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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 7 di Martedì 26 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 957  MICILLO E C. 342  REALACCI, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI DELITTI CONTRO L'AMBIENTE E L'AZIONE DI RISARCIMENTO DEL DANNO AMBIENTALE, NONCHÉ DELEGA AL GOVERNO PER IL COORDINAMENTO DELLE DISPOSIZIONI RIGUARDANTI GLI ILLECITI IN MATERIA AMBIENTALE

Audizione di Raffaele Piccirillo, presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Piccirillo Raffaele , Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 4 
Piccirillo Raffaele  ... 4 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Bratti Alessandro (PD)  ... 10 
Piccirillo Raffaele , Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente ... 11 
Bratti Alessandro (PD)  ... 11 
Piccirillo Raffaele  ... 11 
Bratti Alessandro (PD)  ... 12 
Piccirillo Raffaele  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Piccirillo Raffaele , Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Piccirillo Raffaele  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Piccirillo Raffaele  ... 13 
Bazoli Alfredo (PD)  ... 15 
Piccirillo Raffaele , Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Piccirillo Raffaele , Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di Raffaele Piccirillo, presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 957 Micillo e C. 342 Realacci, recanti disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente e l'azione di risarcimento del danno ambientale, nonché delega al governo per il coordinamento delle disposizioni riguardanti gli illeciti in materia ambientale, di Raffaele Piccirillo, presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente.
  Il presidente Piccirillo sarà sentito avendo avuto l'autorizzazione del Ministro dell'ambiente, Andrea Orlando. Do la parola a Raffaele Piccirillo.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. Innanzitutto vi ringrazio della convocazione. Naturalmente, io vengo qui dopo aver letto attentamente i due progetti in discussione, che, per semplificare, chiamerò Realacci e Micillo. Ovviamente sono a disposizione per le domande della Commissione.
  Come premessa, apprendevo dal presidente che un tema sul quale è forse utile interloquire ancora inerisce l'effettiva necessità di prevedere alcuni delitti in questo settore, ossia nel settore della tutela dell'ambiente, e di inserirli nel codice penale. Ho appreso, ma avrei potuto anche prevederlo, che ci sono opinioni dissenzienti su questo tema. Ci si domanda, cioè, se sia il caso di inserire nel codice penale o nel Testo unico dell'ambiente questo tipo di fattispecie.
  La mia opinione è che le fattispecie che ci accingiamo a costruire sono quelle di cui effettivamente c’è bisogno per completare il nostro sistema di tutela. Esiste, infatti, un sistema che, come ovviamente saprete meglio di me, è polarizzato. Da un lato, ci sono violazioni formali di pericolo astratto, che sono, per lo più, molto lontane dall'aggressione effettiva al bene protetto, perché ineriscono, per esempio, al difetto dell'autorizzazione a operare in un dato settore o si approssimano, ma non chiedono ancora la verifica del pericolo per il bene protetto. Per esempio, si tratta di violazioni incentrate sul superamento dei valori soglia nelle immissioni nei corpi recettori idrici, nell'aria e via elencando.
  Dall'altro lato, c’è un uso a volte disinvolto e a volte fallimentare nel risultato processuale di fattispecie che, non Pag. 3nate per sanzionare fatti lesivi dell'ambiente, vengono a questa finalità adattate. Tra queste vi sono il disastro ambientale, ma anche altre fattispecie di minor peso sanzionatorio, come il danneggiamento, del quale si è fatto e si fa un determinato uso nella materia idrica, in particolare nella tutela della salubrità dell'acqua, o il getto pericoloso di cose, del quale si fa uso in materia di emissioni, di elettrosmog e via elencando.
  Poiché ci muoviamo in questo tipo di polarità, c’è bisogno di costruire fattispecie che, attenendoci anche semplicemente all'indicazione dell'articolo 3 della direttiva europea del 2008, n. 99, siano efficaci e dissuasive, ma soprattutto concentrate su ciò che manca nell'attuale sistema di tutela, ossia incriminazioni del pericolo concreto e del danno.
