antagonista Liotru. Nell'area metropolitana sono presenti 23.717 immigrati regolarmente soggiornanti. Nelle diverse strutture di accoglienza risultano presenti 4.614 persone. Ricordo, infine, che nel territorio di Mineo (Catania) è ubicato il centro di accoglienza per richiedenti asilo (C.A.R.A.), all'interno del quale operano varie organizzazioni quali l'UNHCR, l'OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni), Save the Children, la Comunità di Sant'Egidio e Medici per i diritti umani.
  Messina ha visto nel tempo svilupparsi una criminalità mafiosa autonoma, che oggi orienta i suoi interessi sia sui traffici illeciti tradizionali, in primis quello degli stupefacenti, l'usura e le estorsioni, sia verso l'infiltrazione degli appalti pubblici, nonché verso l'acquisizione di attività imprenditoriali in cui riciclare i capitali sporchi. La delinquenza comune del capoluogo è dedita soprattutto ai reati contro il patrimonio, specie rapine, anche di piccolo cabotaggio, ai danni di esercizi commerciali, istituti di credito, uffici postali e abitazioni, nonché ai furti, soprattutto di autoveicoli. Gli autori materiali di questi delitti sono in genere tossicodipendenti non affiliati a gruppi malavitosi, ma anche vere e proprie bande di giovani, anche minorenni, che Pag. 19commettono questi reati accompagnandoli anche al danneggiamento e incendi riconducibili ad atti di vandalismo e di intimidazione gratuita. Il traffico di stupefacenti nel capoluogo è, invece, appannaggio delle organizzazioni criminali di stampo mafioso insediate nel rione Mangialupi, a sud della città, nonché nei quartieri di Giostra, Valle degli Angeli, Fondo Fucile, Villaggio Aldisio, CEP. Numerose operazioni condotte dalla locale Squadra mobile hanno consentito di arginare il fenomeno, grazie a una serie di operazioni che hanno disarticolato i sodalizi attivi in questo settore, portando all'arresto sia dei loro vertici, sia degli elementi della manovalanza. Quest'attività è proseguita nel 2016, durante il quale sono state effettuate 49 operazioni antidroga, che hanno portato al sequestro di oltre 197 kg di sostanze stupefacenti e alla denuncia di 85 persone, di cui 61 in stato di arresto. Nel complesso, l'attività condotta dalle forze di polizia ha portato a una diminuzione generale dei delitti di circa il 14 per cento. Segnalo che nella provincia l'organico della Polizia di Stato è pari al 921 unità effettive, a fronte delle 1.129 previste. Per quanto concerne le altre forme di criminalità diffusa di recente, in particolare nelle zone limitrofe del capoluogo, si sono evidenziati episodi di incendio di rifiuti contenuti all'interno di cassonetti. Nel territorio di Messina non risultano significativi insediamenti abusivi, mentre si sono registrate alcune occupazioni di case popolari da parte di nuclei familiari che vivono nelle zone più disagiate del capoluogo. Sono presenti nel capoluogo due Centri di accoglienza temporanea, della capienza complessiva di oltre 300 persone, 100 delle quali minori, oltre all'associazione di promozione sociale e di documentazione interculturale Circolo ARCI Thomas Sankara, che fornisce uno sportello di orientamento ai servizi territoriali e tutela legale a favore di soggetti extracomunitari provenienti prevalentemente da Paesi arabi e africani. Nella provincia messinese sono presenti 18.420 immigrati regolarmente soggiornanti e nelle diverse strutture di accoglienza risultano presenti 404 persone.
  Concludo con Cagliari, il cui panorama criminale è caratterizzato dalla presenza di sodalizi delinquenziali locali che mirano a ingerirsi stabilmente nel tessuto cittadino, nell'intento anche di reimpiegare la ricchezza illecita accumulata attraverso le rapine, lo sfruttamento della prostituzione, nonché il traffico di stupefacenti. I gruppi criminali vantano in quest'ultimo settore collegamenti con organizzazioni transnazionali che si avvantaggiano del porto e dell'aeroporto utilizzati come canali per l'importazione dei narcotici. Nell'area metropolitana di Cagliari si riscontrano, inoltre, attentati dinamitardi e incendiari di matrice intimidatoria, commessi non solo nei confronti dei pubblici amministratori e di rappresentanti delle istituzioni, ma anche di imprenditori titolari di esercizi commerciali e persino di privati cittadini. L'atteggiamento non sempre collaborativo delle vittime rappresenta un fattore che rende più difficile investigare su questi episodi e stabilirne l'origine e la natura. Anche Cagliari è caratterizzata da fenomeni di illegalità diffusa, quali la prostituzione in strada e nei locali pubblici e soprattutto lo spaccio al dettaglio degli stupefacenti. Quest'ultimo si concentra, in particolare, nei quartieri di Sant'Elia e di Is Mirrionis, dove i gruppi criminali attuano vere e proprie forme di controllo dei luoghi di vendita al minuto. L'azione antidroga, sviluppata attraverso 120 operazioni, ha consentito di ottenere rilevanti risultati, culminati, durante il 2016, nel sequestro di 846 kg di sostanze stupefacenti e psicotrope e di deferire all'autorità giudiziaria 226 persone, di cui 155 in stato di arresto. Tali risultati vanno letti all'interno di un quadro di più ampia positività della lotta al crimine, che può essere efficacemente riassunto dalla corposa diminuzione del numero dei delitti registrati nel capoluogo sardo e della sua provincia durante il 2016 (-16 per cento). Aggiungo che nella provincia l'organico della Polizia di Stato è pari a 904 unità effettive, a fronte delle 1.245 previste. Il tessuto cagliaritano, del resto, non evidenzia particolari fenomeni di degrado, quali insediamenti abusivi o l'invasione di edifici, che si verificano in maniera solo sporadica. L'area Pag. 20 metropolitana di Cagliari è comunque interessata dagli arrivi di stranieri soccorsi in acque internazionali, che vengono avviati verso i centri di prima accoglienza della regione. Proprio la sistemazione nell'isola è il motivo di manifestazioni di protesta dei migranti che auspicano il trasferimento nel continente. Nella provincia cagliaritana sono presenti 13.089 immigrati regolarmente soggiornanti e nelle diverse strutture di accoglienza risultano presenti 2.347 persone. Sono presenti sul territorio associazioni di mediazione culturale che costituiscono il braccio operativo delle varie forme di accoglienza dei migranti, ma che, in taluni casi, come per la comunità senegalese, costituiscono importanti momenti di coesione tra i connazionali e di dialogo con la cittadinanza e le Istituzioni. Nel corso del 2015 la Sardegna è stata l'epicentro di una vasta operazione antiterrorismo, che ha svelato anche attività di favoreggiamento dell'ingresso e della permanenza dei cittadini extracomunitari irregolari funzionali alla causa del terrorismo islamico. Dopo la conclusione dell'indagine la situazione è oggetto di costante monitoraggio da parte degli organi investigativi, che attualmente non ha evidenziato ulteriori tentativi di infiltrazione di territori dell'isola.
  Avviandomi a concludere questo intervento, mi sembra importante sottolineare il dato della regressione nel numero dei delitti in tutte le 14 realtà metropolitane del Paese, che si sposa a una serie di ulteriori positivi risultati conseguiti dall'azione investigativa sviluppata dalle forze di polizia in collaborazione con la magistratura. Purtroppo, questo incremento della sicurezza rilevata non è accompagnato dal parallelo innalzamento del livello della sicurezza percepita, che, anzi, nelle periferie conosce punte di sofferenza non trascurabile e, invero, non trascurate. Difatti, come ho anticipato in esordio, il recupero di maggiori margini di fiducia nella possibilità di fruire liberamente degli spazi metropolitani è un tema sul quale l'amministrazione della pubblica sicurezza ha avviato una serie di iniziative sin dal 2015. La direttiva varata dal ministro dell'interno il 30 aprile di quell'anno ha dato inizio al ripensamento dei consolidati modelli d'azione, nell'intento di rendere più efficaci e penetranti la prevenzione e il contrasto a fenomeni di criminalità, in particolare di quella diffusa. La filosofia che anima questa direttiva è il passaggio dal tradizionale modello di controllo del territorio a quello più avanzato di un territorio sotto controllo. Su questa falsariga il Dipartimento della pubblica sicurezza ha istituito un apposito Comitato di analisi destinato a svolgere il ruolo di cabina di regia e di volano dei progetti che le autorità provinciali di pubblica sicurezza, insieme alle forze di polizia, sono chiamate a promuovere per innalzare e rendere più capillare la prevenzione ai fenomeni di illegalità. Il range delle misure individuate spazia dal ricorso alle più moderne tecnologie di sorveglianza degli spazi urbani, in relazione ai quali viene anche auspicato l'avvio di soluzioni sinergiche con i diversi attori istituzionali, a un'azione più energica per il contrasto dello spaccio da strada degli stupefacenti, dei reati predatori e dei fenomeni di abusivismo, anche commerciale. In questo contesto una particolare attenzione è dedicata anche alla messa a punto di procedure operative per un più efficace allontanamento degli stranieri irregolari, un tema, quest'ultimo, che è stato ripreso anche nella mia recente direttiva del 30 dicembre scorso. È all'interno di questa cornice che possono essere testate e realizzate nuove forme volte ad affrontare i fenomeni di degrado che si riscontrano nelle periferie vecchie e nuove delle nostre città. Faccio ancora una volta ricorso alla mia esperienza di prefetto di Roma per ricordare i positivi risultati che sono stati raggiunti grazie all'attivazione presso i municipi della Capitale di tavoli di osservazione composti da rappresentanti della prefettura, degli uffici e dei comandi delle forze di polizia e della polizia locale. Questa esperienza, che in realtà riprende un modello già realizzato a Firenze nel 1995, ha portato nel cuore del problema il baricentro decisionale degli interventi realizzabili con le risorse presenti nei singoli distretti. Proprio questa caratteristica ha consentito di individuare gli obiettivi da Pag. 21realizzare attraverso il confronto e l'ascolto di esponenti della società civile e dei comitati civici. Si tratta di un metodo che ha contribuito non solo a razionalizzare l'impiego delle forze disponibili, ma anche a legittimare dal basso l'azione volta a innalzare il livello della sicurezza urbana, rendendo tangibili i risultati ottenuti e spiegando i motivi per i quali problemi complessi richiedono inevitabilmente tempi e forme di soluzioni più lunghe e articolate. Il livello di sicurezza percepita non è peraltro scisso dal tema della visibilità della presenza delle forze di polizia. Diventa, quindi, essenziale attualizzare la dislocazione della rete dei presìdi per garantirne una distribuzione omogenea anche nelle periferie più estreme sorte per effetto dello sprawl urbano. Anche su questo versante ci si è già mossi. Come ho già riferito nel corso di precedenti audizioni riguardanti il decreto legislativo n. 177 del 2016 sull'assorbimento del Corpo forestale dello Stato, iniziative per la razionalizzazione dei presìdi sono state già promosse da un gruppo interforze insediato presso il Dipartimento della pubblica sicurezza, che ha lavorato congiuntamente alla Commissione per la revisione della spesa insediata a Palazzo Chigi. È in questo contesto che nel 2016 è stato concepito un primo intervento che, grazie all'accorpamento e alla ridislocazione di alcuni Commissariati di pubblica sicurezza e stazioni dei Carabinieri, porterà al rafforzamento della presenza delle forze di polizia in alcune zone della periferia romana. È un primo passo verso un intervento che potrà essere realizzato in termini più organici e ampi con il varo delle direttive in tema di razionalizzazione dei presìdi previste dall'articolo 3 del decreto legislativo n. 177, che ho appena menzionato. In questo contesto non escludo neanche l'utilità di un arricchimento del quadro normativo con interventi espressamente tagliati sui problemi della sicurezza urbana. Esiste già un ventaglio di ipotesi allo studio dei miei uffici, che comprende non solo interventi volti a realizzare più efficaci sinergie di sicurezza integrata, ma anche a valorizzare il ricorso delle ordinanze dei sindaci in un quadro coerente con le indicazioni della Corte costituzionale. Accanto a questo possono conferire un'ulteriore spinta l'azione di prevenzione e anche misure volte a rendere più stringente il contrasto dello spaccio e a ridimensionare il fenomeno della prostituzione da strada, come pure possono risultare utili norme dirette a rendere più efficace il deterrente penale dei reati commessi ai danni non solo del patrimonio monumentale, ma anche dell'integrità del patrimonio edilizio pubblico e privato, che proprio nelle periferie è vittima di deturpamento e danneggiamenti capaci di incidere negativamente sulla sicurezza percepita. In definitiva, il versante securitario resta solo uno dei fronti su cui occorre agire per innalzare il livello di sicurezza delle nostre periferie. A fronte di una finestra infranta, le forze di polizia sono chiamate a profondere ogni possibile sforzo per assicurare alla giustizia i responsabili, ma, se quella finestra non sarà riparata da chi ne ha il dovere, nulla garantirà che altre non subiscano la stessa sorte. È su questo versante che, come Capo della Polizia e direttore generale della pubblica sicurezza, mi sento di auspicare la massima collaborazione di quanti hanno la competenza e la responsabilità del governo dei nostri territori urbani.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il Capo della Polizia per questa relazione ampia ed esaustiva, che fornisce una grande quantità di dati e anche di suggestioni.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FABIO RAMPELLI. Intervengo sull'ordine dei lavori. Ringraziando preliminarmente il Capo della Polizia per l'esaustiva relazione che ci ha sottoposto, di cui abbiamo ricevuto anche una copia, penso che i dati siano talmente ampi che sviluppare adesso una sorta di integrazione con domande sia forse riduttivo. Chiedo a lei e ai colleghi se non sia magari opportuno avere il tempo di analizzare questi dati per poi fare domande che possano essere pertinenti, collegate e conseguenti a ciò che abbiamo ascoltato fin qui. Diversamente, Pag. 22c'è il rischio che si faccia un dibattito – per carità – di altro genere, con domande non collegate alla mole di dati che ci sono stati rappresentati qui questa mattina. Volevo introdurre questo elemento di riflessione alla Commissione.

