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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

I Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 26 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME DEI PROGETTI DI LEGGE C. 15 ED ABB. RECANTI ABOLIZIONE DEL FINANZIAMENTO PUBBLICO DIRETTO, DISPOSIZIONI PER LA TRASPARENZA E LA DEMOCRATICITÀ DEI PARTITI E DISCIPLINA DELLA CONTRIBUZIONE VOLONTARIA E DELLA CONTRIBUZIONE INDIRETTA IN LORO FAVORE

Audizione del Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, Bruno Bove.
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 3 
Bove Bruno , Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici ... 3 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 7 
Toninelli Danilo (M5S)  ... 7 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 7 
Bove Bruno , Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici ... 7 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 7 
Bove Bruno , Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici ... 8 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 8 
Bove Bruno , Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici ... 8 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 8 

Audizione di esperti:
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 8 
Biondi Francesca , ricercatrice in diritto costituzionale ... 8 
Guzzetta Giovanni , professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico ... 10 
Orsina Giovanni , professore associato di storia contemporanea ... 12 
Prospero Michele , professore associato di filosofia del diritto ... 13 
Sorrentino Federico , professore ... 14 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 17 
Fiano Emanuele (PD)  ... 17 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 17 
Orsina Giovanni , professore associato di storia contemporanea ... 17 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 18 
Sorrentino Federico , professore ... 18 
Prospero Michele , professore associato di filosofia del diritto ... 18 
Orsina Giovanni , professore associato di storia contemporanea ... 18 
Guzzetta Giovanni , professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico ... 18 
Biondi Francesca , ricercatrice in diritto costituzionale ... 19 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 19 
Boccadutri Sergio (SEL)  ... 19 
Sisto Francesco Paolo , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, Bruno Bove.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge C.15 d'iniziativa popolare, C. 186 Pisicchio, C. 199 Di Lello, C. 255 Formisano, C. 664 Lombardi, C. 681 Grassi, C. 733 Boccadutri, C. 961 Nardella, C. 1154 Governo e C. 1161 Rampelli recanti disposizioni in materia di abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore, l'audizione del Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, dottor Bruno Bove.
  Il Presidente Bove, che ringrazio per la disponibilità, è accompagnato dal dottor Carlo Piccininni e dal dottor Luigi Gallucci, componenti della Commissione che parimenti ringrazio per la loro presenza.
  Do quindi la parola al Presidente Bove.

