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XVII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULLA POLITICA ESTERA E LE RELAZIONI ESTERNE DELL'UNIONE EUROPEA

Resoconto stenografico



Seduta n. 22 di Martedì 12 settembre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Picchi Guglielmo , Presidente ... 3 

Audizione del Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea (COPS), Ambasciatore Luca Franchetti Pardo (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento):
Picchi Guglielmo , Presidente ... 3 
Franchetti Pardo Luca , Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea ... 4 
Picchi Guglielmo , Presidente ... 9 
Cimbro Eleonora (MDP)  ... 9 
Zampa Sandra (PD)  ... 10 
Farina Gianni (PD)  ... 10 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 12 
Picchi Guglielmo , Presidente ... 12 
Farina Gianni (PD)  ... 13 
Picchi Guglielmo , Presidente ... 13 
Franchetti Pardo Luca , Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea ... 13 
Locatelli Pia Elda (Misto-PSI-PLI)  ... 13 
Franchetti Pardo Luca , Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea ... 13 
Picchi Guglielmo , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO PICCHI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea (COPS), Ambasciatore Luca Franchetti Pardo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea, Ambasciatore Luca Franchetti Pardo, cui do il benvenuto.
  Nel ringraziare l'Ambasciatore Franchetti Pardo per aver accettato l'invito rivoltogli da questo Comitato, ricordo che il COPS, istituito nel 2001 con il Trattato di Nizza, è la struttura permanente competente in materia di politica estera, di sicurezza comune e di politica europea di sicurezza e difesa con il compito di seguire gli sviluppi della situazione internazionale contribuendo alla definizione della PESC e della PSDC e attuando le decisioni prese dal Consiglio dell'Unione europea.
  In tal senso, il COPS è l'organo competente per il controllo politico e per la direzione strategica delle missioni internazionali dell'Unione europea, le quali sono l'espressione tangibile della politica di sicurezza e difesa comune in azione. Tra le più significative missioni internazionali civili e militari dell'Unione europea attualmente operative cui prende parte anche l'Italia, segnalo la missione EUFOR Althea in Bosnia Erzegovina, la missione EUTM Somalia, volta a contribuire alla formazione delle forze di sicurezza somale, la missione EUNAVFOR MEDOperazioneSophia, con l'obiettivo di smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale, e la missione EUBAM Rafah, che ha lo scopo di controllare la frontiera al valico di Rafah tra Gaza ed Egitto.
  La materia in cui il COPS è competente è di notevole interesse alla luce dell'evoluzione del dibattito europeo sul tema della difesa e dell'impiego degli strumenti offerti dal Trattato di Lisbona in tale ambito. Mi riferisco, ad esempio, alle cooperazioni rafforzate, di cui all'articolo 44 del TUE.
  Infatti, nel quadro delle decisioni relative alle missioni, il Consiglio europeo può affidare la realizzazione di una missione ad un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie. Tali Stati membri, in associazione con l'Alto Rappresentante, si accordano sulla gestione della missione. Le cooperazioni rafforzate e, in generale, il tema delle missioni dell'Unione europea attengono alla più ampia tematica della difesa europea di cui sono noti gli sviluppi, anche in relazione alla Brexit.
  Sottolineo, dunque, l'importanza dell'audizione dell'Ambasciatore Franchetti Pardo, che ci permetterà di affrontare tale questione, inclusa la necessità di un maggiore coordinamento tra la politica estera e di difesa dell'Unione europea e la politica estera e di difesa dei suoi singoli Stati Pag. 4membri in relazione agli scenari aperti proprio dalla Brexit.
  Nel ricordare, infine, che l'Ambasciatore Franchetti Pardo ricopre le funzioni di Rappresentante permanente d'Italia presso il COPS dal dicembre 2016, gli cedo la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  LUCA FRANCHETTI PARDO, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea. È la prima volta che incontro questo Comitato, dunque vi ringrazio per avermi offerto questa occasione.
  Sono sempre stato convinto della centralità dell'attività dei Parlamenti nella costruzione europea. Quando, poi, si parla di sicurezza e difesa dell'Europa, quindi anche dei nostri concittadini, visto che voi siete i loro legittimi rappresentanti in Parlamento, è importante che ci sia questa interazione.
  La sicurezza dell'Unione europea va vista a 360 gradi, non soltanto come sicurezza nel senso militare del termine. Non devo dirlo certamente a voi: la domanda di sicurezza che proviene dai nostri cittadini è forte. Non si tratta solamente, come diceva Roosevelt, della libertà dalla paura ma anche della sicurezza rispetto a un futuro dignitoso per noi stessi e per i nostri figli. Quindi, l'Unione europea deve fornire risposte, altrimenti, come Europa e come membri dell'Unione europea, avremmo dei problemi seri. Non a caso, questo concetto è stato anche ripreso nel Sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. Quindi, ci sono onori ed oneri per l'Unione europea, che, in un contesto geostrategico mutato, è stata chiamata, sullo sfondo anche della Brexit, come ricordava il presidente, a fare un salto di qualità in quanto attore globale di sicurezza.
  Il contesto globale è mutato: in poche parole, abbiamo una leadership americana meno prevedibile che in passato; abbiamo una Russia più assertiva, il che sotto certi aspetti può anche avere degli effetti positivi, ma non sempre i suoi interessi geostrategici coincidono con i nostri, anche in termini di tutela di certi valori; abbiamo, poi, alcune potenze regionali emergenti che dimostrano interesse verso la regione e che – volenti o nolenti –, in un mondo sempre più interconnesso, giocano un ruolo anche importante. Mi riferisco all'India, ovviamente alla Cina, che è anche membro del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, e ad altri Paesi che svolgono un ruolo regionale importante.
  L'Europa, quindi, ha deciso di fare un salto di qualità, che ha trovato un suo inquadramento concettuale nella Strategia globale presentata nel mese di giugno 2016, guarda caso proprio all'indomani della Brexit. È stata una risposta abbastanza diretta. Come certamente sapete, tale Strategia è definita «globale» proprio perché si articola in cinque grandi pilastri: la sicurezza e difesa nel senso classico del termine; il contributo alla resilienza interna ed esterna dell'Unione; un approccio integrato, civile, militare ed economico, alle crisi e ai conflitti nonché la prevenzione e stabilizzazione del post conflict; la cooperazione regionale; la global governance.
  Indubbiamente, il tema della sicurezza e difesa – quello che, se capisco bene, interessa particolarmente a questo Comitato in questo momento – è una grande opportunità per dimostrare il valore aggiunto che l'Unione europea può dare sia come contributore alla sicurezza e alla stabilità a livello globale, sia a tutela dei propri concittadini. La difesa è forse il settore che ha sofferto più dell'immobilismo all'interno dell'Unione europea e paradossalmente, forse, adesso essa è, invece, il settore in cui si nota un dinamismo maggiore.
