Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Lunedì 16 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE DELLA LEGISLAZIONE IN MATERIA DI ADOZIONI ED AFFIDO

Audizione di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, di rappresentanti dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Piemonte, di rappresentanti del Movimento per la vita e di rappresentanti del Movimento per l'infanzia.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 ,
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 2 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 ,
Scagliusi Emanuele (M5S)  ... 10 ,
Binetti Paola (AP)  ... 11 ,
Rossomando Anna (PD)  ... 11 ,
Verini Walter (PD)  ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 ,
Orlando Andrea (PD) , Ministro della giustizia ... 12 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 ,
Morace Pinelli Arnaldo , professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 14 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Binetti Paola (AP)  ... 20 ,
Morace Pinelli Arnaldo , professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 20 ,
Binetti Paola (AP)  ... 20 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 ,
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 21 ,
Binetti Paola (AP)  ... 22 ,
Morace Pinelli Arnaldo , professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 22 ,
Bianca Mirzia , professoressa di diritto privato presso l'Università La Sapienza di Roma ... 22 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 22 ,
Morace Pinelli Arnaldo , Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata ... 23 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 ,
Colella Anna Maria , direttrice dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Regione Piemonte ... 23 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 27 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 27 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 27 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 27 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 27 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 29 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 29 ,
Colella Anna Maria , Direttrice dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Regione Piemonte ... 29 ,
Coffari Di Gilferraro Girolamo , presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia ... 29 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 31 ,
Casini Marina , rappresentante dell'Associazione Movimento per la Vita ... 31 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 ,
Casini Marina , rappresentante dell'associazione Movimento per la vita ... 35 ,
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 

ALLEGATO: Dati statistici forniti dal Ministro della Giustizia Andrea Orlando ... 36

