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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 12 di Mercoledì 15 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Coppola Paolo , Presidente ... 2 

Audizione del Commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale, Diego Piacentini:
Coppola Paolo , Presidente ... 2 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 2 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 8 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 8 ,
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 9 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 9 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 10 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 10 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 10 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 10 ,
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 11 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 11 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 13 ,
De Lorenzis Diego (M5S)  ... 13 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 14 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 15 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 15 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 15 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 15 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 15 ,
D'Incà Federico (M5S)  ... 15 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 16 ,
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 16 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 17 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 17 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 18 ,
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 18 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 19 ,
Boccadutri Sergio (PD)  ... 19 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 21 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 21 ,
Piacentini Diego , commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale ... 23 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 23 23 

Comunicazioni del Presidente:
Coppola Paolo , Presidente ... 23 ,
Boccadutri Sergio (PD)  ... 24 ,
Coppola Paolo , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
PAOLO COPPOLA

  La seduta comincia alle 14.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, anche mediante l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione diretta sulla web-tv e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del Commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale, Diego Piacentini.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale, Diego Piacentini, accompagnato da Guido Scorza, responsabile per l'area Affari regolamentari, nazionali ed europei, che ringrazio per la presenza.
  Comunico che è presente in Commissione anche il consulente della Commissione, il professor Paolo Ferragina.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Si tratta di un'audizione di natura prettamente conoscitiva, per la quale chiedo al dottor Piacentini di fornire un quadro esplicativo quanto più ampio possibile dei suoi compiti e dell'esperienza maturata durante i primi mesi del suo mandato. Il dottor Piacentini è stato nominato Commissario straordinario il 16 settembre 2016 e ha un mandato di due anni.
  Cedo, dunque, la parola a Diego Piacentini per lo svolgimento della relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Grazie, presidente. Ringrazio tutti per avermi dato l'opportunità di descrivere la nostra attività.
  Come il presidente ha anticipato, siamo entrati nel quinto mese della nostra attività. Sono stato nominato, infatti, commissario straordinario per l'attuazione dell'Agenda digitale con decreto del Presidente della Repubblica del 16 settembre 2016. Quindi, siamo vicini all'anniversario del quinto mese.
  La maggior parte del tempo – soprattutto i primi tre mesi – è stata dedicata non solo alla comprensione delle attività, dell'esistente e di quanto si possa fare all'interno dell’e-government della pubblica amministrazione, ma anche alla costruzione del team per la trasformazione digitale.
  Direi che è un po’ presto per dare un bilancio sull'attività svolta, ma sono ben lieto di fornire tutti gli elementi che ho a disposizione per farvi capire il contesto nel quale stiamo operando, il piano che stiamo mettendo in piedi e le attività di coordinamento con AgID e con i vari enti e società della pubblica amministrazione con i quali stiamo creando. Pag. 3
  Ci sono quattro punti che andrò ad approfondire all'interno di questa presentazione e che voglio enfatizzare all'interno di questa conversazione. In genere, le domande che mi sono state poste all'inizio di questo mandato erano se manchino le risorse economiche – sì o no – se manchino le competenze digitali, se manchi la volontà di cambiare e se ci sia una mancanza di cultura sia di linguaggio digitale, sia di progetto digitale. La risposta a queste domande è «sì» in alcuni casi e «no» in altri casi. Entriamo nello specifico. Secondo me, non è giusto parlare di un Paese che investe poco nella digitalizzazione dell'amministrazione, mentre è probabilmente più consono parlare, soprattutto all'inizio, di allocazione delle risorse di spesa all'interno della pubblica amministrazione.
  Se si guardano i dati di spesa che abbiamo visto sia per il 2015, sia per il 2016, che sono più o meno simili (5,6 miliardi e 5,5 miliardi rispettivamente nel 2016 e nel 2015), si nota che il problema è come vengono spesi questi soldi. Poi si può giungere anche alla conclusione, una volta determinata un'allocazione più organica e più moderna delle tecnologie, che possano servire più soldi, ma questo è un discorso che si potrà fare solamente più avanti nel tempo, quando avremo più elementi.
  Uno dei problemi principali, che non è un problema solo italiano – guardate la relazione del US Digital Service – è l'acquisizione da parte della PA nel mercato delle competenze e delle soluzioni tecnologiche. Sostanzialmente, è il problema del procurement. L'analisi del Digital Service degli Stati Uniti parte dal problema principale, che riguarda l'acquisizione delle competenze tecnologiche e il procurement di queste competenze.
  Secondo me, siamo all'inizio, con le attività di procurement nella pubblica amministrazione italiana, quindi anche e soprattutto con Consip, della fase di evoluzione del procurement. Si sta evolvendo da un procurement specializzato nelle commodity, ossia nell'acquisto di prodotti, in cui, se acquisti tanto, fai tanto volume e puoi ottenere dei grandi sconti. Si tratta di un discorso di armonizzazione, di un discorso di quantità di volumi, che, secondo me, Consip sta facendo bene e continuerà a fare molto bene, un procurement specializzato nei servizi classici, ossia servizi di pulizia, servizi di manutenzione ambientale, servizi di ingegnerizzazione, costruzione di strade e autostrade. Da questo si sta passando a un procurement totalmente diverso, un procurement di servizi moderni, di servizi agili e di soluzioni tecnologiche.
  Vorrei proprio citare testualmente, se mi permettete, 4-5 punti sui quali mi trovo assolutamente in linea e sui quali stiamo cercando di agire. Tutte le regole che vengono utilizzate per i tipi di procurement che vi ho appena descritto spesso vengono tradotte per il procurement di soluzioni tecnologiche, quasi letteralmente. Torno a dire che siamo in evoluzione. Io ho sempre la tendenza a vedere il bicchiere come mezzo pieno e non come mezzo vuoto. Stiamo creando queste condizioni. Tali condizioni partono – questo, secondo me, è il problema grosso dei Governi in generale e, in particolare, anche della pubblica amministrazione italiana – dalle competenze. All'interno della pubblica amministrazione, secondo me, è un must, è un dovere assoluto che ci siano più competenze tecnologiche e digitali. Perché? Perché non si può affidare tutto il processo di determinazione di una gara, inclusa la determinazione delle necessità di quello che si deve fare, esternamente. Si deve avere una linea di confine che sia più vicina alla pubblica amministrazione, che determini le architetture tecnologiche, il design e i need, le necessità. Poi, composta tutta questa parte, si possono fare delle gare molto più veloci e molto più snelle. Il problema numero uno da risolvere è l'acquisizione di talenti tecnologici all'interno della pubblica amministrazione. Questo, secondo me, è imprescindibile. Non può essere dato tutto fuori, in outsourcing. Quando parlo di pubblica amministrazione, non intendo dire solamente i ministeri e le pubbliche amministrazioni centrali, ma intendo dire anche le software house, che o sono della pubblica amministrazione, o sono comunque collegate al pubblico. Noi, per esempio, ci troviamo a collaborare molto bene con Sogei, Pag. 4ma anche con InfoCamere, con ACI Informatica e con la stessa ISTAT. Ne cito alcune. Non è esaustivo come indirizzo. Quello che serve è anche, all'interno di soluzioni tecnologiche, definire – è per questo che ci devono essere le competenze – quale sia il risultato finale e, quindi, le milestone per raggiungere questo risultato finale.
  L'altra questione assolutamente importante è non definire i requirement tecnologici, ossia le definizioni tecnologiche, di un progetto che magari dura 3-4-5 anni all'inizio del contratto, perché dopo 3-4-5 anni questi requirement tecnologici sono già stati sorpassati.
  Questo è il problema che soffrono tutti i grandi progetti di tecnologia. Torno a dire che non è un problema tipico dell'amministrazione italiana. È proprio un problema di una cosa pubblica che evolve più lentamente, quando si tratta di un processo di trasformazione digitale, dell'evoluzione tecnologica stessa.
  Bisogna aprire a sistemi agili, sia di design dell'architettura tecnologica sia della user interface. A mio avviso, bisogna compiere anche uno sforzo per far sì che alle gare possano partecipare anche start-up, aziende con nuove tecnologie. Non sempre le aziende che vincono lo fanno necessariamente perché abbiano una soluzione tecnologica migliore, ma perché sanno fare le gare meglio degli altri. Rimango nell'astratto, perché non ho esempi concreti, ma torno a dire che questo non è un problema solamente della pubblica amministrazione italiana. Dobbiamo dare la possibilità alle start-up, alle aziende con nuove tecnologie, con entusiasmo e con gente giovane, di partecipare alla fase di modernizzazione dello Stato. Questa è la parte relativa al primo punto di cui stavo parlando.
  L'altra parte è che la rivoluzione digitale è talmente repentina che in tutto il mondo si fa fatica, nel pubblico come nel privato, a convertire le competenze di ieri in quelle necessarie a confrontarsi con il fenomeno della digitalizzazione. Naturalmente, è possibile anche in Italia. Qui ci si riferisce alle solite classifiche del DESI – e non solo a quelle – dove l'Italia è sempre in ritardo per l'acquisizione delle competenze. Si parla di digital divide. Si fanno i servizi tecnologici per le aziende pubbliche, ma nessuno li usa. Secondo me, il problema si deve spostare, anche perché è un problema di più facile soluzione, e ci si deve concentrare sul miglioramento dell'offerta dei servizi digitali della pubblica amministrazione. Sono convintissimo che, se concentriamo gli sforzi soprattutto a migliorare la qualità dei servizi e a far sì che i cittadini possano utilizzare questi servizi e compilare solo un modulo, senza compilare ogni volta moduli in cui vengono richiesti sempre gli stessi dati, la domanda crescerà spontaneamente. È chiaro che c'è un gap demografico, è chiaro che c'è un gap culturale, ma i soldi spesi, secondo me, sono nel miglioramento della qualità dei servizi. Sono convinto che la domanda si assocerà in maniera proporzionale.
  Quello che ho constatato nei primi mesi è che le competenze digitali sono disomogenee o casuali, tornando al problema delle competenze. Ho incontrato centinaia di persone. Il livello di competenze è, più o meno sparso, a macchia di leopardo. Non è sicuramente frutto di un programma di education della pubblica amministrazione, ma di competenze nate quasi spontaneamente. Devo dire, però, che comunque, oltre alle competenze, il problema era anche proprio la cultura della condivisione.
  La cultura della condivisione è innanzitutto un problema tecnologico. Si può condividere non solo perché ci si scambia un’e-mail sull'esperienza, ma anche perché si è fatto un software con delle API al quale gli altri si possono collegare. Naturalmente, così è molto più facile condividere. Manca la cultura della condivisione. È per questo che, secondo me, c'è anche un lavoro di influenza culturale dei dipendenti della pubblica amministrazione sulla condivisione.
  L'altra questione sono le norme. Il collega Guido Scorza, qui a fianco a me, in preparazione della mia missione qui in Italia, mi ha suggerito di leggere un libro che si intitola Non ci credo, ma è vero, che sottolinea storie di ordinaria burocrazia, nelle quali si parla del principio di «chi copia non sbaglia». Effettivamente, purtroppo questo è un fenomeno che ho trovato Pag. 5 spesso. Se si copiano cose fatte bene, non c'è nulla di male. Il problema è copiare le cose fatte male. Non c'è mai lo spirito di iniziativa che porta a cercare di creare il nuovo. Questo giustifica una drammatica assenza di volontà di cambiare da parte di funzionari e dirigenti che dicono che si fa così. Spesso ho trovato anche risposte del tipo che una cosa non si può fare per motivi di privacy. Siamo andati ad approfondire l'argomento con la privacy stessa e non era assolutamente vero. Spesso il motivo di privacy viene utilizzato come una scusa per non fare o per non potersi prendere il rischio.
  L'evoluzione della mia missione è anche quella di cercare, insieme al nostro team, di parlare un linguaggio diverso e di creare una cultura di condivisione, che fa fatica, anche se si trovano gli elementi, a diventare una cultura di condivisione di massa tra tutte le pubbliche amministrazioni.
  Penso a una cultura della condivisione che si avvicini molto anche a un concetto di cultura del cambiamento. Manca molto la cultura del cambiamento e manca molto la cultura della trasformazione. Voglio aggiungere un punto che riprenderò nelle slide che vi farò vedere, che riguarda, da una parte, gli incentivi e, dall'altra, le norme pecuniarie per far fare le cose. Mi riferisco al concetto di carota e bastone: se lo fai, ti premio; se non lo fai, ti punisco.
  So che si parla tantissimo di introduzione di piani di performance, di definizione degli obiettivi e di compensi se le performance vengono raggiunte, ossia dell'introduzione di obiettivi e di compensi variabili all'interno della pubblica amministrazione. Per esperienza posso dire che, se manca la cultura della trasformazione e se mancano le competenze, creare incentivi e/o utilizzare norme pecuniarie o comunque norme che obblighino a fare le cose rischia comunque di rimanere molto inefficace. È per questo che, secondo me, l'introduzione di incentivi o di norme pecuniarie da sola, in assenza di cultura della trasformazione, cultura della condivisione e cultura della tecnologia, vista come trasformazione digitale, che deve partire dall'alto, inteso nel senso dei capi di dipartimento, dei Ministri e dei responsabili delle aziende legate alla pubblica amministrazione, la creazione di queste situazioni di incentivi e pecunia se non si fanno le cose rischia di diventare veramente forse troppo inefficace.
  Alla fine di questo argomento, che mi porta all'ultimo punto, c'è il discorso della trasformazione culturale del linguaggio e delle modalità operative della trasformazione.
  Parto dalle modalità operative della trasformazione. Vorrei fare due esempi ai quali noi siamo stati esposti. Uno è il famoso 18app, quello del bonus di 500 euro di cultura; l'altro è quello della fatturazione elettronica. Quando siamo arrivati – all'inizio c'eravamo solo io e Guido Scorza, a settembre – il 18app era visto come un progetto assolutamente non coordinato. C'erano tantissimi operatori (il Mibact, Sogei, AgID, Consap e posso citarne altri tre o quattro), ma non c'era assolutamente un concetto di project management e, soprattutto, non era un problema solo tecnologico, ma proprio di coordinamento di queste forze, e non solo.
