Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconti stenografici delle audizioni

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti

Resoconto stenografico



Seduta n. 148 di Lunedì 6 marzo 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Bratti Alessandro , Presidente ... 2 

Audizione di rappresentanti del Centro coordinamento RAEE:
Bratti Alessandro , Presidente ... 2 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 2 ,
Puppato Laura  ... 5 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 5 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 5 ,
Puppato Laura  ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 5 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 5 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 5 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 5 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 5 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 6 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 8 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 8 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 8 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 8 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 8 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 8 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 8 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 8 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 8 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 8 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Puppato Laura  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Puppato Laura  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Puppato Laura  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 9 ,
Puppato Laura  ... 9 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 10 ,
Puppato Laura  ... 10 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 11 ,
Puppato Laura  ... 11 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 11 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 11 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 11 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 11 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 12 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 12 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 12 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 12 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 12 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 12 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 12 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 12 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 12 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 12 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 13 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 13 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 13 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 13 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 13 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Bianchi Stella (PD)  ... 13 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 13 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 14 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 14 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 15 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 15 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 15 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Longoni Fabrizio , Direttore del Centro di coordinamento RAEE ... 15 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 

Audizione di rappresentanti di FISE-UNIRE:
Bratti Alessandro , Presidente ... 15 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 16 ,
Nepi Maria Letizia , Segretario generale di FISE-UNIRE ... 19 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 20 ,
Puppato Laura  ... 20 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 21 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 21 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 21 ,
Puppato Laura  ... 21 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 21 ,
Nepi Maria Letizia , Segretario generale di FISE-UNIRE ... 22 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 22 ,
Nepi Maria Letizia , Segretario generale di FISE-UNIRE ... 22 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 22 ,
Nepi Maria Letizia , Segretario generale di FISE-UNIRE ... 22 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 22 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 22 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 23 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 23 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 23 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 23 ,
Puppato Laura  ... 24 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 24 ,
Puppato Laura  ... 24 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 24 ,
Puppato Laura  ... 24 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 24 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 24 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 24 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 25 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 25 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 25 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 25 ,
Nepi Maria Letizia , Segretario generale di FISE-UNIRE ... 25 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 25 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 25 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 25 ,
Fluttero Andrea , Presidente di FISE-UNIRE ... 25 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 25 

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale produttori aggregati riciclati (ANPAR):
Bratti Alessandro , Presidente ... 26 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 26 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 27 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 27 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 28 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 28 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 29 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 29 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 29 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 29 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 29 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 29 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 29 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 29 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 31 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 31 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 33 ,
Puppato Laura  ... 33 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 34 ,
Puppato Laura  ... 34 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 34 ,
Puppato Laura  ... 34 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 34 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 34 ,
Puppato Laura  ... 35 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 35 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 35 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 35 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 35 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 35 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 35 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 35 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 35 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 35 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 35 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 36 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 36 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 36 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 36 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 37 ,
Vignaroli Stefano (M5S)  ... 37 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 37 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 37 ,
Grifoni Filippo , Delegato ANPAR regione Toscana ... 37 ,
Barberi Paolo , Presidente ANPAR ... 37 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 37 

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti, Giuseppe Saieva:
Bratti Alessandro , Presidente ... 37 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 38 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Puppato Laura  ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Puppato Laura  ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 39 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 39 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 39 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 39 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 40 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 40 ,
Saieva Giuseppe , Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti ... 40 ,
Zolezzi Alberto (M5S)  ... 40 ,
Bratti Alessandro , Presidente ... 40

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
ALESSANDRO BRATTI

  La seduta comincia alle 16.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti
del centro coordinamento RAEE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti del centro coordinamento RAEE, che ringrazio della presenza. In particolare, è presente il dottor Fabrizio Longoni, direttore del centro di coordinamento RAEE. L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul mercato del riciclo, con particolare riguardo all'attività dei consorzi che ne hanno la gestione.
  Come già comunicato al nostro audito per le vie brevi, la Commissione è interessata ad approfondire i temi delle verifiche e dei controlli effettuati sulla governance della struttura, in particolare sul rispetto dei requisiti minimi dei sistemi collettivi, sulle modalità del controllo e della verifica, sul raggiungimento degli obiettivi di raccolta e sulla qualità del trattamento dei rifiuti, delle tipologie di verifiche effettuate sui bilanci e sui dati economici comunicati all'autorità di controllo, dell'esistenza delle criticità della filiera, in conseguenza delle quali avviene una fuoriuscita di rifiuti dal circuito dei consorzi.
  Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione, dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Cedo quindi la parola al dottor Longoni per lo svolgimento di una breve relazione introduttiva, che dovrebbe vertere sulle questioni ricordate in premessa, alla quale seguiranno eventuali domande da parte dei colleghi.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Grazie, presidente. Io sono partito dalle domande che lei ha letto e, per cercare di essere sintetico e di non dilungarmi, ho diviso il tema dell'intervento in due punti distinti: gestione dei rifiuti e organizzazione del sistema, con le conseguenti risposte legate al sistema dei consorzi. La domanda se esistano e quali siano le criticità della filiera, in conseguenza delle quali avviene una fuoriuscita di rifiuti dal circuito dei consorzi, secondo me necessita di essere chiarita dal punto di vista dell'entità della domanda. In Italia vige un sistema all actors, quindi tutti i soggetti che entrano in possesso lecitamente di questa tipologia di rifiuti possono disporne e gestirli nella miglior maniera Pag. 3possibile, il che vuol dire, comunque, coerentemente con i disposti normativi.
  Il sistema gestito dai produttori, che sono obbligati a curare il fine vita di questi prodotti, entra in azione nel momento in cui nessun soggetto diverso da questi abbia interesse o intenzione di gestire questa tipologia di rifiuti. Questo tipo di operazione, di fatto, è sussidiaria a quello che avviene sul mercato. Per darvi un ordine di grandezza che vi consenta di comprendere, nello scorso anno 2015, con i dati che ci hanno passato anche gli impianti di trattamento, quindi venendo a conoscenza completa del sistema, il 98 per cento di questa tipologia di rifiuti è stata trattata dai consorzi istituiti dai produttori. Mi riferisco, in questo caso, ai rifiuti di natura domestica, essendo possibile avere rifiuti sia di origine professionale che di origine domestica, quindi urbani o speciali.
  L'anno appena concluso, il 2016, ha visto un quantitativo totale di 283.000 tonnellate raccolte, in crescita di quasi il 14 per cento rispetto a ciò che hanno raccolto i sistemi collettivi nell'anno precedente, pari a 4,7 kg per abitante. A questo aggiungo che i soggetti che effettuano la raccolta, quindi in prima battuta i comuni (sono circa 4.700 i punti totali di raccolta), ricevono anche una premialità in base alle attività che svolgono, se cioè creano dei carichi abbastanza grandi da giustificare un viaggio e non più viaggi per andare a ritirare questi rifiuti, quindi una sorta di economia legata all'efficienza che si riesce a realizzare all'interno di un carico.
  L'anno scorso i sistemi collettivi hanno erogato a questi soggetti 14 milioni di euro, che derivano da un'ottimizzazione di natura logistica, ottenuta gestendo in maniera corretta i carichi che si venivano a richiedere in ritiro. La domanda legata alla fuoriuscita dal sistema gestito dai sistemi collettivi deve essere contestualizzata in base a tutto ciò che arriva ai sistemi collettivi che viene ritirato da tutti i punti iscritti al centro di coordinamento RAEE e quindi avviati a un corretto trattamento (poi vi spiegherò perché «corretto trattamento»). Se, da un lato, l'obiettivo di raggiungere quello che la Comunità europea ci chiede (per l'anno 2013, il 45 per cento della media degli ultimi tre anni, mentre nel 2019 il 65 per cento di questa quantità), deve essere sommato a ciò che raccolgono i sistemi collettivi, cioè a ciò che raccoglie il mercato e gestisce in autonomia il mercato, però abbiamo anche visto prima come ciò che gestisce in autonomia il mercato sia in realtà molto poco.
  Uno dei problemi sicuramente più importanti legati a questa tipologia di rifiuti, che pesa una volta che dovessero essere gestiti in maniera non pienamente idonea, è proprio dal fatto che per ricavare valore da questi rifiuti si cerca di mettere oggettivamente le mani sul rifiuto, evitando però di tracciarlo nella maniera corretta. Quindi, l'Italia produce sicuramente un volume di RAEE sufficiente a raggiungere gli obiettivi che la comunità ci ha posto, ma il problema è che questi rifiuti non vengono tracciati in maniera corretta e vengono avviati a filiere che, non tracciandoli a partire dal codice notificazione rifiuti in maniera corretta, ne possono disporre in maniera molto più libera, cioè non essendo costrette a gestire un adeguato trattamento. Tutto ciò che arriva da un sistema ufficiale, come capita sempre, è tracciato, seguito e ha una destinazione specifica e controllata; ciò che invece non ha un tracciamento corretto all'origine, non è identificato correttamente e può prendere strade sicuramente non corrette. Questo vuol dire che la prima problematica legata al raggiungimento degli obiettivi, ma anche al corretto trattamento, è quella dell'identificazione corretta dei rifiuti. Ciò origina fondamentalmente da una summa di fattori. Il primo, sicuramente, è che l'Italia, oggi, non è coperta al cento per cento da luoghi dove conferire questi rifiuti. Se alcune regioni hanno copertura totalitaria, altre regioni invece non possono dire di avere la stessa situazione, quindi, materialmente, in Italia dei cittadini non sa dove smaltire correttamente questi rifiuti.
  Il legislatore europeo, così come poi è stato recepito nella legislazione italiana, ha attribuito anche alla distribuzione un compito specifico di raccolta di questi rifiuti e su questo possiamo dire che, per quanto Pag. 4riguarda il centro di coordinamento, abbiamo 202 soggetti che si sono iscritti e che conferiscono regolarmente rifiuti ritirati dai sistemi collettivi. Non tragga in inganno il numero piuttosto basso perché in molti casi sono soggetti molto grossi, che tipicamente fanno la consegna domiciliare degli apparecchi grandi – i grandi bianchi, come vengono detti – e che, effettuando il ritiro domiciliare, conferiscono direttamente questi rifiuti a un sistema. Esistono luoghi, in Italia, che fanno più di 8-9 autotreni al giorno di rifiuti che provengono dalle consegne domiciliari, che vengono ritirati e che sono sicuramente avviati al corretto trattamento. È chiaro, però, che la distribuzione ha una capillarità estremamente più ampia. Si contano circa 200.000 punti sul territorio italiano che possono vendere questa tipologia di rifiuti, quindi, di fatto, molti conferiscono aggregandosi in luoghi di raggruppamento, mentre altri sicuramente non fanno ciò. Si somma, quindi, alla carenza dei centri di raccolta in alcune aree del Paese, anche la problematica di soggetti che, disponendo di questi rifiuti, non li avviano al corretto trattamento, pertanto l'identificazione della filiera è da considerarsi difficile non tanto perché ci sono dei soggetti che sono titolati a fare questo lavoro e quando lo fanno lo eseguono correttamente, quanto piuttosto perché se all'origine non pervengono da una filiera in maniera corretta e controllata, diventa impossibile andare a tracciare ciò che succede a valle.
  Dal punto di vista pratico, il centro di coordinamento pone in atto dei controlli sui propri associati, che sono obbligati ad essere associati al centro di coordinamento. Questi controlli sono abbastanza rigidi, in particolare fanno riferimento al corretto e adeguato trattamento. Nel passato, esisteva ed esiste – rinnovato l'anno scorso – un accordo di programma che lega il centro di coordinamento, in nome e per conto dei sistemi collettivi che ad esso aderiscono, con le associazioni di rappresentanti di soggetti che effettuano il trattamento.
  Il rinnovo del 2016 è stato particolarmente interessante perché da parte dei soggetti che effettuano il trattamento, è stato richiesto un ulteriore e sensibile incremento del livello qualitativo. Cosa comporta questo? Comporta che i sistemi collettivi che ritirano i rifiuti devono esclusivamente mandare i propri rifiuti a impianti che abbiano ricevuto una qualifica dal centro di coordinamento. Abbiamo gestito la selezione di tre auditor in Italia, i quali effettuano come parte terza la qualifica degli impianti di trattamento e solo presso questi impianti si possono rivolgere i sistemi collettivi. Il livello è veramente alto e in linea esattamente con le norme CENELEC, anzi, diciamo che ha ispirato le norme CENELEC che in Europa sono state man mano redatte perché l'Italia era un esempio virtuoso, in questo caso, di attività svolte in maniera molto controllata.
  Questo è sicuramente un vantaggio e attesta che tutti i RAEE ritirati dai sistemi collettivi sono trattati in maniera adeguata. Purtroppo, però, è vero anche il contrario, cioè che se i RAEE non vengono conferiti in impianti così controllati e verificati, non c'è certezza che il trattamento sia fatto in forma adeguata. Dove poi il differenziale economico è interessante, possiamo dire con assoluta certezza che non vengono trattati in maniera corretta. Gestire la parte pericolosa, o alcuni componenti pericolosi contenuti in questi rifiuti, in maniera non adeguata genera un vantaggio economico per chi non si comporta in maniera corretta. Dal punto di vista pratico c'è anche da notare una discrepanza all'interno della normativa: il soggetto sistema collettivo, emanazione dei produttori, ha l'obbligo di portare questi rifiuti a un corretto e adeguato trattamento, mentre il soggetto che ne dispone non ha questo stesso obbligo; soprattutto, non ha l'obbligo di arrivare a quelle percentuali di recupero e riciclo che sono inserite all'interno della normativa, quindi chi come i produttori o i loro sistemi collettivi porta agli impianti di trattamento, deve raggiungere percentuali vicine all'80 per cento (vi dico che il trattamento oggi arriva a circa al 95 per cento dei materiali in ingresso effettivamente avviati al recupero), mentre chi ne dispone in maniera anche lecita non ha questo obbligo. Pag. 5 Questo, forse, è un elemento da sanare perché crea una competizione diversa e, soprattutto, un interesse differente tra soggetti che hanno lo stesso rifiuto.

  LAURA PUPPATO. Quali sono i soggetti che sono esclusi?

  PRESIDENTE. Che significa «chi ne dispone»?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Un distributore che volesse fare una raccolta, o un comune che ha un interesse a conferire a un impianto questa tipologia di rifiuti, non è tenuto a conferirlo ai sistemi collettivi. Noi non registriamo come centro di coordinamento la totalità dell'iscrizione dei comuni che dispongono di un centro di raccolta, vuoi per accordi precedenti, vuoi per interessi diversi. La regione Veneto registra un numero di centri di raccolta disponibili nei comuni leggermente superiore a quelli iscritti al centro di coordinamento. Questo vuol dire che c'è un quid di comuni, che peraltro non conosciamo, che preferisce affidare i propri rifiuti a soggetti differenti.

  PRESIDENTE. Forse l'ha già detto, ma voi che percentuale trattate di tutto quello che è immesso a mercato del Paese? Fatto cento l'immesso nel mercato, quanti, più o meno, arrivano alla fine a voi?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Circa il 36 per cento, contro un obiettivo del 45, già del 2016.

  LAURA PUPPATO. Voi, quindi, fate il mix, ma alla fine la percentuale complessiva quale risulta?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Il 2 per cento in più viene raccolto da soggetti terzi e quindi gli impianti comunicano al centro di coordinamento questa informazione; noi assolviamo all'obbligo che ci è stato posto di censire gli impianti che trattano e di ricevere, da questi, le informazioni sul trattamento, in questo caso sia per i rifiuti domestici che per i rifiuti professionali. Per i rifiuti domestici, che è il compito specifico dei sistemi collettivi, 98 su 100 vengono raccolti dai sistemi collettivi e gestiti, quindi, correttamente; un 2 per cento di quelli correttamente identificati, poi, arriva direttamente all'impianto. In realtà, possono essere anche distributori che non riescono a trovare nella propria area un centro di raccolta comunale disponibile ad accogliere questi rifiuti, quindi, poiché costretti, li portano direttamente all'impianto o li vendono. Ciò dipende dal tipo di interesse.

  PRESIDENTE. Esiste a tutt'oggi un 53-54 per cento che è a libero mercato, o comunque non passa attraverso il sistema dei RAEE.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Direi che non è neanche correttamente tracciato. Questo è fondamentale, cioè sono materialmente RAEE ma se vengono gestiti come rifiuti, possono essere gestiti con codici differenti – ingombranti, ferro – che, di fatto, ne impediscono il tracciamento e contemporaneamente assicurano che non vadano a un trattamento adeguato, in quanto quegli impianti che ricevono questi codici non sono gli impianti che gestiscono correttamente i RAEE.

  STEFANO VIGNAROLI. Su 100 di una stima dei rifiuti RAEE prodotti, un 35 per cento passa per il vostro controllo, ma il restante 65 per cento?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Non è correttamente tracciato.

  STEFANO VIGNAROLI. Non c'è un altro organo di controllo, un altro consorzio: non c'è nulla?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No.