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, di rappresentanti dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Piemonte, di rappresentanti del Movimento per la vita e di rappresentanti del Movimento per l'infanzia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione della legislazione in materia di adozioni ed affido, l'audizione di Andrea Orlando, Ministro della Giustizia, accompagnato da Gemma Tuccillo, Vice Capo di Gabinetto Vicario del Ministero della Giustizia e da Stefano Scartozzi, Responsabile del Servizio Rapporti con il Parlamento del Ministero della Giustizia, di Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, accompagnato da Mirzia Bianca, professoressa di diritto privato presso l'Università La Sapienza di Roma, di Anna Maria Colella, Direttrice dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Piemonte, di Marina Casini, rappresentante dell'Associazione Movimento per la vita e di Girolamo Coffari di Gilferraro, Presidente dell'Associazione Movimento per l'infanzia.
  Lascio quindi la parola al Ministro della giustizia, Andrea Orlando.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Signora presidente, onorevoli deputati, ringrazio dell'invito a questa audizione, che consente di verificare, innanzitutto, lo stato di attuazione delle norme vigenti in materia di adozione e di affidamento, e, quindi, di misurare gli ulteriori risultati raggiunti nell'assicurare tutela all'interesse dei minori proprio rispetto a quanto rappresentato nella relazione presentata dal Governo il 16 dicembre 2013.
  L'approccio al tema non può prescindere dal riconoscimento centrale del ruolo delle famiglie come formazioni sociali all'interno delle quali si struttura e si esplica la personalità dell'individuo. Il sostegno alle famiglie e ancor più alle famiglie in difficoltà è responsabilità imprescindibile dello Stato ed impegna le moderne democrazie ad apprestare forme di tutela multidisciplinare sempre più avanzate, soprattutto a salvaguardia del diritto dei minori.
  In qualità di Ministro della giustizia, mi sia consentito di esordire proprio con il riferimento alla sempre maggior valorizzazione di una cultura nazionale e internazionale che pone i diritti dei minori al centro di ogni attività normativa e organizzativa che a vario titolo li vede protagonisti.
  All'interno di questa prospettiva, sul piano organizzativo si è proceduto al rafforzamento del Dipartimento, già della giustizia minorile, oggi della giustizia minorile di comunità, nel quadro dell'adozione del nuovo Regolamento di organizzazione del Ministero della giustizia. Nell'ottica di ricerca e approfondimento delle migliori soluzioni per le situazioni di disagio anche Pag. 3temporaneo dei minori di età, questo Dipartimento è attualmente impegnato anche nella complessiva revisione dell'organizzazione e del funzionamento dei servizi minorili delle comunità ministeriali, senza trascurare, tuttavia, ogni necessaria attenzione alle comunità gestite dal privato sociale, che fanno capo agli enti locali.
  Queste ultime sono generalmente destinate ad accogliere minori estranei al circuito penale, che vivono temporaneamente in condizioni di difficoltà legate al disagio o all'inadeguatezza dei contesti familiari di appartenenza.
  Analogo impegno viene profuso sul piano normativo. Lo scopo della norma è l'individuazione di interventi mirati, per consentire al minore di crescere nella propria famiglia, così da ridurre il ricorso all'allontanamento e alla collocazione presso altra famiglia o in comunità a casi assolutamente residuali.
  Alla piena centralità dell'interesse del minore si è, quindi, ispirata la riforma della filiazione, operata dalla legge n. 219 del 2012, che ha finalmente affermato l'eguaglianza giuridica di tutti i figli, a prescindere dalla nascita in costanza di matrimonio, nel pieno rispetto dei princìpi costituzionali e degli obblighi imposti a livello internazionale, così depotenziando, nell'ambito dei rapporti familiari, la centralità del vincolo coniugale a vantaggio dei diritti della prole.
  Secondo questa impostazione, alla potestà genitoriale si è sostituita la responsabilità genitoriale, proprio per valorizzare il profilo dell'assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio.
  A questa profonda evoluzione del piano dei princìpi e del piano sostanziale deve necessariamente seguire un'effettiva parificazione delle tutele sul piano processuale e ordinamentale. Per questo il Governo ha elaborato una proposta di riforma per l'istituzione di una sezione specializzata per la famiglia, cui corrisponda sul piano processuale una razionalizzazione dei diritti a tutela dei minori, riunendo una materia, che allo stato individua competenze frammentate tra Tribunale ordinario, giudice tutelare e Tribunale per i minorenni.
  La proposta prevede la piena salvaguardia della specializzazione, conservando l'apporto di professionalità che si sono formate nell'esperienza del Tribunale per i minorenni, e garantisce, altresì, l'ausilio della componente onoraria dei servizi sociali e di tutti gli operatori di settore.
  Mi sembra in questa sede opportuno richiamare la legge n. 101 del 2015, con la quale l'Italia, dopo un iter davvero travagliato, ha proceduto alla ratifica e all'esecuzione della Convenzione dell'Aja in merito a competenza, legge applicabile, riconoscimento, esecuzione e cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.
  In questo contesto, forma oggetto di un autonomo disegno di legge, presentato dal Governo, la questione relativa all'attribuzione di una veste giuridica alla cosiddetta «Kafala», istituto affine all'affidamento familiare, previsto come unica misura di protezione del minore negli ordinamenti islamici, che non operano alcuna distinzione tra bambini in stato di abbandono e bambini in situazione di transitoria difficoltà.
  Desidero poi ricordare l'importanza del decreto legislativo n. 142 del 2015 che, in attuazione delle direttive numero 2013/32/UE e 2013/33/UE, interviene sulle norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e sulle procedure comuni ai fini del riconoscimento o della revoca dello status di protezione internazionale.
  Questo decreto è importante anche per la grande attenzione che dedica ai minori, cui viene garantita adeguata e pronta accoglienza e una tutela giuridica più rapida ed efficace, unificando così prassi molto diversificate sul territorio nazionale.
  Entrando nel merito dell'oggetto di questa audizione, la valorizzazione della famiglia e dei diritti fondamentali del fanciullo, primo fra tutti quello alla continuità affettiva, è stata concretamente affermata con l'entrata in vigore della legge 19 ottobre 2015, n. 173, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare.
  La legge n. 184 del 1983 per la disciplina dell'adozione e dell'affidamento si Pag. 4apre con l'enunciazione del principio secondo cui il minore ha diritto di crescere e di essere educato nel proprio nucleo familiare, e, per sottolineare la finalità prioritaria che ispira la normativa, la novella del 2001, riprendendo testualmente i princìpi affermati dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, si intitola «Diritto del minore a una famiglia».
  In questa direzione anche la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ribadito l'importanza della ricerca dell'interesse del minore nelle diverse situazioni concrete, e la centralità del diritto alla relazione tra genitori e figli, affermando costantemente come l'allontanamento del minore dalla famiglia e la sua istituzionalizzazione debbano essere assunti con estrema prudenza ed esatta ponderazione degli interessi pubblici e privati in gioco.
  Nella sentenza del 27 aprile 2010, Moretti e Benedetti contro Italia, in particolare, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha valorizzato i casi in cui l'affidamento familiare abbia dato luogo al realizzarsi di relazioni familiari sostanziali non transitorie rispetto a meri requisiti di tipo formale.
  La tutela dei diritti del minore deve, quindi, costituire il riferimento fondamentale, al fine di inquadrare il tema dei provvedimenti convenienti che il giudice deve adottare per ristabilire un equilibrio di relazioni familiari e di crescita armoniosa del bambino. E il diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine va coniugato con il diritto a crescere in un ambiente idoneo allo sviluppo della personalità.
  Quanto fin qui esposto aiuta a comprendere che il diritto del minore a crescere e ad essere educato nella famiglia di origine non può considerarsi assoluto, ma può e deve, al contrario, recedere tutte le volte in cui contrasti con il superiore interesse del minore ad una crescita sana ed equilibrata.
  La ricerca del punto di equilibrio tra i predetti valori in gioco è, dunque, demandata al prudente apprezzamento del giudice, secondo le circostanze del concreto contesto e attraverso l'interpretazione più aderente alle trasformazioni sociali e culturali. Di tale sensibilità la magistratura italiana ha offerto nel tempo ampia dimostrazione ed equilibrata applicazione, pur a fronte di criticità emerse nell'applicazione concreta delle norme in materia di affidamento dei minori.
  Partendo da tale constatazione, il legislatore nel 2015 è intervenuto nella materia, al fine di assicurare la continuità affettiva del minore con la famiglia affidataria e rimodulare i due istituti dell'affidamento e dell'adozione, conferendo rilevanza ai fini dell'adozione anche al legame instauratosi tra famiglia affidataria e minore, nel caso in cui questo legame si riveli il più rispondente all'interesse di quest'ultimo.
  Nel quadro così delineato, la legge n. 173 del 2015 ha inteso introdurre un favor verso i legami affettivi costruiti in ragione dell'affidamento, avendo cura di specificare che, tuttavia, questi legami hanno rilievo solo laddove il rapporto instaurato tra famiglia e minore abbia di fatto determinato una relazione strutturata e profonda.
  È, quindi, prefigurata una corsia preferenziale per l'adozione a favore della famiglia affidataria in possesso di tutti i requisiti previsti dalla legge, dopo che, avendo dichiarato lo stato di abbandono del minore, è stata verificata l'impossibilità di ricostruire il rapporto con la famiglia d'origine.
  Al fine di non disperdere il bagaglio di relazioni e legami interpersonali che durante il periodo di affidamento si sono creati, la legge prevede il coinvolgimento degli affidatari nei procedimenti che riguardano il minore e tutela la continuità delle positive relazioni socio-affettive che si sono consolidate durante l'affidamento, anche nel caso in cui il minore faccia rientro nella sua famiglia di origine o sia adottato da altra famiglia.
  In ossequio al principio generale di cui all'articolo 315-bis, comma 3, del codice civile, è previsto che il giudice debba ascoltare il minore, sempre compiuti i 12 anni, al fine delle decisioni che lo riguardano: disposizione che potrebbe apparire inutilmente ripetitiva di un ampliamento già previsto, che risulta, invece, opportuna al Pag. 5fine di ribadire che il solo interesse di cui si deve tener conto è quello del minore.
  Il «prolungato periodo di affidamento» è valorizzato anche ai fini dell'adozione in casi speciali (articolo 44) nell'ipotesi in cui il persistere del rapporto stabile e duraturo sia maturato in seguito ad un prolungato periodo di affidamento o diventi impraticabile l'adozione ordinaria. Anche in questo quadro delineato dalle nuove disposizioni sarà rimessa al prudente apprezzamento della giurisprudenza la verifica della sussistenza in concreto delle specifiche condizioni, che fondano l'interesse del minore, a permanere nella famiglia affidataria in considerazione della effettività e valenza del vincolo consolidatosi nel periodo dell'affidamento.
  L'applicazione della nuova normativa potrà evidenziare la necessità di un coerente coordinamento con il sistema complessivo, ad esempio per quanto attiene la tutela della continuità affettiva nei casi in cui il minore sia affidato ad una coppia di conviventi o ad una persona singola.
  Le nuove regole introdotte dalla legge n. 173 del 2015 prevedono che la famiglia affidataria, che chiede di adottare il bambino dopo il prolungato periodo di affidamento, debba possedere i requisiti richiesti per l'adozione, quindi gli affidatari devono essere coniugati e non separati. Di contro, la disciplina dell'affidamento prevede che il bambino possa essere affidato anche a una coppia di conviventi o ad una persona singola, ossia a soggetti che non hanno i requisiti per poter adottare.
  Anche in materia di affidamento e adozione il Governo manifesta particolare attenzione alle complesse e delicate istanze che si muovono nella società civile. Da un lato va tenuto conto della esigenza di riconoscere al minore uno status di filiazione, che viene certamente inficiato da discutibili inerzie nel prolungare affidamenti sine die, dall'altro appare ineludibile un'attenta considerazione della molteplicità dei modelli familiari, che rende inadeguata la sola declinazione di adozione come legittimante, alla stregua di una seconda nascita, cui debba necessariamente conseguire l'interruzione dei rapporti con la famiglia di origine.
  Il principio della ragionevole durata del processo assume in questa materia ancor più evidente connotazione. «Un esercito di figli mancati» veniva chiamato, dagli osservatori di settore, il numero effettivamente assai elevato di bambini e ragazzi che vivevano in famiglie affidatarie o in comunità in attesa di essere adottati.
  Sebbene i tribunali per i minorenni li avessero riconosciuti in stato di abbandono e quindi adottabili, non di rado questi minori rimanevano nel limbo dell'attesa di una stabile collocazione familiare per mesi se non per anni, spesso per l'assenza di famiglie disponibili all'adozione della singola realtà territoriale, ma anche per la difficoltà di concreta e fattiva comunicazione tra i diversi uffici giudiziari, e gli anni per i bambini sono tutto il loro tempo.
  Per porre rimedio a tale inconveniente, l'articolo 40 della legge n. 149 del 2001 ha previsto l'istituzione presso il Ministero della giustizia di una banca dati dedicata ai minori dichiarati adottabili, nonché ai coniugi aspiranti all'adozione. La finalità di questo strumento è proprio quella di consentire il più rapido e migliore abbinamento tra il minore dichiarato adottabile e la coppia che ha espresso la disponibilità all'adozione, attraverso la circolazione delle informazioni fra tutti gli uffici giudiziari minorili del Paese, garantendo l'accesso degli interessati all'anagrafe solo attraverso gli uffici giudiziari, nel rispetto della normativa sulla privacy.
  In questi anni, tuttavia, l'attuazione della banca dati è stata lenta e faticosa. Del percorso di messa in opera è stato dato atto nel dettaglio nella «Relazione sullo stato di attuazione dell'affidamento e dell'adozione», presentata dal Governo il 16 dicembre 2013. Numerose le difficoltà tecniche e finanziarie che hanno impedito di avviare procedure di attuazione nei tempi stabiliti.
  Particolarmente difficile si è rilevata la costruzione di un sistema informatico ad hoc, in grado di alimentare automaticamente, su tutto il territorio nazionale, una banca dati di questa complessità. Il Ministero Pag. 6 della giustizia ha emanato in materia due specifici decreti attuativi: «Regolamento recante modalità di attuazione e organizzazione della banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili, istituito dall'articolo 40 della legge 28 marzo 2001 n. 149» di cui al decreto ministeriale 24 febbraio 2004, n. 91, e il decreto ministeriale 14 luglio 2004, recante «Regole procedurali di carattere tecnico-operativo per la definizione di dettaglio della gestione della banca dati relativa ai minori dichiarati adottabili».
  Sul piano organizzativo è stato adottato il decreto del capo del Dipartimento per la giustizia minorile 15 febbraio 2013, finalizzato a fornire indicazioni operative per la messa in opera del sistema. Il sistema informatico è stato strutturato con modalità che assicurano la tracciabilità della fonte e del percorso delle informazioni immesse, e la conoscenza di una serie di dati omogenei sui soggetti interessati al procedimento di adozione.
  La banca dati, come è stata attualmente disciplinata, ha una finalità strettamente strumentale alla ricerca del miglior abbinamento possibile per ogni bambino dichiarato adottabile. Consente, infatti, l'individuazione della potenziale famiglia adottiva, comparando disponibilità e caratteristiche di tutte le coppie che hanno presentato la loro domanda sul territorio nazionale.
  Il suo pieno funzionamento è condizionato al completamento dell'informatizzazione dei tribunali per i minorenni, attraverso l'installazione del sistema operativo «Sigma» che, a differenza del precedente SICAM, è in grado di alimentare in maniera automatica la banca dati. Finalmente possiamo dire che questo traguardo è stato raggiunto almeno per 25 dei 29 tribunali per i minorenni e che il processo di informatizzazione sarà completato entro il prossimo 30 settembre 2016.
  Per quanto riguarda i dati statistici attualmente disponibili, questi sono rappresentati nelle tabelle che allego alla relazione (vedi allegato) e che riportano i numeri relativi alle domande di disponibilità all'adozione di minori italiani negli anni 2001-2014, nonché quelli relativi alle adozioni di minori italiani nello stesso arco temporale. Dalle tabelle sembra emergere una significativa flessione negli ultimi anni delle domande complessive di disponibilità all'adozione da parte delle coppie di aspiranti genitori, a fronte di un numero complessivo tendenzialmente costante di minori adottabili e da adottare. Metto a disposizione questi dati per l'utilità che da essi la Commissione potrà trarre.
  Presso il Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità è stata, inoltre, avviata un'attività di monitoraggio, mirata non solo al miglioramento del sistema di rilevazione, ma anche alla verifica dell'effettivo evolversi delle procedure.
  Una verifica condotta presso tutti i tribunali per i minorenni evidenzia che in tutta Italia sono stati circa 300 i minori che, benché dichiarati adottabili, non sono stati adottati. Per ciascuno di essi esiste una motivazione di particolare delicatezza: spesso si è di fronte a condizioni di salute fisica o psichica particolarmente difficile, legate a patologie irreversibili, in numerosi casi si tratta di ragazzi in piena fase adolescenziale, talvolta già oltre i 15-16 anni, tra i quali non pochi stranieri non accompagnati, tutti dichiaratamente refrattari all'accettazione di una famiglia adottiva e legati ad un ricordo strutturato e intenso del vissuto biologico, cui si accompagna il desiderio di un ritorno al contesto di appartenenza, con il quale in ogni modo intendono rimanere in contatto.
  A questo proposito, va tuttavia segnalato come in ogni caso tutti i minori non collocati in adozione siano stati sistemati in famiglie affidatarie o in case famiglia. La realtà dei ragazzi non adottati o non adottabili per le ragioni indicate impone di riflettere sul meccanismo stabilito dalla legge n. 184 del 1983 a proposito della durata degli affidamenti familiari, attualmente fissata in due anni e prorogabile una volta soltanto.
  Sembrerebbe necessario considerare se questo rigore aritmetico, che mira ad evitare la perpetuazione dell'incertezza delle relazioni, consenta di trovare sempre la migliore soluzione per il minore. Va, inoltre, Pag. 7 considerato che, anche se tutelato il rapporto affettivo conseguente all'affidamento in forza della citata legge n. 173 del 2015, non sempre la famiglia affidataria, per quanto si riveli ottima, è disponibile poi all'adozione.
  Sempre in tema di adozione, di estrema delicatezza è la questione relativa al diritto della ricostruzione delle origini. È attualmente in discussione in Parlamento il disegno di legge avente ad oggetto «Disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazione sulle proprie origini e sulla propria identità».
  Il disegno di legge, approvato dalla Camera dei deputati in testo unificato nel giugno del 2015 e trasmesso al Senato della Repubblica, è di iniziativa parlamentare e il Governo ne sta seguendo con particolare attenzione l'iter. L'iniziativa legislativa trae origine dalla necessità di individuare un punto di equilibrio tra due interessi coinvolti, entrambi grandemente meritevoli di tutela: il diritto del figlio a conoscere le proprie origini e il diritto della madre a mantenere l'anonimato.
  È indispensabile, infatti, colmare il vuoto normativo, che si è determinato in seguito alla pronuncia n. 287 del 2013, con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 28, comma 7, della legge n. 184 del 1983, nella parte in cui si prevede, attraverso un procedimento stabilito dalla legge che assicuri la massima riservatezza, la possibilità per il giudice di interpellare la madre che abbia dichiarato di non poter essere nominata ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000, su richiesta del figlio, ai fini dell'eventuale revoca di tale dichiarazione.
  Per quanto riguarda le adozioni internazionali, anch'esse registrano, allo stato, una flessione. Nel primo trimestre del 2015, i procedimenti di adozione internazionale definiti dal nostro Paese sono stati 3.189, a fronte degli 8.540 definiti nel 2012, dei 7.421 del 2013 e dei 6.739 del 2014.
  Il calo registrato per il nostro Paese si riscontra anche nel panorama internazionale. Il Brasile, per esempio, è passato da 543 minori, concessi in adozione all'estero nel 2006, a 238 nel 2013. La Cina è passata da 14.434 ai 2.931 minori adottati nel 2013, mentre l'India dai 1.076 minori adottati nel 2003 ai 366 minori adottati nel 2012 e la Federazione russa dai 9.472 minori del 2004 ai 2.483 minori adottati nel 2012.
  Osservando il fenomeno dal punto di vista dei Paesi di accoglienza, basterà considerare che negli Stati Uniti sono entrati, nel 2015, 6.408 bambini adottati con adozioni internazionali, mentre nel 2005 le adozioni internazionali degli Stati Uniti riguardavano 22.508 bambini, con un crollo di oltre il 70 per cento.
  Vale, qui, la pena ricordare che, tra la fine degli anni Cinquanta e l'inizio degli anni Sessanta, l'Italia era il secondo Paese d'origine dei bambini adottati negli Stati Uniti. Il flusso cessò con il consolidamento dello sviluppo economico.
  Dall'analisi delle cause che determinano la diminuzione delle adozioni internazionali discende la necessità che l'attenzione del sistema, finora incentrata quasi esclusivamente sulla fase relativa al vaglio delle famiglie aspiranti all'adozione, si estenda in modo significativo alla fase successiva, garantendo sostegno e aiuto alle famiglie, anche con l'obiettivo di prevenire possibili crisi.
  La ratifica della Convenzione dell'Aja del 29 maggio 1993 ha introdotto cambiamenti importanti sulla concessione dell'adozione internazionale, ponendo al centro il principio di sussidiarietà e il superiore interesse del minore in tutte le decisioni che lo riguardano, dall'organizzazione amministrativa delle procedure alla collaborazione dei principali soggetti istituzionali coinvolti.
  Con la legge n. 476 del 1998, l'Italia ha creato un sistema virtuoso per l'interazione tra i diversi attori istituzionali e non, coinvolti nel sistema delle adozioni, portando il nostro Paese al secondo posto al mondo per numero di accoglienza di bambini attraverso l'adozione internazionale, superato soltanto dagli Stati Uniti d'America.
  La situazione attuale presenta, come abbiamo visto, diverse criticità che hanno Pag. 8contribuito a creare un clima di crescente sfiducia verso l'istituto dell'adozione, soprattutto di quella internazionale. L'analisi dei dati impone, dunque, una ponderata riflessione sulle ragioni della diminuzione di bambini adottati e di disponibilità da parte delle coppie, al fine di intervenire per mantenere alta la cultura di accoglienza del nostro Paese, continuando a offrire una famiglia ai bambini in stato di abbandono e un figlio alle coppie italiane desiderose di accoglierlo.
  Ora, se si concentra lo sguardo sul contesto italiano, le famiglie aspiranti all'adozione di un minore straniero necessitano di una preparazione e di un accompagnamento, sicuramente maggiori rispetto al passato, tenendo in considerazione gli importanti cambiamenti che sono intervenuti in relazione al profilo dei bambini adottabili. Con sempre maggiore frequenza si presentano, infatti, situazioni di minori non più in tenera età, di gruppi numerosi di fratelli e di bambini con particolari esigenze di carattere sanitario.
  A ciò si deve aggiungere, dal punto di vista delle famiglie aspiranti, l'importante impegno economico necessario per concretizzare un'adozione internazionale, unitamente ad attese lunghe e a percorsi complessi.
  Infine, sempre in riferimento al panorama italiano, occorre fare un accenno all'elevato numero di enti di natura privata che sono stati autorizzati a operare nell'ambito delle adozione internazionali, con una notevole disomogeneità rispetto alla loro organizzazione, in Italia e all'estero.
  Di questa crisi delle adozioni internazionali, ha preso atto la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza nel documento del 22 gennaio 2013, così come alcuni dei punti critici del sistema attuale sono stati affrontati anche dal Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza nelle raccomandazioni indirizzate all'Italia il 6 ottobre del 2011. Inoltre, il quadro pubblicato dal servizio sociale internazionale, a ottobre del 2015, evidenzia e conferma, seppure con le dovute cautele imposte dalla mancata pubblicazione dei dati italiani, un calo delle adozioni internazionali rispetto all'anno precedente, così come un aumento della complessità della situazione dei bambini con bisogni speciali.
  In questo scenario, è maturato l'avvio di un percorso di riforma dell'impianto normativo, partendo dalla convinzione che l'adozione internazionale debba essere prevalentemente concepita come un fatto o meglio come un interesse pubblico e collettivo e che debba essere realizzata nell'ambito di un sistema in cui i soggetti pubblici e privati collaborano, al fine di una piena attuazione dei principi della Convenzione dell'Aja.
  Nella prospettiva di creare un sistema virtuoso, esteso a tutte le fasi del procedimento adottivo, potenziando le sinergie tra autorità giudiziaria, amministrazioni regionali e servizi territoriali per assicurare omogeneità agli interventi in favore di queste famiglie, è stata presentata, il 25 febbraio 2016, la proposta di legge A.C. 3635 che prevede l'istituzione dell'Agenzia italiana per le adozioni internazionali.
  L'Agenzia è strutturata, in quanto ente di intermediazione, con carattere nazionale e con funzioni di coordinamento tra amministrazioni dello Stato e delle regioni per offrire ai cittadini, unitamente agli enti autorizzati privati, alle associazioni familiari e alle organizzazioni di volontariato, un servizio pubblico in grado di tutelare i diritti dei bambini, di contrastare l'abbandono dei minori e di rispondere adeguatamente al desiderio di genitorialità delle famiglie.
  All'Agenzia sono state conferite funzioni di assistenza giuridica, sociale e psicologica alle coppie, che intendono avvalersi dell'operato dell'ente pubblico per la concretizzazione del progetto adottivo, nonché di promozione e coordinamento di un'ampia collaborazione tra le diverse istituzioni. È, quindi, prevista la promozione di progetti di informazione e formazione in Italia e nei Paesi stranieri, dove l'Agenzia può operare, d'intesa con la Commissione per le adozioni internazionali, mediante l'istituzione di uno sportello informativo e di un centro di documentazione specializzato in materia di adozione. Pag. 9
  La collaborazione dell'Agenzia con i tribunali per i minorenni è naturalmente intensa e rivolta all'individuazione di risorse familiari adeguate, in caso di minori dichiarati adottabili sul territorio nazionale che presentano situazioni particolarmente problematiche. La sede legale di rappresentanza dell'Agenzia è individuata presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
  Al fine di superare specifiche criticità, risultano attualmente pendenti in Parlamento ulteriori proposte di legge di iniziativa parlamentare, aventi per oggetto la modifica della legge n. 184 del 1983. Tra questi, si segnala la proposta di legge A.C. 2434, che ha per oggetto specificamente lo snellimento delle procedure per le adozioni internazionali, ma anche la proposta di legge A.C. 2866 e la proposta di legge A.C. 3318, presentata lo scorso mese di settembre e assegnata il 22 dicembre 2015, che mira a introdurre una disciplina specifica per il riconoscimento in Italia delle adozioni effettuate all'estero da cittadini italiani residenti all'estero. L'attenzione è, in particolare, ai cittadini italiani residenti in Paesi islamici.
  Troppo spesso il fenomeno del consistente calo del numero di minori stranieri adottati in Italia viene semplicisticamente associato alla asserita macchinosità delle procedure per ottenere il decreto di idoneità. Tale spiegazione, al netto dei tempi dei servizi sociali, protagonisti del percorso di formazione e informazione delle coppie, non è tuttavia esatta né esaustiva.
  In realtà, il vero motivo del calo delle adozioni internazionali, fenomeno assolutamente generalizzato su scala mondiale, come abbiamo visto, e non solo relativo all'Italia, è che la maggior parte degli Stati d'origine hanno sempre meno bisogno di ricorrere all'adozione internazionale per dare una famiglia ai propri cittadini minorenni in stato di abbandono, avendo rafforzato le politiche interne ed esterne a sostegno delle famiglie biologiche e avendo promosso con successo l'adozione internazionale, oltre al fatto di essere tutti protagonisti di performance economiche che hanno significativamente cambiato anche l'assetto sociale di quei Paesi.
  A questo punto, nel dare conto dell'impegno profuso dalla magistratura italiana nell'applicare le norme nell'interesse prioritario del minore, ritengo opportuno rappresentare la giurisprudenza di taluni tribunali per i minorenni, a tutela dei minori inseriti in contesti di criminalità organizzata.
  Si tratta di provvedimenti di allontanamento dal contesto familiare e territoriale di appartenenza, spesso abbinati a provvedimenti di limitazione o decadenza della responsabilità genitoriale, in ragione della condotta maltrattante perpetrata dai genitori nei confronti dei minori stessi.
  Nel caso specifico, la condotta maltrattante viene ravvisata in particolare nel distretto di Corte d'appello di Reggio Calabria, per casi di indottrinamento malavitoso e di maltrattamento intra-familiare legato a dinamiche criminali e, più in generale, in presenza di rischi per l'incolumità psicofisica dei minori per faide tra cosche.
  Gli stessi provvedimenti di allontanamento vengono talvolta adottati nei confronti dei figli di soggetti indagati e imputati per il reato, di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del Codice di procedura penale, ovvero minori inseriti in nuclei familiari sottoposti a misure di protezione per situazioni pregiudizievoli e condizionanti, ricollegabili al degradato contesto familiare perché intraneo o contiguo alla criminalità organizzata del territorio, e ancora nei confronti di minori inseriti nel circuito criminale e provenienti da nuclei familiari vicini alla criminalità organizzata.
  La valorizzazione della temporaneità dei provvedimenti di affido e di inserimento dei minori in nuclei familiari diversi da quelli di provenienza, nelle ipotesi sopra citate e in tutte le altre in cui il contesto familiare di appartenenza sia inadeguato, spiega da un lato l'insieme della normativa assistenziale a sostegno delle famiglie in difficoltà e dall'altro lo sforzo del Tribunale per i minorenni di individuare la complessità degli opportuni strumenti di aiuto e sostegno alla famiglia di origine.
  In questo modo, soltanto nel caso in cui il programma non raggiunga l'effetto sperato, Pag. 10 si procederà all'adozione, con lo scioglimento di ogni legame con la famiglia d'origine.
  L'adozione è un percorso, quindi, estremamente delicato e irto di difficoltà, non solo burocratiche, come troppo spesso viene richiamato o si vuol fare apparire. Bisogna fare attenzione al rischio di banalizzare, sottovalutando l'importanza di un'accurata preparazione delle coppie che, al momento della concretizzazione di una proposta e messe di fronte al bambino reale e non a quello dializzato che comprensibilmente ha preso corpo nei mesi dell'attesa, vacillano o si tirano indietro o ancora peggio accettano l'abbinamento che poi miseramente fallisce, dando luogo al fenomeno tutt'altro che il solito della restituzione.
  La restituzione è un evento fortemente traumatico per il bambino e per i coniugi. Il bambino, infatti, si trova di fronte a un secondo abbandono e alla certezza di essere affatto immeritevole di una famiglia. Si tratta di una condizione che lo rende, per così dire, «difettoso» e incapace di farsi amare e che ne determina una chiusura definitiva all'affettività, mentre i coniugi, all'indomani di una restituzione, si trovano di fronte alla consapevolezza del limite a affrontare una genitorialità adottiva, come se fosse quella naturale, e ad accettare e fronteggiare le inevitabili asperità legate al vissuto traumatico del minore.
  Certamente, la normativa ha la necessità di una rivisitazione approfondita, anche sotto il profilo della semplificazione delle procedure e dei controlli sull'iter delle adozioni internazionali, che troppo spesso, incontrando ostacoli burocratici, provocano un clima di sospetto e di diffidenza nei confronti delle famiglie, oltre che di sfiducia nelle istituzioni.
  In questo senso, non può essere trascurato il ruolo che svolgono i servizi sociali, nel percorso di formazione per le coppie, che, a causa delle carenze negli organici dei rispettivi uffici, determina il protrarsi dei tempi di istruttoria delle istanze di adozione. Il loro compito avrà certamente valorizzato, anzitutto nel momento in cui il minore fa ingresso nella famiglia, per offrire adeguato sostegno e per mettere il Tribunale per i minorenni nelle condizioni di intervenire efficacemente nelle situazioni di criticità.
  Una buona normativa sulle adozioni è alla base di ogni società civile poiché il disagio giovanile, che affonda troppo spesso radici in contesti familiari disgregati o poco accoglienti, ha riflessi di insospettata gravità, ponendosi come principale fattore di rischio di devianza anche sul fronte penale. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro, di questa complessa ricostruzione delle problematiche e anche dello stato dell'arte. Acquisiremo ovviamente anche la sua relazione e gli allegati. Di questi ultimi autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  EMANUELE SCAGLIUSI. Grazie, presidente. Ringrazio il Ministro per la relazione.
  Finalmente abbiamo ricevuto dei dati un po’ più specifici sulle adozioni. Anche il Ministro faceva riferimento alla banca dati nazionale non esistente, però ci ha portato dei dati almeno parziali. Si tratta di una banca dati che doveva essere realizzata dal 2001 e siamo nel 2016. Il Ministro ha parlato di difficoltà tecniche informatiche, però mi sembra un po’ strano.
  in merito alle adozioni internazionali, il Ministro ha citato anche la proposta di legge che prevede l'istituzione di un'Agenzia. Vorrei chiedere se questa Agenzia è un po’ un «doppione» di quello che fanno già gli enti, anche se gli enti sono naturalmente strutture private, e quindi se c'è il rischio magari di creare ulteriore burocrazia per le famiglie che poi intendono adottare e che spesso chiedono di avere, invece, dei tempi certi e uno snellimento insomma delle pratiche.
  Lo chiedo anche perché, in quella proposta di legge, penso che la Commissione per le adozioni internazionali (CAI) rimanga Pag. 11 comunque invariata, quindi gli enti rimangono e si crea questo ulteriore doppione.
  Sempre in merito alle adozioni internazionali, la CAI non si riunisce da un po’ di tempo e vorrei sapere dal Ministro se ci può dire qualcosa, visto che nella CAI ci sono anche componenti del Ministero di giustizia. Grazie.