  Siamo riusciti a introdurre, almeno per questo progetto, il concetto di project management, ma anche, cosa a mio avviso molto, molto importante, il concetto di riuso e di condivisione. Sostanzialmente, 18app è diventata la piattaforma per il bonus degli insegnanti. In un sistema classico della PA il Miur avrebbe dovuto fare un'altra gara per fare, più o meno, le stesse cose e aggiudicarla, quando invece, in questo caso, si è costruita una piattaforma che è stata riutilizzata in altri modi. Si tratta di introdurre il concetto di project management e, nell'esempio della fatturazione elettronica, anche il concetto di programma. Qual è la differenza tra un progetto e un programma? Se si parla con le varie amministrazioni, osservano che la fatturazione elettronica c'è. È vero che la fatturazione elettronica c'è, però il design e le caratteristiche tecnologiche sono ancora identici a quando è stata lanciata qualche anno fa, mentre la fatturazione elettronica adesso è un programma che evolve. Cambiano le tecnologie, cambiano i sistemi digitali delle varie Pag. 6aziende private che interagiscono con il pubblico. Evidentemente la fatturazione elettronica, se non è vista come un programma che ha un budget, che ha un program office e che ha delle persone responsabili a farla evolvere, rimane indietro negli anni e non si fa altro che complicare la situazione.
  Questo è un concetto che, a mio avviso, dobbiamo trovare il modo di far entrare in maniera direi pervasiva. Ogni volta che c'è una legge, mi spavento quando questa legge, soprattutto se si riferisce alla parte tecnologica, non ha un programma operativo e non ha un budget di esecuzione, perché poi rischia di rimanere una legge inattuata e chi crea il progetto fatturazione elettronica si lamenta che gli altri non lo utilizzano, quando manca il concetto di project management e di programma. Ogni cosa che viene fatta dal punto di vista digitale deve sempre essere considerata come un programma, come una cosa viva che evolve nel tempo. Questi sono tutti i concetti che ho visto in questi cinque mesi e che mi sono permesso di condividere con voi.
  Passo ora, in maniera un po’ più organica, a fare una presentazione di una ventina di minuti. Comunque, interrompetemi in qualsiasi momento, ovviamente. So che non sarete timorosi in merito.
  Molti di questi concetti li conoscete, perché chiaramente noi non ci siamo messi a reinventare la ruota. Chi c'era prima di noi aveva fatto un ottimo lavoro di determinazione della visione, anche con il consigliere Paolo Barberis. Forse noi abbiamo cambiato un po’ il linguaggio, ma quello che stiamo cercando di creare sono i componenti fondamentali di questo sistema operativo, che adesso è il sistema operativo del Paese, sui quali costruire servizi più semplici ed efficaci per i cittadini, la PA e le imprese, attraverso prodotti digitali innovativi. Dovete praticamente pensare a un sistema operativo. Già la parola «sistema operativo», ovviamente, vuol dire evoluzione del sistema operativo. Non c'è alcun sistema operativo che sia stato lanciato e su cui nessuno abbia più fatto nulla. Continuerà a evolvere.
  La missione è rendere i servizi pubblici per i cittadini e le imprese accessibili nel modo più semplice possibile. In proposito abbiamo introdotto un nuovo concetto. In realtà, non è nuovo, ma è stato introdotto come nuovo nella pubblica amministrazione. È il concetto mobile first. Tutti i servizi che devono essere concepiti – noi qui ne abbiamo un'ottima occasione – devono essere fatti in maniera che permettano al cittadino di fruirne con i loro strumenti più utilizzati, in particolare con lo smartphone, ovviamente. 18app era nata come un'applicazione desktop. Dal momento in cui l'abbiamo presa in mano tutte le revisioni del prodotto sono sempre partite come revisioni sul telefonino. La parte desktop o laptop era un'appendice. Quindi, abbiamo rovesciato questo paradigma. Occorre un servizio con architetture sicure, scalabili, altamente affidabili – forse sembra ovvio – ma basate su interfacce applicative che siano definite e aperte, le cosiddette API. Che cosa vuol dire? Vuol dire che, quando pubblico qualche cosa, l'interfaccia definisce il servizio e quel servizio può essere utilizzato da tutte le amministrazioni, se scritto con le linee-guida che stanno per essere messe in piedi.
  Uno dei task principali è il coordinamento, che non è solamente definito all'interno del decreto di nomina del commissario di unità di missione, ma è di fatto, con gli esempi che vi ho dato, una delle cose più importanti. Si tratta di coordinare degli stakeholder che finora hanno sempre lavorato «in silos». Questo in maniera integrata con metodologia agile. Cosa vuol dire «agile», in questo momento? Vuol dire semplicemente una metodologia che può evolvere nel tempo. Spesso questi grandi progetti tecnologici – mi riferisco a quello che ho detto prima – vengono predefiniti anni prima. Si dice che fra tre anni bisognerà aver fatto questo e che tra quattro anni bisognerà aver fatto quest'altro, quando invece, nel frattempo, come è ovvio, la tecnologia è evoluta. Se la metodologia è agile, ogni tre mesi oppure ogni sei mesi si rivede quello che deve essere rivisto. Inoltre, ci deve essere un approccio open data, di cui parleremo anche più avanti.
  Io sono partito con una richiesta. L'ho detto anche – ve lo riferisco molto chiaramente Pag. 7 – nella mia conversazione con Matteo Renzi, quando ho asserito che non volevo venire a fare il consigliere da solo. Per impattare avrei dovuto avere delle persone che ne capissero molto più di me, ma che comunque avessero le competenze digitali che noi portavamo all'interno della pubblica amministrazione. Abbiamo creato quella che io ho chiamato una «chiamata alle armi». Sostanzialmente, verso la fine di settembre ho spiegato quello che stavo facendo e ho detto agli italiani che si intendono di tecnologia, che vivano in Italia o all'estero, che, se volevano lavorare per 12-18 mesi per il Paese e non si frustravano facilmente, noi eravamo il team per loro. Effettivamente siamo stati molto fortunati, perché abbiamo ricevuto diverse migliaia (3 mila-4 mila) di richieste, di cui un centinaio molto, molto valide. Di questo centinaio di soggetti siamo riusciti a selezionarne una ventina, di cui diciassette strettamente tecnologici, da big data architect a data scientist, a persone esperte di mobile computing, a persone esperte di rapporti con gli sviluppatori, a gente che sa scrivere codice.
  Adesso parliamo dei progetti e delle attività specifiche. So che questo tema lo conoscete benissimo. A seconda del soggetto cui lo chiedete la risposta è che ANPR è già fatta oppure che ANPR è un sogno. Che cos'è ANPR? Questo lo riassumo per tutti voi. Lo sapete benissimo. Le nostra identità sono disperse in 8 mila anagrafi comunali. Dobbiamo portarle in una sola anagrafe, guadagnando in efficienza e risparmiando soldi ed energia, perché il cittadino non debba più preoccuparsi di comunicare a ogni ufficio della pubblica amministrazione i suoi dati anagrafici o il cambio di residenza, per semplificare le procedure e uniformarle a livello nazionale. Questo è importante di ANPR. Questo passo è una premessa per rendere possibili successive innovazioni. Se vogliamo far sì che il cittadino non debba compilare gli stessi moduli con le stesse informazioni ogni volta – a prescindere dal fatto che dovremmo eliminare i moduli, ma quello è un discorso che forse riusciremo a fare un po’ più in là – la condizione necessaria, nonché non sufficiente (non basta cambiare la tecnologia, bisogna cambiare anche i processi), è creare una base unica di dati a cui tutte le amministrazioni si possano collegare.
  Si noti bene che, dal punto di vista dell'architettura dei dati, molti Paesi tecnologicamente avanzati – parlo di India, Stati Uniti e UK – dal punto di vista dell'amministrazione pubblica hanno un'anagrafica unica. È stata fatta una scelta, condivisibile, di creare anagrafiche uniche perché ci sono 7-8 database. Il vero problema è che non parlano tra di loro. Non è che si debba sempre avere un unico database. Se ne possono avere tanti che parlino tra di loro. In questo momento la scelta è stata fatta di crearne uno. È una scelta che noi stiamo cercando di migliorare e di eseguire.
  Che cosa vuol dire ANPR per noi? Ci siamo posti come obiettivo la creazione di un nuovo metodo di lavoro. Si tratta di porci tra noi e il committente, che è il Ministero dell'interno, e la società che ha scritto il software, che è la Sogei, con un concetto di program office, ossia un team di persone, tra cui ce ne saranno due del nostro gruppo specializzato, che dalla mattina alla sera si occuperanno, per i prossimi due anni, di esecuzione di ANPR su tutto il territorio nazionale. Si tratta di una specie di ufficio di coordinamento tecnico del progetto in capo al team per la trasformazione digitale in grado di lavorare in maniera agile, veloce, collaborativa e con forti competenze tecnologiche e gestionali. Cosa vuol dire questo dal punto di vista pratico? Dal punto di vista pratico questa è la nostra visione sulle modalità di lavoro e comunicazione. Ci deve essere trasparenza sul processo di sviluppo. Quando i comuni dicono che non riescono a fare una query o a trasferire alcuni dati, dobbiamo avere un metodo agile di colloquio con questi comuni, che non sia quello di farsi mandare una PEC e rispondere, forse, dopo quindici giorni. Occorre un sistema di tracking (si dice ticket tracking) trasparente, in cui il comune scriva quali sono i problemi di cui ha avuto l'esperienza e dall'altra parte ci siano delle persone. Occorre un Pag. 8tracking aperto, perché, se il comune A denuncia un problema, molto verosimilmente tanti altri comuni avranno lo stesso problema. Se si collegano a questo sistema di tracking, potranno vedere quali sono i problemi e come vengono risolti. Occorre documentazione e apertura degli ambienti di test. ANPR non aveva, e non ha tuttora, un ambiente di test. Ci si aspetta che i comuni vadano subito in produzione. Occorre formazione e sperimentazione. Occorre creare un'interfaccia verso l'esterno con documentazione, che sia ovviamente implementabile – gli SDK sono i software development kit – anche perché si creino degli SDK con delle open API. Si può anche prevedere che, in un futuro non lontano, tutte le software house che forniscono i comuni possano sviluppare dei servizi che si colleghino ad ANPR utilizzando il software development kit che offre ANPR. Aggiungo l'abilità di effettuare verifiche, l'accesso ai codici sorgente – entriamo in meccanismi operativi abbastanza tecnici – l'accesso diretto a metriche business che devono essere pubblicate, l'accesso ai sistemi di produzione, il processo di code review. Sono tutti metodi che nelle aziende tecnologiche sono abbastanza normali e che stiamo cercando di introdurre all'interno di questo processo. Quindi, per me ANPR non esiste come progetto eseguito finché l'ultimo comune in Italia non l'abbia utilizzata. Poi si può anche prendere il metodo di Pareto dell'80-20. Comunque, questo è il modo di vedere ANPR. Stiamo cercando di introdurre un nuovo metodo di lavoro.
  Dove siamo? Siamo a una convenzione che stiamo portando avanti tra Ministero dell'interno e Sogei. Siamo molto operativi su questo fronte e stiamo trovando molta collaborazione, perché tutti hanno recepito questo come un esempio di metodo di trasformazione. È ovvio che noi in diciotto mesi e con diciassette persone non andiamo a rifare il digitale in Italia. Non ce la facciamo da soli, ma, se incominciamo a creare casi di successo che possono essere replicati e visti, questo è il cosiddetto esempio virtuoso.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Se riesce a fare questo, è una rivoluzione solo questo progetto.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Sì, è l'evoluzione. Sono d'accordo, perché si ricollega molto a quello che dicevo prima sul tema dell'acquisizione delle competenze e al termine di guidare i progetti con un concetto di project management. È molto vicino a quello.
  Molti ci dicono che non ce la faremo mai. Penso che qualche possibilità di farcela ce l'abbiamo, ma non è al 100 per cento. Sono d'accordissimo.
  Quanto allo SPID, sono state assegnate finora 1.250.000 SPID e diverse migliaia alla settimana vengono assegnate. Ovviamente, la forcing function, di cui dobbiamo essere orgogliosi, sono stati i due programmi bonus diciottenni e bonus insegnanti. Mi fa sorridere la gente che dice che grazie a quelli siamo arrivati a un milione. Certo, quando si devono dare dei soldi alle persone, mi sembra un ottimo modo per introdurre un nuovo processo di riconoscimento. Io la trovo un'ottima idea, non un aver approfittato della situazione.
  Cos'è SPID? È un'identità digitale sicura e semplice da utilizzare e da ottenere perché cittadini e imprese possano identificarsi con la pubblica amministrazione, accedendo ai servizi pubblici. Una volta ottenuto SPID, ci si potrà autenticare su tutti i siti della PA, senza dover eseguire procedure diverse e, a volte, complicate. Ci sono un solo account e una sola password per tutti i servizi. Anche questo cosa vuol dire? Ci stiamo, in questo momento, occupando della chiave per entrare in casa, ma, nello stesso tempo, dobbiamo far sì che, una volta che si ha la chiave, si abbia anche il motivo per utilizzarla. Allo stesso momento, bisogna utilizzare e creare tutti i servizi per cui utilizzarla. Si tratta di creare le linee guida e si tratta di fare le convenzioni, come vi avrà spiegato anche AgID, che ha raggiunto ottimi risultati in questa direzione, con i grandi enti che utilizzano e offrono servizi pubblici. Ragionando in termini di metodo di Pareto, penso che ci siano almeno i primi dieci enti Pag. 9pubblici in Italia che hanno una grossa fetta delle transazioni. Adesso non so esattamente la proporzione. Comunque, direi che la regola del 20-80 si applica anche in questo caso.
  Come per ANPR, ci sono tantissimi Paesi a elevatissima evoluzione digitale che fanno tutto senza avere un'unica identità digitale. Io ho vissuto 17 anni negli Stati Uniti e mi correlavo in maniera abbastanza efficiente con la pubblica amministrazione in genere per il pagamento delle tasse universitarie, per la patente e quando ho smarrito la patente e altro. Ho usato cinque siti, cinque password e cinque username. Non vediamo questa come la panacea che risolve tutti i problemi. È sicuramente un grande processo di semplificazione ed è una strada che è stata decisa e intrapresa e di cui, secondo me, dobbiamo essere molto felici, perché ci permetterà di fare leap-frog, ossia di superare questi Paesi. Non illudiamoci, però, che sia la panacea di tutto quanto.
  Cosa vuol dire SPID per noi? Quello che, secondo noi, va fatto – questa è un'attività che stiamo facendo insieme ad AgID – è dalla SPID fatta fino adesso (questo è il concetto di programma), la SPID 1.0, lavorare per farla diventare SPID 1.5 e poi 2.0. Occorre fare un miglioramento della gestione operativa di SPID, quindi dello SPID provider, migliorare la user experience, valutare i sistemi di sicurezza, lavorare sull'interoperabilità dei database tra i vari IdP.
  Questo è molto importante, perché, in questo momento, non ci si scambia i dati fra i vari identity provider. Quindi, esiste il rischio che qualcheduno vada a chiedere l'identità digitale da uno e venga rifiutato e poi vada dal secondo e venga accettato, quando invece bisogna mettere un livello di sicurezza tramite interoperabilità dei dati.
  Si tratta anche di accedere ai vari database del Ministero dell'interno, il che permette di dire che una persona con una data carta d'identità nel sistema sia esattamente Mario Rossi. In questo momento questo manca. È dato semplicemente all'impiegata delle Poste capire se la carta d'identità sia vera o non sia vera.
  Occorre il monitoraggio della qualità del prodotto e degli standard lights of agreement. Bisogna risolvere il problema della gratuità del servizio. In questo momento le convenzioni con gli IdP parlano di gratuità del servizio fino a una determinata data del 2017 o del 2018. Adesso non mi ricordo esattamente. Dovrebbe essere il 31 dicembre 2017. Poi occorre il push sulle amministrazioni per accelerare l'adozione. Vi farò vedere una slide. Noi stiamo lavorando operativamente con 7 grossi comuni su tutti i progetti, SPID, ANPR e il prossimo che vedremo, per l'utilizzo, in maniera progettuale, di tutti questi servizi.

