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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate

Resoconto stenografico



Seduta n. 76 di Mercoledì 22 febbraio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Gelli Federico , Presidente ... 3 

Audizione del Ministro dell'Interno, Marco Minniti:
Gelli Federico , Presidente ... 3 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 4 
Gelli Federico , Presidente ... 13 
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 13 
Gelli Federico , Presidente ... 15 
Palazzotto Erasmo (SI-SEL)  ... 15 
Gelli Federico , Presidente ... 16 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 16 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 17 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 17 
Rondini Marco (LNA)  ... 17 
Fontana Gregorio (FI-PdL)  ... 18 
Gelli Federico , Presidente ... 19 
Carnevali Elena (PD)  ... 19 
Moretto Sara (PD)  ... 20 
Brescia Giuseppe (M5S)  ... 21 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 21 
Gelli Federico , Presidente ... 21 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno (fuori microfono) ... 21 
Gadda Maria Chiara (PD)  ... 21 
Gelli Federico , Presidente ... 22 
Fontana Gregorio (FI-PdL)  ... 22 
Gelli Federico , Presidente ... 22 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 22 
Gelli Federico , Presidente ... 22 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 22 
Gelli Federico , Presidente ... 22 
Minniti Marco , Ministro dell'Interno ... 22 
Gelli Federico , Presidente ... 27

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FEDERICO GELLI

  La seduta comincia alle 13.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dell'Interno, Marco Minniti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Ministro dell'interno, Marco Minniti, che ringrazio per essere qui con noi. Era una richiesta che noi avevamo fatto fin dal giorno stesso del suo insediamento, molto attesa, dopo innumerevoli e ripetute richieste rivolte al suo predecessore, che mai si è degnato di essere presente qui in questa Commissione, che svolge un ruolo importante avendo ricevuto un mandato chiaro da parte della Camera dei deputati.
  La sensibilità e la disponibilità del Ministro Minniti ci fanno molto piacere e lo ringraziamo per quanto potrà contribuire a dare segnali di chiarimento e di impostazione del suo impegno governativo su un tema così delicato come quello dei migranti.
  La Commissione – penso di poter parlare a nome di tutti i componenti – conviene con quanto sostenuto dal Ministro circa la necessità di perseguire contemporaneamente due indirizzi: un cambiamento di approccio dell'Unione europea e una forte iniziativa nazionale. Il Ministro potrà relazionarci sui passi compiuti in questa direzione e soprattutto sulle prospettive che si intravedono.
  È di questi giorni inoltre la presentazione alle Camere del decreto-legge 17 febbraio 2017 n. 13, recante Disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale.
  Il decreto-legge contiene misure volte a definire più celermente i procedimenti amministrativi innanzi alle Commissioni territoriali e i relativi ricorsi in sede giurisdizionale. Vengono istituite le Sezioni specializzate in materia di immigrazione e asilo, argomenti su cui la Commissione ha già calendarizzato un'ulteriore audizione del Ministro Orlando – che ha avuto modo di ascoltare precedentemente – proprio per entrare nel merito delle potenziali ricadute di questa fattispecie prevista dal decreto.
  Per accelerare inoltre i tempi di definizione delle procedure amministrative per il riconoscimento della protezione internazionale, si prevede l'assunzione di personale qualificato da impiegare a titolo continuativo ed esclusivo presso le Commissioni, con un significativo impegno anche in termini di spesa, pari a circa 10 milioni di euro. Anche questo è un argomento che voglio sottolineare, Ministro, e che la Commissione ha spesso ribadito nel corso di questi anni, perché l'idea di una qualificazione delle Commissioni territoriali è sempre stata una delle nostre proposte. Il fatto che si vada ad una specializzazione e ad un rafforzamento delle competenze e delle professionalità Pag. 4 delle Commissioni va nella direzione giusta.
  La nostra Commissione ha già approvato una relazione in tema di hotspot, che credo lei abbia avuto la possibilità di vedere e analizzare (l'abbiamo inviata ovviamente al Parlamento). È stato un lavoro di molti mesi su un'indagine che abbiamo condotto sui 4 hotspot esistenti. Notevole è la disciplina del fotosegnalamento, in particolare della disposizione in base alla quale, in caso di rifiuto reiterato del cittadino straniero di sottoporsi a rilievi fotodattiloscopici e segnaletici, si può adottare la misura del trattenimento presso un Centro di permanenza per rimpatri per il tempo strettamente indispensabile e comunque al massimo di 30 giorni.
  Ha avuto grande risonanza anche la disciplina sulle espulsioni, come abbiamo letto più volte su molte testate giornalistiche. Come si sa, i Centri di identificazione e di espulsione (CIE) vengono ridenominati Centri di permanenza per i rimpatri (CPR). Nella sostanza viene prolungato il termine massimo di trattenimento nei Centri di permanenza per il rimpatrio dello straniero già detenuto presso strutture carcerarie per almeno 90 giorni. Ai 30 giorni già previsti vengono aggiunti ulteriori 15 giorni, previa convalida dell'Autorità Giudiziaria, nei casi in cui risultino particolarmente complesse le procedure di identificazione o quelle di organizzazione dei rimpatri.
  I Centri di permanenza per il rimpatrio attualmente sono 4 per 359 posti; almeno questo è quello che abbiamo «tradotto» dal decreto pubblicato e quindi da un atto formale.
  È prevista inoltre una relazione governativa sullo stato di attuazione del decreto per i primi tre anni di sua applicazione.
  Nell'illustrare la filosofia e l'iniziativa del Governo in materia di immigrazione, anche sui singoli interventi, cedo molto volentieri la parola al Ministro Minniti.