  PRESIDENTE. Possono andare in discarica come ingombranti, possono essere ritirati Pag. 6 come materiali ferrosi, possono avere altri codici e via dicendo.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Finiscono spesso, soprattutto quelli più piccoli, nel rifiuto indifferenziato. I piccoli rifiuti soffrono di questo problema: le lavatrici sicuramente non entrano nella raccolta indifferenziata ma i piccoli rifiuti (le lampadine o altri di piccole dimensioni) possono facilmente entrarci. Dal punto di vista pratico, quindi, l'interesse specifico del centro di coordinamento si è concentrato sull'obiettivo di elevare il livello qualitativo del trattamento e portarlo a livelli che sono sicuramente di ispirazione a livello europeo per le regole che si devono attuare.
  Oggi quasi tutti gli impianti che vogliono lavorare seriamente sono iscritti al centro di coordinamento in un elenco obbligatorio, ma soprattutto richiedono in forma volontaria l'accreditamento e ricevono quindi una visita di soggetti adeguatamente formati affinché possa essere verificato se il loro ciclo produttivo faccia quello che si deve: non è un controllo di possesso di un'autorizzazione, quindi, bensì un controllo per verificare se il macchinario utilizzato effettivamente raggiunga gli obiettivi di portare a recupero quelle frazioni in quantità adeguata. Questo è fondamentale perché sta diventando una sorta di biglietto da visita per questi impianti essere sottoposti a procedure di audit, superare tale audit e, quindi, poter dimostrare di lavorare in maniera assolutamente corretta.
  Sulla parte di trattamento, se non ci sono domande particolari, passerei ad altro. L'altro tipo di questione posta fa riferimento a quello che ho chiamato «organizzazione e controllo dei sistemi collettivi». Si chiedeva quali verifiche e controlli siano effettuati sulla governance della struttura, in particolare rispetto ai requisiti minimi dei sistemi collettivi. Dal punto di vista del centro di coordinamento, voi sapete che tutti i sistemi collettivi sono obbligati, se operano su RAEE di natura domestica, ad appartenere al centro di coordinamento, quindi il controllo che viene posto in essere è di duplice natura (uno spetta normativamente alla parte di comitato di vigilanza e controllo, istituito presso il Ministero dell'ambiente con gli altri Ministeri concertanti). Siamo in attesa dell'uscita di uno statuto tipo che deve disciplinare esattamente come devono essere fatti questi sistemi collettivi (il Ministero, da quello che sappiamo, ci sta lavorando ed è prossima l'uscita di questo decreto).
  Nel frattempo, però, il centro di coordinamento si è dotato di un meccanismo di controllo, votato all'unanimità dai propri consorziati, che percorre in estremo dettaglio tutte le attività che i sistemi collettivi sono chiamati a svolgere, andando a verificare la tenuta economica, cioè che quanto richiesto al mercato sia sufficiente a raccogliere denaro per coprire i costi, che non vi sia alcun fenomeno di dumping, cioè offerte fatte ai produttori da parte di soggetti tra loro in competizione che non si sostengono economicamente o che potrebbero portare a una distorsione del mercato. Questo meccanismo è estremamente sofisticato e ha dato nuovamente origine a una selezione di soggetti che faranno, per conto del centro di coordinamento, quindi come soggetti terzi, degli audit specifici sui sistemi collettivi, raccogliendo tutte le informazioni gestionali: tutto quello che viene fatto nell'azienda, quindi, viene visto, in modo che non ci siano informazioni che arrivano soltanto dalla parte civilistica, ma proprio anche dalla parte direttamente responsabile della gestione del singolo consorzio.
  Abbiamo selezionato, partendo dai soggetti iscritti al Ministero dell'economia e delle finanze nell'albo dei revisori, tutti i soggetti milanesi (sono 112), ai quali abbiamo formulato la richiesta di partecipare a una selezione. Siamo arrivati in fondo e abbiamo selezionato un soggetto che si occuperà di fare gli audit presso tutti i sistemi collettivi. Tenete conto che è proprio come entrare nel cuore pulsante di ogni singola azienda, andando a vedere i singoli costi e come vengono stabiliti. Oltre a questo, è fondamentale che il centro di coordinamento produca quello che viene definito «tasso minimo di ritorno», affinché nessuno possa dire che nell'anno seguente si possano raccogliere meno rifiuti. Qualcuno Pag. 7potrebbe infatti approfittare di fare prezzi particolarmente agevolati al mercato, dicendo che l'anno prossimo si raccoglierà poco. Il tasso minimo di raccolta viene stabilito dal centro di coordinamento ed è un elemento di base per tutti, che tende ad essere vicino a quello che avviene sul mercato, quindi non dà modo ai a soggetti di sottrarsi a esporre costi che si dovranno sostenere.
  Cosa succede per quanto riguarda gli aspetti legati all'attività economica? Una delle domande fa riferimento all'utilizzo delle riserve. Il controllo sull'utilizzo delle riserve è affidato, nello stesso modo, ai singoli soggetti che vanno a fare gli audit presso i sistemi collettivi. Dal momento in cui devo economicamente fissare un elemento di riferimento a inizio anno (tendenzialmente è l'inizio dell'anno operativo, che per questi soggetti è ottobre dell'anno precedente), per cui i produttori chiedono cosa succederà nell'anno a venire, il centro di coordinamento produce questo tasso di ritorno minimo, mentre i singoli sistemi collettivi fissano delle loro entità di natura economica che consentiranno di coprire i costi. Cosa poi succederà nel corso dell'anno si saprà soltanto a fine periodo, quindi con una incertezza su quanto sarà stato immesso, quanto sarà stato raccolto e se, effettivamente, l'entità economica avrà coperto i costi. Può accadere che, alla fine dell'anno, ci siano delle riserve e saranno questi i primi denari che, non avendoli il legislatore sottoposti a tassazione, in quanto non avanzi di gestione come utile ma soltanto per anticipo di costi futuri, verranno spesi nell'anno seguente. Pertanto ogni soggetto potrà adattare la sua richiesta di denaro nell'anno seguente, sapendo quanti sono i soldi rimasti all'interno delle casse dei sistemi collettivi.
  Dal punto di vista pratico questo vuol dire porre in essere un meccanismo virtuoso di controllo dei costi, di anno in anno, per gestire l'elemento che può essere variabile, cioè l'entità della raccolta e l'entità dell'immissione sul mercato, che genera la possibilità di avere incassi. Chiaramente, ci sono dei settori che, quando hanno vendite non uguali agli anni precedenti, creano delle preoccupazioni. Ricordate tutti il fenomeno dei televisori, dello switch dall'analogico al digitale, un fenomeno modaiolo molto forte, cioè il passaggio dal televisore a tubo catodico a quello a schermo piatto. In quegli anni si immettevano 90.000 tonnellate di televisori, mentre in questi anni se ne mettono 30.000, quindi il mercato è stato in quel periodo drogato e compresso nel tempo, proprio perché molti italiani – per non dire tutti – cambiavano il televisore, quindi fenomeni di questo tipo costituiscono una perturbazione di un mercato normale di vendita.
  Dal punto di vista pratico, uno dei nostri maggiori problemi è quello di capire cosa succede all'atto dell'immissione sul mercato e, su questo, sinceramente, i dati forniti dal Registro AEE, tenuto presso il Ministero dell'ambiente, ci lasciano abbastanza perplessi. Come centro di coordinamento ricevo un'autodichiarazione da parte dei sistemi collettivi, che mi consente di assegnare in Italia, con un meccanismo di programmazione lineare, ogni singolo punto di prelievo all'interno dei centri di raccolta in base alle quote di mercato detenute da ogni singolo sistema collettivo, in modo che tutta l'Italia sia sempre coperta, isole incluse. Ciò, dal punto di vista pratico, garantisce che i costi siano uniformi per tutti i sistemi collettivi, laddove andare a fare servizio in pianura padana ha dei costi, mentre andare a fare servizio sulle isole minori o in alta montagna ne ha altri. Noi abbiamo diviso l'Italia in 18 macroaree nel passato e 15 nel futuro. In tutte queste macroaree ogni sistema collettivo deve rappresentare la propria quota di mercato: la Sicilia è uguale alla Lombardia, le isole minori sono uguali alle località al di sopra dei 1500 metri. Questo comporta, per i sistemi collettivi, che il centro di coordinamento rappresenti esattamente il meccanismo per assegnare dei costi omogenei dal punto di vista della loro sostenibilità economica. Non ho ricevuto proteste negli ultimi dieci anni, quindi presumo che il sistema stia funzionando assolutamente bene da questo punto di vista. Sull'immissione nel mercato gestiamo un meccanismo attualmente ancora di autodichiarazione, ma Pag. 8ciò che lascia più perplessi è che il dato che riceve il centro di coordinamento è superiore a quello del dichiarato al registro nazionale AEE. Mi aspetterei il contrario se un produttore cercasse di non dichiarare per avvantaggiarsi, quindi temo che nella dichiarazione al registro nazionale ci siano parecchie imprecisioni perché il dato che riceviamo per quanto riguarda le apparecchiature immesse di natura domestica, è superiore a quello del pubblico registro. Aggiungo, però, che ciò vale circa la metà di quanto viene dichiarato in Stati come la Francia e l'Inghilterra, che per popolazione e per tenore di vita non sono estremamente dissimili da noi, quindi è sicuramente un dato da verificare. Apparentemente, l'Italia ha un tenore di circa la metà rispetto al consumo di apparecchiature elettriche ed elettroniche in confronto a ciò che viene dichiarato rispetto alle altre nazioni, cosa che non emerge nel momento in cui si vanno a vedere, invece, i dati di studio a livello europeo legati all'immissione sul mercato dal punto di vista commerciale. Questa distonia sicuramente richiede un approfondimento, che non è nelle possibilità del centro di coordinamento fare ma che deve essere sicuramente fatto per disporre di dati che siano corretti, anche perché un produttore che immette un chilo in meno o dichiara un chilo in meno di un'apparecchiatura domestica, di fatto, si sottrae alla condivisione dei costi con gli altri produttori e questo lo potrebbe avvantaggiare anche dal punto di vista commerciale. La dichiarazione corretta, quindi, è un obbligo per mantenere tutti su un medesimo ambito di competizione, visto che l'onere di gestione del fine vita di questi prodotti è da dividere tra tutti.

  PRESIDENTE. È il Ministero che poi dovrebbe andare a controllare e verificare la bontà o meno delle dichiarazioni, giusto?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sì. È stato emanato nel 2016 un decreto, cosiddetto «Tariffe», per cui, a costo dei produttori, genera risorse per fare verifiche e controlli sull'immissione sul mercato. Devo dire che le risorse non sono tante, quindi il numero di controlli che potranno essere fatti non sarà particolarmente elevato (non aver mai fatto controlli nel passato, può essere uno dei motivi per cui si è generato un lassismo nelle dichiarazioni). La partenza è fare effettivamente dei controlli, cosa che potrà in futuro far migliorare questo dato. L'organo deputato a questi controlli è la Guardia di finanza.

  STEFANO VIGNAROLI. Se ho capito bene, la dichiarazione dei produttori è in genere maggiore di quella del pubblico registro, giusto?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. La dichiarazione dei produttori, che avviene tramite i sistemi collettivi, quindi ciò che poi pagano, è maggiore: è esatto.

  STEFANO VIGNAROLI. Per produttore si intende la marca di quel prodotto, cioè chi lo costruisce?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Il soggetto che lo immette sul mercato.

  STEFANO VIGNAROLI. Sul mercato italiano, quindi, qualsiasi produttore estero che immette in Italia dichiara di aver messo...

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Qualsiasi importatore che immette sul mercato, a parità di chi fabbrica in Italia.

  STEFANO VIGNAROLI. Per la marca «x», quindi, c'è l'importatore che lo fa al posto suo, ossia dichiara che importa quel televisore di quella marca per un importo «y».

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Esatto, l'obbligo è di questo soggetto.

Pag. 9

  STEFANO VIGNAROLI. Il pubblico registro, invece, chi lo compila, cioè a carico di chi è?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Lo stesso soggetto, cioè sempre il produttore, che nell'accezione delle apparecchiature è colui che fabbrica ma anche colui che importa e immette per primo sul mercato.

  STEFANO VIGNAROLI. Come è possibile che lo stesso soggetto dichiari una cosa e poi ne scriva un'altra nel pubblico registro?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. La domanda implica una risposta abbastanza complicata. Bisogna tenere conto del fatto che se uno dichiara un quantitativo ai sistemi collettivi, paga in base a quel quantitativo, quindi l'attesa che avevamo era che il valore fosse più basso per cercare di sottrarsi al pagamento, invece la realtà è diversa. Devo dire che, cercando di interpretare le problematiche, non è così agevole fare delle dichiarazioni in questo registro istituito dalle Camere di commercio, quindi alcuni produttori, soprattutto quelli piccoli...

  STEFANO VIGNAROLI. C'entra forse qualcosa il commercio on line?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No, il commercio on line genera problematiche perché è estremamente grande, voluminoso, ma il soggetto che in Italia esercita l'attività di commercio on line, se importa dall'estero, di fatto, è un produttore e può dichiarare normalmente l'immesso sul mercato. Una piccola impresa, un piccolo importatore trova spesso difficoltà a interfacciarsi con il registro e con la Camera di commercio.

  LAURA PUPPATO. Lo scarto fra i due dati: siamo nell'ordine di una percentuale minima?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. In ordine di percentuale minima: sto parlando del 4-5 per cento, però è stupefacente il fatto che...

  PRESIDENTE. Che uno dichiari di più dove paga...

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sulle domande che erano state poste, spero di avervi dato un quadro completo.

  LAURA PUPPATO. Una curiosità per meglio comprendere la materia. Quando lei ha iniziato a descrivere questa situazione, io ero molto soddisfatta perché una crescita del 14 per cento della raccolta di RAEE in Italia, pari a 4 chili e 700 per abitante, non era banale, anche perché la crescita in termini di PIL da un anno all'altro è dell'1 per cento, quindi, anche facendo un parallelo, è un 13 per cento in più.
  Vorrei capire, quindi, innanzitutto se questo 14 per cento sia una percentuale assoluta e si rifaccia al fatto che l'anno scorso avevamo il 30 per cento soltanto di trattamento dei RAEE acquistati, che sono passati attraverso il commercio e registrati dalle imprese, oppure se è invece un 14 per cento in assoluto, cioè se quel 14 per cento è la percentuale in aumento.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. È una percentuale in aumento.

  LAURA PUPPATO. Il valore qual era?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Siamo passati da 250.000 a 283.000 tonnellate. Sono due gli elementi che favoriscono questa crescita, innanzitutto il fatto che, man mano, l'Italia si sta infrastrutturando, anche se poco (nel senso che potrebbe essere di più) e questo favorisce una cultura in alcune aree...

  LAURA PUPPATO. Diciamo che stanno perdendo attrattività quelle tipologie di trattamento Pag. 10 che, oltre ad essere pericolose e inadeguate, sono anche al di fuori del controllo che esiste nell'ambito del consorzio RAEE.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Le do un'indicazione per riuscire a comprendere il fenomeno: prima delle vacanze estive e dopo le vacanze estive del 2016, il ferro è sceso del 40 per cento. Questo fenomeno fa sì che ci sia una minore attrattività per chi deve gestire questi rifiuti, tant'è vero che l'incremento maggiore che abbiamo visto è nel raggruppamento dei grandi elettrodomestici bianchi non legati ai frigoriferi, quindi lavatrici, lavastoviglie e quant'altro, che hanno come percentuale maggiore il ferro come metallo presente, pertanto non diventava più così conveniente gestirlo al di fuori del circuito dei sistemi collettivi.
  I sistemi collettivi hanno una contribuzione in denaro su questo, che danno ai centri di raccolta per fare efficienza. L'elemento di efficienza economico e il valore della materia prima seconda, che è andato a scendere, hanno contribuito a un'emersione dei quantitativi, non ancora sufficiente a raggiungere quelli che sono gli obiettivi che abbiamo ma, sicuramente, molto positiva: il trend di quest'anno conferma un più 11 per cento sul mese dell'anno precedente. Possiamo dire che, una volta entrati in un sistema gestito dai sistemi collettivi, i soggetti conferitori (comuni, società di gestione della raccolta o distributori) difficilmente lo abbandonano, anche perché fornisce garanzie di sicurezza e di trattamento adeguato.

  LAURA PUPPATO. Le risulta che ci siano stati interventi da parte della Guardia di finanza, del NOE o piuttosto di altri Corpi, che siano andati a verificare i centri che non aderiscono ai RAEE e l'eventuale mancato smaltimento di materia pericolosa contenuta all'interno? Le risulta che ci sia stato, quindi, anche un volano positivo determinato dai controlli fatti?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Non ho una conoscenza diretta di questo (non posso dirglielo perché non ho visto un incremento così rilevante di luoghi che si sono iscritti).

  LAURA PUPPATO. Mi dice la ragione per cui inizialmente era così ottimista rispetto alle percentuali del 45 per cento indicate dall'Unione europea per il 2017, che poi diventa il 65 per cento per il 2019, stante il fatto che oggi siamo ancora al 36?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. È per questa crescita che stiamo vedendo, che continua nel tempo. Si consolidano delle posizioni di soggetti che continuano a conferire in quantitativi via via crescenti, quindi la preoccupazione maggiore è legata ai luoghi dell'Italia che non hanno le infrastrutture. Oggi, più di una regione o un comune dispone di possibilità di conferire questi rifiuti, maggiore è la raccolta: il rapporto è diretto.

  LAURA PUPPATO. Ma non compete al vostro consorzio la creazione delle infrastrutture?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No, noi partecipiamo con un fondo, che è stato creato insieme all'ANCI perché è richiesto nell'accordo di programma, ma il sistema è un sistema all actors, cioè ognuno è libero di gestire i RAEE e, di fatto, come prevede la normativa, la raccolta compete ai comuni o ai distributori, quindi sono i comuni che devono infrastrutturare.

  LAURA PUPPATO. Ci potrebbe far avere l'elenco con la situazione per regione? Sarebbe utile alla nostra valutazione.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sì, assolutamente.

  LAURA PUPPATO. Mi ha stupito la modalità con cui voi ritenete di essere nella condizione di valutare preventivamente che non esistono distorsioni nel mercato, queste ultime date da prezzi di trattamento del Pag. 11materiale che facciano presumere un'attività non corretta, se non anche illecita, nel senso che avete una valutazione che nasce da un listino: siete così precisi da riuscire esattamente a valutare il costo orario per lavorazione, ossia 15 euro l'ora per il dipendente, 22 per il tecnico e via dicendo? Avete un formulario così preciso da capire dove si annida la distorsione? L'Italia è anche lunga, quindi valutazioni economiche nord/sud non sono semplici.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Noi effettuiamo i controlli sui nostri 15 consorziati che, come vi dicevo prima, operano in tutta Italia, quindi, nel momento in cui si entra a fare un controllo su questi soggetti, viene chiesto loro di mostrare i loro contratti e le attività svolte in tutta Italia. Chiaramente, nel momento in cui vado a costruire un conto economico, non posso misconoscere che abbia dei costi in determinate zone (i quantitativi sono altrettanto conosciuti); ne deriva, quindi, un costo minimo che il sistema collettivo deve sostenere («x» milioni di euro in quell'anno), per i quali è necessario che ci si approvvigioni di denaro perché sono i produttori che hanno l'obbligo di raccolta. Il nostro controllo è focalizzato sul fatto che i sistemi collettivi si comportino in maniera corretta, rispettando i costi da un lato e coprendo dall'altro questi costi con i ricavi che servono per effettuare questo tipo di attività.

  LAURA PUPPATO. Quindi, quelli che sono i costi in realtà dichiarati...

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sono i costi che derivano dalla contrattazione, da quello che il mercato offre. Chiaramente, il mercato è assolutamente libero da un lato di ricevere i RAEE, dall'altro di fare delle offerte ai sistemi collettivi. Come dicevo, il 98 per cento dei RAEE gestiti dai sistemi collettivi, fa sì che tutti gli impianti tendano a lavorare con i sistemi collettivi e facciano la loro migliore offerta. Aggiungo una cosa per conoscenza: oggi gli oneri della logistica pesano quasi il 60 per cento sul costo totale di gestione di un RAEE ritirato da un centro di raccolta, quindi la parte di logistica incide veramente tanto, anche perché la logistica è solo costo, mentre l'attività di trattamento genera sicuramente costi ma anche alcuni ricavi. L'onere maggiore che si sostiene oggi è proprio per la parte logistica ed è il motivo per cui in Italia esistono impianti in quasi tutte le regioni: non ci si allontana mai tanto dal luogo in cui questi si sono prodotti per una questione di costi eccessivi.