  Comincerei ad illustrare quella che è nota come PESCO, cooperazione strutturata permanente, che è prevista dai Trattati ma che finora, in realtà, non ha mai trovato applicazione. Si sta lavorando su tre grandi settori: la PESCO, su cui mi soffermerò più tardi; la CARD (Coordinated Annual Review on Defence), una specie di messa a sistema delle capacità di cui dispongono i Paesi dell'Unione europea, per cercare di superare eventuali duplicazioni o eventuali lacune capacitive. Inoltre, per contribuire a questo sforzo e per promuovere un'industria della difesa europea più Pag. 5efficiente è stato anche istituito il Fondo europeo per la difesa, European Defence Fund (EDF), che ha due grandi componenti: una a sostegno di ricerca e sviluppo (research window) e una invece più capacitiva (capacity window).
  La PESCO rappresenta un passo decisivo in questo senso. Essa è concepita come uno strumento essenziale per muoversi verso un modello che combini la volontà di alcuni Stati a fare di più, all'interno, però, della cornice istituzionale dell'Unione europea. La competenza resta, comunque, in capo agli Stati membri, che, però, in numero più ristretto possono decidere di avviare la cooperazione rafforzata. La PESCO ha avuto una spinta politica molto forte, in particolar modo in occasione del Consiglio europeo del 23 giugno scorso, quando i nostri capi di Stato e di governo hanno stabilito un termine di tre mesi entro il quale gli Stati membri dovranno concordare una lista di impegni che ogni Paese dovrà assumere se vorrà partecipare alla PESCO, oltre ai criteri per farvi parte.
  Ci stiamo lavorando. In questo senso quattro Paesi, ossia Italia, Francia, Germania e Spagna, hanno adottato una forte iniziativa in questo settore. Abbiamo presentato una serie di idee che si basano sul principio per cui la PESCO deve essere, per quanto possibile, inclusiva, fornire un valore aggiunto e non essere duplicativa rispetto agli assetti di cui la NATO già dispone. Ognuno di noi ha un suo insieme di forze e sarebbe errato creare duplicazioni. Questo è un timore che, tra l'altro, hanno anche alcuni Paesi dell'est, i quali temono che si possa indebolire la partecipazione della NATO. Invece, noi abbiamo sempre detto che il rafforzamento della difesa europea è complementare anche alle forze NATO.
  Il Fondo europeo per la difesa, come dicevo, vuole promuovere e sostenere l'industria della difesa europea. Fornisco qualche dato che forse può essere utile ricordare per capire perché c'è bisogno di lavorare meglio a livello europeo, anche in termini di investimenti. L'insieme delle forze armate europee dispone di 178 tipi di armamento, nel senso lato del termine; le forze armate americane ne hanno 30. Noi abbiamo 17 tipi di carri armati; gli americani ne hanno uno. Noi abbiamo 29 tipologie di incrociatori e fregate; gli americani ne hanno 4. Noi abbiamo 20 tipi di aerei da combattimento; gli americani ne hanno 6. Dico questo perché molto spesso in Europa ci sono duplicazioni, per ragioni anche storiche, che non portano sempre, però, all’output più efficiente. Invece, mettendo in sinergia le industrie della difesa e promuovendo progetti congiunti, probabilmente si otterrebbero anche prodotti con una valenza più forte in termini economici.
  Un altro settore in cui si è andati abbastanza avanti è quello della cooperazione con la NATO, proprio per evitare eccessive duplicazioni. Anche quell'aspetto era rimasto un po’ fermo negli anni. Ultimamente, invece, il 6 dicembre, sono state approvate ben 42 iniziative in 7 ambiti, dalle minacce ibride alla cyberdefense, che vogliono mettere a sistema le esigenze di difesa delle due organizzazioni.
  Un'altra grande novità – forse non positiva ma presente nello scenario internazionale – è che sono sempre più evanescenti i confini fra sicurezza interna e sicurezza esterna. C'è la necessità di lavorare in modo integrato anche con le varie agenzie di sicurezza. Per esempio, fra le varie sfide che ci troviamo ad affrontare – è inutile dirlo – c'è anche la sfida migratoria, rispetto alla quale si sono svolti una serie di incontri, più o meno formali ma molto produttivi, fra i ministri degli interni e i loro omologhi della difesa e degli affari esteri, proprio per avere un approccio integrato a tutte le diverse sfaccettature che possono essere legate a questo fenomeno.
  Venendo, invece, all'attività di difesa nel senso classico del termine, come ricordava il presidente, ci sono le missioni civili e militari in ambito PSDC. Anche in questo settore si è avuta un'evoluzione concettuale: da quello che era l'intervento di emergenza si è passati a una serie di missioni che vogliono non soltanto tamponare una situazione, ma anche creare negli Stati in cui si opera la condizione affinché questi Paesi siano essi stessi in grado di confrontarsi con i problemi e con le difficoltà che Pag. 6affrontano. Si tratta di un sostegno alla formazione. In questo senso uno sviluppo interessante e recente è stato la creazione di una forza congiunta di cinque Paesi del Sahel, a cui immediatamente l'Unione europea ha fornito un suo sostegno. Ciò rientra proprio nel principio che noi difendiamo, quello della ownership della sicurezza da parte dei Paesi da cui provengono le sfide e le minacce. Si tratta di fare in modo non soltanto di essere noi ad andare a fare i pompieri, ma che i Paesi stessi gestiscano la propria situazione.
  Credo che quella in Libia sia effettivamente, per noi italiani, una delle missioni principali, anzi la missione principale. Come sapete, abbiamo anche il comando delle due missioni dell'Unione europea in Libia. La prima è EUBAM Libya, missione civile di competenza del Ministero dell'interno e guidata dal Dottor Tagliaferri. Attualmente, si tratta soltanto di una sorta di entry force ma si sta lavorando per pianificare un'eventuale missione futura dell'Unione per lo sviluppo della capacità nel settore penale, dell'immigrazione, della sicurezza delle frontiere e della lotta al terrorismo. Si sta rinnovando, inoltre, il mandato e si è deciso di continuare a fornire e a rafforzare l'assistenza alla controparte libica essenzialmente nei settori di border management, law enforcement e criminal justice, ossia i grandi settori istituzionali. Tra l'altro, l'obiettivo è di avere del personale EUBAM incardinato (embedded) nei diversi ministeri libici, per cercare di costituire un'area di legalità a Tripoli, ossia una zona in cui possano essere istituiti tribunali, polizia e tutto ciò che può fare da nucleo per creare un sistema giuridico e giurisdizionale funzionante.
