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Resoconti stenografici delle audizioni

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere

Resoconto stenografico



Seduta n. 192 di Mercoledì 1 marzo 2017

INDICE

Comunicazioni della presidente e deliberazioni in materia di atti di inchiesta:
Bindi Rosy , Presidente ... 3  ... 3 

(La seduta, sospesa alle 14.25, riprende alle 14.30) ... 3 

Pubblicità dei lavori:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 

Audizione del professore Isaia Sales e del professore Enzo Ciconte:
Bindi Rosy , Presidente ... 3 
Sales Isaia  ... 3 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Ciconte Enzo  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Sales Isaia  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Ciconte Enzo  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Manfredi Massimiliano (PD)  ... 7 
Fava Claudio (MDP)  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 7 
Sales Isaia  ... 7 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Sales Isaia  ... 8 
Bindi Rosy , Presidente ... 8 
Ciconte Enzo  ... 8 
D'Uva Francesco (M5S)  ... 11 
Ciconte Enzo  ... 11 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Ciconte Enzo  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Ciconte Enzo  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 12 
Ciconte Enzo  ... 12 
Bindi Rosy , Presidente ... 13 
Ciconte Enzo  ... 13 
Bindi Rosy , Presidente ... 14 
Mattiello Davide (PD)  ... 14 
Ciconte Enzo  ... 14 
Giarrusso Mario Michele  ... 15 
Ciconte Enzo  ... 15 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 
Ciconte Enzo  ... 16 
Bindi Rosy , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Richieste di rettifica, relative alle sedute del 18, 24 e 25 gennaio 2017, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del regolamento interno della Commissione ... 17

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
ROSY BINDI

  La seduta comincia alle 14.05.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Comunicazioni della presidente e deliberazioni in materia di atti di inchiesta.

  PRESIDENTE. Propongo di passare in seduta segreta.

  (Così rimane stabilito. I lavori procedono in seduta segreta, indi riprendono in seduta pubblica).

  PRESIDENTE. Comunico che la Commissione ha approvato all'unanimità le proposte di deliberazioni in materia di atti di inchiesta.
  Avverto inoltre che la Commissione ha esaminato, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, del regolamento interno, le richieste di rettifica ai resoconti stenografici delle audizioni a testimonianza svolte nelle sedute del 18, 24 e 25 gennaio 2017, deliberando di confermare il testo dei resoconti stenografici delle deposizioni e di dare comunque conto, mediante allegati al resoconto stenografico della seduta odierna, delle richieste di rettifica pervenute.
  Sospendo ora la seduta, che riprenderà con l'audizione dei professori Sales e Ciconte.

  La seduta, sospesa alle 14.25, riprende alle 14.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professore Isaia Sales e del professore Enzo Ciconte.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Isaia Sales e del professor Enzo Ciconte. L'audizione odierna ha come oggetto il tema del rapporto tra mafie e massoneria.
  Aggiungo che, per quanto riguarda il professor Ciconte, potremmo approfittare della sua presenza anche per il tema dell'antimafia in Calabria. Abbiamo già sentito il professor Sales sull'argomento per quanto riguarda la Campania, in relazione a camorra, ma anche ’ndrangheta e fenomeni antimafia. Comunque il tema di oggi è mafie e massoneria.
  Ricordo che la seduta odierna si svolge nelle forme dell'audizione libera e che, ove necessario, i lavori potranno proseguire in forma segreta.
  Ringrazio sia il professor Sales, sia il professor Ciconte per la loro disponibilità, ma anche per il lavoro che stanno svolgendo da anni al servizio della comune lotta alle mafie e do la parola al professor Sales.