  BRUNO BOVE, Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici. Sarò molto sintetico e preliminarmente ringrazio la Commissione per averci offerto l'opportunità di illustrare l'attività svolta dalla nostra Commissione nei primi sei mesi della sua esistenza. L'illustrazione più diffusa è contenuta nella memoria che ho già consegnato alla Presidenza.
  Ho fatto riferimento ai primi sei mesi di esistenza perché la Commissione, pur insediatasi nella seconda metà di dicembre, ha iniziato a operare effettivamente dai primi di gennaio. Alla data del suo insediamento erano già presenti presso gli uffici della Camera i rendiconti del 2011 trasmessi da partiti e movimenti politici. Si trattava di 66 rendiconti.
  Ricordo a questo proposito che la legge 6 luglio 2012, n. 96, affida alla nostra Commissione il controllo dei rendiconti – successivamente dirò con quale differenza rispetto alla legge preesistente – per l'anno 2013 e gli anni successivi, e in via transitoria di quelli del 2011 e 2012 con la normativa previgente. Abbiamo esaminato questi rendiconti che giacevano in attesa di controllo presso gli uffici dalla Camera e, nonostante il periodo piuttosto contenuto a disposizione, siamo riusciti a concludere l'esame entro i primi giorni di aprile.
  Entro i primi di giorni di aprile, quindi, abbiamo espresso i nostri giudizi che sono stati di regolarità e conformità alla legge per circa il 25 per cento dei citati 66 rendiconti, mentre per il resto abbiamo formulato rilievi ai partiti o movimenti interessati, rilievi naturalmente motivati Pag. 4con indicazione delle irregolarità o non conformità alla legge rilevate, che si concludono con l'invito al partito a sanare. Si tratta di una novità, sempre introdotta in via transitoria dalla legge n.96 del 2012, che ha attribuito direttamente alla Commissione il potere di interloquire con i partiti, mentre prima ne erano incaricati gli uffici della Camera dopo il rapporto del precedente organo di controllo, il Collegio dei revisori per i rendiconti dei partiti.
  A seguito dei nostri rilievi, ovviamente si è innescata un'intensa corrispondenza con i partiti. Non tutti hanno corrisposto ai nostri rilievi, in alcuni casi – pochi però – perché non si sono rintracciati i partiti, in altri perché i partiti interessati non hanno dato riscontro. Tra i riscontri pervenuti è ricominciato il procedimento: alcuni dei rendiconti sono stati ritenuti sanati sulla base della nuova documentazione allegata ed altri ancora oggetto di rilievi, che noi chiamiamo volgarmente «rilievi di replica». Alla conclusione di tutto questo esame che rimane ancora aperto, ad oggi per il 29 per cento circa dei 66 rendiconti originari ancora pendono rilievi. Questo è il quadro.
  Dico fino ad oggi perché compito della Commissione è riferire sul controllo effettuato con apposito rapporto ai suoi destinatari istituzionali che sono i Presidenti delle due Camere. Riteniamo di trasmettere il nostro rapporto nella prima decade del prossimo mese di luglio, perché il 31 luglio è la data fatidica di legge entro la quale i Presidenti della Camera e del Senato per i fondi di rispettiva competenza erogano la rata del contributo oppure la sospendono in caso di rilievi della Commissione.
  Oltre a questa che è la sua fondamentale attività istituzionale, la Commissione ha svolto in questo periodo anche un'attività «di coda» che le veniva dagli anni precedenti, in quanto ha dovuto esaminare anche rendiconti che si riferivano a esercizi anteriori al 2011, rendiconti per i quali il precedente organo di controllo, il Collegio dei revisori, non era riuscito nel tempo fissato in via transitoria dalla legge n.96 del 2012, cioè il 31 ottobre 2012, a redigere i propri rapporti integrativi. Chiamiamo rapporti integrativi quelli che seguono al rapporto primigenio, originario, e che vengono redatti mano a mano che sopravvengono nuove risposte dai partiti. Ad oggi questa è la situazione, ma potrebbe mutare in base alle risposte che perverranno fino alla prima decade di luglio.
  Ci siamo presi anche l'onere, in base all'elenco fornito dagli uffici della Camera, di invitare a provvedere i partiti che erano tenuti a presentare i rendiconti, ma non l'avevano fatto.. Ricordo, infatti, che sono tenuti a presentare i rendiconti i partiti che hanno ricevuto nell'anno – qui ci si riferisce al 2011 – contributi per finanziamenti elettorali. Anche qui non tutti hanno risposto e a quei pochi che hanno risposto per i rendiconti allegati abbiamo avanzato rilievi.
  Vorrei accennare alle modalità e alla tipologia di controllo seguite dalla Commissione. Come dovrebbe essere noto anche perché più volte i precedenti Collegi dei revisori si sono espressi in questo senso sugli organi di stampa, il controllo che si svolge non con la legge n. 96 del 2012, ma con le leggi previgenti e che quindi per la Commissione riguarda gli anni 2011 e 2012, è un controllo formale, che ha come parametri normativi soprattutto la legge 2 gennaio 1997, n. 2, che individua esattamente i contenuti, elencando le voci del rendiconto, e le indicazioni indispensabili della relazione sulla gestione e della nota integrativa, che sono i due documenti fondamentali che corredano il rendiconto. Il parametro fondamentale da riscontrare è quindi la corrispondenza tra ciò che ci viene presentato e il modello normativo che è a similitudine di quello civilistico delle società per azioni.
  Oltre a questo fondamentale parametro normativo di riferimento, vi è tutta una serie di obblighi di documentazione previsti da norme che poi si sono stratificate nel tempo, perché tutta la legislazione del finanziamento pubblico dei partiti, che parte dal 1974, si è lentamente stratificata nel tempo e molti degli obblighi che risalgono a quaranta anni fa sono ancora in Pag. 5vigore. Si rileva quindi anche una difficoltà di impadronirsi di tutta la congerie di disposizioni che regolano la materia.
  Un altro riscontro riguarda gli allegati necessari al rendiconto, che sono molteplici: dalle pubblicazioni sui quotidiani dei rendiconti e relativi documenti a corredo, ai bilanci delle società partecipate, alle documentazioni richieste dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni in caso di proprietà di società editoriali. In più, la norma prevede che venga allegata al rendiconto la relazione del collegio dei revisori interno al partito. Per quest'ultima la Commissione ha seguito un criterio generale che già era stato posto in essere dal precedente Collegio, il quale aveva chiesto – giustamente credo e per questo abbiamo seguito lo stesso criterio – che il verbale del Collegio dei revisori interni contenesse una serie di specifiche indicazioni sull'osservanza della legge, sulla regolare tenuta dei libri contabili ma soprattutto, con significato a mio avviso sostanziale, sulle verifiche effettuate e sulla verifica della rispondenza tra le somme iscritte in bilancio e la documentazione a supporto.
  La documentazione a supporto è una delle innovazioni introdotte dalla legge n.96 del 2012, che stabilisce che i rendiconti dal 2013 in poi siano trasmessi alla Commissione con il corredo della documentazione giustificativa per la spesa e l'entrata, il che creerà notevoli problemi sul piano operativo, perché specialmente per i grandi partiti si tratta di una mole ingente, quindi dovremo anche vedere come fare.
  La Commissione, in base alle disposizioni della legge n.96 del 2012, sarà tenuta a riscontrare non solo l'esistenza della documentazione, ma anche la sua correttezza fiscale e contabile. La stessa norma che istituisce la Commissione e ne disciplina il controllo si chiude con un comma che apre uno scenario su cui si dovranno fare delle riflessioni, perché dispone che i rimborsi pubblici siano strettamente finalizzati – sembra una banalità o addirittura una norma manifesto – all'attività politica. Questo però potrebbe aprire anche a un controllo non solo sulla correttezza contabile e fiscale, ma sull'inerenza della spesa alle finalità politiche. Si tratta di un problema di grande rilevanza, sul quale, come ho detto, sarà necessaria una riflessione.
  Il riscontro della Commissione riguarda dunque sia i modelli allegati alla citata legge n. 2 del 1997 che disciplina le modalità del rendiconto e dei relativi documenti, sia tutta la documentazione allegata. Per quanto riguarda poi l'ultimo documento da allegare, la relazione del Collegio dei revisori interni, come aveva chiesto in passato il precedente Collegio anche noi abbiamo chiesto che tale documento fosse integrato da quelle particolari dichiarazioni, anche perché ci sentiamo in questo senso una sorta di controllori di secondo grado, che usufruisce del controllo fatto dai controllori interni.
  Un ultimo parametro normativo del controllo è contenuto nella legge 3 giugno 1999, n. 157, che è la principale legge che ha ridisciplinato, per gli anni anteriori alla legge n. 96 del 2012, il controllo sui rendiconti. Esiste una particolare norma contenuta nella legge n. 157 del 1999 che riguarda una sorta di riserva calcolata sul 5 per cento dei rimborsi ricevuti che deve essere destinata obbligatoriamente dai partiti ad attività volte a promuovere la partecipazione attiva delle donne alla politica. Sull'osservanza di tale norma siamo stati molto rigorosi, perché abbiamo voluto non solo che essa fosse osservata, chiedendo le necessarie informazioni doverose che devono essere contenute nella nota illustrativa, ma soprattutto verificare l'allocazione delle somme iscritte a tal fine nel conto economico.
  Altri sono i controlli che abbiamo dovuto svolgere, perché oltre ai rendiconti a noi perviene anche documentazione da parte degli uffici della Camera che riguarda sia le somme erogate ai vari partiti nell'anno di riferimento cui si riferisce il rendiconto, sia le cosiddette «dichiarazioni congiunte». È noto che per le donazioni oltre i 50.000 euro donatario e donante devono presentare dichiarazione congiunta alle Camere. In base a questi tabulati, quindi, abbiamo fatto anche un Pag. 6riscontro per quanto riguarda le donazioni rispetto ai proventi del conto economico del rendiconto, valutando se nei ricavi del rendiconto economico fossero comprese quelle cifre che invece risultavano nelle dichiarazioni congiunte.
  Credo che l'altro sia stato uno dei lavori più faticosi, perché in caso di presentazione da parte dei partiti di liste congiunte o di aggregazioni temporanee di partiti per le elezioni avviene spesso che il contributo statale, che viene determinato annualmente con un piano di riparto deliberato dall'Ufficio di Presidenza della Camera e dal Consiglio di Presidenza del Senato e attuato con decreti dei rispettivi Presidenti delle due Camere, venga intestato al partito, che è il partito mandatario, ma poi ripartito in base agli accordi intervenuti tra i partiti collegati.
  Questo crea una serie di difficoltà nell'esame dei rendiconti, perché ovviamente il partito rendiconta soltanto la parte a lui pervenuta e non la parte spartita con gli altri partiti. In tutti questi casi per l'esistenza di rapporti interni tra i partiti non è stato possibile ricostruire la congruenza tra i dati relativi ai contributi, quindi ai proventi e ricavi di conto economico, o ai crediti iscritti nel conto patrimoniale e l'effettivo esborso che risultava dalla documentazione fornitaci degli uffici della Camera. Anche in questi casi abbiamo chiesto le necessarie informazioni, e quindi abbiamo formulato rilievo finché non c’è stato fornito riscontro.
  Vi ho illustrato il controllo essenzialmente formale che ci è affidato, come d'altronde era affidato al precedente Collegio, e come la legge nuova abbia introdotto una forte innovazione rispetto alle sue modalità di controllo, attribuendoci anche questo controllo sostanziale. In più, la legge nuova attribuisce alla Commissione una serie di poteri sanzionatori. Per una serie di violazioni tassativamente indicate nella legge n. 96 del 2012, quindi, la Commissione è tenuta a emettere ordinanze di ingiunzioni per sanzioni che vanno dalla totale detrazione della rata di contributo spettante all'anno fino a una riduzione del 20 per cento del contributo, quindi c’è una scala di sanzioni.
  Tra i rilievi che stiamo facendo ai partiti non abbiamo ritenuto, come d'altronde il precedente Collegio, di censurare o di contestare la mancata allegazione del verbale di approvazione del rendiconto da parte del competente organo di partito. Questo per due motivi, il primo dei quali è che anche il precedente Collegio aveva ritenuto che non fosse motivo di rilievo sostanziale, e ne faceva solo un'osservazione che però rimaneva nell'aria perché non incideva sulla regolarità del rendiconto. L'altra considerazione è più tecnica perché, come ho già accennato, le leggi che stiamo applicando prevedono tassativamente gli atti che devono essere trasmessi a corredo o allegati al rendiconto. Una conferma di questa non necessità normativa dell'allegazione del verbale dell'organo competente ad approvare il rendiconto si trova proprio nella legge n.96 del 2012, che espressamente per la prima volta indica questo verbale.
  La memoria che ho consegnato alla Presidenza si conclude con alcune riflessioni della Commissione che abbiamo ritenuto utile fare proprio sul funzionamento dalla Commissione indotti da due motivi. Il primo motivo è che nell'ultima decade di maggio la Commissione ha perso due componenti perché un Presidente di Sezione del Consiglio di Stato e un altro Consigliere della Corte dei conti sono stati incaricati di uffici ministeriali, come spesso avviene per i componenti delle magistrature amministrative o contabili. Hanno quindi dato le dimissioni, ritenendo incompatibile il loro incarico presso la Commissione e con quello nuovo da svolgere, non solo come incompatibilità di fatto ma anche come incompatibilità giuridica, perché la norma che istituisce la Commissione dice che noi componenti non possiamo ricoprire altri incarichi e funzioni durante il quadriennio di durata in carica.
  La prima riflessione nasce da questa circostanza di fatto, mentre la seconda riflessione riguarda il lavoro che ci aspetterà Pag. 7in un futuro sostanzialmente prossimo, perché cominceremo ad applicare la nuova normativa, cioè la legge n. 96 del 2012 e quindi quei controlli sostanziali di cui ho detto con le eventuali ordinanze e ingiunzioni, dalla metà del 2014, perché i rendiconti del 2013 verranno a metà del 2014, e quindi da quel momento inizierà l'esame con tutte le conseguenze del caso.
  Allo stesso tempo continuerà l'esame dei rendiconti del 2012, da svolgere secondo le vecchie normative, e ancora prima delle code del 2011, e forse ancora di qualcuna anteriore al 2011. C’è quindi un sovrapporsi sia di lavoro sia soprattutto di regimi giuridici che bisognerà attentamente tenere distinti tra i vari tipi di rendiconto.
  A questo si può aggiungere qualcosa riguardo ai provvedimenti all'esame della Commissione, con particolare riferimento al disegno di legge del Governo. Come ben sapete, tutte le leggi hanno lunghe fasi transitorie, ma la n. 96 del 2012 ne introduce una più lunga delle altre, perché la fase transitoria cessa nel 2017, e per gli anni 2013, 2014, 2015 e 2016 continueranno ad applicarsi anche le normative antecedenti alla legge n. 96 del 2012. Tutto ciò si tradurrà inevitabilmente in un aggravio per la Commissione. Tale aggravio già esiste allo stato attuale, ma con le nuove competenze previste dal disegno di legge del Governo, se tali rimarranno, ce ne sarà uno ulteriore.
  Ho chiuso la memoria scritta dicendo che due sono le cose che si potrebbero fare. Una è una soluzione normativa, ovvero verificare se sia possibile rendere più stabile il rapporto dei componenti della Commissione almeno nel quadriennio, e per questo vedo solo l'esplicita menzione normativa del loro collocamento fuori ruolo, non ci sono, a mio avviso, altri strumenti.
  L'altra questione che lascio aperta è quella della struttura necessaria, tenuto conto non tanto degli eventuali nuovi compiti sulla base del disegno di legge, ma soprattutto di quelle necessità di revisione che richiedono i controlli sostanziali che noi dovremo fare per il 2013 e gli anni seguenti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  DANILO TONINELLI. Vorrei chiedere al Presidente Bove se sulla base della sua esperienza di magistrato contabile, come ha già accennato al termine del suo intervento, ci siano integrazioni da poter apportare alla normativa vigente per rendere i controlli più completi, più analitici e in grado di garantire un miglior risultato di controllo e trasparenza.