  MARCO MICCOLI. Sono d'accordo con la valutazione che faceva il collega Rampelli. Nulla toglie però che possiamo quantomeno chiedere dei chiarimenti rispetto all'esposizione che è stata fatta dal Prefetto Gabrielli, che è esaustiva – è vero – ma suscita anche un interesse rispetto ad alcune affermazioni contenute, anche importanti, nella relazione che ci ha fatto. Pertanto, credo che sia opportuno fare una valutazione sui dati con più calma, ma ritengo che si possano chiedere alcuni chiarimenti e avere un'interlocuzione per comprendere meglio alcune questioni descritte che, a nostro modo di vedere, sono importanti per il proseguimento del nostro lavoro. Credo che questo si possa fare anche oggi, avendo l'occasione di avere qui il prefetto e di coniugare le due cose.

  PRESIDENTE. Direi di accogliere la disponibilità del prefetto di ritornare ed eventualmente fare un ulteriore approfondimento sui dati. Tuttavia, se ci sono alcuni chiarimenti immediati, li accoglierei e approfitterei del tempo restante per raccoglierli.

  MARCO MICCOLI. Mi associo ai ringraziamenti per l'esposizione esaustiva e per i dati fornitici dal Prefetto Gabrielli. Ho alcune richieste di chiarimento e alcune riflessioni su Roma, che possono essere peraltro trasferite, anche come ordine di esempio, anche ad altre realtà. Lei si è avvalso, giustamente, anche dell'esperienza di prefetto di Roma e ha dato dimostrazione di aver compreso bene i fenomeni che riguardano il degrado e la sicurezza nelle nostre periferie. Mi ha colpito una questione: nelle quattro aree a rischio di Roma indica Tor Bella Monaca, Tor Sapienza, San Basilio e Ponte di Nona.
  Nel dibattito che c'è stato in tutti questi anni tra le periferie che venivano considerate a rischio ce n'erano due, in particolare la zona di Corviale, che lei ha ricordato per le occupazioni, e la parte del litorale di Roma, che rispetto alle problematiche sulla sicurezza erano anch'esse indicate come zone ad alto rischio. Volevo sapere se queste due zone sono state estrapolate dalle quattro in virtù di un ragionamento che faccio io, ma che vorrei sapere se sia confermato anche dal suo livello di conoscenza. Con riguardo alla situazione di Corviale, oltre alla meritoria opera delle forze dell'ordine, si possono aggiungere, per l'abbassamento di quel degrado e per un innalzamento, invece, del livello di sicurezza, anche alcune particolari attività sociali che a Corviale, a differenza di altre periferie, sono cresciute negli anni e che hanno comportato un livello di controllo sociale, dal punto di vista del quartiere, anche rispetto al tema che riguarda la sicurezza. Penso agli aspetti di microcriminalità, che in quel quartiere potevano essere magari, in altri tempi, più nutriti. Sulla parte del litorale vorrei sapere se ha comportato un livello di abbassamento della guardia, dovuto all'abbassamento dei reati e a una più efficace lotta alla criminalità, anche la forte esposizione mediatica che c'è stata per esempio sull'infiltrazione mafiosa di Ostia, sui processi e sulle inchieste che hanno riguardato anche Mafia Capitale. Vorrei sapere se questa esposizione mediatica abbia comportato un abbassamento, anche rispetto agli interventi che sono stati fatti. Faccio questo ragionamento perché a noi serve capire che cosa funziona rispetto alla lotta al degrado e quindi all'innalzamento della sicurezza.
  Sulla percezione, invece, volevo capire se i livelli di percezione, che non sono in sintonia con i dati che ci ha fornito e anche con l'abbassamento dei reati, ossia con un minor numero di reati compiuti, vertono proprio sulle periferie che ha indicato. C'è la zona centrale che può essere più sensibile ad avere una percezione di insicurezza, ma vorrei sapere se quello stacco tra la percezione e il calo dei reati è confermato sulle periferie.
  Passo a un'altra questione, in merito alla fascia di età che riguarda la microcriminalità Pag. 23 in particolare. Le periferie che lei ha indicato, in particolare Tor Bella Monaca, sono ad alta densità di giovani. Tor Bella Monaca è forse il quartiere di Roma più giovane della città. Volevo sapere se l'incidenza della criminalità su quei quartieri coinvolge in numero sempre più elevato i giovani con fasce d'età basse.
  C'è poi una domanda che vorrei porre in seduta segreta, se possibile.