  ISAIA SALES. Grazie. Il tema massoneria e mafie si incontra immediatamente alla nascita dei fenomeni mafiosi, nel senso che è la massoneria a fornire il modello organizzativo delle mafie. Ciò non vuol dire che all'epoca ci fossero dei coinvolgimenti diretti. Vuol dire semplicemente che le mafie nascono nelle carceri – la prima organizzazione mafiosa è la camorra; il primo statuto della camorra è del 1842 – a ridosso Pag. 4 della presenza di società segrete e di strutture segrete nei vari Stati preunitari.
  La massoneria entra al seguito delle truppe francesi nel Regno delle Due Sicilie. La camorra nasce all'inizio dell'Ottocento. Rispetto alle altre forme criminali urbane, presenti anche nelle grandi città europee, in maniera particolare a Parigi e a Londra, mentre le classi pericolose lì si organizzano intorno ai mendicanti e non hanno una struttura organizzata ritualizzata, la novità delle mafie è che esse prendono il modello organizzativo delle classi dirigenti. Si può parlare di mafie «scimmie» delle classi dirigenti.
  Si copiano le classi dirigenti per due motivi (questa è anche la ragione del successo storico delle mafie). Il primo motivo è quello di idealizzare la violenza, anzi di nobilitare la violenza. Il problema delle mafie è dimostrare che i propri rappresentanti non hanno niente a che fare con la delinquenza e con il crimine, ma sono ragioni superiori che li spingono verso il crimine. Il crimine deve essere giustificato, deve essere nobilitato e, da questo punto di vista, si segue il modello organizzativo delle sette segrete, che attribuiscono alla violenza un valore ideale. La violenza serve per contrapporsi ai poteri assolutistici presenti nell'Italia preunitaria. Le mafie fanno la stessa operazione: la loro violenza non è una violenza criminale, non è una violenza delinquenziale, ma è una violenza d'onore, una violenza che segue una strategia, una violenza che segue un ideale.
  L'idealizzazione della violenza è l'operazione che le mafie fanno a ridosso dell'idealizzazione della violenza delle sette segrete. Da questo punto di vista sono impressionanti le prime parole dello statuto della camorra napoletana. Ve le leggo, perché sembra la massoneria: «La Società dell'Umiltà – è del 1842 – o Bella Società Riformata ha per scopo di riunire tutti quei compagni che hanno cuore, allo scopo di potersi, in circostanze speciali, aiutare sia moralmente che materialmente».
  Questa è la prima parte dello statuto della camorra napoletana, in cui lo scopo della setta segreta è di mettere insieme persone che hanno cuore e di aiutarsi reciprocamente. Quindi, il carattere solidaristico e mutualistico delle organizzazioni criminali nasce sul modello delle società carbonare e delle società massoniche.
  Tant'è vero che il primo libro sulla camorra del 1863 di Marc Monnier dice che «la camorra è la massoneria della plebe». La definisce esattamente in questo modo nel 1863. Si incontrano nelle carceri. Nelle carceri vengono rinchiusi gli oppositori del regime e i criminali. I camorristi, per ragioni di numero, sono di più, comandano nelle carceri e si rendono conto che, per contare, bisogna anche qui mettere in essere lo stesso modello, quello di idealizzare la violenza, ma anche quello di organizzare le influenze.
  La cosa fondamentale per dei settori che vengono dalle classi basse della società – all'inizio mafiosi, camorristi e ’ndranghetisti vengono da lì – è superare la soglia di classe. La cosa importante è non lasciarsi confinare nella loro classe sociale. Pertanto, la cosa fondamentale per le mafie è impratichirsi delle relazioni.
  Da questo punto di vista, per stabilire delle relazioni, loro debbono dare la certezza che quelle relazioni restino segrete. È la segretezza ciò che unisce le due modalità, perché la segretezza diventa potere. Il segreto non è uno sfizio. Il segreto è un'identità delle stesse organizzazioni. Chi è in grado di mantenere un segreto è in grado di sostenere tutte le relazioni, comprese quelle relazioni con altre classi sociali che è opportuno tenere segrete e non far sapere.
  Sul concetto di segretezza gli storici si sono divisi. Per esempio, voi sapete che la parola «omertà» è una parola che ha dato spunto a diverse supposizioni. Ce n'è una, che poi storicamente si è dimostrata non veritiera, che fa capo addirittura al famoso antropologo siciliano Giuseppe Pitrè. Giuseppe Pitrè viene ascoltato come testimone nel processo Notarbartolo.
  È stato ammazzato l'ex sindaco di Palermo ed ex direttore del Banco di Sicilia e viene accusato di essere il mandante un parlamentare giolittiano che si chiama Palizzolo. Questi vuole dimostrare con tutti i mezzi a sua disposizione che lui non può essere il mandante mafioso di un delitto di mafia, perché la mafia non esiste. Quindi, Pag. 5chiama a sua difesa diversi personaggi importanti della Sicilia a testimoniare, tra cui Pitré.
  Pitré dà una spiegazione della parola omertà che poi diventa spiegazione comune, ma che non ha alcun fondamento storico. Secondo Pitrè, «omertà» deriverebbe da «ominità», ossia da «mostrarsi ed essere uomo». È uomo colui che non parla, è uomo colui che sa farsi giustizia da solo e non ricorre alla giustizia ufficiale.
  Invece «omertà» viene dal napoletano e viene da «umiltà», perché la camorra si chiamava Bella Società Riformata o Società dell'Umirtà, con la R, perché in napoletano la L viene trasformata in R. Umiltà vuol dire umiltà perché l'onore delle classi alte consiste nel guadagnare senza faticare, alla spagnola. Questo è il concetto di onore che molti delinquenti assumono. È onorevole, onorabile e onorato colui che prende le ricchezze senza faticare e colui che riesce a farsi ubbidire. Colui che è in grado di farsi ubbidire è una persona d'onore.
  Pertanto, l'obbedienza è una virtù che viene presa direttamente dalle sette segrete. Le sette segrete non hanno senso se non c'è l'obbedienza e soprattutto se non c'è il vincolo della segretezza, che si ottiene attraverso il vincolo dell'obbedienza.
  Altri fatti che fanno somigliare le mafie, all'inizio, alle sette segrete carbonare e massoniche riguardano l'uso del termine «fratellanza». Le prime associazioni mafiose in Sicilia non si chiameranno «mafia», né tantomeno «cosa nostra», ma «fratellanze» e una delle prime prevede anche il pagamento di una quota. La quota serve a mantenere la setta, soprattutto quando alcuni dei membri finiscono in galera.
  Questa mutualità che troviamo nelle mafie odierne attraverso un particolare stato sociale che loro hanno inventato deriva da questa mutualità, che inizialmente era una mutualità delle sette segrete. Poi, naturalmente, su questo il maestro Enzo Ciconte vi dirà di più. Una delle cose che mi ha colpito di più nel giuramento della ’ndrangheta è il meccanismo della domanda e della risposta: io faccio una domanda per dimostrare che tu, che vuoi entrare, sei preparato e sai quali sono le risposte che devi dare. Il meccanismo della domanda e della risposta è tipico della ’ndrangheta, più che della stessa mafia e della camorra napoletana, ed è esattamente preso dal giuramento delle società segrete carbonare e massoniche.
  Quindi, fratellanza, obbedienza, società minore e società maggiore, affiliazione per gradi. In tutte e tre le organizzazioni esistono tre gradi di affiliazione, come nelle società massoniche esistono tre gradi, se non di più, per quello che si sa, di affiliazione. Inizialmente le mafie e le organizzazioni mafiose condividono il modello organizzativo, la segretezza e la possibilità di stabilire relazioni attraverso la segretezza. L'obbedienza è un meccanismo strettamente legato alla segretezza.
  Da questo non possiamo trarre il convincimento che esista fin dall'inizio una cointeressenza. Esiste lo stesso modello organizzativo. Lungo la storia questo particolare modo di gestire il potere è un elemento che va analizzato, perché la massoneria sembra condividere una determinata opacità del potere e una determinata segretezza del potere e il convincimento che il potere, più è segreto, più è potere e che un potere manifesto è meno potere del potere segreto. Da questo punto di vista la mafia e la ’ndrangheta, più della stessa camorra, hanno delle fortissime affinità. C'è una lunga tradizione in Italia della gestione opaca del potere. Il potere, più è nascosto, più è potere. Più è evidente, meno è potere.
  In che cosa poi – ripeto, non stiamo parlando di certezze giudiziarie, ma di un'ipotesi di modello – ancora di più i due modelli organizzativi si somigliano? Nella economia delle influenze. La mafia o le mafie sono lobby di amicizia, lobby di influenza, lobby di relazioni. La loro principale forza è nello stabilire relazioni.
  Quando poi la ’ndrangheta, all'inizio degli anni Sessanta, si troverà in una certa difficoltà, farà proprio questo, cioè inventerà addirittura un diverso modello organizzativo, ma le altre due organizzazioni criminali riescono sempre a mantenere relazioni con coloro che hanno una gestione opaca del potere. Che si chiamino massoneria o in altro modo, c'è una fortissima Pag. 6dimestichezza di criminali con la gestione dei poteri opachi.
  Da questo punto di vista ci sono tre elementi che fanno riflettere. Il primo elemento è che nell'Italia liberale la regione che ha il maggior numero di logge massoniche è la Sicilia. La Calabria ha il primato di aver fondato le prime logge massoniche. Nella contemporaneità abbiamo il caso più clamoroso, che ha riguardato la camorra napoletana, cioè la gestione dei rifiuti, che è direttamente gestita con una parte della massoneria.
  Chi di voi ha voglia di andare a leggere atti di questo Parlamento può trovare la relazione sui rifiuti del 1995 e l'audizione del procuratore Agostino Cordova, che ebbe la fortuna, in quell'epoca storica, di essere a cavallo tra l'incarico in Calabria e l'incarico a Napoli. Cordova parla apertamente di coinvolgimento pieno della loggia massonica P2 nell'organizzazione dei rifiuti.
  In quella vicenda ciò che colpisce non è una specializzazione della camorra per quell'attività. La camorra non aveva alcuna specializzazione nell'attività dei rifiuti. È il mettersi al servizio di un'esigenza, il fungere da agenzia di servizi per poteri consistenti. Il meccanismo verrà attivato da Gelli con un rapporto con la massoneria toscana, con una parte della massoneria ligure, con faccendieri di altre parti d'Italia e con una parte di aderenti alla massoneria in Campania, in maniera particolare Cerci e Chianese.
  Come vedete, nello scandalo che porta più lontano la camorra dalla propria storia troviamo una committenza. Troviamo chi ha chiesto quei servizi. Non abbiamo la costituzione di una struttura ad hoc, come avviene per la ’ndrangheta calabrese, ma abbiamo delle relazioni.
  In conclusione, tutta la storia delle tre mafie ci dice questo, ossia che esse hanno copiato un modello. Se copiano un modello, è perché pensano che quel modello sia adatto alle loro esigenze. Che lungo la storia si siano incrociati piuttosto che avere una relazione permanente è fuori dubbio. Parliamo di incroci, non di un rapporto permanente per tutta la storia. È evidente, però, che nei crocevia illegali che la storia italiana ci ha consegnato stanno a loro agio sia alcune modalità di funzionare della massoneria, sia alcune modalità di funzionare della criminalità.
  Quello che condividono, oltre al modello organizzativo, sono le relazioni. Dobbiamo convincerci che i poteri criminali non si muovono a distanza dai poteri legali, non si muovono lontani, e dobbiamo anche sapere che i poteri criminali non hanno il monopolio delle attività illegali. Dobbiamo convincerci di questo, cioè che siamo in un'epoca post-criminale, in cui i modelli criminali possono essere usati, e vengono usati, anche da parte delle classi dirigenti e che è una favola che le mafie abbiano il monopolio di tutte le attività illegali. Sono solo una parte, una parte violenta, una parte consistente dei poteri illegali.
  Quando c'è necessità che più poteri illegali si uniscano per dei fini strategici, che possono essere un traffico o una protezione, i crocevia si trovano. Negli incroci dell'illegalità in Italia troviamo sempre coloro che fanno della segretezza una loro identità. Li troviamo sempre. È la segretezza che in qualche modo pone – ripeto – il problema del potere. In una società di massa, in una società di apparenza, qualcuno ritiene che il vero potere sia anche quello di apparire di meno e contare di più. Forse c'è un fascino ancora superiore, quello di essere un oscuro contadino siciliano e avere il potere di comandare migliaia e migliaia di persone, o quello di non sapere chi si è, ma avere un potere straordinario nel tessere le fila e le reti dell'illegalità in Italia.
  Un'ultima cosa è questa: le logge massoniche hanno il vantaggio di riunire in un solo momento e in un solo luogo persone portatrici di interessi. Poter incontrare persone che fanno parte delle logge massoniche dietro totale copertura è una fortuna straordinaria per chi va alla ricerca di legittimazione o di potere. Se nello stesso posto si possono incontrare un magistrato, un avvocato, un notaio, un commercialista, uno che è in legame con la Chiesa, è un vantaggio straordinario. Da questo punto di vista bisogna riflettere se a organizzazioni segrete non si debba rispondere in qualche modo limitando la segretezza nella gestione del potere, di qualsiasi potere.