  Nel realizzare questo obiettivo è ragionevole, proporzionato e congruo che si ricorra a delitti piuttosto che a contravvenzioni. Stiamo parlando di fattispecie la cui verifica postula l'accertamento di una lesione effettiva o di una lesione prossima, una lesione che, peraltro, tocca un bene fondamentale, ma che, soprattutto, ha la caratteristica, quando lo lede, di avere una proiezione transgenerazionale.
  Rispetto a questo tipo di lesione considerare che le sanzioni attualmente esistenti per quelle fattispecie – che sono preventive, come vi dicevo, e non ancora focalizzate sulla messa in pericolo concreta e sul danno; sono infinitamente inferiori a quelle previste per il furto in un supermercato o questioni del genere – dovrebbe far comprendere a tutti che c’è bisogno di costruire tali fattispecie come delitti e con pene dissuasive.
  Perché sostengo che questi elementi devono andare nel codice penale e non a incrementare il già complicatissimo sistema del Testo unico ambientale ? Le fattispecie che immagino sono in parte già esistenti. La fantasia non si deve esercitare più di tanto. Abbiamo in campo, ed è oggetto dei lavori della mia Commissione, lo studio di almeno quattro proposte, tra cui le due che vengono oggi qui analizzate, ossia la proposta Realacci e la proposta Micillo, nonché la proposta Russo del 2005 e lo schema di legge delega del Consiglio dei ministri dell'aprile 2007.
  Le fattispecie che noi, ma anche voi, abbiamo in mente sono fattispecie che, al netto di alcuni rilievi e precisazioni che tra un poco mi accingerò a fare, soprattutto se sarò da voi sollecitato, presentano caratteristiche che si prestano al codice penale. Contengono, infatti, tutte, doverosamente, un rinvio implicito, attraverso quelle che i penalisti dommatici chiamano clausole di antigiuridicità speciale, ossia avverbi del tipo «abusivamente» o «illegittimamente» usati per connotare il comportamento o la condotta che devono dar luogo a determinate conseguenze per costituire questo tipo di delitti, a tutto il sistema che disciplina la materia ambientale – la tutela delle acque, la tutela dell'aria, la materia dei rifiuti – che si trova nel Testo unico ambientale e in altre fonti sparse.
  Tutto il resto, cioè la maggior parte della componente descrittiva di queste fattispecie, è da codice penale. Evoca concetti di forte connotazione descrittiva e naturalistica che devono essere resi, se non lo sono già stati, in termini estremamente comprensibili per una generalità di soggetti che non si può limitare evidentemente alla comunità degli esperti. Soprattutto evoca – e, se non lo fa, lo deve fare – i concetti di pericolo concreto e di danno, che sono concetti da codice penale.
  Si deve tenere conto anche dei provvedimenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, che stabiliscono i criteri con i quali si distingue un delitto da una contravvenzione, laddove si parla di pericolo concreto e di danno e si fornisce di queste nozioni un elemento che le rende processabili, cioè che delimita adeguatamente le esigenze investigative del PM, le aspettative probatorie del giudice, il perimetro dell'accusa e della difesa nel processo. Di questo poi non dobbiamo mai perdere il senso: tutto quello che andiamo a fare deve essere concretamente ed effettivamente processabile per arrivare a dei risultati.
  Ebbene, in presenza di tutto ciò, questa è materia tipica dei delitti ed è materia Pag. 4che può stare nel codice penale piuttosto che andare a incrementare un sistema già estremamente complicato. Ci sono oltre 300 articoli nel Testo unico ambientale.
  Peraltro, ci sono complicazioni particolari, perché tutti i testi disponibili, compresi i due di cui oggi parliamo, giustamente si propongono di incriminare comportamenti che trascendono dall'identificazione del comparto della matrice ambientale violata.