  FABIO RAMPELLI. A questo punto, mi avvantaggio della situazione e pongo qualche riflessione e qualche domanda, fermo restando quello che ho detto prima, perché la mole di dati che ci pervengono è tale e tanta che una lettura incrociata è indispensabile, altrimenti non faremmo in maniera chiara e utile il nostro lavoro. Chiedo quindi che ci possa essere una seconda tranche.
  In particolare, cercherò di capire meglio questa nota e antica vicenda della cosiddetta sicurezza percepita rispetto alla sicurezza reale. Ritengo che ci possa essere qualcosa da approfondire, perché, a mio giudizio, ci sono alcuni atti delinquenziali, di bordo – diciamo così – che quasi vengono derubricati. Non dico che non vengano perseguiti, ma vengono tollerati. Questo può anche creare questa sorta di divario tra persone che sembrano esagitate ed esaltate e che ritengono che ci sia una situazione di sicurezza sociale deficitaria rispetto, invece, al decremento di crimini commessi, che starebbe, viceversa, a significare un andamento totalmente contrastante rispetto a questa percezione. Penso che il punto di sutura sia rappresentato da questo problema: le occupazioni abusive, per esempio, lei ce le derubrica, anzi, ce le elenca città per città. Poi quando finiremo la Commissione, andrò a fare la somma di tutte queste occupazioni abusive delle 14 grandi città. Sappiamo che intorno a queste occupazioni abusive imperversa e fiorisce un mercato di delinquenza comune, che probabilmente si riverserà anche fuori degli edifici occupati. Già intorno all'edificio occupato però l'impressione è che si sia stabilita una sorta di zona franca e che le forze dell'ordine – non finiremo mai di ringraziare lei e tutti i suoi uomini per il lavoro che viene svolto quotidianamente, nelle condizioni di enorme difficoltà che tutti conosciamo – sappiano che lì c'è una sacca di degrado, ma si «accontentino» – uso tutte le virgolette che volete – di sapere che c'è un’enclave. Ci girano intorno, invece di entrarci dentro. Pertanto, tutto ciò che accade lì dentro non è elencato e censito come reato, tant'è che le occupazioni abusive sono una moltitudine. Noi ci accontentiamo del fatto che a Roma si sia passati da 111 a 101 edifici occupati, ma, avendo fatto il primo sopralluogo, come Commissione di inchiesta, esattamente a Roma, abbiamo potuto constatare che, se si arriva a trasformare un edificio come quello che abbiamo visitato noi, di Tor Sapienza, in una sorta di discarica a cielo aperto, significa che non c'è mai stato un provvedimento per bloccare questo traffico. Le tonnellate, tonnellate e tonnellate di rifiuti, anzi di scarti, che ci sono lì si sono potute accumulare perché nessuno è mai intervenuto.
  Allo stesso modo potremmo andare avanti con la prostituzione. La prostituzione è un reato o non è un reato? Com'è ascritta? È classificata rispetto alla sicurezza percepita e alla sicurezza reale o no? L'impressione è che sia un'altra zona grigia non calcolata: è tollerata e, quindi, non è classificata. Penso al rovistaggio, all'accattonaggio e alla contraffazione. Non ho ascoltato granché sulla contraffazione, ma ormai nelle grandi città si convive con un commercio parallelo, abusivo, che mortifica tutti i commercianti, gli artigiani e gli imprenditori che invece svolgono regolarmente le proprie attività, pagando l'affitto, la luce, il telefono, il gas, oltre che il fisco, e i lavoratori dipendenti. Intorno, anzi, di fronte al loro esercizio commerciale è tollerato quotidianamente il commercio abusivo e la contraffazione che ad esso è connessa. Questi sono altri due aspetti: esistono o non esistono, sono classificati, stanno dentro questo elenco di attività o no? Se, come ritengo, non ci sono, è bello che scoperto il marchingegno della cosiddetta insicurezza percepita. Ancora, c'è una violenza privata diffusa che, a mio giudizio, sfugge al controllo dello Stato. Sempre quando siamo andati a Tor Sapienza, abbiamo Pag. 24 potuto constatare in maniera palese, dal racconto diretto di cittadini che ho il vago sospetto non abbiano niente a che fare con la mia parte politica – questo lo potranno constatare di più i colleghi parlamentari che non appartengono al mio partito – che cosa accade in questi quartieri. Ci hanno anche detto – la cosa mi ha stupito e anche preoccupato – che in quel quadrante territoriale, nelle tratte urbane dei mezzi di trasporto pubblico collettivo, a un certo punto gli studenti italiani vengono costretti a scendere dall'autobus. Non so se lei ha cognizione di questo fenomeno. L'autobus, da quel punto in poi, è dominato da cittadini che prevalentemente penso siano stranieri, ma non mi interessa se siano stranieri o non lo siano. Se fossero italiani, sarebbe la stessa cosa. C'è quindi una determinata fascia sociale che impedisce a un'altra di usufruire anche dei servizi pubblici. Nel caso in cui il problema fosse, da un punto di vista sociologico, quello dell'insufficienza – siamo adulti e vaccinati; capiamo anche che ci siano diverse interpretazioni di questa realtà dei servizi pubblici; come si può constatare, non è sufficiente moltiplicare i servizi pubblici e i servizi sociali – è necessario comunque far rispettare le regole, a maggior ragione se ci sono più servizi pubblici. Inoltre – per carità, non credo che sia nelle sue competenze – sarebbe curioso fare una lettura comparata, dopo quello che abbiamo potuto constatare, del lavoro svolto sul radicalismo islamico, sulla radicalizzazione e su quello che accade nelle carceri. Se non ho capito male, il ministro dell'interno ci ha raccontato, in virtù di questi studi fatti anche con associazioni islamiche, che buona parte del fenomeno della radicalizzazione si consuma nelle carceri. Ho l'impressione che, per andare in carcere, ci voglia un motivo. Quindi, c'è qualcosa che non funziona. Prima che una persona straniera finisca in carcere e se il 35 per cento della popolazione reclusa è straniera, prima di immaginare che ci sia una radicalizzazione che si espleta all'interno del carcere, ci si dovrebbe porre la domanda sul perché queste persone finiscano in carcere. Evidentemente ci sono delle aree grigie in cui la radicalizzazione inizia a prendere forma e poi, al limite, matura in carcere. Non credo che il problema esista nella misura e nel momento in cui si attraversano le porte di un istituto circondariale. La domanda, quindi, è: la Polizia di Stato riesce a intervenire in questi contesti, o di che cosa ha bisogno per poterlo fare? Sappiamo perfettamente che dentro e fuori i campi nomadi esistono delle attività delittuose che si consumano quotidianamente, da quelle più apparentemente innocenti, come l'impedire ai bambini la scolarizzazione oltre che una vita dignitosa, a quelle già citate, che non ripeto e che sono sotto gli occhi di tutti.
  Dopo questa elencazione, che mi riservo di approfondire e che comunque corrisponde alla cosiddetta sicurezza percepita, perché non si interviene? Perché non si toglie la possibilità ai nomadi di svolgere le loro attività, quando si sa, e lei ce lo racconta, che sono classificate. Avvengono, si sa dove avvengono, si conoscono le conseguenze che comportano nel contesto sociale circostante. Si sa tutto, anche delle occupazioni abusive, anche del commercio abusivo e quindi del circuito della contraffazione. Sappiamo praticamente tutto.
  Dal suo punto di vista di Capo della Polizia perché non si riesce a essere efficaci nell'intervento? È una domanda da mille punti, me ne rendo conto, ma sono curioso.