Pag. 7

  PRESIDENTE. Grazie. Direi che il professor Ciconte può iniziare la sua illustrazione. Poi facciamo insieme il dibattito. Sono le 15. Ha un quarto d'ora. Ci vuole più tempo?

  ENZO CICONTE. Secondo me, sì.

  PRESIDENTE. Allora vogliamo iniziare o interloquiamo con il professor Sales?

  ISAIA SALES. La presidente sperava in una maggiore...

  PRESIDENTE. No, introduciamo il tema Calabria, professor Ciconte. Anche se tardate un quarto d'ora...

  ENZO CICONTE. Io continuo, poi vado quando devo andare. Se vogliono fare qualche domanda al collega, forse è meglio.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MASSIMILIANO MANFREDI. Volevo soltanto approfittare della presenza del professor Sales per chiedergli una cosa. Nella sua esposizione, come ha fatto anche nei libri, ha analizzato il fenomeno della camorra anche dal punto di vista sociale. Anche adesso ce ne ha dato uno spaccato. Per chi ha letto i suoi libri sono cose note. Già in La camorra le camorre, il primo libro su cui molti di noi si sono formati, c'era quest'analisi.
  Volevo soltanto chiedere al professore una semplice osservazione su questo fatto: lei pensa che la politica attuale, quindi la politica nelle sue forme e nelle sue classi dirigenti, a prescindere dalle parti, sia più debole rispetto alla possibilità dell'infiltrazione oggi o dieci o vent'anni fa, ai tempi del 1995?

  CLAUDIO FAVA. Ho una domanda molto specifica. La legge Anselmi spesso viene citata non a proposito, perché la legge Anselmi non importa divieti e sanzioni, ma introduce un tema, che è quello dell'incompatibilità. Volevo una valutazione dal professor Sales sul tema dell'incompatibilità, che a noi è stato sollevato da altri nostri auditi, in particolare da alcuni magistrati.
  Vorrei la vostra opinione sull'opportunità e, per alcuni, sull'urgenza di definire per via legislativa un'incompatibilità tra la funzione di magistrato, l'assunzione di funzioni o incarichi all'interno della struttura delle forze dell'ordine e di polizia giudiziaria e nei ranghi militari e la partecipazione ad associazioni massoniche o assimilate alla filosofia e alle regole della massoneria. Per «regole» intendo soprattutto le due regole costituenti che sono vincoli di obbedienza e riservatezza, che confliggono con le forme di obbedienza dovute alle leggi della Repubblica e di riservatezza, le quali, invece, non dovrebbero incontrare alcun ostacolo per i magistrati o per il lavoro delle forze dell'ordine. Qual è la sua e la vostra opinione su un tema che è stato più volte sollevato davanti a questa Commissione?

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Sales per la replica.

  ISAIA SALES. È difficile dirlo, onorevole Manfredi. Si ha sempre l'impressione che i tempi andati fossero tempi nei quali i rapporti sembravano più stretti. Poi si guardano determinate inchieste della magistratura e ci si convince che non è così.
  In genere, la teoria che le mafie abbiano meno rapporti con la politica è dovuta al traffico di cui si occupano in maniera maggioritaria oggi, cioè il traffico della droga. Si dice che una maggiore forza economica delle mafie abbia reso i rapporti con la politica e con il territorio meno forti. Questa teoria non ha fondamento. Non ha fondamento perché nessuna mafia che comincia un'attività economica forte anche in campo legale lascia l'attività illegale.
  In linea di massima, i mafiosi sono più bravi nelle attività illegali che in quelle legali. Quindi, se lasciassero le attività illegali, sarebbero esposti a una concorrenza, per far fronte alla quale dovrebbero usare la violenza e, a quel punto, non potrebbero stare più su quel mercato. La maggiore forza economica non ha né deterritorializzato, né depoliticizzato le mafie. Pag. 8
  C'è una novità che dovrebbe far riflettere. In genere, pensiamo che le mafie facciano estorsione e prendano i soldi. Nel rapporto con la politica e con l'amministrazione negli ultimi anni c'è un caso particolare che dovrebbe far riflettere: le mafie pagano, non si fanno pagare. L'ordinamento corruttivo è più forte dell'ordinamento estorsivo. Nell'ordinamento estorsivo le mafie si fanno pagare, nell'ordinamento corruttivo le mafie pagano.
  Basterebbe già questo per farci intendere come il rapporto con la politica e la pubblica amministrazione andrebbe valutato attentamente. Siamo di fronte a situazioni nelle quali in alcuni luoghi questo rapporto sembra meno forte e in altri sembra più forte. Sono cicli, ma, data l'essenza delle mafie, che si muovono attorno anche quando fanno il traffico di droga per reinvestire sull'economia protetta e sull'economia politica amministrativa, tutti i settori di influenza delle mafie hanno a che fare con la politica, con l'autorizzazione o col circuito politico-economico.
  Da questo punto di vista è difficile dire che oggi le relazioni siano meno forti o che, in ogni caso, siamo di fronte a una fase del tutto diversa. Cambia da territorio a territorio, ma in linea di massima risponderei di no.
  Per quanto riguarda la domanda dell'onorevole Fava, in genere applichiamo la teoria di Santi Romano degli ordinamenti giuridici. La teoria degli ordinamenti giuridici ci dice che non è lo Stato l'unico coordinatore o l'unico punto di riferimento. Ci sono alcune modalità di essere che presuppongono una doppia fedeltà, o una fedeltà primaria rispetto a una fedeltà secondaria, mettiamola così. Per esempio, le mafie sono più fedeli alla loro organizzazione che alla loro stessa famiglia.