  PRESIDENTE. Da questo ragionamento, che fila, mi verrebbe da dire che è molto strano che ci siano alcune regioni che non abbiano centri di raccolta perché sono nicchie di mercato assolutamente interessanti, quindi ci dovrebbe essere un interesse anche da parte delle amministrazioni pubbliche o dei comuni ad avere dei centri. Non so se abbiate calcolato quanti abitanti dovrebbe servire un centro di raccolta.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Lo suggerisce la Comunità europea in uno studio e ci troviamo perfettamente d'accordo: almeno uno ogni 20.000 abitanti, quindi cinque centri di raccolta ogni 100.000 abitanti. Tenete conto che ci sono grandissime differenze tra servire una grande città o dei piccoli comuni. Spesso abbiamo regioni come l'Emilia-Romagna dove si ha la copertura al cento per cento e tutti i singoli comuni sono in grado di conferire, anche se hanno meno di 20.000 abitanti; lo stesso vale per il Trentino-Alto Adige. È chiaro che, da questo punto di vista, la dislocazione, purtroppo, non è omogenea. È vero che ci dovrebbe essere un interesse, è vero che c'è un obbligo, quindi, come recita la normativa, il comune dovrebbe dare ai cittadini la disponibilità di un centro dove conferire, ma è anche vero che la raccolta differenziata non viene fatta ovunque, quindi se è vero che questo è un bene e che una volta diventato rifiuto deve essere raccolto in maniera differenziata, tuttavia se non ho le strutture, ciò diventa molto difficile.

  STEFANO VIGNAROLI. Si potrebbe avere una mappatura della dislocazione di questi impianti, così da renderci conto?

Pag. 12

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Impianti o centri di raccolta?

  STEFANO VIGNAROLI. Lei parlava di una dislocazione uno ogni 20.000 abitanti per i centri di raccolta, quindi sia dei centri di raccolta che degli impianti che trattano...

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Ci sono praticamente in tutte le regioni, a parte forse la Valle d'Aosta.

  STEFANO VIGNAROLI. Se quindi si può avere questa mappatura, sia del centro di raccolta che degli impianti, sarebbe utile. Faccio però ancora fatica a capire bene. Ad esempio, se voglio disfarmi di questo cellulare, il 60 per cento del rifiuto elettronico non passa per questi centri di raccolta, quindi potrei decidere di buttarlo nel secchio e andrebbe in discarica, a meno che un comune virtuoso non lo intercetti, però potrei anche andare dove l'ho comprato, che è una grossa catena commerciale – come accade di frequente – e restituirlo (a parte che molti cittadini ignorano questa possibilità), oppure darlo al centro di raccolta del comune. Se, come ci è stato illustrato anche dalla Forestale l'anno scorso, lo consegno a questa catena commerciale, ho la garanzia che poi venga portato nel centro di raccolta? Secondo la Forestale o la Guardia di finanza, purtroppo, neanche queste famose catene commerciali hanno poi un registro di quello che acquisiscono dal cittadino e spesso danno questi apparecchi a padroncini, o comunque si seguono vie illegali: è così o non è così? Quanto è diffuso questo fenomeno? Dico ciò per capire la composizione di quel 60 per cento che non segue...

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sicuramente in quel 60 per cento c'è questo tipo di fenomeno: che sia l'1 contro 1, sia l'1 contro 0 non siano completamente conosciuti dai cittadini italiani è un'affermazione facile da fare. Anche recenti studi hanno identificato un tasso di conoscenza abbastanza basso; che ci siano catene che promuovono questo tipo di scambio è sicuramente vero, ma che ci siano soggetti che non fanno ciò è altrettanto vero; riuscire a definire quali sono i parametri non è così facile sul territorio. Sicuramente, è vero che un certo numero di soggetti che effettuano il ritiro, almeno nel caso dell'1 contro 1, è censito individualmente: nel momento in cui questo c'è, esiste un documento, ma non è detto che poi si continui a conferire a un soggetto che si comporterà successivamente in maniera corretta con questi rifiuti.

  STEFANO VIGNAROLI. Hanno l'obbligo di farlo?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Hanno l'obbligo di conferirli correttamente, questo sì, ma che poi lo facciano è tutt'altra cosa! Tenete conto che se sono un commerciante in un comune senza centro di raccolta, laddove la normativa mi consente di conferire, di fatto ho un problema da risolvere ed è un problema oneroso per il singolo distributore. Il centro di coordinamento e i sistemi collettivi vanno a ritirare anche presso i distributori secondo dei carichi veramente minimi (stiamo parlando, nel caso di telefonini e piccoli elettrodomestici, di 300 chili, che si possono ottenere in un periodo sufficientemente lungo). Il numero dei soggetti iscritti è 202, quindi sappiamo che ne esistono tanti di più, ma i soggetti che usufruiscono di questo servizio sono in numero contenuto.

  STELLA BIANCHI. Lei diceva che hanno l'obbligo e quindi è questo che la Guardia di finanza potrebbe controllare: c'è un obbligo sanzionabile!

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Assolutamente sì.

  STELLA BIANCHI. Mentre quello che i comuni assicurano non è sanzionabile?

Pag. 13

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No. Non ho mai visto sanzionare un comune perché non ha realizzato il centro di raccolta comunale.

  STELLA BIANCHI. Prima diceva che al diminuire del prezzo del ferro, è aumentata la quota riportata nei centri di raccolta autorizzati. Questo ci fa pensare che qualcuno abbia un interesse economico specifico per non portarlo nel centro di raccolta.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sì, esattamente. Il valore della materia prima ferro è palesemente correlato all'incremento dei rifiuti nel momento in cui scende e, sicuramente, a una diminuzione dei quantitativi conferiti correttamente nel momento in cui dovesse salire. Se mi trovo 10 chili di ferro e li posso vendere, non tutti sicuramente li vendono con tutti i documenti; ho un margine di guadagno molto elevato e se c'è un interesse che, man mano, scema anche economicamente, il discorso diventa complicato, anche perché questo materiale non è immediatamente disponibile, bisogna lavorarlo.

  STELLA BIANCHI. Quindi, quel volume che non è tracciato non è tale, evidentemente, solo per una difficoltà logistica a trovare un centro?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No, c'è un interesse da parte di alcuni perché, ricevendo il materiale con il codice del ferro, questo non è più un codice di quelli dei RAEE e quindi non lo intercetto più; se è un ingombrante che raccoglie tanti elementi insieme, si perde all'interno di questo codice la possibilità di identificare specificatamente i RAEE e questo crea, chiaramente, dei problemi.

  STELLA BIANCHI. Lei diceva che il registro dell'immesso in Italia è a livelli molto inferiori rispetto a Francia e Gran Bretagna, ma è a livello inferiore quanto il produttore immette sul mercato di prodotti nuovi?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sì, per apparecchiature elettriche ed elettroniche, quindi la parte nuova.

  STELLA BIANCHI. Quindi di queste apparecchiature il volume è diverso?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Non tornano i numeri nel momento, per cui si suppone che l'Italia abbia un immesso sul mercato non uguale ma analogo a quello di altre nazioni, ma non la metà. Non tornano i conti, quindi, dal punto di vista delle dichiarazioni di immesso sul mercato, che generano le responsabilità economiche per i produttori di occuparsi dei prodotti a fine vita ma...

  STELLA BIANCHI. Ma che generano anche il fatturato, l'imponibile dei produttori e dei venditori: sembra quasi essere l'indicatore di qualcosa che non va.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Può essere questo o può essere il fatto che uno si dimentichi di dichiararlo al registro, pur facendo tutte le operazioni fiscalmente in maniera corretta. Il dato che dovrebbe pervenire a noi è quello del registro, quindi se un produttore non dichiara...

  STELLA BIANCHI. Voi non avete incrociato i due registri?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Il problema è che la visibilità del registro pubblico non è data al centro di coordinamento. Noi, più volte, abbiamo insistito con il Ministero, anche perché reputiamo di essere i soggetti che possono meglio fare il controllo perché conosciamo la parte economica, quindi meglio possiamo fare un servizio al Ministero perché abbia dei dati verificati: sono anni che chiediamo al Ministero di avere accessibilità e visibilità a questi dati. Peraltro, Pag. 14non c'è alcuna riservatezza perché gli stessi produttori dichiarano al sistema collettivo, o meglio pagano al sistema collettivo, quindi c'è una obiettiva contezza economica, tuttavia non abbiamo ancora avuto questo tipo di accesso. È un'attività di servizio, come altre che abbiamo proposto, proprio per semplificare. Voi siete sicuramente persone competenti, addentro nella materia dei rifiuti, ma potete comprendere le difficoltà che ci possono essere in un segmento così specifico: chi come noi se ne occupa tutti i giorni, può cercare di aiutare, di fornire una serie di elementi al comitato di vigilanza e controllo, ai Ministeri, a voi stessi nel momento in cui dovete ragionare su questi temi.

  ALBERTO ZOLEZZI. Per capire il concetto di quanto viene immesso in vendita come prodotti, la raccolta percentuale di RAEE in Francia e in Gran Bretagna è meno rispetto a quella italiana, se ho capito bene?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No, la raccolta è superiore.

  ALBERTO ZOLEZZI. Più o meno?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. In Francia stiamo parlando di circa 8 chili per abitante.

  ALBERTO ZOLEZZI. Lei però ha detto 40 per cento in Italia, quindi, in percentuale?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Saremo leggermente sopra la percentuale italiana. Lo sfidante 45 per cento della Comunità europea, posto all'inizio del 2012, probabilmente anche per altre nazioni è sfidante.

  ALBERTO ZOLEZZI. Nel bilancio dell'ANCI 2015, nella sezione ricavi dai progetti, la voce RAEE riporta 8,8 milioni di euro. Volevo capire se CDC RAEE sia a conoscenza della cifra e se siano soldi arrivati dal centro di coordinamento. Nell'accordo ANCI-CDC RAEE sono previste risorse per circa 1,5 milioni di euro all'anno da CDC ad ANCI.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. L'accordo ANCI – Centro di coordinamento, produttori e aziende della raccolta, a cui si fa riferimento, prevede una serie di attività che competono al centro di coordinamento in erogazioni di denaro all'ANCI, per un totale di 750.000 euro all'anno, quindi io non ho contezza del valore che lei ha citato prima.

  ALBERTO ZOLEZZI. Perfetto, la risposta a me sta bene. La seconda domanda: la chiusura della filiera dei RAEE in Italia sta migliorando o no? Noi importiamo il coltan da varie nazioni, per esempio, arriviamo a fare la fusione dell'oro o continuare a spedire tutto in Scandinavia, quindi non riusciamo ad avere questo recupero. Il coltan dei telefonini (ho visto lo studio di Greenpeace, solo 16 per cento) si prova a recuperarlo? Il coltan che importiamo per i cellulari viene dall'Africa o più che altro dalla Nuova Zelanda? So che va un po’ oltre, però per capire la filiera è importante.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Sulla domanda riguardante l'immissione delle apparecchiature, sinceramente, occupandomi del mondo dei rifiuti, non so rispondere. Le posso dire questo: la filiera del trattamento, nel tempo, in Italia, si è evoluta e quindi da alcuni materiali, che sono di base facilmente recuperabili, come i metalli, si è passato a recuperare anche plastiche o altri componenti, come le terre rare. Esistono, quindi, in Italia impianti che hanno sviluppato la filiera. Esistono anche impianti che, per recuperare materiali presenti in quantità estremamente contenute all'interno di alcuni apparecchi, necessitano di soluzioni estremamente sofisticati e grandi, che lavorano su grandi volumi (ce ne sono di questi in Europa, soprattutto in nazioni che prima di noi avevano cominciato a fare Pag. 15questa raccolta). L'entità del trattamento in Italia garantisce di recuperare alcuni materiali immediatamente e di avviare al trattamento per ottenere altri materiali, anche in altre nazioni europee. Per quanto riguarda le altre domande, sinceramente non ho elementi per risponderle.

  ALBERTO ZOLEZZI. Il recupero dell'oro in Italia da qualche parte avviene o lo mandiamo...

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Avviene, per esempio, che la filiera aretina, la quale storicamente ha un mercato orafo, ha sviluppato nel tempo impianti che si occupano specificatamente del recupero di questi metalli. Tenete conto che il quantitativo in un chilo di RAEE di questi metalli nobili è veramente poco, quindi è necessario concentrare alcune parti di questi materiali per procedere poi al recupero.

  ALBERTO ZOLEZZI. Per quanto riguarda lo studio di Greenpeace, secondo cui meno del 16 per cento dei cellulari sono recuperati, a lei risulta qualcosa in questo senso?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Non sono in grado di risponderle perché la raccolta avviene nel raggruppamento 4, che è previsto in una sorta di insieme di apparecchi, quindi è una contribuzione che va dalla macchina per l'attività ginnica al frullatore e anche ai cellulari. Non so come questo dato possa essere considerato da chi immette questi dati sul mercato perché non sono nella disponibilità (peraltro, anche facendo dei campionamenti, in accordo con l'ISPRA, di natura merceologica abbiamo distinto questo in categorie). Le categorie sono quelle legate al decreto 49 e alla direttiva; i cellulari sono una sottocategoria di una categoria molto grande, quindi diventa praticamente impossibile conoscere questo dato partendo dalle informazioni che abbiamo.

  ALBERTO ZOLEZZI. Il progetto europeo Ewit, a cui partecipa anche il consorzio Remedia, che è uno degli associati del CDC RAEE, è attivo in vari Paesi, anche dell'Africa, noti per traffici di RAEE a volte considerati opinabili, ossia non completamente corretti. Mi risulta che sia coinvolto anche il Sudafrica: c'è qualche ruolo del Sudafrica nelle spedizioni transfrontaliere dei RAEE lecite o lecite, che le risulti?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Non sono in grado di rispondere su questo, nel senso che non conosco le spedizioni transfrontaliere.

  PRESIDENTE. Per quanto riguarda i vostri associati, avete mai verificato qualche situazione di qualche azienda che sia stata attenzionata per traffici illeciti di materiale?

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. No, per quanto riguarda i nostri consorziati no.

  PRESIDENTE. La ringrazio. È stata fatta la richiesta di avere indicazioni rispetto agli impianti e ai centri di raccolta.

  FABRIZIO LONGONI, Direttore del Centro di coordinamento RAEE. Saremo in grado di mandarvela abbastanza velocemente perché siamo in pubblicazione del rapporto annuale del 2016, quindi disponiamo già di tutto. Nell'arco di dieci giorni potrò inviarvi tutto.

  PRESIDENTE. La ringrazio e dichiaro conclusa la seduta.