  MILENA SANTERINI. La ringrazio per la relazione molto vasta e articolata.
  Parto anch'io da un fatto: i reati sono diminuiti e non abbiamo alcun elemento che ci dica che si denunci di meno, anzi, in molti casi – pensiamo a determinati aspetti di microcriminalità o di violenza sulle donne – sappiamo che è il contrario, cioè che si denuncia più che in passato. Il tema della differenza tra il fatto del reato e la percezione è molto importante, perché una percezione errata ci porta a investire energie, forze e interventi nel modo sbagliato. Se riteniamo che siano alcuni i problemi e non altri, rischiamo di disperdere le forze. I problemi che lei ci ha evidenziato, che non sono certo nuovi nella storia del nostro Paese, in particolare sono i macroproblemi: parlo di criminalità organizzata, di droga e Pag. 25spaccio, del problema casa e occupazione abusiva.
  Passo alla mia domanda. Lei ha citato il fatto che non si possa fare tutto a livello di intervento contro la criminalità. Questo è il punto fondamentale. La mancanza di casa, la disoccupazione giovanile o l'uso di manovalanza straniera per grandi giri di traffici criminali italiani sono collegate a un problema sociale, ragion per cui è chiaro che non possano fare tutto le nostre forze dell'ordine. La domanda, quindi, è quando, dove e come abbia funzionato una collaborazione interistituzionale. Nella sua relazione ha citato anche alcuni tavoli. Dove funziona questo non controllo del territorio, ma il discorso che permette di fare prevenzione dal vigile di quartiere alla collaborazione con le scuole? Dov'è che funziona? A mio parere, da questa relazione viene fuori che quella è la strada maestra da seguire – aggiungo un'ultima nota sul problema stranieri – altrimenti rischiamo di investire dalla parte sbagliata e di creare un allarme sociale che non esiste. Basta guardare i rapporti di Ilvo Diamanti sulle paure degli italiani per vedere quanto siamo influenzati dai media e dalle forze politiche che magari gridano all'allarme. Le paure degli italiani, dice Diamanti, sono cambiate di anno in anno: quattro anni fa c'era l'allarme stranieri, che poi è diventato l'allarme violenza sulle donne e poi l'allarme crisi economica. Non sono fenomeni che non sono veri. Sono verissimi. Il problema è come li percepiamo e come ci vengono presentati. Rischiamo anche in questo caso di andare in una direzione sbagliata. Ci sono alcuni fenomeni specifici, di cui la ringrazio di aver parlato, come, per esempio, le bande dei latino-americani, le maras (MS vuol dire Mara Salvatrucha). Sappiamo bene la storia di come sono nate in Salvador. Questi sono fenomeni che vanno assolutamente affrontati. In gran parte si tratta di adolescenti ricongiunti, anche qui c'è un problema sociale dietro. Ci sono però anche altri aspetti che ci portano a non mirare bene l'obiettivo. Il collega citava, giustamente, il fatto che la radicalizzazione avvenga o meno in carcere. Certamente ci vuole una buona politica su luoghi di culto musulmani. Chiudere quelli in cui non ci sono seri problemi di ordine pubblico per motivi di percezione dell'opinione pubblica potrebbe essere un errore. In questo momento dobbiamo prendere atto che le moschee non sono il luogo in cui si radicalizzano i giovani, ma sono il luogo che contiene l'estremismo giovanile. Pertanto, abbiamo interesse a far sì che esistano e che permettano ai giovani di ritrovarsi. Tant'è vero che i giovani estremisti non vanno in moschea. Non ci vanno perché sentono dire cose contro la violenza che non condividono. Su questo punto avrei un'altra domanda, che però è troppo lunga da fare, sul discorso dell'odio e dei crimini di odio. A Roma c'è stato un preoccupante aumento. Questi sì che potrebbero non essere denunciati. Tutti i rapporti del Consiglio d'Europa e dell'OSCE sul discorso dei crimini di odio ci dicono che non vengono sufficientemente denunciati. Abbiamo avuto una recrudescenza di violenza contro i bengalesi, una popolazione mite e tranquillissima a Roma, che hanno subìto moltissima violenza. Ho visto altri casi a Milano altrove. Sarebbe molto interessante capire se i crimini di odio aumentano o no, da cosa sono causati e se è vero, come ci dicono gli studi europei, che non sono sufficientemente denunciati.

  CLAUDIA MANNINO. Ringrazio il prefetto Gabrielli per la dettagliata illustrazione e mi associo anch'io alla richiesta, che ci eravamo posti anche come modus operandi in qualche nostra riunione precedente, di avere i documenti in maniera anticipata, in modo da ottimizzare i tempi dei lavori di questa Commissione, che sappiamo tutti avrà una vita limitata. Per ottimizzare i tempi si era proposto di avere prima i documenti, soprattutto se ci sono dati ufficiali che si devono solo acquisire.
  Detto questo, la prima domanda che volevo fare era quella relativa al terrorismo, riferendomi anche alla dichiarazione che il dottor Gabrielli ha reso qualche giorno fa, dicendo che l'Italia pagherà il suo prezzo. Poiché mi è parso di capire che solo parlando di Cagliari si è parlato di infiltrazioni terroristiche, volevo capire se tutto è concentrato lì oppure se quest'affermazione Pag. 26 fatta qualche giorno fa ha riscontri anche in qualche altra realtà, visto che per tutte le città citate si è parlato di presenza di extracomunitari.
  L'altra domanda che volevo fare, in qualche modo collegata, è relativa ai dati. Da una lettura veloce mi è parso che i dati siano molto concentrati sulle azioni della polizia e sui dati relativi allo spaccio e alla prostituzione. Poi ci sono alcuni dati di informazione sulle associazioni, sul numero degli extracomunitari e sul numero del personale presente sul territorio. Volevo chiedere se avete già le informazioni sugli altri tipi di reato presenti in questi territori. In particolare, visto che la Commissione si occupa anche di urbanistica, vorrei sapere se avete anche i dati su altri tipi di reati, in particolare di abusivismo edilizio. Non so se la polizia sia direttamente coinvolta in questo settore. Vorrei sapere se le vostre valutazioni possano anche esprimersi in una carenza di un determinato tipo di servizi che in determinati luoghi sono ricorrenti. Mi riferisco prevalentemente alle scuole, a partire da quelle più importanti, a mio avviso.

  DANIELA MATILDE MARIA GASPARINI. Vorrei entrare nel merito di una considerazione, in particolar modo sul parallelismo Roma-Milano.
  Nella relazione prima si parla per Roma di 3 milioni di abitanti e poi per Milano di 1,3 milioni di abitanti. Con il suo hinterland, in effetti, stiamo parlando di due realtà di 3 milioni di abitanti, con un'unica grande differenza: Roma è grande, con pochi comuni attorno, mentre Milano ha 133 comuni metropolitani. Mi interessa fare quest'affermazione perché dobbiamo esaminare come risolvere un tema. Da questo punto di vista lei non ha parlato né di Cinisello, né di Rozzano, né di Pioltello, ossia di realtà calde, storicamente le vecchie periferie, oggi con alcuni problemi anch'esse. Non sono state citate come quartieri, in realtà. Mi è sembrato molto interessante. Volevo capire se non sono state citate per mancanza di dati, oppure se i dati di rilevazione che avete vi fanno dire che lì non ci sano emergenze quanto a Baggio e San Siro. Questa mi interessa in particolar modo come riflessione da approfondire, ovviamente anche in altri momenti, per capire se un diverso governo del sistema possa portare un maggior controllo. In altra parte della sua relazione lei fa riferimento a un diverso modello di cooperazione e collaborazione fra attori istituzionali. In base all'esperienza di sindaco di Cinisello Balsamo, una realtà calda, come lo erano i quartieri popolari, posso dire che i tavoli hanno sempre molto funzionato, specialmente per gestire occupazioni abusive e per valutare alcuni problemi. Da questo punto di vista, chiaramente, più tavoli e più persone coinvolte ci sono, più controlli ci sono, ma con un limite. Questa è anche una domanda: non è stato risolto da noi legislatori il tema del rapporto tra Polizia di Stato e comparto sicurezza con la polizia locale. Di fatto questi tavoli sono sempre delle operazioni più o meno ufficiose. Come rendere una buona pratica – io la considero una buona pratica – un metodo di lavoro di collaborazione istituzionale? Qui c'è un punto di domanda: lei non l'ha citato – è così normalmente anche nei tavoli – ma le regioni sono soggetti assenti. In realtà, hanno in mano la responsabilità delle regole della gestione delle case popolari. In base alla mia esperienza, almeno per quanto riguarda Milano e la regione Lombardia, il tema della gestione delle case popolari, che sono praticamente di competenza regionale, non tiene assolutamente conto delle esperienze positive e negative, fatte. Sarebbe interessante capire come è stata l'esperienza fatta da voi rispetto al tema occupazione, in particolar modo in relazione al controllo dell'abitare delle case popolari e dell'assegnare le case popolari. Oggi il tema delle case popolari riguarda l'esistenza di un conflitto fra vecchie e nuove povertà. Questo è il tema grosso percepito. Se penso a tutta la recente campagna elettorale, per quanto mi riguarda, vedo che nelle case popolari il problema degli immigrati viene percepito dai più poveri, non dagli altri. Il tema della gestione delle case popolari rispetto al controllo e alla sicurezza, anche di quella percepita e anche della qualità della vita, credo sia Pag. 27importante. Alla luce di questa esperienza, che cosa dire alle regioni?
  C'è un'ultima cosa che mi sembrava importante sottolineare. Non ho mai capito – è una domanda – alcune occupazioni abusive fatte a filiera. In particolar modo, i calabresi della mia realtà sono filiere, famiglie numerose che si portano qui i parenti. Fino a che punto sono invece filiere malavitose e quindi fino a quando l'abusivismo e l'occupazione abusiva non sono legati a un discorso di carattere delinquenziale?

  ROBERTO MORASSUT. Chiedo un aggiornamento su alcune questioni, all'interno della corposissima relazione che il signor prefetto ci ha presentato, che riguardano Roma. Sono relative a un aggiornamento. Chiedo se sia possibile conoscere la situazione Casamonica nel quartiere Tuscolano. Ricordiamo tutti la vicenda di un anno fa del famoso funerale e la presenza di questo gruppo, di questo vero e proprio clan, che condiziona moltissimo la vita economica e sociale di quasi tutto il quadrante sud di Roma. Chiedo se ci sia un aggiornamento su questo aspetto.
  Chiedo poi specificatamente della situazione del quartiere a più alta densità abitativa europea, il Don Bosco, dove c'è una situazione particolare, ma molto allarmante, sull'asse di via Flavio Stilicone, con occupazioni abusive di patrimonio di enti previdenziali. È da tempo aperto un tavolo di coordinamento con la questura, le forze di polizia e gli enti. Tuttavia, dalle notizie che abbiamo modo di recuperare in maniera piuttosto frammentaria risulta che proceda con molta difficoltà, con situazioni di sgombero che immediatamente vengono sostituite da nuove occupazioni e con grandi problemi per il comune. Spesso esso è anche costretto – così mi dicono; non so se la notizia sia vera – a fornire i servizi, perché naturalmente la gente ci abita e quindi si devono fornire servizi di acqua e luce. Si tratta di una situazione che sta determinando una fortissima tensione nel territorio, anche dal punto di vista dei rapporti con le comunità straniere. Volevo sapere se c'è qualche elemento di informazione.