  In questo senso è importante anche che le Nazioni Unite decidano di tornare in Libia, perché queste cose vanno fatte, ovviamente, sotto il cappello delle Nazioni Unite. L'UNSMIL, la struttura delle Nazioni Unite a ciò preposta, ha annunciato un ritorno a breve. Noi non possiamo che auspicarlo.
  Vi è poi la missione EUNAVFOR MED Operazione Sophia. Anche in questo caso il capo missione è italiano, l'Ammiraglio Credendino. Questa missione ha avuto una sua storia e una sua evoluzione. Il compito principale era quello di contribuire a smantellare il modello di business delle reti del traffico e della tratta di esseri umani nel Mediterraneo centromeridionale, cercando di fermare e mettere fuori uso le imbarcazioni e i mezzi usati dai trafficanti. Sinteticamente, erano previste tre fasi attraverso cui ci si doveva progressivamente avvicinare alle coste libiche e poi operare in Libia. Attualmente siamo nella fase intermedia, in cui si opera al di fuori delle acque territoriali libiche, facendo, invece, una forte azione di formazione sia della marina libica, sia dei guardiacoste civili affinché siano i libici stessi a poter prendere in carico il problema. Si tratta sempre della stessa logica della formazione per rafforzare la ownership.
  A questo si sono aggiunti altri compiti secondari, come l’embargo alle armi in base al mandato delle Nazioni Unite e poi – qui si entra un po’ nel dettaglio – lo scambio di informazioni e il rafforzamento e il monitoraggio dell'azione dei guardiacoste libici formati. Una volta formati da noi europei, occorre verificare che essi si comportino adeguatamente e seguano ciò che l'addestramento ha loro indicato. Il seguito della formazione è un aspetto importante del nuovo mandato di EUNAVFOR MED. L'Italia ha gestito sin dall'inizio il comando dell'operazione, avendo la nave di comando fino a un mese fa. Adesso per tre mesi la nave di comando è spagnola e poi, fra tre mesi, vedremo se qualcun altro si offrirà volontario per tale compito.
  Ovviamente, per connessione non solo geografica ma anche logica, parlando di Libia, non si può non tener conto della regione del Sahel, cui ho fatto riferimento poco fa. Noi consideriamo veramente l'arco che va dal Sahel al Corno d'Africa come una delle zone fondamentali su cui bisogna operare per la stabilizzazione. Su questo tema si sta lavorando in un'ottica sempre più regionalizzata. Stiamo cercando di mettere in sinergia le diverse missioni cui ha fatto riferimento anche il presidente.
  Ci sono altre operazioni rispetto alle principali, elencate dal presidente. Poi, se Pag. 7vorrete, mi soffermerò su tutte le altre. Ad esempio, abbiamo EUCAP Sahel Niger, EUCAP Sahel Mali, EUTM Mali. Dico questo perché l'idea che abbiamo lanciato noi italiani di assumere sull'Africa un approccio globale e integrato ai fenomeni migratori ha fatto breccia nell'Unione europea. Non è mistero che all'inizio ci fossero degli interrogativi – mettiamola così – ma devo dire che questa nostra azione ha effettivamente spinto in quel senso e che i risultati si stanno vedendo. La riduzione dei flussi dalla Libia verso l'Italia non è soltanto frutto del contrasto ai traffici. Probabilmente c'è anche una riduzione degli imbarchi. Questo è un ragionamento che ci porta lontano.
  Operiamo anche nel Corno d'Africa, soprattutto in Somalia, dove abbiamo due operazioni: una, marittima, che si chiama EUNAVFOR Somalia OperazioneAtalanta, opera già dal 2008 e nasceva per il contrasto alla pirateria. Oggi siamo ancora presenti sia per il contrasto alla pirateria, sia in funzione di deterrenza per garantire la libertà dei traffici marittimi, che ovviamente sono un aspetto importante della nostra vita quotidiana. In questo senso c'era stata un'esperienza NATO precedente. Poi, dopo la NATO, subentrammo noi come Unione europea.
  La seconda missione è EUTM Somalia, cui ha fatto riferimento il presidente. Anche questa missione è sotto il comando italiano – attualmente ne è a capo il Generale Pietro Addis – e ha l'obiettivo di formare le brigate militari somale. L'esperienza interessante è che, come italiani, stiamo promuovendo la formazione di brigate interetniche, cosa che in Somalia ha una sua delicatezza ma che sta funzionando. Stiamo fornendo alle forze armate somale delle unità già capaci di operare scavalcando le tradizionali rivalità di clan. Magari ciò non avviene ancora al cento per cento ma è certamente un lavoro importante, che viene apprezzato molto, innanzitutto dalle istituzioni centrali somale.
  Esistono poi anche altre strutture EUCAP Somalia si occupa di rafforzare le capacità istituzionali. Siamo presenti anche in Repubblica Centrafricana. In realtà, le missioni PESC/PSDC sono moltissime. Non tutte sono note ma tutte si basano sull'idea di lavorare congiuntamente in un'ottica di formazione delle strutture militari, nonché di rafforzamento delle capacità istituzionali (institution building) in questi Paesi.
  Recentemente l'Europa ha rafforzato la sua presenza in Iraq. È stata creata EUAM Iraq, una missione di advise and assist, ossia di assistenza, in Iraq. Si tratta di una missione che ancora si sta organizzando – sarà attiva a breve –, con personale europeo incardinato in alcuni centri chiave, per esempio nell'ufficio del National Security Advisor, il responsabile della sicurezza interna. La missione contribuirà alla redazione degli atti interni, ovviamente richiedendo anche il rispetto dei princìpi condivisi in Europa, che riteniamo siano il fondamento di ogni consolidamento democratico anche in altri Paesi.
  Venendo ai territori palestinesi, che il presidente ha ricordato, abbiamo due missioni. C'è una missione di polizia che si chiama EUPOL COPPS, che serve ad assistere l'Autorità Nazionale Palestinese ormai dal 2006 per la formazione di chi opera nel settore della sicurezza e della giustizia, al fine del consolidamento dello Stato di diritto nelle strutture dell'Autorità Nazionale Palestinese. Poi c'è la missione EUBAM Rafah, che, invece, fornisce una presenza terza fra israeliani e palestinesi al confine di Rafah. Tale missione dovrebbe creare – devo dire che, per taluni versi, ci sta riuscendo – un clima di maggiore fiducia presso una frontiera fondamentale anche per la sussistenza stessa dell'Autorità Nazionale Palestinese e della popolazione palestinese.