  PRESIDENTE. Do la parola al Presidente Bove per la replica.

  BRUNO BOVE, Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici. Come l'on. Toninelli ricordava, ho già accennato a come la legge n. 96 del 2012 ci affidi un controllo completo, laddove il controllo della documentazione contabile è il massimo a cui un controllore possa aspirare, cioè vedere se esista e sia coerente fiscalmente e contabilmente e sia inerente all'attività politica.
  Ho dimenticato forse di accennare che la nuova normativa prevista nel disegno di legge del Governo continua a prevedere un controllo della Commissione sui rendiconti, ma senza alcuna conseguenza né sanzionatoria né di altro genere. Questa è forse una lacuna da colmare però non so come, perché le eventuali sanzioni oggi hanno una ragione perché si tratta di finanziamenti pubblici e quindi su quelli si può incidere, ma sui finanziamenti privati, sul due per mille non saprei dire, al momento non riesco a prefigurarlo.

  PRESIDENTE. Avrei io una domanda da rivolgere al Presidente Bove. Lei ha avuto copia di tutti i progetti di legge all'esame della Commissione, per cui vorrei chiederle di esprimerci brevemente la sua impressione sul rapporto fra la sua Pag. 8esperienza e i testi normativi che le sono stati sottoposti – è la prima motivazione di questa audizione – e se abbia quindi delle osservazioni critiche da riferirci.

  BRUNO BOVE, Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici. La prima osservazione è che, a differenza di quello che è avvenuto fino adesso, il controllo sui rendiconti con le leggi previgenti alla legge n. 96 del 2012 comporta nel caso di rilievi la mera sospensione della rata in corso, salvo regolarizzazioni successive, mentre il controllo della legge n. 96 del 2012 prevede una serie di sanzioni, cioè riduzioni dall'intero fino al 20 per cento dell'importo della rata.
  La nuova normativa prevede solo una sanzione che riguarda la mancata presentazione del rendiconto, che comporta la cancellazione dalla Sezione B del registro e quindi il non accesso per l'anno al 2 per mille. Le cose sono quindi totalmente diverse anche perché cambia il sistema di finanziamento.

  PRESIDENTE. Sta quindi dicendo che funziona meglio il sistema attuale ...

  BRUNO BOVE, Presidente della Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici. Questo non me lo strapperà mai !

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Bove e gli altri componenti della Commissione presenti, anche per il contributo scritto e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di esperti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, in relazione all'indagine conoscitiva nell'ambito dell'esame dei progetti di legge C.15 d'iniziativa popolare, C. 186 Pisicchio, C. 199 Di Lello, C. 255 Formisano, C. 664 Lombardi, C. 681 Grassi, C. 733 Boccadutri, C. 961 Nardella, C. 1154 Governo e C. 1161 Rampelli, recanti disposizioni in materia di abolizione del finanziamento pubblico diretto, disposizioni per la trasparenza e la democraticità dei partiti e disciplina della contribuzione volontaria e della contribuzione indiretta in loro favore, l'audizione di esperti.
  Sono presenti la professoressa Francesca Biondi, ricercatrice in Diritto costituzionale presso l'Università di Milano, il Professor Giovanni Guzzetta, ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università Tor Vergata di Roma, il professor Giovanni Orsina, associato di storia contemporanea presso l'Università «LUISS Guido Carli» di Roma, il professor Michele Prospero, associato di filosofia del diritto presso l'Università La Sapienza di Roma e il professor Federico Sorrentino, già ordinario di Diritto costituzionale presso l'Università La Sapienza di Roma.
  Ringrazio i nostri ospiti della loro presenza anche perché hanno avuto una convocazione molto ravvicinata, ma i lavori della Commissione spesso si svolgono purtroppo con molta rapidità e talvolta questa rapidità richiede una grande disponibilità.
  Devo fare una premessa che può apparire limitativa ma non lo è, anzi dovrebbe esaltare l'essenzialità delle informazioni. A causa dei lavori dell'Aula, per queste audizioni non possiamo concedere più di 6-7 minuti a ciascuno degli auditi per esprimere il proprio pensiero; vi pregherei, quindi, di affidare le altre vostre valutazioni a un documento scritto da lasciare, se lo riterrete opportuno, agli atti della Commissione. Di questo fin d'ora vi ringrazio.
  Il contributo è quindi essenzialmente quello scritto, mentre quello orale serve nell'immediatezza per dare modo alla Commissione di fugare qualche dubbio a cui voi potrete dare direttamente risposta. Do quindi la parola ai nostri ospiti, ad iniziare dalla professoressa Francesca Biondi.