  DIEGO DE LORENZIS. Ci sono i comuni più grandi?

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Sono 7 tra i 12 comuni più grandi. Vedrete dopo la slide. Comunque, sono, da Nord a Sud, Venezia, Torino, Milano, Firenze, Roma, Bari, Palermo e poi qualchedun altro che si aggiunge lo prenderemo più che volentieri.
  Con riguardo a pagoPA e ai problemi di pagamenti digitali, è inutile che vi descriva che gestire i pagamenti digitali è più preciso e costa di meno rispetto a quelli manuali. Uno degli obiettivi che mi sono dato è che la prossima volta che andrò a rinnovare il passaporto italiano al consolato di San Francisco – sono residente all'AIRE – darò solo la colpa a me, se dovrò ancora andare a un Western Union, emettere un money check di 132 dollari e 22 centesimi e poi manualmente portarlo al consolato. Se lo dovrò fare ancora quando rinnoverò il passaporto, sarà tutta colpa mia.
  Quindi, occorre un modo diverso e più naturale per i cittadini di pagare la pubblica amministrazione, che diventi più immediato e veloce e più economico per il Paese. Direi che è ovvio, ma il costo di una transazione digitale è molto più basso del costo di una transazione manuale non digitale. Il cittadino deve poter scegliere i metodi di pagamento moderni a minima frizione e il mercato deve potersi integrare aggiungendo facilmente nuovi strumenti di Pag. 10pagamento innovativi. Anche questo è molto importante. Non possiamo limitarci a pagoPA con i sistemi di pagamento che conosciamo oggi, quando sappiamo già che ci saranno nuove evoluzioni dal punto di vista dei pagamenti mobile, peer-to-peer e blockchain in futuro. Bisogna creare un'architettura di sistema che permetta l'introduzione di nuove tecnologie. È questo che voglio dire quando dico che vogliamo rendere il sistema più aperto e flessibile.
  Cosa stiamo facendo? Ve l'ho fatto vedere. Il concetto di ANPR è quello che stiamo facendo. Il concetto di SPID è quello che stiamo facendo. Il concetto di pagoPA è quello che stiamo facendo. Occorre un miglioramento della user experience, l'accesso da mobile, che era stato quasi completamente dimenticato, la riduzione del numero di click – il cittadino deve poter pagare con il minor numero di click possibile – e la facilità d'uso. Stiamo lavorando con i 7 comuni che ho appena detto per l'introduzione. La strategia evolutiva di medio periodo è pubblicare delle API per facilitare poi i servizi che arriveranno dopo.
  Se devo dire dei tre quello su cui mi sento più confidente di possibilità di successo è esattamente pagoPA, per il semplice fatto che lo vogliono tutti. Non ho sentito nessuno che dica che non vuole i pagamenti digitali. Secondo me, l'architettura è stata ben disegnata, anche se è migliorabile. Abbiamo un esperto di pagamenti digitali che lavora benissimo con la parte pagamenti digitali di AgID e di SIA, che è il fornitore dell'architettura. Mi sento molto confidente su questa parte.
  Cos'altro stiamo facendo? Abbiamo annunciato, proprio ieri, il concetto di data analytics framework. Mentre quelli di prima sono processi operativi ed esistenti, questo è un progetto esistente, ma sperimentale. Lo stiamo facendo in parallelo, quindi non stiamo cercando di capire prima la norma, per poi parlare con il Garante della privacy e occuparci della soluzione tecnologica. Vogliamo fare tutto insieme.
  Lo Stato deve avere un framework di gestione dei dati che sia un modo unico nazionale di farlo. Può essere una scelta molto aggressiva, ma, secondo me, è quasi inevitabile. L'analogia forse non perfetta che utilizza, a parte quella del giacimento petrolifero, è l’asset dell'energia elettrica. Quando è stato lanciato l'utilizzo pubblico dell'energia elettrica, lo Stato se ne è occupato tanto. Ha creato il grid, ha creato sovvenzioni per l'utilizzo sul territorio e poi, eventualmente, a seconda dei Paesi, è passato in mano a privati o in mani semi-pubbliche o semi-private. Questa è una possibilità, da parte nostra, di creare un framework per cui tutti gli enti, dipartimenti e ministeri non guardino più i loro dati come silos, ma si costruisca il patrimonio di dati a livello nazionale. Perché diciamo framework? Il framework non è solamente una soluzione tecnologica. C'è un grandissimo componente tecnologico, ma ci deve essere anche un componente normativo, con il Garante della privacy, e un componente di facilità d'uso e poi di determinazione di quello che serve o non serve o serve di meno per la Cosa pubblica. È per quello che si parla di framework. Quindi, niente più silos per i dati di questa o quell'amministrazione. In teoria, dovremmo arrivare al punto per cui per scambiarsi i dati non occorra più una convenzione. Quando si chiedono i dati a un ministero, in questo momento se ne fa una copia e vengono forniti. Il concetto di fare una copia è obsoleto. Bisogna accedere ai dati. I dati pubblici sono un bene comune e una risorsa preziosa per il Paese, che, come un giacimento petrolifero – questa è l'analogia che è stata scritta in questo caso – può essere esplorata e minata per estrarre valore.