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Grazie, presidente, per l'invito che mi è stato fatto da lei e da questa Commissione. Ci vengo molto volentieri, se mi è consentito, e anzi intendo scusarmi per essere arrivato con qualche settimana di ritardo, ma purtroppo a un certo punto ho avuto una bruttissima influenza ed essendo rimasto bloccato per cinque giorni si sono accavallati una serie di appuntamenti parlamentari che, devo essere sincero, non è stato facile riuscire a disbrigare senza urtare la suscettibilità e soprattutto il rispetto del Parlamento, che per quanto mi riguarda è un punto di riferimento fondamentale. Sia pur con lieve ritardo, quindi, arrivo.
  Ho apprezzato molto le parole dette dal presidente. Su quella traccia mi consentirete di fare un ragionamento, che terrà conto di alcuni aspetti particolari e di una visione generale, come è giusto che sia, in quanto è il primo momento di un approccio con questa Commissione, che mi auguro possa durare anche nel tempo, e farò anche, nel caso, delle proposte di carattere più operativo. Nel momento in cui vengo qui per la prima volta (sono Ministro da poco più di due mesi) mi pare corretto prospettare a questa Commissione, che pure è una Commissione d'inchiesta, una prospettiva di carattere generale, cioè qual è la visione e come stiamo lavorando.
  Naturalmente mi farà molto piacere sapere quali sono le vostre opinioni, gli approfondimenti, le critiche. Penso che la cosa migliore su questi temi sia avere un approccio aperto alla critica, alla discussione, all'ascolto.
  Prima di entrare nel dettaglio, mi si consenta tuttavia di fare una valutazione di carattere generale, di cui sono profondamente convinto e che non vorrei in alcun modo venisse considerata come pleonastica: il tema delle migrazioni è un tema di grandissimo rilievo, che ha segnato e a mio avviso segnerà un'epoca nella storia del mondo; basta soltanto alzare gli occhi per guardare come questo tema impatti su realtà che sono molto distanti e molto differenti tra loro. Non è soltanto un problema di un singolo Paese, non è soltanto un problema dell'Italia, ma è un problema di grandissimo rilievo.
  Il punto fondamentale è comprendere che questo tema, che ha queste dimensioni, ha accompagnato e probabilmente accompagnerà i nostri Paesi anche per un futuro Pag. 5non breve ed è quindi a mio avviso molto importante avere una visione complessa ed integrata del fenomeno.
  L'Italia in questi anni ha dimostrato di reggere una grandissima prova. Nel momento in cui ha dovuto affrontare il tema di flussi importanti ha dimostrato di essere un Paese, una democrazia che è in grado di affrontare l'accoglienza, di tenere alto il principio di solidarietà, di affrontare con spirito di assunzione di responsabilità una sfida che io considero molto importante.
  Siamo tuttavia arrivati ad un punto in cui io penso sia giusto affrontare il tema con un approccio che deve portarci a dire con grande chiarezza che, appunto perché il fenomeno ha queste caratteristiche, è un fenomeno epocale, che ci accompagnerà per un lungo tempo; non possiamo né dobbiamo in alcun modo inseguire il problema. Non dobbiamo inseguirlo, non dobbiamo subirlo. Io penso che la via migliore, senza per questo prospettare soluzioni miracolistiche, debba essere quella di governare il processo.
  Da questo punto di vista mi permetterò di fare un ragionamento che ha tre grandi capisaldi. Il primo caposaldo è quello dell'impegno per frenare e ridurre i flussi migratori. Questo naturalmente è il primo punto, e su questo ci sono due questioni: una, di carattere strategico, riguarda il dato che una parte fondamentale delle politiche migratorie si gioca fuori dai confini nazionali. Per quanto ci riguarda, essendo noi al centro della rotta del Mediterraneo centrale, si gioca prevalentemente, anzi starei per dire esclusivamente in Africa.
  L'Africa è stata negli anni passati – e lo sarà ancora di più a mio avviso nei prossimi anni, tenendo conto che noi dobbiamo avere un orizzonte su questi temi che guardi a un decennio almeno – lo specchio non solo e non tanto dell'Italia, ma dell'Europa. Se le cose in Africa vanno meglio sul terreno della stabilizzazione, della crescita democratica, della crescita economica, della giustizia sociale di quei Paesi, le cose andranno meglio in Europa. Se le cose andranno male in Africa, non andranno bene in Europa.
  Insisto molto sul fatto che l'Africa è lo specchio dell'Europa e non dell'Italia, perché deve risultare evidente il mio convincimento – che mi auguro sia condiviso anche da voi, ma in ogni caso è il mio convincimento – che il problema dell'Africa non è un problema dell'Italia soltanto. Naturalmente l'Italia deve fare delle cose, ha fatto delle cose (poi vi dirò cosa) e tuttavia non è soltanto un problema dell'Italia.
  Questo è il cuore strategico dell'intervento, cioè avere un progetto per l'Africa, che a un certo punto è andato sotto il nome di Migration Compact; avere un progetto dell'Europa per l'Africa è la soluzione strategica. Nel quadro di questa soluzione strategica – che appunto è un misto di interventi di carattere economico, di carattere sociale, di institution building, di azione di prevenzione e di raffreddamento dei conflitti, tutta una serie di questioni che sono squadernate in Africa: in ogni angolo di quel continente si sono sommate tutte queste questioni di cui sto parlando – c'è l'esigenza di mettere in campo alcune cose, che abbiano una cogenza relativamente più immediata.
  In questo quadro ci siamo mossi – in alcuni casi mi sono mosso, in altri casi ci siamo mossi come sistema Paese, come era giusto che fosse – affinché si lavorasse su una serie di accordi bilaterali che naturalmente hanno un impatto diretto sull'Africa. Tuttavia è chiaro che, nel momento in cui ci sono accordi bilaterali, essi hanno un principio di ulteriore e migliore definizione rispetto a un ragionamento di carattere più generale.
  Nei mesi scorsi abbiamo fatto, come Unione europea e con l'Italia protagonista, un accordo molto importante con il Niger, che è un Paese cruciale per quanto riguarda il tema dei flussi migratori e del contrasto ai trafficanti di uomini. Più di recente abbiamo rinnovato un accordo del 2011 con la Tunisia (nel corso dell'esposizione sarò ancora più dettagliato) e abbiamo invece firmato un MOU, un Memorandum of Understanding nuovo con la Libia. Pag. 6
  Cosa ci ha guidato in tutto ciò? Ci ha guidato un'idea di fondo che vorrei qui trasmettervi, cioè l'idea che l'Italia potesse svolgere un ruolo di pathfinder, di apripista, cioè di Paese che mettesse in campo un'iniziativa diretta nel rapporto con questi Paesi, che poi potesse essere valutata e nel caso fatta propria dall'Unione europea.
  Io ritengo questo un approccio strategico e, nel momento in cui non abbiamo una fase di complessità nel rapporto tra iniziativa nazionale e realtà multilaterali, penso che sia molto importante per uno che è molto convinto dell'importanza delle realtà multilaterali (Unione europea, Nazioni Unite) comprendere che, se vogliamo rafforzare quelle strutture multilaterali che io considero strategiche per la vita del pianeta, questo lo si può fare anche attraverso la capacità di mettere in campo una forte agenda nazionale.
  Non sono due cose in contrapposizione: una forte agenda nazionale su alcune questioni aiuta le realtà multilaterali, consente di poter anche affrontare la riduzione di una distanza che a volte sembra esserci tra la realtà di un Paese e la realtà di una grande organizzazione di carattere multilaterale. Questo in generale vale per tutto ed è ancora più cruciale a mio avviso per quanto riguarda l'Unione europea.
  In questo ambito va collocato il MOU con la Libia, che icasticamente è stato firmato, se non ricordo male, il 2 febbraio a Roma e il 3 febbraio c'era a Malta il vertice dei Capi di Stato e di Governo. Da questo punto di vista è passata l'idea che l'Italia ha stipulato un accordo bilaterale e che quell'accordo il giorno dopo a Malta è stato fatto proprio dall'Unione europea. Il comunicato finale del vertice di Malta rappresenta a mio avviso uno straordinario passo in avanti sul terreno dell'acquisizione da parte dell'Unione europea della rotta del Mediterraneo centrale come una rotta cruciale per quanto riguarda la lotta ai trafficanti di uomini.
  Questo è stato fatto per una sensibilità dell'Unione europea, ma è stato fatto anche perché c'era sul terreno un accordo, che è stato stipulato con chi è riconosciuto a livello internazionale come rappresentante di quel Paese, il Primo Ministro al-Sarraj, che è rappresentante del GNA (Governo di Accordo Nazionale), cioè del Governo riconosciuto internazionalmente dalle Nazioni Unite. Trasmetto anche il messaggio che nessun Paese può firmare accordi se non con Governi riconosciuti internazionalmente dalle Nazioni Unite.
  In questo ambito si affrontano alcune questioni, che possono essere riassunte fondamentalmente in tre grandi temi. Ora naturalmente l'accordo è firmato e so perfettamente che si ha di fronte una sfida, che non è più l'accordo, ma è l'implementazione dell'accordo, perché l'accordo l'abbiamo firmato, ma adesso va realizzato.
  Le direttrici fondamentali sono tre, sapendo che nell'accordo c'è un punto di inizio. Il punto d'inizio è che si costituisce una Commissione mista italo-libica, che dovrà gestire tutti i passaggi dell'accordo. Quello è l'inizio della cooperazione. Una cooperazione che ha tre riferimenti, il primo dei quali è il controllo delle coste, questione cruciale.
  Come voi sapete, Eunavfor Med aveva nell'obiettivo della terza fase il controllo dell'intervento nelle acque territoriali libiche, che, come è noto (voi lo sapete perfettamente, ma serve a me soltanto per ricordarlo), è possibile fare soltanto o su richiesta delle autorità libiche o su autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Nel corso delle discussioni fatte, ma anche per averlo detto pubblicamente più volte, le autorità libiche hanno sempre detto che non ritengono che ci possa essere un intervento di altri Paesi nelle loro acque territoriali. Lo considerano un punto cruciale per quanto riguarda il principio della loro sovranità.
  Al momento non abbiamo in vista una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, quindi era importante che questa azione di controllo delle coste venisse svolta dall'autorità libica e, per quanto ci riguarda, nell'accordo c'è un riconoscimento fondamentale: l'accordo richiama direttamente in causa la sovranità libica – non c'è nulla che vada oltre o metta in discussione tutto quanto rientra nella sovranità libica – con la possibilità che l'Italia Pag. 7 possa cooperare e supportare, ma non sostituirsi. L’ownership dell'accordo è totalmente dentro la disponibilità della Libia, come è giusto che sia in questi casi.
  Quando abbiamo firmato l'accordo non si era ancora completato il percorso formativo di una parte degli equipaggi; poi la cosa è singolare perché sta nel quadro di quello che dicevo prima, cioè c'è un'iniziativa italiana che si incontra con un'iniziativa europea. La settimana scorsa, sulla nave italiana San Giorgio è finito il corso degli equipaggi della Coast Guard libica, però il corso era europeo.
  Ci sono gli equipaggi. Nel momento in cui gli equipaggi saranno autorizzati a prendere possesso delle imbarcazioni l'Italia progressivamente restituirà le motovedette libiche, che abbiamo preso in custodia dopo la vicenda delle Primavere arabe, che in questo momento sono in Tunisia, ma progressivamente riporteremo indietro; man mano che si standardizzano gli equipaggi e che ci sono le strutture per operare è giusto che la Guardia costiera abbia la possibilità di intervenire.
  Il secondo tema riguarda l'azione di contrasto contro i trafficanti di uomini. Guardate, questo è un punto cruciale. In questo momento il traffico di uomini in Libia è, non voglio dire l'unica, ma – e su questo temo di non essere smentito – un'importante industria armata, che funziona a pieno regime, tra l'altro senza scrupoli.
  Vedremo quale sarà l'indagine del ritrovamento di 74 cadaveri sulla costa libica da parte della Mezzaluna libica, vedremo cosa è successo, ma pare di capire che sia stato l'ennesimo naufragio, cioè persone senza scrupoli che mandano la gente in mare, se muoiono, muoiono, se non muoiono, non muoiono, cioè disprezzo assoluto della vita umana. Se qualcuno mi chiedesse di fare una valutazione comparativa su chi è «più vicino al male», un terrorista di Islamic State o un trafficante di uomini, debbo dire che la domanda mi metterebbe in imbarazzo, perché non saprei. Penso che entrambi abbiano un disprezzo assoluto della vita umana e quindi li considero allo stesso livello.
  L'azione di contrasto ai trafficanti di uomini deve essere un grande impegno della comunità internazionale, perché non c'è cosa peggiore che considerare l'uomo una merce e «trafficarlo» senza avere alcun rispetto per la sua vita.
  Il terzo punto è il controllo della frontiera a sud di quel Paese. Si tratta di un punto cruciale, perché noi sappiamo che in questo momento la frontiera sud è importantissima per l'azione di contrasto ai trafficanti di uomini ed è altrettanto importante per l'azione di contrasto al terrorismo. Per ragioni ovvie, perché è il punto di passaggio verso il Mediterraneo.
  Il controllo e la messa in sicurezza delle frontiere rappresentano quindi un punto fondamentale, sapendo che tutta questa azione, come è esplicitamente richiamato nel MOU, per quanto ci riguarda deve essere strettamente coniugata con un assoluto e profondo rispetto dei diritti della persona. Tutto questo è sistematicamente richiamato nelle pagine dell'accordo, e per quanto ci riguarda è una questione alla quale ci atterremo con una certa fermezza.
  È evidente tuttavia che la vicenda si colloca dentro uno scenario che è lo scenario della Libia, e sarebbe fin troppo ingenuo da parte mia non parlarne. È chiaro che questo è un accordo che si muove dentro un processo. Posso anche dirvi che può forse aiutarlo, perché i trafficanti di uomini sono storicamente contro ogni processo di stabilizzazione istituzionale, perché si muovono come un pesce nell'acqua dentro un failed State, cioè uno Stato fallito: se lo Stato si ricostruisce, per loro sarà più difficile per ovvie ragioni.
  L'accordo contro i trafficanti può quindi aiutare a rafforzare – sapendo perfettamente che la stabilizzazione della Libia passa attraverso un processo diplomatico – un processo diplomatico su cui è impegnata la comunità internazionale, su cui è impegnata l'Italia, ed è chiaro che il processo diplomatico passa attraverso un rapporto tra Est e Ovest della Libia, sapendo tuttavia (lo dico qui, per intenderci fino in fondo) che, come chi conosce un pochino la Libia sa perfettamente, quando si parla di rapporto tra est e ovest si parla di conciliazione, Pag. 8 di punto di incontro, perché se qualcuno pensa che il rapporto tra est e ovest possa essere che una parte domina l'altra, non conosce bene la Libia.
  Non so se ho esplicitato fino in fondo il mio pensiero: ci deve essere un punto di conciliazione e noi lavoriamo per la conciliazione, per il reciproco riconoscimento. Se qualcuno pensa che uno possa prendere il controllo dell'altro sbaglia. La complessità della situazione sta in questo: non c'è una parte in condizione di dimostrare di avere il controllo assoluto della situazione. Questo è il quadro.
  Siamo impegnati. Vediamo che frutti avrà questo accordo. Naturalmente è molto importante che l'Unione europea l'abbia fatto proprio, è molto importante che l'Unione europea abbia messo una posta in bilancio al vertice di Malta, naturalmente una posta in bilancio iniziale, che ci auguriamo possa essere ulteriormente sviluppata, ma è chiaro che i 200 milioni messi da noi, insieme alla posta in bilancio messa dall'Unione Europea, cominciano a manifestare una massa d'urto finanziaria importante per il rapporto con l'Africa e con il Nord Africa. Non siamo ancora ai livelli della rotta balcanica, tuttavia qualcosa comincia a muoversi.
  Secondo caposaldo del progetto è il tema dell'accoglienza. Se mi consentite, voglio soltanto citarvi una cifra, che serve per comprendere: ospitati nei Centri di accoglienza a vario titolo (non li dettaglio tutti per non farvi perdere tempo) al 31 dicembre 2016 noi abbiamo 176.000 ospitati, il 70 per cento in più del 2015. Questo è il dato con cui deve misurarsi il nostro Paese.
  Cosa si è fatto? Si è fatta una scelta che mi auguro sia condivisa da questa Commissione, ma mi auguro veramente che sia condivisa in un ragionamento più ampio. Come vedete, sono veramente convinto che su queste cose si possa ragionare insieme e che una visione comune aiuti. Noi abbiamo fatto una scelta, io ho proposto una scelta: che si punti moltissimo sull'accoglienza diffusa. È un impegno, non è una cosa semplicissima da gestire, a mio avviso è la soluzione migliore, ma non è semplicissimo da gestire.
  Abbiamo fatto un accordo con l'ANCI, che considero molto importante, tuttavia, come giustamente viene sempre ricordato, si tratta di un accordo volontario, cioè i comuni partecipano perché volontariamente vogliono partecipare, nessuno può obbligare un comune a partecipare. Naturalmente si può pensare ad un meccanismo di sostegno premiale, come è stato fatto nella legge di stabilità dello scorso anno, in base alla quale i comuni che partecipano al progetto di accoglienza diffusa hanno avuto 100 milioni.
  La cosa che io ho considerato per me un impegno d'onore era far sì che questi soldi arrivassero rapidamente ai comuni, e posso dirvi che, mentre io vi sto parlando, è già incominciata la distribuzione ai comuni che hanno fatto accoglienza dei 100 milioni della precedente legge di stabilità. Uno stanziamento della legge di stabilità che diventa immediatamente operativo prima della fine di febbraio non è una cosa che avviene ordinariamente, e lo ritengo molto importante da questo punto di vista.
  È chiaro che, se il modello dell'accoglienza diffusa si rafforza, quel tipo di investimento deve essere non solo stabilizzato, ma addirittura rafforzato, cioè, più cresce l'accoglienza diffusa, più a mio avviso va stabilito un principio di premialità per i comuni. Se questo è il meccanismo, vorremmo avviare una fase di progressivo superamento dei grandi centri, cosa che vi riguarda direttamente. Dico progressivo superamento dei grandi centri perché l'idea che io ho è che i grandi centri siano di difficilissima gestione e in essi sia più complicato garantire standard elevati, mentre l'accoglienza diffusa consente una dimensione «più rispettosa» dei diritti umani, più propensa all'integrazione, di cui parlerò di qui a qualche minuto, se me lo consentirete. Quindi vorrei lavorare in questo senso.
  Naturalmente è un processo, nel senso che, più aumenta il numero dei comuni che aderiscono, più è facile superare i grandi centri. In questo ambito (cosa che penso anche questa vi riguardi direttamente) abbiamo fatto un accordo con ANAC per quanto riguarda un contratto tipo per la Pag. 9gestione dei centri. La considero una cosa molto importante per tre ragioni, perché consente di affrontare tre grandi questioni, in cui probabilmente vi sarete imbattuti nella vostra attività di indagine. Il primo tema è quello del contraente unico, il secondo tema è quello della tracciabilità dei servizi.
  Per me è fondamentale tracciare i servizi. È evidente che l'opinione pubblica deve sapere come vengono tracciati i servizi; nel momento in cui questi contratti diventeranno operativi, per la Commissione d'inchiesta sarà anche più semplice valutare le cose come stanno.
  Terzo, aumentare la capacità ispettiva da parte del Ministero dell'interno, sapendo che per questo noi ci avvaliamo su tutti questi centri della collaborazione, che considero molto preziosa, dell'UNHCR e dell'OIM. Nei giorni scorsi ho incontrato l'Alto Commissario dell'UNHCR, Filippo Grandi e c'è stata una discussione a mio avviso molto positiva. C'è una collaborazione molto intensa tra il Ministero dell'interno e l'UNHCR.
  Perché ho fatto tutto questo ragionamento? Perché ci sono due dati che sono due «pietre».
  Il dato Frontex del 2016 ci dice che la rotta balcanica occidentale è –84 per cento, la rotta balcanica orientale è –72 per cento, la rotta Mediterraneo centrale è +18 per cento. Quindi il primo punto è questo. È un dato, non lo voglio nemmeno commentare, intelligenti pauca si dice in altre sedi più abituate a usare la lingua latina.
  Il secondo dato è quello della relocation. Come voi ricorderete, nel momento in cui si fece l'accordo con la Turchia – che, come vedete, sta funzionando, nel senso che non si è bloccata la rotta balcanica, tuttavia si è significativamente ridotta, perché –84 per cento e –72 per cento sono cifre naturalmente molto rilevanti – si disse che ci sarebbe stata una compensazione verso i Paesi principalmente esposti, in questo caso erano l'Italia e la Grecia, per la relocation di richiedenti asilo che arrivavano nel nostro Paese e venivano collocati in altri Paesi europei. La quota dell'Italia era 40.000.
  Al momento in cui vi sto parlando noi abbiamo 3.623 ricollocati, più 1.022 che sono già stati «definiti» nel rapporto con gli altri, cifre piccole, e tuttavia posso dirvi che negli ultimi due mesi questa cifra è raddoppiata per una serie di cose fatte, nel senso che per esempio si è potuto contare su un accordo con la Germania, che ha deciso di prendersi 500 ricollocati al mese, cosa che io considero molto importante.
  Naturalmente, come voi comprenderete, stiamo parlando di numeri non risolutivi, però il fatto che un grande Paese europeo come la Germania decida di fare una cosa bilaterale con noi, per prendersi 500 ricollocati al mese, io lo considero un segnale importante di solidarietà europea.
  Anche su quello non abbiamo mollato la presa. Cercavo di trasferire un messaggio: pur essendo numeri ancora molto distanti da quelli che erano gli obiettivi fondamentali, non si molla la presa. In questo ambito, come ha detto il presidente, siamo intervenuti con un decreto che, tenendo conto della situazione, ha affrontato soprattutto un tema: se vogliamo che l'accoglienza diffusa sia una scelta forte del sistema Paese, dobbiamo diminuire significativamente i tempi di attesa.
  È infatti del tutto evidente che, se io chiedo ad un comune di accogliere dei rifugiati dicendogli che i tempi di attesa sono «x» e sono più brevi, magari scatta un meccanismo di maggiore coinvolgimento nel progetto. Se invece gli propongo l'attuale situazione, cioè tempi di attesa mediamente di due anni, comprenderete che siamo di fronte ad una situazione di altro tipo di natura.
  Aggiungo anche che l'abbattimento dei tempi che noi vogliamo significativamente raggiungere ha innanzitutto l'obiettivo di tutelare il diritto del richiedente asilo, che deve poter ricevere una risposta entro un tempo necessariamente contenuto. Lo abbiamo fatto con le cose che ha detto qui il presidente: siamo intervenuti superando un grado di giudizio, introducendo quattordici Sezioni speciali e assumendo 250 persone per rafforzare le Commissioni territoriali, persone ad alta qualificazione, che abbiano cioè una finalità precisa da questo punto Pag. 10vista, elevandone anche l'operatività e soprattutto la qualità. L'obiettivo è quindi passare da anni a mesi (non voglio dire adesso quanti mesi).
  La seconda questione posta nel decreto è la possibilità da parte dei comuni, con progetti finanziati attraverso il Ministero dell'interno dall'Unione europea, con scelte volontarie e gratuite, di assumere i richiedenti asilo per lavori di pubblica utilità. Insisto molto sui princìpi che ho detto precedentemente per ovvie ragioni. Nel momento in cui c'è l'accoglienza diffusa da parte del comune, il fatto che ci possa essere quella che io chiamo «la possibilità di colmare il vuoto dell'attesa» attraverso un sistema che è insieme di integrazione e di rapporto con la comunità che ti ospita, è particolarmente importante, perché consente di rinsaldare un rapporto che altrimenti rischia di diventare un rapporto di diffidenza, e noi non vogliamo che sia un rapporto di diffidenza.
  Qui vengo al terzo punto e poi vado alla conclusione: il modello regge se noi abbiamo chiaro un principio, cioè che l'obiettivo dell'Italia è accogliere chi scappa dalle guerre o dalle carestie e rimpatriare chi non ha diritto. Sono due cose che si tengono strettamente insieme per ovvie ragioni, quindi qui c'è il tema dei rimpatri, questione sulla quale è giusto che ci sia un intervento, perché su questo penso che bisogna concentrarsi, naturalmente tutto nel rispetto delle leggi, come è giusto che sia.
  In questo ambito c'è un lasso di tempo, che auspichiamo sia il più breve possibile (questo è anche il senso di alcune iniziative che abbiamo assunto nei confronti di Paesi importanti come la Tunisia), tra il momento in cui vi è una dichiarazione di non regolarità e quindi di non accoglimento di una domanda, o addirittura il rischio di un pericolo, e la possibilità di identificare il soggetto, perché per poter rimpatriare c'è bisogno di avere un soggetto identificato, ma non identificato in Italia. Il punto cruciale è che deve essere identificato nel Paese che lo deve «riaccogliere», che è il Paese di provenienza. Su questo vorrei essere chiaro: è il Paese di provenienza che deve riaccoglierlo e deve essere d'accordo sull'identificazione; non è un problema soltanto dell'Italia.
  Aggiungo anche che su questo terreno non si pone nessun problema con la Libia, perché non c'è un tema di rimpatri con la Libia, in quanto il 90 per cento dei migranti arriva dalla Libia, ma non c'è nessun libico. Quindi, nessuno può essere rimpatriato in Libia, perché non sono libici! Così sgombriamo il campo da qualunque elemento di equivoco che ogni tanto ci può essere anche tra di noi.
  In questo ambito si tratta di colmare, quindi, questo vuoto. Come si può colmare questo vuoto? Si può colmare per le persone più pericolose, cioè quelle che hanno commesso reati, rafforzando il principio della identificazione in carcere. C'è stato un protocollo d'intesa del 2015 tra il Ministero dell'interno e il Ministro della giustizia, che ha incominciato a funzionare, per cui adesso posso dirvi che in questo ultimo anno e mezzo o quasi 802 persone sono state identificate in carcere. Mentre scontavano una pena sono state identificate nel rapporto con i Paesi di provenienza, quindi già questo funziona.
  Tuttavia, noi abbiamo un altro problema. Abbiamo il tema di quelli che sono irregolari e potenzialmente possono costituire un pericolo, non hanno commesso un reato, ma potenzialmente possono costituire un pericolo. In questo ambito l'idea che è stata avanzata è quella di avere dei centri in numeri molto contenuti. Ho già detto più volte in Parlamento – e lo ripeto per l'ennesima volta in questa sede ancora più importante – che i numeri a cui penso e su cui sono impegnato non vanno oltre i 1.600 su tutto il territorio nazionale. Quindi stiamo parlando di un'iniziativa fortemente mirata (su questo poi dirò qualcosa più nel dettaglio), un centro per ogni regione.
  Poiché c'era il rischio di equivoci, anche a costo di apparire non del tutto preciso nello scrivere un decreto, tutte queste questioni di cui sto parlando sono scritte nel decreto. In altre parole non sono cose che il Ministro illustra – centri piccoli, prevalentemente fuori dai centri urbani, vicino ai centri di comunicazione, governance trasparente, Pag. 11 potere di accesso al Garante per le persone private della libertà individuale – sono cose scritte nel testo di legge, a costo di apparire eccessivamente pedanti per un testo di legge, ma io sentivo il bisogno di farlo perché capisco perfettamente, tenendo conto dell'esperienza del passato, che può esserci un «margine di equivoco», di fraintendimento, di misunderstanding. Su questo bisognava essere molto chiari e farlo con la legge, non con quello che commenta la legge.
  Se questo è il profilo, non ha nulla a che vedere con i Centri per l'identificazione e le espulsioni come erano in passato. Sono un'altra cosa e, appunto perché sono un'altra cosa, nel decreto si cambia nome, perché nomina sunt consequentia rerum, quindi nel decreto che è immediatamente operativo, perché pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale di venerdì scorso, si chiamano Centri permanenti per i rimpatri. Non ci sono più i CIE.
  Naturalmente l'auspicio è che il decreto venga convertito, ma in ogni caso in questo momento è immediatamente operativo, dal punto di vista del superamento è già avvenuto perché è immediatamente operativo.
  Sulla dislocazione io ho avuto due riunioni con la Conferenza delle regioni. In questo momento c'è un tavolo tecnico tra il Ministero dell'interno e la Conferenza delle regioni, perché io penso che anche questo debba avvenire attraverso un ragionamento con le regioni. C'è coinvolgimento pieno delle realtà locali, perché – insisto da questo punto di vista – il progetto è assolutamente trasparente.
  Due ultime considerazioni e finisco. La prima è sui minori non accompagnati.
  Come voi sapete, lo scorso anno c'è stato un raddoppio del numero dei minori non accompagnati, cifra molto importante. Io mi auguro che rapidamente vada in Aula al Senato il testo di legge. Ho sentito un ottimismo nella possibilità che il Senato possa approvarlo in via definitiva. Qualora questo fosse, sarebbe un segnale molto importante a mio avviso per il complesso del Paese, sapendo che, per quanto ci riguarda, il nuovo testo diventerà il punto di riferimento in un quadro in cui il Ministero dell'interno ha stanziato 170 milioni per ogni anno del triennio 2017-2019, rispetto ai 112 del 2016. Abbiamo fatto quindi un significativo aumento degli investimenti per i minori non accompagnati.
  Un'ultima considerazione su questo tema per maggiore chiarezza. È chiaro che, se si fanno i rimpatri forzati come seconda chance, ma come chance importante che viene messa sullo stesso piano, vengono rilanciati fortissimamente i rimpatri volontari assistiti per ovvie ragioni, perché è chiaro che se c'è un meccanismo dei rimpatri che funziona, funziona anche il rimpatrio volontario assistito. Le due cose infatti si tengono strettamente insieme.
  Da questo punto di vista, volevo informare questa Commissione che, per quanto mi riguarda, abbiamo già stabilito il raddoppio dei fondi per i rimpatri volontari assistiti, perché lo consideriamo uno strumento altrettanto importante. Infine, è chiaro qual è il ragionamento: severità per chi è fuori dalle regole e non rispetta le regole, integrazione per chi sta dentro le regole e rispetta le regole. Il mio profondo convincimento è che queste questioni si tengano strettamente insieme e, più si è severi con quelli che stanno fuori dalle regole e stanno fuori dalla legge, più si è forti nella capacità di integrazione.
  Qui c'è un punto che vorrei trasmettervi ed è per me cruciale: considero del tutto sbagliata e fuorviante l'equazione immigrazione=terrorismo (come vedete, non ne ho parlato perché la considero sbagliata e fuorviante), tuttavia non sarei sincero se non dicessi al Parlamento e a questa Commissione che invece ritengo ci sia un rapporto tra mancata integrazione e terrorismo. La storia dei due anni di attentati in Europa è una storia di mancata integrazione, che poi ha prodotto terrorismo. Questo è il punto. Sull'integrazione si gioca un aspetto del futuro del Paese che è un aspetto di carattere più generale, ma che è anche un aspetto che riguarda la sicurezza del Paese, ed è per questo che io ci tengo moltissimo al progetto di integrazione.
  Entro giugno presenterò al Parlamento e al Paese un piano nazionale per l'integrazione, un piano nazionale che affronti Pag. 12questi temi e che riguarda coloro che hanno avuto il riconoscimento di protezione umanitaria: inserimento socio-lavorativo, assistenza sanitaria, formazione linguistica, ricongiungimento familiare, istruzione e riconoscimento dei titoli di studio. Voi comprendete che siamo di fronte a un progetto organico.
  In questo ambito si affronta il tema del dialogo interreligioso, che è un punto cruciale dell'integrazione. Come voi sapete, qualche settimana fa si è firmato un accordo con le organizzazioni della rappresentanza dell'Islam italiano, un accordo che io considero molto importante; in primo luogo perché è un accordo.
  Io personalmente sono molto prudente nell'usare le leggi dello Stato in materia di religione, il mio profondo convincimento è che quando si tratta di religione lo Stato possa fare intese; legiferare su materie religiose è un terreno molto scivoloso. D'altro canto, noi siamo un Paese che ha fatto delle intese con le religioni l'asse costituente delle nostre istituzioni (non direi nemmeno della nostra Repubblica, perché sono fatti anche precedenti l'istituzione della Repubblica). Tuttavia, questo è il punto.
  Se non l'avete fatto e vi fa piacere, date un'occhiata a questo patto, perché è a mio avviso molto importante per due ragioni. La prima pagina del patto contiene un richiamo agli articoli della Costituzione italiana e quella prima pagina non l'ha voluta il Ministro dell'interno. La cosa più bella è che l'ha voluta l'associazione, perché lì c'è un punto cruciale: sono cittadini che professano una religione, ma che si sentono profondamente italiani, e, appunto perché si sentono profondamente italiani, sentono di voler impegnarsi su alcune cose. Primo punto: la pubblicità delle moschee e dei luoghi di culto. Come sono pubblici tutti i luoghi di culto, sono pubblici anche i luoghi delle moschee. Ma non lo fa lo Stato che lo impone per legge, lo fanno loro, e che questo avvenga è la cosa più importante. Pubblicità dei luoghi di culto, l'apertura anche a chi non professa la loro religione.
  Secondo punto: il fatto che gli imam, cioè coloro che gestiscono il rito, siano persone che sono conosciute, che abbiano cioè un nome e un cognome, un quadro professionale. Voi sapete che una delle cose più delicate nell'azione di prevenzione è quella degli imam «fai da te», cioè di quelli che a un certo punto si dichiarano imam senza esserlo. Quindi l'impegno contro gli imam «fai da te», l'impegno comune per la formazione degli imam, i sermoni in italiano; non il rito in italiano, perché comprenderete che il rito non si può toccare per ovvie ragioni, ma il sermone, che è un elemento fondamentale, in italiano. Quarto: la trasparenza per i finanziamenti nella costruzione delle moschee, finanziamenti italiani e fuori dai confini nazionali.
  Quattro punti su cui tutto lo schieramento politico negli anni si è interrogato, richiedendo che quello fosse un punto fondamentale. Tra l'altro aggiungo io, che credo molto nelle intese, che, se questo patto dovesse reggere alla prova dei fatti, aprirebbe la strada alla possibilità di un'intesa con l'Islam italiano. Posso dirvi una cosa? Questo progetto così come il Piano nazionale per l'integrazione sono una porta aperta sul futuro del nostro Paese, non soltanto per quanto riguarda la convivenza civile, ma anche sul terreno della sicurezza: un Paese capace di integrare e di rispettare le diversità è un Paese che in futuro può essere più sicuro.
  Ho finito. Mi pare evidente che, per come l'ho prospettata – poi uno può essere d'accordo o non d'accordo, come è normale che sia, il disaccordo ci rende ancora più simpatici – l'immigrazione non è una questione di ordine pubblico, è un'altra questione, se mi consentite, molto ma molto più impegnativa: è una questione che impatta con gli equilibri della democrazia nel nostro Paese. Io ne sono profondamente convinto, questa è una convinzione che ho maturato nel tempo, e penso anche che l'Italia debba affrontarla senza presunzione. So perfettamente tuttavia che questo impatto sulla democrazia italiana è un impatto che riguarda tutte quante le grandi democrazie del mondo, basta soltanto guardarsi in giro per capire di cosa si discute nel mondo e capire come stiamo affrontando il tema noi in Italia. Pag. 13
  Ho concluso, ma vorrei soltanto dirvi questo: su questo progetto, sulle cose più specifiche, è mia intenzione sviluppare una collaborazione diretta con questa Commissione, appunto perché è una Commissione d'inchiesta. Una Commissione di inchiesta che agisce da Commissione di inchiesta aiuta il lavoro che io sto facendo. Non solo non lo vedo come un problema, ma lo vedo esattamente come l'opposto, perché non ho mai creduto che l'idea di avere il Parlamento che incalza e guarda alle cose che facciamo... Voi sapete che sugli autobus c'era la scritta «non parlate al conducente». Innanzitutto non mi sento il conducente e, in secondo luogo, se mi parlate non mi distraete, anzi, se mi parlate mi consentite di guardare meglio le cose che sto cercando di fare.
  Su questo, conto veramente sulla collaborazione (non aggiungo nemmeno leale, perché questo è scontato) forte di questa Commissione, perché per quanto mi riguarda tutto questo si regge se c'è un forte potere di proposta e se c'è anche un forte potere ispettivo, perché la cosa migliore in questi casi è che ci sia un potere di proposta e un potere ispettivo. Nella democrazia è sempre così. Io non apprezzo le democrazie in cui i poteri ispettivi deperiscono perché, nel momento in cui i poteri ispettivi deperiscono, è chiaro che le democrazie incominciano a diventare leggermente più deboli.