  FRANCESCA BIONDI, ricercatrice in diritto costituzionale. Innanzitutto ringrazio il presidente e l'intera Commissione per avermi consentito di partecipare a questi lavori. Svolgerò qualche breve considerazione Pag. 9rinviando al testo scritto che consegnerò alla Presidenza, tenendo conto sia del disegno di legge d'iniziativa governativa, sia delle proposte di legge d'iniziativa parlamentare e popolare.
  Quasi tutti i progetti di legge – tranne due – si occupano di intervenire sul sistema di finanziamento dei partiti politici, ma anche di dare per la prima volta nel nostro ordinamento una disciplina ai partiti. Credo che questi due aspetti siano strettamente legati e sarebbe un peccato se, come nella legislatura precedente, per ragioni di tempo uno venisse stralciato, laddove i due profili sono strettamente legati e andrebbero mantenuti in questo modo.
  Allo stesso tempo considero condivisibile l'impostazione data in quasi tutti i progetti di legge presentati di porre il rispetto della disciplina dei partiti come condizione per accedere al finanziamento pubblico e non invece come condizione per accedere alla competizione elettorale, perché questo comporterebbe un problema di ordine costituzionale perché significherebbe attribuire all'articolo 49 della Costituzione un significato di norma che intende riferirsi solo al concorso tra i partiti e non anche tra i partiti e altre forme non organizzate della partecipazione politica.
  Credo dunque che sia importante tenere insieme i due aspetti, ma lasciando la possibilità anche a forme meno organizzate di partecipare alla competizione elettorale.
  Allo stesso tempo, credo che sia condivisibile l'impostazione del disegno di legge di iniziativa governativa di limitarsi a imporre ai partiti di dotarsi di uno Statuto determinando i contenuti, cioè gli aspetti che lo Statuto deve toccare, ma lasciando la massima libertà organizzativa, perché evidentemente nel 2013 imporre a tutti i partiti la medesima struttura sarebbe anche contraddittorio rispetto alla libertà associativa.
  Allo stesso tempo considero apprezzabile la scelta di limitare il controllo alla conformità dello Statuto alla legge ai fini dell'iscrizione nel Registro nazionale, lasciando invece la risoluzione delle controversie interne ai partiti agli organi interni del partito e semmai, come accade oggi nei casi limite, alla magistratura.
  Per quanto riguarda invece i modelli di finanziamento contenuti nei progetti di legge all'esame della Commissione, è opportuno premettere che la nostra Costituzione non impone e non vieta il finanziamento pubblico. Ci sono quindi delle ragioni costituzionali che possono indurre a mantenere il finanziamento pubblico, ma da quel punto di vista credo che la Costituzione sia neutra e quindi tutte le opzioni siano costituzionalmente ammissibili.
  Ovviamente bisogna fare dei ragionamenti di politica del diritto, però, e qui non possiamo non guardare anche alle esperienze straniere, nel senso che sicuramente ci sono esperienze in cui il finanziamento è prevalentemente privato (Stati Uniti e Inghilterra), ma sono ordinamenti (soprattutto quello inglese) in cui il sistema di finanziamento privato attuale è fortemente in discussione, nel senso che molti documenti elaborati da varie Commissioni sottolineano la criticità del finanziamento prevalentemente privato della politica per due ragioni. Innanzitutto il rischio è che i soggetti che finanziano la politica condizionino l'attività dei partiti e le scelte politiche e poi perché accentua la personalizzazione della competizione politica, perché il finanziamento dei grandi finanziatori spesso è indirizzato a un determinato leader. Per evitare questi rischi, si continua a ragionare della possibilità di porre un limite massimo di donazione che ciascun soggetto, persona fisica o persona giuridica, possa destinare a un partito, e comunque garantire la massima trasparenza.
  Il disegno di legge di iniziativa governativa non elimina il principio del finanziamento pubblico, cioè lo recepisce e lo mantiene. Il problema è capire se le forme che sono state introdotte nel disegno di legge iniziativa governativa, cioè il due per mille e forme di finanziamento pubblico indiretto, siano sufficienti a garantire una certa indipendenza dei partiti rispetto ai Pag. 10grandi finanziatori. Qui infatti non mettiamo in discussione il finanziamento privato, ma il problema è il finanziamento privato di una certa imponenza erogato da un solo soggetto.
  Credo che, qualora si volesse andare in questa direzione, bisognerebbe quantomeno tornare a ragionare sui limiti di spesa delle campagne elettorali, anche tenendo conto dei casi in cui nello stesso giorno si verificano più competizioni elettorali, cioè le politiche associate alle amministrative, caso in cui saltano i tetti di spesa, e in secondo luogo introdurre almeno un limite massimo di donazione da parte della medesima persona fisica o giuridica. Solo la proposta di legge n. 733 stabilisce un limite massimo di donazione da parte di un singolo soggetto.
  Bisognerebbe inoltre valutare la possibilità di estendere i divieti di erogazioni liberali anche a soggetti diversi dalla pubblica amministrazione e dagli enti pubblici e controllati dallo Stato (sindacati, enti religiosi, donatori stranieri). Su questo punto la nostra legislazione è molto più liberale di altre.
  Vorrei sottolineare due aspetti critici del disegno di legge di iniziativa governativa, uno dei quali a mio avviso centrale. Mi sembra che nel disegno di legge di iniziativa governativa una questione insoluta che andrebbe invece sciolta è chiarire se l'obbligo di presentare i rendiconti annuali ricada solo su coloro che beneficiano del finanziamento pubblico o su tutti i partiti, almeno quelli rappresentati in Parlamento.
  Da questo punto di vista, il disegno di legge di iniziativa governativa presenta una serie di disposizioni molto contraddittorie tra di loro e questo nodo andrebbe a mio avviso sciolto, eventualmente modulando il controllo della Commissione per quanto riguarda le sanzioni, perché un conto è controllare anche l'uso della spesa pubblica e altro è controllare unicamente che i dati siano veritieri, però le norme così formulate si prestano a interpretazioni divergenti su questo punto.
  Rinvio gli altri aspetti critici al testo scritto.