  PRESIDENTE. Per «minata» si intende «scandagliata».

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Sì, scandagliata. Questa è una traduzione. Me ne rendevo conto nel momento in cui...

  PRESIDENTE. Era giusto specificare.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda Pag. 11 digitale. Quindi, c'è il concetto di nuova interfaccia utente. Tra l'altro, questo è il team con più persone che abbiamo all'interno del nostro team. Ce ne sono tre che si occupano di quest'attività. Stanno lavorando in via sperimentale con un po’ di aziende del pubblico e stiamo creando insieme a loro il framework dei dati.
  Ovviamente, il rispetto della sicurezza della privacy è la parte critica e vitale, che deve essere comunque, a mano a mano, determinata. Siamo tutti di fronte a problematiche abbastanza nuove.
  Passo al problema della security. Direi che non va rienfatizzato. Noi ci stiamo occupando di un pezzettino, su nostra iniziativa, che consiste nel cercare di creare un programma di responsible disclosure. Che cos'è un programma di responsible disclosure? Sostanzialmente, è l'utilizzo delle esperienze che esistono nella comunità – i cosiddetti hacker buoni – per segnalare alla pubblica amministrazione che cosa non funziona. Si tratta di un programma che ha delle conseguenze e soprattutto delle questioni di tipo normativo che vanno risolte. Stiamo parlando con tutti gli enti predisposti per aiutarci a risolvere il problema. Ci stiamo ispirando a programmi fatti in Olanda o negli Stati Uniti, come il famoso Hack the Pentagon, che è stato fatto l'anno scorso dai nostri colleghi del Digital Service. Vorremmo cercare di introdurre un piccolo componente in questo, che è un più grosso programma di security, di cui non siamo responsabili direttamente, che si chiama appunto responsible disclosure.
  Bisogna trovare la collaborazione coi sette comuni. Tutti questi programmi che ho appena descritto hanno un responsabile da parte nostra e con i comuni una controparte che ci sta aiutando a definirli. La collaborazione con Torino, Milano, Venezia, Firenze, Roma, Bari e Palermo è incominciata sei mesi fa. I cinque progetti sono quelli appena discussi.
  Soprattutto abbiamo introdotto anche tool moderni di condivisione e discussione. Non basta spedirsi l’e-mail o fare la telefonata. Anche lì stiamo cercando di usare un ticketing system e dei productivity tool diversi per rendere più efficiente il servizio. È una condizione necessaria, ovviamente, ma non sufficiente. Non vogliamo focalizzarci troppo sui tool, ma la questione è molto importante.
  Stiamo lavorando con l'AgID alla stesura del piano triennale. Per noi è una grandissima occasione per cercare di spiegare alle pubbliche amministrazioni quello che si deve fare. Stiamo completando la prima bozza, che abbiamo condiviso con il Comitato di indirizzo dell'AgID. Vorremmo rilasciare una versione pubblica entro il primo trimestre di quest'anno. È un obiettivo ambizioso, ma raggiungibile.
  Dopo di questo, detto molto francamente, una volta pubblicato...

  DIEGO DE LORENZIS. Il piano triennale di indirizzo delle pubbliche amministrazioni?