  PRESIDENTE. Grazie, signor Ministro, per la lunga ed esaustiva relazione. Ovviamente le cose che lei ha detto per noi sono molto importanti. Le voglio solo ribadire, prima di dare la parola ai colleghi che si sono già iscritti a parlare, che la nostra Commissione nel ruolo istituzionale che si è ritagliata, su mandato della Camera ovviamente, continuerà sulla strada dell'intesa e della collaborazione con il Ministero per quanto di competenza.
  Abbiamo due gruppi di lavoro molto importanti, che stanno producendo in termini propositivi suggerimenti e proposte che potranno essere utili anche per il Ministero, il gruppo di lavoro sui minori stranieri non accompagnati e quello sull'assistenza sanitaria dei migranti. Inoltre abbiamo iniziato ad attrezzarci per portare avanti un monitoraggio quanto mai puntuale del sistema di accoglienza nel nostro Paese, che è il frutto di un'elaborazione che stiamo facendo con le fonti da voi garantite e fornite, ma anche con altri strumenti a cui abbiamo avuto la possibilità di accedere tramite i nostri consulenti, per aiutarvi e aiutare il Paese a comprendere come funziona realisticamente il sistema d'accoglienza nel nostro Paese e quindi anche i punti di debolezza che questo sistema d'accoglienza sta presentando.
  Lascio quindi la parola ai colleghi che desiderino intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Procederei in ordine con uno per gruppo e poi ovviamente gli altri.