  Voi andate a guardare dei risultati e descrivete alcune condotte di immissione che, in quanto capaci di produrre tali risultati, devono essere incriminate, a prescindere dal fatto che l'immissione si verifichi nel corpo recettore idrico, nell'aria, nel suolo o nel sottosuolo. In tutti i testi c’è il riferimento a questi comparti. Sapete che, invece, il Testo unico ambientale, per ragioni anche molto comprensibili, è ripartito in ragione delle matrici violate. Dove le andiamo a mettere, anche volendo immaginare un ordine in cui inserire questo tipo di violazioni ?
  Aggiungo anche che dal Testo unico ambientale alcune fattispecie dovrebbe entrare nel codice penale, per esempio quella di cui all'articolo 260. Si tratta di una fattispecie in cui c’è un richiamo sintetico e necessario, attraverso il concetto di abusività, al sistema delle norme tecniche che disciplinano, nel caso di specie, la gestione dei rifiuti.
  Per tutto il resto c’è il riferimento a connotazioni che non sono particolarmente tecniche. Sono da codice penale, ossia sono elementi descrittivi di diffusa comprensibilità, come è giusto che sia tutto ciò che è delitto. Naturalmente, lo scopo delle nostre descrizioni deve essere anche quello di orientare i comportamenti. Se li descriviamo in maniera incomprensibile, non riusciamo a raggiungere questo obiettivo.
  Quali sono tali elementi ? Si parla di ingente quantità, di continuità, di iterazione della gestione illecita, di una finalità di ingiusto profitto. È una terminologia tipica del codice penale. Non solo, quindi, occorre inserire alcuni delitti nel codice penale, ma anche trasferire dal Testo unico ambientale quel delitto in particolare. Del resto, è una proposta che trova adesione, per esempio, nel professor Ruga Riva e in altri esponenti della dottrina che si è occupata e si occupa di questo argomento.
  Volete che passi immediatamente a qualche analisi più puntuale o attendo le vostre domande ?

  PRESIDENTE. È meglio passare a qualche aspetto critico, ovviamente costruttivo, sulle proposte.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. Io mi sono soffermato, in particolare – naturalmente, però, sono pronto a rispondere su vostra sollecitazione anche su altro – su quattro profili: la fattispecie base delle due proposte, quella che in entrambe viene definita di inquinamento ambientale; la fattispecie massima, che, in questa logica di progressione dell'offesa, è in entrambe le proposte il disastro ambientale; la fattispecie di frode in materia ambientale, su cui nutro alcune perplessità in merito all'opportunità di inserirla in questa sede piuttosto che di costruirla come forma circostanziale delle fattispecie che stanno, per esempio, nel titolo dei delitti contro la fede pubblica; infine, la questione dei risvolti associativi del crimine ambientale.
  Non parlo delle associazioni finalizzate al crimine ambientale, perché, in realtà, la proposta Realacci non prevede un'associazione finalizzata al titolo ambientale, quanto un'aggravante per il delitto-scopo, come lo chiamiamo noi penalisti, cioè il delitto concreto e attuativo del programma, quando sia attuativo di un programma associativo. È una questione completamente diversa dal costruire un'associazione finalizzata alla perpetrazione stabile e indeterminata del crimine ambientale.
  Per quanto riguarda la fattispecie base, quella che, lo ripeto, in tutte le proposte è chiamata di inquinamento ambientale, e Pag. 5che era tale anche nel disegno di legge del Consiglio dei ministri del 24 aprile 2007 – credo che la dizione formale fosse «schema di legge delega» – non ho particolari rilievi. Osservo solo, e in questo condivido ciò che credo sia stato riferito anche da Luca Ramacci, un componente del mio Gruppo di studio, una certa vaghezza delle nozioni di rilevante deterioramento di stato dell'aria, laddove soprattutto il deterioramento potrebbe essere più efficacemente descritto come danno e il pericolo di deterioramento come pericolo di danno. Questo atteso che una definizione di danno e di danno ambientale esiste già nella giurisprudenza e che forse figura persino in una delle due proposte, o in qualcuna delle precedenti, quella del 2005 o del 2007.