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Esattamente, quello previsto dal CAD. Penso che la prima pubblicazione sia stata fatta un anno fa. Ci siamo resi conti che aveva bisogno di tanto lavoro e ci stiamo aiutando a vicenda con l'AgID per pubblicare questo piano triennale.
  Dovremo poi eseguire una versione che in americano chiamano manuali «for dummies», con la possibilità di spiegare in maniera un po’ più tecnologica e operativa e non solamente normativa il Piano triennale stesso. Il mio sogno – ve lo dico subito – sarebbe anche quello di creare un piccolo team che possa rispondere in tempo reale, o quanto meno in 24-48 ore, alle migliaia di domande che arriveranno dai comuni e dalle pubbliche amministrazioni per le interpretazioni di quello che diremo. Un Piano tecnologico non è sempre interpretabile al cento per cento in maniera chiara. C'è sempre bisogno anche di un aiuto operativo. Cercheremo di introdurre anche questo all'interno del processo.
  Stiamo lavorando anche alla revisione del Codice dell'Amministrazione Digitale. Guido Scorza, pochi giorni fa, ha pubblicato un articolo che spiega che dovremmo avere meno codici e più codice, inteso come codice software. Io ho un po’ l'allergia – lo Pag. 12dichiaro subito – per le regole tecniche espresse dalle leggi, perché, essendo tecniche, cambiano nel tempo, mentre le leggi sono fisse. Secondo me, è un ossimoro. Le regole di dettaglio vanno tradotte in bit, quindi cercheremo di tradurle in linee guida, più che in regole, mentre le convenzioni per lo scambio dei dati tra amministrazioni – ne ho fatto cenno prima – dovrebbero diventare non più convenzioni di scambi di dati, ma API aperte. Procedimenti amministrativi nei quali l'attività discrezionale dell'amministrazione è assente o modesta vanno trasformati in processi machine to machine più efficaci e più democratici. Questo è un sogno scritto anche abbastanza bene, ma sta a noi cercare di realizzarlo. Ci vorrà molto tempo.
  Tra le nostre missioni, come da DPCM, c'è anche la rappresentanza della Presidenza del Consiglio dei ministri a tavoli internazionali. In questo momento ci stiamo focalizzando su un paio di tavoli dell'OCSE e di e-government all'interno dell'Unione europea. Anche lì stiamo collaborando con AgID all'interno di questo tipo di attività. Il feedback che riceviamo è che spesso non ci sono italiani a questi tavoli. Alcuni di questi tavoli sono utili e alcuni un po’ meno. Cercheremo, chiaramente, di focalizzare i nostri sforzi all'interno di quelli su cui possiamo dare valore aggiunto.
  Vi ho descritto quello che stiamo facendo. Passo ora ai progetti e alle attività, invece, in via di definizione. Anche qui troverete concetti che non vi sono nuovi, perché sono stati descritti nel CAD e sono stati spiegati dall'AgID. Penso al concetto di Italia login.
  Ecco il sistema di API. Ne abbiamo parlato fino adesso. Di fatto questo sarà parte delle linee-guida di software che verranno trasmesse, tramite il Piano triennale, alle pubbliche amministrazioni. I sistemi informatici della PA devono essere connessi tra loro e parlare la stessa lingua, rendendo disponibile l'informazione immediatamente dove serve. Tutte le applicazioni dovranno esporre interfacce comprensibili alle macchine, non solamente, in maniera offuscata, agli umani e lavorare in maniera integrata collaborativa e sicura, facilitando il riuso delle applicazioni esistenti per costruire nuove soluzioni più potenti e innovative. Vi ho citato un caso, molto piccolo ma molto significativo, del riuso di 18app, che è stato scritto esattamente seguendo questo concetto. Non è il migliore dei prodotti che siano stati fatti tecnologicamente – ma comunque è accettabile – esattamente seguendo questo concetto. È stato immediatamente riutilizzato dal Miur per il bonus degli insegnanti.
  Quanto all’e-procurement, non abbiamo ancora lavorato come desidererei aver lavorato con Consip, ma non per colpa di Consip. Anzi, loro ci stanno cercando tantissimo. Semplicemente non avevamo ancora le risorse per farlo e volevo anche chiarirmi un po’ più le idee. È quello che ho detto prima, scritto in maniera più formale: si parla di un nuovo modo di concepire il processo di gara e di acquisto da parte della pubblica amministrazione, totalmente digitale, basato su piattaforme tecnologiche interoperabili e su API, che consente di bandire gare più veloci, meno costose e più efficienti e trasparenti. Questo è un processo di evoluzione degli acquisti che prenderà alcuni anni per farlo. Adesso si tratta di allocare da parte nostra insieme a Consip e ad AgID delle risorse per tradurre questo in qualcosa di più concreto.
  Quello sulla community, tra i progetti da fare, è probabilmente quello in fase più avanzata. Vorremmo cambiare il modo in cui lavora la pubblica amministrazione utilizzando standard e software aperti e realizzando le API documentate, di cui ho parlato prima, pubblicamente, con un linguaggio non giuridico, ma tecnico, intorno alle quali poter coinvolgere una community di sviluppatori che crei innovazione. Dovremmo riuscire a lanciare entro fine aprile un primo programma di condivisione di determinati tipi di SDK e soprattutto di documentazione tecnica per permettere a sviluppatori esterni di cominciare ad aiutare a sviluppare su API esistenti.
  Le linee-guida sono quelle di cui parlavo prima. AgID ha già fatto una prima versione. Secondo me, si tratta di fare le linee-guida 2.0. Ci sono esempi di kit di Pag. 13sviluppo rapidi da implementare per aiutare tutte le amministrazioni a offrire un'esperienza coerente e semplice per tutti i cittadini. Si tratta di linee-guida non solamente di design, ma anche di sviluppo software.
  Tenete conto che, nella nostra visione, quando saremo organizzati, non si chiederà più alle amministrazioni di implementare SPID in un dato modo, ma si riuscirà a incorporare SPID nei loro sistemi, automaticamente.
  Cos'è la cittadinanza in digitale? Stiamo parlando di uno dei componenti, quello delle notifiche. Si tratta di un modo diverso da parte delle pubbliche amministrazioni di comunicare con noi, notificare atti, ricordarci scadenze, una casa digitale accessibile dallo smartphone, nella quale trovare avvisi anche quando siamo in mobilità e nella quale poter esprimere le nostre preferenze e aggiornare i nostri punti di contatto. Con AgID stiamo facendo il design. Tutto quello che avete visto fino ad ora, tutti quei componenti del sistema operativo, è condizione necessaria per creare questo.
  Mi sono dimenticato, ma, secondo me, è il caso che ci ritorni che uno dei problemi delle norme tecniche è che vengono definite in maniera fissa le tecnologie, che non sono aperte, ma captive. La PEC è un sistema chiuso. La firma digitale è un sistema chiuso. Sono scelte tecnologiche che, nel corso del tempo, dovremo evitare di fare.
  Il team del Ministro Madia ha fatto un enorme lavoro nell'identificazione di tutte le norme da semplificare. Le regole stabiliscono che i procedimenti, i moduli e i formulari che cittadini e imprese devono compilare per interagire con l'amministrazione devono essere standard, senza distinzione per comune o regione. Dobbiamo scongiurare il rischio che le regole restino lettera morta e dare subito forma digitale ai nuovi procedimenti standard, una forma semplice, moderna, aperta e trasparente. L'esempio che uso, che mi è sempre fatto da molte aziende, è questo: se devo entrare in un'azienda multinazionale, devo entrare in Italia e voglio aprire 15 punti vendita in 15 comuni diversi, per fare esattamente la stessa cosa mi fanno compilare 15 modulistiche diverse e 15 adempimenti diversi. La normativa semplifica questi procedimenti. Stiamo lavorando molto con InfoCamere alla normalizzazione e alla semplificazione di queste procedure. Questo è uno dei progetti, ancora in forma più di visione che di progetto.
  Con questo ho esaurito la mia voce. Questi sono i sistemi un po’ più moderni che utilizziamo per comunicare con le pubbliche amministrazioni, non solamente con la PEC, anche se, quando occorre usare la PEC, ogni tanto lo facciamo anche noi.
  A questo punto, direi che a tutte le domande che avete sono pronto a rispondere.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il Commissario Piacentini.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DIEGO DE LORENZIS. Rompo io il ghiaccio, questa volta. Intanto La ringrazio per essere venuto, commissario.
  Una delle grandi difficoltà che abbiamo, come Paese, è un problema di governance, ossia il fatto che queste competenze siano miste e sparpagliate e che non ci sia stata, fino adesso almeno, una visione di dove si volesse andare e, quindi, degli obiettivi che siano facilmente riconosciuti da tutti. Abbiamo avuto nel tempo ministeri dell'innovazione e poi l'Agenzia, che nel frattempo ha cambiato anche funzioni. Mi chiedo se Lei possa formulare delle ipotesi, per rendere questo approccio un po’ più strutturato.
  Oggi, quello che il vostro gruppo sta realizzando si deve anche alla stretta collaborazione con AgID e alla grande collaborazione tra persone che condividono un obiettivo. Il timore che ho è che, passata questa esperienza, con una formulazione della governance diversa, questo processo possa subire un'interruzione. Poiché non ce lo possiamo permettere, come Paese, mi chiedevo se abbiate fatto un ragionamento su questo. Pag. 14
  L'altra domanda che vorrei porre è se in questa progettazione, quindi in un'idea che evolve, avete già fissato degli altri paletti. Penso allo SPID e al numero di persone che si registrano con SPID. Volevo capire se, in analogia con quanto fatto, per esempio, con la PEC o con altri strumenti, c'è una tabella di marcia per coinvolgere i medici, gli avvocati e via elencando.
  Per altro verso, per il discorso, che Lei faceva, dei silos e, quindi, di amministrazioni pubbliche che non si parlano, vorrei capire se intendete coinvolgere, per esempio, prima i ministeri e poi le amministrazioni locali. Da quello che abbiamo potuto osservare ieri in Sogei mi sembra molto più semplice l'integrazione con la Motorizzazione civile, tanto per dirne una, visto che ha citato ACI Informatica, che non con servizi che magari sono erogati da enti locali. Volevo capire, quindi, il tipo di approccio che si sta seguendo. Quello che lei ha detto è, ovviamente, condivisibilissimo. Noi abbiamo adesso la chiave. Negli altri Paesi magari non hanno la chiave. Quindi, sarebbe molto più facile per loro, magari più in là, rifare la porta, ma avere il motivo per entrare in casa e avere tutti i servizi. Volevo capire che tipo di strada si sta seguendo e se ci sono date certe o quasi.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Rispondo alla prima domanda sulla governance. Una delle cose che ho scritto recentemente è che uno degli obiettivi principali del commissario straordinario è che non ci sia più un commissario straordinario. Il nostro mandato dura fino a settembre del 2018, elezioni e cambi di Governo permettendo. Lo considererei un buon risultato se, nel momento in cui il nostro team cessa di esistere, nel frattempo, insieme ad AgID, saremo riusciti a far sì che AgID diventi un ente innanzitutto, secondo me, anche più numeroso, con competenze più tecnologiche, o quantomeno tanto tecnologiche quanto normative di governance, e che possa portare avanti tutto quello che stiamo decidendo insieme. Secondo me, in questo momento – è una risposta basata su quattro mesi di osservazione; magari tra altri quattro mesi avrò un'opinione diversa – si tratta veramente, insieme ad AgID, di far evolvere AgID. Lo strumento c'è, esiste e si chiama AgID. Dobbiamo lavorare con il team di Samaritani per evolvere AgID in qualche cosa che possa fare la delivery di tutte queste cose che ci siamo detti. Questa è la risposta in breve.
  Per quanto riguarda i paletti, abbiamo quelli di ANPR, di SPID e di pagoPA, perché sono progetti che sono già avviati.
  Per quanto riguarda le associazioni di categoria, medici e avvocati, stiamo cominciando a parlare. Sto facendo una specie di piccolo road show. Ho incontrato il presidente dei commercialisti della Lombardia, Miur, Mise. Sto cercando di portare la spiegazione di quello che facciamo. Si tratta anche di un lavoro top down di quelli che poi vengono definiti, mi sembra, dalla spiegazione di AgID del Piano triennale, come gli ecosistemi. Siamo in fase, sostanzialmente, di «evangelizzazione». Il nostro obiettivo è portare a termine piattaforme trasversali di questi componenti del sistema operativo. Poi bisogna creare i cosiddetti abilitatori. Non andremo a poter risolvere i problemi del Ministero della giustizia o della sanità da soli. Si tratta di creare le linee-guida, i processi tecnologici e probabilmente anche dei processi di audit per cui vengano fatte le cose. Poi, di fatto, ogni dipartimento, seguendo quelle linee-guida, dovrebbe essere organizzato e magari incoraggiato a portarsi dentro più competenze tecnologiche, come ho detto prima, per eseguire questi piani. Alla sua domanda se abbiamo delle date su quando cominceremo a lavorare con Motorizzazione civile sui vari progetti la risposta è: non ancora. Stiamo facendo un road show di spiegazione ai vari ministeri di quello che stiamo facendo per individuare le loro attività, ma su quelle su cui possiamo andare a interagire. Torno a dire, il piano triennale, le linee-guida di quel piano e tutto quello che ci siamo detti prima dovrebbero essere anche per loro le istruzioni per fare le cose che devono fare. Non so se sono riuscito a spiegarmi. Il nostro team di 17 non riesce, purtroppo, a raggiungere tutti. Per completare, se in questi due anni Pag. 15riusciamo a creare un'AgID più grande, più moderna e più competente, con norme e competenze tecnologiche moderne, magari questo è uno step che AgID riuscirà a portare avanti.

  FEDERICO D'INCÀ. Grazie mille per l'intervento e per la spiegazione del lavoro fatto. Siete in 17 persone, avete detto?

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Sì. In verità, siamo venti, di cui diciassette tecnologici. C'è anche il collega nei venti.

  FEDERICO D'INCÀ. Quindi, venti persone fanno questo lavoro. È un numero sbalorditivo rispetto alle migliaia che vediamo spesso passare all'interno della pubblica amministrazione.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. In questo momento sì. Vi ringrazio della fiducia. In questo momento abbiamo avviato tre progetti dal punto di vista operativo. Gli altri sono descrizioni del progetto.

  FEDERICO D'INCÀ. Lei ha parlato di tavoli internazionali a cui partecipare e di tavoli a cui non partecipare. Se ci aggiungesse qualche dettaglio, sarebbe interessante prenderne nota.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Certo. Noi siamo direttamente coinvolti nel tavolo dell’e-government di Bruxelles, mentre ce ne sono altri cui non partecipiamo noi, ma partecipano altri, per esempio sulla banda ultralarga o sulle infrastrutture, in cui va il Mise. Intendevo dire questo. Sostanzialmente c'è una suddivisione di compiti tra dove andiamo noi direttamente e dove magari, invece, vanno altri ministeri o altri dipartimenti. L'altro organismo è l'OCSE.

  FEDERICO D'INCÀ. La suddivisione è corretta, per Lei?

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Guardi, non ho ancora abbastanza visibilità per poter dare la risposta. Quello a cui ho partecipato, per una questione contingente, ieri a Bruxelles, secondo me, è il tavolo giusto per noi. Era il tavolo dell’e-government. Tra l'altro, c'era Andrea Servida, direttamente sotto la direzione di DG Connect, gestito da un altro italiano. La nostra collocazione all'interno di quel Dipartimento è quindi la collocazione corretta.

  FEDERICO D'INCÀ. Un'altra domanda riguarda la parte sanitaria, che credo sia uno dei grandi comparti a cui mettere mano, per cui c'è la parte dei fascicoli sanitari ad esempio dove la Lombardia è abbastanza avanti, qualcosa hanno fatto l'Emilia-Romagna e la Toscana, ma il resto è in gravissimo ritardo. Volevo domandarLe se, all'interno dei punti che Lei ha descritto, non manchi una parte sanitaria.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. In verità, nei tre punti che ho descritto mancano tutti gli ecosistemi verticali, non manca solamente la sanità, ma mancano anche la giustizia, la scuola digitale. In questo momento io ho presentato quei componenti del sistema operativo che sono trasversali e condizione necessaria per far sì che tutte le altre attività vengano fatte in maniera più agile e completa.
  Si sta parlando con Toscana e Lombardia per la parte sanità, per capire cosa stanno facendo, ci stiamo sicuramente discutendo, però, da lì a dire che siamo in grado di poterli aiutare, ne passa ancora un po’ purtroppo, ma non perché non sia necessario (voglio essere interpretato correttamente), ma perché in questo momento ho deciso di allocare le nostre risorse su questi processi e su questi programmi orizzontali, che vanno a colpire e ad aiutare tutti gli ecosistemi verticali, dove, per ecosistema, definisco il Ministero e quello che sta facendo.