  ERASMO PALAZZOTTO. Grazie, presidente. Ringrazio anche il Ministro per la corposa relazione, che ci ha dato molti spunti e anche alcune letture abbastanza chiare. Mi permetterà, signor Ministro, di fare alcune osservazioni e poi anche alcune domande in maniera molto telegrafica, visti i tempi che abbiamo.
  Io noto una divergenza tra una narrazione, una retorica dei nostri propositi politici rispetto soprattutto al continente africano e poi le politiche «materiali» che noi mettiamo in campo, che spesso collidono con quello che è il principio di realtà. Proverò brevemente a parlare del primo punto della sua relazione, ovvero di quello che io definisco l'esternalizzazione della frontiera.
  I flussi sono ridotti dalla rotta balcanica, perché sono stati eretti dei muri, spesso con questioni drammatiche. Sono tornato da poco dalla Serbia, dove vedere come l'Ungheria blocca quella rotta è qualcosa che ricorda i lager nazisti. Ho raccolto testimonianze di ragazzi fermati, denudati, picchiati e abbandonati nella neve dalla polizia ungherese, polizia di uno Stato europeo, e su questo il nostro Governo e in generale l'Unione europea è stata troppo morbida rispetto a violazioni dei diritti umani perpetrate da Stati dell'Unione europea.
  Un'esternalizzazione delle frontiere che da noi è più difficile fare nel Canale di Pag. 14Sicilia e che quindi il nostro Governo prontamente sta mettendo in campo più lontano possibile da noi. C'è in questo tentativo una voragine, che è la Libia, di difficile controllo. Qui si creano i primi problemi.
  Presumo che, anche per le cariche che ha rivestito prima di fare il Ministro degli interni, abbia conoscenza di un tale Abdurahman Milad, detto al-Bija, che è il capo della Guardia costiera di Zawia che controlla la costa da Tripoli fino a Sabrata, punto di partenza principale degli sbarchi dei flussi migratori destinati al nostro Paese. Al-Bija è conosciuto come l'uomo che stabilisce le tariffe che i trafficanti di esseri umani – quelli che lei ha definito pericolosi almeno quanto i miliziani dell'Isis – devono pagare alla Guardia costiera per poter far partire i barconi. La Guardia costiera quando non pagano ferma i barconi e li porta nel centro di Nasser.
  Noi tutte queste cose le sappiamo. Quindi, se ci spiega che noi stiamo addestrando la Guardia costiera guidata da un tizio che ha delle milizie, che sono i principali sostenitori anzi forse tra i pochi sostenitori anche militari del Governo al-Sarraj, mi pare che in questo ci sia una velata ipocrisia, il tentativo di dire che stiamo facendo delle cose che poi non hanno un riscontro, perché c'è un'oggettiva difficoltà. Ciò al netto poi di quello che questo comporta in termini di garanzie sui diritti umani, poiché in questo modo noi ci rendiamo corresponsabili del destino di queste persone affidate alla Guardia costiera libica.
  Conosciamo i racconti sul centro di Nasser, finanziato anche dal Governo italiano quando fu aperto, con il primo accordo Italia-Libia firmato da Berlusconi. Abbiamo visto tutti le condizioni di quel centro di detenzione, di quel campo di concentramento. Da lì si esce solo se al-Bija recupera la quota di almeno 200 dollari a persona, che richiede per poi restituirli in mano ai trafficanti.
  Apprendiamo dai giornali che c'è un tentativo di accordo con la Tunisia (lo scopriamo principalmente dalla Tunisia) rispetto alla possibilità di portare una quota dei migranti salvati nel Mediterraneo dalle nostre navi in Tunisia e lì esternalizzare anche il diritto d'asilo, cioè fare lì le pratiche e poi chi ha il diritto d'asilo può venire con dei corridoi umanitari. Anche lì, quali sono gli standard che il nostro Paese garantisce in Tunisia rispetto alla procedura con cui si riconosce il diritto d'asilo? Stiamo esplorando frontiere molto pericolose dal punto di vista della tenuta dei nostri princìpi democratici. Appunto il diritto d'asilo è esternalizzato.
  Potrei dire dell'accordo Italia-Sudan fatto dalla polizia. Noi abbiamo fornito dei mezzi al Governo sudanese e in cambio di questo ad agosto sono partiti 24 sudanesi, spediti con velocità supersonica in Sudan.
  Il Sudan non è esattamente un Paese terzo sicuro, come si usa dire adesso. Al-Bashir ha due condanne alla Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità; noi con quel Governo abbiamo fatto un accordo, quei mezzi sono finiti alle milizie Janjaweed che sono la polizia di al-Bashir.
  Queste cose vanno dette e io vorrei sapere qual è il livello di garanzia sui diritti umani che il mio Paese e il mio Governo chiedono e mettono per iscritto quando si siglano questi accordi, perché il rispetto dei diritti umani è il grande assente di questi accordi bilaterali, che tendono a dire: «noi vi paghiamo purché voi teniate questi migranti lontani dal nostro Paese; quali sono le condizioni con cui questi migranti vengono tenuti, qual è il loro destino a noi non riguarda».
  Io penso che noi questa deresponsabilizzazione non ce la possiamo permettere, perché questo sarà in un modo o in un altro il secolo dei diritti umani, della loro definitiva negazione, della loro riaffermazione. A noi credo spetti scegliere solo da che parte dalla storia vogliamo schierarci.
  Non parlo per ovvie ragioni del tentativo di accordo che l'Unione europea sta cercando di fare con l'Egitto, di cui noi non siamo capofila solo perché sarebbe molto imbarazzante, visto che non abbiamo neanche un ambasciatore in Egitto (altrimenti immagino che l'Europa avrebbe affidato a noi anche quella trattativa, visto che il 10 per cento dei nostri sbarchi arriva dalla rotta egiziana). Pag. 15
  Mi fermo qui perché vorrei dire brevemente altre due cose. Sul decreto io penso ci siano due grandi vulnus, uno dei quali sottolineato anche dal Presidente della Corte di cassazione, Giovanni Canzio: la riduzione di un grado di giudizio rischia di corrispondere ad una riduzione di garanzie, oltre ad essere probabilmente incostituzionale, perché crea un principio di discriminazione in base alla nazionalità sulla esigibilità della giustizia nel nostro Paese. Mi auguro quindi che su quello si possa mettere mano e che eventualmente ci metta mano la Corte costituzionale. Sarebbe stato più utile ragionare di come velocizzare i tempi delle Commissioni, perché paradossalmente è ancora quello il tempo di attesa più lungo con cui spesso si deve scontrare un richiedente asilo; sicuramente le Sezioni speciali invece trovano un riscontro maggiormente costituzionale.
  Accoglienza emergenziale. Dopo tre anni gli sbarchi quest'anno sono aumentati un po’, ma più o meno ci attestiamo intorno ai 150-160.000; oggi siamo arrivati a 180.000. Dopo oltre tre anni, la maggior parte del nostro sistema di accoglienza è costituito dalle strutture emergenziali: circa il 70 per cento dei richiedenti asilo stanno in strutture di emergenza. Posso capire tutte le difficoltà, ma se un Paese come l'Italia non riesce quantomeno a riequilibrare 50 e 50 l'accoglienza ordinaria e quella straordinaria, in considerazione del fatto che quella ordinaria è per almeno la metà dentro i grandi centri che lei dice di voler chiudere, evidentemente su questo c'è un problema oggettivo.
  Sui CIE penso che possiamo anche cambiare nome, ma abbiamo prolungato i tempi di permanenza. Le condizioni attuali dei CIE esistenti – che vorrei sapere se vengano chiusi o permangano – sono assolutamente inaccettabili dal punto di vista degli standard dei diritti umani che garantisce il nostro Paese.
  L'ultima cosa che ritengo particolarmente importante riguarda le procedure messe in campo, di cui vorrei chiederle a quali principi rispondono. In più occasioni nell’hotspot di Taranto sono stati portati cittadini (talvolta risulta anche minori) prelevati alla stazione di Milano o alla frontiera e di fatto deportati, anche se magari erano in accoglienza in centri limitrofi. Ciò senza alcun principio logico perché, rilevato che erano in accoglienza, è stato consegnato loro un foglio che diceva: «Tornate nel vostro centro di accoglienza, nella questura dove la vostra procedura d'asilo è aperta». Ho le fotografie dove si legge «luogo di sbarco: Milano», «luogo di sbarco: Como». È abbastanza surreale visto che l’hotspot dovrebbe svolgere un'altra funzione.
  Rastrellamenti. Qualche giorno fa c'è stata un'operazione nel campo rom di Palermo fatta in grande forza dai carabinieri con l'uso di elicotteri, unità cinofile, per l'individuazione di clandestini. Questa grande operazione, fatta di notte con un enorme dispiegamento di uomini e di forze, ha prodotto il sequestro di due abitazioni abusive nel campo rom, poi dissequestrate dall'autorità giudiziaria, e il prelevamento di 4 donne, nate a Palermo, di origine jugoslava – non avevano neanche una nazionalità acquisita perché sono arrivate qui che la Jugoslavia non era ancora uno Stato – con figli che frequentano le scuole palermitane, portate al CIE di Ponte Galeria per l'espulsione. Il giudice ha ritenuto di non convalidare il fermo e di liberarle.
  Vorrei capire nella catena di comando qual è il principio con cui viene disposta un'operazione di questo tipo, che di fatto è un rastrellamento vero e proprio, una deportazione di cittadini italiani. Difatti se la legge sullo ius soli fosse approvata, avrebbero la possibilità di chiedere la cittadinanza nel nostro Paese, visto che non ne hanno un altro di provenienza.