  Le due proposte Micillo e Realacci segnano un passo avanti, in particolare, rispetto alla proposta Russo del 2005, per esempio, perché compiono una scelta che è, secondo me, quella opportuna e azzeccata. Nella proposta Russo, infatti, si trasformava in delitto qualunque violazione che, pur strutturalmente identica a quelle che già oggi costituiscono contravvenzioni, fosse, però, caratterizzata dal dolo. In queste due proposte, invece, si associa al dato del dolo l'esigenza, che a me sembra quella più qualificante, ossia che merita effettivamente l'incriminazione come delitto e l'inserzione nel codice penale, di un evento di pericolo, che però forse nella proposta Micillo non è precisato dover essere un pericolo concreto.
  Io preciserei, invece, che si deve trattare di un pericolo concreto e/o di danno, con tutta una scala di aggravanti che tenga conto poi dell'estensione di questo danno. Per esempio, nella proposta Realacci il disastro ambientale non è altro che un'aggravante di questo tipo di fattispecie base. Questo è, dunque, l'aspetto positivo.
  Per quanto riguarda entrambe le proposte, ma in particolare quella di Micillo – quanto dico adesso vale, in realtà, anche per le altre fattispecie che compongono i due progetti – io nutro, però, alcune perplessità, ed è questo uno dei temi che ho proposto al mio Gruppo di studio, sull'adeguatezza e l'efficacia di queste elevate sanzioni pecuniarie, che sono una caratteristica molto riconoscibile nella proposta Micillo, per diversi ordini di ragioni.
  La prima nasce dall'esperienza. Ci sono alcune fattispecie – io ho fatto per quasi vent'anni il giudice di merito; adesso sono in Cassazione, ma fino a meno di un mese fa ero giudice di merito – per esempio il contrabbando di sigarette, che prevedono pene pecuniarie mostruose. La pena è di 5 euro per ciascun grammo convenzionale di prodotto di contrabbando. Anche l'ultimo corriere, che magari oggi arriva soprattutto arriva dalla Romania, che si trova con 50 chili di sigarette di contrabbando viene condannato a 3-4 milioni di euro. Ovviamente nessuno ha mai visto pagare questi soldi.
  Sarà poi un caso che, per esempio, i delitti contro la pubblica incolumità, che sono nel codice penale, non prevedano una pena pecuniaria ? Io capisco che ci sia dietro questa richiesta questo tipo di proposta. Penso, però, anche che ci sia il conferimento alla pena pecuniaria di una funzione impropria. La pena pecuniaria non ha una funzione risarcitoria. Al risarcimento si deve pervenire con altri modi, che in parte sono anche disciplinati. Ci sono almeno due canali attraverso i quali si può arrivare al risarcimento, uno, per così dire, autoritativo da parte del Ministero dell'ambiente e un altro che passa per il giudizio civile, o per l'azione civile immessa nel processo penale. Si combinano, quindi, due profili.
  A questa perplessità se ne aggiunge una che risponde alla logica di evitare complicazioni dogmatiche. La pena pecuniaria è un istituto in crisi nel dibattito penalistico per una ragione costituzionale, perché si dice che la pena pecuniaria non attua il principio di eguaglianza. Discrimina, cioè, tra chi si può permettere di pagarla e chi non si può permettere di pagarla, perché colui che non si può permettere di pagarla la vede poi convertita in una limitazione della libertà personale che si chiama libertà controllata, ovvero lavoro sostitutivo e via elencando.Pag. 6
  C’è, per esempio, un trend dottrinale che so formare oggetto anche del dibattito in corso presso la Commissione sulle alternative sanzionatorie costituita presso il Ministero della giustizia, in particolare in una sottocommissione presieduta da Giorgio Fidelbo, cui partecipa anche Alberto Gargani. Sono anche loro nostri interlocutori per questo lavoro sui reati ambientali. Per esempio, loro vorrebbero generalizzare il sistema della pena pecuniaria per quote, che esiste nella materia della responsabilità degli enti e soddisfa un'esigenza di proporzione. Io nutro alcune perplessità se sia il caso di mettersi in questo ginepraio di problemi, soprattutto a fronte del fatto che tali pene non saranno pagate in questo particolare settore.