Audizione di rappresentanti
di FISE-UNIRE.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione dei rappresentanti di FISE-UNIRE, che ringrazio della presenza. In particolare, è presente il dottor Andrea Fluttero, presidente, accompagnato dalla dottoressa Maria Letizia Nepi, segretario generale di FISE-UNIRE.
  L'audizione odierna si svolge nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione Pag. 16sta svolgendo sul mercato del riciclo. Attraverso i consorzi, attraverso le associazioni, ci si occupa fondamentalmente del tema del riciclo, da un lato per provare a quantificare le problematiche connesse a una «mala gestione» del sistema, dall'altro per cercare di raccogliere elementi utili in quanto legislatori. Vorremmo capire come cercare di rendere più efficiente ed efficace il sistema, se cioè si possano anche fare degli aggiustamenti di carattere legislativo. Non ultima, c'è una questione che ha riguardato soprattutto i consorzi, collegata al tema sollevato anche dall'Authority per la concorrenza, concernente alcune attività di carattere legislativo. Stiamo cercando di approfondire anche su questo versante. Sono cambiate molto le situazioni riguardo al mercato del riciclo rispetto agli obiettivi di quando nacquero i consorzi. Oggi, una rivisitazione ragionata del sistema forse va fatta. Questi sono gli elementi di cui ci stiamo occupando.
  Ricordo che la Commissione si occupa di illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo di depurazione delle acque. Avverto i nostri ospiti che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte dal segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Cedo quindi la parola al dottor Fluttero per lo svolgimento di una breve relazione introduttiva, al termine della quale qualche commissario sicuramente le rivolgerà qualche domanda. Decidete voi, eventualmente, se e quando la dottoressa deve intervenire.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Ringrazio di quest'opportunità che ci viene offerta. FISE-UNIRE rappresenta una serie di filiere del recupero e del riciclo con diverse associazioni. Sotto la sigla UNIRE (Unione nazionale imprese recupero e riciclo), che vorremmo cambiare in una più auto-esplicativa – questa sigla non dice molto e per alcuni sta per Unione nazionale implemento razze equine, quindi crea confusione – vorremmo essere i rappresentanti dei recuperatori, ovvero delle aziende che si occupano di recuperare e riciclare.
  Si tratta di un mondo poco conosciuto. Di economia circolare, di economia del recupero e del riciclo parlano, giustamente, i politici, che disegnano lo scenario e scrivono le leggi, gli ambientalisti, i consorzi che rappresentano normalmente i produttori e che quindi concretizzano la responsabilità estesa dei produttori. Raramente, però, parlano le aziende che mettono le mani nei rifiuti e cercano di lavorare per trasformarli in materie prime seconde. Si dice spesso, quando si parla di quest'argomento, che in Italia siamo avvantaggiati dalla nostra storia, con il solito discorso di un Paese povero di materie prime, per cui, da sempre, abbiamo dei settori che si sono sviluppati con delle capacità di recuperare e riciclare. Questo è vero, ma solo in parte. Queste attività si sono sviluppate in modo sussidiario, accessorio a quella che era la gestione del rifiuto che doveva essere smaltito. Prima, infatti, si facevano delle buche, delle discariche e si buttava tutto dentro. Se c'era del materiale buono, qualche imprenditore, qualche italiano intraprendente si interessava di questo materiale buono da recuperare, pensando magari a come recuperarlo e riciclarlo. Successivamente siamo andati verso il recupero energetico e abbiamo sempre avuto recupero e riciclo come sistemi accessori allo smaltimento o alla trasformazione energetica del rifiuto. Oggi, quando parliamo di economia circolare, abbiamo un sistema di imprese che nasce da quella storia, ma si sviluppa anche con ricerche tecnologiche, con l'esigenza di fare innovazione e ricerca per trovare dei nuovi modi per recuperare più materiale possibile. L'indicazione della politica, non solo europea ma anche nazionale, è di privilegiare sia il riuso, sia il recupero di materia e, solo dopo, il recupero di energia.
  Abbiamo, quindi, un'industria del recupero e del riciclo non più solo ausiliaria, Pag. 17ma che è essa stessa il cuore della nuova modalità con la quale viene chiesto al sistema Paese di gestire i rifiuti. Questo cambia le prospettive: vuol dire che abbiamo bisogno di ricerca e innovazione per le nostre aziende. Abbiamo bisogno che le nostre aziende siano competitive in un mercato nel quale i flussi dei prezzi delle materie prime variano. L'aspetto che segnaliamo spesso è quello dell'esigenza per cui i consorzi dei produttori, che hanno una responsabilità sul fine vita dei loro prodotti, non intervengono più di tanto sulla questione del sostegno alla raccolta. La raccolta, ormai, è quella: è consolidata, non c'è più niente da scoprire, non dobbiamo fare grandi investimenti per la raccolta. Si fa un po’ di comunicazione, ma quando le buone amministrazioni locali propongono ai cittadini un sistema ormai stabile, standardizzato, i cittadini lo applicano. Quando ciò non viene applicato, come in alcune parti del nostro Paese, dove non c'è una buona raccolta differenziata, non è perché i cittadini siano birichini ma perché le pubbliche amministrazioni non offrono un sistema ormai considerato normale. Insomma, non c'è bisogno di grandi investimenti per sostenere la raccolta. Riteniamo, invece, che ci sia bisogno di investimenti per sostenere la ricerca per l'innovazione. I produttori degli oggetti che vanno a fine vita, sono spesso grandi gruppi industriali. Pensiamo ai rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche: le grandi case che producono apparecchi elettronici sono multinazionali che hanno dimensioni importanti e fanno ricerca. Le piccole e medie aziende italiane che si occupano di recuperare e riciclare, invece, non hanno certamente le dimensioni, quindi la capacità, di investire in ricerca. C'è quindi il bisogno di far parlare la ricerca pubblica.
  UNIRE, ad esempio, sta definendo un accordo con ENEA per mettere a disposizione ricerca pubblica alle nostre imprese (altrettanto vale per le nostre imprese con la ricerca pubblica), in modo che si parlino e utilizzino le competenze in maniera efficace. C'è bisogno di trovare un sistema che ci aiuti a essere competitivi in un mercato che, come dicevo, ha prezzi sulle materie prime che cambiano, che sono altalenanti. In alcuni periodi ci sono margini che consentono alle aziende di stare in piedi, in altri i prezzi delle materie prime crollano per le dinamiche del petrolio e di geopolitica o di economia internazionale. In questo modo le nostre aziende non riescono a vendere materiale. Forse il ruolo dei consorzi e della responsabilità estesa ai produttori, deve cominciare a pensarsi spostata dal sostegno alle raccolte a un sostegno alla collocazione sui mercati delle materie prime nei diversi periodi di oscillazione del prezzo. Questo è un argomento che crediamo sia importante. Altro aspetto che giudichiamo molto importante è il dialogo, la collaborazione con le forze dell'ordine. Noi abbiamo la speranza di rappresentare aziende sane e imprenditori onesti: gli imprenditori disonesti sono concorrenza sleale per noi. Abbiamo bisogno di far pulizia in questo nostro mondo, proprio a tutela e a vantaggio degli imprenditori che svolgono correttamente il loro mestiere. Abbiamo bisogno di comprare materiale da lavorare, rifiuti, a prezzi convenienti, quindi abbiamo interesse, che coincide peraltro con quello dei cittadini, a che le raccolte costino il giusto (non dico poco, ma il giusto).
  Vengo all'accenno del presidente al tema dell'Authority per la concorrenza e dico che se c'è un po’ di concorrenza sulle raccolte, probabilmente il rifiuto può essere ceduto a prezzi, a costi interessanti. Se, quindi, un'azienda che trasforma ha un rifiuto che entra a costi competitivi, si riesce anche ad avere come output una materia prima seconda a costi di mercato. Se, invece, la raccolta costa molto cara, diventa difficile collocare le materie prime seconde.
  Sono molti gli aspetti che possono essere oggetto di affinamento per ottimizzare i risultati del sistema industriale che si sta concretizzando e consolidando sul tema dell'energia circolare. Oserei dire che, laddove si parla spesso di semplificazione da parte del mondo industriale come di un elemento essenziale, noi parliamo sì di semplificazione, ma nella specializzazione. Ogni filiera ha bisogno di una specializzazione, Pag. 18di norme, di regole specifiche per quella filiera. Allo stesso modo, le aree di illegalità, le aree grigie, sono diverse da filiera a filiera.
  Credo che un dialogo abbastanza costante tra chi rappresenta le imprese di queste diverse filiere e le istituzioni sia molto utile per affinare le norme e le regole che servono a ogni filiera. Cito l'esempio dell'esportazione: come principio, se esportare materiale che possiamo lavorare qui è sbagliato, ci sono certamente dei settori nei quali ciò non è proprio possibile, cioè non è industrialmente razionale lavorare tutto il materiale raccolto qui nel nostro Paese. Nel caso banale della carta, ad esempio, gli imballaggi vengono utilizzati dove si produce la merce, quindi, oggi, ahimè, essendoci stata una forte delocalizzazione della produzione, nei Paesi asiatici. È evidente che se tutti i prodotti sono consumati qui, quando trovo l'imballaggio qui e lo raccolgo, se lo lavoro tutto qui, produco altri imballaggi che poi non so a chi vendere perché dalla Cina non mi comprano le scatole. Il valore dell'imballaggio nuovo ottenuto da materiale da riciclo, più il costo del trasporto, mi manda fuori mercato. Quello che il sistema industriale è in grado di produrre e di vendere qui è giusto che resti qui, mentre il resto è giusto che possa essere valorizzato nei Paesi nei quali c'è domanda. Ci sono delle dinamiche che cambiano da un settore all'altro.
  I rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche, che hanno all'interno una serie di componenti di pregio, è bene che vengano lavorati tutti qui piuttosto che finire da altre parti e poi, magari, lavorati anche malamente. Le auto sono un altro esempio pratico che ci tocca. Bisogna capire come ogni filiera abbia le sue aree grigie, che vanno però comprese e che vogliamo aiutarvi a comprendere perché le viviamo anche come concorrenza sleale.
  Se le auto a fine vita vengono smontate in Italia, demolite qui, abbiamo la garanzia, regione per regione, provincia per provincia, a seconda della qualità del livello della pubblica amministrazione locale, che venga effettuata una bonifica e una messa in sicurezza a regola d'arte; abbiamo quindi una ricaduta ambientale corretta e rimane nel nostro Paese tutto il riusabile. In linea con la gerarchia europea per la gestione dei rifiuti, il riuso deve essere privilegiato, quindi tutti i pezzi di ricambio che possono essere oggetti di mercato, pezzi di ricambio usati, restano nel nostro Paese. Infine, anche l'acciaio recuperato dalla carcassa rimane nel nostro Paese e le nostre acciaierie possono approvvigionarsene. Se, invece, scorrettamente, l'auto a fine vita viene venduta in Paesi diversi dal nostro come auto usata e non come rifiuto, ma il giorno dopo, una volta effettuata l'esportazione, diventa rifiuto perché chi l'ha comprata «si accorge» che è una porcheria, che si sono sbagliati a comprarla e la demoliscono, magari non rispettando i criteri ambientalmente corretti imposti nel nostro Paese, oltre al danno ambientale c'è la beffa industriale. Ci ritroviamo, infatti, i pezzi di ricambio in un altro Paese e dobbiamo andarci a comprare in un altro Paese persino grandi quantità di acciaio che servono alle nostre industrie. Capite, quindi, che ogni filiera ha le sue caratteristiche, le sue esigenze. Per noi sarebbe estremamente utile avere un dialogo costante con le istituzioni, che sono quelle che progettano e hanno progettato l'economia circolare. Essendo i nostri imprenditori, quelli che cerchiamo di rappresentare, persone che hanno deciso di investire in questo settore, essi vogliono far ciò con il corretto ricarico, il corretto ricavo economico, senza rischiare di essere scavalcati da concorrenti sleali, ma anche senza rischiare – questo è un altro aspetto a cui teniamo molto – di essere accomunati in un giudizio negativo con tutti quelli che si occupano di recupero e riciclo.
  Un'altra cosa che i nostri imprenditori, infatti, patiscono molto – concludo e poi siamo a disposizione per qualsiasi questione possa interessare la Commissione – è di essere vittime di un certo pregiudizio. Per il solo fatto di occuparsi di rifiuti e di economia circolare, essi hanno l'impressione di essere guardati con sospetto. Ovviamente, questo crea preoccupazione, anche se vi è un errore commesso in buona fede, in quanto ciò avviene all'interno di Pag. 19una normativa spesso non stabile, non costante, che si presta, alle volte, a interpretazioni diverse da una dogana all'altra, da un controllore all'altro. Sarebbe interessante avere una maggiore uniformità nei controlli, una maggiore specializzazione nelle forze dell'ordine che si occupano di questi controlli. Si rischia, pensando di aver fatto tutto correttamente, di incappare in un'interpretazione discutibile e, magari dopo tre anni, un giudice gli dice che si sono sbagliati. Intanto, però, si è finiti sui giornali come persone inquisite e denunciate per traffico illecito di rifiuti e un sacco di altre cose, che sono gravissime, se vere. Questo è un altro aspetto a cui teniamo molto.
  Gli imprenditori, peraltro, possono fare gli imprenditori anche nel settore delle brioche, ma se vedono che questo è un settore così «pericoloso», possono lasciar perdere e fare altro. Questo, credo, non sia nell'interesse del nostro Paese. Noi abbiamo bisogno di un'imprenditoria sana, che investa in questo settore, cercando di fare correttamente il proprio mestiere, sempre se la politica lo vuole. Se, diversamente, la politica dovesse decidere che tutta la partita rifiuti deve essere gestita dal pubblico perché del privato non ci si può fidare, lo si dice: i nostri vendono gli impianti alle multiutility e vanno a fare un altro mestiere! Far ciò, però, a dispetto dei santi, non conviene a nessuno. Io credo, invece, che il nostro Paese possa far crescere molto questo settore perché c'è una storia, perché c'è capacità di innovazione, perché siamo avanti a molti altri Paesi europei sulla gestione dei rifiuti. Mi spiace molto, personalmente, da italiano, vedere certi servizi televisivi nei quali vengono messe in evidenza esclusivamente situazioni critiche nel nostro Paese, mettendole a confronto con situazioni in altri Paesi europei che, per noi che siamo del settore, non hanno assolutamente nulla di straordinario, nulla di rivoluzionario. Spesso siamo anche avanti a loro, ma c'è un po’ questa tendenza a descrivere la situazione nel nostro Paese sempre in maniera molto catastrofica e negativa. Ciò ci dispiace molto: lavoreremo – stiamo lavorando – per cercare di comunicare meglio quello che siamo in grado di fare come imprese italiane.

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario generale di FISE-UNIRE. Vorrei approfondire alcuni aspetti che sono stati toccati dal presidente, che si è soffermato in particolare sugli aspetti economici del mercato e sull'incrementare la competitività dei materiali riciclati. Tuttavia, non sono di secondaria importanza anche altri aspetti più legislativi, normativi, che influiscono profondamente sull'operatività dell'impresa. Le nostre imprese, per sbloccare questo circolo virtuoso dell'economia circolare, hanno bisogno di una normativa stabile (quindi, che si eviti l'ipertrofismo legislativo) ma anche chiara. Noi notiamo, come settore, che purtroppo ci sono molti aspetti – ne citerò solo alcuni – su cui c'è bisogno di una regolamentazione più specifica e più chiara, a cominciare da tutto il problema delle autorizzazioni. Da tempo chiediamo una linea guida nazionale per i contenuti minimi delle autorizzazioni. Come anche questa Commissione saprà benissimo, l'Italia è molto a macchia di leopardo sui contenuti autorizzativi. Io sono stata, qualche tempo fa, a un colloquio con il direttore dell'agenzia per la promozione della ricerca europea, anche per cercare di capire come portare i programmi comunitari nelle nostre imprese, in particolare l'Horizon sulla ricerca e lo sviluppo tecnologico, cioè quello che citava il presidente. Entrambi abbiamo convenuto sul fatto che se, però, c'è una tara di base nelle nostre aziende, che impedisce alle sperimentazioni di essere portate avanti per un problema autorizzativo, questo rischia di bloccare tutto il processo dell'economia circolare.
  Un altro fattore che limita fortemente questo processo è, per esempio, dato dal fatto che non si capisce sempre con chiarezza quale sia la fine del rifiuto. Questo non è solo un fatto banale o accademico, è un problema che riguarda proprio la possibilità di aprire nuovi mercati ai materiali riciclati. Sapete sicuramente meglio di me che se un materiale viene definito come rifiuto, deve necessariamente sottostare a una serie di regolamentazioni e controlli. Pag. 20Anche i decreti End of Waste, allo studio, prevedono una serie di vincoli, per esempio sul deposito di questi materiali, con la dichiarazione di conformità, la dimostrazione di requisiti specifici, elementi che comunque attestano come questo materiale, questo rifiuto, ha cambiato stato, quindi destinazione ed effettivo utilizzo. Sono tutte condizioni e requisiti previsti dalla normativa. Se, però, un decreto non ci dice che queste condizioni possono essere applicate, noi continueremo a dover far circolare i nostri materiali come rifiuti, a dover destinare esclusivamente a impianti autorizzati alla gestione di rifiuti, che pagano fideiussioni, che devono essere iscritti all'albo. Tutto questo comporta necessariamente un blocco delle attività, di quelle che dovrebbero costituire poi la famosa economia circolare. Dicevo, quindi, di un problema normativo che rischia di bloccare l'innovazione, la ricerca, la possibilità di fare mercato, così come dell’end of waste. Altre normative, invece, riguardano di più il mercato, come il decreto sull'assimilazione. Siamo stati, su ciò, convocati in audizione al Ministero, che ci sta lavorando, ma aspettiamo veramente da vent'anni. Non ho fatto il conto, ma ormai festeggiamo il compleanno per i vent'anni di mancato decreto sull'assimilazione.
  Non voglio insistere sulle negatività di tutto ciò. Quelli di cui abbiamo bisogno, sono strumenti effettivamente a supporto delle imprese di questo settore, in particolare, serve un dialogo partecipativo, come quello auspicato dalla Commissione europea nella propria proposta di direttiva per la revisione della direttiva quadro sui rifiuti. La Commissione ha scritto, infatti, che i meccanismi di responsabilità estesa del produttore devono essere improntati a un dialogo partecipativo con tutti i soggetti della filiera. Noi auspichiamo che, nel momento in cui l'Italia recepirà queste norme, rivedrà la propria legislazione sui consorzi, sui sistemi di gestione, prevedendo dei meccanismi di dialogo partecipativo. Vediamo questa come l'unica strada per costituire e contribuire concretamente alla governance anche di questi meccanismi, magari correggendo alcune storture della normativa (così penso di poterle definire).
  Da una parte, per esempio, si dice che ai consigli di amministrazione dei consorzi deve essere assicurata la partecipazione delle rappresentanze dei riciclatori e dei recuperatori ma, nello stesso articolo, si parla del previo consenso degli altri consorziati. Dobbiamo capire che cosa significa: che cosa vuol dire? Che dobbiamo essere presenti, partecipare alla governance, oppure no? Questo è un quesito a cui deve dare risposta la politica.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, ma senza che si aprano infiniti dibattiti, visto che sono stati sollecitati tanti temi stimolanti per la discussione.

  LAURA PUPPATO. Si diceva, proprio adesso, che in questo caso non manca il legislativo, bensì i decreti attuativi di competenza ministeriale: vediamo di farli velocizzare, anche se non è una competenza nostra. Le domande che vorrei farvi, comunque, sono due.
  Potete essere più precisi in ordine all'aver inquisito aziende per traffico illecito di rifiuti per poi scoprire che ciò era dovuto a un errore di interpretazione? Lei diceva al presidente di una conclusione dopo tre anni. Non ho in mente un caso di questo genere e magari lei me lo può meglio precisare. Sarebbe opportuno, anche per noi, capire di che cosa stiamo parlando. La questione, infatti, è rilevante.
  Inoltre, lei ha detto che le piccole realtà hanno bisogno di ricerca pubblica e ha citato il caso dell'ENEA. Io vorrei comprendere meglio. Quando si parla di ricerca pubblica, necessaria perché dobbiamo creare un'economia circolare, lei pensa all’ecodesign, cioè al fatto di creare prodotti completamente riciclabili, o sta pensando, a valle, alla possibilità di creare meccanismi di riciclo maggiormente specializzati o specialistici, che quindi ci permettano di riciclare di più? Le due cose sono diverse e vorrei comprendere, appunto, a quali di queste faceva riferimento in relazione all'ENEA e alla necessità di fare ricerca.

Pag. 21

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Per la prima domanda, posso girarle una sentenza.

  PRESIDENTE. La inoltri alla Commissione.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. È proprio un caso fresco. Non è una cosa eclatante ma, purtroppo, è una delle tante, che conosco direttamente perché conosco la persona che ha subìto questo processo al tribunale di Genova. Qui eravamo nel caso della frazione tessile dei rifiuti urbani: vestiti usati, le raccolte selezionate di abbigliamento usato fatte sul suolo pubblico, nei posti che noi consideriamo apprezzabili. Questo viene fatto attraverso una selezione, un passaggio a evidenza pubblica. In luoghi nei quali consideriamo ciò meno apprezzabile, questo viene fatto in vari modi, con scelte dirette. Noi preferiremmo che si passasse per un passaggio a evidenza pubblica e che fosse chiaro che i vestiti usati raccolti in Italia e in Europa – parliamo di 2 chili pro capite l'anno, per 60 milioni di abitanti, uguali a 120 milioni di chili l'anno – non finiscono ai poveri, come spesso si lascia credere per vari motivi, ma sono oggetto di un mercato che tende al riuso. Circa un 60 per cento, infatti, viene riutilizzato, quindi questi vestiti hanno un piccolo valore residuo, che consente di pagare le spese per raccogliere il materiale, pagare persino delle royalty ai comuni o ai consorzi di comuni che fanno correttamente una gara per assegnare la raccolta in esclusiva, pagare gli stipendi di quelli che fanno queste raccolte e vendere questo materiale in Paesi meno ricchi dell'Europa. In tali Paesi, con una manodopera meno cara che qui, si procede all'ulteriore lavorazione, creando lavoro in quei territori, per poi avviare la fase di riuso per un 60 per cento (un 40 per cento diventa pezzame industriale). Questo è, più o meno, lo schema.
  Sarebbe molto bello, come cerchiamo di fare, spiegare ciò ai cittadini e superare la visione che fa credere a costoro che 120 milioni di chili di vestiti usati finiscono ai poveri in Italia. I poveri in Italia ci sono, purtroppo, ma chiedono – sono stato anche amministratore locale – che si paghino loro gli affitti arretrati delle case popolari e altre cose di questo genere, bollette e così via; difficilmente essi arrivano nudi e chiedono i vestiti. Gran parte di questo materiale, quindi, ha il piccolo valore residuo che si diceva. Se non si riesce a esportarlo presso i Paesi che lo comprano, questo materiale finisce in discarica o in inceneritore, quindi costa alla collettività, diventando un costo sia economico, sia ambientale. Nel momento in cui, come nel caso che ho a mente, la dogana di Genova ferma un container, riscontra che dentro non ci sono solo vestiti in tessuto, o materiali tessili, ma anche alcune borse e alcune cinture in cuoio, che giudica non riconducibili alla definizione di rifiuto tessile, ferma tutto e attiva un procedimento.
  Non sono molto pratico di questioni di magistratura, cioè giudiziarie – per fortuna – ma ho la documentazione, che farò avere alla Commissione: a metà febbraio di quest'anno si è chiuso tutto con l'assoluzione completa per il titolare dell'azienda in oggetto perché il fatto non sussiste! Ci sono stati, però, tre anni di avvocati, di cause, di processi, in quanto quella dogana riteneva che quel materiale non fosse conforme, quindi non potesse essere esportato con l'allegato 7.