  PRESIDENTE. Collega, devi concludere.

  ERASMO PALAZZOTTO. Perdonatemi, chiudo con l'ultima domanda che riguarda il CARA di Mineo. Lei ha detto che vuole smantellare i grandi centri, nei grandi centri ci sono i processi di radicalizzazione cui lei faceva cenno, e nel CARA di Mineo sono iniziati i lavori di costruzione di un hotspot: evidentemente non c'è l'interesse a smantellarlo a breve termine, perché già solo la Pag. 16durata dei lavori è più che un breve termine.

  PRESIDENTE. Raccogliamo tutte le domande e cerchiamo di essere più contenuti sui tempi per concludere tutto alle 15, compresa la replica del Ministro.

  GIUSEPPE BRESCIA. Cercherò di essere utile alla causa prendendo una parte dell'intervento del collega Palazzotto e facendola mia, quella relativa alla politica estera e agli accordi bilaterali. Non mi ripeterò, perché condivido le stesse preoccupazioni rispetto ai diritti umani, quindi prendiamo per buona questa parte qui.
  Credo che da questo punto di vista – e non solo da questo – si stia facendo ancora una volta un errore di approccio, ossia si tenta, come sta facendo anche l'Unione europea, di bloccare i flussi e si fa finta di non capire, sebbene lei stesso l'abbia detto in premessa, che questo è un fenomeno strutturale destinato a rimanere nel tempo, anzi probabilmente a crescere, e che quindi sono altre le soluzioni che si devono trovare e non quella di mettere barriere che comunque saranno oltrepassate. Se questa gente è disposta a rischiare la propria vita per arrivare in Europa, non ci sono accordi che tengano, soprattutto se poi li andiamo a fare con Governi di dubbia legittimità, che probabilmente non potranno rispettarli, perché magari sono riconosciuti a livello internazionale, ma sul territorio non hanno alcuna legittimità.
  Cito una questione fondamentale che non è stata trattata. Lei ha detto ci sono delle persone che avranno diritto ad essere accolte, mentre dovremo rimpatriare le altre. Secondo me c'è già qui un errore, ossia ancor prima che le persone facciano richiesta d'asilo è necessario dare a queste persone altre opportunità: state pensando a nuove vie legali d'accesso o pensate che il sistema, regolato com'è in questo momento dalla legge Bossi-Fini, possa andar bene? Se noi riducessimo il numero di richieste d'asilo, perché sappiamo che molte sono fatte anche in maniera pretestuosa perché di fatto sono l'unico modo per rimanere in maniera regolare sul nostro territorio, tutto il sistema ne trarrebbe beneficio. Lei non ha fatto cenno a questo punto, quindi deduco che non ci state pensando, però le chiedo se magari in futuro prenderete in considerazione questa ipotesi.
  Sui grandi centri e su tutto il sistema, anche sui CAS, noto anch'io una grande contraddizione nel momento in cui si dice di voler andare in una direzione (e noi abbiamo accolto di buon grado l'accordo con l'ANCI perché pensiamo che sia un buon accordo), mentre i grandi centri sono vivi e vegeti sul nostro territorio. Qualche mese fa abbiamo presentato una mozione per la chiusura del CARA di Mineo, che è stata respinta, nonostante questa Commissione abbia detto in tutte le lingue (e molto probabilmente a breve approverà una relazione) che è fucina di illegalità di ogni genere, quindi non si sa cosa debba succedere ancora a Mineo per dire che bisogna chiuderlo definitivamente e nel più breve tempo possibile.
  Anche su questo vogliamo una parola definitiva da parte del Governo, non solo sul centro di Mineo, che è la situazione più eclatante, emblematica a livello europeo, addirittura il centro più grande, ma anche su tutti gli altri grandi centri, che creano problemi di tensione sociale sul territorio. Io sono di Bari e Bari è un altro bellissimo esempio, così come Borgo Mezzanone nel foggiano, così come tanti altri centri anche al nord.
  Rispetto ai 500 euro che sono stati dati grazie alla manovra prevista dalla legge di stabilità, noi li abbiamo dati anche a quei comuni dove ci sono dei CAS, andando quindi a finanziare un sistema che in gran parte è corrotto e inadeguato a svolgere la funzione, perché quella è sì accoglienza diffusa, ma fatta da persone che non sanno neanche che cosa sia l'accoglienza, persone che fino al giorno prima facevano gli albergatori e il giorno dopo si sono ritrovati esperti di accoglienza. Abbiamo sentito esperienze, di cui prima ci stava raccontando il collega Beni, di gente che ha «svoltato», gente che prima aveva un agriturismo che non andava bene, ha cominciato ad occuparsi di accoglienza e ora ha trovato un modo per tirare a campare. Pag. 17
  Io voglio sapere se voi vi stiate ispirando a questo modello o se, in maniera più lungimirante ed appropriata, vi stiate ispirando agli SPRAR, che sono l'unico modello dal quale si può prendere spunto per fare un'accoglienza dignitosa nel nostro Paese. Se avessi dovuto decidere a chi dare quei soldi, li avrei dati soltanto ai comuni che aderivano alla rete SPRAR, proprio per incentivare questa adesione volontaria.
  Ci sono tantissime cose da dire e ovviamente il tempo è poco, quindi concludo con una questione relativa ai CIE, che abbiamo già contestato. Lei dice che non saranno come quelli del passato però, anche se voi realizzaste dei centri che dal punto di vista del rispetto della dignità umana fossero perfetti, secondo noi non avrebbero l'efficacia che voi vi aspettate per i rimpatri, perché voi state ampliando la permanenza a 90 giorni.

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. (fuori microfono) Su questo non si amplia nulla, è come prima.

  GIUSEPPE BRESCIA. Va bene, però dopo i 90 giorni, se non avviene l'identificazione e se non si può effettuare il rimpatrio, saremo punto e daccapo com'è stato per i CIE fino ad oggi, ossia daremo un foglio di via a queste persone che rimarranno irregolari sul nostro territorio. Non credo quindi che anche se ne facessimo 50 risolveremmo il problema.

  MARCO RONDINI. Sarò breve, in maniera tale da poter lasciare spazio anche ai colleghi che vogliono porre domande. Noi apprendiamo con piacere che, come avevamo letto anche sui giornali, riattiverete i CIE ai quali cambiate semplicemente nome, che dovrebbero andare a svolgere la funzione che svolgevano i CIE quando erano attivi.
  L'unica cosa che ci lascia perplessi è che lei, signor Ministro, affermi che la capienza massima per questi nuovi centri per i rimpatri dovrebbe essere di 1.600 persone e che ne verrebbe istituito uno per regione, e noi riteniamo che questa misura sia assolutamente insufficiente rispetto al numero di persone che, stando ai dati, dovrebbero essere sul territorio in clandestinità.
  Noi sappiamo che dal 2013 ad oggi in Italia sono sbarcate circa 570.000 persone, delle quali solo poco meno di 300.000 hanno formalizzato una richiesta per vedersi riconosciuto lo status di profugo o la protezione internazionale. Questo dato già ci dice che sicuramente almeno 270.000 persone circolano sul territorio senza averne nessun diritto.
  Questo nuovo strumento potrebbe essere utile per risolvere la situazione, però è assolutamente insufficiente, stando ai numeri con i quali si dovrebbe confrontare. Come fa a ritenere che questo sia uno strumento sufficiente per affrontare una situazione che con il passare del tempo è diventata di allarme sociale? Oggi, infatti, circolando per le nostre città è facile imbattersi in persone che vivono di espedienti, che dormono non si sa bene dove e che giustamente destano nell'opinione pubblica un forte allarme sociale. Questa è la prima domanda, se lei ritiene che invece forse varrebbe la pena di pensare a qualcosa di più importante per affrontare questa emergenza.
  L'altra questione riguarda gli accordi bilaterali. Lei accennava a questo accordo sottoscritto con la Libia, che deve essere implementato e che forse porterà a degli ottimi risultati. Ci interesserebbe sapere in che tempi e se, oltre ai tre accordi bilaterali che lei ha citato con la Tunisia, con il Niger e con la Libia, ci si stia attivando per siglare accordi bilaterali anche con altri Stati, in considerazione del fatto che la provenienza degli immigrati è principalmente dall'Africa subsahariana e non c'è solo il Niger, ma ci sono anche altri Stati con i quali si dovrebbe cercare di stabilire un accordo bilaterale.
  Chiudo semplicemente con una considerazione, affinché rimanga agli atti: non faccio assolutamente mie le preoccupazioni esposte dai colleghi del Movimento 5 Stelle e di Sinistra Italiana, perché ritengo che stabilire degli accordi bilaterali sia il dovere di un Governo che ha a cuore prima di tutto la pace sociale del proprio territorio e per far sì che il diritto d'asilo non si Pag. 18trasformi invece in un diritto di invasione, al quale magari ai colleghi piacerebbe aprire le porte. Grazie.