  FEDERICO D'INCÀ. L'ultima domanda riguarda la frammentazione della parte informatica Pag. 16 del nostro Paese. Noi abbiamo parecchie in house (Lombardia informatica, Alto Adige informatica, Trentino informatica), quindi c'è la separazione per province autonome.
  Visto che ha una visione internazionale e viene da un gruppo importante, volevo domandarLe in quale visione Lei tiene conto di questa nostra frammentazione, per non dire altro.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Immagino che la causa sia anche l'esistenza delle regioni e delle province autonome che hanno creato questa frammentazione. Secondo me, all'interno di un concetto astratto di creazione delle competenze si tratta di fare uno sforzo per far sì che queste software in house diventino degli asset per la trasformazione digitale o, se sono delle liabilities, bisogna gestirle come tali, quindi come il contrario di asset. Secondo me va fatto lo sforzo di aiutare queste in house a modernizzarsi insieme alla modernizzazione del Paese.
  Noi con quelle con cui stiamo lavorando stiamo avendo ottime esperienze, stiamo collaborando moltissimo con InfoCamere e con la stessa Sogei. Siamo tutti migliorabili, e anche loro, però lo vedo come un bicchiere mezzo pieno e come un'evoluzione di questi asset, però torno a dire che devono diventare dei veri asset tecnologici.

  CARLO DELL'ARINGA. Grazie per la presentazione. Un intervento di carattere generale soprattutto in prospettiva rispetto all'ottimo lavoro che state facendo anche con risorse molto qualificate, ma tutto sommato scarse rispetto agli obiettivi anche di lungo periodo che occorre raggiungere.
  Faccio riferimento non tanto all'aspetto tecnologico quanto all'aspetto che Lei ha affrontato parlando di sviluppo di competenze e degli strumenti da utilizzare per svilupparle. Giustamente ha anche manifestato qualche perplessità e dubbio sul fatto che gli incentivi di carattere economico possano essere quelli strategici per indurre il pubblico impiego a indirizzarsi in quella direzione.
  Se guardiamo all'esperienza passata, certamente quello che Lei dice è vero, però non bisogna buttare via il bambino con l'acqua sporca, nel senso che siamo in una fase in cui c'è un ennesimo tentativo da parte del presente Governo, che continua l'attività fatta dal precedente, di rilanciare questo obiettivo di aumentare l'efficienza, la qualità dei servizi, anche attraverso un utilizzo dei cosiddetti «sistemi premianti». Sappiamo che il problema esiste anche nelle imprese private, in quanto non è semplice coniugare i due aspetti, quelli della performance e quello dei sistemi premianti, però siamo in una fase in cui c'è uno sforzo ulteriore in questa direzione, molto forte. Lei sa che tanti miliardi sono stati spesi in questa direzione, quindi dobbiamo rinunciare a utilizzarli in maniera migliore, cercando di mettere insieme questo strumento con l'obiettivo di efficienza su cui queste tecnologie sono tra i primi posti per essere utilizzati ai fini di migliorare la performance e la qualità dei servizi.
  Le chiedo, quindi, se anche in prospettiva, attraverso quanto ci ha detto – creazione di pratiche migliori, pacchetti, programmi, progetti, il problema di diffondere l'innovazione in cui siete in una fase ancora iniziale di sistema, ma l'innovazione parte da punti strategici per poi diffondersi, perché altrimenti non coinvolge tutto il sistema – sia possibile mettere insieme le cose e tradurle in obiettivi concreti, non dico quantificabili e misurabili? Qui è in ballo la riduzione dei costi, la diminuzione dei tempi, il miglioramento della qualità dei servizi, quindi una traduzione di tutto questo, prima o poi, qualche aiuto alle amministrazioni per coniugare e mettere insieme le relazioni di lavoro, i sistemi premianti come il miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia. Non crede che in prospettiva potrebbe essere fatto? Lei ha detto che è in collegamento anche il Ministero della funzione pubblica per quanto riguarda la semplificazione, ma non è solo la semplificazione, perché vale per gli utenti finali, imprese e cittadini, si tratta di velocizzare il processo che può permettere anche un aumento della qualità dei servizi. Pag. 17
  In prospettiva non ritiene che un lavoro di questo tipo dovrebbe anche condurre a questo risultato, cioè a permettere alle organizzazioni di sapere quali obiettivi raggiungere e con quali strumenti? Lei giustamente ha detto che spesso «ci si inventa gli obiettivi per pagare la gente», ma adesso siamo in grado di indirizzarli e individuare obiettivi concreti, e credo che questo dovrebbe essere un punto di approdo di un lavoro come quello che state facendo.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Certo. Direi, traducendo in italiano, che il diavolo sta nei dettagli. I sistemi di incentivazione e di compensazione a livello variabile sono molto efficaci all'interno di una cultura positiva, che già di per se stessa ha la trasformazione e, soprattutto, ha gli esempi dall'alto che vogliono facilitare questa trasformazione.
  Il pericolo da evitare è che un concetto di incentivo che diventa un compenso variabile per il raggiungimento degli obiettivi non venga poi incorporato all'interno dell'incentivo fisso e tutti lo vedano come un diritto, qualsiasi cosa succeda. Questo è il vero, grande problema degli incentivi.
  Si tratta di avere all'interno di quello che si vuole raggiungere degli obiettivi molto semplici, molto chiari e soprattutto che non siano un minimo comun denominatore, che siano talmente facili da raggiungere che li raggiungano tutti. Torno a dire che giudicare in astratto il concetto di incentivo, di performance oppure di norma punitiva o di sanzione, quindi l'inverso dell'incentivo, è molto, molto difficile, e la questione è «situazionale», dipende dalle situazioni. Questo è il mio concetto di base. Può quindi funzionare, ma può funzionare se noi saremo abbastanza bravi da fare una grossa parte di quelle cose, cioè puoi dare l'incentivo per incorporare SPID all'interno dei siti e dire che nel momento in cui tutti i siti della pubblica amministrazione avranno SPID sarete premiati, però da parte nostra questo funziona se noi e AgID saremo in grado di avere una SPID facile da usare, che si incorpora bene, sicura, quindi è un esempio a questo punto virtuoso, che può funzionare. Io ho citato un esempio che probabilmente è uno dei più facili da misurare, altri diventano più complessi.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Vorrei porre delle domande, ma vorrei fare anche un inquadramento generale, perché la sua è l'ultima – la ringraziamo per questa presentazione – della storia della digitalizzazione che siamo riusciti a ricostruire in questa Commissione in poche settimane di vita, e Le volevo trasferire due elementi.
  Il primo è quello da cui siamo partiti noi, cioè 5 miliardi di spesa informatica l'anno e la pubblica amministrazione non è migliorata granché, anzi anche quando c'è un aumento dell'informatizzazione di alcuni servizi più che di processi, questi servizi non diventano per forza più efficienti. Il famoso paradosso delle file che aumentano anche quando il CUP diventa informatizzato.
  A fronte di questa spesa, quindi, qual è il problema, c'è un dolo – forse da qualche parte c'è stato – o c'è un problema proprio di modello e di organizzazione? Probabilmente la risposta giusta è la seconda, però audendo i diversi soggetti che si sono susseguiti abbiamo potuto constatare come non siano diversi gli obiettivi che si sono posti nel loro compito e nella loro missione, naturalmente fermo restando che negli anni Novanta la tecnologia e, soprattutto, la capacità di connessione erano completamente diverse. Gli obiettivi però erano sempre gli stessi: far parlare fra di loro le pubbliche amministrazioni, l'innovazione non è un fatto tecnico, ma un fatto di processo, integrare, far dialogare, superare i silos delle diverse basi dati che poi impediscono al cittadino di interfacciarsi velocemente con la pubblica amministrazione. È chiaro che il punto di partenza – non da oggi, ma dalla fine degli anni Novanta – era la famosa anagrafe unica. Oggi lei è arrivato tutto sommato con un inquadramento migliore di quello degli anni precedenti, perché ribadisco sempre che il Piano per lo sviluppo e la crescita digitale è un documento strategico – a parte quello sulla banda ultra larga – che mette finalmente ordine in tutte queste questioni che si sono susseguite, quindi fornisce in qualche Pag. 18 misura una scala di priorità. Sicuramente questo dell'Anagrafe unica è un tema.
  Io purtroppo ieri non sono andata alla missione Sogei, però dalle audizioni precedenti abbiamo avuto la sensazione che ci sia o ci sia stato finora il rischio che questo sviluppo del software Sogei non sia molto diverso dallo sviluppo del software che si fa di solito nelle nostre pubbliche amministrazioni, c'è ancora una volta qualcosa di isolato dal contesto, nonostante abbia la missione di integrare i comuni. Se quindi in questi diciotto mesi riuscirete a fare solo questo, sarà veramente un fatto rivoluzionario, perché sono vent'anni, dalla riforma Bassanini del 1997, che ci si prova. È vero infatti che, come lei dice, non è essenziale avere questa unica anagrafica, però secondo me in Italia diventa una leva fondamentale proprio per la frammentarietà, quindi diventa un atto non solo simbolico, ma proprio pesante, che può essere l'elemento aggregatore della frammentarietà. Questo poi genera una valenza diversa per quanto riguarda SPID, cioè l'identità digitale può più facilmente diventare accessibile e interessante, perché, a quel punto, effettivamente i servizi si possono sviluppare in maniera integrata, fermo restando che sono però convinta che il tema dei servizi digitali passa anche attraverso il digital first. PagoPA secondo me funziona o, come lei ha detto, è la cosa che può avere più successo, perché a un certo punto, con tutti i limiti delle tecnologie (PEC e il resto), c'è stato un momento in cui si è detto che dal 1° marzo o si paga digitale o non si paga. Si può anche fare su altri servizi delle cose meno forti, per cui chi paga in digitale risparmia o chi non accede al servizio digitale paga di più, però sicuramente questo tema del digital first è un'altra cosa che sarebbe importante affrontare con grande rapidità.
  Ciò su cui credo ci siano più problemi è il tema dell'ecosistema di API, perché ancora non siamo nemmeno agli open data, e questo tema dell'unificazione delle anagrafi ne è una dimostrazione, sulla questione di creare dei sistemi effettivamente aperti, dove il problema del riuso non è che io ho sviluppato un software in Emilia-Romagna e lo regalo alla Calabria – io sono calabrese –, e poi ricomincio a mettere le mani sullo sviluppo e rifaccio un altro sistema chiuso come quello che mi stanno trasferendo, è che oggi quando si fa il riuso non si trasferisce, non si cede questo modello, ma si trasferiscono dei software che poi vanno di nuovo sviluppati. Credo che questa questione sia la più complicata e forse sarebbe necessario affrontarla anche con i fornitori, perché è chiaro che potrebbero erigere delle barricate, se non si fa un ragionamento di condivisione, e, siccome abbiamo una pubblica amministrazione che, come Lei diceva all'inizio, non ha le competenze necessarie per poter affrontare tutta questa questione, è chiaro che può essere molto influenzabile da questo tipo di valutazione anche del fornitore «di fiducia». Questo credo che sia uno dei temi più spinosi che bisognerà affrontare.
  Sulla governance sono contenta della risposta che ha dato, perché la preoccupazione era che ci potesse essere un conflitto di competenze e una sovrapposizione con AgID, mentre invece non è detto che questa esperienza non possa continuare in forma diversa, ma il tema vero è come trasformare AgID in uno strumento in cui i venti, di cui diciassette tecnologici, devono diventare 170-180 tecnologici.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Ottima analogia.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Quindi bisogna capire questo percorso. Ultima cosa, il piano triennale, che considero molto importante, anche perché a proposito anche del procurement della Consip, della centrale acquisti della Consip, rispetto ai limiti che Lei diceva molte gare sono basate su delle specifiche molto vecchie, come ho visto quando abbiamo affrontato il decreto-legge cosiddetto concorrenza e quello sugli appalti. Non è possibile acquistare, oggi, il public cloud, perché attraverso la gara SPC c'è solo il community e private, quindi quanto rapidamente si approverà questo piano triennale affinché queste specifiche vecchie rispetto alle gare tecnologiche possano essere rapidamente affrontate?