  PAOLA BINETTI. Diversi mesi fa, mi ero particolarmente interessata all'idea di quest'indagine conoscitiva che, dal punto di vista di alcune situazioni di cui ero venuta a conoscenza, riguardava prevalentemente l'area romana, ma evidentemente non esclusivamente la romana, e riguardava concretamente quella particolare situazione e circostanza per cui i bambini vengono, in qualche modo, tolti alle loro famiglie, perché considerate famiglie problematiche, e poi affidati alle cosiddette «case famiglia».
  Si tratta, quindi, di una serie di situazioni di accoglienza, con un'ambiguità molto spesso, non solo nella ragione iniziale della sottrazione del minore al nucleo familiare e poi nella consegna a questa realtà di accoglienza, ma, soprattutto, con una difficoltà a monitorare questo processo, cioè a stabilire quanto tempo il bambino doveva stare in questa realtà, quando sarebbe potuto tornare in seno alla propria famiglia e che tipo di misure si mettevano in atto per rendere idonea questa famiglia per la ri-accoglienza del proprio bambino al suo interno.
  Da questo punto di vista, quest'indagine conoscitiva per me rappresenta un punto di enorme interesse rispetto a quanto succede nei territori. Lo dico anche perché, a volte, in un servizio sociale, è il giudizio di quella persona che marca non solo i fatti iniziali, ma poi tutta l'interpretazione dei fatti che si susseguono, con un disagio che non sto qui a dire perché più volte ne ho fatto anche oggetto di interrogazioni e, sinceramente, non è che le risposte siano state soddisfacenti.
  La complessità dei problemi sta tutta anche in quello che lei, nella sua relazione, ha detto, cioè nella difficoltà di cogliere il punto di equilibrio tra il fatto che il bene maggiore del minore è restare nella sua famiglia, quindi il supporto da dare alla famiglia, e il momento in cui il supremo interesse del bambino richiede un allontanamento. Questo punto di equilibrio è vario e complesso. Questa è la prima domanda, cioè vorrei sapere che cosa si fa perché su questo si innesti un processo di chiarificazione.
  La seconda domanda è ovviamente più legata ai fatti recenti e, soprattutto, al di là di tutto, al dibattito recente, in cui, quando si parla del supremo interesse del bambino, nel senso della continuità dei rapporti affettivi, è chiaro che, se questo presuppone un tempo di esposizione alla relazione, uno può rivendicare il tempo a disposizione alla relazione come garanzia della continuità affettiva. Tuttavia, in diversi casi recenti e recentissimi che abbiamo avuto, l'età del minore è talmente minima che poter parlare di continuità affettiva è quanto meno problematico. Lo dico pensando alcune delle recenti sentenze che ci sono state.
  Questo meriterebbe una chiarificazione e un approfondimento perché, soltanto nell'arco degli ultimi dieci giorni, c'è stato un susseguirsi di sentenze e di interpretazioni. Oggi stesso, sulle pagine centrali del «Corriere della Sera» c'è un intervento in cui se ne parla. Non solo: ieri, si parlava di interpretazione creativa della norma e oggi si dice «non è un'interpretazione creativa».
  Insomma, c'è un dibattito che è tutt'altro che irrilevante, nel momento in cui si passa dall'affermazione di principio, su cui tutti siamo d'accordo, cioè il supremo interesse del bambino, all'affermazione che ne consegue, la continuità della relazione effettiva, fino alla variabile estrema delle situazioni e – devo dire – oggettivamente alla confusione di questi giorni, sulla legge approvata, per tutte le dichiarazioni che si sono susseguite e che, anche da parte di autorevoli esponenti, ci sono state.

  ANNA ROSSOMANDO. Non intendo sostituirmi alle risposte del Ministro, ma vorrei dire al collega, per quanto riguarda l'Agenzia delle adozioni internazionali – che poi sarà oggetto di studio, quando saranno calendarizzate le diverse proposte – che nella relazione della proposta di Pag. 12legge si chiarisce, dal punto di vista di chi l'ha sottoscritta e presentata, molto bene il fatto che non c'è nessuna sovrapposizione, anzi si tratta di un supporto alle varie organizzazioni o enti, che sicuramente devono trovare una diminuzione di numero, anche su richiesta degli stessi, ma che spesso lamentano, soprattutto in alcuni Paesi stranieri o in alcune situazioni di criticità, la mancanza di un'agenzia pubblica che colmi una serie di esigenze che i privati non possono soddisfare per quanto riguarda l'estero e il post-adozione in Italia, per stare dentro a una rete di servizi che sono tanti e che sono assolutamente necessari per questo tipo di istituto e per queste discipline. Penso che poi vi sarà la sede opportuna per discuterne. Naturalmente, il Ministro avrà le sue valutazioni da esporre per rispondere alla domanda del collega.
  Scorrendo la parte che riguarda il problema dei tempi del processo e della ragionevole durata, con riferimento a questo specifico aspetto, e la parte che riguarda l'informatizzazione, che in un certo qual modo ha aiutato anche in questo ambito, mi chiedo se, e in che modo, il disegno di legge sulla riforma del processo civile, con il quale ridisegniamo tutto quello che riguarda la famiglia, è in connessione con il regime delle adozioni.

  WALTER VERINI. Alcune domande che sono state poste prima che io prendessi la parola hanno toccato il tema che intendo sottoporre al Ministro, a cui rivolgo un quesito che non è di natura politica, anche se il tema ha avuto e avrà delle ricadute politiche. Le pongo una domanda nella sua veste precipua di Ministro della giustizia.
  Mi riferisco anch'io alle sentenze che ci sono state sulla base dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 da parte di alcuni tribunali. A suo giudizio, Ministro, si tratta di sentenze che rientrano pienamente nella sfera dell'interpretazione dei magistrati e dei tribunali dedicati, applicando una legge che esiste, oppure – la mia è una domanda neutra, perché mi interessa il suo parere «tecnico» – rientrano in una sorta di giurisprudenza creativa, come è stata giornalisticamente definita?
  Rivolgo la domanda a lei, ma anticipo che più tardi mi farebbe piacere sentire anche il parere del professor Morace Pinelli su questo.

  PRESIDENTE. Vorrei tornare sulla questione della banca dati, che nel corso della prima audizione delle associazioni che abbiamo svolto è stata sollevata da tutti. Siamo contenti che, nonostante i ritardi passati, come lei ha affermato, sia stata realizzata da 25 tribunali per i minorenni su 29.
  Pongo una domanda che va al di là delle apparenze. Funziona? Le risulta che questa banca dati, così com'è, riesca a realizzare le finalità per cui era stata richiesta all'interno della legge del 2001, oppure è ancora in fase sperimentale e – mi raccordo alla domanda dell'onorevole Rossomando – in vista dell'attuazione di una riforma più ampia potrebbe essere messa a punto in maniera più funzionale?
  Do la parola al Ministro Orlando per la replica.

  ANDREA ORLANDO, Ministro della giustizia. Partiamo dal tema della banca dati. Io non so dire quali siano state, nel corso del tempo, le insormontabili difficoltà tecniche incontrate. So dire che da quando ci siamo insediati abbiamo alacremente lavorato. Mi sento di poter ribadire quello che ho già detto nella relazione, cioè che entro il settembre di quest'anno noi avremo un sistema completato di raccolta dei dati.
  Devo dire, però, che la banca dati non è il presupposto per avere i dati. I dati che vi ho offerto sono disponibili da molto tempo. Il tema è la possibilità di incrociare le domande di adozione con le disponibilità all'adozione, secondo dei criteri che non sono meramente quantitativi, ma analizzano anche le diverse situazioni.
  La presidente mi chiede se la banca dati funziona. Ad oggi noi possiamo affermare che funziona. Dove la banca dati è stata attivata c'è la possibilità di individuare immediatamente il bacino territoriale ed eventualmente, se non è sufficiente l'area del distretto direttamente interessato, vedere nei bacini contigui. Pag. 13
  Questo meccanismo ha consentito di migliorare la percentuale di adozioni andate a buon fine, soprattutto nelle situazioni più critiche dal punto di vista delle patologie che spesso hanno i bambini direttamente interessati.
  L'agenzia non è un soggetto che si sovrappone a quelli già esistenti, almeno per come ho inteso la proposta di legge, ma è un soggetto che colma un vuoto che oggettivamente si è venuto sempre più ad allargare e che riguarda il sostegno proattivo alle famiglie.
  Queste ultime sono chiamate a svolgere una funzione genitoriale in un contesto molto più complesso rispetto al passato, perché, come abbiamo visto, le disponibilità diminuiscono e spesso sono legate a condizioni di particolare difficoltà relative al contesto d'origine o che accompagnano la vita del bambino, dovute anche ad aspetti di carattere patologico.
  Diventa più difficile adottare e, probabilmente, diventa maggiormente necessario un soggetto di supporto – questo è il tema – che coordini i diversi soggetti che già attualmente sono impegnati su questo fronte.
  Naturalmente questa non può che essere una valutazione parziale, perché un'agenzia di questo genere incrocia le competenze di più Ministeri e inevitabilmente non può che essere oggetto di una valutazione interministeriale. Io posso soltanto anticipare la valutazione che noi abbiamo dato di questa struttura.
  Per quanto riguarda la Commissione per le adozioni internazionali devo dire che, per quanto il Ministero sia presente, non è competenza di quest'ultimo dar conto del suo funzionamento.
  Quali sono le attività che vengono svolte a supporto del monitoraggio sugli affidi? Mi pare sia questa la domanda dell'onorevole Binetti. Ci sono più soggetti coinvolti, sia sul fronte sociale sia sul fronte giurisdizionale.
  Sono coinvolti direttamente i consultori familiari, che svolgono una funzione su questo fronte. Inoltre, i tribunali per i minori svolgono un monitoraggio costante, che si concretizza spesso in provvedimenti che tengono conto della fattispecie concreta.
  Da questo punto di vista emerge un dato, che mi aiuta anche a rispondere alla domanda che è stata posta dall'onorevole Verini: siamo in un campo in cui è la legge a chiedere al giudice di apprezzare il caso concreto. La legge non risolve nel suo dettato il problema, non dà una soluzione che preveda un automatismo, ma chiede al giudice di apprezzare la particolare situazione nella quale si deve riconoscere e affermare l'interesse alla continuità affettiva del minore.
  Questo esclude, benché lo escluda già il nostro modello costituzionale, qualunque sorta di giudice «bocca della legge», perché in questo caso la legge non dice, ma chiede al giudice di dire.
  Credo che questo sia il punto fondamentale da cui è necessario partire, perché, nel momento in cui si mette al centro il tema di un valore che non può emergere con una mera analisi dello stato di fatto, necessita un approfondimento, necessita una ricerca, necessita una valutazione dell'interazione che si viene a determinare tra diversi soggetti, necessita una ricostruzione di una storia, con tutte le sue particolarità. Siamo noi a chiedere con la legge al giudice di svolgere un'interpretazione dei fatti e non potremmo che fare così, trattandosi di situazioni che hanno una specificità che non può essere in alcun modo tipizzata in modo generale e astratto.
  Per quanto riguarda la questione dei neonati, vorrei segnalare che è rarissimo l'affidamento prolungato di questi ultimi. In questo senso, non ritengo che si aggiri la legge, perché la stragrande maggioranza dei più piccoli vengono direttamente assegnati all'adozione.
  L'onorevole Rossomando mi chiedeva di chiarire ulteriormente le cose che ho già detto nella relazione riguardo al rapporto tra la riforma del processo civile e il tema che stiamo affrontando.
  Noi riteniamo che, proprio per sostenere questa nuova complessità che si evidenza in questo contesto e in generale in tutti quelli che emergono dall'ambito della famiglia, sia necessario un più forte processo Pag. 14 di specializzazione. Lo abbiamo sostenuto nell'ambito della formazione degli avvocati e lo sosteniamo nell'ambito della strutturazione della giurisdizione.
  Riteniamo che l'attuale frammentazione non consenta di cogliere quella complessità che emerge soltanto attraverso una connessione tra le diverse sfere che attengono alla vita del minore.
  Noi oggi abbiamo una sorta di compartimenti stagni, che spesso affrontano la stessa situazione con ottiche completamente diverse e tra loro non sempre comunicanti.
  La riforma mira esattamente alla ricostruzione di un'omogeneità, oltre che mirare oggettivamente a un utilizzo più razionale di competenze che sono a disposizione della giurisdizione, in modo da garantire anche dei tempi più celeri nella soluzione delle domande che vengono poste alla giurisdizione. Infatti, il fattore tempo, come abbiamo ho visto, ha un'assoluta rilevanza.
  Arrivo alla domanda, la cui risposta ho già un po’ anticipato. Io credo che non competa al Governo dare indicazioni ai magistrati su come addivenire alle sentenze. Se il Governo intende fare questo, ha gli strumenti per farlo, che sono dei criteri più stringenti per l'interpretazione dei fatti.
  Tuttavia, non mi sembra che il campo si presti a questa possibilità, per le ragioni che ho richiamato precedentemente. Nel momento in cui si tratta di interpretare una specificità della situazione, non credo sia concepibile comprimere le necessarie e funzionali attività interpretative della legge che il giudice è chiamato a svolgere.
  In questo senso, ritengo che gli unici elementi che possono consentire una valutazione della congruità delle singole sentenze siano i rimedi previsti dal nostro ordinamento, attraverso i vari passaggi nei diversi gradi di giudizio.
  Ricordo che, da questo punto di vista, c'è un ruolo insuperabile e centrale della suprema Corte di cassazione, che da qui a qualche giorno sarà chiamata a pronunciarsi su questo tema, che credo le competa esclusivamente.
  Credo che su questo punto si debba svolgere una riflessione che non attiene soltanto alla questione che quest'oggi stiamo affrontando, ma in generale a come si concepisce lo Stato di diritto.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Orlando e il suo staff.
  Credo che abbiamo avuto conforto che questa indagine conoscitiva sia indispensabile e utile, proprio per arrivare a una revisione della normativa.
  Proseguiamo con l'audizione del professore Morace Pinelli, accompagnato dalla professoressa Mirzia Bianca, che è una delle esperte del settore e ha seguito tutto l’iter della legge sulla filiazione naturale nella scorsa legislatura.
  Lascio, quindi, la parola al professore Arnaldo Morace Pinelli, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata, che ha lasciato agli atti della Commissione la relazione.