  ANDREA DE MARIA. La prima curiosità riguarda l'organico. A Bologna c'è scritto che ci sono 2.300 unità effettive, a fronte delle 2.320 previste: quindi saremmo sopra organico.

  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Ci sono le chiavi interpretative di questo, perché il nostro Paese ha situazioni particolari. Per esempio, Varese è sopra organico. Come mai? Forse perché c'è stato un ministro dell'interno. A Lecce sono sopra forse perché c'è stato un sottosegretario all'interno.

  ANDREA DE MARIA. Noi abbiamo il ministro dell'ambiente!

  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Modena è sopra organico perché c'è il segretario generale del Siulp. Sono cose che in questo Paese sono facilmente intellegibili.

  ANDREA DE MARIA. Il primo tema su cui intendo intervenire è quello della propensione alla denuncia. L'impressione, assolutamente empirica, è che per una serie di reati molti cittadini pensino sia inutile la denuncia. Forse in alcune aree del Paese c'è anche un timore a denunciare i reati. La collega prima ne ha parlato. Le chiedo se anche lei ritiene che la propensione a denunciare reati sia cresciuta, o come valuta questo aspetto, per quanto sia possibile valutarlo, ossia la propensione a denunciare i reati, e anche come questa propensione a denunciare i reati sia diffusa nelle varie aree del territorio.
  Il secondo approfondimento che chiederei riguarda i cosiddetti movimenti antagonisti, o centri sociali. Quale grado di pericolosità per la sicurezza ritiene che abbiano e quanto ci può essere una forma di coordinamento fra le varie realtà del Paese di questo tipo di gruppi e di movimenti? Certamente l'occupazione di alloggi probabilmente porta a problemi di sicurezza e probabilmente anche di accentuazione e di strumentalizzazione del disagio, con maggiore difficoltà ad affrontare le situazioni di disagio. Infine, visto che, giustamente, Pag. 28 la relazione si è molto concentrata, con dati molto interessanti, sul tema dell'immigrazione, che ovviamente ha tanti aspetti – non solo il problema della sicurezza, ma anche quello – mi interessava il suo parere sulla discussione che si è aperta sulle modalità di accoglienza in particolare di profughi e rifugiati e, quindi, sui CIE e su come meglio governare questo aspetto. Si tratta di un punto che adesso è oggetto di dibattito pubblico anche nelle città, ragion per cui mi interessava una sua opinione e un suo parere su questo punto.

  PAOLO GANDOLFI. Pongo una domanda, naturalmente con la premessa, anche da parte mia, di complimenti per la relazione molto interessante. Tra l'altro, essendo un urbanista, partecipo a questa Commissione partendo dal punto di vista che il degrado non sia legato solo a un fenomeno di sicurezza. Apprezzo molto il fatto che la relazione abbia più volte messo in evidenza anche questo aspetto, pur essendo resa dal Capo della Polizia e, quindi, essendo incentrata sul tema della sicurezza. Non è tutto lì.
  In particolare, volevo sottolineare una cosa, prima di fare la domanda. Lei ha spesso citato i dati sulla presenza di stranieri nelle varie realtà trattate. Ho fatto due calcoli, molto rapidamente. A parte che molti dati li conosco già, dalle mie parti ci sono delle realtà con una percentuale di stranieri sulla popolazione italiana molto più alta di quelle che sono state rilevate e con problemi di degrado o di criminalità praticamente inesistenti. Evidentemente non c'è relazione fra i due dati. Quello che conta è sempre quello che la gente fa e il livello di qualità della vita che nelle periferie o nelle aree urbane che vogliamo andare a indagare. Bisogna tener presente questo. Giustamente, lei non ha citato il fatto della radicalizzazione. Ci sono casi in Europa in cui la radicalizzazione è avvenuta all'interno di quartieri che magari non erano, di per sé, quartieri degradati. Rispetto a San Basilio, Molenbeek non è vissuto o percepito come un quartiere degradato, eppure si è dimostrato un luogo di radicalizzazione. Quindi, non c'è una relazione stretta. Il fatto che la radicalizzazione possa avvenire nelle carceri è un problema serissimo, che il nostro Paese deve affrontare, ma non è certamente un tema della nostra Commissione, perché tutto possiamo dire meno che le carceri possano avere un'influenza diretta sulla qualità o il degrado della vita delle nostra città in quanto tali. Detto questo, ho trovato molto interessante nelle sue conclusioni un riferimento, che oggi non ho capito bene – probabilmente sarebbe interessante che fosse dedicato più tempo per capirlo meglio – a un cambio di approccio rispetto al controllo del territorio, che, se non ho capito male, ha ridefinito il territorio controllato o sotto controllo. Credo che implichi anche forme diverse di utilizzo delle forze di polizia e di relazione.
  Giustamente ha parlato del famoso tema del vetro rotto, cioè del fatto che non tutto può essere fatto semplicemente dalle forze di repressione. Ci sono aspetti di qualità dei servizi e di rigenerazione della qualità urbana che non attengono a chi gestisce l'ordine pubblico. Mi interessava molto capire meglio qual è questa svolta. Innanzitutto vorrei avere un'idea di com'è questo cambiamento e come lo posso capire meglio. Cosa avviene nella concretezza dei fatti con questo cambio di approccio? Soprattutto vorrei sapere se comporta una forma di assunzione di responsabilità a livello nazionale del tema oggetto della nostra Commissione, ossia del tema delle periferie delle città e del ruolo delle città. Come giustamente dice lei, non può essere tutto delegato alle forze di polizia. Ci sarà qualcuno che si occuperà anche di altro e di capire se il degrado sia figlio anche di altri aspetti o di altri fenomeni.

  PRESIDENTE. Prima di lasciare la parola al Capo della Polizia ho anch'io una domanda. Noi abbiamo chiesto dati ufficiali, ragion per cui è giusto che ci siano le risposte con i dati ufficiali. Tuttavia, la presenza di immigrati clandestini è una questione che viene monitorata e quantificata, e quanto incide eventualmente a livello percentuale? C'è una concentrazione legata alle aree periferiche? È una presenza che diventa problematica anche sul piano della manodopera criminale?