  GIOVANNI GUZZETTA, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico. Ringrazio il presidente e la Commissione per questo invito che mi onora. Sarò lapidario nel senso che non spetta a me in questa sede esprimere valutazioni sulle scelte di merito relative al disegno di legge del Governo, e questo mi esonera dal dire molte cose perché la mia convinzione è che la disciplina costituzionale lasci al legislatore un amplissimo margine di manovra.
  Mi concentrerò quindi esclusivamente sugli aspetti di puntuale dubbio dal punto di vista della legittimità, facendo una breve premessa. A me sembra che, proprio perché il modello costituzionale è piuttosto generoso nel lasciare al legislatore la scelta dei modelli, la complessità oggettiva della regolazione proposta (mi soffermo soprattutto sul disegno di legge del Governo) sia giustificabile anche perché – non ho tempo di approfondire, ma rinvio al testo scritto che consegnerò alla Presidenza – il modello di partito che emerge dalla Costituzione non è un modello monotipico o monolitico.
  I soggetti collettivi abilitati a svolgere attività che concorrano alla determinazione della politica nazionale possono essere al loro interno e all'interno di un insieme generale articolati in modo differenziato dal legislatore, ovviamente entro certi limiti di ragionevolezza. Questo è dimostrato anche da una giurisprudenza costituzionale che ha riconosciuto in più occasioni soggettività politica anche a soggetti collettivi che ai sensi della legge non erano definiti come partiti.
  Il secondo motivo per cui la complessità regolatoria mi sembra un fatto fisiologico e non contestabile è dato dalla convinzione che nell'esperienza comparata il modello misto di finanziamento e comunque di sostegno e di promozione alla politica sia di gran lunga prevalente, persino negli Stati Uniti che certo rappresentano quello più eccentrico rispetto alla tradizione europea.
  L'articolo 49 della Costituzione ci offre una definizione minimale di partito politico, insistendo soprattutto sull'aspetto di Pag. 11diritto di libertà, e quindi lasciando impregiudicata, come del resto la Corte costituzionale stessa ha detto, la possibilità che questi soggetti collettivi siano beneficiari di finanziamento. Inoltre la giurisprudenza costituzionale ci dà un'idea di partito che non necessariamente è strettamente collegato ad una certa impostazione dei rapporti con il procedimento elettorale.
  La Corte costituzionale riconosce che ci possano essere dei soggetti che, pur non essendo qualificati come partiti, concorrano nei procedimenti elettorali, quindi il quadro è molto variegato e mi dispiace non avere più tempo perché dette così sembrano affermazioni lapidarie. Su questo punto esiste un'ampia discrezionalità legislativa e quindi per chi è chiamato come costituzionalista a dare una propria opinione sul testo non c’è moltissimo da dire. Anche il meccanismo di registrazione volontaria che condiziona l'accesso ai benefici non può ritenersi costituzionalmente illegittimo.
  Mi soffermo invece su alcuni aspetti puntuali, e ne sottolineo due. Il primo riguarda la disciplina sulla giustizia interna ai partiti. Il disegno di legge del Governo all'articolo 3, commi 3 e 4, prevede la possibilità che siano istituiti, come del resto già esistono, degli organi di giustizia interna, ma mi permetterei di suggerire di mettere comunque una clausola di salvezza con cui si riconosca il fatto ormai pacifico nella giurisprudenza ordinaria e costituzionale che comunque è sempre ammesso il ricorso alla giurisdizione ordinaria. La formulazione della norma non lo esclude, però si potrebbe specificare con maggiore chiarezza.
  Il punto di legittimità su cui riflettere riguarda l'articolo 13, comma 1, lettera d), del disegno di legge del Governo in relazione alla Delega al Governo per l'introduzione di ulteriori forme di sostegno indiretto alle attività politiche, laddove si prevede la possibilità di semplificare le procedure per la raccolta e l'autenticazione delle firme anche attraverso modalità telematica delle sottoscrizioni necessarie ai fini dello svolgimento di consultazioni elettorali e referendarie.
  Nutro due perplessità su questa disposizione. La prima è che non escluderei le altre forme previste dalla Costituzione di raccolta di firme che richiedano l'autenticazione; la seconda è che, essendo queste semplificazioni riservate ai partiti politici, si crea un doppio regime nel caso in cui il referendum o l'iniziativa legislativa sia promosso da un partito o in quello in cui sia promosso da semplici cittadini, che, almeno ai termini della disposizione così come è scritta, non godrebbero delle agevolazioni garantite ai partiti, il che mi sembra fortemente irrazionale e costituzionalmente molto discutibile.
  Un ultimo punto che mi sembra importante: politipicità dei modelli di organizzazione consentita dalla Costituzione. Nel momento in cui però si ricostruisce un sistema, addirittura delegando il Governo a formulare un Testo unico su questa materia, bisogna evitare che si creino delle zone grigie che sfuggano alla disciplina. Sono previste nel nostro ordinamento per attività di associazioni e formazioni collettive non politiche varie forme di agevolazioni fiscali. Da come è formulata questa disciplina le agevolazioni fiscali per chi svolge attività politica sono riservate solo ai partiti che abbiano determinate caratteristiche.
  Se però metto insieme il sistema delle agevolazioni previste, ci potremmo trovare di fronte a una situazione paradossale e forse irragionevole, per cui i partiti in senso stretto iscritti al registro godono di certe agevolazioni, le associazioni che svolgono attività non politica (ad esempio le Onlus) godono di agevolazioni, e rimane una zona grigia in cui si collocano i soggetti che svolgono attività politica in senso lato, per esempio promuovono dibattiti o comitati che organizzano petizioni, i quali non sono agevolati in alcun modo nemmeno da coloro che volessero finanziarli privatamente.
  Nel momento in cui si mette mano alla materia in modo sistematico e si delega il Governo per la redazione di un Testo Pag. 12unico, sarebbe opportuno fare in modo di giungere a una disciplina non identica perché sono ammissibili anche diversità di regime, che però non devono garantire straordinarie agevolazioni ad alcuni, mentre altri che compiono attività affini anche se non identiche non hanno nulla.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE ROBERTA AGOSTINI

  GIOVANNI ORSINA, professore associato di storia contemporanea. Io non sono costituzionalista, quindi non posso entrare nel merito dei profili costituzionali della legge, ma posso ragionare sulla legge da storico e quindi in questa circostanza storica, con la temperie storico-politica che stiamo vivendo, su che tipo di ragionamento posso svolgere su questo insieme di proposte di legge.
  Mi concentro però anch'io sul disegno di legge governativo, il n. 1154, per evidenziare che sostanzialmente ho poco da dire, tranne un profilo specifico, perché trovo questo disegno di legge convincente nel suo impianto generale, senza avere poi la capacità tecnica di entrare nei dettagli.
  Lo trovo una soluzione equilibrata al problema del finanziamento dei partiti, un buon compromesso fra il riconoscimento della funzione pubblica che svolgono i partiti politici e il fatto che l'erogazione automatica top down da parte dello Stato come è avvenuta finora non è più chiaramente accettabile dall'opinione pubblica di questo Paese.
  Lo trovo convincente anche nel costringere i partiti a incrementare il lavoro che svolgono sul territorio, irrobustire le proprie radici e in qualche misura rieducare i cittadini su un elemento non proprio secondario, cioè riconvincerli che la politica ha bisogno di essere finanziata e quindi riconvincerli del fatto che, se si vuole aprire attività politica in un Paese democratico, bisogna anche accettare il principio che questa attività politica deve essere finanziata.
  Trovo anche molto equilibrata la soluzione di eliminare gradualmente il finanziamento pubblico esistente al momento, con la previsione di una fase transitoria sulla quale concordo. È una non bella e non buona abitudine dello Stato italiano quella di non rispettare gli accordi che prende con i soggetti terzi, ed è bene invece che questi accordi siano rispettati e vi siano delle fasi di transizione. Sarebbe bene che avvenisse anche quando i singoli cittadini o, meglio, contribuenti sono coinvolti in questo tipo di percorso.
  Trovo ottima – è una lunga battaglia – l'idea di fissare finalmente vincoli pubblici per i partiti politici e come i colleghi che mi hanno preceduto trovo eccellente l'intenzione di introdurre un vincolo metodologico ma non sostanziale.
  In questo mi schiero con forza con il disegno di legge del Governo e contro altri dei progetti di legge all'esame della Commissione, che entrano molto nel dettaglio dello statuto e delle regole che i partiti dovrebbero darsi. Credo infatti che i partiti debbano avere la libertà di organizzare la propria vita come meglio credono, ma è importante che le regole esistano e siano chiare, trasparenti, rese pubbliche e rispettate, e su questo sono perfettamente d'accordo con il professor Guzzetta: sarebbe il caso di inserire esplicitamente un ragionamento su come si possa ottenere giustizia all'interno del partito.
  Naturalmente questo non implica che per quanto riguarda la selezione delle candidature per le cariche pubbliche locali e nazionali non si possano prevedere regole più stringenti, ad esempio regolando per legge le primarie, però questa operazione non può essere disgiunta da un ragionamento più generale sul sistema elettorale.
  Per il momento, credo che il quadro generale statutario previsto dal disegno di legge n. 1154 sia più che sufficiente, fermo restando che per quanto riguarda la selezione delle candidature, che è questione particolarmente delicata, si potrebbe vedere più avanti in dipendenza dalla riforma del sistema elettorale.
  Mi concentro su un unico passaggio del disegno di legge che mi convince meno – si tratta di una questione marginale – l'articolo 8, comma 2, laddove si prevede Pag. 13che per accedere ai benefici previsti dalla legge i partiti richiedano ogni anno alla Commissione questa facoltà e che poi la Commissione decida se attribuirla. Può darsi che qui mi difetti la tecnica legislativa, ma a me sembra un inutile aggravio burocratico in un momento in cui si ragiona di semplificazione. Le forze politiche devono essere iscritte al registro per accedere ai benefici e, se le regole non sono rispettate, la Commissione può escludere i partiti dal registro. A questo punto, potrebbe essere previsto un automatismo per il quale i partiti iscritti a registro che siano in possesso dei requisiti ulteriori previsti dall'articolo 8, comma 1, siano automaticamente ammessi a godere dei benefici della legge. Non riesco a capire perché ci debba essere questo ulteriore passaggio, fermo restando che la Commissione ha facoltà di escludere i partiti dal registro quando i requisiti della legge non siano rispettati.
  Vi ringrazio.