  Siamo presenti in Europa con EUFOR Althea, che il presidente ha ricordato, ed EULEX Kosovo, che ha lo scopo di formare gli amministratori di giustizia in Kosovo e di sostenerne la formazione. Abbiamo, poi, un'altra missione finalizzata alla formazione nel settore della sicurezza civile in Ucraina. Si tratta di EUAM Ucraina, che è stata formalmente lanciata nel dicembre 2014. Questa missione ha il mandato di sostenere le agenzie statali ucraine nel settore della sicurezza. Si tratta di uno degli Pag. 8elementi centrali del nostro sostegno alle autorità ucraine, che nasce anche da un accordo di associazione che prevede l'istituzione di una zona di libero scambio. C'è, poi, la missione in Georgia. Si tratta di una monitoring mission che nacque per rafforzare la fiducia fra le parti in conflitto (Russia e Georgia) nel 2008 ed è ancora attiva. Fornisce regolarmente report sulla situazione e devo dire che ha instaurato un proficuo rapporto con entrambe le parti.
  Come Italia, siamo presenti con diverse istituzioni praticamente in tutte le missioni. Ci sono funzionari civili ma anche appartenenti all'Arma dei Carabinieri, alle forze di polizia, alla Guardia di finanza e alla magistratura. L'Italia, in tutte le sue articolazioni, è veramente impegnata a contribuire al rafforzamento istituzionale e alla sicurezza intesa in senso lato a livello globale, ovviamente soprattutto nelle aree di maggiore crisi.
  Secondo i dati che ci fornisce il Servizio diplomatico europeo (SEAE), al 30 giugno, il personale distaccato nelle missioni civili è di circa 760 unità, mentre il personale internazionale a contratto consta di 460 persone, con un totale di circa 1.200 contrattisti locali. I militari europei nelle diverse operazioni sono circa 2.800. L'Italia contribuisce alle missioni civili con 45 esperti distaccati (è il sesto Paese in termini di fornitura di esperti distaccati) e con 12 esperti a contratto. La missione civile che vede maggiormente impegnato il nostro Paese è EULEX Kosovo, con 19 distaccati e 3 esperti.
  Relativamente alle operazioni militari, le donne e gli uomini italiani presenti sono circa 580, pari circa al 20 per cento del totale. Circa un terzo del personale militare è impegnato in EUNAVFOR MED OperazioneSophia e quasi due terzi in EUTM Somalia, perché sono le due operazioni di cui abbiamo il comando e ciò comporta, di conseguenza, anche la previsione della struttura di comando. L'Italia fornisce il 40 per cento del contingente EUNAVFOR Somalia.
  Spero di essere riuscito, un po’ a grandi linee, a fornirvi un quadro di quello che l'Unione europea sta facendo in termini di contributo alla sicurezza e alla difesa ma anche alla stabilità globali. Questo è ciò che ci viene chiesto dai cittadini. Ci viene chiesto anche e soprattutto – questa è una cosa interessante – dagli attori regionali. Ci sono zone, per esempio l'Africa, in cui la presenza europea è richiesta, ben vista e ben accetta, mentre altre presenze, per ragioni varie, sono ritenute meno gradite o più ingombranti. Comunque sono presenze che magari operano in maniera diversa rispetto a noi europei. Peraltro, noi europei abbiamo, a mio avviso, una capacità unica di combinare il soft power e l’hard power. Come si può vedere anche dalla mia illustrazione delle missioni, lavoriamo sulle missioni militari ma anche sull’institution building, ossia sulla creazione in loco delle condizioni affinché gli Stati costruiscano le stesse istituzioni. Poi c'è tutto il volet relativo al contributo allo sviluppo.
  Come Unione europea, in molti luoghi siamo i primissimi attori in termini di contributo allo sviluppo e alla crescita economica e sociale di questi Paesi; siamo certamente i primi in termini di sostegno alle istituzioni di questi Paesi e siamo fra i primi in termini anche di consolidamento delle loro strutture di sicurezza, sempre in una logica di ownership, ossia aiutando i Paesi a creare quelle forze di sicurezza necessarie a essere essi stessi in grado di prendere in mano il proprio presente, se possibile, e il proprio futuro, quando necessario. Questo è un po’ l'approccio che abbiamo noi europei. Si sta lavorando molto in questo senso e adesso, come accennavo brevemente prima, la PESCO ha avuto un'accelerazione: si sta lavorando alla definizione dei criteri e dei parametri e si sta anche già riflettendo su possibili progetti da lanciare, che abbiano la caratteristica di fornire un valore aggiunto capacitivo all'Unione europea e che, al contempo, permettano, però, anche alle industrie di lavorare in maniera più razionale, usufruendo degli incentivi che vengono dal Fondo europeo di difesa.
  L'auspicio dell'Alta Rappresentante Mogherini è che si possa arrivare all'avvio della PESCO già entro la fine di quest'anno, auspicabilmente in occasione del Consiglio europeo di dicembre. I quattro Paesi che Pag. 9stanno agendo in maniera significativa (Francia, Germania, Spagna e Italia) lavorano in questo senso. È ovvio che ci sono Paesi che hanno sensibilità diverse. Ne ho fatto cenno prima. Tuttavia, ripetendo che la PESCO deve e vuole essere inclusiva – più Paesi decidono di fare parte dei progetti PESCO e meglio è – si stanno rassicurando anche i Paesi più scettici.
  Poi c'è tutto il discorso di come verrà organizzata la governance della PESCO. Ormai si va verso il concetto del doppio livello: un primo livello cui partecipano i Paesi della PESCO che aderiscono alla PESCO in quanto tale e altri eventuali Paesi osservatori; e un secondo livello relativo ai Paesi che partecipano alla PESCO anche con investimenti, i quali hanno potere decisionale sul progetto. Un dato importante è che il progetto che domani dovesse essere realizzato rimarrebbe di proprietà nazionale dei singoli Stati partecipanti, ma con l'impegno, ovviamente, a metterlo a disposizione, come capacità, qualora l'Unione europea si trovasse ad averne bisogno.
  Ho cercato di essere, per quanto possibile, sintetico su una materia che è molto complessa e che riguarda diversi settori. Ripeto, è la prima volta che vengo audito da questo Comitato e forse ho tradito un po’ di emozione, ma ritengo davvero importante il dialogo con voi Onorevoli, perché la sicurezza è un tema veramente centrale in termini di proiezione all'esterno e, come dicevo, anche all'interno. I nostri cittadini ci chiedono questo e l'Unione europea e noi, che lavoriamo con essa e per essa, abbiamo il dovere democratico, ma anche morale, di corrispondere a questa domanda. Essendo voi, come dicevo prima, i legittimi rappresentanti dei nostri cittadini, siete anche portatori di queste istanze. Pertanto, è doveroso riportare a voi ciò che stiamo facendo quotidianamente a Bruxelles.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'Ambasciatore Franchetti Pardo per la sua relazione.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ELEONORA CIMBRO. Ringrazio l'Ambasciatore per questa presentazione, che sicuramente è molto utile, oltre che interessante. Noi abbiamo avuto modo di confrontarci anche con l'Alta Rappresentante Mogherini nel mese di marzo in occasione della votazione sulle missioni internazionali e riteniamo certamente che la politica estera e di difesa comune sia e debba essere una priorità anche per l'Italia. Pertanto, tutti i contributi che possono derivare anche dal dialogo all'interno del Parlamento e dal confronto parlamentare sono assolutamente necessari. Auspico, quindi, che si possa continuare questa interlocuzione proficua che è stata avviata oggi.