  GREGORIO FONTANA. Ministro Minniti, dopo anni di politiche a nostro parere insufficienti nella gestione del fenomeno immigrazione, guardiamo con un certo interesse al suo tentativo, illustrato a livello di linee generali, sulla necessità di governare questo processo. Lo guardiamo con interesse perché, nei due livelli che lei ha esposto, cioè quello rispetto alla politica estera e quello interno, penso che queste siano le strade, a livello generale, certamente utili a governare questo fenomeno.
  Per quello che riguarda la politica estera, è importante riaprire il canale con la Libia, che ci aveva consentito nel passato – parlo del 2009, non so nel 2010 – grazie agli accordi internazionali con la Libia, di avere in Italia, all'anno, poco più di 9.000 o addirittura, nel 2010, 4.405 sbarcati.
  Dico questo per sottolineare l'importanza che il Governo finalmente si muova in questo senso. Un aspetto importante è che lei possa chiarire in quest'occasione anche i termini di questo presunto accordo con la Tunisia, di cui hanno parlato i giornali e che poi è stato smentito. Si parla di rimpatrio di 200 persone al mese, per carità; ma è un accordo che può essere significativo dal punto di vista dell'immagine, perché in Italia ogni 12 ore sbarcano 200 persone. Quindi, questo è un primo passo, ma penso che ci sia parecchio da fare.
  Per quanto riguarda la parte interna, noi abbiamo individuato due punti importanti sui quali lavorare. Poi vedremo nella discussione sul decreto che verrà esaminato dal Parlamento. Ci sarà modo di confrontarsi.
  Quanto ai tempi, finalmente si è sbloccato l'aspetto del meccanismo dei ricorsi giurisdizionali, misure che erano state annunciate nel giugno del 2013 addirittura da Enrico Letta in Parlamento, che quindi erano ferme nel cassetto da troppo tempo. Finalmente sono state portate all'attenzione del Parlamento attraverso il decreto-legge.
  Tuttavia, sulla parte importante di sua competenza, che è quella delle Commissioni, penso che ci sia ancora molto da fare. Dei 250 neoassunti non è ben chiaro (saranno sicuramente la discussione e il confronto sul decreto a chiarirlo) quali saranno le funzioni rispetto a una parte del processo di definizione dello status in tempi brevi – come ha detto anche lei più volte, questo è importante proprio perché è un atto di rispetto per i migranti e per i richiedenti asilo – anche perché il costo dell'accoglienza sui cittadini italiani ha numeri assolutamente insostenibili.
  Cercare di far sì che questo primo passaggio sia il più veloce possibile è un imperativo. A mio parere, il numero e anche la mancata definizione delle funzioni di questi neoassunti saranno oggetto di confronto proprio su questo obiettivo.
  L'altro punto fondamentale è la gestione dell'accoglienza. L'accoglienza in Italia, ripeto, ha dei costi inaccettabili. Si sono anche evidenziati dei fenomeni di degenerazione, delle patologie che hanno riguardato i grandi centri, ma anche i piccoli. L'unico strumento per prevenire questi fenomeni è il controllo, Ministro.
  Il suo predecessore ci aveva raccontato, ancora prima dei fatti di Cona, di aver attivato una task force per il controllo della qualità dell'accoglienza. Io penso che su questo fronte sarà molto importante il controllo, perché certamente ci sono le responsabilità penali, ma c'è anche una necessità di vigilare su come in questi centri vengono accolti e ospitati i richiedenti asilo e su come vengono spesi i soldi dei cittadini italiani, il che è di competenza del Governo. In merito penso che ci sia molto da fare, al di là del discorso e della sterile discussione sui grandi centri e sui piccoli centri.
  Una questione su cui mi preme una sua precisazione è proprio quella della premialità, cui lei ha accennato parlando dei famosi 100 milioni che dovranno essere erogati ai comuni che accettano di aderire al progetto SPRAR. Il decreto fiscale che prevedeva questo stanziamento pensavo fosse inteso in un'altra maniera, cioè come una sorta di indennizzo a tutti i comuni che avevano, obtorto collo, anche subìto la presenza di centri di accoglienza. Delle due Pag. 19l'una. Una precisazione in questo senso sarà importante.
  Per quello che riguarda la ricollocazione, dobbiamo essere consapevoli che la ricollocazione rispetto all'Europa per ora è bloccata in un meccanismo che ci limita non poco. Anche se l'Europa decidesse di ricollocare tutti i soggetti che si è impegnata a ricollocare, questo ricollocamento riguarderebbe solo siriani, eritrei e iracheni, cioè un ristretto numero di richiedenti asilo. Questo sicuramente non risolverebbe granché i problemi dell'Italia, che, come è noto, subisce un'immigrazione di migranti economici provenienti dall'area subsahariana.
  Un'ultima considerazione riguarda le frontiere. Noi abbiamo i dati relativi agli sbarchi e abbiamo dati relativi – finalmente – al meccanismo dell'identificazione. Le frontiere sono un punto delicato. Abbiamo dei numeri che non combaciano. Ci risultano sbarcati 192 pachistani e richiedenti asilo 13.000. Da qualche parte dovranno pur entrare. Vorrei richiamare l'attenzione sul controllo delle frontiere, non solo quelle della rotta mediterranea, ma anche quelle terrestri.

  PRESIDENTE. Avendo concesso il giusto spazio alle opposizioni, passiamo alla maggioranza.

  ELENA CARNEVALI. Sarò necessariamente e obbligatoriamente breve, per consentire a tutti di poter esprimere la loro opinione. Procederò per flash.
  In primo luogo, accolgo con molto favore un cambio di registro soprattutto nella disponibilità da parte del Ministro di avere un rapporto collaborativo nei confronti di questa Commissione d'inchiesta, che, oltre alla funzione di avere come sua mission quella proprio dell'inchiesta, ha anche quella di voler portare un contributo positivo all'azione del Governo.
  La seconda considerazione positiva è che credo che l'individuazione della strategia complessiva vada valutata positivamente. Spesso ci siamo trovati qui a discutere di un sistema di accoglienza senza tener presente che abbiamo da tenere insieme e coniugare sia la sicurezza di questo Paese, sia una condizione democratica che c'è in questo Paese, che tutti abbiamo la consapevolezza che si stia in qualche modo minando. È proprio dall'azione strategica che lei ci ha illustrato che molto probabilmente riusciremo a realizzare quel giusto sistema di accoglienza che anche altri colleghi hanno auspicato.
  Mentre noi stiamo parlando, 630 persone sono sbarcate a Catania. Sembra che, nel frattempo, siamo riusciti a costruire un'esternalizzazione delle frontiere, bloccando tout court. Forse, invece, non ci rendiamo conto che tutti i giorni ci troviamo a doverci attrezzare. Giustamente, siamo un Paese civile, che continua a fare sua questa politica.
  Passo a qualche sottolineatura. Credo che l'impulso forse più grande che abbiamo impresso in questo ultimo periodo, che guardo con estremo favore, sia stato attraverso gli accordi bilaterali e multilaterali, che possono anche essere oggetto di un miglior approfondimento, anche per le giuste preoccupazioni che sono state espresse qui. Ci mancherebbe altro. Sono soprattutto un segnale nei confronti dell'Europa. Come abbiamo detto, troppo spesso questo rischia di essere un problema che ricade esclusivamente su questo Paese cuscinetto. Credo, quindi, che ciò che è avvenuto a Malta sia di buon auspicio perché si continui sulla strada della garanzia dei diritti umani.
  Quanto al tema che riguarda la questione dell'accoglienza, devo dirle che, a proposito della volontà di riuscire a riequilibrare la percentuale del 70-30 che ricordava prima il collega Palazzotto, molto dipende da come riusciamo ad affrontare il tema del coinvolgimento degli enti locali. Ricordo a tutti che i 100 milioni che abbiamo dato li abbiamo erogati – parlare in termini di indennizzo forse è un po’ improprio – perché questi comuni abbiano la possibilità di utilizzare tali risorse per tutta una serie di altri servizi a favore dell'accoglienza, perché comunque grava.
  L'auspicio che personalmente esprimo è che, se vogliamo riservare una maggior forza al sistema SPRAR, forse dobbiamo Pag. 20pensare anche a ragionare in termini di premialità anche su quel fronte. Attualmente c'è solo un sistema di natura volontaria. Perché sia estensibile è giusto che l'accordo fatto con ANCI – che noi guardiamo con assoluto favore, anzi che abbiamo incoraggiato – sia poi realizzabile e realizzato.
  C'è un tema molto significativo, di cui credo lei abbia assoluta consapevolezza. Noi continuiamo gli sforzi che stiamo facendo in termini di verifica e di controllo su alcuni centri e l'azione di monitoraggio in molti centri. Proseguiamo nelle missioni che stiamo facendo, ma purtroppo ancora oggi non c'è trasparenza. L'accordo che è stato fatto con ANAC penso sia applicativo per quelli che verranno ma non è, ovviamente, retroattivo. Bisogna trovare un'azione sistematica sulle attività di controllo.
  Sulla questione delle frontiere rimane il tema non solo delle frontiere che abbiamo ai nostri piedi, ma anche di quelle che abbiamo alle nostre spalle. Qui devo dire che molto probabilmente occorre – lo lascio a lei e alla sua abilità, non solo per le competenze, ma anche per l'azione diplomatica che può avvenire anche con altri colleghi – un maggior rapporto di lealtà anche con altri Paesi, che in questo momento, come abbiamo visto, in moltissime frontiere non si sta realizzando.
  Chiudo sulla questione dei minori. Spero che il contributo del lavoro che stiamo svolgendo e che coordino possa essere fatto proprio da parte della Commissione e diventare davvero uno strumento. La scala della vulnerabilità forse non dovrebbe neanche esistere, in quanto vulnerabili si è a prescindere. Il tema vero è che abbiamo nei confronti dei minori un dovere e una coscienza maggiore e abbiamo davvero molte situazioni che sono in condizioni che davvero non possiamo più consentire a questi minori di affrontare.

  SARA MORETTO. Ringrazio il Ministro per la disponibilità di oggi, ma anche e soprattutto per la disponibilità che ha offerto alla collaborazione futura con la Commissione.
  Mi soffermo sul fronte accoglienza, visto che avrà ampiamente occasione di rispondere alle questioni relative alla politica estera. Ritengo fondamentale il fatto che lei abbia considerato importante affiancare alla necessaria politica europea un'agenda nazionale forte, anche perché rispetto a un fenomeno così importante e problematico in questo momento anche i cittadini hanno bisogno di capire in che direzione si stia andando. Mi pare che le sue prime azioni di governo stiano riuscendo in questo.
  Lei ha parlato di progressivo superamento dei grandi centri. Io devo necessariamente fare riferimento alla più recente visita che abbiamo fatto al centro di Conetta, in Veneto, che dista qualche chilometro da un centro altrettanto grande, quello di Bagnoli. In merito a quest'ultima visita si parlava, fino a qualche mese fa, di 1.500 richiedenti asilo in una frazione di 300 abitanti. Ho avuto occasione, dopo la visita, di fare anche un'assemblea pubblica con gli abitanti.
  Mi creda, al di là delle questioni relative ai problemi interni al centro, c'è la necessità di dare una prospettiva anche alle comunità che si trovano ad ospitare questi centri, che non hanno idea di quale direzione si prenda, di quali siano i tempi e del futuro di queste strutture di accoglienza. In quella struttura quasi la metà dei richiedenti asilo da cinque mesi era lì senza neanche aver depositato il modello C3, ossia la richiesta di protezione. Mi pare che abbiamo conferma che i tempi lunghi non sono quelli delle Commissioni, ma sono forse quelli prima per il deposito del C3 e poi per le successive fasi di giudizio.
  Lei parlava di sistemi premiali e di andare verso l'accoglienza diffusa, cose che condivido. Diceva che si tratta di un percorso che necessita di alcuni tempi e di una progressività. Le chiedo, se in alcuni territori – necessariamente faccio riferimento al Veneto, dove il livello regionale non sta in alcun modo collaborando – ove non vi siano risultati nel breve termine di questo percorso di collaborazione con i comuni, ci sia l'intenzione di intervenire per un progressivo svuotamento dei centri, che risultano comunque sovraffollati. Laddove è ormai certo che i numeri e i tempi sono eccessivi e nel caso in cui i territori non Pag. 21rispondano, vorrei sapere se c'è l'intenzione di intervenire con un progressivo svuotamento. Il riferimento a Conetta, ovviamente, è diretto.
  Passo a una seconda domanda, velocissima. Sempre in quella visita abbiamo potuto riscontrare una scarsa informatizzazione dei processi di gestione dei dati relativi al sistema di accoglienza. Abbiamo visto che allo sbarco viene fatto uno screening sanitario che viene informatizzato, ma rimane lì e non segue la persona in tempo reale. L'identificazione delle persone che vengono trasportate in pullman avviene su un foglio di carta consegnato all'autista del pullman e la prefettura comunica con le cooperative di gestione dei centri attraverso Whatsapp.
  Questo è il quadro che ci è stato fornito nella visita di Cona. Mi pare che sia alquanto approssimativo, ovviamente se corrisponde al vero. Chiedo, quindi, se ci sia l'intenzione di pensare a un flusso di dati e informazioni in tempo reale e più affidabile, visto che stiamo parlando di persone e di informazioni sensibili.

  GIUSEPPE BRESCIA. Intervengo sull'ordine dei lavori, perché credo sia opportuno che il Ministro abbia il tempo di rispondere. Dato che avevamo finito il primo giro uno per Gruppo, se ora diamo spazio a tutte le domande, o il Ministro ci offre la disponibilità a tornare, oppure concludiamo prima con le risposte.