  MICHELE PROSPERO, professore associato di filosofia del diritto. Ho trovato nel disegno di legge del Governo una ispirazione di tipo occasionalistico, nel senso che dinanzi a un problema politico inedito, all'irruzione di forze politiche nuove che hanno sconvolto i vecchi assetti politici, si cerca di rispondere non con una esplicita battaglia politico-culturale, ma cercando di occupare uno spazio, come se occupare uno spazio altrui possa significare risolvere un problema.
  Questo è il problema dell'occasionalismo politico che pervade il disegno di legge governativo, un occasionalismo politico che si illude di ricorrere a misure simboliche per domare un problema altrimenti sfuggente.
  La filosofia che ispira questo disegno di legge è in netta controtendenza sia rispetto alla riforma del 2012, che prevedeva il meccanismo del 30 e del 70 per cento nella ripartizione dei fondi, quindi un tentativo di innovazione ispirato al modello tedesco, sia rispetto ai modelli di partito e di finanziamento prevalenti in Europa. Il disegno di legge n. 1154 cavalca l'eccezionalismo italiano, l'assoluta anomalia del sistema politico italiano.
  Il disegno di legge rischia di essere inefficace perché passa dal vecchio modello dello Stato finanziatore a un modello nuovo di Stato delle detrazioni, che vigila, controlla, taglia, concede agevolazioni per non dire esplicitamente che c’è un problema di garanzia pubblica delle fonti di sostentamento del partito politico.
  Dalla distribuzione di fondi pubblici collegati al riconoscimento del ruolo costituzionale del partito politico si preferisce quindi passare a un modello più occultato che prevede interventi indiretti per nascondere il nodo fondamentale dei costi della democrazia.
  Mentre il disegno di legge cerca di portare avanti una pubblicizzazione del partito politico, esigendo la registrazione, evocando misure di regolazione e di democrazia interna, mentre c’è questo sforzo di pubblicizzazione del profilo del partito, c’è poi una sostanziale ondata di privatizzazione del profilo esistenziale del partito, e questa è una tendenziale contraddizione che rischia di non rispondere ai problemi di fondo che poi hanno espresso la cosiddetta «antipolitica».
  La cosiddetta «antipolitica» nasce infatti non dalla pura e semplice reazione ai costi esorbitanti della politica, ma dall'inefficacia dell'azione politica, dalle difficoltà di rimotivare una moderna democrazia costituzionale dei partiti.
  Non è accertato il nesso tra finanziamento pubblico, partito cartello, partito intrecciato con l'Amministrazione e insediato stabilmente nell'ottica statuale, e superamento dei legami societari. Questo non è evidentemente un nesso certo, poiché nel sistema politico europeo, dove il partito politico conserva legami, capacità di insediamento, il finanziamento pubblico è molto consistente.
  In Germania il finanziamento pubblico va molto oltre le percentuali del 50 per cento previste, se si calcolano i rimborsi, i finanziamenti ai partiti e alle fondazioni (la Fondazione Ebert vanta 70 sedi periferiche in tutto il mondo, quindi un'Agenzia che svolge politiche culturali e un Pag. 14ruolo politico e simbolico estremamente rilevante). In Germania dove i finanziamenti dei partiti sono notevoli non c’è la perdita di legami societari e il sistema politico tedesco riesce meglio a bloccare le alienazioni politiche, le manifestazioni di anomia, di protesta, di disagio sociale, quindi non c’è un nesso tra finanziamento pubblico e perdita di legami societari del partito politico.
  Se il problema è quale modello di partito per quale finanziamento, è evidente che il disegno di legge del Governo non risolve i nodi dei costi della politica, perché la sua filosofia ispiratrice è quella di un partito elettorale leggero presidenzializzato, che ha organico bisogno della comunicazione politica e dei ritrovati mediatici, prevede una forte leadership e un contatto con l'opinione pubblica attraverso sondaggi e meccanismi di comunicazione estremamente costosi.
  Questo quindi significa che in nome della pesantezza del partito tradizionale e dei suoi costi si persegue una strada che non risolve il problema. Ad esempio, il disegno di legge non incide quasi per nulla sul vero elemento di moltiplicazione della spesa politica e anche di degrado etico dei partiti, cioè la sopravvivenza a livello soprattutto locale di un intreccio perverso tra macro-personalizzazione necessaria per eleggere i Sindaci, i Presidenti delle Regioni e così via, e micro-personalizzazione imputabile alla sopravvivenza del meccanismo competitivo delle preferenze interne ai singoli partiti e alle coalizioni.
  Il problema che il disegno di legge n. 1154 non risolve è come garantire la sopravvivenza a partiti politici che versano in stati di indebitamento e di sofferenza organici. Il problema è che il rapporto tra politica ed economia, che è un elemento di debolezza della forma partito in Italia, non viene in alcun modo sciolto con questo disegno di legge.
  Togliere i partiti dal finanziamento pubblico e dalla propaggine statuale non significa in alcun modo riaffidarli alla società civile. Togliere i partiti dallo Stato significa esporli al continuum politica-banche-affari-finanza e via dicendo; il dimagrimento del profilo statuale e pubblico dei partiti in Paesi fragili come l'Italia significa soltanto il primato dell'economia sulle forme espressive della politica.
  La mancanza di una cultura politica autonoma è imputabile anche alla potatura degli strumenti finanziari a disposizione dei partiti. Se l'obiettivo è un partito ricollocato nella società, che rivaluta la funzione degli iscritti, il finanziamento pubblico è un elemento da non amputare, anche perché è un mito la possibilità di un autofinanziamento dei partiti attraverso sottoscrizioni, tesseramenti e altre cose similari. Questo mito non era vero neanche nei tempi dei partiti di massa, dei grandi partiti di insediamento a forte vocazione ideologica, ed è quindi ancora meno vero oggi, anche perché i dati ufficialmente disponibili delle iscrizioni ai partiti sono in larga parte inattendibili. I dati di alcuni anni fa vedevano l'Italia ai vertici del rapporto tra iscritti e votanti, in quanto nel 2010-2011 la media italiana era del 5,5 per cento, mentre in Inghilterra era 1,8, in Francia 1,2, nella vecchia Germania, Eldorado della partitocrazia contemporanea, 2,1.
  Il problema è definire un ripensamento organico del ruolo dei partiti, della democrazia costituzionale e dei costi della politica. Quello che manca nel disegno di legge del Governo è un rapporto tra finanziamenti centrali e distribuzione nelle sedi periferiche, un problema che già nella legge n. 2 del 1997 era accennato ma poi sostanzialmente eluso; inoltre manca un vincolo di destinazione del finanziamento pubblico ad attività di riproduzione simbolico-culturale, scuole di formazione politica, fondazioni politico-culturali e via dicendo.