  Già allora, proprio poche ore dopo l'approvazione delle missioni internazionali italiane, ho avuto modo di mettere in evidenza la mancanza di lungimiranza rispetto agli interventi che in quella occasione si sono decisi per alcuni Paesi, in particolare per il continente africano. Indubbiamente oggi tocchiamo con mano il risultato di un intervento rispetto alla Libia deciso principalmente da parte dell'Unione europea. Tuttavia, è evidente che anche tutte le preoccupazioni e le perplessità che sono state messe in evidenza, non solo dai parlamentari e da alcune forze politiche presenti in Parlamento ma anche dalle ong, che hanno seguito in questi mesi e in questi anni tutto il dramma derivante dal problema della migrazione, siano altrettanto importanti per una forza che si pone come democratica e attenta anche al rispetto dei diritti umani.
  Al netto del fatto che, dal mio punto di vista, forse si sarebbe dovuto investire di più sul Partenariato Meridionale, mollando un po’ la presa sul Partenariato Orientale – più volte abbiamo insistito anche rispetto a questa prospettiva in Commissione –, Le chiedo che cosa concretamente si stia mettendo in campo a seguito di questa riflessione in merito al rispetto dei diritti umani, in particolare con riferimento alle missioni che portiamo avanti con l'Europa in Libia. Riteniamo che questa sia e debba essere assolutamente una priorità, fermo restando che condivido il ragionamento per cui dobbiamo uscire dall'ottica di intervenire sulla Pag. 10base dell'emergenza. Quello che si deve fare, e che probabilmente abbiamo iniziato a fare, è pianificare interventi che abbiano la visione lungimirante che, dal mio punto di vista, forse è arrivata un po’ troppo tardi.
  Indubbiamente, la situazione del Nord Africa è molto complessa. È necessario un supplemento di riflessione per capire cosa sia più utile fare dopo questa risposta finalizzata semplicemente a fermare la migrazione. Ci preoccupiamo solo di fermare i flussi. Per me non è una priorità legata alla sicurezza, ma dobbiamo capire anche come far crescere questo territorio, che è stato completamente destabilizzato sicuramente anche per scelte prese da singoli Stati membri dell'Unione europea in passato, che hanno destabilizzato poi tutta l'area.

  SANDRA ZAMPA. Signor Ambasciatore, La ringrazio del suo intervento, molto ricco di informazioni. Comprendo e condivido fortemente il senso di orgoglio con il quale ha illustrato il piano di lavoro e gli interventi in corso. Sono convintamente europeista e certamente, da questo punto di vista, mi sento di condividere anche il sentimento con cui Lei è intervenuto in quest'aula.
  Anch'io Le chiederei di approfondire un po’ di più la parte relativa agli interventi in Libia. Lei ha fatto riferimento anche a un'azione di costruzione almeno dei capisaldi dello Stato di diritto. Vorrei comprendere come questo stia avvenendo, ossia quali siano le azioni effettivamente in corso. Capisco che il taglio del Suo intervento è rivolto tutto alla questione della sicurezza e che, quindi, ovviamente, è stato più attento e dettagliato su questo fronte, ma anch'io Le chiederei un qualche cenno, se possibile, più in profondità anche sulla questione che ha alimentato molto la discussione tra luglio e soprattutto agosto, quella delle navi delle ong, per capire, anche dal Suo punto di vista, che cosa sia avvenuto e che cosa avverrà ora che, invece, si stanno sostanzialmente ritirando.
  Le chiederei, invece, di accennare, se possibile, a una questione che distrattamente potrei non aver ascoltato. Noi parliamo di sicurezza e Lei ha affrontato la questione dell'immigrazione da questo punto di vista. Da questo punto di vista, però, penso che noi dobbiamo anche dirci che molti Paesi europei hanno mancato nel proprio lavoro, che forse è una delle questioni su cui personalmente, da europeista, mi sarebbe molto piaciuto vedere l'Europa intervenire con maggiore fermezza. Mi riferisco, in particolare, a quanto avvenuto ai confini dei Paesi dell'Europa dell'est, a quanto avviene in Ungheria, in particolare, e al – secondo me – eccessivo silenzio con cui l'Europa ha lasciato che accadessero cose che credo non siano degne di accadere in Europa e che è non si sarebbero dovute tollerare.
  Nel corso di una missione molto breve e davvero molto artigianale condotta con alcuni parlamentari europei del Partito Democratico ai confini di Austria e Ungheria abbiamo registrato e anche denunciato in tutte le sedi, in cui questo era possibile, la presenza di carri armati che accolgono gli arrivi di donne con bambini per mano e il fatto che queste persone venissero trasportate addirittura su treni merci. È inutile che elenchi tutto quello che Lei conosce certamente molto meglio di me ma io mi attenderei che da questo punto di vista non ci fosse soltanto un'azione che interviene a fermare flussi, adesso anche con una pianificazione di interventi che doveva essere fatta molti anni fa – l'importante, comunque, è che cominci –, ma che si agisca anche sanzionando i Paesi che non si adeguano e che fanno parte dell'UE. Comprendo e, anzi, condivido fortemente la necessità di lavorare in Libia e di fare in modo che in Libia tornino immediatamente presenti le istituzioni internazionali ma non credo che si possa tollerare che un Paese europeo violi i diritti umani, come si è visto fare, senza che accada nulla o quasi nulla. Perciò, Le chiederei un approfondimento su questo punto.

  GIANNI FARINA. Grazie, Ambasciatore, per l'esauriente e ampia relazione su un problema che è complesso, difficile e spesso sconosciuto, sul quale probabilmente giocheremo le fortune del futuro di Pag. 11un'Europa diversa, migliore, più avanzata, più cosciente del suo ruolo.
  Vorrei iniziare facendo riferimento al fatto che l'altro giorno un commentatore inglese parlava della Brexit dicendo che, in fin dei conti, la Gran Bretagna si è sempre comportata da Paese non appartenente all'Unione europea, quindi il fatto che sia definitivamente uscita può essere anche un segno di ritrovata unità nel continente rispetto a problemi complessi e difficili, che riguardano il futuro dello stesso continente. Condivido in parte questa analisi, anche perché considero il Regno Unito un grande Paese, che avrebbe potuto dare un grande contributo alla costruzione di una nuova Europa, però siamo di fronte a questa situazione.