  ARNALDO MORACE PINELLI, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Vorrei, innanzitutto, ringraziare la Commissione e Lei, signora presidente, per l'invito, che molto mi onora, a parlare di questa complessa tematica delle adozioni nazionali e internazionali, dello stato dell'arte alla luce delle nuove leggi.
  Vorrei dire, innanzitutto, che reputo molto coerente lo stralcio fatto dal disegno di legge sulle unioni civili del capitolo «filiazione» (questo indipendentemente da qualsiasi valutazione politica, ma proprio per una valutazione strettamente giuridica), perché è coerente con una delle fondamentali scelte della riforma sulla filiazione, che è stata quella di sganciare lo status filiationis, cioè lo stato del figlio, dallo status familiae, cioè dalla condizione dei genitori.
  L'eguaglianza proclamata solennemente dall'articolo 315 del codice civile novellato predica proprio in nome di essa questo sganciamento. L'eguaglianza tra i figli, quindi, non dipende più dall'appartenenza ad una specifica comunità familiare e non è in alcun modo imputabile alle scelte dei Pag. 15genitori. L'agganciamento che ci sarebbe stato in quella legge obiettivamente non sarebbe stato coerente con una scelta di sistema.
  Sappiamo che questo sganciamento, in nome del quale è stata predicata l'eguaglianza tra i figli, è emerso anche a livello sistematico. Prima della riforma le norme che regolavano il rapporto genitori-figli erano solo in parte nel titolo IX, intitolato «Della potestà dei genitori», ma le norme più salienti, gli articoli 147 e 148, che prevedevano proprio i doveri dei genitori nei confronti dei figli, erano nel titolo del matrimonio e questo risultava discriminatorio. Ora, tutto è stato portato nel titolo della filiazione, così come è stato fatto con le norme che regolavano la crisi coniugale.
  Le norme sulla filiazione erano, infatti, sparse tra quelle sulla separazione nel codice civile, quelle sulla legge sul divorzio, oltretutto prevedendo trattamenti talvolta differenziati, ora è tutto unificato e ricondotto nel capo della filiazione, in quanto oggi il capo I e il capo II sono dedicati alla filiazione nella fase fisiologica e in quella patologica, e sono completamente sganciati dallo status familiae.
  Credo che le principali questioni che la società civile pone oggi all'attenzione del legislatore (ammettere o meno l'adozione da parte di persone singole, ammetterla in favore dei conviventi more uxorio, anche di coppie omosessuali oggi con le unioni civili) siano certamente influenzate dalla configurabilità o meno nel nostro ordinamento di un diritto soggettivo della persona ad avere figli, perché, se questo diritto esistesse, sarebbe discriminatorio concederlo alle coppie coniugate e non alla persona singola o alla coppia convivente.
  Credo che, nonostante certe, apparenti aperture che si leggono nella sentenza della Corte Costituzionale in materia di fecondazione assistita eterologa, dove è richiamata la libertà di diventare genitori e di diventare una famiglia, questo diritto nel nostro ordinamento non sia configurabile, soprattutto alla luce della recente riforma sulla filiazione.
  Quell'affermazione della Corte Costituzionale è molto legata al caso di specie, nel senso che lì si proteggeva soprattutto la salute della coppia infertile che chiedeva di accedere alla procreazione medica assistita. Questo forte richiamo alla salute non ha aperto all'affermazione di un diritto generalizzato ad avere figli, in quanto lì si tratta semplicemente del diritto a procreare, quindi siamo su piani completamente differenti.
  Se invece analizziamo il nostro sistema, esistono i diritti dei figli. Sul solco dell'articolo 2 della Costituzione, che pone la famiglia in funzione della persona, la riforma sulla filiazione ha portato a compimento l'idea che i diritti di famiglia richiamati dall'articolo 29 rientrano tra quelli fondamentali della persona e in essi sono ricompresi quelli del figlio.
  In questo mutato contesto, una delle norme centrali introdotte oggi nel codice civile è l'articolo 315-bis, che afferma e riconosce i diritti fondamentali del minore come persona, creando una vera e propria rivoluzione copernicana del sistema. Da un'idea del minore come soggetto debole da tutelare, nei confronti del quale i genitori avevano doveri ed esercitavano la potestà che richiama l'idea di potere, siamo infatti passati all'idea del minore soggetto, titolare di diritti soggettivi fondamentali, che l'ordinamento salvaguarda ed è chiamato a promuovere.
  Questi diritti fondamentali, come il diritto ad essere mantenuto, educato e istruito (prima si parlava dei doveri dei genitori di mantenere, istruire ed educare, quindi è proprio un ribaltamento di prospettiva), il diritto ad essere assistito moralmente dai genitori, quello che il Professor Bianca chiama «il diritto all'amore», il diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, il diritto all'ascolto, tutto questo rientra nei diritti fondamentali della persona, che sono garantiti dall'articolo 2 della Costituzione.
  Questa visione minore-centrica, che ha quindi capovolto completamente il rapporto (oggi l'ordinamento si colloca dalla parte del minore), è evidenziata bene in quell'ulteriore passaggio dalla potestà alla responsabilità genitoriale. Tante volte abbiamo Pag. 16 sentito dire che si è giocato con le parole, mentre invece si è veramente fondato un nuovo diritto di famiglia, un nuovo diritto del minore, perché non c'è più l'idea del genitore che ha poteri, ma c'è il genitore che ha la responsabilità familiare, sostituzione che ha una profonda valenza culturale e indica questo radicale mutamento di sistema.
  Questa centralità del minore con i suoi diritti soggettivi è anche nella legge sull'adozione. L'articolo 1 della legge sull'adozione proclama solennemente il diritto del minore di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia, e questo diritto è stato ripreso dalla riforma e inserito nell'articolo 315- bis, la norma fondamentale che scolpisce lo Statuto dei diritti del minore.
  Questo diritto del minore a crescere nella propria famiglia ha di riflesso il diritto alla bi-genitorialità, cioè alla doppia figura genitoriale, che è strettamente legato all'idea di famiglia, perché sono due nozioni imprescindibili. Il diritto ad avere due genitori va valutato non in termini quantitativi, ma in termini qualitativi, cioè ad avere i due genitori che sono i suoi genitori.
  In conclusione, particolarmente nella materia dell'adozione che è oggetto di questa indagine conoscitiva, il nostro ordinamento conosce il diritto del figlio ad avere una famiglia e il diritto del figlio a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei suoi genitori e le essenziali relazioni affettive che instaura.
  Non c'è, quindi, un diritto dell'individuo ai figli, come non c'è un diritto dell'individuo all'adozione. La Corte europea dei diritti dell'uomo su questo è chiarissima, abbiamo innumerevoli pronunce che lo hanno costantemente affermato: l'articolo 8 rispetto alla vita familiare tutela una relazione già emersa oppure una relazione che si può instaurare, ma mai un diritto all'adozione.
  Credo che del problema se ampliare i soggetti legittimati all'adozione si debba fare carico il legislatore, anche perché (lo dirò chiaramente) a mio sommesso avviso non può essere condiviso l'orientamento giurisprudenziale che, muovendo dall'articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983 ammette la cosiddetta stepchild adoption anche nell'ambito delle coppie omosessuali. Qui non è un problema di coppia omosessuale perché, se vale, vale anche per i conviventi, ma io credo che obiettivamente questa interpretazione non possa essere accolta e proverò a dire perché.
  In ogni caso vorrei dire una cosa perché sia chiara dall'inizio: oggi ci sono tribunali per i minorenni che hanno scritto nero su bianco che questa interpretazione è eversiva e non la applicano (penso al Tribunale per i minorenni di Torino, al Tribunale per i minorenni della Val d'Aosta), quindi avremmo una tutela a macchia di leopardo nei vari territori italiani. Quando avremo la Cassazione lo valuteremo, però oggi questo problema obiettivamente si pone. Credo che in Cassazione sia andata l'impugnativa di un appello Torino e anche Roma, quindi adesso speriamo che la Cassazione ci dia dei lumi più chiari.
  Questo orientamento giurisprudenziale muove da questa interpretazione: la citata lettera d) dice che si può andare all'adozione particolare quando vi è «una constatata impossibilità di affidamento preadottivo». Quando c'è la richiesta di adozione del figlio del proprio partner, questo presupposto c'è sempre dal punto di vista giuridico, perché il bambino non è in stato di abbandono, quindi è chiaro che l'affidamento preadottivo non è mai possibile, e questo varrebbe sia per coppie conviventi etero che per coppie conviventi omosessuali.
  Questa interpretazione oblitera a mio avviso che l'adozione particolare è un istituto eccezionale nel nostro ordinamento, che garantisce quattro peculiari ipotesi che la Corte di Cassazione fino ad oggi (mi riferisco a una sentenza della Cassazione del 2013, la n. 22292, e ad una del 2011, la n. 21651) ha sempre definito «tassative e di stretta interpretazione». Fino ad oggi, quindi, la giurisprudenza ha pacificamente escluso questi allargamenti.
  Queste ipotesi tassative hanno tutte alla base situazioni di abbandono o comunque di grave carenza nel rapporto genitoriale Pag. 17da parte del minore. Come sappiamo, la lettera a) del citato comma 1 dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 si riferisce all'orfano dei due genitori che viene adottato da un parente entro il sesto grado oppure da amicizie particolarmente strette, la lettera b) del comma 1 del medesimo articolo, riguarda l'adozione del coniuge e la Cassazione l'ha sempre applicata senza nessun automatismo, perché non è il fatto di essere coniuge del genitore a consentire l'adozione, ma bisogna di volta in volta indagare il caso concreto per valutare l'interesse del minore.
  L'adozione particolare, che è un istituto eccezionale, spiega tutte le cautele che la norma pone, spiega perché la possa fare anche la persona singola, che nel nostro ordinamento oggi può adottare in casi veramente sporadici e con il contagocce, ma spiega anche perché c'è una norma ad hoc, l'articolo 57, che dice che il giudice deve andare a verificare l'interesse del minore.
  Che l'interesse del minore sia la stella polare dell'adozione lo sappiamo tutti, ma qui si è sentita proprio l'esigenza di ribadirlo, e anche le ultime due ipotesi, la lettera c) e la lettera d) del comma 1 dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 si muovono in questa dimensione. La lettera c) si riferisce all'adozione del minore portatore di una grave menomazione fisica, psichica o sensoriale, ai sensi della legge n. 104 del 1992, e così anche la lettera d), quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo. Se si vanno a leggere i lavori preparatori della legge, si scopre che si pensava a situazioni di fatto, ai cosiddetti «bambini difficili» che nessuno voleva, quei 300 casi che il Ministro della Giustizia ci ha detto essere negli orfanotrofi in Italia. Questo era il pensiero del legislatore.
  Credo che, obiettivamente, questo orientamento giurisprudenziale abbia preso una norma residuale di chiusura, di stretta interpretazione proprio con riferimento alla citata lettera d), come dice quella sentenza del 2013, e l'abbia fatta assurgere a regola generale e primaria del sistema, per cui chiunque, etero od omosessuale che sia, se convivente con il genitore, può adottare un bambino non in stato di abbandono. Quindi, da criterio residuale si arriva a creare uno strumento che è oltretutto alternativo all'adozione piena.
  Questo orientamento giurisprudenziale, per quello che vale il mio parere oggi, che magari verrà completamente ribaltato dalla sentenza di Cassazione che ci ha detto il Ministro essere imminente, stando a una lettura del sistema è obiettivamente un'interpretazione ermeneutica che non condivido: Fosse soltanto perché il citato articolo 44, quando indica i soggetti che possono adottare, mette le persone singole ma non i conviventi. Il professor Bianca dice che non darlo alla coppia convivente è sospetto di illegittimità costituzionale, però allo stato oggi così è.
  Siccome su questo problema le istanze della società civile sono forti, credo in larga parte ragionevoli, è il legislatore che si deve fare carico di questo problema con grande coraggio, decisione e fermezza. Credo che la soluzione debba muovere proprio dalla legge n. 173 del 2015 che ha valorizzato il diritto alla continuità affettiva del minore...
  In realtà, questo diritto è stato affermato con forza dalla riforma sulla filiazione ed è un momento centrale di questa riforma. Questa legge, poggiando su questo diritto, ha ammesso sostanzialmente che gli affidatari siano preferiti, ove ci sia la dichiarazione di abbandono in un momento successivo, nell'adozione, per tutelare appunto una fondamentale relazione affettiva del minore che non può essere recisa senza pregiudicarne l'interesse.
  Ora, questo è un favor, non è un automatismo, infatti il Tribunale per i minorenni è chiamato a controllare, come diceva appunto l'onorevole Binetti prima, che questa relazione esista veramente quindi non può essere una cosa di due mesi o tre mesi cioè «una foglia di fico» per risolvere altri problemi, ma deve esistere la stabile relazione affettiva. Questo determina questo tipo di preferenza, quindi, il passaggio dall'affidamento all'adozione.
  Ora, questa tutela delle situazioni di fatto del minore, a livello di giurisprudenza della CEDU, è pacificamente affermata. Sappiamo che la CEDU dà una nozione di Pag. 18famiglia di fatto molto ampia che ricomprende anche le situazioni che appunto nascono nell'affidamento. Comunque, la tutela di queste relazioni affettive e significative è punto saliente della riforma sull'affiliazione.
  Ora, la legge 173 del 2015 ha consentito questa conversione soltanto se la coppia ha i requisiti per l'adozione, ai sensi della normativa vigente, cioè, sostanzialmente, se sia una coppia coniugata da tre anni. Già lo segnalammo quando ci furono le audizioni, cioè che questo obiettivamente appariva essere un limite di fondo perché, se il valore da tutelare è la relazione del minore, nell'interesse del minore, siccome l'affidamento può essere dato anche alle persone singole e anche alle coppie conviventi e la giurisprudenza pacificamente lo dà anche a coppie omosessuali, già allora c'era un certo stridore. Ci si chiedeva perché a questi non viene dato, se il valore da tutelare è la relazione del minore.
  Mi ricordo che questa discrasia bene era stata colta dall'onorevole Marzano ed era stata tradotta, nella sua proposta di legge C. 3019, che appunto attribuiva rilevanza l'affidamento familiare ai fini dell'adozione, indipendentemente dai requisiti dell'articolo 6.
  Ora, a me pare che questa debba essere la strada da seguire: l'adozione deve salvaguardare il superiore interesse del minore a conservare i propri essenziali legami esistenziali, evitando il pregiudizio che la recisione del rapporto creerebbe, quindi uno sperimentato affidamento familiare, la cui positività sia valutata di volta in volta, nel caso concreto e con la massima serietà, dal Tribunale per i minorenni, deve potersi convertire in adozione, anche se il soggetto affidatario sia una persona singola o una coppia stabilmente convivente e – io ritengo – anche omosessuale.
  Con ciò non è che io tutelo un diritto ad avere figli dell'adottante, ma un diritto che è l'interesse del minore a mantenere le proprie relazioni di fondamentale significato esistenziale. Inoltre, se questa relazione affettiva fondamentale per il minore esiste, io credo che si possa anche ammettere quella che, oggi, la giurisprudenza di fatto applica, interpretando l'articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, cioè l'adozione particolare in favore del partner legato al genitore da un'unione civile – oggi – o da una stabile convivenza.
  In virtù della convivenza, questo soggetto già si trova a essere affidatario di fatto del minore e, secondo una parte della dottrina, è giuridicamente obbligato ad averne cura e a provvedere alle sue esigenze morali e materiali. Tuttavia, se questo rapporto diventa un rapporto importante, quindi occorre che passi del tempo e che il Tribunale per i minorenni effettui tutti i suoi accertamenti, io credo che, non intervenendo a tutela di insistenti diritti del soggetto adottante, ma nell'esclusivo interesse del minore, così come proclamato oggi dalla riforma sulla filiazione, ribadito e affermato con la massima fermezza, ci si debba poter arrivare. Vi ripeto che questo non vuole moltiplicare le figure genitoriali. Tante volte sento dire meglio avere due genitori, invece che uno, ma non è questa la prospettiva. Deve esistere questa relazione da tutelare.
  Vorrei dire un'altra cosa, passando al discorso dell'adozione da parte della persona singola. Noi sappiamo che in Italia, oggi, l'accesso all'adozione è precluso alle persone singole. Gli articoli 6 e 29-bis della legge sulle adozioni non l'ammettono, sia nell'adozione nazionale sia in quella internazionale. Sono eccezionali le ipotesi in cui è ammessa l'adozione da parte della persona singola. Si tratta appunto del caso dell'adozione particolare, a ribadire quell'interpretazione che davo dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, e poi ci sono le ipotesi previste quando c'è già un affidamento pre-adottivo o la sopravvenuta morte o l'incapacità di uno dei coniugi oppure ci sia una separazione in corso. In questi casi, se si è consolidato un rapporto, c'è l'adozione da parte della persona singola.
  L'adozione da parte delle persone singole è espressamente prevista dall'articolo 6 della Convenzione europea di Strasburgo sull'adozione e non è vietata nemmeno dalla Convenzione dell'Aja sulle adozioni internazionali. Pag. 19
  La Corte costituzionale ha detto chiaramente che l'articolo 6 della Convenzione di Strasburgo non è norma auto-applicativa, perché dà una facoltà al legislatore di introdurre l'adozione da parte della persona singola, ma non si può applicare direttamente.
  Nelle adozioni internazionali, la Corte di Cassazione ritiene che il divieto di adottare alle persone singole rientri tra i fondamentali princìpi che regolano, nello Stato, il diritto di famiglia e dei minori, quindi non è possibile riconoscere in Italia quei provvedimenti in cui un cittadino italiano residente all'estero singolo ottiene l'adozione di un minore. La Corte ammette, però, che il provvedimento, se è di adozione piena e ci sono i requisiti, può convertirsi in adozione particolare, appunto perché l'adozione particolare, nel nostro ordinamento, è ammessa alla persona singola.
  Ora, il principale argomento che viene addotto contro la possibilità per il singolo di adottare è la necessità della presenza di una coppia genitoriale per la sana crescita e formazione del minore.
  Ecco, devo dire che da moltissimo tempo, cioè dal 1994, la Corte costituzionale ha chiarito che questo è un criterio preferenziale, nel senso che i princìpi della nostra Costituzione non vincolano l'adozione dei minori al criterio dell’imitatio naturae, in modo da vietare l'adozione al singolo, ma si limitano a dare un'indicazione di preferenza, cioè a dire che, se c'è una coppia, è preferibile la coppia alla persona singola.
  Inoltre, la Corte Costituzionale, fermo questo criterio preferenziale, ha chiaramente affermato che i princìpi costituzionali non si oppongono a un'innovazione legislativa che riconosca in misura più ampia la possibilità che, nel concorso di particolari circostanze, l'adozione da parte di una persona singola sia giudicata la soluzione, in concreto, più conveniente nell'interesse del minore. Questa possibilità di ampliamento è stata ribadita più volte anche dalla Corte di cassazione.
  Ora, obbiettivamente a me pare – e richiamo, qui, il pensiero del professor Bianca – che l'interesse del minore esige che l'adozione del singolo sia lasciata come possibile alternativa al ricovero in istituti, cioè, se non c'è la coppia e il destino di questo bambino è l'istituto, io credo che bisogna pensare che è sicuramente meglio, nella tutela dell'interesse di questo minore, l'adozione da parte della persona singola.
  Inoltre, vorrei dire più in generale che, se l'adozione, come appunto ritiene la professoressa Bianca, ha una chiara matrice solidaristica e se, come ha detto una Cassazione a sezioni unite del 1995, «quando addotto, adempio un dovere di solidarietà verso i minori in stato di abbandono», in quest'ottica solidaristica, mai pressante come in questi tempi, io credo che, individuando i giusti limiti, i giusti presupposti e le giuste condizioni, un'apertura all'adozione da parte delle persone singole debba essere effettuata. Questo è un problema che insomma io pongo al Parlamento.
  Infine, vorrei aggiungere una battuta soltanto sul problema del semi abbandono permanente perché ne ha parlato il Ministro della giustizia e poi anche l'onorevole Binetti lo ha accennato. Questo è un problema che c'è oggi, per cui, quando l'affidamento si prolunga all'infinito, succede che c'è la proroga. Questa è la norma più o meno, però queste proroghe possono andare all'infinito, quando l'affidamento nel nostro ordinamento è ontologicamente un istituto temporaneo?
  Si è creato quell'istituto dell'adozione mite, cioè anche lì, partendo dall'articolo 44, comma 1, lettera d), della legge n. 184 del 1983, che è una specie passepartout, si è detto «convertiamo, in adozione particolare, l'affidamento». Devo dire che c'è stato un richiamo della CEDU all'Italia, con la famosa sentenza Zhou contro Italia, in cui si è detto rompere queste relazioni, mettere il bambino in adozione e farlo adottare ad altri soggetti viola l'articolo 8 CEDU.
  Ecco, io credo che di questa situazione anche bisogna farsi carico, però devo anche dire che io condivido molto le preoccupazioni dell'onorevole Binetti, nel senso che queste situazioni di affidamento devono essere fortemente monitorate e, comunque, controllate. Insomma, non dobbiamo passare all'estremo opposto: convertendo gli Pag. 20affidamenti, rompiamo quel diritto a conservare i rapporti con la famiglia d'origine che è di fondamentale importanza. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie molte, anche per tutto il ventaglio delle problematiche che ha ritenuto di approfondire, offrendo il suo punto di vista, ovviamente sempre rapportato a degli studi dottrinari.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLA BINETTI. Com'è stato possibile che quella che era, perlomeno nell'istituzione dell'adozione speciale, l'elencazione di una serie di criteri fortemente restrittivi che lei ha elencato, sia diventata l'interpretazione ordinaria.