  PRESIDENTE. A meno che non coincidano con la famiglia.

  ISAIA SALES. Esatto. Nella ’ndrangheta questo succede di più.
  In linea di massima, chi è sottoposto a una doppia fedeltà, chi milita in organizzazioni che presuppongono una fedeltà al punto da dover tenere segreti i membri, non offre alcuna fiducia e alcuna garanzia. Dovremmo avere un solo ordinamento e dovremmo avere rispetto per un solo ordinamento. Nella storia è ben strano che tantissimi magistrati abbiano aderito alla massoneria. Ci sono tantissimi processi in cui si è dimostrato che l'impunità di molti mafiosi veniva garantita attraverso questi rapporti.
  La segretezza in un'organizzazione in cui viene imposta è qualcosa che non offre alcuna fiducia. Certo, può diventare un rito particolare. I membri si possono divertire e possono condividere tantissime cose, però, se uomini delle Istituzioni hanno un obbligo di segretezza per coloro che frequentano e per le cose che dicono, non offrono alcuna fiducia sull'appartenenza all'ordinamento statuale e alla fedeltà all'ordinamento statuale. Se anche dovesse venire il sospetto di una doppia fedeltà, già questo sarebbe motivo...
  Io non ritengo che la massoneria sia un'organizzazione a delinquere, ci mancherebbe. Ritengo, però, che, se un'organizzazione chiede il vincolo della segretezza ai propri membri, a quell'organizzazione non possano aderire altri che abbiano un vincolo istituzionale di fedeltà.

  PRESIDENTE. Quanto meno lo devono rendere pubblico.