  Partendo dalla prima analisi, che riguarda i Paesi dell'est europeo, non possiamo pensare che vi siano due Europe: c'è una sola Europa di ventisette Paesi e, personalmente, ritengo che il fatto che questi Paesi abbiano aderito all'Unione europea pur non avendone tutte le caratteristiche sia dovuto al prezzo che abbiamo pagato alla fine della Guerra Fredda e alla sconfitta del comunismo, quindi era un prezzo che dovevamo pagare. Questo, però, non vuol dire che la politica estera europea debba essere fatta da questi Paesi: sono due cose diverse. Quindi c'è la coscienza del sapere che vi sono delle preoccupazioni nell'est europeo che riguardano un passato storico, ma che per questo motivo non può essere possibile che quei Paesi siano i fautori della politica estera comune. La politica estera si fa in Europa con i grandi Paesi che hanno fondato la Comunità europea, che hanno delle responsabilità enormi anche nel passato. Infatti, non dimentico che nel maggio del 2005 il popolo francese, essenzialmente sulla questione della difesa (la propaganda era «la force de frappe»), respinse la Costituzione europea, che già allora avrebbe rappresentato un punto avanzato di una proposta unitaria, di una costruzione unitaria di difesa, cooperazione e sviluppo.
  Non dimentico queste cose e ben venga che i quattro grandi Paesi, a cui Lei ha accennato, si pongano questo straordinario obiettivo di fronte a un disastro, quello libico, che è stato provocato soprattutto da egemonie particolari e nazionalistiche di alcuni Paesi europei (Regno Unito e Francia, tanto per intenderci) e che ha creato un disastro che nessuno ha potuto governare. Ora, finalmente l'Italia – ha fatto bene, Ambasciatore, a dirlo con orgoglio – si è posta di fronte al problema di una proposta innovativa e importante cui Lei ha accennato.
  Vorrei concludere questo mio ragionamento sul problema dell'immigrazione. Certo, sono consapevole che in Africa l'Europa è assente, la sta abbandonando alla Cina e questo è un problema. Non parliamo, poi, del Medio Oriente, dove assolutamente non esiste l'azione europea e quando la Francia di Hollande, dopo l'intervento russo, ha voluto dimostrare una sua passata potenza si è resa conto in pochi mesi che il suo intervento era assolutamente insignificante. A parte una certa francofonia nel centro Africa, dovuta a ragioni storiche, l'Europa è assente ovunque. Bene ha fatto il Governo italiano a ristabilire immediatamente i rapporti con l'Egitto, perché non è possibile che si dimentichi il più grande Paese del Nordafrica e che, in un momento così complesso e difficile, noi rinunciamo a un certo ruolo, naturalmente non dimenticando una tragedia e l'obbligo del Governo italiano di continuare a insistere perché sia fatta chiarezza al riguardo.
  In Libia finalmente si fa qualcosa, però con grave ritardo. Vorrei concludere proprio soffermandomi sul problema dei diritti umani. Non vorrei che la questione della fine del processo immigratorio dei barconi nascondesse la polvere sotto il tappeto. Io ho vissuto in quei Paesi, ho vissuto ai confini del Ciad, a Cufra, nel deserto libico. Ero un giovane tecnico e so qual è il dramma: dopo la Libia comincia il deserto (anche Cufra, in realtà, è un'oasi in mezzo al deserto). Non vorrei che bloccando l'immigrazione in un certo modo – non esprimo per ora se sia un modo sbagliato, il mio è un giudizio sospensivo – si dimenticasse il problema umano di milioni di poveri e di diseredati. In questo sta il problema dell'Europa, Pag. 12 non dell'Italia, ossia nella formazione di quadri dirigenti di formazione, di professione, militari e civili, in quei Paesi.
  Voglio concludere ringraziandoLa per questo esauriente intervento e ricordando che su questo argomento l'Europa non ha ancora la maturità di una politica di difesa e sicurezza. Viaggiano in Europa anche per i miei obblighi politici, mi accorgo che tale maturità non c'è ancora, bisogna farla crescere giorno dopo giorno. Mi auguro veramente che, come Lei, che parla con commozione e orgoglio di questo processo, e come noi, siano in tanti a ritenere che questo è il nostro futuro.

  PIA ELDA LOCATELLI. Come ha detto la collega Zampa, siamo un po’ dimidiati tra il parlare di politica interna della UE, a volte, dimenticando la politica estera. Cadrò anche io in questa deviazione. Vorrei chiedere un Suo parere legato al tema dei migranti, dei flussi e delle politiche comuni della UE. Lei non crede che il rifiuto di un paio di Paesi di accettare le sentenze della Corte di Lussemburgo in tema di migranti possa essere considerato alla stregua di dire: «Noi stiamo fuori dalla UE», non formalmente ma sostanzialmente? Quando ho letto le reazioni, anche se non ufficiali, ho pensato che siamo al limite. Stiamo perdendo il Regno Unito e io, diversamente da quello che dice il collega Farina, forse perché sono un'inguaribile ottimista, forse perché ho proprio voglia di Europa e me ne occupo da quando sono nata, non riesco ancora a rassegnarmi all'uscita definitiva del Regno Unito e spero sempre in una soft Brexit che piano piano rimetta a posto le cose. So che questa è una questione di politica interna.
  Per quanto riguarda la politica estera, credo che l'Alta Rappresentante Federica Mogherini stia facendo quello che è possibile fare, perché le condizioni non sono facili e, come Italia, stiamo pagando le conseguenze di questa mancanza di politica estera comune dell'Unione. La questione della Libia rappresenta proprio il frutto della mancanza di politica estera. Infatti, quello che è successo nel 2011 in Libia è emblematico di come questo tentativo di politica comune sia stato negato in modo clamoroso dall'intervento della Francia e della Gran Bretagna e poi l'Italia oggettivamente è stata tirata per i capelli. Ciò ha prodotto il caos per cinque anni e mezzo ed è così evidente il danno della mancanza di politica comune che ancora non riesco a rassegnarmi che questa sia la realtà. In queste ultime settimane ci sono stati segnali positivi e il fatto che quattro Paesi stiano facendo qualcosa insieme sta dando risultati o quantomeno sta creando le fondamenta per qualche risultato.