  ARNALDO MORACE PINELLI, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. No.

  PAOLA BINETTI. Si è trattato comunque di un'interpretazione molto diffusa – mettiamola su questo piano – perché, altrimenti, non si spiegherebbe nemmeno la frequenza delle ultime sentenze.
  Noi abbiamo avuto, da un lato, una rivoluzione copernicana positiva, per cui rispetto quel discorso che faceva lei all'inizio e che è stato molto interessante ovviamente. C'è stato un passaggio dalla prospettiva del dovere di genitori al diritto del bambino, quindi quello che era una volta il dovere dei genitori si configura come il senso della responsabilità nei confronti della costruzione del bene del bambino, coerente con il principale interesse del minore.
  Tuttavia, poi, abbiamo avuto anche un altro ribaltamento perché quello che era eccezionale in realtà, con il passaggio del tempo, è diventato sempre più, come minimo, consuetudinario, altrimenti noi non avremmo avuto tutte le ultime sentenze. Non ne avevamo mai avuto, ma, a un certo punto, queste sentenze hanno cominciato a verificarsi con frequenza.
  Noi diciamo sempre che per un punto passano infinite rette e per due punti ne passa una sola, cioè queste sentenze già definiscono una traiettoria. Mi chiedo come sia stato possibile all'interno, non dico solo del senso comune e dell'opinione pubblica, ma appunto della magistratura, quindi di un luogo di elaborazione specifica del pensiero giuridico, questo tipo di passaggio completamente diversificato rispetto a una tendenza precedente.
  Mi chiedo che cosa abbia connotato, in maniera così stringente, operazioni che, fino a poco tempo fa, erano estranee al senso comune e che, adesso, sono diventate tali, per cui, se tu esprimi un pensiero diverso, è – lo diciamo? – considerato medioevale, conservatore, retrogrado e contrario ai diritti dell'uomo.
  Insomma, io potrei tirare una sfilza enorme di tutto questo, eppure fino a poco tempo, come lei stesso ha detto, era un fenomeno minoritario, residuale, selettivo, molto centellinato e strettamente aderente a quel caso singolare. Glielo dico garbatamente e, se non mi crede, basta che lei prende gli atti parlamentari di quello che si è detto in Aula quel giorno per avere il variopinto vocabolario di tutte le espressioni che, in realtà, costituiscono un capovolgimento – quasi a rovesciare come un calzino – di quello che lei ha detto.

  PRESIDENTE. Le vorrei fare alcune domande. Mi riaggancio alla domanda che ha fatto l'onorevole Binetti, anzi più che a quella domanda, alla sua affermazione. Mi riferisco a quando lei ha detto che, in realtà, le istanze della società civile sono tante e attuali. Vorremmo saperne di più, visto che quest'indagine conoscitiva nasce dall'esigenza di approfondire l'attualità di certe normative che ovviamente la giurisprudenza qualche volta ha cercato di «stiracchiare», adattandole, come ha sempre fatto, anche in fase evolutiva, rispetto ai casi concreti, in maniera non uniforme, o almeno questo mi sembra di capire dalle sue parole.
  Ora, non voglio anticipare niente, perché vedremo cosa emergerà il 26 o il 27 di questo mese, quando si pronuncerà la Cassazione su due sentenze, e non so se qualcuno chiederà e ci sarà la rimessione alle Sezioni unite della Cassazione perché sul Pag. 21punto, come lei ribadiva, la giurisprudenza non è omogenea, anche se magari mediaticamente sono state più evidenziate quelle in un certo senso rispetto ad altre.
  Tuttavia, indubbiamente, alla luce dell'attuale normativa, basta leggere la citata lettera d) del comma 1 dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 per capire che è ovvio che c'è stato uno sforzo interpretativo della giurisprudenza – poi, magari c'è chi è d'accordo e chi non è d'accordo – per tener conto anche di alcune istanze sociali.
  C'è una domanda che le volevo fare, riagganciandomi a quanto detto dall'onorevole Binetti, su questo punto. C'è, poi, stata la scelta di stralciare questo argomento e, quindi, di fare un'indagine conoscitiva che voglia appunto valutare l'attualità della normativa. Io faccio questa domanda perché lei affrontato vari temi e ci ha dato vari spunti.
  Quella sull'adozione mite, noi in qualche modo l'avevamo già tenuta da parte, quando abbiamo approvato il testo del Senato. Mi pare che c'è addirittura un ordine del giorno. Noi, lì, non l'abbiamo voluta inserire, anche se c'è una condanna della CEDU sul punto, di cui ha parlato anche il Ministro, perché, altrimenti, avremmo dovuto rimandare quel testo al Senato, quindi abbiamo ritenuto opportuno, intanto, fare entrare in vigore quella norma.
  Lei ha parlato di istanze della società civile, quindi le istanze della società civile che riguardano – faccio un riepilogo che rinnovo anche a lei – conviventi di fatto, singoli e unioni civili. Poi, ci sono, ovviamente, procedure più semplificate anche per i coniugi perché anche per i coniugati si fa riferimento a un certo limite di tempo. Ecco, ritiene che ci possano essere delle soluzioni normative allo stato dell'evoluzione dottrinaria, oltreché giurisprudenziale, che ci consentano di fare un passo avanti rispetto allo stato attuale della legge, tenendo però distinte le varie ipotesi, oppure partendo dal diritto del figlio, cioè rovesciando la prospettiva? Alla fine queste situazioni sono tutte sullo stesso piano e, quindi, dobbiamo valutare a monte qual è l'interesse del minore.
  Il rapporto era rovesciato fino all'altro ieri: si partiva dal vincolo di coniugio e poi si guardava l'interesse del figlio. Ora che l'interesse del figlio è centrale nell'ordinamento, ci sono delle graduazioni da fare, ci sono delle scale di priorità, non a livello soggettivo, ma anche alla luce del diritto comparato?

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. La soluzione che io indicavo è proprio nell'ottica che lei ha prospettato. Si è sempre detto che l'interesse del minore è la stella polare dell'adozione. Io credo che oggi bisogni valutare meglio qual è l'interesse del minore. A questo proposito dicevo: «Vogliamo cominciare a riflettere se è il caso di aprire all'adozione delle persone singole?»
  Oggi si è ribadito ciò che avete affermato voi in quella che io considero un'illuminata riforma, quella sulla filiazione del 2012, con il suo decreto attuativo del 2013: un punto fondamentale è la protezione delle relazioni affettive del minore.
  Io credo che questo apra all'idea di una nuova adozione. Io devo tutelare la relazione affettiva, che è indipendente dallo status dei genitori, se sono coniugi, conviventi, eterosessuali, omosessuali, single. Se il valore da tutelare è la relazione affettiva, io devo immaginare di poter tradurre quella relazione affettiva in un rapporto di filiazione giuridica.
  Io sono fermissimo nel dire – ribadisco che magari il prossimo 26 aprile verrà smentito dalla cassazione – che questa interpretazione dell'articolo 44 è una forzatura ermeneutica. Tuttavia, io credo che bisogni arrivare in qualche modo a quelle conclusioni, perché questo è nel nostro ordinamento.
  È indiscutibile che il valore preminente del minore è la tutela delle sue relazioni affettive e che si deve tradurre in un rapporto di filiazione giuridica, se esiste, una relazione affettiva esistenziale e fondamentale.
  Questo discorso non può valere solamente per l'unione omosessuale, ma anche per la stabile convivenza. Perché il convivente eterosessuale non dovrebbe poter Pag. 22adottare il figlio del proprio partner, se c'è una stabile relazione?
  In un'epoca storica come la nostra, dove ormai...

  PAOLA BINETTI. Non ci sono stabili convivenze.

  ARNALDO MORACE PINELLI, professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Le dico la verità: io sono felicemente sposato e credo molto nel matrimonio, quindi sono portato a pensare che di relazioni affettive stabili ce ne siano tante di molti tipi.
  Io credo che sia questa l'apertura che va fatta: mettendosi dalla parte del minore, bisogna immaginare degli strumenti nella legge sull'adozione per tutelare questo rapporto. È evidente che deve essere una cosa molto seria, cioè deve esistere la relazione. Un bambino nato da tre mesi non crea una stabile relazione affettiva. Io su questo sono assolutamente d'accordo con l'onorevole Binetti: deve essere una relazione seria, da valutare caso per caso dal tribunale per i minorenni.

  MIRZIA BIANCA, professoressa di diritto privato presso l'Università La Sapienza di Roma. Io vorrei solo aggiungere una cosa importante, riferendomi alla relazione del Ministro. Io credo che oggi noi dobbiamo tenere in dovuto conto che ci sono tanti minori in stato di abbandono. Questo va tenuto presente in una valutazione sulla possibilità di sentire le istanze sociali. Secondo me, l'istanza sociale più forte è che bisogna risolvere il problema dei minori in stato di abbandono. Questo è un fatto fondamentale, che forse supera anche tutte queste discussioni o comunque le ricomprende.
  Ci sono 300 casi di minori che rientrano nella lettera d) del comma 1 dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983, il che significa che sono minori in stato di patologie che nessuno vuole. Questo è un problema sociale, prima che un problema giuridico.
  Io credo, presidente, che in una riforma sull'adozione occorrerebbe tener conto che l'adozione deve mutare veste: prima era la soluzione per avere dei figli; ora non è solo questo, ma ha un'istanza solidaristica anche di soluzione dei problemi.
  In questa nuova veste, che caratterizza il tempo attuale, secondo me, occorrerebbe tener conto delle istanze dei minori in stato di abbandono.
  Noi parliamo dell'interesse del minore. L'interesse principale del minore è non stare da solo, non essere abbandonato, che qualcuno lo possa prendere.
  Riguardo al tema spinoso sollevato dal dialogo tra il professor Morace Pinelli e l'onorevole Binetti, io vorrei solamente aggiungere una cosa. Io non credo che il problema sia non sentire il desiderio di avere i figli, perché credo che questo sia un desiderio, ma sono d'accordo con il professor Morace Pinelli che non può essere un diritto alla filiazione.
  Pertanto, la prospettiva è invertita: occorre vedere se quell'adozione è nell'interesse del minore. La prospettiva è completamente capovolta, ma è in linea con l'ordinamento nazionale e internazionale. Non è il diritto degli adulti, ma è il diritto del minore. Occorre stabilire se è nel suo interesse avere quell'adozione, indipendentemente da opinioni ideologiche, che probabilmente nel dibattito contano poco.
  Secondo me, la cosa più importante è se è realmente nell'interesse del minore in quella situazione concreta. Non può essere un automatismo né tanto meno avvenire dopo pochi mesi. Non basta che il minore sia nato, magari all'estero, per tornare e dire: «Adesso per forza». A mio avviso, la soluzione è questa: rivedere l'interesse del minore, cioè rivalutarlo in concreto.