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  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Sarò clemente con me stesso, oltre che con voi. Provando a dare un ordine, proverò a fornire risposte che attengono ad alcuni argomenti che sono stati, più o meno toccati, da vari interventi. Poi toccherò nello specifico – me li sono segnati – quelli che non vengono ricompresi in questo approccio più complessivo.
  Una prima sottolineatura, sistematica. Ovviamente, noi non abbiamo fatto un'analisi con Tuttocittà, nel senso che non abbiamo preso tutti i vari segmenti di cui si compongono le aree metropolitane ma abbiamo cercato di estrapolare quelle che sono, dal nostro punto di vista, più significative. L'ulteriore elemento di conforto nell'analisi è che questi sono angoli visuali soprattutto di chi vive il territorio, dati che vengono dal territorio che indirizza magari l'attenzione a Roma più su alcune realtà che non su altre.
  Faccio una prima digressione per rispondere all'onorevole Miccoli. Corviale è un fatto anche mio – se posso definirlo così – sentimentale. Nella mia esperienza di prefetto l'ho portata più volte a esempio di una realtà difficile e complicata, dove c'era però anche, per fortuna, una grande risposta di una parte significativa della società civile, con esperienze, come il calcio sociale e la mensa, che si stanno realizzando. Quello, secondo me, è il classico laboratorio di una periferia certamente degradata, certamente problematica, in cui però per fortuna, l'approccio non è quello della cavalleria che arriva dall'esterno, ma quello delle singole realtà all'interno. La scommessa, la sfida, è che questi germogli non vengano colpiti e anemizzati nella loro capacità di crescita. Questa è la vera scommessa. Penso all'ultimissima iniziativa sulla radio che hanno portato avanti. C'è tutta una serie di situazioni che rendono il senso di un'effervescenza. Poi c'è questo problema, di non poco conto, di Corviale che si compone di più elementi di criticità, che sono quelli della manutenzione e del recupero del famoso quarto piano, e c'è il tema più complessivo di un recupero. Peraltro, c'è un concorso internazionale. Ci sono grandi idee. La questione che mi affascinava di più del Corviale però non era tanto la struttura, quanto l'effervescenza che coglievo in quella realtà.
  Il tema del litorale è molto particolare, perché è un tema composito, relativo a un'area geografica della Capitale sulla quale incidono le vicende della cosiddetta Mafia Capitale. Non amo chiamarla «Mafia Capitale», perché, secondo me, è un oltraggio alla città. Preferisco chiamarla «inchiesta su Mondo di mezzo». Come sapete, qualcuno mi ha minacciato di essere denunciato per concorso esterno in associazione mafiosa perché ho sostenuto che non era il caso di addivenire allo scioglimento del comune. Peraltro, poi la vita dell'amministrazione comunale ha seguito altre vicende, sulle quali non entro. Mi determinai a richiedere lo scioglimento del municipio non per le vicende che erano emerse nell'inchiesta specifica del «Mondo di mezzo», ma per le indubbie infiltrazioni che alcune organizzazioni criminali avevano in quel settore. Anche in questo caso vorrei che ci fosse una netta distinzione tra attività illecite e attività imprenditoriali assolutamente lecite, che sono il cuore e il motore dell'attività economica. Penso agli stabilimenti balneari, che sono gestiti nella quasi totalità da persone perbene, che purtroppo molto spesso sono state massificate in un criterio di negatività che certamente non è stato utile a quella porzione del territorio. Dal nostro punto di vista quella situazione è molto diversa dalle famose quattro realtà a cui facevo riferimento.
  Passo al tema della percezione. Mi verrebbe da fare una battuta da impertinente toscano, dicendo che la distinzione che c'è tra la sicurezza percepita e la sicurezza rilevata è uno dei contributi al dibattito politico di questo Paese, perché la sicurezza rilevata serve alle maggioranze e la sicurezza percepita serve alle opposizioni. Se andassimo indietro nel tempo, vedremmo che, quando governi di centrodestra portavano elementi di positività, l'opposizione diceva che la percezione era negativa, e viceversa: dico questo come battuta, ovviamente. Nella sostanza, io appartengo alla categoria di coloro che – chi mi conosce lo sa – ai propri collaboratori dicono sempre Pag. 30che l'ultima cosa che dobbiamo rappresentare ai nostri cittadini sono le statistiche. In molte circostanze i nostri cittadini, se ci prendono a pernacchioni, non fanno un soldo di danno. Già chiamare, per esempio, microcriminalità determinati fenomeni che incidono pesantemente sulla vita delle persone è un oltraggio, ma sono quelle situazioni che incidono più pesantemente sulla percezione. A chi subisce un borseggio o un furto nell'abitazione, è complicato dire che gli omicidi sono calati e le rapine sono calate. Quelli sono dati inequivoci. Magari non si denunciano alcuni reati, ma alcuni altri sono assolutamente denunciati. Quindi, il trend sui temi della delittuosità è sotto gli occhi di tutti da un punto di vista della loro diminuzione. Sul tema della percezione poi incide il degrado. Quando facevo il prefetto e andavo nei municipi, ricordo che un nonno mi raccontava di dover portare i nipotini a casa dalla scuola alla propria abitazione passando in alcune realtà dove si esercitava il meretricio della strada. È chiaro che quel nonno, che non può avere una percezione di sicurezza positiva, avrà sicuramente una percezione negativa. C'è un altro elemento che, secondo me, è importante: il mondo della globalizzazione porta anche alla globalizzazione delle paure. Quando uno accende il televisore e vede determinate cose in giro per il mondo, è ovvio che si sente coinvolto in questa paura.
  Nello specifico, entrando invece nelle cose che sono state richieste, per quanto riguarda l'onorevole Miccoli, indubbiamente il tema della presenza delle forze di polizia sul territorio è un elemento che dà il senso di una percezione o di una non percezione di sicurezza. Anche in questo caso, mutuando dalla mia esperienza, la cosa che i cittadini mi richiedevano in maniera sistematica era di vedere in strada una pattuglia della Polizia o dei Carabinieri. Come ho detto nella relazione, c'è un tema di rivisitazione dei presìdi di polizia, che ormai non corrispondono più alle dinamiche anche di sviluppo urbano delle nostre città. Roma si è molto spanciata. Roma presenta zone che sono cresciute negli ultimi trent'anni, creando sobborghi che prima non c'erano. I nostri presìdi, invece, fanno riferimento a fotografie che sono datate nel tempo. Come ho detto nella relazione, c'è questo importantissimo lavoro che stiamo facendo con Palazzo Chigi, di rivisitare la presenza di tutti i presìdi di polizia. Anche qui bisogna uscire fuori dalla logica del singolo presidio o della singola forza di polizia e bisogna fare un intervento più complessivo.
  Consentitemi sugli organici di fare una riflessione, perché questo è un refrain che sento costantemente in giro per l'Italia. I dati a cui faccio riferimento tra le forze effettive e le forze organiche riguardano gli organici del 1989. Al di là del fatto che sono un po’ datati, nel 1989 solo la Polizia di Stato aveva un organico previsto di 117.200 unità, mentre siamo a 99.630. Nella legge Madia l'organico della Polizia è stato spostato da 117.200 a 106.000. Quindi, il decremento medio della Polizia di Stato è del 15 per cento. Quando ci sono realtà in cui i decrementi sono del 5, del 4 e del 3 per cento, è grasso che cola. C'è un altro dato sui temi dell'organico che, secondo me, è più incidente, ovvero la senilizzazione delle forze di polizia. In questo Paese c'è stata una stagione nella quale si è immaginato che i poliziotti e i carabinieri fossero troppi, ragion per cui si è bloccato il turnover e si sono cartolarizzate le scuole di polizia. Se le cose non ce le diciamo, tutto diventa complicato. Oggi nelle questure vi è una media di operatori che vanno dai 48 ai 51 anni, il che vuol dire che ci sono persone che mando sulle volanti a 54-55 anni. I due brillantissimi agenti che hanno operato a Sesto San Giovanni sono, a volte, un'eccezione. Si vede la differenza tra la capacità di reazione di persone giovani e di persone un po’ più attardate. Questo è un problema. Credo che chiedere una maggiore presenza delle forze di polizia se poi si fanno politiche di anemizzazione delle forze di polizia sia un elemento abbastanza in contraddizione.
  Onorevole Rampelli, mi chiedeva delle occupazioni. Intanto non è vero assolutamente che non sappiamo chi c'è dentro le occupazioni. Quando ero prefetto ma, per fortuna, hanno continuato anche dopo, proprio per i motivi legati alle preoccupazioni Pag. 31del terrorismo, tutte le persone che stanno all'interno delle occupazioni vengono sistematicamente controllate. Il tema è un altro, invece, ed è che non avremmo alcun problema a sgomberare. Non abbiamo alcun problema a sgomberare, ma a Roma le occupazioni cubano mediamente, vuoto per pieno, 6.000 persone. Se prendiamo queste 6.000 persone e le mettiamo fuori dalle occupazioni, poi qualche problema di ordine e di sicurezza pubblica lo pongono. Per questo motivo diventa fondamentale il concorso delle altre istituzioni. Io qui rappresento la Polizia di Stato e il sistema di sicurezza, ma sul tema delle occupazioni siamo veramente gli ultimi che possono essere interessati. Ripeto, non avremmo alcun problema. Se si dice di sgomberare, si sgombera. Tuttavia, queste persone, una volta che sono sgomberate, ce le ritroviamo in piazza, sotto i ponti o da qualche altra parte. Peraltro, su questo dal mio punto di vista c'è una situazione abbastanza scandalosa, per esempio a Roma. A Roma esiste una delibera della regione del gennaio 2014 che ha stanziato – credo – 150 milioni di euro per risolvere anche le problematiche del cosiddetto Tsunami Tour. Nel periodo in cui sono stato prefetto siamo riusciti, con l'allora commissario, a far emettere una delibera dalla regione che consentiva all'amministrazione comunale di acquisire dei beni immobiliari della regione, o comunque del patrimonio comunale, da mettere a disposizione in una percentuale anche per gli occupanti per fare una progressiva riduzione delle occupazioni. Avevo presentato una short list di 14 occupazioni. Oltre a quelle che erano già state ridotte da 111 a 101, ne avevo indicate altre 14 che costituivano un maggiore allarme sociale e una preoccupazione anche per gli occupanti, perché alcuni di questi stabili erano assolutamente fatiscenti. Me ne sono andato dal ruolo di prefetto di Roma e mi risulta che questa situazione, come l'ho lasciata, così si trovi. Questa è l'unica possibilità. È l'unica possibilità, se vogliamo incidere sulle occupazioni. Intanto abbiamo fornito delle risposte: da due anni a Roma non si occupa più. Il problema delle occupazioni non è solo quello di sgomberare le case, ma è anche quello di non farle occupare. C'è stata una stagione, dal 2011 al 2013, in cui si sono fatte occupazioni anche di quattro o cinque edifici alla volta. Dal 2014, ancora prima che arrivassi – non è solo un merito mio – non si sono fatte più occupazioni. Adesso però bisogna svuotare le occupazioni che ci sono, e le occupazioni che ci sono possono essere svuotate solo se si creano situazioni alternative. Chi ha diritto deve trovare un beneficio, chi non ha diritto deve essere posto al di fuori di queste situazioni. Un conto è sgomberare 5.000 persone, un conto è sgomberarne qualcuna di meno.
  Il tema della contraffazione – convengo con lei – è un tema serissimo, che incide pesantemente, ma è un tema sul quale lavorano specificamente nuclei specializzati della Guardia di finanza. Il precedente ministro dell'interno aveva dato un obiettivo puntuale alla Guardia di finanza. È un'attività che in qualche modo viene svolta.
  Passo al tema della radicalizzazione. Sono convinto, onorevole, che la radicalizzazione non sia una causa. La radicalizzazione è un effetto. Queste persone si radicalizzano in carcere perché – questo l'ho detto un po’ prima che si parlasse di queste situazioni nel nostro Paese – per fortuna, non abbiamo ancora le banlieue e non abbiamo le intercity londinesi. Quindi, i luoghi di massima marginalità di queste persone sono le carceri. La radicalizzazione è un modo distorto e perverso di fornire risposte a domande che fanno riferimento alla propria condizione di marginalità. Peraltro, ci sono approfonditi studi che dimostrano che la radicalizzazione non passa necessariamente da una condizione di disagio economico. Ci sono fior fiori di terroristi che provengono da famiglie molto agiate. Anche in Europa, se prendiamo in esame le persone che hanno compiuto gli attentati da Atocha nel 2004 fino agli ultimi eventi, soprattutto quelli londinesi del 2005, vediamo che erano persone che venivano da strati sociali non disagiati. La radicalizzazione è una risposta alla propria condizione di marginalità sociale, che è tipica, per esempio, delle seconde e terze generazioni, le quali a volte non si sentono più Pag. 32legate ai luoghi di origine e non si sono viste realizzate nelle condizioni del Paese che le ha accolte. La radicalizzazione è un tema che stiamo seguendo. Per esempio, i dati sono abbastanza inequivoci. Ormai i luoghi di culto, per come li abbiamo conosciuti, sono gli ultimi luoghi di radicalizzazione, anche perché sono non dico controllati, ma iper-controllati. Oggi la radicalizzazione nel nostro Paese, come ha detto autorevolmente il Presidente del Consiglio, avviene sul web e nelle carceri. I luoghi di culto – ripeto – un po’ perché tra poco sono più le persone infiltrate che quelle che ci vanno per dire le loro cose, sono veramente le ultime delle nostre preoccupazioni. Sono luoghi altamente controllati. Penso, per esempio, all'ultima vicenda di Amri. A voi risulta che Amri fosse un frequentatore di moschee? Peraltro, gran parte di questi soggetti hanno un rapporto con la religione assolutamente strumentale, intanto perché il Corano molto spesso non sanno nemmeno dove sta di casa. Conducono molto spesso delle vite che non sono quelle dell'ortodossia coranica. Quindi, le problematiche sono di altra natura.
  Lei prima, onorevole Rampelli, diceva che ho fatto la fotografia, che ci sono queste situazioni, che ci sono i rom che fanno determinate cose. Io potrei dire, provocatoriamente, che noi facciamo quello che voi ci avete consegnato con gli strumenti che in questo contesto si realizzano. Se andiamo, come capita spesso, alla Stazione Termini, e fermiamo le persone perché fanno borseggio, le arrestiamo e le portiamo davanti al giudice, per quelli che sono i termini di legge, lui le rimette in libertà e, quindi, la mattina dopo loro si ripresentano esattamente a fare le stesse cose. Il problema non è della capacità delle forze di polizia di fornire delle risposte. Il problema forse sono gli strumenti con i quali le forze di polizia sono chiamate a operare. Ripeto, troppo spesso nel nostro Paese si fa riferimento alle soluzioni securitative per fornire risposte a domande che affondano in ben altri contesti. Per questo motivo ritorno a dire – queste sono alcune domande che sono state poste da diversi parlamentari – che il tema del rapporto con gli stakeholder è fondamentale ed essenziale.
  La differenza per cui a Bologna o a Firenze determinate cose non sono di un determinato tipo è perché le risposte sono di altro tipo nei rapporti con gli stakeholder e con i soggetti istituzionali. Se in alcune realtà del milanese le risposte sono di un determinato tipo è perché il rapporto con chi è chiamato a fornire delle soluzioni alla famosa finestra rotta evidentemente è diverso.
  Onorevole Mannino, il commento più pertinente che è stato fatto alle mie dichiarazioni l'ha fatto il giudice Mastelloni, secondo cui avevo detto semplicemente delle ovvietà. Se diciamo che siamo dentro una minaccia, che questo è un terrorismo liquido, ossia un terrorismo che si alimenta di strumenti assolutamente occasionali (non ci vuole né il Semtex, né il C-4, né chissà quali arzigogoli che hanno impegnato la nostra mente in altri contesti e con altre forme di terrorismo), credo si possa dire che, poiché siamo un Paese esposto a questa minaccia, non la possibilità, ma la probabilità che possiamo essere colpiti sia abbastanza significativa. Credo che avere una società civile e consapevole sia sempre e comunque un modo migliore per affrontare questi problemi. Sono molto preoccupato non perché, come qualcuno ha scritto, con la solita superficialità che gli è propria, che questo è un modo per mettere le mani avanti. Che significa? Se succede un attentato, risponderò sulle mie responsabilità. Se non ho fatto determinate cose, ne risponderò. Se le ho fatte, non ne risponderò. Non è un fatto di mettere le mani avanti, ma di provare a fare un percorso di coinvolgimento in termini di consapevolezza di questo Paese. Questo mi appartiene dalla mia esperienza in Protezione civile. Uno dei deficit più grandi del nostro Paese è la consapevolezza del rischio. Se uno ha consapevolezza del rischio, risponde in maniera assolutamente diversa agli eventuali probabili effetti del rischio. Se, invece, uno vive in una sorta di mondo nel quale si pensa che le cose non siano come debbono essere, alla fin fine poi la reazione è una reazione isterica. Soggiungo Pag. 33– perché io ho soggiunto – che non ho fatto solo una considerazione prospettica. Ho anche detto che, all'esito di alcune indagini che hanno portato all'espulsione di queste persone, quando abbiamo avuto la possibilità di analizzare i loro telefoni, abbiamo visto che queste persone erano molto avanti in un percorso di probabilità di realizzazione di un evento delittuoso. Quindi, non stiamo parlando di un'ipotesi assolutamente marginale, ma di un'ipotesi concreta. Ho un'altra preoccupazione, onorevole. L'ho detto e lo ribadisco: la vita è sacra, ma io considero la libertà ancora più sacra della vita, anche perché siamo in un Paese nel quale alcune persone hanno pagato con la vita per consegnarci una democrazia libera. La mia preoccupazione, come cittadino, non come Capo della Polizia, è che noi ci facciamo condizionare e che, quindi, il condizionamento ci porti a modificare il nostro stile di vita e i nostri valori. Noi dobbiamo continuare a vivere la vita di tutti i giorni sapendo che c'è un rischio e che il rischio è significativo, ma che non sposta minimamente la vita di tutti i giorni. A volte ho utilizzato anche espressioni che, ripensandoci, possono essere anche forti. Mi riferisco al fatto che in Europa in questi due anni sono morte circa 300 persone per attentati. In Italia muoiono ogni anno 3.400 persone per incidenti stradali. Credo che nessuno abbia messo in discussione il fatto che si vada in macchina e che si possa circolare.
  Vorrei trasmettere, paradossalmente, un messaggio, come dice il ministro dell'interno, di sicurezza tranquilla. Ci deve essere la consapevolezza che c'è il rischio che determinati fatti possano coinvolgere il nostro Paese e che ci sono degli apparati di sicurezza che stanno lavorando e che, per quelli che sono i risultati, stanno funzionando. La gente deve continuare a vivere la propria vita.