  ENZO CICONTE. Vi chiedo scusa, ma c'è un altro ordinamento che non richiede vincolo di segretezza. Volevo solo aggiungere sull'ultima domanda che sono totalmente d'accordo con Isaia Sales. Rispetto alla domanda dell'onorevole Fava non aggiungo altro. Mi pare che siamo d'accordo.
  Invece parlerei, presidente, se lei è d'accordo, della questione per la quale sono stato convocato. Anche qui, senza ripercorrere tutte le questioni dell'Ottocento che ricordava il professor Sales, sulle quali sono d'accordo – lui ha descritto un po’ i rapporti che ci sono stati storicamente tra le varie organizzazioni – aggiungerei solo una considerazione.
  Mi veniva in mente il fatto che un patriota italiano molto noto, Luigi Settembrini, ricordò come, durante la comune Pag. 9detenzione tra i massoni, i patrioti e i camorristi, essi inventarono una lingua molto particolare e molto oscura, in modo tale che nessuno dei loro carcerieri, quindi delle guardie, potesse capire che cosa si dicevano. Quello è un altro caso di trasposizione dalla massoneria all'organizzazione camorristica nelle carceri di elementi importanti. C'è stato un travaso.
  Se, però, vogliamo capire le cose, dobbiamo storicizzarle. La massoneria del tempo non è la massoneria che abbiamo di fronte oggi. Non è la massoneria cui si è fatto riferimento prima per quanto riguarda la P2. È tutta un'altra storia. La stessa camorra non aveva la valenza che avrebbe acquisito successivamente nel corso del tempo.
  Lo dico semplicemente per fare una sottolineatura storica, non per altri motivi. Invece vorrei concentrare il mio intervento su una questione più recente, ma che credo possa essere di interesse per la Commissione antimafia, partendo da una considerazione: in Calabria c'è un altissimo tasso di aderenti alla massoneria. Sales prima diceva che il numero più elevato di logge è riscontrabile in Sicilia, ma io sono altrettanto convinto del fatto che nel rapporto tra popolazione e logge massoniche la Calabria batta tutti, compresa la stessa Toscana.
  Perché? Perché lì storicamente la massoneria ha giocato un ruolo positivo durante il periodo risorgimentale. La questione della segretezza è poi continuata nel tempo. Quindi, c'è una ragione storica. Non devo, naturalmente, dire a voi che in Calabria oggi c'è l'organizzazione criminale più forte, più robusta e più radicata in Italia e nel mondo. Queste due questioni oggi convivono tranquillamente nella mia terra, essendo io calabrese.
  Perché c'è stata questa commistione e ci sono questi rapporti tra la ’ndrangheta e le logge deviate? Parlo di logge deviate per una ragione molto semplice, perché quelle deviate hanno una propensione maggiore, per ovvie ragioni, alla commistione con affari e comparti criminali e, quindi, a rapporti molto forti con la ’ndrangheta calabrese.
  C'è una domanda che spesso mi sento fare: chi ha iniziato il rapporto, chi l'ha richiesto, la massoneria o la ’ndrangheta? Una prima risposta che mi viene facile è che la Calabria non è Roma, non è Milano e non è neanche Palermo. Non ci sono grandi città. Lì davvero ci si conosce tutti ed è facile nei circoli, nelle piazze e in molti luoghi di incontro avere questa possibilità di rapporti tra uomini di ’ndrangheta e uomini della massoneria. Forse capiremmo – e capiamo – di più se allargassimo il quadro e lo spostassimo anche nei confronti della Sicilia.
  Perché? Perché, se mettiamo insieme alcune cose, forse comprendiamo meglio il tipo di rapporto che c'è stato. Mi riferisco a quello che è successo in modo particolare all'inizio della metà degli anni Settanta, quando c'è stato un rapporto molto stretto e molto forte tra la ’ndrangheta e la massoneria, che ha riguardato sia la ’ndrangheta, sia cosa nostra.
  Dobbiamo riportarci a quegli anni, cioè al fatto che siamo agli anni di avvio di quella che venne chiamata la strategia della tensione (Piazza Fontana, 12 dicembre 1969 e i «boia chi molla» a Reggio Calabria, 1970). Perché è importante questo periodo? Perché, naturalmente, dopo i grandi movimenti studenteschi e operai del 1969-70 c'è qualcuno che pensa che l'asse politico italiano si stia spostando nettamente sulla sinistra e, quindi, corre ai ripari per cercare di riequilibrare questo spostamento a sinistra. Lo fanno come sanno fare loro, cioè con quella che poi è venuta definendosi come strategia della tensione.
  La cosa è importante, perché in Calabria avviene un episodio molto particolare, relativo al golpe Borghese, quando sia la ’ndrangheta, sia cosa nostra, entrambe le organizzazioni mafiose, vengono chiamate a partecipare al golpe Borghese, con una differenza sostanziale: mentre i siciliani devono trattare la partecipazione al golpe Borghese e, quindi, si mettono a trattare – vari collaboratori di giustizia hanno dichiarato questo – nella ’ndrangheta non c'è bisogno di alcuna trattativa, perché ci sono alcune ’ndrine che sono ideologicamente fasciste, proprio dal punto di vista ideologico. Per questo motivo non c'era bisogno di alcuna trattativa. Pag. 10
  La questione si rende visibile quando una riunione, quella classica annuale della ’ndrangheta, viene spostata dall'inizio di settembre, in coincidenza con le festività della Madonna di Polsi, all'ottobre di quell'anno. Perché? Perché nella ’ndrangheta c'era una discussione se spostare o meno sulla destra eversiva tutta l'organizzazione. A spingere in questa direzione erano i De Stefano e i Nirta.
  Si trattava di una situazione molto complicata e molto delicata. Il giorno prima di questa riunione a Polsi c'era stato il comizio di Junio Valerio Borghese. L'indomani questa riunione a Polsi viene interrotta dalla polizia.
  Perché la polizia interviene? Perché l'allora questore di Reggio Calabria incontra uno dei capi della ’ndrangheta calabrese, don Mico Tripodo. C'era una nobildonna reggina che fece da tramite tra i due. Si incontrano e Mico Tripodo spiega al questore Santillo che l'indomani ci sarebbe stata questa riunione e che, quindi, forse era il caso di non farla arrivare fino alla fine. Infatti, don Mico Tripodo non partecipa a quella riunione.
  C'è un piccolo particolare: don Mico Tripodo all'epoca era latitante. Si incontrano due potenze, lo Stato e la ’ndrangheta. Era evidente nella vicenda, ma sarà evidente anche in altre vicende, che i capi bastone della ’ndrangheta calabrese fossero di fatto confidenti della polizia.
  Non è una notazione secondaria. Poi vedremo perché è importante questo aspetto. La riunione naturalmente salta, non si fa, lo spostamento a destra non avviene e la ’ndrangheta riprende il tran-tran abituale, come prima.
  La questione qual è? In quel momento comincia a saldarsi un interesse tra la massoneria e la ’ndrangheta, che hanno un comune interesse, con riguardo a questa parte della ’ndrangheta, nella partecipazione a movimenti eversivi. Questa componente eversiva della ’ndrangheta calabrese rimane ancora più evidente nella vicenda di Franco Freda.
  Ricorderete che Franco Freda era accusato a Catanzaro. A un certo punto, sparisce dalla circolazione e si dà latitante. Verrà ritrovato otto – nove mesi dopo in Costarica. Domanda: dove ha trascorso la latitanza Franco Freda? Sappiamo che Franco Freda trascorre la latitanza a Reggio Calabria. La trascorre a Reggio Calabria nelle mani della ’ndrangheta.
  Come arriva Franco Freda a Reggio Calabria? Franco Freda arriva a Reggio Calabria portato da Paolo Romeo e Giorgio De Stefano, entrambi avvocati. Uno era un uomo molto noto in città, legato al comitato per Reggio capoluogo, l'altro era il cugino in primo grado di Paolo De Stefano. Chi porta a Paolo Romeo e a Giorgio De Stefano Franco Freda? Lo portano due personaggi di estremo interesse, perché uno è massone e l'altro è legato ai servizi segreti. Quindi, c'è una bella triangolazione. Finisce nelle mani di Barreca. Barreca è l'uomo della ’ndrangheta che custodisce per conto dei De Stefano Franco Freda.
  Paolo Romeo e Giorgio De Stefano avranno poi incarichi politici. Paolo Romeo diventerà deputato del Partito Socialdemocratico Italiano. Giorgio De Stefano diventerà nel 1980 consigliere comunale per la Democrazia Cristiana nel comune di Reggio Calabria. Paolo Romeo e Giorgio De Stefano sono stati successivamente condannati entrambi per associazione mafiosa, uno mi pare per concorso esterno, se non ricordo male, Paolo Romeo. Ci sono dichiarazioni di collaboratori di giustizia che dicono che Paolo Romeo era anche un massone.
  La cosa singolare in tutta questa vicenda è che la magistratura riesce ad accertare e a condannare – pena espiata – Paolo Romeo come concorrente esterno all'associazione mafiosa, ma non riuscirà mai a dimostrare la sua appartenenza alla massoneria. Questo dato della massoneria, che Paolo Romeo nega, è un dato che si rileva dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, ma senza alcun riscontro dal punto di vista giudiziario.
  Barreca, una volta che Freda lascia la sua abitazione e lo portano a Ventimiglia per emigrare in Costarica, fa una telefonata e avverte l'uomo dei servizi segreti col quale era in collegamento, dicendogli come poter arrivare a catturare Franco Freda, cosa che avviene. Questa circostanza è accertata Pag. 11 perché il funzionario dei servizi segreti, durante il processo, l'ammette, in quanto ormai la fonte si era bruciata da sola. Nel momento in cui Barreca dichiara di appartenere ai servizi segreti e dice di aver avvertito i servizi segreti della fuga di Franco Freda, era evidente che l'ufficiale non potesse fare a meno di confermare questa vicenda.
  Barreca parla anche della costituzione – questa cosa non è provata – di una super loggia segreta che sarebbe stata discussa a casa sua con Freda e con uomini politici, anche in questo caso De Stefano e Romeo. C'è questa commistione, che è abbastanza evidente, in cui ci sono la ’ndrangheta, la massoneria e i servizi segreti, con Barreca. Serpa, un altro collaboratore di giustizia importante, dichiara anche lui un'appartenenza ai servizi segreti.
  Quindi, ci sono una cointeressenza e una necessità di questi rapporti che vengono all'inizio sponsorizzati dalla parte della ’ndrangheta legata alle persone, ma successivamente è tutta la ’ndrangheta che partecipa a quest'attività.
  Teniamo conto di un fatto: nella vicenda della partecipazione della ’ndrangheta alle logge massoniche c'è un conflitto – ne parlerò tra qualche minuto – tra alcuni esponenti delle organizzazioni mafiose, perché non tutti sono d'accordo.
  Perché la ’ndrangheta decide di entrare nelle logge massoniche? Decide di entrare nelle logge massoniche perché è la stagione dei grandi appalti pubblici. C'è l'Autostrada del Sole, poi arriverà il quinto centro siderurgico, poi arriveranno, quando il quinto centro siderurgico salta per aria, gli altri grandi appalti, a cominciare da quello dell'ENEL. È il periodo nel corso del quale la ’ndrangheta si sta espandendo al nord, senza che nessuno si accorga di questa espansione, ed è il periodo nel quale comincia a espandersi anche all'estero.
  La massoneria consente alla ’ndrangheta di avere un aggancio con un'organizzazione che è nazionale e, nello stesso tempo, internazionale. Per questo motivo la ’ndrangheta ha tutto l'interesse a partecipare alle logge massoniche. Il problema è che nella ’ndrangheta calabrese succede una cosa diversa rispetto a quello che è successo nella mafia siciliana. Nella mafia siciliana c'è una discussione e alla fine si decide che per ogni famiglia solo due persone possano partecipare all'organizzazione della massoneria. In Calabria no. In Calabria è un fatto di massa.