  PRESIDENTE. Ho una domanda su questo punto. Con l'onorevole Binetti abbiamo affrontato varie ipotesi su casi che ci sono capitati.
  A prescindere dal provvedimento conclusivo, evidentemente c'è un procedimento di osservazione e di valutazione, che oggi portano avanti i tribunali per i minori con i servizi sociali. Si parla di un grande potere dei servizi sociali, forse smisurato e a volte non adeguato alle professionalità.
  Non voglio una risposta oggi, perché torneremo su questo punto. Io mi trovo in Pag. 23difficoltà. Politicamente si dice «semplifichiamo il procedimento». Questi sono slogan, che poi bisogna rendere attuali normativamente. Forse la mia precedente vita mi porta a essere un po’ più concreta.
  Mi piace la semplificazione, perché, per esempio prima ricordavamo con il Ministro la riforma che è in atto, che cerca di «procedimentalizzare» anche la procedura nell'ambito dei tribunali dei minori, dove invece attualmente non ci sono delle regole definite e non c'è un procedimento che possa essere verificato e vagliato.
  Vorrei sapere se avete o avrete delle idee – ci terremo in contatto ulteriormente – anche sulla procedura, sulla semplificazione della stessa e sul monitoraggio. Noi parliamo del monitoraggio dell'interesse del minore. Vanno bene gli organismi che ci sono oggi? Va strutturato meglio? Come andrebbe visto?
  La seconda domanda è legata al clima diverso che abbiamo oggi rispetto al passato sull'adozione e, quindi, alla necessità di una matrice solidaristica.
  Io ricordo l'adozione legittimante: si taglia con il passato e si diventa esclusivamente figli di quella famiglia. Questo modello non è più attuale per tanti casi. Può essere rivisto in questa matrice solidaristica l'istituto dell'affidamento? In alcuni casi si può valorizzare l'affidamento o un'altra tipologia?
  In quei casi di cui ha parlato prima il Ministro, quei 300 minori che nessuno vuole, perché non sono né piccoli, né carini, né adeguati, magari si potrebbe prevedere un altro istituto. Anche nel caso di minori un po’ grandicelli che non vogliono una famiglia adottiva vera e propria magari ci potrebbe essere un altro istituto, diverso dall'affidamento, perché l'affidamento in realtà è nato per una temporaneità.

  ARNALDO MORACE PINELLI, Professore di diritto privato presso l'Università degli studi di Roma Tor Vergata. Io credo che, se si ammettesse l'adozione da parte delle persone singole, quei 300 casi sparirebbero in un istante in Italia.
  Comunque, è vero quello che lei dice, presidente, e ci viene confermato anche dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU). L'adozione legittimante nella giurisprudenza CEDU è un istituto eccezionale. La CEDU dice sempre – ci sono innumerevoli sentenze, come quella «Zhou»– che bisogna favorire l'adozione particolare e mantenere i rapporti con la famiglia d'origine. È considerato a livello di giurisprudenza CEDU un istituto eccezionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e proseguiamo l'audizione dando
  la parola ad Annamaria Colella, direttrice dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali della regione Piemonte, per lo svolgimento della sua relazione.

  ANNA MARIA COLELLA, direttrice dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Regione Piemonte. Ringrazio per questo invito la presidente e tutti i deputati presenti.
  Sono un funzionario pubblico e mi occupo di tutela dei diritti dei minori da quasi 40 anni. Voglio presentarmi solo un attimo, prima di entrare nel merito della mia relazione, che, peraltro, ho trasmesso alla Commissione giustizia.
  Io sono un funzionario pubblico e per tanti anni mi sono occupata di diritti dei minori, a partire dall'ufficio minori della Regione Piemonte, come funzionario laureato in giurisprudenza ed esperta in diritto minorile, in quanto in gioventù avevo già predisposto una mia tesi di laurea sull'assistenza ai minori in America. Mi sono sempre occupata di questa tematica.
  In particolare, sono stata responsabile dell'attuazione della legge n. 184 del 1983 e, quindi, da 33 anni mi occupo della legge sulle adozioni e gli affidamenti familiari.
  Ho ascoltato gli altri interventi e le altre audizioni, quindi non mi soffermo su tante cose che sono già state ribadite e portate all'attenzione di questa Commissione.
  Voglio soltanto ribadire subito che la legge n. 184 del 1983 è stata una bellissima legge, apprezzata in tutta Europa e in tutto il mondo, e che l'impianto della legge stessa è stato molto importante per mettere il minore al centro dell'attenzione.
  Io mi soffermerò principalmente su due aspetti che possono interessare in questa Pag. 24audizione. Il primo aspetto, più generale, concerne alcuni temi importanti che riguardano l'adozione internazionale. L'altro aspetto, più organizzativo, concerne il servizio pubblico per le adozioni internazionali di cui sono responsabile, che è stato istituito con legge regionale dal Piemonte.
  Cercherò di essere breve. In primo luogo, vorrei segnalare che la legge n. 477 del 1998, la legge che ha ratificato la Convenzione dell'Aja, ha avuto un'importanza notevole nel mondo delle adozioni internazionali, perché ha eliminato il fai da te e ha creato un sistema di correlazione fondamentale fra regioni, servizi socio-assistenziali, commissioni per le adozioni, tribunali per i minorenni, associazioni familiari ed enti autorizzati.
  Questo sistema in alcune regioni si è sviluppato di più e in alcune regioni si è sviluppato di meno.
  Da persona che ha una famiglia di origine meridionale ma ha un'educazione sabauda, cerco di guardare l'Italia con le sue realtà a macchia di leopardo, ma anche le tante attività e iniziative positive del Sud.
  Probabilmente, in Piemonte siamo stati più fortunati. Io sono stata allieva di Paolo Vercellone. Abbiamo avuto una scuola per la quale abbiamo potuto metterci insieme, autorità giudiziarie minorili, servizi e amministrazioni pubbliche, dal comune di Torino alla Regione Piemonte, per realizzare tanti provvedimenti.
  Lo dico perché, ancora oggi, tanti provvedimenti che sono stati approvati dalla nostra amministrazione in alcune regioni, purtroppo, non sono stati ancora approvati, dall'esenzione dei ticket per le famiglie al certificato sanitario.
  Abbiamo fatto un visto per sviare le indagini dal codice fiscale per i bambini adottati. Abbiamo applicato l'articolo 6 della legge n. 184 del 1983, sostituito dalla legge n. 149 del 2001 rispetto ai bambini superiori a dodici anni o con invalidità accertata ai sensi della legge n. 104 del 1983. Abbiamo dato un contributo. È previsto della legge, però è molto importante per un'amministrazione regionale e per chi lavora in questo settore sentirsi seguiti e sentire soprattutto la positività.
  Devo dire anche un'altra cosa. Quest'anno noi, come regione Piemonte, festeggiamo i 30 anni delle équipe adozioni. Nel 1986 noi abbiamo costituito le prime équipe adozioni in Piemonte; a seguire tante altre regioni hanno costituito questi nuclei specializzati.
  Spiace, a volte, sentir dire che i servizi non rendono e non funzionano. Spiace perché ci sono tanti operatori che si impegnano, ma le difficoltà sono veramente tante, dovute anche al numero esiguo di operatori messi a disposizione per la tutela dell'infanzia, mentre invece queste sono materie che meritano attenzione, tempo e disponibilità di risorse, per cui si possono fare molte più cose.
  Sono qui proprio per parlare specificamente di adozioni internazionali. Il calo delle adozioni internazionali è un fenomeno di portata globale, in Italia è stato meno drastico che in altri Paesi in questi anni grazie al fatto che le coppie italiane hanno saputo accogliere bambini più grandi, bambini con problemi di rilievo sanitario, due o più fratelli, e alcuni enti che hanno partecipato a questa audizione hanno insistito anche sul fatto che in alcuni Paesi, per esempio del Sud America, ci sono delle liste speciali che vengono proposte e, addirittura, hanno chiesto più coppie a disposizione per realizzare più adozioni.
  Non mi soffermo sulla crisi economica e su una serie di questioni che riguardano la crescente sfiducia nell'adozione internazionale, ma questo è uno dei dati fondanti che dobbiamo guardare con attenzione: c'è stato, in questi ultimi anni, un cambiamento rispetto al profilo dei bambini adottabili nei Paesi stranieri. Questo è il nodo, perché noi ci ritroviamo (parlo come servizio pubblico che si occupa di adozione internazionale come gli enti autorizzati privati) con le autorità centrali che presentano proposte di adozione di bambini con problemi sanitari a volte rilevanti o di bambini grandi.
  Abbiamo addirittura la regolamentazione da parte di alcuni Paesi, uno per tutti il Brasile, che dice che non possono andare in adozione internazionale i bambini che Pag. 25non abbiano compiuto i 7 anni di età, e così in tanti altri Paesi, bambini di 8, 9 o 10 anni. La stessa Lettonia, Paese europeo con il quale lavoro, ci propone bambini di 8, 9 o 10 anni. Possiamo ben comprendere che alcune coppie si sentano in difficoltà nell'accettare una situazione di questo genere.
  Qual è il problema di fondo rispetto a questa situazione? Si è parlato prima di adozione solidaristica. Questo è un bellissimo principio, ma il fatto è che le coppie credono ancora, vogliono e sperano di poter adottare un bambino piccolo e sano. Quindi la preparazione delle coppie è fondamentale, ma soprattutto l'accompagnamento delle coppie in questo percorso perché, se è vero che come servizio pubblico quando arrivano queste proposte di bambini più grandi o con qualche problema sanitario, valutiamo bene di cosa si tratta, valutiamo però anche quali sono i requisiti della coppia e se la coppia ce la può fare. Perché il dunque dell'adozione internazionale da un punto di vista sociale e giuridico è: vogliamo delle famiglie felici o delle famiglie infelici per tutta la vita?
  Se, infatti, la famiglia diventa infelice, diventa infelice anche il bambino e viene espulso, perché ritorniamo al problema delle crisi adottive e, in situazione molto più rare, degli allontanamenti.
  Questo è un dato molto importante, perché quando parliamo di enti autorizzati e di numeri dobbiamo stare molto attenti perché, se poniamo il problema dell'adozione internazionale dal punto di vista dei numeri, non ci siamo, perché è cambiato tutto, sono cambiate le famiglie, le coppie, sono cambiati i Paesi stranieri.
  Nel giusto principio che ha dato la Convenzione dell'Aja, finalmente molti Paesi, che erano Paesi d'origine di bambini, sono diventati Paesi che hanno famiglie disponibili all'adozione, e giustamente (possiamo dire che non è giusto?) adottano i bambini più piccoli e quelli sani. Ricordo una scena pazzesca in un ospedale a San Paolo: 30 bambini, tutti piccolissimi, in un reparto sanitario che andavano giustamente in adozione nazionale. Ma questo rispetto all'adozione internazionale ci mette in una situazione di difficoltà, in cui dobbiamo ben valutare chi e quanti sono gli enti autorizzati che operano nei Paesi stranieri.
  Vorrei sottolineare la necessità di professionalità molto alte, che devono essere all'interno degli enti, perché è vero che da alcuni Paesi arrivano le proposte di adozione con tanto di nome e cognome per la coppia e l'ente non interviene, ma in tantissimi casi, soprattutto rispetto alle liste speciali e ai bambini con problemi a rilievo sanitario, sono gli enti che agiscono, e agiscono come se fossimo in una comune camera di consiglio o in un tribunale dei minorenni, per valutare se quella proposta di abbinamento sia valida, ma soprattutto se da un punto di vista giuridico (lo stato di adottabilità e di abbandono) e dal punto di vista della storia del bambino, della situazione sanitaria del bambino, la coppia disponibile possa farcela.
  Questo è un nodo che riguarda anche il controllo sugli enti autorizzati e sulle professionalità degli enti da mettere a disposizione, la rilevante eterogeneità degli enti in questo momento e soprattutto il numero eccessivo di enti nei Paesi stranieri.
  Sono veramente colpita dal fatto che altri Paesi vengano rappresentati in alcuni Stati da 2 o 3 enti autorizzati, mentre, in Colombia, l'Italia è rappresentata da 20 enti autorizzati. In Burkina Faso, altro Paese dove opero da anni, erano presenti alcuni anni fa 3 enti privati, peraltro molto validi, che lavoravano molto bene, più noi come servizio pubblico, e adesso siamo diventati 10.
  In una situazione in cui il Burkina Faso non vuole dare i suoi bambini in adozione internazionale per motivi di povertà e agisce come giovane democrazia in modo più che corretto, ma vuole assolutamente lavorare attraverso l'autorità centrale anche rispetto a bambini con bisogni sanitari anche significativi, e i bambini continuano ad essere un numero limitato nell'anno come adozione, diventa molto difficile, ed è questo uno dei problemi per cui le spese per le coppie aumentano.
  Vi faccio un'equazione perché vorrei che si capisse in modo sufficiente: le spese delle adozioni internazionali si dividono, come molti di voi sapranno, in servizi resi Pag. 26in Italia, cioè l'ente fa pagare ciò che gli costa la struttura, il personale in Italia, la formazione e la preparazione della coppia, servizi resi all'estero e follow up.
  La riduzione delle spese dell'ente dipende molto dalla presenza anche in loco di personale adeguato e preparato che segue la coppia, personale che quindi venga pagato continuativamente perché, se ciascun ente ha all'estero personale spot, che viene solo quando deve assistere la coppia, non si fa quel lavoro molto importante che deve essere fatto: la verifica delle condizioni di salute del bambino, andare nella struttura dove il bambino è accolto, parlare con i suoi educatori, metterli in collegamento con la famiglia che è stata abbinata, preparare il bambino all'adozione, cosa che solo qualche ente fa, e assistere la coppia in questo percorso di adozione che può essere anche molto lungo. In Brasile le coppie devono stare per due mesi, in Russia devono andare per ben tre volte per realizzare il loro percorso adottivo.
  Credo che, rispetto a questa criticità del sistema, si possa e si debba intervenire, e si può intervenire limitando la presenza degli enti quantomeno all'estero, tenendo presente che dietro gli enti autorizzati ci sono comunque delle professionalità (non possiamo fare di tutta l'erba un fascio), abbiamo enti che con serietà e trasparenza preparano le coppie e bisogna che gli enti si organizzino in consorzi o altre iniziative per ridurre il numero e la presenza nei Paesi stranieri.
  Ho parlato di favorire il buon incontro tra il bambino e la famiglia, ed è importante anche assicurare l'accompagnamento e il supporto nella fase del post-adozione. Questa è una realtà che va precisata, perché dipende dai protocolli regionali laddove sono stati fatti (solo 6 regioni hanno realizzato i protocolli regionali), però il post-adozione è un momento molto importante. Noi seguiamo come post-adozione le coppie non solo nei follow up. La realizzazione del follow up, la redazione, la traduzione, l'invio al Paese straniero non deve essere visto come un onere. Se i servizi che lo redigono sono preparati e guardano all'interesse del bambino, possono fungere come momento di accompagnamento nella fase della preadolescenza e dell'adolescenza, che sono momenti molto importanti.
  Sui costi ho già evidenziato questo problema; per quanto riguarda il servizio pubblico, l'amministrazione regionale piemontese ha messo a disposizione dei funzionari per svolgere certe attività: Per i servizi resi in Italia le coppie che conferiscono l'incarico al nostro servizio pagano una quota che viene ricavata dall'ISEE in base a tre quote di contributo (una specie di ticket) sui servizi resi in Italia: All'estero cerchiamo di contrarre le spese al minimo, ma, mentre ci sono delle spese individuali (la traduzione del fascicolo della coppia, la traduzione del dossier, il notaio, l'avvocato e l'assistenza logistica della coppia), le altre spese strutturali dell'ente all'estero potrebbero essere ridotte, se solo ci fosse una più mirata attenzione al numero degli enti e alle adozioni realizzate in ciascun Paese.
  L'obiettivo dell'amministrazione regionale in attuazione della legge n. 476 del 1998, che prevedeva accanto agli enti privati anche dei servizi pubblici regionali, laddove le regioni avessero voluto attivarli, è stato quello di rendere l'adozione internazionale più accessibile a tutti, perché questo è un nodo importante. A volte si chiede perché un ente in più, però – attenzione – perché non si tratta solo di un ente in più, si tratta di un ente pubblico, e molte coppie desiderano conferire l'incarico a un ente pubblico, perché non tutti siamo uguali, c'è chi preferisce scegliere l'ente privato e chi preferisce avere a disposizione un servizio pubblico.
  In questo momento il nostro servizio è convenzionato con altre regioni italiane che hanno voluto mettere a disposizione dei loro cittadini un servizio pubblico. Sia il Presidente della Regione Chiamparino sia l'assessore Ferrari hanno portato questo argomento in Commissione politiche sociali della Conferenza Stato regioni per valutare se sia possibile promuovere un'associazione di regioni per gestire insieme un servizio pubblico, e di questo si sta discutendo. Pag. 27
  Ritengo molto importante sviluppare una rete di servizi pubblici a fianco degli enti privati, diminuendo il numero degli enti privati e alzando la qualità di tutti per operare nell'interesse dei bambini. Intendevo presentare una proposta per la valutazione dell'idoneità adottiva: mi rifaccio al documento che lascio agli atti della Commissione. Rimango a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Grazie. Direi di andare avanti con le audizioni e rinviare le domande alla fine.
  Lascio, quindi, la parola al presidente dell'Associazione Movimento per l'infanzia, Girolamo Coffari Di Gilferraro.