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  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Allora, cerco di fare una sintesi e aggiungere dei punti. Effettivamente la parte API è un problema che esiste da vent'anni, fortunatamente il problema è tanto complicato ora quanto vent'anni fa e adesso ci sono molti più strumenti per risolverlo, quindi tornando al mio approccio del bicchiere mezzo pieno effettivamente i problemi sono rimasti dello stesso tipo di complicazione, però gli strumenti tecnologici per risolverli sono altamente migliorati.
  C'è il problema di portare la capacità di usare questi nuove soluzioni tecnologiche all'interno della pubblica amministrazione e degli stessi fornitori della PA. Questo è un punto. Lei accennava anche al discorso dei pagamenti digitali e al fatto che da una certa data si è detto che si sarebbero usati i pagamenti digitali, punto e basta, che secondo me, soprattutto per una soluzione che esiste ed è funzionale, è un ottimo strumento. C'è da prendere in considerazione – questo più che altro è un appello – il concetto, che alcuni economisti stanno portando avanti e che considero molto valido in termini di strumenti di lavoro, della digital tax, ovvero se non sei digitale qualcosa ti succede, se non digitalizzi tutti i tuoi processi non ricevi questo incentivo oppure paghi di più, concetto molto valido che va considerato. Ci sono economisti che l'hanno teorizzato, ma io l'ho visto anche nel mondo lavorativo che ho frequentato negli ultimi trent'anni, e questo concetto funziona.
  Non ho assolutamente la soluzione, però la pubblica amministrazione deve avere un rinnovo demografico del personale, deve assumere gente giovane. Le competenze non si acquisiscono semplicemente mandando la gente della mia età a fare istruzione, a fare education, ma anche portando nuova linfa e nuovo sangue all'interno della pubblica amministrazione. L'innovazione e la trasformazione digitale dell'Italia nella pubblica amministrazione passa, a mio avviso, inevitabilmente dal rinnovamento demografico di chi lavora nella PA. La mia non è un'affermazione politically incorrect, che negli Stati Uniti non sarebbe valida perché negli Stati Uniti non si può chiedere neanche l'età della persona che è intervistata, ma il gap digitale, il digital divide – sto parlando di competenze nella PA – si risolve anche portando dentro gente più giovane, con più competenze digitali.
  Discorso del procurement. Lei ha citato il cloud privato rispetto a quello pubblico, ma mi sono dimenticato di citare questo aspetto. Uno dei miei approcci, prima di parlare di situazioni complesse, è che dobbiamo entrare nei dettagli e capirle, quindi una delle cose che noi stiamo facendo per potere poi aiutare meglio Consip è che siamo tra i primi utenti in assoluto della gara vinta da Telecom Italia in consorzio con qualcun altro che non ricordo, Consip sul cloud, quindi la stiamo utilizzando per i servizi che stiamo mettendo in piedi. Il nostro obiettivo è capire come sia stata formulata e vinta, quali siano gli strumenti di utilizzo, come sia migliorabile, creare possibilmente anche un manuale di istruzione per le pubbliche amministrazioni, perché ho visto che è difficile per noi utilizzare quella gara, quindi immagino per enti e pubbliche amministrazioni non equipaggiate come il nostro.
  Non è vero che non stiamo facendo nulla sul procurement: stiamo utilizzando una delle più grandi gare per cercare di capire come è stata vinta e come verrà utilizzata in futuro, e la stiamo utilizzando noi per primi.
  Sul piano triennale non posso che confermare quello che Lei ha detto prima, sarà uno strumento molto importante, però non sopravvalutiamo l'impatto di un piano triennale, anche perché ogni anno o ogni sei mesi dovrà essere aggiornato.

  SERGIO BOCCADUTRI. Grazie per l'interessantissima relazione, noi tifiamo per il digital team non soltanto per quanto si è già fatto ma per ciò che si deve fare.
  Io vorrei riportare le mie domande – su una cosa ha già risposto rispondendo alla collega Bruno Bossio – su un tema più alto di come dobbiamo prendere alcuni degli argomenti che Lei ci ha esposto e farli entrare dentro l'obiettivo finale di questa Commissione, che presenterà una relazione alla Camera dei deputati. Pag. 20
  La prima questione, che accennato nel primo intervento e poi ha chiarito, è il tema del turnover della pubblica amministrazione. Mi sembra che sia uno dei punti principali sui quali c'è un problema effettivamente di costo, nel senso che c'è un problema di dipendenti pubblici, di cosa si può o non si può fare, non possiamo astrarci da questi argomenti, però uno dei limiti e delle dighe all'innovazione della pubblica amministrazione in questo Paese è stata l'assenza di un turnover, come penso possiamo dire ed evidenziare come contributo alla discussione politica che poi la Commissione farà alla Camera dei deputati. Lei non è il primo ad aver detto questa cosa, ma Lei l'ha detto in modo molto forte, è stato detto anche in tante altre audizioni e penso che sia molto utile anche per capire in futuro come organizzare il turnover nella pubblica amministrazione.
  La seconda questione riguarda il nostro lavoro come legislatori. Condivido totalmente, perché basta guardare cos'era il primo CAD e il secondo CAD e cosa avrebbe dovuto essere invece il CAD che avremmo voluto, ancora più snello di quello che siamo riusciti a produrre recentemente, che il Governo ha fatto con delega, cioè il fatto che la legge spesso interviene troppo in dettaglio, quindi non fa una cornice, entra troppo a discutere delle foglioline del singolo albero, creando due problemi: la definizione degli strumenti e l'interpretazione della norma, che ovviamente è stato uno degli strumenti utilizzati da chi non vuole innovare perché anche il CAD precedente a questo conteneva delle innovazioni molto forti, il problema è che lì dentro poi c'erano degli agganci, delle virgole, degli incisi ai quali il dirigente o il dipendente poteva agganciarsi per non produrre l'innovazione che era dentro l'obiettivo di quel e CAD. Quindi, io condivido questa cosa. Ovviamente anche questo ci aiuta a ripensare al principio di legalità nella pubblica amministrazione, perché effettivamente di fronte all'innovazione – l'avvocato Scorza in questo caso ha una formazione giuridica – qui c'è un tema di una pubblica amministrazione che risponde alla legge perché deve essere neutrale, però effettivamente, se noi guardiamo soltanto la legge come unica fonte di determinazione dell'innovazione, rischiamo invece di bloccare l'innovazione stessa. Io penso di raccogliere questa cosa che lei ha detto, di cui dovremmo fare patrimonio, anche se non so come tradurla, nel lavoro di ciascuno di noi come legislatore.
  L'altra cosa collegata a questa è la semplificazione del procedimento amministrativo, che si scontra con due questioni, una è l'articolo 5 della Costituzione, ma lì ovviamente non possiamo entrare, e il tema delle competenze tra Stato e regioni rispetto, appunto, a quando una grande azienda voglia aprire alberghi in diverse regioni e deve scontrarsi con normative regionali e procedure diversificate rispetto al fatto delle competenze. C'è, quindi, il problema di come dal punto di vista legislativo tutti i temi dell'innovazione debbano essere ripensati anche nel rapporto tra Stato e regioni e in che modo andiamo ad affrontare questa cosa. Adesso non voglio attribuirLe ovviamente questo pensiero, però faccio mio quello che Lei ha detto perché effettivamente è un tema ed è un problema, ovviamente salvaguardando i diritti dei cittadini che rischiano, se dall'altra parte la forza oscura vince, di non avere possibilità. Come si può sposare quindi la semplificazione nella pubblica amministrazione con l'innovazione, tenendo conto che ci sono competenze diffuse e quindi forse è un ripensare anche qui il ruolo e il rapporto con gli enti locali?
  L'ultima domanda molto più specifica, non tecnica: sono stato protagonista di un emendamento, poi respinto, al disegno di legge di bilancio, ma come colleghiamo e rendiamo effettivo il piano triennale con il piano di acquisti della pubblica amministrazione? Condivido il fatto che piano triennale sia il titolo, ma vada rinnovato semestralmente. Dato che all'articolo 1 dell'istituzione della nostra Commissione si dice quali strumenti legislativi possiamo proporre per innovare e per superare i limiti all'innovazione, cosa dobbiamo fare noi legislativamente per dare forza e gambe al piano triennale, affinché l'acquisto da parte delle pubbliche amministrazioni di Pag. 21strumenti e servizi che servono all'innovazione sia coerente con il piano triennale.
  Serve un intervento legislativo? Io l'avevo proposto e penso di sì. Mi conferma questo, oppure la mia era soltanto un'idea e la Commissione ha fatto bene a respingere il mio emendamento in merito?