  FRANCESCO D'UVA. Perché questa scelta?

  ENZO CICONTE. In cosa nostra? Perché probabilmente non avevano intenzione di allargare la partecipazione, ragion per cui due rappresentanti bastavano e avanzavano. Questo era il ragionamento che facevano i siciliani, perché non tutti erano convinti di fare il doppio giuramento. Per loro il giuramento era uno ed era quello della mafia. La risposta dei mafiosi che volevano entrare era: «Va bene, fai il giuramento, ma non ci credi a quel giuramento». È così. Il giuramento vero è quello che fai a cosa nostra, l'altro lo fai, ma non ci credi e quindi non vale, però partecipi.
  Nella ’ndrangheta avviene un'altra cosa. Inizialmente dovevano essere trentatrè. In realtà, diventò una cosa molto più forte. Di conseguenza, fu necessario cambiare la struttura della ’ndrangheta. Oltre alla società minore e alla società maggiore, ci fu bisogno di un altro livello, che è la santa.
  Perché è importante la santa? In primo luogo, perché alla santa potevano partecipare solo quelli che entravano nella massoneria, gli altri no. In secondo luogo, perché la santa poteva permettere ai santisti di denunziare le scartine della ’ndrangheta, di dare in pasto ai Carabinieri, alla Guardia di finanza e alla Polizia organizzazioni di basso profilo, pur di salvare l'essenza dell'organizzazione della santa.
  Che cosa significa questo? Significa che si legalizza sostanzialmente il fatto che i capi bastone fossero i confidenti della ’ndrangheta. Da quel momento in poi chi faceva una cosa del genere faceva una pratica legittima dal punto di vista della ’ndrangheta.
  Cambia un'altra questione, che non è di poco conto. Cambiano i giuramenti. So che qualcuno si metterà a ridere, se non qui, Pag. 12chi leggerà il resoconto di quest'audizione. La ’ndrangheta era abituata a fare i giuramenti secondo i vecchi cavalieri spagnoli, Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Con la santa interviene, invece, un altro giuramento, con Mazzini, Garibaldi e La Marmora. Perché è importante la cosa? Perché Mazzini, Garibaldi e La Marmora erano tutti e tre massoni, due dei quali peraltro erano con la divisa, erano generali, il che era vietatissimo per quanto riguarda i codici della ’ndrangheta.
  Folklore? Io non credo che sia folklore. Chi non capisce i rituali della ’ndrangheta si perde la possibilità di capire una delle questioni essenziali della ’ndrangheta, non dell'epoca, non dell'Ottocento, di oggi. A Singen, qualche anno fa, in un bar si fece il battesimo del locale in nome di Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Qualche mese fa in Lombardia è stata filmata la cerimonia di iniziazione della santa in Lombardia, non in Calabria.
  Si sono moltiplicati i giuramenti e si sono moltiplicati i gradi, con un'avvertenza che è molto importante da comprendere, perché anche qui arriviamo a un'affinità con i riti massonici. A mano a mano che si sale ai vertici e, quindi, a mano a mano che si fanno nuovi gradi, c'è una maggiore segretezza. I gradi inferiori non conoscono la partecipazione dei gradi superiori.
  Cosa troverete negli atti della Commissione parlamentare? Troverete molte delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia che parlano di quelli che hanno il loro pari grado, ma dicono che i gradi superiori non li conoscono, perché nel frattempo sono cambiati. Questo è importante per capire alcune vicende della ’ndrangheta calabrese.
  Molte delle cose che vi ho raccontato sono contenute nell'operazione Olimpia che c'è stata in Calabria tanti anni fa. Era l'epoca nella quale c'era stata una forte presenza e attività dell'allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Agostino Cordova, il quale fece un'operazione contro la ’ndrangheta che ha avuto pochissima fortuna sul piano giudiziario. Non ebbe un esito positivo dal punto di vista delle indagini fatte, ma credo che un merito l'abbia avuto: ha raccolto una quantità enorme di carte.
  So che sono almeno 800 faldoni, presidente. Se si riuscisse a mettere mano su quei faldoni, a leggerli e a mettere in piedi un gruppo di lavoro che studiasse oggi quelle carte di 25 anni fa, probabilmente riusciremmo a capire carriere, cointeressenze e fatti che sono accaduti nel corso degli anni successivi e che probabilmente ci sono sfuggiti, perché non li abbiamo capiti o abbiamo attribuito loro una valenza completamente diversa.
  So che è difficile trovare e provare l'appartenenza di un massone a una loggia segreta e soprattutto i rapporti con la massoneria. Ci aveva provato uno, il buon notaio Marrapodi, il quale si è suicidato, o è stato suicidato. È uno dei misteri della...

  PRESIDENTE. Ce lo racconta?

  ENZO CICONTE. Marrapodi era un 33, quindi di livello elevato. A un certo punto, decide di collaborare con la giustizia. Credo che all'epoca fosse procuratore della Repubblica facente funzioni Boemi, perché era nel periodo di trapasso. Marrapodi si mette a parlare dicendo che c'erano stati rapporti tra la ’ndrangheta e la massoneria. Era molto amico di moltissimi magistrati reggini. Si mette a parlare e poi qualcuno gli chiude la bocca. O se l'è chiusa lui, o qualcuno l'ha fatto per lui. È una vicenda molto particolare. All'epoca ci fu una grande discussione.

  PRESIDENTE. Era di Reggio Calabria?

  ENZO CICONTE. Era di Reggio Calabria, il notaio Marrapodi di Reggio Calabria.

  PRESIDENTE. Anni?