  LAURA PUPPATO. In realtà, più che un traffico illecito, è materia diversa da quella dichiarata, quindi...

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Ma con il Ministero dell'ambiente che scrive delle circolari in cui, invece, chiarisce che questo è fattibile. Si generano, quindi, situazioni di questo genere, che indubbiamente amareggiano l'imprenditore, lo preoccupano, in quanto ci sono dei costi per l'attività e la stessa competitività del sistema ne risente. Sarebbe molto meglio avere delle regole chiare, stabili e, soprattutto, interpretate in modo omogeneo in tutto il Paese. È qui che la nostra associazione vedrebbe con favore una centralizzazione di queste valutazioni. Anche la possibilità di interpello sarebbe molto utile.

Pag. 22

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario generale di FISE-UNIRE. Io ho un altro esempio, leggermente diverso, ma che si riconduce...

  PRESIDENTE. Non voglio fermarvi, ma di esempi ce ne sono decine, in un senso e nell'altro. È chiaro che, se la normativa è complessa e a volte poco chiara, ci si può cadere dentro: a volte, ci si cade, a volte no.

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario generale di FISE-UNIRE. Se mi consente, presidente, intervengo su un argomento simile, ma abbastanza diverso: quello degli scarti. Si è detto di cercare di riciclare il più possibile in Italia, ma ci sono delle frazioni che, inevitabilmente, vanno a finire all'estero. Siamo andati a parlare con il Ministero dello sviluppo economico e con il Ministero dell'ambiente (produrremo una nota, che se vorrete manderemo anche alla Commissione). Ci sono degli scarti di rifiuti elettrici ed elettronici che non si possono trattare nel nostro Paese, semplicemente perché ciò non è conveniente e perché non ci sono impianti tecnologicamente abbastanza spinti per farlo.

  ALBERTO ZOLEZZI. Ci faccia gli esempi.

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario generale di FISE-UNIRE. Purtroppo è difficile che possa farle l'esempio. Si tratta di cavi e di altre componenti elettroniche che contengono rame e altri metalli abbastanza preziosi, per cui c'è una convenienza anche molto forte a utilizzarli. Ci vuole anche una certa massa critica; bisogna mettere insieme una mole, un quantitativo tale che sia conveniente estrarli; necessariamente, quindi, devono essere mandati in altri Paesi, come la Cina. Il problema è che forse alla dogana non sono preparati per capire la tipologia di rifiuto e il motivo per cui lo si sta mandando all'estero, venendo quest'ultimo considerato un rifiuto misto, con tutte le conseguenze del caso. Per il settore dei rifiuti elettrici ed elettronici, questo costituisce un problema economico e che influisce, quindi, anche su come poter fare impresa.

  PRESIDENTE. Vi garantisco che noi di casi analoghi ne abbiamo visti, con i nostri occhi, un'altra marea (ad esempio, il furgone che doveva portare abiti ma che era pieno di materiale elettrico). C'è una tipologia varia e variegata in tema. In particolare, sul traffico transfrontaliero dei rifiuti stiamo finendo un lavoro, ma non rilevo, peraltro, che non esiste una normativa specifica dettagliata sui rifiuti e, probabilmente, anche su questo c'è da mettere mano). Tenete presente, come voi ben sapete, che non è una normativa squisitamente italiana. Così come sull’end of waste, ci sono delle questioni per le quali se il discorso non si affronta a livello europeo, tutto diventa molto faticoso. Come giustamente dicevate voi, se si lasciano i princìpi e si considera rifiuto un sottoprodotto, ovvero un Paese considera quel rifiuto come sottoprodotto, per te è un costo, per loro è un guadagno. Questo tema, purtroppo, va anche oltre i nostri confini. Bisognerebbe, forse, che il nostro Paese facesse una battaglia a quei livelli, ma su questo non voglio innescare ora un dibattito. È giusto, però, raccogliere le vostre sollecitazioni.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Prima di rispondere alla seconda domanda, voglio dire ribadire un concetto. Noi non siamo un'associazione che ha l'obiettivo di difendere imprenditori non corretti. Il nostro obiettivo è fare pulizia all'interno dei nostri settori. Vogliamo rappresentare gli imprenditori seri, che cercano di fare correttamente il loro mestiere in un settore che la politica ci chiede di sviluppare. Vogliamo collaborare con le istituzioni e con i controllori per far bene questo lavoro (così sgombriamo ogni dubbio).
  Venendo alla domanda della senatrice Puppato, sicuramente, in questa visione di economia circolare le nostre aziende avrebbero tutto da guadagnare da un dialogo stabile, anche con i produttori, per concorrere all’ecodesign. Essendo costoro quelli che devono lavorare su questi materiali a fine vita, se si riesce a dialogare, se c'è un canale, non sarà più un riciclo casuale o un'opportunità di riciclo, ma diventerà, invece, un ragionamento che nasce all'origine. Pag. 23 Valgono, quindi, tutte e due le cose che lei diceva, senatrice: sia un dialogo in termini di ecodesign, sia una collaborazione in termini di ricerca con gli enti che hanno le risorse per farlo per migliorare gli impianti e le tecnologie. Questo vuol dire che saremo in grado di recuperare con maggiore qualità i prodotti a fine vita, quindi di ottenere materie prime in maggiore quantità e di migliore quantità, dunque maggiormente vendibili e rivendibili sul mercato. Saremo anche in grado di esportare all'estero le stesse tecnologie messe a punto. Se lavoriamo per produrre macchinari, poi possiamo anche venderli. Come dicevo, ogni filiera ha le sue specificità. Ci sono filiere che al termine della lavorazione producono materie prime seconde che si possono vendere; ci sono altre filiere, come quella della carta, che non producono carta riciclata, ma solo una preparazione al riciclo perché le tecnologie per rifare la carta ce l'hanno le cartiere. I nostri sono dei preparatori al riciclo che fanno delle lavorazioni di selezione e di valorizzazione del materiale, ma che poi, di fatto, non generano della materia prima seconda. Davvero, c'è bisogno di un affinamento filiera per filiera e quello che cerchiamo di fare come associazione è di rappresentarle tutte, nella loro specificità, tantoché dopo di noi sentirete ANPAR, cioè una nostra associata, che lavora il materiale da demolizione, cosa che può sembrare banale ma è invece interessantissima, anche per i quantitativi trattati (che spesso, purtroppo, vediamo abbandonati nelle strade di campagna in tutti i nostri comuni). Anche quella questione potrebbe essere in parte affrontata e risolta con un'iniziativa che ANPAR stessa sta proponendo, ossia di inserire nei regolamenti edilizi dei comuni l'obbligo di produrre, quando si ottiene la licenza per fare un intervento in casa, anche un piccolo piano di smaltimento dei rifiuti che dovrà essere prodotto per dire dove poi si smaltirà il materiale. Con questa semplice modifica, gli stessi comuni potrebbero trovarsi ad avere meno spese per rimuovere i cumuli di macerie abbandonati in giro nelle campagne.

  STEFANO VIGNAROLI. Credo che la realtà degli abiti usati sia un po’ più complessa. C'è una sorta di monopolio di esportazione, non sempre fatta secondo i canoni di sicurezza e gli standard. La mia domanda riguarda il mercato del riciclo. Produrre energia, infatti, dà un guadagno facile: incentivo o meno, la immetto nel mercato, la vendo e quindi sono tranquillo. Giustamente, come diceva lei, il mercato del riciclo ha invece tante variabili per quanto riguarda il valore della materia prima, ma soprattutto per l'opportunità di avere uno sbocco sul mercato. Secondo voi, che cosa può servire per dare un aiuto al mercato del riciclo? Mi viene in mente il credito d'imposta sull'acquisto di determinati prodotti. Soprattutto, sono curioso di conoscere la vostra opinione sui CAM, che spesso nelle aziende pubbliche non vengono rispettati. Bisogna, secondo voi, mettere una percentuale più alta, obbligatoria, di acquisto di determinati prodotti? Quali sono gli strumenti per ampliare questo mercato del riciclo e renderlo più sicuro?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Sulla questione dei vestiti usati, se avete piacere di fare un approfondimento, sono anche presidente di una cooperativa sociale che paga ogni mese 30 stipendi, dei quali 10 a soggetti svantaggiati e che raccoglie 5.000 tonnellate all'anno in mezzo Piemonte attraverso gare pubbliche. Conosco abbastanza bene, da due anni circa, questo settore. Ho cominciato a capire anche le magagne, le cose che non funzionano, le concorrenze sleali e così via. Ben volentieri approfondisco il tema, anche se non sono il presidente di quella specifica filiera. Resto però un operatore, quindi la conosco abbastanza bene. Le cose da fare sono parecchie. Se volete, vi lascio un appunto con un elenco che ho portato con me. Le cose da fare sono tante.

  PRESIDENTE. Alla fine, raccogliendo anche le ultime considerazioni, vorrei fare una proposta.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Un'IVA agevolata può sicuramente Pag. 24 essere una buona cosa. Per noi che recuperiamo materia, ovviamente, la tassazione delle discariche e degli inceneritore è importante. Ci sono, però, momenti storici di mercato nei quali le materie prime seconde che produciamo vanno senza problemi perché i costi sono alti. C'è bisogno di trovare, quindi, un ammortizzatore intelligente, che non venga utilizzato per far guadagnare troppo le nostre imprese – non sarebbe corretto – ma che aiuti nei momenti in cui crollano le materie prime, quindi quando si va fuori mercato e si rischia di chiudere l'azienda. A quel punto, c'è il danno al singolo imprenditore. Si potrebbe anche dire: chi se ne frega, è il libero mercato! È, però, un danno per il sistema Paese perché si distrugge una filiera industriale, che quando poi riparte il mercato non si ha più: un ammortizzatore serve.
  Tutta la semplificazione normativa a cui facevamo riferimento, serve a essere più competitivi. I costi maggiori, ovviamente, si riverberano sul prezzo finale. Tra i tanti, ad esempio, abbiamo il problema dei rifiuti da rifiuto. L'anno scorso, in Italia, abbiamo prodotto, da 15 milioni di tonnellate di rifiuti, 10 milioni di materie prime seconde: è un bel dato, ma 5 milioni sono rimasti rifiuto! È chiaro che con la ricerca possiamo migliorare la capacità di produrre materia prima e, quindi, ridurre il rifiuto del rifiuto, tuttavia se non sono 5, saranno 4 o saranno 3 milioni. Migliorando l’ecodesign, però, si ridurranno ancora. Nel frattempo, dobbiamo collocare questi rifiuti da qualche parte: dove, a che prezzo?
  Se i prezzi sono alti, incidono sul costo industriale della materia prima, che va fuori mercato. Bisogna avere un buon rapporto con gli impianti pubblici di smaltimento e di termovalorizzazione. Se invece ti «impiccano» (scusate il termine, un po’ volgare), se ti prendono per il collo e ti fanno smaltire il rifiuto del rifiuto facendoti cadere dall'alto il fatto che te lo prendono, tu sei in grosse difficoltà perché non sai dove collocarlo; in più, hai dei prezzi che incidono sul costo della materia prima seconda che hai prodotto.

  LAURA PUPPATO. Mi scusi, 15 milioni di tonnellate di rifiuto considerando quale rifiuto?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Questi sono i dati che sono stati presentati in L'Italia del riciclo e nel rapporto ISPRA di quest'anno. Sono i rifiuti urbani, credo.

  LAURA PUPPATO. Sono RSU?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Sì.

  LAURA PUPPATO. Escluso il compostaggio, probabilmente, cioè escluso il verde?

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Non lo so. È il dato che ha prodotto la ricerca che fa ogni anno la fondazione di Edo Ronchi insieme alla nostra. È un dato importante, ma dice anche di 5 milioni di tonnellate di rifiuto che dobbiamo collocare a un costo accessibile. Se è questo alto, ovviamente, ciò si riverbera sul costo della materia prima seconda e quindi si va fuori mercato.

  STEFANO VIGNAROLI. Prima ha detto che bisogna tassare la discarica e l'incenerimento. Adesso invece ha detto che per quella parte che va smaltita vorrebbe un prezzo agevolato: non è in contraddizione questo? Se si tassano discarica e inceneritore, magari aumenterà il costo di incenerimento e di smaltimento.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. È evidente che, quando parliamo di tassare lo smaltimento in discarica e lo smaltimento in recupero energetico, ci riferiamo al tal quale, cioè al rifiuto non trattato. Nel momento in cui si sono fatte tutte le operazioni di recupero di materia che si possono fare tecnicamente, quello che rimane va collocato da qualche parte. Dico solo che più costa caro collocare quella quota di rifiuto, più si va fuori mercato con la materia prima seconda, che è quella che sia il legislatore europeo, sia quello italiano Pag. 25ti dicono di privilegiare con riuso e recupero di materia.

  ALBERTO ZOLEZZI. Voi siete d'accordo, eventualmente, su gare a valle per assegnare le frazioni? Quali dovrebbero essere i volumi degli impianti per fare dei recuperi di materie più rappresentate in minore percentuale, come oro e metalli preziosi? A quali dimensioni di impianti pensa? Ha fatto l'esempio della Cina: io le dico, la Scandinavia. È per capire se si può impostare in Italia una filiera completa anche per il recupero di alcuni metalli, terre rare e altro, che sappiamo essere importati spesso anche da Africa e da altre zone un po’ a rischio. Infine, chiedo anche a voi se avete contezza di alcune voci del bilancio ANCI 2015. Mi risulta che la voce RAEE sia piuttosto sostanziosa nei rapporti con i consorzi: 8,8 milioni di euro. Stiamo cercando di capire se questo denaro è iscritto a bilancio, se deriva dal centro di coordinamento (CdC) RAEE o altro. Nell'accordo ANCI, al CdC RAEE risultano circa 1,5 milioni di euro all'anno e non 8...

  PRESIDENTE. Non c'entra niente!

  ALBERTO ZOLEZZI. Lo so...

  PRESIDENTE. Un conto è chiedere dei consorzi RAEE, altro conto è chiedere...
  Potete comunque rispondere all'altra domanda. Credo che la domanda che faceva il collega mirasse a capire se, eventualmente, ci sono dimensioni tali per un certo tipo di impianto, ovvero che cosa fare per avere la filiera completa qui.

  MARIA LETIZIA NEPI, Segretario generale di FISE-UNIRE. Mi faccio portatrice presso l'associazione di filiera, ASSORAEE, di questa domanda. Le ripeto che faremo una nota specifica su questo problema. Eventualmente, indicheremo anche le dimensioni di questi impianti per la massa critica. Mi scuso, ma in questo momento non ho quest'informazione.

  ALBERTO ZOLEZZI. Sulle gare a valle per assegnare le frazioni, quindi, siete d'accordo? All'inizio lei ha fatto un discorso – mi è parso – di questo genere. Attualmente non c'è una gara per la suddivisione del materiale a valle, per quello che ne so io.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Dipende a seconda del tipo di rifiuto di cui stiamo parlando. Se parliamo dei rifiuti da imballaggio raccolti dalla frazione urbana dei rifiuti, è un discorso; se parliamo di pneumatici, ad esempio, è un altro. Direi che, tendenzialmente, la nostra aspettativa è quella di poter comprare al miglior prezzo. Nel caso dell'assimilazione, è una polemica che dura da molto tempo. Noi pensiamo che meno assimilazione c'è, meglio è. Laddove è possibile comprare, da parte delle nostre aziende, gli imballaggi secondari e terziari direttamente dalla grande distribuzione, riusciamo a spuntare un prezzo migliore rispetto a comprarli dalla grande azienda multiutility, che l'ha prelevato in privativa. Su quella privativa CONAI ha anche versato un contributo, ma inutile perché il mercato già avrebbe risolto il problema. È un tema delicato perché attiene anche all'equilibrio dei conti delle aziende municipalizzate, ma riteniamo che più le nostre aziende riescono ad approvvigionarsi a un prezzo con competitivo (direi che questo è anche abbastanza lapalissiano), più riescono, avendo un input a prezzo conveniente, ad avere un output a prezzo competitivo.

  PRESIDENTE. Direi di fare così, se siete d'accordo. Visto che rappresentate diverse filiere, potreste farci avere una nota con alcune delle cose dette qui oggi, con l'indicazione di quelle che secondo voi sono le maggiori criticità? Ogni tanto si parla di chi rispetta le regole e di chi non rispetta le regole. Giustamente, voi dite di rappresentare gli imprenditori che le rispettano.

  ANDREA FLUTTERO, Presidente di FISE-UNIRE. Cerchiamo.