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Il Ministro può fare due cose, se è d'accordo. Può rispondere per iscritto immediatamente e poi può dare la disponibilità a tornare. Non ho nessun problema. Prima, però, rispondo per iscritto, perché non voglio lasciare alcuna questione in sospeso. Sono abituato a non lasciare questioni in sospeso.

  PRESIDENTE. Credo che sia corretto, visto che è da tanto che aspettiamo quest'audizione, che tutti i colleghi abbiano la possibilità di parlare con il Ministro, considerato che abbiamo dato spazio a tutti, con l'impegno del Ministro a rispondere. Possiamo anche sforare i tempi. Non abbiamo un orario perentorio delle 15, visto che non abbiamo Aula. Se il Ministro si può trattenere qualche minuto in più...

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno (fuori microfono). Purtroppo no.

  MARIA CHIARA GADDA. Sarò telegrafica, per non togliere tempo ai colleghi e soprattutto per consentire al Ministro di rispondere.
  Vorrei riprendere un tema proposto dall'onorevole Carnevali, che riguarda il rapporto dell'Italia con le frontiere, non soltanto con la frontiera a sud, ma anche con le frontiere dei Paesi che fanno parte dell'Unione europea. Mi riferisco, in particolare, alle riammissioni semplificate. Non mi riferisco soltanto al passaggio, magari non controllato, di altre frontiere con cui ha a che fare l'Italia, ma soprattutto alla riammissione semplificata.
  Ricordo una missione di questa Commissione a Como. In rapporto alla Confederazione elvetica abbiamo riscontrato numerose riammissioni semplificate al confine italiano al 30 settembre 2016. Si tratta di 9.440 riammissioni, 2.361 delle quali riguardano minori stranieri non accompagnati.
  Si tratta di un tema posto, peraltro, anche da numerose associazioni di volontariato, tra cui Amnesty International e altre organizzazioni, un tema serio, che riguarda accompagnamenti alla frontiera collettivi e impossibilità per i richiedenti asilo di formalizzare in modo scritto le loro richieste in quello specifico Paese e, quindi, l'impossibilità di fare ricorso.
  Si tratta, quindi, di un tema serio, che credo il nostro Paese debba affrontare, perché, nel corso del tempo, l'Italia ha ricevuto un'eredità. I problemi che l'Italia ha risalgono anche a un sistema di gestione che probabilmente in passato non è stato strutturato per gestire un fenomeno epocale. Mineo è stato strutturato ed è nato a fronte dell'emergenza Nordafrica, non sicuramente con questo Governo.
  Credo, quindi, che i passi seri che l'Italia ha fatto debbano essere riconosciuti anche Pag. 22dai Paesi che confinano con il nostro, perché questo tipo di riammissioni non controllate, con qualche elemento di criticità, ha un impatto molto forte anche sul nostro sistema di gestione e sul nostro sistema di accoglienza. Ricevere grandi gruppi di persone, soprattutto minori stranieri non accompagnati, di sicuro mette in difficoltà aree territoriali che già affrontano questo tema in maniera consistente e quotidiana.

  PRESIDENTE. Onorevole Fontana, voleva intervenire sull'ordine dei lavori?

  GREGORIO FONTANA. Presidente, lo dico con rammarico, ringraziando comunque il Ministro di essere venuto, ma nel fatto di trasformare un'audizione in un'interrogazione a risposta scritta penso vi sia un meccanismo un po’ di forzatura.

  PRESIDENTE. Possiamo ricalendarizzare il ritorno, come abbiamo fatto per altri auditi.

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Ho detto che risponderò per iscritto e che ritornerò. Più di questo non posso fare.

  PRESIDENTE. Ma possiamo calendarizzare...

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Era per dimostrare la mia massima disponibilità. Se poi si vuole attendere un periodo, io rispondo ancora.

  PRESIDENTE. Bene. I colleghi rinunciano e do la parola al Ministro. Ha visto, Ministro? Abbiamo risolto velocissimamente. Questo è frutto del fatto che attendevamo il Ministro da molti anni.