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Buonasera e grazie per l'opportunità di rappresentare la posizione del Movimento per l'infanzia. Ho lasciato agli atti un documento che si intitola L'interesse superiore del fanciullo da significante a significato e fra oggi e domani presenterò un altro documento che riguarda le criticità della legge n. 184 del 1983.
  Non avevo preparato, perché non sapevo che fosse una delle esigenze, un approfondimento sull'adozione anche da parte di singoli o di coppie omosessuali, ma, in riferimento alle considerazioni del professore, vorrei precisare...

  PRESIDENTE. No, guardi, questo non è un dibattito. La lettera è ben chiara: noi siamo qui per valutare a distanza di tempo le criticità della normativa attuale, quindi possibili ipotesi di modifica. Per una questione di cortesia vi abbiamo fatto partecipare alle altre audizioni, ma non è opportuno ribattere ai precedenti interventi, altrimenti adesso dovrebbe essere presente il professore per ribattere a lei. Se lei lo vuole dire, lo dice, ma non c'è da ribattere.

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Non ribatto, ma se mi permette una nota...

  PRESIDENTE. Certo, il tema c'è, credo che nessuno si nasconda dietro un dito, il tema è uno dei temi.

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Cerco di fornire degli elementi che possono essere utili.

  PRESIDENTE. Certo, soprattutto sulle criticità nel procedimento che riguarda la normativa attuale. Questa va bene così com'è oppure ci sono delle criticità?

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Parto dall'interesse superiore del fanciullo, ho cercato di sintetizzare in un breve documento le migliori sentenze evolutive in tema di interpretazione dell'interesse superiore del fanciullo, perché è un manifesto se lo si concretizza in criteri di valutazione realistici, altrimenti diventa una clausola di stile.
  C'è l'esigenza (ho citato anche delle sentenze), in questo momento giurisprudenziale e potrebbe essere un'esigenza normativa, di stabilire un giudizio obbligatorio di prevalenza da parte dell'interprete. Tale giudizio è fissato sugli interessi concreti, cioè vanno enumerati e indicati gli interessi concreti che, nel prendere una decisione, interessano quel determinato caso, per poi fare un giudizio di prevalenza laddove risulta una soluzione migliore di un'altra, come fine di un processo argomentativo che ha delle sue caratteristiche strutturate. C'è una giurisprudenza evolutiva su questo che credo sia molto illuminata e possa essere seguita in maniera positiva.
  Mi collego anche – lo dice anche la giurisprudenza – a quell'ottima intuizione che anch'io condivido della continuità affettiva della legge n. 173 del 2015, già citata in alcune di queste sentenze, perché si tratta di uno dei criteri fondamentali sui quali si può stabilire effettivamente e concretamente qual è l'interesse superiore del fanciullo.
  Questo si rifà agli studi di John Bowbly, forse il più importante psichiatra, che ha fatto delle ricerche, poi confermate, sulle Pag. 28conseguenze e sulla teoria cosiddetta «dell'attaccamento e del distacco». Tale psichiatra ha dimostrato che i bambini hanno una forma di attaccamento biologicamente e affettivamente fondamentale con il care-giver, cioè con la mamma, o fosse anche con il padre, o comunque con la figura che, per prima, riesce a essere un punto di riferimento affettivo e ha una valenza appunto strutturale per la buona evoluzione del bambino. Io, quindi, mi rifaccio a questo solamente perché può essere utile per fornire degli elementi di riflessione.
  Sono d'accordo anch'io sul punto di vista del fanciullo. C'è questa rivoluzione non compiuta e appena accennata, nel senso che il Movimento per l'infanzia, da tanti anni, ha la missione di contrastare il cosiddetto «adultocentrismo», che è appunto la visione della società dal punto di vista dell'adulto e non dal punto vista del bambino o del fanciullo.
  È vero che, quindi, la continuità affettiva, assieme alla stabilità affettiva, diventa un criterio fondamentale sul quale poter giudicare e che le cose si semplificano, da questo punto di vista, perché non ci sono ideologie e non ci sono punti determinati, se non un punto di vista.
  È vero anche – questo è uno dei nostri punti di riflessione – che, nell'ipotesi in cui, invece, la mancanza di uno dei due genitori sia, dall'origine, predeterminata con un'attività chiamata «surrogazione materna», cioè, a tavolino, è determinata la sparizione o la frantumazione dell'idea di uno dei due genitori, o della mamma o del padre, si lede al bambino il diritto all'origine, a conoscere la propria madre o il proprio padre e a essere educato da entrambi i genitori.
  Voglio dire che – e con questo finisco l'argomento per passare ad altri temi – l'adozione è, per forza di cose, un atto solidaristico che, in qualche modo, colma una carenza che c'è a monte. Tuttavia, se noi intenzionalmente provochiamo questa carenza per fini egoistici, allora l'interesse del bambino non è quello di essere adottato, ma è quello di non trovarsi in una condizione del genere; ecco che spariscono le ideologie e torna il diritto della persona e del bambino che ci orienta a soluzioni che possano essere – credo – veramente in linea con l'evoluzione civile.
  Altre criticità della legge n. 184 del 1983 che, molto velocemente, mi permetto di individuare, sono di due tipi. C'è, per esempio, una mancanza di controlli nelle cosiddette comunità «casa famiglia».
  Io faccio anche l'avvocato da tanto tempo e sono specializzato appunto nella tutela delle donne e dei bambini vittime di violenza. C'è un processo molto importante e noto che è quello del Forteto. Si tratta di un processo singolare che ci impone una riflessione.
  Sto parlando di una comunità i cui fondatori erano stati condannati già nel 1985, per quelli che erano chiamati «atti di libidine violenta», cioè di violenza sessuale, e per maltrattamenti nei confronti dei minori. Questi però hanno continuato, per trent'anni, a ricevere in affidamento minori e – con un processo che, almeno in primo grado, si è già concluso con la condanna per sedici imputati, oggi lo possiamo dire – ad averli maltrattati per trent'anni. La domanda da porsi è come sia potuta succedere un'evenienza del genere.
  A questo aggiungo che, per esempio, delle 3.100 case famiglia, molte sono sotto inchiesta in questo momento. La domanda che ci si pone, quindi, è come mai, in questo caso eclatante del Forteto, se sarà confermata la sentenza, ci siano dei maltrattamenti avvenuti per trent'anni, nonostante il fatto che ci fossero state già delle condanne. La risposta è nella mancanza di controlli.
  I controlli, oggi, sono indicati nel procuratore del Tribunale per i minorenni, che non è, a mio avviso, la figura di riferimento più adatta perché dovrebbe essere attivata una figura di garanzia, terza, che, con un compito, un portafoglio e dei poteri specifici, controlli le comunità.
  Vi dico come vengono fatti i controlli perché sono un soldato che vive in trincea, per cui è come se portassi notizie dal fronte. Il fronte è costituito dai tanti adolescenti in casa famiglia che dicono, non a me personalmente, ma ai genitori che magari rappresento, che, le rarissime volte che Pag. 29ci sono i controlli, questi arrivano con una telefonata, un giorno prima. I ragazzini più turbolenti non vengono fatti trovare in casa famiglia e, quel giorno, si riempie il frigorifero oppure si fanno altri atti.
  D'altronde, nel processo del Forteto, è stato anche testimoniato questo modo di fare. Per cui le case famiglia sono autotutelanti, come qualsiasi attività che poi prevede anche una forma economica che è legittima e giustissima. Tuttavia, ci devono essere degli accorgimenti e delle soluzioni che non lo permettano, quindi la funzione di controllo è fondamentale e va pensata, a mio avviso, in maniera sistematica. Non si deve attribuire a una figura già esistente, in via generale, una funzione di controllo che non verrà mai svolta, ma dare a una figura nuova, che può essere il garante o un ufficio di pubblica tutela, o comunque...

  PRESIDENTE. Ce ne sono già troppi di garanti.

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. ... o comunque individuare un responsabile che poi risponda dell'attività che svolge.

  PRESIDENTE. Basta cambiare il metodo. Il procuratore della Repubblica, già di per sé, dovrebbe essere un garante.

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Certo che dovrebbe essere un garante, però io credo – poi, lo diranno anche i procuratori meglio di me – che siano già parecchio oberati...

  PRESIDENTE. Mi scusi se le faccio una domanda mentre parla, ma è molto interessante questo fatto. Chi svolge questo controllo?

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Teoricamente dovrebbe svolgerlo il procuratore presso il Tribunale per i minorenni.

  PRESIDENTE. Tramite chi?

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. La legge dice «o personalmente o delegando», ma di fatto questi controlli non esistono.

  ANNA MARIA COLELLA, Direttrice dell'Agenzia regionale per le adozioni internazionali – Regione Piemonte. Scusi, c'è la competenza anche amministrativa in vigilanza.

  GIROLAMO COFFARI DI GILFERRARO, presidente dell'Associazione Movimento per l'Infanzia. Sì, la legge n. 184 del 1983 parla di questo, però non significa che non ci siano competenze adiuvanti. La questione è che, quando una legge sistematica stabilisce chi deve fare che cosa, quali sono i poteri e quali sono anche i termini in cui va svolta una certa attività, quell'attività viene svolta, altrimenti si tratta di indicazioni di carattere generico. Ora, che li faccia la regione o il procuratore, se la soluzione è buona, la cosa importante è che i controlli vengano svolti.
  Un'altra criticità che, secondo me, è molto importante, è che non si possono prendere decisioni, se non si hanno i dati. Ora, sulle case famiglie, quello che è già venuto fuori, ma vorrei ribadirlo, è che manca, in realtà, una banca dati. È stata fatta una ricerca, su campionamento, dall'Istituto degli innocenti nel 2010, nel 2011 e nel 2012. Poi, c'è stata una ricerca, su base volontaristica, anche se pregevole, da parte del Garante per l'infanzia e l'adolescenza del 2015, per stabilire poi quali e quanti sono i minori, i bambini, i fanciulli, nelle case famiglia.
  Questi sono i primi tentativi di indagine. In realtà, l'indagine va fatta sulla permanenza e sulle cause che hanno determinato un collocamento etero-familiare. Tale collocamento, dalla parte del bambino, è l'evento più importante che noi possiamo immaginare perché, se a un adulto viene tolta la responsabilità genitoriale o l'affidamento, spesso il bambino può anche non accorgersene. Il bambino se ne accorge, nel Pag. 30momento in cui – si parla sempre di continuità affettiva e stabilità affettiva – cambia improvvisamente il mondo e le relazioni affettive cui è abituato.
  Allora, in quel caso è fondamentale sapere la durata. Anche la durata, nella legge n. 184 del 1983, è un'indicazione generica che, spesso, non viene rispettata e che, se non viene rinnovata, non c'è una sanzione giuridica, cioè non c'è una conseguenza giuridica. Non c'è, per esempio, la perdita dell'efficacia del provvedimento del Tribunale per i minorenni o del giudice ordinario, per cui l'indicazione generica della durata poi, di fatto, viene disattesa.
  Mi si scusi se vado di corsa, ma sono tante le cose da dire e voglio riuscire a evidenziare due o tre argomenti importanti.
  C'è un problema anche sulle cause. La legge, secondo il mio avviso, è generica perché parla di mancanza di idoneità genitoriale o di pregiudizio. Ora, nel pregiudizio o nella mancanza di idoneità, si annidano tutta una serie di ambiguità che possono andare dallo stato di abbandono al maltrattamento o all'ipotesi di abuso sessuale. Questi sono casi molto gravi, dove un bambino viene salvato da una famiglia maltrattante.
  Poi, ci sono casi dove l'idoneità genitoriale viene stabilita da operatori non specializzati. Non voglio fare esempi, ma ci sono casi di operatori molto bravi e preparati e casi di operatori che ancora devono completare la loro preparazione. Questi operatori possono dare dei giudizi che vengono male interpretati.
  Per esempio, ci sono tanti casi di bambini e addirittura di ragazzi per i quali, un'incompetenza genitoriale dovuta al mancato rispetto della cosiddetta «bi-genitorialità», quindi dove ci sono ipotesi di maltrattamento – faccio un esempio – dovuti al padre e una difficoltà di accesso alla figura paterna dovuta a una forma di paura da parte della madre, si applica in maniera rigida ed esagerata, come causa, di collocamento etero-familiare. Questo finisce per risolversi in una forma di mancata tutela e non di tutela.
  Ci sono casi di bambini e di ragazzini che sono da due o tre anni in casa famiglia perché hanno una difficoltà nel rapporto con il padre e questa permanenza magari è giustificata con ipotesi di maltrattamento che non hanno trovato forza probatoria in diritto penale, ma che, in diritto civile, devono ordinarsi alla tutela e all'interesse superiore del fanciullo.
  Ci sono purtroppo – o per fortuna, perché riusciamo a intercettarli – tanti temi che andrebbero affrontati. Il più importante, secondo me, appunto è l'analisi perché, se non c'è un'analisi, non ci può essere una diagnosi. L'analisi è appunto quella banca dati su quei 20.000 minori, per cui sarebbe utile che noi, un giorno, sapessimo con esattezza da quanto tempo sono lì e per quali ragioni sono lì. Inoltre, vanno codificate le ragioni perché, se non abbiamo un codice, non riusciamo neanche a leggere i dati. Dovremmo sapere qual è la loro prognosi e, insomma, tutta una serie di approfondimenti verticali, altrimenti non possiamo neppure capire che tipo di problema possono avere tanti bambini che, nelle case famiglia, trovano una forma di salvezza e che, a volte, trovano una forma di violenza istituzionale o di disagio istituzionale che va corretto.
  Vorrei parlare di un altro tema molto velocemente. Secondo me, è importante e necessario uniformare la disciplina delle case famiglia, lasciate troppo all'autonomia regionale e che, in alcune regioni, non prevedono trasparenza sui costi e sui bilanci o degli standard minimi. Ricordiamoci, sia che noi lo riconosciamo dal punto di vista formale oppure no, che è una funzione pubblica ad alto valore sociale quella delle case famiglia, per cui necessitano di una normativa di riferimento molto più stringente di quella che c'è oggi.
  Ci sono case famiglia che hanno bambini di due anni, accanto a ragazzini di quattordici anni o ragazzini di dieci anni. Il numero e l'età vanno definiti e disciplinati secondo le esigenze dei fanciulli.
  Siamo perfettamente d'accordo sull'adozione a modalità aperte perché ci sono casi in cui la tutela migliore è quella della cooperazione delle famiglie, che vanno sostenute Pag. 31 con un'altra famiglia solamente solidaristica. Non ci devono essere modelli rigidi, ma modelli aperti, sempre nell'interesse del fanciullo.
  Avrei altre cose da dire, ma non voglio appesantire perché forse i temi già presentati sono interessanti.

  PRESIDENTE. La ringrazio anche perché mi pare che abbia fatto riferimento anche a un ulteriore documento che vorrà mandarci, quindi, sarà a disposizione dei colleghi.
  Do la parola alla dottoressa Marina Casini, rappresentante dell'Associazione Movimento per la Vita.