  A me pare, quindi, che l'Unione europea debba dare segni tangibili. Non casualmente quando ci siamo ritrovati a commentare ed eventualmente integrare la relazione sul nostro intervento per sostenere le forze navali libiche nel tentativo di «fermare i flussi» o controllare o respingere il traffico degli scafisti, anche in quest'aula abbiamo pensato all'UNHCR, all'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ma, parlando di bisogni e di rispetto dei diritti umani e dell'intervento umanitario, non abbiamo chiamato in causa Stavros Lambrinidis, il Rappresentante speciale della Unione europea per i diritti umani, o Myria Vassiliadou, EU anti-trafficking Coordinator. Noi che ci diciamo europeisti convinti siamo stati messi in crisi da questa dimenticanza, in quanto prima di chiamare l'ONU dovremmo chiamare l'Unione europea. Questa nostra dimenticanza purtroppo è significativa. Mi chiedo cosa queste figure istituzionali, insieme alla Vicepresidente Mogherini, stiano immaginando affinché il respingimento o il fermo di queste persone nei campi libici possa essere meno tragico di adesso.
  In questa politica, che è un po’ interna e un po’ esterna, c'è un disegno preciso dell'Unione europea, in particolare su questo aspetto dei flussi migratori? Poi ovviamente si può parlare di un fondo di 200 milioni di euro per l'Africa, ma in questo momento come pensate di contribuire per cambiare la situazione o migliorarla, per quanto si può?

  PRESIDENTE. Anch'io ho delle domande ma tralascio le considerazioni sulla politica estera dell'Unione europea perché potremmo rompere questo clima di europeismo. Pag. 13 Le mie tre domande sono: qual è la reale possibilità di successo della PESCO? Quali sono i rapporti, che inevitabilmente ci sono, con la NATO? Quali sono le prospettive dell'industria della difesa europea? È noto che i francesi hanno un'idea di industria europea della difesa basata su un modello molto franco-tedesco...

  GIANNI FARINA. Più francese che tedesco...

  PRESIDENTE. Naturalmente, però, siccome da soli non lo possono fare, devono apparentarsi a qualcuno e quindi guardano alla Germania. Questo per l'Italia è qualcosa di inaccettabile, quindi qual è il punto sulla situazione politica all'interno dell'Unione europea?

  LUCA FRANCHETTI PARDO, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea. Se Lei mi permette, signor presidente, mi soffermo prima sulle domande che ruotano intorno a un paio di grandi temi, cercando di accorparle, mentre le Sue domande, presidente, sono legate a un tema molto preciso, che, a dire il vero, è forse quello che più tocca il mio lavoro quotidiano.
  Cosa fa è l'Europa? L'onorevole Farina – ha detto che abbiamo abbandonato l'Africa. Forse è stato vero per un certo periodo, ma adesso c'è la consapevolezza che in Africa è in gioco anche il nostro futuro. Da qui nasce la rinnovata attenzione europea e, a onor del vero, è stato il Governo italiano a spingere molto in questo senso con il Trust Fund de La Valletta e il Fondo Africa, che ricordava l'onorevole Locatelli. Quindi, l'idea che il problema migratorio non è unicamente un problema di natura securitaria ma va affrontato in maniera multidimensionale è qualcosa su cui l'Italia ha molto insistito.
  Da qui il processo di regionalizzazione delle missioni europee in Africa per cercare di coordinare diversi Paesi (come Niger e Mali), l'aiuto allo sviluppo, gli incentivi agli accordi di volontario ritorno, la creazione di condizioni accettabili nei campi in Libia: tutto questo dimostra un approccio a 360 gradi che, in parte, esula dal mio lavoro quotidiano, ma certamente interessa noi tutti.
  Ho detto in apertura che la Strategia globale dell'Unione europea è una strategia che poggia su cinque pilastri. Ovviamente parliamo di prevenzione, stabilizzazione, riconciliazione post-conflitto e cooperazione regionale, e proprio in quella direzione si sta andando. Esistono misure di breve termine, misure di medio termine e misure di lungo termine e bisogna lavorare su tali misure non in maniera sequenziale ma in maniera contemporanea, con obiettivi ovviamente diversi. Esempio di questa strategia è EUNAVFOR MED Operazione Sophia, che all'inizio aveva come obiettivo il contrasto dei traffici illegittimi, tanto che all'inizio i trafficanti lavoravano con grandi barconi e poi si sono ridotti a usare i gommoni, perché i barconi erano stati distrutti. Quindi, c'è anche una verità non raccontata, che comunque esiste. Tutti sappiamo, però, che non basta affondare i barconi, bisogna lavorare sulle ragioni che sono a monte. Infatti, purtroppo, i morti in mare si vedono ma, come ricordava l'onorevole Farina, quelli nel deserto purtroppo non si vedono.

  PIA ELDA LOCATELLI. Non li vediamo noi...

  LUCA FRANCHETTI PARDO, Rappresentante permanente d'Italia presso il Comitato politico e di sicurezza del Consiglio dell'Unione europea. Esatto, quindi occorre fare anche tutto un lavoro a monte, e si sta facendo. Da qui nasce l'idea di un package Africa, su cui stiamo lavorando. Rispetto a questo punto rileva il discorso dei diritti umani, che l'onorevole Zampa e altri hanno richiamato.
  Io, ovviamente, parlo nell'ottica di ciò che fa l'Unione europea, poi a livello nazionale si fanno tante altre cose, anzi forse si opera molto di più in modo bilaterale, purtroppo, di quanto non si faccia sotto il cappello europeo. Comunque, rispetto a ciò che si fa sotto il cappello europeo certamente la dimensione del rispetto dei diritti umani è centrale. Pag. 14
  Lambrinidis, citato dall'onorevole Locatelli, riferisce presso il COPS, di cui io sono componente. Quindi, c'è indubbiamente un'interazione. Anche Myria Vassiliadou riferisce presso il COPS, anche se, in realtà, la materia di cui si occupa riguarda più i colleghi che si occupano di politica interna, ma indubbiamente, siccome la distinzione fra sicurezza interna e sicurezza esterna è sempre più «grigia» – come dicono alcuni, mentre io dico «integrata» –, bisogna affrontare i problemi in un'ottica complessiva, altrimenti si rischia di fare degli errori come quelli ricordati. Infatti, si è pensato di risolvere la questione libica unicamente con un'operazione militare o securitaria e poi ci siamo trovati a gestire la situazione che tutti conosciamo. Credo che da quella lezione, però, si sia imparato e la Strategia globale dell'Unione europea che cerca di affrontare i problemi in maniera orizzontale ne è una dimostrazione.
  Il rispetto dei diritti umani è parte integrante dei progetti di formazione che l'Unione conduce. Molti di questi progetti sono condotti da italiani: per esempio, mi riferisco ai programmi di formazione della Guardia costiera libica, che prevede anche un addestramento relativo a come effettuare un abbordaggio, che ha un impatto anche sui migranti presenti a bordo, a come trattare i migranti una volta che sono stati salvati e si stanno portando a terra. Quindi l'addestramento prevede tutto un protocollo specifico.