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO PAOLO SISTO

  FEDERICO SORRENTINO, professore. Cercherò di essere estremamente sintetico anche perché avevo preparato una serie di appunti che il tempo a disposizione non mi consente di sviluppare. Non rinvio al Pag. 15contributo scritto che non ci sarà perché temo di non poterlo fare.
  Vado per singoli capitoli. Avendo ascoltato anche i colleghi, soprattutto quelli che hanno toccato il tema dell'articolo 49 della Costituzione e del finanziamento pubblico dei partiti, mi permetto di dissentire dall'opinione espressa poc'anzi, secondo la quale la Costituzione sarebbe neutra rispetto a questi problemi e che il modello partito sia tutto sommato un modello liquido.
  A me pare invece che – non posso illustrarlo ma altri l'hanno scritto – inerisca al sistema costituzionale l'idea che il partito sia il necessario tramite tra elettori ed eletti, non soltanto come una macchina che riproduce il consenso da un livello a un altro, ma anche come strumento attraverso il quale i cittadini si associano per sollecitare l'adesione di altri cittadini a un progetto politico. È quindi strumento di partecipazione politica dei cittadini in vista di quello che la Costituzione indica come la determinazione della politica nazionale.
  L'esigenza è di rendere questo strumento funzionale, aperto a quanti vi si riconoscono, per assicurare condizioni di eguaglianza tra tutti i partiti e tutti coloro che aderiscono ai diversi partiti. Ecco perché il finanziamento pubblico dei partiti diventa a mio avviso un elemento ineliminabile del sistema politico quale delineato nella Costituzione.
  Quando dico finanziamento pubblico ovviamente alludo alle diverse forme di finanziamento configurate, molte delle quali presenti nei progetti di legge oggi all'esame della Commissione, però l'idea che ci debba essere un finanziamento pubblico cui si aggiunge il possibile finanziamento privato a me sembra un'idea assolutamente vincente, che rende il partito politico un'entità indipendente dai finanziatori: quante più sono le fonti di finanziamento e più il partito politico è indipendente ed è in grado di comporre in una visione di insieme tutti gli interessi che ad esso fanno capo.
  Conseguentemente, il finanziamento pubblico è integrato entro limiti prefissati dal finanziamento privato, ma occorre prestare attenzione – qualche componente della Commissione l'ha affermato, come ho potuto leggere nei resoconti dei lavori della Commissione – al meccanismo del due per mille, che rischia di fare partiti di tipo censitario. È infatti evidente che il due per mille di un grosso contribuente vale molto più del due per mille di mille piccoli contribuenti, quindi bisogna stare attenti al discorso dei tetti.
  Considero buona l'idea che leggo nei progetti di legge di un cofinanziamento pubblico-privato, dove il finanziamento pubblico sia conseguenza di un finanziamento privato ma debba esserne inferiore altrimenti si presta ad abusi, purché si tenga conto di tetti che devono essere uguali per tutti, altrimenti si favoriscono certi tipi di partiti.
  Se l'attività politica dei partiti va finanziata, anche le spese elettorali devono esserlo, le spese e non un contributo generico alle spese elettorali, anche – e qui mi pongo in contraddizione con tutte le leggi emanate – per le elezioni locali, perché non vedo perché queste debbano sfuggire a questa logica in quanto anche attraverso di loro i cittadini partecipano alla cosa pubblica.
  La relativa legislazione va coordinata anche per le spese elettorali dei singoli candidati con la legislazione elettorale, perché è evidente che cambia a seconda che ci sia una lista bloccata o invece ci sia la possibilità delle preferenze, quindi della competizione tra i diversi candidati.
  Occorre inoltre prestare attenzione alle fondazioni politiche che fiancheggiano i partiti, perché certe limitazioni al finanziamento dei partiti, se non valgono per le fondazioni, consentono il loro aggiramento, e quindi anche il loro finanziamento dovrebbe essere oggetto di disciplina.
  Quanto ai Gruppi parlamentari, un punto a cui tengo moltissimo è che vengano esclusi dal finanziamento. Anche nel comitato dei saggi nominato dal Presidente della Repubblica c'era questa idea, laddove il Gruppo parlamentare altro non è che un organismo interno alle Camere e quindi le Pag. 16spese sono sostenute dalla Camera o dal Senato. Sia la Camera che il Senato sono in grado di fornire le strutture materiali e umane a un livello di eccellenza, per cui non vedo perché si debbano andare a spendere fuori i danari pubblici.
  Aggiungerei un tema che forse esula da questa disciplina ma attiene comunque al finanziamento della politica e a una disciplina che vorrei vedere più trasparente alla Camera e al Senato: il tema dei cosiddetti «assistenti parlamentari», che a volte sono una duplicazione delle strutture delle Camere, altre sono una duplicazione di strutture personali dei singoli parlamentari. Nulla impedirebbe di limitarne l'impiego a 1 su 5 deputati o senatori, o di assegnarli direttamente ai Gruppi come in qualche caso ho visto fare, e quindi farne dei dipendenti dei Gruppi.
  Se si evita il finanziamento dei Gruppi parlamentari, si risolve anche il tema del frazionismo interno alle Camere, che spesso ha finalità di tipo finanziario. Se una legge elettorale spinge alla coalizione diversi Gruppi che fanno parte di una lista elettorale, poi non vorrei che il Regolamento interno delle Camere spingesse al frazionamento per rassicurare benefici diretti o indiretti, tipo finanziamento ai giornali. Occorre incidere quindi anche sui regolamenti parlamentari.
  Non so se lo riteniate opportuno ma, riflettendo, penso che forse nella legge potrebbe essere inserita una forma di identificazione della tipologia delle spese ammissibili, perché negli anni scorsi abbiamo visto ricadere tra le spese elettorali e simili cose che con la sensibilità di oggi non vorremmo veder ripetere.
  Trovo giusta con le conseguenze che mi accingo a illustrare la registrazione dei partiti con i relativi controlli, e quindi la creazione di un modello largo, elastico di partito democraticamente capace di svolgere quella funzione di trasmissione del consenso tra la base e il vertice del Paese. Forse mi sembra macchinosa la distinzione tra due sezioni, serie A e serie B, laddove, se il partito risponde a quei requisiti, va inserito in un unico registro.
  La proposta che vorrei avanzare alla Commissione è di evitare di creare nuovi organismi o di ribattezzare organismi appena creati come la Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici quando il nostro ordinamento fornisce anche delle istituzioni che sono in grado di fare questo lavoro senza grandi costi aggiuntivi e soprattutto ben strutturati. Pensavo all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, che potrebbe tenere questi registri, controllare, escludere e via dicendo, il che risolverebbe un altro problema che mi pare che il disegno di legge del Governo non risolva: quello della garanzia giurisdizionale contro gli atti di ammissione o di esclusione da questi registri.
  Quanto ai controlli che devono essere attenti, severi, fiscali, rigorosi, mi chiedo perché non affidarli alla Corte dei conti che è già attrezzata piuttosto che creare questa Commissione per la trasparenza e il controllo dei rendiconti dei partiti e dei movimenti politici, che non so sino a che punto sia in grado di farlo.
  L'ultimo punto riguarda – il professor Guzzetta ha detto qualcosa al proposito – i movimenti che non sono partiti che presentano liste alle diverse competizioni, ivi comprese quelle comunali. Se passa il principio che si finanziano le spese per quello che sono, anche coloro che presentano liste che conseguono un qualche successo hanno il diritto al finanziamento, non vedo perché debbano essere esclusi. Il partito è quella realtà di cui parla l'articolo 49 della Costituzione, che però non esclude che altri soggetti possano presentare liste elettorali e, se lo fanno, credo che un rimborso una tantum collegato o meno al successo elettorale possa essere dato.
  Anche sui referendum vi invito a una riflessione. Finora i promotori dei referendum sono stati compensati solo se il referendum ha avuto in termini di partecipazione alla consultazione il successo dell'ammissibilità della consultazione stessa. Sono investimenti che si fanno e poi non si riesce a rientrare, e questo scoraggia la partecipazione politica attraverso Pag. 17il referendum. Mi chiedo allora perché non inventarsi forme di rimborso effettivo – il termine «rimborso» è antipatico – delle spese che incontrano i promotori per un referendum collegato con il numero dei partecipanti, che venga riconosciuto superata una certa soglia e non certo all’ uno per cento di partecipazione.
  Bene il finanziamento indiretto previsto dai progetti di legge, soprattutto bene l'accesso al servizio pubblico radiotelevisivo. Tengo a sottolineare questo aggettivo, pubblico, perché distingue il servizio pubblico dal servizio privato e che quindi svolge gratuitamente a favore dei diversi competitors elettorali questa attività.
  Una parola sola sulla disciplina transitoria che in Commissione ha dato luogo a dei problemi. Oggi, sulla base del risultato del referendum del 1993, è in vigore soltanto il rimborso delle spese elettorali, che è dato in quelle maniere che tutti hanno stigmatizzato. Non è una questione di patto con i cittadini, ma la legge collide nella sostanza con il risultato del referendum. Ci chiediamo quindi perché un rimborso per le spese elettorali che si sono effettuate nel 2013 debba trascinarsi per cinque anni, sia pure a scalare. Non c’è infatti alcuna ragione: se c’è un rimborso di spese, si eroga una tantum, si trascina per uno o due anni, ma trascinarlo per cinque anni mi pare eccessivo.

  PRESIDENTE. Desidero comunicare che ho pensato di mettere a disposizione della Commissione una specie di testo a fronte di tutti i progetti di legge, in modo di agevolare ciascuno di noi nel valutare e calibrare per argomenti valutare ogni singolo progetto. Ritengo sia una proposta operativa utile.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  EMANUELE FIANO. Vorrei porre una domanda al professor Orsina. Lei, se non ho compreso male, ha espresso qualche contrarietà al fatto che il testo del disegno di legge del Governo nel capo secondo rechi norme che entrano nella vita dei partiti.
  Lei non condivide che quel capo secondo che si riferisce a una implementazione dell'articolo 49 della Costituzione rechi obblighi rispetto al funzionamento democratico della vita interna dei partiti ma, al di là del suo legittimo parere, nulla osta nel testo costituzionale che questo avvenga.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Orsina per la replica.