  MARCO MINNITI, Ministro dell'Interno. Ringrazio, perché vuol dire che c'è una grande attesa. Da questo punto di vista, vi ringrazio veramente.
  Cerchiamo di affrontare alcune questioni. Purtroppo, non potrò rispondere a tutto, ma le cose fondamentali cercherò di dirle.
  La prima è questa: quando ho citato i dati di Frontex, che indicavano –84 per cento sulla rotta balcanica occidentale e –72 per cento sulla rotta balcanica orientale, citavo i dati di Frontex, che riguardano l'ingresso in Europa, non i passaggi tra i vari Paesi europei. Quindi, il problema che stiamo affrontando non è quello dentro l'Europa. Stiamo affrontando un tema diverso. L'accordo Europa-Turchia ha prodotto una riduzione dei numeri. Su quello si può discutere, naturalmente. Ognuno è libero di fare le valutazioni che ritiene più opportune, ma stiamo parlando di questo.
  Da questo punto di vista faccio presente che l'Europa ha investito in quell'accordo cifre particolarmente significative e altre prevede ulteriormente di investirne. L'idea che un Paese come l'Italia possa chiedere che ci sia un impegno verso i confini meridionali dell'Europa e verso il Mediterraneo centrale mi sembra assolutamente doverosa. Non ha nulla a che vedere con l'esternalizzazione delle frontiere, che sinceramente, in questo momento, non riesco a vedere.
  Non riesco a vederlo per una ragione semplicissima, perché guardo i dati. I dati sono noti. In questo momento gli ingressi nel nostro Paese nei primi due mesi dell'anno sono +44 per cento. Da questo punto di vista non abbiamo un'esternalizzazione delle frontiere, ma abbiamo, in questo momento, purtroppo, un altro problema.
  Passo alla seconda questione. È evidente che l'Italia si muove avendo un background fondamentale. L'Italia è l'Italia e, quindi, è quel Paese che ha sviluppato in questi anni e che continua a sviluppare in queste ore una straordinaria disponibilità all'accoglienza ed è anche un Paese che ha un profondo rispetto per i diritti umani. Lo facciamo nel nostro Paese e pretendiamo che lo si faccia fuori dai confini nazionali.
  Per quanto mi riguarda, non c'è dubbio alcuno che, qualunque accordo si faccia con l'Italia, in primo luogo perché c'è scritto e, in secondo luogo, perché lo pretendiamo, consideriamo il rispetto dei diritti umani un punto fondamentale di qualunque accordo. Pag. 23
  Non l'ho interrotta, onorevole Palazzotto, mi dispiace. Quando vorrà, avremo modo di discuterne. Come sa, sono persona informata sui fatti. Da questo punto di vista, quando vorrà, avremo modo di approfondire, ma in questa circostanza, purtroppo, non possiamo fare dibattito. Questo è il punto.
  Se qualcuno ha notizia di una violazione dei diritti umani cui l'Italia partecipa, lo dica. Sinceramente, considero abbastanza difficile affrontare una discussione preventiva, per una ragione semplicissima: si continua a ragionare sempre con i «se», ma i «se» non fanno un ragionamento compiuto.
  Una volta mi hanno regalato un libro, tra l'altro molto bello, Se la storia fosse fatta con i «se». Era un libro straordinariamente bello, ma era un libro che era al limite della portata della conoscenza. Voi mi consentirete che su questo tema e sul livello di proposta che vi è stata fatta io consideri non sufficiente – uso un termine volutamente attento – una risposta che mi dica «se succede questo» o «se succede quest'altro». Non è successo e non succederà.
  Qualora dovesse succedere, questa è una Commissione d'inchiesta e valuterà tutte le questioni, sia sul territorio nazionale, sia fuori dal territorio nazionale, per ovvie ragioni. Ho già spiegato che, per quanto mi riguarda, questa Commissione è per me un punto di riferimento. È per me un punto di riferimento importante perché penso che su questi temi tenere alta la guardia dell'attenzione rispetto ai diritti umani sia un punto fondamentale.
  Continuo con la terza questione. Si parla del livello di affidabilità degli altri Paesi. Sappiamo perfettamente che il quadro della standardizzazione dei rapporti internazionali è una questione molto complessa e, tuttavia, non l'abbiamo fatto noi. Lo sta facendo l'Unione europea. Noi abbiamo pensato che sia fondamentale, per esempio, quando si tratta della formazione di reparti di altri Paesi, avere un'attenzione alla formazione al punto tale che, quando parliamo della guardia costiera libica, stiamo parlando di formazione che avviene a livello europeo, con metodiche europee, fatta su navi, in questo caso italiane, ma che fanno parte di un progetto di carattere europeo.
  Penso che per un Paese come l'Italia stabilire che la garanzia nella formazione del personale, in questo caso le guardie di frontiera o il personale militare, affidato non soltanto a un ruolo nazionale, ma anche alla funzione dell'Unione europea sia il massimo di garanzia possibile. Per ovvie ragioni, come sappiamo, nel momento massimo di tensione, come è giusto, ci rivolgiamo alla Corte europea per i diritti dell'uomo, che tutti consideriamo il punto di riferimento più alto. L'Italia, in questo caso nella formazione, utilizza metodiche che sono coordinate e gestite direttamente dall'Unione europea.
  Passo alla questione relativa alla sistemazione strategica dell'Africa. L'Italia ha stabilito e messo nei fondi per la cooperazione del Ministero degli affari esteri 200 milioni per il progetto Africa. È una cifra importante, come risulta del tutto evidente. Non è risolutiva, tuttavia è una cifra importante.
  L'iniziativa bilaterale che l'Italia ha assunto con alcuni Paesi europei ha consentito – questo è il punto cruciale – di avere un'Europa molto più impegnata. Non so se voi abbiate mai avuto la voglia o la possibilità di leggere le altre risoluzioni dei vertici europei. Se uno facesse un'analisi comparata dei testi, che naturalmente sono sempre testi di dichiarazioni politiche e, come tutte le dichiarazioni politiche, sono «punti di riferimento» e non progetti operativi, per esempio confrontando i testi della risoluzione di Malta con altri testi, noterebbe che c'è un passo in avanti significativo. Lo dice uno che pure, come avete sentito nella mia relazione, non ha lesinato critiche, in alcuni casi, ai comportamenti dell'Europa.
  Aggiungo anche, a proposito del tema delle esternalizzazioni delle frontiere, di tenere presente una discussione che, in questo momento, è in corso in Europa. Come sapete, c'è un tema enorme che riguarda il Trattato di Dublino, ossia la questione del paese di prima accoglienza. Penso Pag. 24che nei vari schieramenti politici abbiamo sempre pensato che la spinta più importante fosse quella di mettere il tema in discussione e di superarlo, perché potesse consentirci di avere un'assunzione solidale di responsabilità. Naturalmente, finché rimane Dublino, è chiaro che il Paese di prima accoglienza è il più esposto.
  Tuttavia, non per fare particolari sottolineature, mi serve soltanto farvi capire che in questo momento la discussione in Europa non va nella direzione auspicata da voi, ma in un'altra direzione. Va nella direzione in cui l'obbligatorio diventa volontario e i termini per accedere al volontario sono talmente elevati da non essere auspicati da alcun Paese di prima accoglienza.
  Vorrei che ci fosse questa consapevolezza. Vorrei che ci fosse questa consapevolezza perché consente di poter parlare agli italiani e, se mi è consentito, di essere credibili nel rapporto con gli italiani. Altrimenti la discussione diventa più difficile.
  Affronto le questioni principali. Poi sul resto mi consentirete di trasmettere le risposte con più calma. Ci si dice perché non pensiamo a gestire meglio gli accessi legali. È una questione non banale. Faccio un esempio. Il fatto, per esempio, che in alcuni Paesi concittadini del dato Paese possano gestire la richiesta d'asilo in rapporto con l'Europa non mi sembra un principio di drammatica illegalità. Mi sembra un principio di legalità.
  Il punto fondamentale è esattamente questo. Cosa c'è di scandaloso nel fatto che, per esempio, in relazione a un Paese i cui cittadini vogliono porre un problema, quello di avere lo status di rifugiato, il problema si possa affrontare con i cittadini che rimangono in quel Paese nella fase in cui viene fatta l'istruttoria? È la violazione di un principio di legalità? È la violazione di un principio di diritti umani? Io penso che non sia così. Detto questo, ragioniamoci.
  Posso aggiungere una cosa, tuttavia. Poiché penso che, in prospettiva, questo sia il meccanismo, noi abbiamo a che fare con uno squilibrio demografico del mondo. Questo è il punto cruciale. Lo squilibrio demografico del mondo non è correggibile con una legge, con tutto il rispetto che abbiamo per le leggi. Io sono un uomo di Governo e voi sapete che la legge per me è fondamentale e quindi rispetto la legge.
  È difficile chiedere al Ministro dell'interno di aggirare la legge. Il Ministro dell'interno applica la legge. Poi, naturalmente, se il Parlamento ritiene di doverla cambiare, la cambia e il Ministro dell'interno si adegua alla legge che è cambiata, ma, finché c'è quella legge, il Ministro dell'interno la applica.
  Detto questo, è evidente che di fronte a quello squilibrio demografico devo pensare a un progetto di spostamenti che siano regolari e regolati. Tuttavia, posso dire una cosa semplicissima, ossia che, se il nostro Paese vuole affrontare questo tema, deve affrontare la capacità di governo dei flussi illegali. Prima viene il governo dei flussi illegali e poi affrontiamo il secondo tema, perché è del tutto evidente che, se abbiamo un meccanismo in cui i flussi illegali sono «difficilmente governabili» e crescono, è difficile – lo dico sinceramente, rispetto alle questioni che mi avete posto, perché dobbiamo intenderci – poi trasferire il messaggio di un progetto complessivo.
  La mia idea è quella. Ho cercato di spiegarla nella maniera con la quale sono riuscito a farlo, sperando di essere convincente, ma voglio farlo trasmettendovi l'idea che ci metto passione e impegno. Se riusciamo a trasferire un messaggio che siamo capaci di governare i flussi illegali, è del tutto evidente che poi abbiamo un meccanismo che affronta il tema dei flussi legali.
  Non ne ho parlato qui perché non era questa Commissione, ne ho parlato ieri nella Commissione per i diritti umani. Noi abbiamo, al momento, piccoli progetti per quanto riguarda i corridoi umanitari, progetti che funzionano attraverso la cooperazione con la CEI, con Sant'Egidio, con la Tavola valdese e via elencando.
  Sono ancora piccoli progetti, che riguardano 1.500 persone, ma è del tutto evidente che, nel momento in cui affrontiamo l'ipotesi di non dico stroncare il traffico di uomini, ma di colpirlo seriamente, i corridoi umanitari possono essere significativamente accresciuti. Non c'è dubbio che il nostro Paese sia interessato ad affrontare il Pag. 25tema di coloro che scappano dalla guerra o dalle carestie. Tuttavia, dobbiamo governare un processo.
  Abbiamo sullo sfondo il problema degli equilibri democratici di un Paese. Di questo sono profondamente convinto. I temi sono quelli che voi avete posto. Se voglio affrontarli, devo affrontarli non soltanto intervenendo a valle, ma anche intervenendo leggermente a monte, se ci riesco. Questo è il senso di un percorso che ho proposto.
  Aggiungo due ultime questioni e concludo. Con la Tunisia quell'accordo non c'è. È stato smentito. Non c'è. Naturalmente, stiamo discutendo con la Tunisia. Con la Tunisia c'è un comitato bilaterale a livello delle forze di polizia, oltre ad un accordo firmato nel 2011. Questo comitato bilaterale sta affrontando innanzitutto un problema che ritengo cruciale, quello dell'abbattimento dei tempi per quanto riguarda le identificazioni. L'obiettivo è di portarle questi tempi a tre settimane. Se riuscissimo a portarli a tre settimane, sarebbe un miracolo per le autorità italiane e per le autorità libiche. Oggi siamo di fronte a tempi molto, molto più lunghi. È evidente che l'abbattimento dei tempi di identificazione consenta di affrontare in maniera più semplice tutte le questioni di cui abbiamo qui parlato.
  Quanto alla patologia, di cui voi avete parlato, del sistema dei grandi centri e alle questioni ad essa legate, tengo molto conto del vostro lavoro. Quando ci saranno le relazioni completate, mi consentirete di leggerle con attenzione. Leggerò quello che produrrete. Non ho poteri di previsione di quello che state producendo.
  Detto questo, seguirò il tema con molta attenzione. Ho già detto qual è l'indirizzo, ma vi ho informato di una questione che forse non è stata sufficientemente valutata. Io ho parlato di un contratto tipo totalmente nuovo, concordato con l'ANAC, che però riguarda il futuro. Lei mi consentirà, onorevole Carnevali, di comprendere che, per quanto mi riguarda, non posso riguardare anche il passato. Se lei vuole che faccia anche questo... Naturalmente per la Repubblica italiana io faccio tutto, se però lei mi dice che avrei dovuto vigilare anche sul passato, sinceramente penso che mi stia chiedendo una cosa al limite dell'impossibile. Io le sto dicendo quello che ho fatto.
  Scusi, non era in polemica. Stavo finendo soltanto di dire la mia opinione. Le sto dicendo questo. So soltanto questo: stiamo portando avanti un lavoro – uno può considerarlo positivo o non positivo – che, in un arco di tempo limitato, ha prodotto questi risultati. Li abbiamo prodotti in un arco di tempo limitato.
  Naturalmente, è giusto dire che ci vorrebbe di più. Colgo tutto il vostro come uno stimolo positivo. Tuttavia, il fatto che ci sia un contratto tipo naturalmente non sana d'emblée tutto quello che c'è stato nel passato, se c'è stato nel passato – poi leggerò il lavoro delle Commissioni di inchiesta – ma ci pone una questione, ossia che costruiamo un meccanismo nel futuro.
  Vorrei trasmettervi un messaggio: il tema del nuovo contratto tipo è un tema non semplicissimo anche nella sua realizzazione, perché il profilo che ci siamo dati (no al gestore unico, sì alla tracciabilità, sì ai poteri ispettivi) sarà una cosa che metterà il Ministero dell'interno di fronte a una sfida particolarmente complicata. Metterà le prefetture di fronte a una sfida particolarmente complicata. Ho chiesto ai prefetti di metterci tutto il massimo di impegno, perché naturalmente è chiaro che un contratto con queste caratteristiche sia molto più impegnativo delle procedure del passato, per ovvie ragioni.
  Infine, aggiungo due ultime considerazioni e poi mi taccio. La prima è questa: i numeri dei centri permanenti per i rimpatri sono sufficienti? A mio avviso, sì. Sono sufficienti perché – insisto – non sono quell'altra cosa, non sono i CIE. Capisco che si voglia mantenere un elemento di ambiguità nella formulazione, ma, per quanto mi riguarda, non sono quello. A me servono in un processo in cui si definiscano rapidamente le procedure per chi ha diritto o non ha diritto all'asilo, mi servono con tempi ravvicinati per quanto riguarda le identificazioni e mi servono perché vorrei che funzionasse la politica dei rimpatri. Pag. 26
  Questi non sono centri permanenti per rimanere in Italia e soprattutto non sono centri che riguardano, in generale, tutti gli irregolari, altrimenti i numeri sarebbero ben diversi. Su questo dobbiamo intenderci. È evidente che in quest'ambito c'è un profilo che riguarda la sicurezza. Se ho davanti una persona che, nel momento in cui aspettava e ha aspettato, poiché i tempi sono lunghi, si è radicalizzata e comincia a diventare potenzialmente un problema, che faccio? Le faccio un foglio di via?
  Il foglio di via è un provvedimento per cui io consegno a un soggetto un documento e lui se ne va. Dove va non lo sappiamo. Sappiamo soltanto, per esempio, che questa è la storia che ha seguito Amri, quando ha lasciato il nostro Paese: per una richiesta di identificazione alla Tunisia che non ha avuto risposta in tempi adeguati, Amri ha avuto il foglio di via, ha lasciato il nostro Paese ed è andato in Germania.
  Voi sapete il percorso che ha compiuto Amri il 23 dicembre, prima di arrivare in Italia. Se non lo sapete, consentitemi rapidamente di poterlo ricostruire: ha compiuto l'attentato a Berlino, è andato ad Amsterdam, da Amsterdam è andato a Bruxelles, da Bruxelles è andato a Parigi, da Parigi è andato a Lione, da Lione è andato a Torino, da Torino è andato a Milano e da Milano è andato a Sesto San Giovanni.
  Non ci siamo ancora con l'esternalizzazione delle frontiere. Penso che ci sia un problema un po’ diverso in questo momento, cioè quello delle frontiere dell'Unione europea. Se vogliamo tutelare Schengen – e io sono uno di quelli che considerano Schengen un elemento fondamentale – dobbiamo rafforzare le frontiere esterne dell'Unione europea, non esternalizzarle. È esattamente l'opposto.
  Ho richiamato quella vicenda per dirvi che mi riferisco a quel tipo di percorso. Quello è un dovere che mi riguarda. Nel momento in cui è successo quel fatto e una pattuglia della volante ha fermato Amri, è chiaro che il compito del Ministro dell'interno – vorrei che su questo ci intendessimo fino in fondo – non è quello di garantire che un fatto di quel tipo non possa mai più ripetersi, perché nessuno di noi, purtroppo, può garantirlo. Il compito del Ministro dell'interno è di far sì che le possibilità che si ripeta diminuiscano drasticamente.
  Io ho un dovere nel rapporto con il popolo italiano. Vorrei trasmettervi questo, che è il mio profondo convincimento. Da questo punto di vista ho un dovere, sul quale intendo mettere tutto il mio impegno. Poi ce la possiamo fare, non ce la possiamo fare, è evidente che tutto questo ha un margine di alea che nessuno può cancellare.
  In che tempi ci sarà l'applicazione dell'accordo in Libia? Ci auguriamo che possa essere implementato il più rapidamente possibile, nel rispetto dell'accordo e dei diritti umani.
  Un tema posto dall'onorevole Carnevali riguarda le frontiere terrestri. Ha posto un problema, e il problema è esattamente questo. Noi ci troviamo di fronte a una condizione, che è stata anche ripresa, in cui abbiamo una grande capacità di accoglienza. Abbiamo una grande capacità di accoglienza nel Mediterraneo centrale e abbiamo anche una grande capacità di accoglienza per Paesi che sono in Europa.
  Qualcuno ha citato delle cifre. Sono cifre impegnative. Vorrei che avessimo chiaro questo punto. Qual è la mia valutazione? Se riusciamo a dimostrare di essere un Paese in grado di governare i flussi, se dimostriamo di essere in grado di governare il fenomeno e di avere insieme severità e accoglienza, abbiamo anche la capacità di parlare con più forza nel rapporto con i nostri partner europei.
  Considero questo un punto cruciale, perché alcuni numeri citati qui sono obiettivamente numeri che non corrispondono ai fatti. I numeri citati dall'onorevole Fontana sono numeri che hanno bisogno di un approfondimento di indagine, per chi vuole farla; ce l'ho già chiaro. Dobbiamo avere un meccanismo che ci consenta di avere un tipo di rapporto che abbia queste caratteristiche.
  Analoga questione hanno posto l'onorevole Gadda e l'onorevole Moretto. La risposta all'onorevole Moretto, se mi consente, stava anche nella linea di costruzione Pag. 27 dei contratti tipo. È chiaro che quel tipo di percorso ci consente di evitare quel tipo di affollamento di cui lei parlava.
  Non è un caso che nella mia relazione abbia insistito moltissimo su quel percorso, ossia accoglienza diffusa e superamento progressivo dei grandi centri. So perfettamente che quello è un punto di criticità sul quale dobbiamo lavorare. Se poi mi chiedete – lo dico anche a tutti coloro che sono intervenuti – di poterlo fare con la bacchetta magica, purtroppo non ce l'ho. Se mi date un po’ di tempo, ci attrezziamo anche per la bacchetta magica. Tuttavia, non ce l'ho.
  È un percorso. Abbiamo scelto con nettezza una strada. In merito vorrei trasmettervi un messaggio molto chiaro e molto netto dal mio punto di vista: quella strada tenterò di portarla a compimento e mi auguro di poterlo fare in un rapporto con il Parlamento ed anche con questa Commissione, senza che nessuno venga meno ai propri compiti – ai compiti di inchiesta della Commissione, ai compiti dell'opposizione, che comprendo perfettamente, ai compiti della maggioranza – comprendendo che in questo quadro anche l'intervento più critico, anche la spinta più critica, per quanto mi riguarda, rafforza un punto di vista, se la critica è una «critica» che ha l'obiettivo di costruire un migliore approccio del nostro Paese verso questo fenomeno.
  Non ho dubbio alcuno che negli interventi che ho sentito qui questo approccio ci fosse ed è per questo che vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il signor Ministro. Voglio ricordarle, signor Ministro, che la questione del CARA di Mineo è una questione che abbiamo segnalato trasversalmente a tutte le forze politiche e che la nostra particolare attenzione a questo tema è esemplificativa dell'argomento che lei ha, giustamente, sottolineato dei grandi centri. Proprio su questo argomento, a breve saremo in grado di fornire la relazione al Parlamento.
  La ringrazio nuovamente per il tempo che ci ha dedicato. Ci riscontriamo presto per gli impegni che abbiamo preso reciprocamente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15.