  MARINA CASINI, rappresentante dell'Associazione Movimento per la Vita. Buonasera, io parlo a nome del Movimento per la Vita che ringrazia di essere stato invitato e per questa opportunità che ci è stata offerta. In particolare, parlo anche a nome della Commissione di bio-diritto, che all'interno del Movimento per la Vita si è formata, e che ha elaborato, appositamente per questa seduta, un documento di lavoro che io, a breve, rilascerò alla Commissione Giustizia.
  A questo documento, io mi attengo per svolgere il mio intervento, anche per rimanere, poi, nei termini che mi sono stati concessi.
  Mi è dovuta una piccola premessa. Io vorrei dire qualcosa brevemente su che cos'è il Movimento per la Vita.
  Si tratta di un'associazione laica che ha lo scopo di proteggere e promuovere l'uguale dignità di ogni essere umano, dal momento del concepimento, al momento della morte naturale. Questo Movimento trae origine dall'esperienza del primo Centro di aiuto alla vita, sorto a Firenze nel 1975.
  Attualmente, è costituito dalla federazione di 313 centri di aiuto alla vita e 271 movimenti, i quali hanno aiutato a nascere almeno 170.000 bambini, gran parte dei quali non sarebbero nati, e hanno aiutato anche innumerevoli famiglie.
  La cultura della vita, dell'accoglienza dell'uguaglianza e dei diritti umani, specialmente dei più deboli e dei più indifesi, è l'anima del Movimento per la vita ed è diffusa e promossa anche mediante attività di formazione, pubblicazioni, iniziative legislative e sociali, convegni scientifici e concorsi scolastici.
  Ora, venendo al tema che più direttamente oggetto dell'audizione di oggi, il tema delle adozioni e dell'affido non è lo specifico del Movimento per la Vita. Tuttavia, la meditazione sulla generatività, sulla genitorialità e sui diritti dei bambini, anche non nati, che è costitutiva del Movimento per la Vita, ci permette di condividere con voi alcune considerazioni.
  Sappiamo bene che la normativa in oggetto è accusata di arretratezza cronologica e di inadeguatezza, soprattutto, per la lungaggine delle procedure. Tuttavia, a nostro avviso la normativa vigente, quindi il riferimento è alla legge del 1983, a quella del 2001 e poi anche all'ultima del 2015, nella struttura e nell'impianto di fondo non merita correzioni. Vi ripeto che, nella struttura e nell'impianto di fondo, non merita correzioni e lo dico perché si tratta di una normativa che è fondata su due criteri importanti che si ricavano dalla moderna idea dei diritti umani.
  Il primo criterio è quello enunciato e già ricordato tante volte dall'articolo 3 della Convenzione sui diritti del fanciullo. Si tratta del principio che riguarda l'interesse superiore del fanciullo che deve avere una considerazione preminente, rispetto agli interessi delle persone appunto adulte.
  Questa disposizione non significa soltanto che, nel confronto tra diritti e interessi di adulti e di bambini, che occasionalmente vengono a trovarsi in conflitto, la bilancia debba pendere dalla parte dei minori, ma significa anche che la realtà sia interpretata partendo dall'angolo di visuale del fanciullo, mettendosi nei panni del più piccolo, del più debole.
  Inoltre, è importante sottolineare che questa norma è stata ripetuta anche in altri atti internazionali, tra i quali merita particolare menzione la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, divenuta vincolante in seguito all'entrata in vigore Pag. 32del Trattato di Lisbona del 2009, che la riproduce, infatti, all'articolo 24.
  L'altro criterio fondamentale che si ricava dalla moderna idea dei diritti umani fa riferimento a quanto affermato nella Dichiarazione universale dei diritti del fanciullo del 1959, recuperata dalla Convenzione del fanciullo del 1989, che stabilisce: «Gli Stati devono dare ai fanciulli il meglio di se stessi».
  Quale sia questo «meglio» è indicato concretamente dall'articolo 1 della legge sull'adozione, così come modificata nel 2001: «Il minore ha diritto di crescere e di essere educato nell'ambito della propria famiglia».
  Lo stesso principio è esplicitato nella Convenzione dell'Aia del maggio 1993 sulle adozioni internazionali, nel cui preambolo è scritto che l'ambiente familiare garantisce al meglio lo sviluppo armonioso del minore, che ogni Stato dovrebbe adottare con criterio di priorità misure appropriate per consentire la permanenza del minore nella propria famiglia di origine e che le adozioni internazionali devono essere fatte nell'interesse superiore del minore e nel rispetto dei suoi diritti fondamentali, in modo che siano evitate sottrazione, vendita e tratta di minori.
  Tali criteri sono presenti nella normativa vigente sull'affidamento e l'adozione. Apro una parentesi. Ricordo che la legge del 2005 non parla neanche di preminente interesse del minore, ma di esclusivo interesse del minore.
  Questi criteri si riflettono anche nella riforma della filiazione, di cui alla legge del 2012 e al decreto attuativo del 2013.
  La centralità della priorità del minore implica la logica conseguenza che l'adozione non è uno strumento per dare un figlio a chi non lo ha, ma, al contrario, uno strumento per dare dei genitori a chi non li ha, per accertata situazione di abbandono materiale o morale.
  Lo stesso titolo della legge mantiene, dunque, tutta la sua attualità e tutta la sua validità: «Diritto del minore a una famiglia».
  La validità è data, in primo luogo, perché questo titolo mette al primo posto i diritti dei bambini, cioè dei piccoli, e non degli adulti, cioè dei grandi, e, in secondo luogo, perché sottolinea che il diritto dei bambini alla famiglia fa capo principalmente alla famiglia di origine e che, solo quando per vari motivi non è possibile che il bambino resti con la famiglia di origine, occorre assicurare al bambino una famiglia affidataria o adottiva.
  Giustamente, perciò, il presupposto stabilito dalla vigente legge italiana è l'abbandono, che si concretizza appunto in questa mancanza di assistenza materiale o morale. Si tratta, perciò, di rimediare a un danno.
  Per il minore il meglio sarebbe restare sempre con il padre e la madre biologici, in modo che coincidano la genitorialità del sangue con quella degli affetti e con quella legale, tanto che lo Stato, come affermano le convenzioni internazionali e la legge italiana, dovrebbe fare tutto il possibile affinché il meglio si realizzi, prima di ricorrere al rimedio dell'adozione.
  Una volta accertato l'abbandono, il meglio per il minore è essere affidato a una coppia idonea. Se il primato è del minore e se egli ha un diritto al meglio, non c'è dubbio che egli ha diritto ad avere un padre e una madre, cioè a essere allevato, amato e custodito da persone che costituiscano il modello psicologico, affettivo ed educativo dell'uomo e della donna.
  Purtroppo, esistono gli orfani di padre o di madre, e il genitore rimasto in vita deve sobbarcarsi insieme gli oneri materni e paterni, ma non è il meglio per il figlio, e nell'adozione è possibile stabilire il meglio.
  Per quanto riguarda la situazione italiana, la legge non merita modificazioni – faccio sempre riferimento alla struttura di fondo – perché le critiche spesso esposte, specialmente sui media, non sono esatte.
  Si lamenta la lunghezza delle procedure, ma esse, per la dichiarazione di adottabilità nel caso di un abbandono materiale, sono rapide, come rapida è la fase successiva di affidamento preadottivo. Invece, quando si tratta di togliere un figlio a una famiglia nel caso di abbandono morale, è chiaro che l'abbandono deve essere provato e che ai genitori deve essere consentito Pag. 33 di opporsi in sede giudiziaria, cosa che spesso avviene.
  È documentato che le coppie coniugate dichiarate idonee all'adozione e che offrono la loro disponibilità sono molto più numerose di quelle che nel corso di un anno ricevono in affidamento preadottivo un figlio nato in Italia.
  Il problema è che non ci sono in numero sufficiente bambini da adottare. È vero che la nostra società è caratterizzata, tra le altre cose, anche dal fenomeno della denatalità, ma – so di toccare un tasto dolente per tanti motivi – non si può fare a meno di ricordare la stridente contraddizione con il persistente fenomeno dell'aborto volontario, che ogni anno impedisce la nascita di un grande numero di bambini non voluti dai genitori biologici, ma che un grande numero di coppie disponibili e idonee all'adozione sarebbero disposte ad accogliere.
  Le lungaggini, dunque, non dipendono dalla legge sull'adozione in se stessa considerata, ma dalle necessarie procedure quando si tratta di dichiarare definitivamente l'abbandono morale e dalla grande quantità di bimbi che si preferisce non portare alla nascita piuttosto che affidare a famiglie pronte ad accoglierli.
  Per quanto riguarda l'adozione internazionale, bisogna aggiungere le difficoltà inerenti alla necessità, non solo di prendere contatto con situazioni di abbandono in Paesi lontani, ma più ancora di ottenere l'adozione secondo le leggi di quei Paesi e, quindi, prima ancora di stabilire convenzioni giuridicamente vincolanti tra gli Stati.
  Evidentemente le autorità italiane incontrano gli ovvi limiti di sovranità dei Paesi nei quali si verificano le situazioni di abbandono. Non poche difficoltà incontrano anche le coppie che devono recarsi all'estero per adempiere agli incombenti processuali previsti dai vari Paesi.
  Perciò, a nostro giudizio, occorre migliorare l'impegno nel promuovere e nell'aggiornare le convenzioni internazionali e strutturare un sostegno diretto delle coppie che si recano all'estero da parte dei consolati italiani, dotandoli di fondi esplicitamente destinati al sostegno delle coppie e prevedendo che in ogni consolato sia istituita una particolare figura di funzionario addetta a seguire le procedure di adozione che coinvolgono cittadini italiani.
  Come ben sappiamo, ci sono situazioni concrete in cui il meglio per il bambino non può essere realizzato neppure sul piano del rimedio, così come è delineato dalle regoli generali sull'adozione. Mi riferisco ai famosi casi particolari dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983.
  Sono i noti casi, più volte tornati alla ribalta per via giurisprudenziale con riferimento alle coppie dello stesso sesso, previsti dal titolo IV, capo I, precisamente all'articolo 44 della legge sulle adozioni vigente.
  Questa giurisprudenza intende la possibilità dell'affidamento preadottivo come una condizione giuridica, non come una condizione di fatto. Se il minore ha un genitore che lo tiene con sé e lo alleva bene, non si trova in una situazione di abbandono e, dunque, salva l'ipotesi prevista dall'articolo 44, comma 1, lettera b), che riguarda il caso in cui il minore adottivo sia adottato dal coniuge, non può essere adottato né, conseguentemente, essere collocato in un preliminare affidamento preadottivo. Questa è l'impossibilità giuridica.
  Se invece nessuna coppia tra quelle dichiarate idonee accetta quel dato minore, a causa delle sue specifiche caratteristiche, allora si verifica un'impossibilità di fatto dell'affidamento preadottivo.
  La lettera d) del comma 1 dell'articolo 44 si riferisce in primo luogo a quest'ultima ipotesi, con qualche eccezione. Abbiamo trovato giurisprudenza nel tribunale di Milano nel 2007 e nella corte di appello di Firenze nel 2012. Tale eccezione non si riferiva, però, alle coppie dello stesso sesso.
  In effetti, l'esclusione della necessità di una dichiarazione di adottabilità del minore è già prevista nella prima parte dell'articolo 44 per tutti i casi, dalla lettera a) alla lettera d) del comma 1.
  Se la regola generale fosse l'impossibilità giuridica e non quella di fatto, non avrebbe alcun senso la ripetizione della citata lettera d), cioè «è possibile l'adozione in casi particolari, quando vi sia la Pag. 34constatata impossibilità di affidamento preadottivo». La parola «constatata» implica necessariamente il riferimento a un caso particolare, qualcosa che si è tentato di fare senza successo.
  Si tratta in sostanza, come la Corte costituzionale ha evidenziato, di una sorta di clausola residuale.
  Inoltre, la ratio legis dell'articolo 44 è di offrire una famiglia al minore che non ce l'ha, anche rimuovendo alcuni limiti che impedirebbero adozioni. Altrimenti, se l'impossibilità giuridica fosse una regola generale e non un'eccezione, perderebbe significato tutta la prima parte della legge n. 184 del 1983, fondata sulla sostituzione della famiglia di origine risultata inesistente con una famiglia nuova, costituita da un uomo e da una donna coniugati.
  Se esiste un rapporto originario genitoriale valido, l'affidamento in senso giuridico non dovrebbe essere pensato come genericamente possibile. Se il presupposto dell'adozione speciale della lettera d) fosse l'inesistenza dell'abbandono, allora sarebbe sempre possibile adottare il minore indipendentemente dal caso della coppia dello stesso sesso e, in conclusione, tutta la struttura dell'adozione legittimante sarebbe inutile.
  Va anche detto che, come sempre, bisogna tenere conto del prevalente interesse del minore quando sussistono di fatto, sia pure in contrasto con la legge italiana, situazioni in cui il minore vive da molto tempo con una coppia dello stesso sesso.
  Evidentemente, però, non può trattarsi di una questione di nome. Esistono molte situazioni in cui un minore, per la morte, la fuga o il disinteresse di uno dei genitori, è mantenuto, istruito ed educato o dalla sola madre o dal solo padre, che però convive con un parente, per esempio la sorella, la madre (quindi, la nonna) o il fratello, che contribuisce talvolta in modo determinante alla crescita del figlio.
  Chiamare il parente convivente «nonna», «zio» o «zia» invece che «papà» o «mamma» non cambia la sostanza, così come qualificare «amico» o «amica» del papà o della mamma il convivente omosessuale del genitore non cambia la sostanza.
  Ne risulta che la pretesa dell'adozione da parte delle persone dello stesso sesso in base all'articolo 44, comma 1, lettera d), ha come obiettivo quello di equiparare al matrimonio l'unione omosessuale dal punto di vista culturale e di affermare una sorta di diritto al figlio della coppia, anche quando questa è strutturalmente impossibilitata a generare per l'assenza di diversità-complementarità sessuale.
  Perciò, se non si vuole il sovvertimento dell'adozione di minori attraverso una giurisprudenza inaccettabile, occorre anche chiarire legislativamente che la lettera d) del comma 1 dell'articolo 44 della legge n. 184 del 1983 si riferisce all'impossibilità di trovare una coppia sposata dichiarata idonea disposta ad accettare quel dato specifico minore, a ragione delle sue particolari caratteristiche.
  Questa modifica appare necessaria, se non si vuole vanificare la volontà espressa dal Parlamento di non consentire l'adozione da parte di coppie dello stesso sesso, per non realizzare una totale equiparazione con il matrimonio, quale previsto dall'articolo 29 della Costituzione, equiparazione peraltro non consentita anche secondo la giurisprudenza costituzionale.
  Faccio riferimento alla nota sentenza della Corte Costituzionale n. 138 del 2010, peraltro seguita sulla stessa linea da un'altra sentenza del 2010, la n. 276, e dalla sentenza n. 4 del 2011.
  Poiché il comma 20 dell'articolo 1 del testo della legge sulle unioni civili fa salva la vigente disciplina dell'adozione, se dovesse consolidarsi la giurisprudenza innovativa sopra ricordata, l'equiparazione tra unioni civili e matrimonio sarebbe totale, con violazione dell'orientamento che sembrerebbe finora prevalente in Parlamento, manifestato attraverso lo stralcio del tema dell'adozione. Dunque, la modifica che suggeriamo appare necessaria.
  Vorrei spendere alcune parole sulla legge n. 173 del 2015, che prevede una sorta di corsia d'elezione per la famiglia affidataria in caso di adottabilità sopravvenuta, Pag. 35 tenendo fermi i requisiti dell'articolo 6 della legge n. 184 del 1983.
  La legge del 2015 è in vigore da troppo poco tempo per poter avere notizia dei suoi reali effetti. Ci limitiamo, pertanto, a osservare che, se un affidamento prolungato va incontro a un'adottabilità, significa che qualcosa ha fallito.
  È pur giusto che quanto di alternativo sul piano degli affetti sia costituito venga in ogni modo salvaguardato, ma resta nell'ambito del rimedio, mentre la primaria attenzione al diritto del minore alla propria famiglia, anche con l'aiuto di altri e di altre famiglie, suggerisce di intensificare il soccorso proprio dove sono maggiori il bisogno e il disagio.
  Infine, proprio perché siamo in tema, faccio un cenno alla nota e delicata questione degli embrioni umani generati in vitro e rimasti privi di un progetto parentale. Su questa situazione vi è la prospettiva della cosiddetta «adozione per la nascita», rispetto alla quale esistono già svariati progetti di legge e che è tornata di grande attualità in seguito all'introduzione della tecnica di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo.
  Una volta ammessa, purtroppo, la fecondazione eterologa, questa adozione potrebbe essere la via preferenziale da percorrere, prima di generare ancora embrioni umani ricorrendo appunto all'eterologa.
  Nella Commissione nazionale di biodiritto del Movimento per la vita italiano la questione è oggetto di studio. Allo stato attuale il principale riferimento è costituito, per il rigore scientifico, ma anche per la particolare ampiezza degli orientamenti culturali rappresentati, dall'organismo che si chiama «Comitato nazionale per la bioetica», il quale il 18 novembre 2005 ha emesso un parere proprio sull'argomento. Invitiamo a tenere in debita considerazione questo parere.
  Questo è il contributo del Movimento per la vita. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie. Ci ha lasciato il documento?

  MARINA CASINI, rappresentante dell'associazione Movimento per la vita. No, ve lo invio. Io ho letto alcune parti, ma vi manderò quello integrale.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti. Ovviamente ci saranno dei prosiegui. Se nell'arco dell'indagine dovessero sorgere ulteriori quesiti, sarà nostra cura comunicare anche via e-mail con voi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.

ALLEGATO

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40