  GIOVANNI ORSINA, professore associato di storia contemporanea. Mi sono spiegato male: ho distinto il disegno di legge governativo da altri progetti di legge che secondo me invece costruiscono un modello di Statuto molto robusto, prevedendo una serie di regole.
  Sono d'accordo con il disegno di legge del Governo, sia rispetto al fatto che finalmente l'articolo 49 della Costituzione sia attuato – si tratta di un'antica battaglia che viene combattuta da una scuola alla quale mi onoro di appartenere e rappresentata, soltanto per citare un nome, ad esempio, da Paolo Ungari – e credo che sia assolutamente necessario che i partiti, che svolgono una funzione pubblica fondamentale, siano regolati. Quello che non ritengo opportuno è che siano iper-regolati, cioè che lo Stato italiano preveda un determinato modello di partito e lo imponga.
  Credo che il disegno di legge su questo trovi un buon equilibrio, prevedendo che negli statuti sia regolata una serie di aspetti senza però entrare nel come dovranno essere regolati e lasciando questo ai partiti.
  Sono peraltro d'accordo con il professor Guzzetta e con il professor Prospero sul fatto che forse sarebbe il caso di inserire qualcosa su come poi si possa ottenere giustizia all'interno di un partito e anche su come i finanziamenti passino dal livello nazionale al locale. Questo sarebbe il caso di introdurlo, però quella del disegno di legge è una buona soluzione; mi Pag. 18persuadono meno le soluzioni più normate di alcuni altri progetti di legge.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altre domande, vorrei farne io alcune. Vorrei chiedere ai nostri ospiti in che misura ritengano che propendere per un finanziamento non pubblico del partito possa essere in rotta di collisione con l'articolo 49 della Costituzione.
  Questo è un tema avanzato dal professor Prospero, in quanto il dilemma di fondo è proprio questo: se il partito inteso in senso costituzionale necessiti di una sua indipendenza e se questa indipendenza passi attraverso un finanziamento pubblico.
  Su questo punto, che a me sembra il tema culturale di fondo, vorrei che brevemente ciascuno di voi ci desse una risposta.

  FEDERICO SORRENTINO, professore. A me pare che sia proprio nel sistema costituzionale, in quello che dice l'articolo 49 della Costituzione, per cui non è il partito che concorre alla determinazione della politica nazionale, ma sono i cittadini che attraverso i partiti concorrono alla determinazione della politica nazionale. Se questa è la premessa, ne discende che in un mondo mai come oggi dominato dal danaro e dai mezzi materiali questi, se sono squilibrati, impediscono la formazione del consenso politico e quindi l'accesso alla partecipazione e alla determinazione della politica nazionale di coloro che hanno meno mezzi.
  Il finanziamento pubblico serve a riequilibrare, anzi il finanziamento privato deve essere ammesso entro tetti predefiniti che siano uguali per tutti, perché altrimenti si creano sperequazioni tra diverse correnti, quindi come garanzia dell'eguaglianza e della partecipazione alla gestione della cosa pubblica.

  MICHELE PROSPERO, professore associato di filosofia del diritto. Credo anch'io che il partito politico sia uno strumento, un veicolo del principio di eguaglianza che è centrale nella Costituzione.
  Nella Costituzione c’è un aggancio tra cittadinanza e lavoro che è centrale per la determinazione della forma di Stato. Privare i partiti di autonomia finanziaria ed economica significa impedire il principio di eguaglianza e il riconoscimento pubblico del ruolo fondante del lavoro. Partiti senza autonomia economica e finanziaria sono un indebolimento dei diritti dei cittadini.

  GIOVANNI ORSINA, professore associato di storia contemporanea. Avevo già accennato che ritengo che la soluzione del disegno di legge del Governo rappresenti un buon equilibrio fra questi due aspetti.
  È indubbiamente vero che, come è stato ricordato, se i partiti svolgono la funzione pubblica, può essere opportuno che abbiano un finanziamento pubblico diretto, che può creare una serie di elementi di squilibrio che invece, obbligando i partiti a cercare finanziamenti privati o intervenendo con un cofinanziamento pubblico potrebbero essere evitati. Al massimo – riprendo su questo una proposta della Fondazione Luigi Einaudi di qualche mese fa – si può prevedere uno scorporo delle spese elettorali e in forma inferiore rispetto a quello attuale un rimborso specificamente legato alle spese elettorali, ma per quanto riguarda la vita dei partiti ritengo che questo modello sia più equilibrato.

  GIOVANNI GUZZETTA, professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico. Personalmente dissento, perché ritengo che un sostegno ai partiti di derivazione pubblica sia opportuno, ma non sono convinto da costituzionalista che dall'articolo 49 della Costituzione derivi un diritto del partito a una prestazione pubblica necessaria.
  Penso che le modalità per promuovere l'esistenza dei partiti consentite dalla Costituzione siano varie, che ci sia anche quella del finanziamento pubblico ma anche altre forme di finanziamento, perché in questa materia in tutto il mondo il problema non è il «se»: il problema è il quantum e la correlazione tra questo e il Pag. 19resto. Credo che la giurisprudenza costituzionale conforti questa mia opinione.

  FRANCESCA BIONDI, ricercatrice in diritto costituzionale. Prima ho affermato che la Costituzione secondo me era neutra nei confronti del finanziamento pubblico, ma forse è un ragionamento di tipo formale perché siamo andati per due volte a votare e la Corte Costituzionale ha due volte dichiarato ammissibile il referendum sul finanziamento pubblico, per cui mi sembra difficile dal punto di vista giuridico ritenere che per la nostra Costituzione sia obbligatorio il finanziamento pubblico.
  Ciò non toglie che io sia pienamente convinta che esistano ragioni costituzionali che invece inducono a ritenere oltremodo opportuna l'introduzione di un finanziamento pubblico per contribuire a dare un senso all'articolo 49 della Costituzione nella parte in cui non solo attribuisce la titolarità del diritto ai cittadini e non ai partiti, ma soprattutto laddove utilizza il termine «concorrere», perché dietro al termine «concorso» c’è l'idea del pluralismo e dell'uguaglianza delle possibilità dei partiti.
  Sono d'accordo sul fatto che serva il finanziamento pubblico e che sia necessario per svolgere quella funzione riequilibratrice rispetto al finanziamento privato di cui ci parlava il professor Sorrentino, soprattutto perché dobbiamo considerare da un punto di vista storico come i partiti attuali non siano il partito di massa della socialdemocrazia tedesca che ha fondato il modello di partito e l'idea del tesseramento che nasce per finanziare i partiti politici.
  Oggi ci lamentiamo che non basti più l'autofinanziamento con le tessere, però mi sembra un processo naturale non solo italiano, laddove quelle fratture ideologiche su cui si erano creati i partiti politici iniziano a venire meno. Questo però non vuol dire che i partiti non servano più, ma che la volatilità dell'elettorato impedisce che i cittadini partecipino in modo così pesante alla vita dei partiti.

  PRESIDENTE. Ha chiesto di intervenire l'onorevole Boccadutri per una brevissima riflessione.

  SERGIO BOCCADUTRI. Soltanto un flash perché nessuno l'ha citato. È vero quello che dice la professoressa Biondi in relazione all'ammissibilità da parte della Corte Costituzionale dei referendum abrogativi del finanziamento pubblico, ma, a mio avviso, si potrebbe vedere l'articolo 49 anche in connessione con il secondo comma dell'articolo 3 della Costituzione, laddove si parla di partecipazione all'organizzazione politica e di rimuovere gli ostacoli. Credo che questa connessione sia alla base della domanda posta dal presidente.

  PRESIDENTE. Grazie. Nel ribadire agli auditi la riconoscenza dell'intera Commissione per la cortesia dimostrata nei nostri confronti, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.45.