  PRESIDENTE. È il caso, magari – se n'è parlato tante volte – che vi facciate, in Pag. 26maniera del tutto autonoma, dei vostri controlli, cioè degli audit interni. Almeno, nel momento in cui interviene un'autorità terza, con il successivo processo, è evidente come, a prescindere dal fatto che si finisca in un modo o nell'altro, si è già andati oltre. Le chiedo, quindi, se si riesce ad avere a monte delle indicazioni per il legislatore affinché – come giustamente dite voi – esso cerchi di fare il più possibile, per quanto nelle nostre capacità, per avanzare proposte che possono andare incontro a queste esigenze legittime di uniformità e di chiarezza. Dall'altro lato, da operatori del settore, mi permetto di caldeggiarvi moltissimo, proprio come associazioni, rispetto alla capacità, all'organizzazione di audit interni, cioè che a monte vi tengano fuori dalle pesti fin dall'inizio. Purtroppo, i reati ambientali sono quasi sempre i reati di un'impresa che tenta scorciatoie non lecite. Vi ringraziamo. Rimaniamo d'accordo così. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale produttori aggregati riciclati (ANPAR).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale produttori aggregati riciclati (ANPAR), che ringrazio della presenza. È presente il dottor Paolo Barberi, presidente, accompagnato dal dottor Filippo Grifoni, delegato ANPAR per la regione Toscana. L'audizione odierna si inserisce nell'ambito dell'approfondimento che la Commissione sta svolgendo sul mercato del riciclo, con particolare riguardo all'attività dei consorzi che ne hanno la gestione. Come già comunicato al nostro audito per le vie brevi, la Commissione è interessata ad approfondire i temi delle verifiche e controlli effettuati sulla governance della struttura, in particolare sul rispetto dei requisiti minimi dei sistemi collettivi; delle modalità del controllo e della verifica sul raggiungimento degli obiettivi di raccolta e sulla qualità del trattamento dei rifiuti; delle tipologie di verifiche effettuate sui bilanci e sui dati economici comunicati alle autorità di controllo; dell'esistenza e delle criticità della filiera in conseguenza delle quali avviene una fuoriuscita di rifiuti dal circuito dei consorzi.
  Ricordo che la Commissione si occupa degli illeciti ambientali relativi al ciclo dei rifiuti, ma anche dei reati contro la pubblica amministrazione e dei reati associativi connessi al ciclo dei rifiuti, alle bonifiche e al ciclo della depurazione delle acque.
  Avverto i nostri ospiti che della presente audizione sarà redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta. Cedo dunque la parola al presidente Barberi per lo svolgimento di una relazione introduttiva, al termine della quale seguiranno eventuali domande o richieste di chiarimento da parte dei commissari.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Vi spiego che cos'è ANPAR. ANPAR è l'associazione nazionale produttori di aggregati riciclati nata nel 2000 per associare le imprese che riciclano rifiuti inerti. Il suo obiettivo è quello di promuovere l'impiego degli aggregati riciclati in tutte le sue possibili applicazioni, di promuovere lo sviluppo e il progresso delle tecnologie di riciclaggio finalizzate alla produzione di aggregati di alta qualità, nonché di assistere gli associati in tutti gli aspetti della loro attività operatività. Le altre attività industriali possono essere attività di produzione di acciaio e ferri, quindi parliamo delle fonderie in Toscana, in Friuli, in Lombardia e dove altro siano, ovvero altre attività produttive, che possono essere attività di produzione ma comunque prevalentemente legate al mercato edilizio (produzione di mattoni, laterizi, calcestruzzi e così via).
  ANPAR, da sempre, ha promosso lo sviluppo della legalità e della qualità in questo settore. Dal riciclaggio dei rifiuti che trattiamo, ovvero che le nostre aziende trattano, derivano aggregati quali i riciclati, Pag. 27nel caso in cui derivino dal riciclaggio dei rifiuti da costruzione e demolizione, oppure gli artificiali, nel caso in cui derivino da riciclaggio di rifiuti industriali. Questi aggregati, che naturalmente hanno varie caratteristiche tecniche e ambientali minime costanti, possono essere e vengono impiegati principalmente per la realizzazione di grandi infrastrutture viarie. Dico «principalmente» perché sono le opere che consumano i maggiori quantitativi di materiali inerti, in eccellente sostituzione degli aggregati naturali. Per determinati impieghi – abbiamo prove scientifiche di ciò in Toscana – gli aggregati riciclati e gli aggregati artificiali funzionano meglio degli aggregati naturali. Nel tempo, infatti, migliorano le prestazioni tecniche. Naturalmente, esistono dei problemi di carattere ambientale, di cui il dottor Grifoni parlerà più diffusamente, che vanno tenuti sotto controllo con estrema precisione, ma dei quali non bisogna aver paura. Io sono presidente dell'associazione e, a mia volta, ho un impianto che fa questo lavoro, che si può fare assolutamente nel pieno rispetto delle normative ambientali e tecniche.
  Il Ministero dell'ambiente ha approvato il decreto sui criteri ambientali minimi (CAM) nell'edilizia, che prevede l'utilizzo dei prodotti derivanti da riciclaggio dei rifiuti inerti, imponendone il consumo e l'utilizzo da parte delle pubbliche amministrazioni nei propri acquisti. A gennaio del 2017 c'è stata la prima riunione del tavolo tecnico per i criteri ambientali minimi delle strade, che a noi interessano particolarmente. Come dicevo, nelle infrastrutture va il maggior quantitativo dei nostri prodotti e a noi interessa poter consumare, cioè poter destinare i nostri prodotti ai grandi utilizzi, in quanto il nostro è un settore che economicamente si regge senza bisogno di contributi esterni.
  Che cosa voglio dire con ciò? Da alcune filiere nel mondo del riciclaggio derivano prodotti, i cui costi sul mercato, però, non sono competitivi con la materia vergine. Il nostro è un caso in cui – non voglio usare uno slogan politico – l'economia circolare funziona, cioè si regge. Per dare un'idea dell'interesse di questo settore, vi cito sinteticamente i titoli dei tavoli tecnici che l'ANPAR ha attivato e sui quali sta lavorando con associazioni quali l'ISPRA, l'Istituto superiore di sanità, a seconda dei tavoli tecnici. Il primo tavolo tecnico è sull’End of Waste, tema per noi importantissimo. L'emanazione da parte del Ministero dell'ambiente di un decreto End of Waste potrebbe aiutare a dipanare e a chiarire molti dubbi, nonché un po’ di confusione normativa che esiste. La confusione normativa dipende dal fatto che, purtroppo, dal 22 febbraio 1997, cioè dal decreto Ronchi, si sono succedute tante norme, spesso buone norme, che nel momento in cui sono state emanate avevano una loro logica e che sono state emanate anche con grande tempestività. Penso, ad esempio, al 203 del 2003, il decreto sugli acquisti verdi. L'Italia, in effetti, è stata la prima nazione europea a dotarsi di uno strumento del genere, importantissimo, ma ciò non ha avuto assolutamente nessun esito e non so che fine abbia fatto l'osservatorio nazionale sui rifiuti.

  PRESIDENTE. Non c'è più!

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. La confusione normativa dipende da questo. Il decreto End of Waste – anche su questo Filippo Grifoni preciserà – potrebbe aiutare molto chiarendo molti aspetti. Un altro tavolo è sul protocollo di gestione dei rifiuti inerti. Questo è un lavoro a cui ha partecipato ANPAR in ambito europeo. Una commissione europea ha lavorato e ha stilato questo protocollo. La cosa che colpisce è che nell'impostazione del lavoro di questo protocollo, si dice che il protocollo è fatto per vincere la diffidenza all'utilizzo degli aggregati riciclati. Noi che facciamo questo mestiere lo sappiamo, ma tutti sappiamo anche che comunque c'è una difficoltà e una diffidenza a proporre oggi l'utilizzo di prodotti che derivino da riciclaggio dei rifiuti. Il terzo tavolo tecnico è sulle IBA, le ceneri pesanti, un residuo della combustione: sì, si tratta di un residuo della combustione degli inceneritori, dei rifiuti solidi urbani. Le ceneri volatili sono un rifiuto pericoloso.

Pag. 28

  PRESIDENTE. Vengono fermate dai filtri...

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Le ceneri pesanti sono quelle che precipitano al di sotto delle griglie e sono rifiuti non pericolosi. Possono essere ottimamente riciclate per produrre aggregati artificiali. Un altro tavolo tecnico – sono dieci, abbiamo quasi finito – è sugli impieghi legati degli aggregati riciclati. Con i nostri prodotti si fanno – ne abbiamo un'esperienza quotidiana – calcestruzzi a bassa resistenza che possono avere determinati impieghi; faccio l'esempio del comune di Roma, dove gli scavi stradali per la costruzione delle reti tecnologiche (gas, acqua, luce) vengono riempiti con materiali betonabili, cioè le miscele fluide da non costipare.
  Che caratteristiche hanno questi materiali? Si portano con le autobotti, vengono gettati nei cavi stradali; se ciò è fatto regolarmente, si riempiono tutti gli interstizi; inoltre, essi hanno la caratteristica di essere resistenti, di non perdere volume nel tempo e, quindi, di costituire un corpo sotto il piano stradale che non dovrebbe ammalorare. Ci sono anche tanti studi scientifici – l'Università Politecnica delle Marche è stata una delle prime a studiarli – sull'impiego degli aggregati riciclati anche per la realizzazione di calcestruzzi strutturali. Questo è un altro tavolo tecnico.
  Altro tavolo tecnico è quello sugli aggregati artificiali, una delle questioni per cui siamo qui. Parliamo, ad esempio, di prodotti riciclati derivanti da riciclaggio dei rifiuti delle acciaierie. Un ulteriore tavolo tecnico – anche questo è un cavallo di battaglia, un sempreverde – è sui materiali da scavo. Anche questo è un tavolo tecnico che non chiuderemo mai perché non finirà mai di lavorare. Il tema dei materiali da scavo è sempre caldo. Un altro tavolo tecnico, poi, è su prezzari e capitolati, tema per noi importantissimo perché la diffidenza all'utilizzo dei nostri prodotti si esplica ed è causata dal fatto che spesso i capitolati utilizzati oggi per fare opere pubbliche, di cui leggiamo tutti i giorni sui giornali, sono capitolati scritti dai tecnici di Annibale, che costruì le strade per passare le Alpi con gli elefanti e venire a Roma (perdonatemi la battuta, chiedo scusa). Forse non è neanche questa la sede per rilevare ciò, né il paragone può apparire calzante, ma ci siamo trovati – e mi trovo quotidianamente – a leggere capitolati in cui i prodotti vengono chiamati con nome, cognome e non per le prestazioni che devono fornire. A Roma si cerca la pozzolana, che è un materiale tipico romano, nonché di altre zone, ma non il materiale che abbia determinate caratteristiche ambientali e tecniche. A questo proposito, nel 2014, UNI ha pubblicato una norma specifica per la costruzione delle strade. Non so chi di voi sia un tecnico, ma essa sostituisce una vecchia norma tecnica, cioè la vecchia UNI 10006. La UNI ha pubblicato questa nuova norma, la 11531, che ci piacerebbe – questo poi ve lo dirà il collega Grifoni – fosse presa a riferimento come norma tecnica alla quale devono adeguare i propri prodotti i nostri impianti, sostituendo la circolare ministeriale n. 5205 del 2005.
  Il tavolo 8, poi, è il CAM-strade verdi, quello cui ho accennato, riguardante i criteri ambientali minimi per la realizzazione delle infrastrutture. Il tavolo 9 riguarda invece il marchio di qualità sugli aggregati riciclati artificiali. Noi teniamo molto a tenere alta l'asticella della qualità dei nostri prodotti. Oggi l'unica norma obbligatoria per mettere sul mercato qualsiasi tipo di aggregato – naturale, artificiale o riciclato – è la conformità alla marca dalle norme di marcatura CE. Le norme di mercatura CE sono norme di prodotto che vengono fatte da chi usa al fine di dire quali caratteristiche vanno dichiarate del prodotto che si deve andare a comprare. Quella è una norma obbligatoria ma, con la marcatura CE, io che produco aggregati riciclati, dichiaro, secondo il linguaggio che mi viene imposto dalla norma, le caratteristiche che la norma richiede. Faccio un esempio: se si tratta di una giacca, la norma dirà che si deve dichiarare se la giacca sia fatta di lana, di sintetico e via elencando. Sulla marcatura CE c'è ancora un ambito di indeterminatezza e di indefinitezza. Infatti non è sempre detto che il prodotto marcato CE corrisponda alla qualità necessaria perché esso possa essere impiegato Pag. 29per gli utilizzi specifici. A noi piacerebbe che venisse introdotto il concetto di certificazione di prodotto, ossia che venisse ricercata la vera qualità del prodotto. Il concetto di qualità è un concetto che vuol dire tutto e non vuol dire nulla. La qualità di una cosa si ha quando essa risponde agli obiettivi per cui viene fatta, proposta e costruita.
  L'ultimo tavolo tecnico su cui stiamo lavorando oggi è la revisione della specifica tecnica di RFI. RFI è un colosso che può essere esemplificativo, fra i tanti grossi utilizzatori e i tanti grossi acquirenti dei nostri prodotti sul territorio nazionale, di un soggetto che ha una specifica tecnica datata. Usa terminologie che ormai non si ritrovano più e non hanno rispondenza, per esempio, nelle normative armonizzate europee, ossia nella marcatura CE. A volte ci troviamo a non poter rispondere a delle richieste di capitolato perché siamo forse troppo avanti e, quindi, siamo in grado di fornire dei prodotti dichiarando delle prestazioni, che poi, però, non vengono richieste. Per esempio, nella norma tecnica di RFI si fa riferimento a normative molto vecchie.

  STEFANO VIGNAROLI. Per RFI si intende la Rete Ferroviaria?

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Sì.

  PRESIDENTE. Questo materiale ce lo può lasciare?

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Sì.

  PRESIDENTE. Se ha anche del materiale che ci vuole inviare, gliene siamo grati. Può anche mandarcelo in via informatica.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Questo intanto glielo lascio.

  PRESIDENTE. Grazie, proseguiamo.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Buonasera. Vi parlerò in maniera specifica di alcuni ostacoli e criticità che impediscono la chiusura del cerchio nel riciclaggio dei rifiuti inerti. Tralascerò tutto l'aspetto legato alla crisi del mercato economico delle costruzioni, così come non vi parlerò – anche se ce ne sarebbe molto bisogno – degli aspetti legati alle attenzioni burocratiche che legano e impediscono determinate attività economiche inerenti il recupero. Parlo degli iter amministrativi per le autorizzazioni e dei tempi che, ormai, pur essendo citati dalla norma nazionale, non vengono rispettati da alcuna istituzione territoriale. Mi interessa, invece, focalizzare gli aspetti legati a una sfasatura importante fra la filosofia della norma (ossia i princìpi ispiratori) e le norme tecniche che devono attuare questi princìpi.
  Come sappiamo, abbiamo una parte quarta del decreto n. 152, che è ben fatta, per quanto riguarda le priorità da dare alla tutela dell'ambiente e alla salute umana. In tema di articoli specifici, fra le gestioni meritevoli di maggiore attenzione e le priorità da seguire ci sono anche il riciclaggio o la preparazione del materiale per un possibile riutilizzo. Sono questi i criteri ispiratori fondamentali cui segue il concetto di economia circolare e, quindi, di riciclaggio in senso lato.
  Oggi, in Italia, abbiamo delle norme tecniche che, per vari motivi, risultano essere molto confuse, contrastanti, non adeguate, fuori dal motivo per cui erano state pensate all'inizio. Sono tante ormai le norme tecniche che si accavallano e che lasciano, in molti casi, un aspetto discrezionale di lettura. Questo genera non poche difficoltà perché quando è consentito un approccio discrezionale, diventa legittima o illegittima una determinata attività nella stessa maniera con una differenza nei territori anche a brevissima distanza. Pertanto, abbiamo una zona, anche all'interno della stessa regione, in cui vengono fatte delle azioni di riciclaggio che vengono considerate importanti e da premiare, mentre le stesse attività, magari nella provincia accanto, vedono invece sequestri, indagini o difficoltà Pag. 30di ogni sorta nel perseguire questo tipo di chiusura del cerchio. Questa sfasatura si accentua su alcuni aspetti. Ne tratterò prevalentemente uno, che è quello dell’End of Waste, ossia della fine qualifica del rifiuto, il momento in cui un rifiuto post trattamento diventa un prodotto ed esce dalle attenzioni e dagli adempimenti previsti dalla norma ambientale. Come dicevamo, questa chiusura è fondamentale perché, se viene meno una chiarezza nel momento di cessazione del rifiuto, non sappiamo quando questo sia legittimo e quindi quando sia possibile fare quest'attività. Rimaniamo sempre in un limbo che, se rimaniamo nel mondo dei rifiuti, porterà a delle conseguenze. Se siamo nell'altra sponda, invece, ne vedremo delle altre.
  Per quanto riguarda l’End of Waste, abbiamo un articolo ben specifico del decreto n. 152, ossia del codice dell'ambiente, il 184-ter, che ci pone le condizioni obbligatorie per poter parlare di fine qualifica del rifiuto. Sono quattro commi che non sto qui a ripetere, ma che hanno a che fare con la necessità che questo materiale sia comunemente utilizzato, che esista un mercato, che vengano rispettate, ove possibile – questa, secondo me, è la corretta lettura – le norme tecniche applicabili al prodotto e che, chiaramente, ciò non crei impatti negativi sull'ambiente o sulla salute umana al momento del riutilizzo.
  Quando parliamo di rispetto delle norme tecniche, il principio ispiratore è fondamentale. È opportuno che, quando andiamo a fare un prodotto, una materia prima seconda, questa abbia delle caratteristiche oggettivamente utilizzabili. Se ho della materia plastica non adatta al recupero e invento un bicchiere che perde l'acqua, magari perché viene tutto forato, è chiaro che ho cercato di svicolare dal corretto modo di smaltimento andando a creare un prodotto che non esiste. Questo criterio ispiratore è sicuramente importante e opportuno, ma si traduce, poi, in una norma tecnica non del tutto adeguata alle nostre necessità.
  Per il settore degli inerti, che come sappiamo rappresenta poco oltre un terzo di tutti i rifiuti nella globalità prodotti a livello nazionale (sono infatti molti di più gli inerti di tutti i rifiuti urbani differenziati e indifferenziati messi insieme poiché parliamo di svariati milioni di tonnellate che si muovono quotidianamente), tutta la norma tecnica per andare a qualificare l'aspetto tecnico con l'aspetto della norma da rispettare va a finire nel rispetto di una circolare, la n. 5205 del 2005, che era stata pensata per tutt'altro scopo. Lo scopo era quello di creare un repertorio per riciclaggio. Vi era la necessità di inserire gli impianti in questo repertorio. Se un impianto riesce a rispettare determinati termini di qualità, è opportuno che ci stia dentro. Questa era l'unica finalità per cui la circolare è stata pensata. Ora, invece, è diventato il riferimento un decreto ministeriale del 5 febbraio 1998, pensato solo per le procedure semplificate, ma che tuttavia oggi è ormai diventato unica norma tecnica di riferimento per tutti gli iter amministrativi. Anche se sono uscite norme circolari che hanno chiarito la possibilità di derogare da questo decreto per gli altri impianti, che invece rispettano delle procedure ordinarie (AIA o articolo 208 del decreto n. 152), continuiamo nella quasi totalità dei casi a far riferimento e a tornare a questa circolare n. 5205. Qui nascono dei problemi, ossia le sfasature che dicevo inizialmente. Per esempio, la circolare predisponeva un elenco indicativo per il quale i materiali, una volta recuperati, potevano essere utilizzati. C'erano dei riferimenti tecnici che venivano dalla norma UNI-EN (fra l'altro, ormai superata poiché non esiste più), la quale è l'unico riferimento inserito in una norma ambientale. Se voglio dimostrare la fine qualifica del rifiuto da un punto di vista tecnico, non devo andare a vedere le norme tecniche che scientificamente si sono evolute e vedono svariati esempi, ma devo per forza fare un riferimento a questa unica norma, ormai abrogata e non adeguata.
  Vi faccio degli esempi pratici. Ho la possibilità di fare il recupero di un materiale e mi entrano degli inerti da demolizione in un impianto che fa tutte le cose previste dalla norma e dalla propria autorizzazione, che quindi, alla fine, produce Pag. 31un prodotto. Mettiamo che questo prodotto, per esempio, sia uno stabilizzato 030, ossia dei sassi di una data granulometria che vengono stesi in un vialetto per farci una pista ciclabile. C'è un'autorità di controllo molto attenta che arriva su questo vialetto e mi chiede che cosa sia questo materiale. Il direttore dei lavori fa vedere le bolle di accompagnamento, che vengono da un impianto di recupero inerti. Se l'impianto di recupero energetico ha nella propria autorizzazione la necessità, anzi l'obbligo – è quasi la totalità dei casi – del rispetto della circolare, è necessario fare delle analisi prestazionali, delle prove geotecniche, settimanalmente o ogni 3.000 metri cubi di materiale (qui entro nel tecnico perché ci dà un'idea delle difficoltà che vengono fuori). Se uno legge letteralmente la norma, l'autorità di controllo vede la necessità di avere un controllo settimanale perché c'è una parentesi in cui è scritto un minimo settimanale. Si tratta di una norma pensata per le produzioni in continuo delle estrazioni delle cave e poco attinente all'attività di un impianto che invece, magari, frantuma il materiale, lo lavora e lo certifica, ma in maniera saltuaria, quindi non riuscendo neanche in determinate settimane a produrre un chilo di materiale. Se l'autorità di controllo, che stava sul vialetto, va in questo impianto e chiede la prova settimanale, l'impianto risponde che per fare 3.000 metri cubi ci mette due mesi, quindi produce la prova dopo due mesi. L'autorità di controllo, se legge la norma, non è certa che questa sia stata rispettata, ragion per cui, molte volte, succede che attiva una comunicazione di reato all'autorità giudiziaria; quando poi è un po’ più severa, questa va a bloccare il cantiere e fa una comunicazione di reato, non solo all'impianto ma anche al direttore dei lavori e all'utilizzatore, ovvero alla stazione appaltante, che può essere un ente pubblico o un'impresa privata. È chiaro che, magari dopo 2-3 anni, si riuscirà a dimostrare – di solito va così – che c'era bontà (se l'impianto è serio e ha lavorato correttamente) e che quindi non era possibile rispettare la parentesi del minimo settimanale. Nel frattempo, però, abbiamo creato un danno molto grande perché, al prossimo vialetto, sia la stazione appaltante, sia il direttore dei lavori ci penseranno molto bene prima di andare a prendere il riciclato. Non ci sono difficoltà di carattere ambientale e neanche di carattere prestazionale, ma solo il riferimento ad una norma non adeguata, cioè non adatta a rappresentare il nostro caso. Questo vale anche per gli utilizzi. Se ho un elenco dei 4-5 utilizzi (che sono quelli che vengono fuori dalla circolare n. 5205) e faccio una sabbia adatta per la lettiera del gatto, non posso vendere al proprietario del gatto questa sabbia, non perché non adatta ma perché non ho un riferimento all'utilizzo nell'unica norma tecnica descritta nella norma ambientale. Ora, il gatto non è un problema di carattere nazionale, possiamo farne anche a meno, ma vale l'esempio.