  CLAUDIA MANNINO. In riferimento alle sue dichiarazioni, poiché la relazione mi sembra più importante rispetto a quello che scrivono i giornali, ricordo che lei parlava di infiltrazioni terroristiche solo per la città di Cagliari. Così, almeno, mi è parso di capire.

  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. No, no.

  CLAUDIA MANNINO. La domanda era la seguente: queste situazioni nelle altre città non sono state rilevate e quindi si trovano anche in altri territori? Quella era la domanda. Non mi interessava tanto la sua dichiarazione.

  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Per quanto riguarda la domanda, onorevole, nella relazione si è fatto riferimento a una specifica operazione che ha riguardato la Sardegna nel 2015, a fronte del fatto che successivamente, rispetto ai soggetti che sono stati enucleati, non ci sono state più problematiche di questo genere. Se però lei tiene conto che da gennaio 2015 ad oggi abbiamo fatto 134 espulsioni di soggetti che abbiamo ritenuto altamente problematici sotto il profilo della sicurezza, nota che, ovviamente, ciò non si limita solo alla regione Sardegna, ma si estende a gran parte del territorio nazionale.
  Per quanto riguarda – cerco di andare velocemente – i crimini d'odio, onorevole, sono pienamente d'accordo con lei: purtroppo, sono temi che molto spesso si sottraggono alla denuncia, anche perché colpiscono fasce di popolazione che ancora non hanno un rapporto di fiducia nei confronti delle istituzioni. È ovvio che si tratta di un dato sommerso, che non potrà rientrare nelle nostre statistiche.
  Per quanto riguarda gli altri tipi di reato, onorevole Mannino, le faremo avere un'integrazione sulle cose che ci ha richiesto.
  Sono assolutamente d'accordo, onorevole Gasparini, sul ruolo che dobbiamo avere con le Polizie locali. Sono un convinto assertore che una sicurezza veramente integrata passi attraverso il potenziamento dei rapporti con le Polizie locali e in questo senso le posso assicurare che lavoreremo.
  Onorevole Morassut, per quanto riguarda Casamonica, ci sono specifiche indagini in corso, che ci auguriamo portino a risultati. Il tema dei Casamonica, al di là dell'episodio dell'agosto, che ha consentito Pag. 34a me di non fare le ferie, ma che poi è diventato una situazione abbastanza abnorme rispetto alla realtà delle cose, è sicuramente molto poco folcloristico e molto reale da un punto di vista dell'incidenza nel panorama criminale della Capitale. Sicuramente le posso assicurare che è una questione molto, molto posta all'attenzione degli organi di polizia. Ci auguriamo che anche nei prossimi mesi ci siano degli esiti rispetto a questo tipo di attività.
  La vicenda del quartiere don Bosco, con riferimento a quell'occupazione, è una questione che conosco molto bene. Anche in quel caso però c'è tutto un tema di prospettive. Peraltro, avevo messo nella mia famosa short list anche questo tipo di sgomberi, perché quel tipo di problematica ha un'incidenza particolarmente negativa in quel tessuto della periferia romana. Ripeto però che la possibilità di trovare delle soluzioni alternative è la precondizione per poter mettere mano a queste situazioni. Lo sgombero fine a sé stesso su questo tipo di problematiche non ha alcun tipo di successo.
  Per quanto riguarda l'onorevole De Maria, i centri antagonisti nel mio personale ranking delle preoccupazioni sulla sicurezza del Paese stanno nella parte bassa del tabellone. Sicuramente soprattutto sul tema delle occupazioni si realizzano situazioni anche di illegalità che scade nella delittuosità, perché ovviamente ci sono delle associazioni che si tingono anche sotto il profilo penale. Si tratta di un fenomeno che seguiamo, ma che da un punto di vista dell'allarme sociale, per come oggi l'allarme sociale credo debba essere vissuto – ripeto – non è così urgente.
  Sull'organico credo di averle risposto.
  C'era una questione all'inizio sulla propensione ai reati...