  Veniamo adesso al disastro. Per quanto riguarda il disastro ambientale, è sicuramente una delle fattispecie su cui c’è pressoché un'unanimità dottrinale in merito alla necessità di tipizzarlo come delitto e di inserirlo nel codice penale.
  Della necessità di tipizzarlo sono stato anch'io promotore, perché sollevai nel 2006 una questione di costituzionalità su una fattispecie di disastro ambientale che veniva contestata insieme al delitto di attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti. Sollevai tale questione, a cui la Corte costituzionale mi rispose con una sentenza giustamente animata da un certo horror vacui. Si tratta, infatti, di una fattispecie, l'unica che abbiamo nel sistema, che attualmente si presta a colpire fenomeni accertati, e in quel caso lo erano senz'altro, di danno, anche di grosse dimensioni, alle matrici ambientali. Salvaguardiamola a determinate condizioni interpretative. Tuttavia, nello stesso tempo la Corte concludeva formulando un auspicio al legislatore perché questa materia non fosse affidata a una fattispecie che si chiama volgarmente di «disastro innominato».
  Precisamente nelle battute finali di questa sentenza della Corte costituzionale, la n. 327 del 1o agosto 2008, è contenuto l'auspicio che «talune delle fattispecie attualmente ricondotte con soluzioni interpretative non sempre scevre da profili problematici al paradigma punitivo del disastro innominato e tra esse segnatamente l'ipotesi del disastro ambientale formino oggetto di autonoma considerazione da parte del legislatore penale anche nell'ottica dell'accresciuta attenzione alla tutela ambientale e a quella dell'integrità fisica e della salute nella cornice di più specifiche figure criminose».
  L'invito a legiferare e a farlo, aggiungo io, nel codice, cioè in termini il più possibile comprensibili e raccordati con elementi di forte connotazione naturalistica, ci viene, dunque, dalla stessa Corte costituzionale da almeno cinque anni.
  Anche la dottrina concorda che il disastro ambientale sia una di quelle fattispecie che vanno codificate e inserite nel codice. Io forse farei uno sforzo in più per definirla. Il solo fatto di introdurre in un titolo dedicato ai delitti contro l'ambiente, con una rubrica che si chiama «disastro ambientale», una fattispecie il cui evento viene connotato come disastro rappresenta comunque un miglioramento della situazione attuale. Il disastro innominato, infatti, tra i vari problemi che pone suscita anche quello di non aderire proprio topograficamente, per collocazione e vicinanza con le altre norme, a referenti che consentano di riempirlo di contenuto precettivo. Già il solo fatto di chiamarlo «disastro ambientale» e di non affidarlo a una fattispecie innominata, attribuendogli un titolo apposito, è un passo avanti.
  Dopodiché, però, affronterei il problema di definire il concetto di disastro. Sul tema non è neanche troppo complicato farlo. In realtà, mentre la proposta Realacci non lo fa, perché lo costruisce come aggravante e lascia intendere che lo considera come una misura progressiva del danno che ha costruito come aggravante nei commi precedenti, senza alcuno sforzo di definizione, nella proposta Micillo, invece, c’è una definizione, che però è collocata in una maniera tale che non sembra essere la definizione del disastro, ma una situazione alternativa che merita la stessa pena del disastro.