  PRESIDENTE. È un bel mercato: è diventato un bel mercato.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Vale la stessa cosa per una questione molto più grave. Quando si parlava prima dei legati, ossia del misto cementato, di calcestruzzi a bassa resistenza, in cui va circa il 60-70 per cento di materiale riciclato, se vado a leggere con attenzione la n. 5205, non trovo mai il conglomerato cementizio. Per chi legge la norma con un certo buonsenso, si dice di preparare del materiale «...», ma se si legge in maniera stringente l'utilizzo e non si trova il conglomerato cementizio, si sta commettendo un'altra volta un illecito. Con un'attività che ormai è svolta, come dicevo prima, tutti i giorni per milioni di tonnellate di materiale, abbiamo una norma tecnica che, se gira male nella lettura qualche giorno a qualcuno, va a bloccare un comparto intero.
  Come si può rimediare a questa situazione? Intanto dobbiamo decidere se vogliamo essere molto descrittivi negli utilizzi, ossia se riteniamo fondamentale che questo aspetto tecnico debba essere in qualche maniera regolamentato ed elencato. In quel caso, gli utilizzi bisogna metterli tutti, dalla lettiera del gatto in su. L'alternativa, Pag. 32semmai, è quella di leggere l'articolo 184-ter in un'altra maniera, quindi di adoperare norme tecniche, ove applicate. Poiché il gatto non ha grandi richieste prestazionali per la propria sabbia, in quel caso non servirebbe approcciare la norma tecnica specifica. Nella bozza di decreto, che come ANPAR abbiamo preparato, offriamo infatti queste due possibilità. Quando abbiamo una norma tecnica – lo prevede già la legge – è indispensabile che l'aggregato inerte posto in commercio rispetti in maniera scrupolosa quella norma. Quando non serve, è inutile evitare il recupero di determinati materiali perché andiamo a inficiare il principio ispiratore da cui partiamo. Questo vale per i reinterri di alcune tipologie. Quando andiamo a fare, per esempio, uno scavo di sottoservizi, questo deve essere riempito con materiale poco nobile, non poco nobile dal punto di vista ambientale bensì dal punto di vista delle prestazioni tecniche. Questo è un aspetto che, indubbiamente, crea non poche difficoltà.
  Un altro aspetto, che combattiamo ormai da 19 anni, è il fatidico test di cessione, richiamato sempre nelle norme semplificate. Nel 1998 è uscito un metodo, poi adeguato successivamente, che è considerato l'unica norma di riferimento per dare la patente di ecocompatibile a un prodotto riciclato. Questo test di cessione non era stato pensato in maniera specifica per tutte le tipologie merceologiche, ragion per cui risente di questa scarsa attenzione e non può sopperire a tutte le problematiche ambientali perché queste sono molto diverse. L'esempio sugli inerti è eclatante. Noi abbiamo, per quanto riguarda la tabella prevista da questo allegato al decreto, un limite sui solfati pari a 250 milligrammi/chilo: cosa vuol dire? Vuol dire che se produco montagne di sassi, di ghiaia e di pietrisco ben fatti, se il campione che vado a prendere – la norma mi impone un controllo ambientale – può contenere al suo interno una frazione di un intonaco con gesso (che non è un contaminante, ma un costituente legittimo), devo andare a recuperare anche lo scarto dell'intonaco che mi viene dalla demolizione di un bagno o di un'abitazione.
  Avere questo campione sfortunato, pur essendo un costituente, mi fa, per reazione chimica naturale, saltare il test e mi fa andare fuori limite tabellare il limite dei solfati. Oggi abbiamo un limite a 250, che equivale al limite di potabilità delle acque. Volevo essere preciso su che cosa sia il test, in modo da rendersene conto. Anche in questo caso partiamo da un aspetto ispiratore fondamentalmente corretto, anzi, ben fatto. Per misurare quello che può rilasciare una sostanza nell'ambiente abbiamo due sistemi: a monte c'è un'analisi tal quale, per la quale vale per noi la classificazione non pericolosa (vengono fatte una serie di caratterizzazioni, ma non entro in questo campo, anche se sarebbe un altro argomento molto delicato); poi abbiamo, a valle di tutto il processo di recupero, che è principalmente meccanico e fisico, un test di cessione, che vuol dire andare a capire come, con un campione molto restrittivo, quella sostanza reagisce simulando la realtà, tenendola in acqua e facendo un brodino con quelle che possono essere le componenti che essa cede.
  Se metto una sostanza, come per esempio i solfati, che è propria di un costituente del rifiuto, non ha molto senso. Anche in questo caso la proposta è molto semplice: o si fa in modo che quel test, quando parliamo di inerti che possono contenere un costituente come il gesso, non sia rilevante, oppure alziamo un attimo il valore, ma non perché vogliamo creare una scorciatoia per problemi ambientali, bensì perché il gesso genera solfati. Pertanto, tornando all'esempio, o vietiamo l'utilizzo del gesso, o altrimenti abbiamo questo problema per quanto riguarda tutti i test di cessione in Italia, tutti i giorni. Tenete presente che questo genera non pochi problemi, non solo per gli operatori, che chiaramente hanno questa spada di Damocle di aver prodotto un rifiuto tutti i giorni, ma anche per i controllori perché, ormai, è condiviso da tutte le autorità che questa stortura è da risolvere: da 19 anni non la risolviamo.
  Tutti i giorni, o il controllore è di buonsenso e con una determinata esperienza, quindi sta attento a scegliere il campione (ma non lo può fare per legge), o altrimenti Pag. 33può venir fuori un campione sfortunato, con la conseguenza che una montagna di aggregato inerte di un 40/70, magari già pronto per essere venduto a una stazione appaltante pubblica, viene bloccato e mandato in discarica. È capitato più volte di dover fare delle omologhe per andare in discarica, a smaltimento, contro i princìpi ispiratori della chiusura del cerchio e dell'economia circolare, solo perché avevamo un solfato a 280. Anche questo non è molto sensato, se ragioniamo ai fini della tutela dell'ambiente, ossia in termini di camion e impianti, che hanno anche altri impatti oltre quello di andare a realizzare una strada.
  Aggiungo un ultimo esempio per quanto riguarda le scorie di fonderia. Anche qui abbiamo questa difficoltà, che viene sempre dallo stesso allegato 3 del test di cessione previsto per le procedure semplificate. Con riguardo alle scorie di fonderia, ce ne sono di vari tipi. Qui parliamo di scorie di qualità ben caratterizzata. Chiaramente, quando siamo di fronte a scorie, bisogna stare molto attenti. Quando abbiamo scorie vecchie depositate da lungo tempo, bisogna essere certi del processo produttivo che le ha generate perché non sempre abbiamo un'omogeneità che garantisce la possibilità di recupero. Quando parliamo, però, di scorie – per esempio, LD, quelle da altoforno – con caratteristiche omogenee e chiaramente non pericolose, la cui bontà chimica è accertata, abbiamo una difficoltà data dal test di cessione per quanto riguarda il valore del pH.
  Come dicevo prima, per fare quel brodino, il metodo previsto attualmente dalla norma, unico riferimento a livello ambientale, è quello di polverizzarlo con una frazione massima di 4 millimetri, che è proprio contrastante con la caratteristica peculiare della scoria, che è quella della resistenza. Avremmo bisogno di un test di cessione che vada a simulare, con tutta la prudenza e la cautela del caso, ciò che rilascia il sasso, ossia la scoria, nelle condizioni in cui viene utilizzato. Se vogliamo utilizzare la scoria per fare un piazzale o una strada, le dimensioni sono quelle di 3-4-7 centimetri, non di 4 millimetri. Anche in questo caso, non ci sarebbe da inventare grandi cose perché abbiamo già molti metodi standardizzati e scientificamente validati, i quali prevedono di simulare realtà diverse rispetto a quelle di utilizzare materiali polverulenti o superfrantumati. Quello delle scorie è un esempio specifico in cui non è opportuno andare a frantumare perché, se vogliamo adoperare in maniera appropriata le caratteristiche, dobbiamo evitare la frantumazione. Invece oggi, per come è scritta la norma, se non cambiamo metodo, possiamo polverizzarle per fare misti cementati, per fare conglomerati bituminosi cementizi (nei quali non è richiesto il test di cessione), mentre non possiamo usarle per le caratteristiche peculiari della resistenza perché, se non le frantumiamo per l'utilizzo, ma seguiamo il metodo, le frantumiamo a 4 millimetri e, per la presenza specifica degli ossidi che caratterizzano la storia, ciò fa saltare il valore del pH.
  Anche in questo caso, basterebbe adoperare un metodo alternativo per la preparazione del campione in laboratorio (metodo già esistente e già validamente adoperato per tanti altri utilizzi) e potremmo aver superato questa impasse per l'utilizzo di queste centinaia di migliaia di tonnellate presenti nelle varie parti della Toscana e anche in Italia. Quello che, secondo me, è diventato fondamentale oggi è agire in maniera precisa sulle norme tecniche in modo che queste si riavvicinino ai princìpi ispiratori e consentano di lavorare con norme chiare, inequivocabili, non discrezionali, uguali per tutti su tutti i territori, avendo una sostenibilità operativa perché alcune di queste non l'hanno più.

  PRESIDENTE. Grazie. È stato molto esaustivo. Abbiamo pochi minuti per qualche domanda secca. Facciamo solo domande perché c'è già il procuratore fuori in attesa. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LAURA PUPPATO. Intanto grazie. Ho due domande secche: lei parlava di cento aziende, presidente, perché? Come mai sono Pag. 34così poche? Passo alla questione relativa alla cessione. Abbiamo vissuto tutto il tema dei sottofondi stradali in Veneto, che non devo spiegarle. Lì la situazione riguardava il mancato trattamento: quelle aziende non appartengono alle cento aziende che voi avete in gestione? Com'è la situazione?
  L'ultima domanda è la seguente: questi tavoli tecnici, vista l'urgenza che mi pare di cogliere sul fatto che dobbiamo avere delle norme tecniche – come lei diceva benissimo ora – chiare, trasparenti e non assoggettabili a interpretazioni, che tempi hanno? È chiaro anche a voi – presumo – che non si tratta di noi legislatori, ma che, ancora una volta, abbiamo a che fare con la necessità che il Ministero, dopo 4-5-6 anni in alcuni casi, emani delle norme tecniche adeguate.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Rispondo dall'ultima domanda. L'urgenza è drammatica perché tutti i giorni abbiamo la difficoltà di dimostrare questa sfasatura e questo crea un certo terrorismo nell'utilizzo del riciclato, bloccando molte iniziative. Il tema è sicuramente drammatico dal punto di vista dei tempi.

  LAURA PUPPATO. Glielo confermo. Il problema è: che tempi occorrono, secondo voi?

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Purtroppo, noi siamo vittime.

  LAURA PUPPATO. Abbiamo capito, ma i tavoli li avete: capite se vanno avanti o se non vanno avanti!

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Sono da poco in ANPAR, ma la questione del test di cessione la spieghiamo da quando è uscito il test, avendo il gesso. Abbiamo fatto vari tentativi di inserirlo in varie norme. Ci è stato promesso, via via dagli organi tecnici, che sarebbe stato possibile finché non ci hanno detto (poiché ci sono delle cose sbagliate, che tutti condividiamo) di inserirle in una proposta di decreto End of Waste: almeno sarebbero diventate delle linee guida. Lascio ora la parola al presidente, che è più politico di me su questo.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Non è questione di essere politici: perché cento aziende? Faccio un esempio e faccio riferimento al problema Veneto, ossia alla seconda domanda. Innanzitutto, nessuno sa quante aziende ci siano oggi in Italia che riciclano i rifiuti inerti. Questo è il primo problema: forse lo sa l'ISPRA, ma sono dati che a noi non è dato sapere. Quest'anno abbiamo avviato un lavoro, uno studio con Ecocerved e con la Fondazione sviluppo sostenibile di Edo Ronchi, che spero potrà essere presentato a Ecomondo e alla presentazione dell'Italia del riciclo (a novembre a Ecomondo e a dicembre a Italia del riciclo), in cui ci proponiamo proprio di fornire i numeri, ossia di capire meglio quanti siano i rifiuti inerti prodotti, quanti siano gli impianti esistenti e quale sia la reale potenzialità di riciclaggio sul territorio italiano in volumi di rifiuti, sia in termini di prodotti, sia in termini di soldi, anche per capire – questo è un altro aspetto misterioso – che cosa voglia dire questo bacino. Sappiamo che con le sottostime – noi siamo convinti che siano sottostime – a cui oggi si fa riferimento, solo i rifiuti inerti da costruzione e da demolizione sono più di un terzo dei rifiuti prodotti da noi come cittadini. Siamo convinti che i numeri siano diversi.
  Avevamo diversi associati in Veneto, che oggi non sono più associati in ANPAR. Lungi da me fare delle discriminazioni sulla base dell'origine, ma esiste in tutta Italia, purtroppo, anche una realtà imprenditoriale convinta del fatto che, per la sopravvivenza della propria azienda, sia sufficiente la politica del perimetro: nel momento in cui gestisco i rapporti, prima con il controllore immediato, ossia la forestale i vigili e via elencando, poi con il tecnico di riferimento, vivo bene. Lei mi ha fatto una domanda che io mi faccio spesso. Anch'io mi domando come mai solo cento aziende aderiscono ad ANPAR, sapendo il lavoro che fa ANPAR. Pag. 35
  La seconda domanda riguarda la questione dei problemi in Veneto. È evidente, a mio parere, che in presenza di una normativa spesso di difficile applicazione da parte degli enti di controllo – noi con gli enti di controllo vogliamo parlare e vogliamo lavorare insieme – sia possibile trovare degli utilizzi, delle scappatoie o delle realtà strane. Faccio un altro esempio, che il presidente probabilmente conoscerà. Dopo gli sciagurati eventi del terremoto in Emilia-Romagna, fu fatto, tra gli altri, un primo campo su cui vennero costruite delle casette. Questo campo, di circa un ettaro, fu fatto con aggregati riciclati. Sono stati trovati, su questo campo di circa un ettaro, fatto con aggregati riciclati (lo dico perché ormai è di dominio pubblico, è storia), dei pezzi di cemento-amianto, cioè di Eternit. Questa cosa, naturalmente, ha fatto sì che l'utilizzo...

  LAURA PUPPATO. In Calabria questo?

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. No, in Emilia-Romagna: penso in Emilia.