  ENZO CICONTE. Anni Novanta. Siamo nei primi anni Novanta.
  L'altra questione riguarda un'affermazione che uno dei capi dei Mancuso ha fatto ultimamente e che spesso nei giornali viene citata: «La ’ndrangheta non esiste più», «La ’ndrangheta fa parte della massoneria, Pag. 13 diciamo è sotto la massoneria. Ha, però, le stesse regole», «Una volta era dei benestanti, poi l'hanno lasciata ai poveracci, agli zappatori». Quest'ultima affermazione storicamente non è vera.
  Io sconsiglierei di aderire a una tesi di questo genere. La ’ndrangheta è la ’ndrangheta e la massoneria è la massoneria. Non c'è un travaso, c'è semplicemente una cointeressenza. A volte stanno insieme, altre volte non stanno insieme, ma non c'è un modello organizzativo per cui ci sono la ’ndrangheta, la massoneria, l'uomo politico e il padreterno divino che stanno insieme e dirigono le cose.
  Io credo che funzioni un altro sistema. Lo chiamo «arcipelago» per come nell'arcipelago è possibile la presenza di più isolotti e isolette che stanno in collegamento tra di loro. A volte prevale uno e a volte prevale l'altro, a volta stanno insieme e fanno affari insieme. Mi pare abbastanza chiaro.
  Nella storia della ’ndrangheta, nella storia della Calabria e dell'Italia non c'è stata solo la ’ndrangheta. La ’ndrangheta ha avuto la forza perché ha avuto la capacità di avere le relazioni che erano al di là del proprio campo con protezioni, relazioni e cointeressenze con un mondo altro.
  Non dobbiamo mai dimenticare un altro aspetto: stiamo attenti, perché il rapporto tra la ’ndrangheta e la massoneria non riguarda solo la Calabria, ma anche altre regioni d'Italia.

  PRESIDENTE. Non abbiamo dubbi.

  ENZO CICONTE. Lo ricordo a me stesso. Nel 1983, in piena campagna elettorale, viene arrestato Teardo, che all'epoca era presidente uscente della regione Liguria, massone, iscritto alla P2, anche se lui dice che era stato iscritto alla P2 a sua insaputa – aveva preceduto un suo conterraneo – e sicuramente in rapporti con la ’ndrangheta.
  Guardiamo una vicenda più recente, se mi permette due minuti ancora, presidente. Poi chiudo. Nella vicenda Crimine infinito ci sono alcuni personaggi interessati. Quando ci fu la riunione di Paderno Dugnano – ricorderete che ci fu una riunione fatta apposta per eleggere il nuovo capo della Lombardia, dopo l'omicidio di Carmine Novella – chi propone il nuovo nome e chi parla in nome e per conto di «quelli che stanno giù» (così dice lui) è Pino Neri.
  Si tratta di un avvocato noto a Pavia. Era noto anche per il fatto che durante l'operazione «La notte dei fiori di San Vito» era stato coinvolto nelle vicende dell'epoca. Era stato condannato per nove anni per droga e assolto per associazione a delinquere di stampo mafioso. È lui che propone questo nome.
  La cosa intrigante, almeno dal mio punto di vista di storico e di studioso, è quando lui, nelle dichiarazioni spontanee che fa al tribunale di Milano – siamo a ieri, praticamente; siamo al luglio del 2012 – dice che è colpevole solo di aver creduto «di aver portato avanti i miei princìpi e i miei valori secondo una tradizione antica. Infatti – sostiene sempre Neri – se riferirsi ai princìpi e ai riti di Osso, Mastrosso e Carcagnosso significa per ciò solo essere mafioso, bisogna necessariamente inserire una norma che dicesse che tutto ciò che si riferisce a Osso, Mastrosso e Carcagnosso per ciò solo è associazione di stampo mafioso». Siete parlamentari. Potete fare una proposta di legge di modifica del 416-bis aggiungendo questa specifica aggravante di Osso, Mastrosso e Carcagnosso.
  Qual è la cosa importante? Nelle stesse carte giudiziarie compare un nome, che è importante: Pietro Pilello. Pietro Pilello non è indagato. È, per sua stessa ammissione, un massone ed è un personaggio di rilievo, perché ha avuto cariche nei collegi sindacali di imprese pubbliche e private, tra le quali l'Ente Fiera di Milano, la Metropolitana milanese, Finlombarda, l'Agenzia di sviluppo Milano, l'Agenzia mobilità ambiente e territorio, la Napoli Metro Engineering, la Fiumicino Energia e RAI Way. Non era un passante qualsiasi.
  La cosa intrigante è che lui, a un certo punto, ha un rapporto con un personaggio molto importante, Cosimo Barranca, che i giudici ritengono essere il capo locale di Milano. Barranca era stato invitato a una festa di Pilello, solo che a invitare Barranca Pag. 14non era stato Pilello, ma era stata la sorella di Pilello. Barranca dice: «Come, quello si vergogna di telefonare a me? E io non ci vado». Si lamenta con Pino Neri, Pino Neri lo fa sapere a Pilello, Pilello alza il telefono e parla con Barranca.
  Non c'è alcun reato in questa vicenda, non c'è alcun fatto penalmente rilevante, ma c'è un rapporto molto stretto tra uomini che dichiaratamente appartengono alla massoneria e che dicono di non essere ’ndranghetisti, ma che i giudici ritengono, invece, appartenere alla ’ndrangheta calabrese. Per questo motivo invito a fare attenzione a pensare che tutto sia demandato alla massoneria. C'è una questione molto più complicata e molto più complessa di quello che qualcuno possa pensare.
  Vi ringrazio. Non so se continuare e aggiungere altro.

  PRESIDENTE. Questa introduzione è stata molto importante. Grazie. Non avevamo dubbi.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE MATTIELLO. Grazie, presidente. Grazie, professor Ciconte, e ben ritrovato. Intanto vorrei dire che il modello interpretativo dell'arcipelago mi ricorda quell'altro modello interpretativo delle convergenze proposto anche dal professor Dalla Chiesa. Anche per capire se sto capendo, non credo sia opportuno adoperare un modello interpretativo che faccia pensare a una sussunzione organizzativa e a un'unitarietà organizzativa, ma piuttosto a convergenze o arcipelago.
  La domanda è questa. Tutto ciò posto, il processo Gotha, che ha riunito le più recenti inchieste della DDA di Reggio Calabria, ci sta restituendo una fotografia – poi vedremo quanto penalmente rilevante e quanto no – nitida dei rapporti tenuti dal già onorevole Matacena con i capi ’ndrangheta nei primi anni Novanta in quel periodo, 1993-94, nel quale le organizzazioni vennero interessate a quell'altra strategia di cui lei sa bene, qualcosa fecero, compresa la ’ndrangheta, e poi si fermarono.
  Voglio chiederle su questo passaggio e sul ruolo di Amedeo Matacena se ha un'idea particolare anche in rapporto a queste organizzazioni, i cui confini sono fatalmente permeabili anche per quell'aspetto che lei ha richiamato, cioè che in Calabria, non essendoci grandi città, un po’ tutti ci si conosce e che, anche se si fa parte chi un po’ più di ’ndrangheta, chi un po’ più di massoneria e chi un po’ più di centri di potere, poi all'occorrenza ci si trova, ci si parla e ci si mette d'accordo.