  ANDREA DE MARIA. No, a denunciare i reati.

  FRANCO GABRIELLI, Capo della Polizia. Quanto al denunciare i reati, nelle statistiche si paga sempre la denuncia effettiva. È ovvio che ci sono reati la cui denuncia è assolutamente nelle cose e che ce ne sono altri che non vengono denunciati. Per esempio, ci sono persone che magari hanno subìto il terzo furto e che al terzo o al quarto furto non denunciano nemmeno. Quindi, ci sono situazioni che attengono a risposte soggettive, di cui però in una visione complessiva, non possiamo fare una disamina dell'effettiva incidenza.
  Sui CIE credo che si sia fatta un po’ di confusione. Mi permetto di dirlo qui. Nessuno vuole creare Guantánamo. Semplicemente c'è chi vuole applicare la legge. C'è una legge che ci dice che le persone irregolari debbono essere espulse. Anche su questo ho sentito cose un po’ distoniche rispetto alla realtà. Le espulsioni non si fanno in quarantott'ore perché, per fare l'espulsione, ci vogliono due precondizioni: che una persona sia identificata e che una persona sia riconosciuta da uno Stato che se la riprende. Questa questione non è risolvibile in quarantott'ore e a volte non è risolvibile nemmeno in tre mesi, tant'è che, se prendete le statistiche, vedrete che mediamente le persone che entrano nei CIE vengono effettivamente rimpatriate in una media del 50 per cento all'anno (in qualche anno del 47, in qualche altro del 53, ma mediamente del 50 per cento), perché il tema del riconoscimento da parte dello Stato estero e soprattutto del titolo di viaggio che consente a noi di espellerle è una precondizione. Ogni tipo di approccio sul tema delle espulsioni non può prescindere da questo dato. Quando sento parlare di espulsioni in massa, mi chiedo dove e come? Ripeto, bisogna – credo – misurarsi con la realtà, perché la realtà è fatta in questa maniera. Soggiungo però che, se riusciamo a espellere nei CIE «solo» il 50 per cento – il «solo» lo metto molto virgolettato – vogliamo precluderci anche il 50 per cento e, quindi, vogliamo toglierci anche questo strumento? Credo che dal nostro punto di vista questa sia una negatività. Noi abbiamo accolto di buon grado l'indicazione per cui il ministro nelle sedi opportune definirà di dotare di un numero il più alto possibile di CIE il nostro Paese, ma, anche qui, non con una vocazione afflittiva. Oggi abbiamo due CIE funzionanti a pieno regime, Torino e Caltanissetta. Quando si Pag. 35parla tanto di presenza di forze di polizia sul territorio, ci si dimentica che, se oggi il questore di Perugia deve mandare qualcuno al CIE di Caltanissetta, deve prendere tre operatori, caricarli su una macchina e farli andare a Caltanissetta e quei tre operatori per cinque giorni non stanno sul territorio. Quindi, creare CIE in maniera distribuita sul territorio non è un'afflizione per i territori, ma è un modo più razionale per consentire alle forze di polizia di rispondere alla mission che, tra l'altro, hanno, cioè quella di prendere le persone irregolari e pericolose e di metterle nella condizione di non nuocere e possibilmente di essere rimpatriate.
  Passo alla filosofia del controllo del territorio o del territorio controllato. Al di là dell'aspetto affascinante sotto il profilo della semantica, è un angolo visuale diverso intanto perché risponde alla filosofia di un controllo che non è demandato solo alle forze di polizia ma anche a un contesto istituzionale in cui ognuno cerca di fare la sua parte. La vexata quaestio della videosorveglianza è uno dei refrain che molto spesso si sentono e che, purtroppo, hanno disperso somme ingenti di denaro, perché nel tempo si sono fatte videosorveglianze che sono diventate più arredi urbani che non strumenti per controllare il territorio. Se non c'è qualcuno che controlla, se non c'è una centralizzazione da remoto delle immagini, se non c'è un coordinamento dell'attività di videosorveglianza con l'attività di controllo del territorio effettivo, si spendono soldi. Magari si partecipa a qualche bando europeo e si alimenta un settore che va sempre bene per quanto riguarda l'occupazione, ma da un punto di vista della resa ovviamente non va. La filosofia quindi è quella per cui il territorio diventa l'oggetto privilegiato del controllo da parte di una filiera istituzionale che deve portare al controllo stesso. Anche su questo tema c'è stata una polemica abbastanza stucchevole tra militari sì, militari no. Credo che i militari siano importanti nel presidio di alcune strutture nel territorio. Il controllo del territorio è una questione che attiene alle forze di polizia, perché ovviamente il controllo del territorio, o il territorio controllato, è qualche cosa di più complesso del suo presidio. Sono due concetti completamente diversi, che mi piacerebbe si capissero, ma non perché si voglia denigrare o sminuire qualcuno. Ci mancherebbe altro. Noi siamo assolutamente felici e riconoscenti verso tutti quelli che concorrono a realizzare un territorio controllato, ma ci sono delle specificità. Io sono un cultore dell’unicuique suum. Questo è un Paese in cui ognuno cerca di fare le cose degli altri. Se ognuno di noi facesse le cose in maniera puntuale e precisa, saremmo il miglior Paese del mondo.
  Concludo con gli irregolari, presidente. Gli irregolari sono un tema significativo, anche perché noi calcoliamo che siano un numero importante. Si tratta di un dato assolutamente «spannometrico», perché non c'è alcun dato statistico reale. Se sono irregolari, è quasi una contraddizione poter dire che sono un dato numero, ma sicuramente ci sono. Pensiamo a tutti quelli che fuoriescono dal circuito dell'accoglienza perché sono stati denegati della possibilità di accedere alla protezione umanitaria. Pensiamo al fenomeno, che molto spesso trascuriamo, delle persone che si trattengono irregolarmente a fronte di un ingresso regolare. Parlo degli overstayer, ossia coloro che, alla fin fine, da un punto di vista numerico, sono notevolmente superiori a quelli che provengono con i barconi e che molto spesso costituiscono nelle nostre realtà anche fonti di percezione di insicurezza. Pensate a Roma. Roma è il catalizzatore di tutta un'umanità sofferente, che va al di là degli immigrati regolari e dei richiedenti asilo. Si tratta di gente che gravita perché molto spesso è preda di attività illegali, di attività criminali che, in prospettiva, se non governate, possono rappresentare anche luoghi di coltura per atti di natura terroristica. Questo è sicuramente un dato preoccupante, ma è un dato al quale credo che le istituzioni nel loro complesso debbano fornire una risposta. Mi permetto di dire molto semplicemente – poi credo di non tediarvi ulteriormente – che il tema dell'immigrazione si compone di tre settori, di tre ambiti, di tre approcci. C'è un tema che attiene ai flussi, che debbono Pag. 36 essere in qualche modo regolati. Possiamo anche svuotare la vasca, ma, se non limitiamo il flusso, chiaramente il problema permane. Un tema di rimpatri volontari o forzosi, ma è anche un tema di fornire risposte a chi magari nel nostro territorio vuole percorrere una strada di integrazione regolare. Oggi, purtroppo, nel nostro Paese, a fronte di una forte anemizzazione del decreto flussi, non ci sono forme lecite di ingresso nel nostro territorio. Quindi, ci troveremo sempre più con un numero significativo di irregolari che avremo difficoltà a espellere e che, se non troveranno percorsi di integrazione, rappresenteranno – quelli sì – un serio problema per la sicurezza del nostro Paese.

  PRESIDENTE. Grazie, Prefetto Gabrielli.
  Lascerei lo spazio alla proposizione della domanda in seduta segreta.
  Dispongo la disattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (La Commissione prosegue in seduta segreta).

  PRESIDENTE. Dispongo la riattivazione dell'impianto audiovisivo.

  (La Commissione prosegue in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringrazio il Prefetto Gabrielli e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.55.