  Io costruirei la fattispecie in una maniera più ordinata. Posso proporre, se lo Pag. 7ritenete utile, alcuni suggerimenti. Per esempio, il professor Ruga Riva, nel suo testo Diritto penale dell'ambiente, parla, ed è un'ipotesi anch'essa definitoria, di «accadimento di dimensioni straordinarie atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi idoneo a causare un pericolo per la vita o per l'integrità fisica di un numero indeterminato di persone».
  La Corte costituzionale, nella sentenza che vi ho citato prima, salva la norma del disastro innominato anche nel suo uso «ambientalista», stabilendo alcune condizioni interpretative rispetto alle quali se ne possa ritenere ragionevole l'uso. Nel fare ciò suggerisce alcuni spunti. Per esempio, dice che il concetto di disastro si presta a descrivere l'attitudine di un dato fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone.
  Questa espressione figura nella proposta Micillo, ma come se si trattasse di una questione che merita la stessa pena del disastro, ma che non è il disastro. A mio avviso, invece, è uno degli indici con cui si può definire il disastro, anche se appartenente a categorie determinate di soggetti. È come dire che anche se, per esempio, questa dimensione indeterminata, questa estensione, questa rilevanza oggettiva si concentra sulla comunità dei lavoratori di una determinata industria, rappresenta comunque un disastro. Parlare di un numero indeterminato non significa necessariamente che debba trattarsi di soggetti di diversa estrazione o connotazione sociale.
«Effettiva capacità diffusiva» è un'altra espressione che ricorre nella sentenza della Corte costituzionale e che può essere a sua volta una connotazione descrittiva. Va precisato anche, ma mi sembra piuttosto chiaro, almeno nella proposta Micillo, che il disastro di per sé è ancora un evento di pericolo.
  Non ci impicchiamo a queste distinzioni. Non so se avete sentito anche dei penalisti. In tal caso, avrete sentito questi parlare di pericolo o danno. Tutto sta a capire dove noi individuiamo il bene da tutelare, perché ci sono beni la cui tutela è in sé prodromica rispetto alla tutela di altri. Noi possiamo anche affermare che c’è stato un danno perché un dato bene è stato leso, ma, se per noi quello è un bene strumentale, in realtà sembra trattarsi di un pericolo.
  Non ci impicchiamo. Cerchiamo di elaborare testi che non ci facciano impiccare a questi dibattiti, se possibile. Almeno questo è il mio sforzo: perveniamo a connotazioni descrittive comprensibili, preoccupate senz'altro di focalizzare fattispecie che non siano puramente formali – questo sì – ossia contenuti offensivi chiari, percepibili e processabili nello stesso tempo, ma non mi impiccherei a questo tipo di distinzioni su distinzioni.
  Continuando con le definizioni, nella Cassazione si trova «evento straordinariamente grave e complesso». Si parla poi di un «carattere di prorompente diffusione» e dell’«eccezionalità della dimensione dell'evento». In qualche sentenza si conferisce un rilievo probatorio anche al concetto dell’«esteso senso di allarme» determinato dall'intensità di alcuni comportamenti inquinanti. In altre si dice che non deve trattarsi necessariamente di un comportamento, o di una serie di comportamenti, foriero di danno irreversibile, il che significa che, se lo è, è comunque disastro. Si può immaginare una definizione che non esiga il concomitare di tutte queste condizioni, ma che, nello stesso tempo, offra anche un catalogo esemplificativo all'interno.
  Questo è un discorso che vale per la nostra materia, ossia per la materia del concorso esterno in associazione mafiosa. L'ideale sarebbe avere fattispecie estremamente descrittive e chiaramente comprensibili. La legge, però, è generale e astratta e questo tipo di violazioni risente particolarmente degli affinamenti della tecnologia e del progresso. Noi dobbiamo trovare un compromesso tra l'esigenza di essere chiari e percepibili e la necessità di non introdurre una norma che dopodomani sia superata e che non abbia più la capacità di colpire i fenomeni quali realmente si verificano. Come diceva Giuliano Pag. 8Vassalli all'epoca, occorrono quote accettabili di descrittività, compromessi tra la chiarezza e la lunga durata.