  PRESIDENTE. In Emilia-Romagna è stata fatta tutta l'indagine Bianchini.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Questa cosa qui, di per sé, in un sistema semplice, controllato e funzionante, non sarebbe un dramma. Non sarebbe un dramma perché è possibile capire, se c'è un problema, l'entità del problema e attrezzarsi per risolverlo. In un sistema in cui invece c'è ancora confusione, anche da parte degli enti di controllo sul prodotto, sul non prodotto, sulla conformità a una norma piuttosto che a un'altra norma, si possono creare dei mostri.

  PRESIDENTE. Dovremmo accelerare un po’.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Sarò velocissimo. Noi abbiamo condiviso con ISPRA e ISS le linee generali della bozza di decreto di End of Waste, che abbiamo portato, l'ultima volta a dicembre scorso, al Ministero dell'ambiente. Al Ministero dell'ambiente era stato aperto un tavolo tecnico per elaborare i decreti di End of Waste di tutte le filiere dei rifiuti. Le prime filiere che erano state prese in esame erano quella su conglomerato bituminoso – ossia fresato d'asfalto – e dei pneumatici fuori uso. Questo tavolo tecnico, a mio parere, non ha mai prodotto nulla – consentitemi di dirlo – per un inutile desiderio di esagerata concertazione. Ho l'impressione che quando si richiede lo stesso parere per dieci volte alle stesse 10.000 persone, che poi si fanno sedere intorno al tavolo, si cerchi per forza di far sì che una di quelle 10.000 persone, a un certo punto, sbagli e dica di no, in modo da non decidere nulla (perdonatemi se vi dico una cosa del genere). Adesso pare che questo tavolo tecnico non se ne occupi più e che le competenze siano rientrate nella direzione generale del Ministero dell'ambiente, tanto che il 9 prossimo abbiamo, sempre qui alla Sala della Lupa, alla Camera, un'altra iniziativa importantissima nel pomeriggio.

  PRESIDENTE. È la nostra!

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Esatto, è vostra. Si dice proprio che uno dei temi di cui bisogna parlare urgentemente sia il decreto di End of Waste. I tempi di questo, per quanto ci riguarda sono...

  PRESIDENTE. Ieri.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Sì, ieri, anche come possibilità.

  ALBERTO ZOLEZZI. Nella realtà, a me risulta che si stia diffondendo sempre di più la produzione di conglomerati cementizi proprio perché non c'è il test di cessione. Volevo un commento vostro su questa faccenda. Peraltro, non eseguendo test di cessione, risulta che sia in termini quantitativi, sia qualitativi (quantitativi di più, qualitativi di meno), con rilasci in ambiente, tutte le polveri di inceneritore vengano messe nei conglomerati cementizi. A noi interessa anche un po’ avere una dimensione nazionale, che purtroppo, spesso, è lontana, a mio parere, da quella che Pag. 36descrivete voi. Volevo, poi, un commento sul discorso dell'amianto. Sapete che c'è stata l'idea di ridurre la concentrazione totale, che per adesso è rimasta tale. Vorrei sapere se avete un'idea e quali siano – magari su questo ci mandate un contributo – i rapporti con la società Autostrade, la quale, così mi risulta, spesso rifiuta i materiali che vengono proposti. Vorrei sapere se avete qualche commento in proposito.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Intanto vorrei essere chiaro sulla parte dei possibili rischi di impatti ambientali. Per quanto riguarda gli aggregati inerti di qualità che vanno a fare il misto cementato, il problema non è il test di cessione perché questi aggregati, a parte il problema dei solfati, che dicevamo per il gesso, vengono tutti testati. Quando vanno a fare il misto cementato, abbiamo già una verifica analitica di questi materiali. Cosa diversa è quella che riguarda gli aggregati specifici, le scorie artificiali, che hanno bisogno di attenzioni diverse. È indubbiamente vero che se adoperiamo come norma scolpita sulla pietra il decreto del 5 febbraio 1998, che è ormai obsoleto, abbiamo la possibilità di avere scorciatoie perché nel decreto 5 febbraio 1998, quando parliamo di conglomerati cementizi e di conglomerati bituminosi, fatti anche con materiali delicati, con rifiuti che possono avere delle contaminazioni importanti, non viene chiesto il test di cessione. Questa, infatti, è un'altra anomalia. Perciò, quando dicevo di adeguare le norme tecniche, questo vale per entrambe le direzioni.
  Quando abbiamo messo nella nostra bozza di decreto End of Waste la necessità di andare a verificare altre cose oltre al test di cessione, non interessa, in questo caso, una scorciatoia. Ci interessa, invece, che la norma tecnica sia adeguata. Quindi, su un aggregato inerte è preferibile andare a verificare gli idrocarburi, che non vengono cercati dal test di cessione. Con 7-800 milligrammi/chilo, abbiamo un aggregato che circola tranquillamente e che emana già cattivo odore dal punto di vista dell'idrocarburo presente. Invece, viene prestata grande attenzione al fatto che su un cumulo di sassi ci sia un pezzetto che viene dall'intonaco, quindi con gesso, che fa saltare il test di cessione. Anche questo dimostra che andiamo a perdere questo contatto fra la sostanza della tutela ambientale e una forma legislativa che era stata pensata per altre ragioni. Chi conosce il decreto 5 febbraio 1998, sa perfettamente che non può essere esauriente ed esaustivo per le problematiche che ci sono oggi su determinati prodotti. Quindi, la risposta è che l'attenzione resta sacrosanta, ma non risolve – e non lo può più risolvere – il problema del decreto 5 febbraio 1998 come unica norma tecnica scolpita sulla pietra.

  ALBERTO ZOLEZZI. Faccio un commento finale su questo. La norma tecnica UNI credo sia tutelante. La normativa, come dice lei, ha invece dei limiti.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Volevo rispondere anche sulla parte amianto. Anche sulla parte amianto, è indispensabile avere un controllo a monte. Non volevo entrare, per motivi di tempo, nella caratterizzazione, ma oggi questa è fondamentale: quando parliamo di caratterizzazione di ingresso, serve avere una consapevolezza piena di quello che andiamo a produrre come rifiuto. Oggi, invece, bisticciamo sul termine caratterizzazione uguale analisi chimica, discutendo se far fare un'analisi chimica a chi ha buttato giù un bagno con 300 chili di materiale. Questo soggetto, prima di fare l'analisi, prende il materiale e lo butta nel bosco. Così ci vengono meno anche le attenzioni di caratterizzazione già previste da metodi scientifici che ci potrebbero far escludere la presenza di amianto.
  Quando abbiamo un cumulo di svariate migliaia di metri cubi, trovare l'amianto è complicato: possiamo prendere un campione che ce l'ha, come quello accanto che non ce l'ha. In un caso siamo di fronte a un illecito, nell'altro siamo di fronte a un materiale corretto. Non è così che salvaguardiamo l'ambiente. Salvaguardare l'ambiente significa fare in modo che l'amianto, in partenza, non venga mischiato con il resto dei materiali.

  STEFANO VIGNAROLI. Ho due domande velocissime. Una è se, vista l'indeterminatezza Pag. 37 delle norme e la carenza della normativa che lamentate, sui vostri soci ci siano procedimenti giudiziari in corso e di che tipo. Poi mi interessa sapere che cosa pensate per quanto riguarda il terremoto. Ci sono stati diversi decreti...

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Sul terremoto la questione è un po’ lunga.

  STEFANO VIGNAROLI. Per quanto riguarda uno specifico riutilizzo e il trattamento delle macerie.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. La prima domanda è molto semplice. Sono numerose le aziende che sono dentro procedimenti giudiziari. Almeno di quelli che conosco io, nel mio piccolo panorama toscano, la quasi totalità – ma direi la totalità – è legata alla lettura della norma. Si tratta di capire se la tale parentesi andava applicata in un modo o in un altro. Questi non vertono su aspetti di contaminazioni ambientali, anche dal punto di indagine, perché l'autorità di controllo fa fatica a distinguere come debba essere applicata la circolare n. 5205 per la fine qualifica del rifiuto. Molto si esaurisce anche con il nuovo 318-bis, grazie alla possibilità da parte di molti di non andare in giudizio e di pagare una multa, la quale costa meno del procedimento penale seguito da un consulente e da un legale. Molti di questi procedimenti – ormai sono agli atti – sono legati a questa non rispondenza formale della n. 5205.

  PRESIDENTE. Se vuole dire due cose velocissime sul terremoto, può farlo.

  FILIPPO GRIFONI, Delegato ANPAR regione Toscana. Sul terremoto c'è un problema di panico nell'utilizzo del materiale riciclato per i motivi che dicevamo, ossia perché basta che poi si vada a vedere e se si trova un po’ di materiale rosso ci si chiede che cosa è. In quel caso, è un laterizio triturato e validato dal punto di vista del test di cessione. Andiamo però a vedere se è effettivamente così: già l'andare a vedere se effettivamente sia così, genera non poche difficoltà psicologiche.

  PAOLO BARBERI, Presidente ANPAR. Velocissimamente, dal punto di vista procedurale, per quanto riguarda i problemi del terremoto, capendo che ce ne sono mille altri oltre a quello del riciclaggio dei rifiuti prodotti dall'evento sismico, c'è proprio un problema che, un po’ analogamente al problema della caratterizzazione dei rifiuti, del loro avvio al riciclaggio e del loro riciclaggio per la produzione di prodotti, viene forse affrontato in maniera un po’ massiva, probabilmente, spesso, per la fretta e per la necessità di risolvere velocemente il problema dello svuotamento dei paesi e delle strade. Da una parte, infatti, si ritrovano dei rifiuti che diventano difficilmente riciclabili in quanto contenenti di tutto al loro interno; dall'altra parte, ci vorrebbero (questo, per esempio, fu fatto in Emilia Romagna da Vasco Errani, al tempo) dei provvedimenti atti a riutilizzare e riassorbire i prodotti che, eventualmente, possono derivare dal riciclaggio di quei rifiuti. Spesso, però, queste cose non vengono viste e affrontate con uno sguardo circolare per quanto attiene lo specifico problema.

  PRESIDENTE. Bene. Vi ringraziamo. Ci rivedremo giovedì, presumo. Se, eventualmente, avete anche qualche altro materiale, ce lo potete fornire. Se ce lo mandate anche per supporto informatico, vi ringraziamo. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti, Giuseppe Saieva.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti, dottor Giuseppe Saieva, che ringrazio per la presenza. L'audizione odierna, inizialmente prevista nella giornata del 21 febbraio scorso presso la sede della prefettura di Roma, dove una delegazione della Commissione ha effettuato una missione al fine di svolgere una serie di audizioni specifiche sul tema, si inserisce nell'ambito dell'approfondimento Pag. 38 che, come Commissione, abbiamo avviato sul ciclo dei rifiuti del Lazio.
  Noi abbiamo diviso i nostri lavori, per una parte concentrandoci sulle vicende di Roma, poi decidendo di fare anche una serie di approfondimenti sulle altre province del Lazio. Abbiamo, di fatto, iniziato questo lavoro e siamo a buon punto, ma il motivo per cui chiediamo alle procure di incontrarci, anche qualora non ci fossero situazioni eclatanti, è proprio per avere un quadro il più possibile esaustivo degli illeciti di natura ambientale collegati al ciclo dei rifiuti, delle bonifiche e della depurazione delle acque, di cui ci occupiamo.
  Avverto il nostro ospite che della presente audizione viene redatto un resoconto stenografico e che, facendone espressa e motivata richiesta, in particolare in presenza di fatti illeciti sui quali siano in corso indagini tuttora coperte da segreto, consentendo la Commissione, i lavori proseguiranno in seduta segreta, invitando comunque a rinviare eventuali interventi di natura riservata alla parte finale della seduta.
  Cedo, quindi, la parola al nostro ospite. Le chiedo di farci un breve inquadramento delle situazioni che ritiene di interesse per questa Commissione. Nello specifico, stiamo facendo un focus anche su una vicenda che ha riguardato un'indagine su danneggiamenti all'oleodotto ENI a Civitavecchia – a Pantano di Grano, credo che fosse – che avvennero nel novembre 2014 e di cui credo che la procura si occupò.
  Il tema è diventato, purtroppo, un tema che non riguarda più l'oleodotto in questione solo dal punto di vista geografico. In realtà, ci siamo resi conto del fatto (diverse segnalazioni ci sono state fatte a più riprese da diverse procure e anche dall'operatore principale, che è ENI) che questi furti si stanno diffondendo. Eravamo in Lombardia qualche giorno fa e le stesse procure ci hanno indicato che anche su questo tema ci sono delle problematiche notevoli, non solo per il furto che riceve ENI ma anche per il fatto che ci sono sversamenti assolutamente incontrollati che inquinano l'ambiente. A lei la parola e grazie di essere qui.

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Nel circondario di Rieti il fenomeno è abbastanza circoscritto. Io dirigo la procura dal 2010. Dal 2010 i casi più significativi sono tre. Tutti e tre sono ormai a giudizio, nel senso che abbiamo chiesto il rinvio a giudizio in tutti e tre i casi. Non sono, quindi, fatti coperti dal segreto investigativo. Il primo caso si è registrato nel comune di Poggio Bustone. Si è trattato di un caso di indebita utilizzazione di alcune aree per la sistemazione di rottami di autoveicoli. Si tratta di un fatto di una determinata consistenza, per il quale abbiamo proceduto dapprima al sequestro preventivo dell'area, poi alla bonifica e alle contestazioni, che si sono attestate sull'articolo 256 della legge n. 156 e su altre ipotesi di altro genere, comprese violazioni della legge urbanistica. Questo primo caso, che è stato definito come indagine, adesso andrà a giudizio. Il primo caso si è verificato, mi pare, tra il 2014 e il 2015.
  Il secondo caso si è verificato nel 2015 nel comune di Cittaducale, dove sono stati ceduti dei rifiuti da utilizzare per un impianto elettrico a biomasse. Effettivamente, si trattava di comunissimi rifiuti che andavano smaltiti in altro modo. Anche in questo caso è stata interessata la procura. Abbiamo proceduto sia ai provvedimenti di sequestro, sia alle contestazioni. Anche questo procedimento adesso andrà al giudizio del tribunale di Rieti.
  Il caso più eclatante si è verificato tra il 2014 e il 2015. Si è trattato di uno sversamento di rifiuti pericolosi nel fiume Velino dalle parti di Camposaino. C'è una discarica, a circa 2 chilometri dal centro abitato di Rieti, dove venivano sversati dei liquami abbastanza pericolosi che provenivano dalla Basilicata. C'è stata dapprima un'attività di osservazione e pedinamento sia da parte del personale del MIPAAF, sia del Corpo forestale dello Stato, che hanno registrato un viavai di autobotti provenienti da Pisticci. Il fatto è stato monitorato e sono state effettuate delle campionature all'insaputa delle persone che trasportavano questi liquidi; una volta accertato che si trattava di materiale molto pericoloso, si è poi proceduto ai sequestri di tutte le autobotti e alla contestazione dei fatti.

Pag. 39

  PRESIDENTE. Scusi, queste autobotti dove sversavano? In uno stabilimento?

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Sì, in un impianto di depurazione contiguo al Velino, praticamente nella piana di Rieti, poco prima del territorio comunale di Greccio.

  LAURA PUPPATO. È quello che è stato seguito dalla DDA di Roma?

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Sì. Si è trattato di un fatto reiterato, che coinvolgeva tutta una serie di persone che avevano residenza e, ovviamente, incarichi sia nel consorzio di Rieti, sia nella zona della Basilicata. In quel caso, l'indagine l'avevo seguita io personalmente e ho ipotizzato un articolo 260, ossia il reato associativo.
  Ritenendo che gli organizzatori dell'associazione, residenti quasi tutti in Basilicata, fossero i promotori di quest'attività, avevo trasmesso gli atti alla procura distrettuale di Potenza per competenza. La procura di Potenza ha restituito gli atti a Roma, ritenendo, viceversa, la competenza di Roma. Adesso se ne sta occupando Roma, più esattamente la DDA, che però sta agendo con l'applicazione di un magistrato della procura di Rieti. Siamo già alla richiesta di rinvio a giudizio, che è stata da poco formulata e notificata ai – mi pare – sei indagati, che presto saranno anche imputati, immagino. Di questo, forse, vi avrà riferito il collega di Roma. Adesso, comunque, l'indagine è chiusa. Siamo all'avviso di conclusione. Questi sono tutti atti che, se di interesse della Commissione, potrò inviarvi.

  PRESIDENTE. Onde evitare che le scriviamo una lettera, le chiedo se ce li fa avere già direttamente, compresa anche, eventualmente, questa questione delle perdite degli oleodotti, per capire a che punto è la situazione.

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Va bene, senz'altro.

  LAURA PUPPATO. I sei imputati sono tutti di Tecnoparco?

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Qualcuno sì. Non sono riuscito a stampare l'elenco perché purtroppo ho avuto un incidente alla stampante.

  PRESIDENTE. Ci fa avere le ordinanze e la documentazione?

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Senz'altro: li ho. L'avviso di conclusione riguarda sei imputati. Tre sono residenti tra Roma e Rieti, due sono in Basilicata e un ultimo è il presidente della Dow Italia Spa, a Milano. Sono questi gli indagati.

  ALBERTO ZOLEZZI. Come si chiama la società?

  PRESIDENTE. Dow Italia.

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Praticamente, i responsabili sono stati identificati nel presidente del consorzio per lo sviluppo industriale della provincia di Rieti e poi in questi. Comunque, sono tutti atti pubblici.

  PRESIDENTE. Sono tutti atti pubblici, ma se ce li fa avere ci fa una cortesia.

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Ve li possiamo senz'altro inviare, anche via mail. Domani stesso possono essere qui in sede.

  PRESIDENTE. Va bene. C'è qualche altra domanda specifica?

  ALBERTO ZOLEZZI. Lei ha fatto riferimento all'inchiesta dell'impianto a biomasse, su cui avevo seguito qualcosa sulla stampa: che rifiuti avete trovato che venivano utilizzati nell'impianto? Poi, se mi ripete la questione dei liquami a cui faceva riferimento nel fiume...

Pag. 40

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Ho parlato impropriamente di liquami.

  ALBERTO ZOLEZZI. Invece erano oli?

  GIUSEPPE SAIEVA, Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Rieti. Liquidi. Questi li abbiamo: sono CER 161001.

  ALBERTO ZOLEZZI. Scusi, questo per l'impianto a biomasse? È liquido della Basilicata?

  PRESIDENTE. Questo è l'utilizzo in questo depuratore dei liquidi che venivano dalla Basilicata; invece il collega le chiedeva se eventualmente ha qualche indicazione, oppure se ce le manda, su questa indagine relativa alle perdite di questo prodotto. Se ci manda queste tre questioni e lo stato dell'arte più in generale, gliene saremo grati. La ringraziamo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.30.