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. La domanda esplicita era nella seconda parte, poi torno sulla prima per fare dei commenti.
  Io non so se serva una norma, so che, se esiste un piano triennale che dà un indirizzo anche tra le varie cose dei tipi di investimenti in tecnologia, di come debba essere scritto un software, di come debba essere riutilizzato l'introduzione di un concetto di open source, l'introduzione del concetto di API programmabili secondo certe istruzioni, mi sembra molto strano che la parte acquisti non si ispiri quantomeno a questo piano triennale. Poi, che ci sia una legge che lo obblighi oppure no, non ne so abbastanza per poter dire come funzionano le cose da noi in Italia, però il mio compito è rendere le linee guida chiare, poi sta a voi decidere se la chiarezza non basta e ci vuole altro. Non so se sono stato chiaro. Il piano triennale darà delle indicazioni e a mio avviso sarà impossibile fare investimenti in tecnologia senza leggere quelle indicazioni. Ripeto, sta a voi decidere se questo debba essere tramutato in un indirizzo legislativo molto più impositivo di quanto io abbia spiegato. Questo, tra l'altro, mi aiuta a collegarmi al primo commento. Quando sono arrivato in questo ruolo mi sono meravigliato che una delle primissime persone che mi hanno fatto incontrare fosse l'avvocato Guido Scorza, e ho detto che volevo incontrare solamente computer scientist e data scientist, poi – ahimè – ho capito perché avessi bisogno dell'avvocato Guido Scorza.
  Io mi sono abbastanza ispirato nella creazione di questo team digitale a quello che fu fatto negli Stati Uniti da Obama con la creazione del Government Digital Service dove è stato introdotto il concetto di civil servant, di persone che, a rotazione, vanno dal privato al pubblico, ci lavorano uno o due anni e poi ritornano, mi sono ispirato molto a questo. Abbiamo approfondito molto, ci siamo scambiati informazioni. Quel team non ha nessuna caratteristica di tipo normativo, cioè è completamente separato. Tutto quello che fanno o le amministrazioni lo recepiscono perché è giusto recepirlo e vi trovano del valore, ma non hanno alcun obbligo di essere utilizzate. Detto questo, moltissime amministrazioni usano il team digitale, negli Stati Uniti.
  Nella mia ingenuità o volontà di semplificazione io voglio veramente occuparmi e far sì che il mio team crei dei prodotti, dei programmi e delle linee guida che siano talmente fatti bene che l’alibi di non usarle perché non sono fatti bene non esista. Sta a voi, con l'aiuto di Guido Scorza, che ogni tanto mi porta sulla via più normativa di quella di cui vorrei occuparmi, decidere se quello che noi facciamo come linee guida, come programma o come progetto sia sufficiente o occorra l'intervento normativo per regolamentarlo.
  Spesso si parla di Italia a due velocità, mi hanno chiesto ma perché lavoro con i comuni più grandi e non con i più piccoli, ma vengo da un'esperienza per cui a volte è molto più facile far funzionare meglio quello che già funziona che cercare di trasformare quello che non funziona, quindi ritengo che, se comuni come quelli che ho citato entrano a far parte di questo tipo di servizi e li utilizzano perché li vogliono utilizzare, non perché esista una norma che li obbliga a utilizzarli, si crea un circolo virtuoso. Se veramente noi, con i sette comuni che ho citato, riusciamo a entrare con SPID in maniera quasi pervasiva, con PagoPA in maniera quasi pervasiva, sono i primi a migrare su NPR, secondo me abbiamo fatto più di qualsiasi norma che obbliga tutta l'Italia a usare NPR. Questo è il mio modo di vedere il problema. Poi sta a voi decidere quanto il mio modo sia sufficiente oppure no. Spero di essermi spiegato.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Io sono arrivato un po’ in ritardo quindi ho ascoltato solo gli ultimi venticinque minuti, dunque mi sono sicuramente perso cose altrettanto Pag. 22 importanti. Il Suo arrivo e il Suo incarico, oltre alla presentazione di un piano di sviluppo così importante che ci ha affascinato, oggi pomeriggio abbia un'altra portata di forma mentis, di nuova mentalità nell'agire della pubblica amministrazione che deve estendersi e svilupparsi nel management pubblico, tutte cose importantissime che io credo dovremo assolutamente sviluppare.
  Faccio però un brevissimo salto indietro, perché poi io non so se questo sia un fattore solo normativo e quanto si debba coniugare con lo sviluppo informatico nell'innovazione delle PA, però io prendo la legge cardine dell'azione amministrativa, faccio una cosa amministrativa solo per un attimo per farle capire. Noi abbiamo la legge n. 241 del 1990, che ha subìto una serie di modifiche, che sostanzialmente ha però dimostrato una cosa: che quando si doveva identificare e mettere assieme un lavoro condiviso in team della pubblica amministrazione, una responsabilità condivisa, era il dramma. Responsabilità del procedimento, responsabilità del provvedimento, conferenza di servizi siamo arrivati alla soluzione ultima che era diventata il silenzio-assenso ossia la fine del concetto di responsabilità.
  Dopo aver ascoltato queste belle cose mi chiedo come coniugherà questo tema delle linee guida, della semplificazione dello sviluppo tecnologico della pubblica amministrazione con il tema della responsabilità, nel senso che tutti devono assumere una responsabilità condivisa rispetto al raggiungimento dell'obiettivo macro della pubblica amministrazione, della vision? Questa è la cosa più carente. Ancor più, come monitoriamo e implementiamo l'estensione della conoscenza insieme all'estensione della responsabilità e del successo, quindi degli incentivi?
  Dico questo perché Lei giustamente ha detto che supereremo i silos e tutta una serie di barriere, ma veniamo da un Paese dove la non conoscenza era uguale alla non responsabilità. Quindi di qui deriva la mia paura, che è quella che ci siano all'interno delle parti di management della pubblica amministrazione, degli ostacoli a una condivisione dell'informazione, perché una volta che l'informazione è condivisa non ci sono più alibi, ognuno è corresponsabile. Poi bisogna normare e capire come e quanto uno è responsabile per il raggiungimento degli obiettivi, ma poi non ci sono più alibi perché non c'è più la non conoscenza.
  Noi abbiamo vissuto anni e anni nel sentirci dire quella cosa appartiene a quel ministero quella cosa appartiene a quell'ente quella cosa appartiene a quel responsabile. Domani questo con una informazione non ci sarà più.
  Vi chiedo quindi come coniughiamo le due questioni, perché ha ragione Lei, l'incentivo non può essere visto come un'integrazione salariale, come in parte è avvenuto nella pubblica amministrazione, una volta standardizzati gli incentivi diventano a tempo indeterminato e su obiettivi fasulli fanno venir meno un principio importante, quindi credo che uno dei temi più importanti sia anche questo.
  Penso che il turnover sia necessario, ma non sia sufficiente, perché i nuovi che arrivano devono entrare con questa nuova mentalità, che lavorare per la PA è un'altra cosa, risponde a un grande tema di sviluppo del Paese o a quanto è servizio al cittadino, però secondo me questo tema è importante e da sviluppare. Come si coniuga questa estensione della conoscenza alla responsabilità e al successo? Non so se dovremo fare una forma di bond come le stock option nelle aziende private perché qui si è fatto fatica a mettere 240 mila euro di stipendio e a pensare che forse quello è giusto come si fa nel privato. Lei viene da un'esperienza dove si fissava un tetto e poi l'aumento era legato quindi al rendimento della società stessa. Questa mentalità forse dovremmo pensare come portarla.
  In ultimo, questa questione venga affrontata. Siamo l'unico Paese che ha questo limite, questa difficoltà di far capire a chi lavora nella pubblica istruzione che bisogna avere questa mentalità o di altre parti del mondo (Lei ha fatto esempi di altri Stati, di altre nazioni).
  A fondamento dello sviluppo, dell'innovazione tecnologica, c'è anche una maturazione di una mentalità diversa dal dipendente Pag. 23 pubblico, che secondo me è uno dei più grandi limiti che oggi abbiamo in Italia.

  DIEGO PIACENTINI, commissario straordinario del Governo per l'attuazione dell'agenda digitale. Se mi avesse chiesto come risolvere la fame nel mondo, probabilmente sarei riuscito a rispondere più facilmente. Io parlo della mia storia, altrimenti ci disperdiamo e il mio obiettivo principale è risolvere il problema dell'offerta, quindi come semplificare l'offerta di questi servizi per far sì che gli alibi siano altri, non questo.
  Detto questo, forse perché occupandomi di trasformazione digitale sono a contatto con persone della PA di un certo tipo, che si auto-selezionano, ma la mia esperienza finora – non lo sto dicendo per retorica o per falso buonismo – è che ho trovato persone molto disponibili, gente della PA che lavora 16-17 ore al giorno, ed è l'insieme di questi esempi virtuosi (non vedo altro modo), cioè continuare a lavorare con queste persone che ci credono veramente. Torno a dire che disegnare la linea tra il buonismo e il realismo è un po’ difficile da questo punto di vista, però si tratta veramente di continuare a creare esempi virtuosi. Si parte ovviamente dalla scuola, dall'educazione, è una trasformazione che sono d'accordo che non sia sufficiente, ma è una trasformazione che passa tramite il problema del turnover e la trasformazione demografica. Può darsi che non sia sufficiente, ma secondo me è assolutamente necessario.
  La mia esperienza, comunque, con tutte le persone con cui mi sono andato a interfacciare, quindi AgID, la parte tecnica di Sogei, il management di Funzione pubblica, è che ho trovato veramente della gente che ci crede. Ho incontrato persone che raramente ci vedono come: «è arrivato il commissario, fuggi fuggi», ma ci vedono come persone che stanno cercando di aiutare, forse anche perché dico sempre al mio team di non pensare di essere più intelligenti degli altri, perché a volte avremo ragione, altre avremo torto, però è l'insieme di questi esempi virtuosi. Io non ho altre ricette. Non so se i miei nipoti lo vedranno, ci vorrà molto tempo, è una trasformazione demografica, ma tenete conto che comunque è inevitabile, cioè quello che sta succedendo in termini di trasformazione digitale nel mondo, che si possa parlare di intelligenza artificiale, che si possa parlare di utilizzo mobile, che si possa parlare del «BOT della pubblica amministrazione», tutto quello che sta accadendo è assolutamente inevitabile. Accadrà nonostante noi. Io credo molto nel cambiamento generazionale, quindi facilitare il turnover nella pubblica amministrazione è a mio avviso imprescindibile.
  Detto questo, forse il mio team ha avuto fortuna, perché stiamo lavorando con della gente che ci vede come aiuto, non come «oddio sono arrivati questi che ci fanno fare cose che non volevamo». Forse non abbiamo visto abbastanza persone, non lo metto in dubbio, sono solamente quattro mesi, siamo ancora in fase di «luna di miele», però la mia esperienza è un po’ diversa dallo stereotipo della pubblica amministrazione, che son sicuro esista da qualche parte, solo che noi non l'abbiamo ancora visto, ma probabilmente perché i problemi che noi gestiamo non sono gestiti da quelle persone. Questa è la mia osservazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Commissario Piacentini. Io avrei un paio di domande ma vorrei farle in seduta segreta. Propongo, dunque, che i lavori proseguano in seduta segreta.

  (La Commissione concorda – I lavori proseguono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

Comunicazioni del Presidente.

  PRESIDENTE. Comunico che la Commissione ha ricevuto alcuni documenti che, a norma dell'articolo 1 della Deliberazione sul regime di divulgazione degli atti e dei documenti, saranno pubblicati sul sito web della Commissione: Linee guida del Programma nazionale per la cultura, la formazione Pag. 24 e le competenze digitali, trasmesse da Agostino Ragosa, e le slide relative all'audizione odierna di Diego Piacentini.
  Ricordo che i lavori della Commissione, come già concordato dall'Ufficio di presidenza della scorsa settimana, proseguiranno con una seduta dedicata all'analisi dei risultati intermedi dell'inchiesta.
  Prego, onorevole Boccadutri.

  SERGIO BOCCADUTRI. Signor presidente, è stata programmata l'audizione di Sogei? Se no, chiedo che sia programmata.

  PRESIDENTE. Bene, cogliendo l'occasione per invitare anche gli altri commissari a segnalare eventuali soggetti da audire nelle prossime sedute, propongo, dunque, di svolgere un'audizione di Sogei.

(La Commissione concorda).

Nessun altro chiedendo di intervenire, dichiaro conclusa la seduta.

  La seduta termina alle 16.20.