  ENZO CICONTE. Grazie per la domanda. Di Matacena parlai per la prima volta nel 1996, quando ancora era in mente Dei che potesse essere uno ’ndranghetista e fare le cose che poi i giudici hanno accertato, perché mi colpì un'intervista che fece – credo – a un giornale calabrese. Non vorrei sbagliarmi, ma non ha importanza quale giornale fosse. La fece e io l'ho trovata. Lui sosteneva la bontà dell'organizzazione della ’ndrangheta, ossia che fosse un fatto positivo, sostanzialmente. La cosa mi colpì molto, perché era un po’ azzardata un'affermazione di questo genere.
  Non c'è dubbio che Matacena abbia avuto un ruolo molto particolare in quelle vicende. Fu un elemento straordinariamente presente nelle attività di quegli anni. Teniamo conto che era legato a Villa San Giovanni. Siamo a due passi da Reggio Calabria.
  In tutte quelle vicende del 1993-94 ci sono ancora molte cose da accertare. Io ho maturato una mia convinzione. All'epoca cosa nostra chiese alla ’ndrangheta di partecipare alla strategia stragista. Secondo alcuni collaboratori, tra cui Franco Pino, ci fu una riunione a Lamezia Terme in cui i calabresi dissero che non ci stavano.
  Perché? Perché la strategia dei calabresi non è mai stata uguale a quella di cosa nostra. Nella strategia della ’ndrangheta calabrese non c'è mai stato l'assalto allo Stato, non c'è mai stato il colpire gli esponenti dello Stato. Gli omicidi politici o gli omicidi importanti si riducono forse alle dita di una sola mano: Scopelliti, Fortugno, Lodovico Ligato, a Torino Bruno Caccia. Gli altri sono stati omicidi importanti – tutti gli omicidi, naturalmente, sono, purtroppo, Pag. 15 un fatto negativo, anche quello dell'ultimo cittadino – ma il problema è che la ’ndrangheta ha sempre pensato una cosa molto semplice: «Perché ti devo ammazzare? Al posto tuo può arrivare una carogna peggio di te. Io cerco di condizionarti, di corromperti. Non ce la faccio con te? Avrai pure una moglie, un fratello, un cognato o un cugino che è possibile aggirare». È stato un modus vivendi o un modus operandi della ’ndrangheta, che ha preferito questa strada.
  Era spiegabile, quindi, perché la ’ndrangheta dicesse di no all'offerta di partecipare alle stragi. Questo, però, non esclude – secondo me, può essere avvenuto – che qualche ’ndrina abbia partecipato per sé alla strategia stragista.
  Perché dico questo? Perché all'epoca dei fatti di cui stiamo discutendo ancora non c'era una struttura di comando verticistico. La pace di Reggio Calabria avverrà dopo l'omicidio di Scopelliti, alla vigilia delle stragi. Si comincia solo allora ad avere un minimo di coordinamento tra le organizzazioni mafiose. Fino ad allora ogni organizzazione faceva quello che voleva nel proprio territorio. Non c'era un organismo di comando. Fu allora che avvenne questo coordinamento di comando. Successivamente arriviamo alla ’ndrangheta unitaria di cui sappiamo – ormai è un giudizio passato in giudicato – con Crimine infinito.
  Perché è importante questa questione dell'unitarietà della ’ndrangheta? Perché dobbiamo capire la complessità che ha un'organizzazione mafiosa, ancora più complessa di quella di cosa nostra, di governare un mondo criminale che sta in Calabria, in tutte le regioni del centro-nord e all'estero. Non è la mafia siciliana. La mafia siciliana all'apice della sua potenza e della sua grandezza governava Palermo e la Sicilia. La ’ndrangheta calabrese è un'altra cosa.
  La ’ndrangheta calabrese mette le mani anche nelle questioni che riguardano il Canada, gli Stati Uniti d'America, l'Australia. In Crimine infinito c'è la storia dell'ex sindaco di Stirling, una città di 150 mila abitanti, più grande della più grande città calabrese, che arriva a Siderno e si reca in una lavanderia di Siderno a parlare col capo crimine di Siderno per chiedergli cosa dovesse fare lui lì a Stirling, in Australia.
  Questa è la complessità. Se non ci rendiamo conto di questo, non comprendiamo il fatto che oggi questa struttura unitaria riesce a governare. Non la governa la ’ndrangheta come cosa nostra governava le famiglie mafiose. Cosa nostra si occupava di tutto. Nella ’ndrangheta non è così, funziona un sistema di regolazione dei conflitti. Cercano di evitare i conflitti e, quando in una ’ndrina, in un locale oppure in più locali c'è un conflitto, scendono a Reggio Calabria e c'è qualcuno che dirà chi ha ragione. Quella è una sentenza senza appello.

  MARIO MICHELE GIARRUSSO. Grazie, professore, per la sua esposizione. Le volevo fare una domanda. A proposito di Romeo, di cui ha parlato, lei ha sicuramente seguito le vicende odierne e degli ultimi mesi, e certamente avrà saputo che Romeo nel 2014 è venuto in audizione in Senato nella 1a Commissione per parlare della riforma delle province, questione che gli stava molto a cuore, come è stato confermato alla procura di Reggio Calabria e da lui stesso ammesso in sede di riesame. Lui si occupava della riforma delle province tranquillamente.
  Dagli atti delle ultime indagini emergerebbero rapporti con più senatori della Repubblica che interloquivano regolarmente con Romeo, che, come lei ha ben ricordato, era già pregiudicato per mafia e soggetto noto per le vicinanze a tutto il panorama più pericoloso che si possa immaginare nella storia della Repubblica, dall'eversione nera alle ’ndrine. Tutto questo lascia abbastanza sconcertati.
  Da queste fattispecie rispetto all'azione di questa Commissione lei non pensa che sarebbe nostro dovere indagare su questo genere di rapporti, per quanto sia possibile che la politica indaghi su se stessa?

  ENZO CICONTE. Se vuole indagare su questi rapporti, potrei consigliarle anche qualche vicenda precedente, che ha visto coinvolto anche Romeo. È stato un episodio di tanti anni fa, quando lui e altri erano Pag. 16stati indagati perché alcuni magistrati erano finiti su un giornale reggino ed erano stati indicati come i peggiori delinquenti e i peggiori mafiosi. Ci fu un'indagine della polizia e Romeo, insieme ad altri, era apparso come il grande regista. Poi la cosa finì, dal punto di vista giudiziario, in una bolla di sapone.
  Che Romeo abbia rapporti con uomini politici per me è un fatto abbastanza normale, nel senso che è stato deputato, è stato consigliere comunale e vive a Reggio Calabria. Se fa attività, è – tra virgolette – abbastanza evidente che riesca ad avere rapporti con il mondo politico. Il problema è perché quelli che lo conoscono abbiano rapporti con lui. Il problema non è lui. Il problema è chi con lui ha avuto in questi anni rapporti e, ancora peggio, ha avuto interessi in comune e ha fatto affari in comune. Cambia, naturalmente, la questione. Un conto è prendersi un gelato in una gelateria di Reggio Calabria, un conto è fare affari con uno che è pregiudicato.
  Dopodiché, le cose che so le so perché le ho lette sui giornali e ho letto qualche ordinanza di custodia cautelare. Per il resto non so altro. Mi sono occupato espressamente, come per altre questioni, di questa particolarità.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, ringraziamo. Valuteremo la proposta del professor Ciconte di acquisire gli atti dell'inchiesta Cordova e di istituire un gruppo di studio degli stessi atti, magari chiedendogli di darci una mano.

  ENZO CICONTE. Sono a Roma. Conoscete il mio numero di telefono e la mia e-mail. Basta che mi telefoniate.

  PRESIDENTE. Grazie. Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.

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