  Relativamente al recente rinnovo di mandato della missione, che prevede anche la fase successiva all'addestramento, l'Europa vuole capire se le persone che ha formato si comportano conformemente a ciò che è stato loro insegnato. A volte una persona nella sala operativa a terra può capire bene perché i componenti della Guardia costiera che operano a bordo di una nave hanno un certo comportamento, anche in relazione agli ordini ricevuti e alla necessità che questi corrispondano a ciò che è opportuno per la gestione del contrasto diretto.
  Indubbiamente, si tratta di un problema che ci si pone, che c'è e che sarà sempre più integrato. Questo riguarda l'immediato. L'altro lato è quello delle missioni civili di formazione nei vari settori di law enforcement e di giustizia. Non nascondo che in Libia, da questo punto di vista, siamo veramente all'inizio, visto il quadro politico interno, sul quale è inutile soffermarsi. L'Italia ha aperto la sua l'Ambasciata a Tripoli, ma è l'unico Paese, nonostante Tagliaferri, il capo della missione EUBAM Lybia, spinga per essere più presente sul territorio, affinché la missione europea sia più stabilmente presente in Libia allo scopo di parlare con gli interlocutori libici. Si sta lavorando anche su questo punto. Parlando della necessità di creare questa area di legalità mi riferisco alla necessità di cercare di creare, almeno in un quartiere, un posto di polizia, un tribunale in cui ovviamente operano i libici, assistiti dagli europei. L'idea è quella di creare un nucleo che poi, piano piano, si espanda. Comunque è necessaria una soluzione politica alla crisi libica e contiamo sul fatto che la nomina del nuovo Inviato speciale dell'ONU in Libia, Salamé, possa sbloccare la situazione. Infatti, se non c'è una soluzione alla crisi politica libica, diventa difficile portare avanti tutte le politiche di sostegno e assistenza: un Paese diviso e insicuro diventa molto più difficile da sostenere e aiutare.
  Sul fatto che l'Europa è assente dall'Africa e che subentrano altre forze, come la Cina, devo dire che l'Europa ha capito che la sua presenza deve essere strutturale e soprattutto deve favorire la ownership da parte dei Paesi africani. Non si tratta soltanto di andare lì, realizzare una ferrovia, incassare i soldi e andar via; si tratta veramente di creare condizioni stabili. Questo rientra anche nel discorso della promozione dei diritti umani, perché nel momento in cui si crea la consapevolezza che lo sviluppo sociale ed economico porta benessere, il benessere richiede anche uno Stato di diritto. Questo è un punto su cui lavoriamo.
  In riferimento alle dinamiche interne con i Paesi dell'est dell'Europa devo dire che questo argomento è veramente al di là delle mie competenze, però il problema c'è e il rifiuto della sentenza della Corte di Lussemburgo è un fatto politicamente molto significativo, sul quale bisognerà riflettere. Pag. 15So che le istituzioni europee stanno riflettendo per dare le risposte che riterranno più adeguate, però, indubbiamente il problema politico c'è. L'onorevole Cimbro sosteneva che c'è troppo Partenariato orientale; noi riteniamo che non sia troppo ma che sia poco quello meridionale. Quindi bisognerà forzare l'impegno dell'Unione europea sulle frontiere sud, che fino ad ora erano qualcosa di vago per molti. Abbiamo insistito con l'Unione europea affinché si rafforzasse l'attività alle frontiere sud e ci fossero adeguati fondi in tal senso.
  Molto brevemente, riguardo al mio parere sulla PESCO, devo dire che devo essere ottimista, quindi credo che si riuscirà a fare. Mi auguro vivamente che si riesca già a dicembre, ma, se non è dicembre, sarà poco più avanti. Comunque, io spero a dicembre e onestamente credo che ci siano tutte le carte per riuscire a farlo.
  Sarà un incentivo importante perché, richiamando il ragionamento europeo, ritengo che, in una fase in cui sembra prevalere un certo senso disgregativo, creare una struttura europea integrata di difesa dà anche un segnale di quanto l'Europa può e vuole assumersi in termini di propria forza nell'essere un attore globale di sicurezza a 360 gradi, non solo nel senso militare ma anche in tutti gli altri sensi. Lo ripeto: credo che l'Unione europea sia l'unico attore internazionale che riesce veramente a mettere sul campo in tempi rapidi sia il soft power sia l’hard power. Questo ci dà una forza particolare e un'accoglienza benevola da parte dei Paesi destinatari che è fondamentale perché il processo si inneschi in maniera virtuosa. Nessuno dubita che l'Europa possa avere doppi fini quando fa cooperazione allo sviluppo, ma i Paesi destinatari qualche dubbio possono averlo.
  Il rapporto con la NATO è centrale: non soltanto si ribadisce che la PESCO non deve duplicare la NATO ma, come ho brevemente accennato, si è molto rafforzata da qualche mese a questa parte la cooperazione con la NATO. Contestualmente alla Conferenza interparlamentare sulla politica estera e di sicurezza comune e sulla politica di sicurezza e di difesa comune, svoltasi la scorsa settimana a Tallinn, vi è stata la prima esercitazione europea, cui era presente come osservatore anche il Segretario Generale della NATO. Questo è un dato significativo di quanto l'Europa voglia dotarsi di propri strumenti e di come questi strumenti debbano essere sinergici, anche perché la membership europea della NATO in larga misura coincide con quella dell'Unione europea.
  Lo scopo dello European Defence Fund e dello European Defence Action Plan è proprio quello di rafforzare i progetti comuni. Ciò vuol dire costringere l'industria della difesa a lavorare in modo coordinato. Per poter avere un certo incentivo economico in più un progetto PESCO deve essere per forza multinazionale e avere come minimo tre o quattro Stati partecipanti, ma le grandi industrie della difesa non sono presenti in molti Stati e questa – non lo nascondo – è la preoccupazione dei Paesi più piccoli, che temono che ciò possa favorire i Paesi che hanno un'industria sviluppata, a proprio detrimento. In realtà, noi italiani abbiamo ben recepito questo segnale in alcuni Paesi e abbiamo sempre sostenuto che è importante che ci sia un adeguato spazio riservato alle piccole e medie imprese, anche perché nei grandi progetti capacitivi c'è la grande industria ma anche le piccole industrie che forniscono l'avionica e le componentistiche. Questo dovrebbe rassicurare sia le nostre piccole e medie imprese sia quelle dei Paesi più piccoli o che, comunque, hanno un settore di nicchia diverso dal nostro.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'Ambasciatore Franchetti Pardo e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.