  Io cercherei di ritagliare da questa giurisprudenza della Cassazione – magari cercherò di ordinare meglio queste mie riflessioni e di consegnarvele come contributo, se lo ritenete utile – questo tipo di connotazioni. Attualmente servono alla Cassazione e, in qualche caso, persino alla Corte costituzionale, nel suo sforzo di salvaguardare il poco esistente in materia di tutela dell'ambiente contro le aggressioni pericolose. Tali connotazioni sono indici probatori. Alcune di queste potrebbero diventare elementi costitutivi della fattispecie.
  Io ho preteso che nel mio Gruppo ci fosse una processualista, perché non credo più alla distinzione tra diritto penale sostanziale e del processo. Credo che non ci debba credere più nessuno. Anche nel dibattito sul concorso esterno in associazione mafiosa abbiamo perso di vista la distinzione e confondiamo indici probatori con elementi costitutivi del fatto. Ci arrampichiamo in considerazioni di questo genere. La verità è che i professori di diritto sostanziale italiani spesso non sanno nulla del processo e che i processualisti spesso non sanno nulla di diritto sostanziale. Bisognerebbe cercare, invece, di comunicare un po’. Noi, che siamo operatori pratici, magari più rozzi, ci dobbiamo porre questo problema. Questo, più o meno, è quanto ho da dire sul disastro.
  Sulla frode in materia ambientale alcuni dei miei rilievi coincidono con quelli di Ramacci: la scarsa afferrabilità del concetto di omissione della documentazione, l'indiscriminata sanzione per ogni tipo di documentazione falsificata o falsa della quale si faccia uso. Se voi andate a guardare anche una sola delle procedure disciplinate nel Testo unico dell'ambiente nei rispettivi comparti, acqua, aria, suolo e via elencando, vedete che non tutti quei documenti hanno un rilievo essenziale, una proiezione immediata, rispetto alla suscettibilità dell'impianto che si va a realizzare, di produrre un danno o di arrecare una lesione concreta.
  È una questione che rischia di colpire in una maniera draconiana situazioni che potrebbero non avere grande rilievo o significato, tanto più che quel genere di falsificazioni trova già una sua sanzione a volte nello stesso Testo unico ambientale, altre volte nel sistema generale dei delitti contro la fede pubblica.
  In ogni caso, pretendere di disciplinare autonomamente la frode in materia ambientale pone, io credo, almeno a prima vista, i maggiori problemi di raccordo con tutto il resto del sistema, per esempio col Testo unico ambientale. Esso già nella materia del SISTRI, ossia degli ex formulari identificativi dei rifiuti e della certificazione analitica sul rifiuto, contempla alcune incriminazioni, sia pure di livello contravvenzionale o modicamente delittuoso, come l'equiparazione all'articolo 483 dei certificati analitici in materia di rifiuti che si trova nell'articolo 258 del Testo unico ambientale. Ci sono seri problemi di raccordo.
  A me sembra un po’ eccentrico, nella definizione del documento illecitamente ottenuto, il riferimento al documento che proviene da condotte corruttive o intimidatorie tenute rispetto al pubblico ufficiale. Mi pare eccentrico rispetto al sistema e forse non particolarmente utile, nel senso che la corruzione ha già una sua incriminazione, che sta dove deve stare, cioè tra i delitti contro i pubblici ufficiali. Se si vuole connotare in maniera particolarmente grave la corruzione che culmina nel conseguimento di un provvedimento abilitante alla gestione ambientale, si può costruire, al limite, un'aggravante della corruzione. Questa operazione può avere un senso, anzi ce l'ha, da alcuni punti di vista, come proverò poi a dire, in materia, per esempio, di associazione.
  Forse si è voluto dire questo perché, se io mi limito all'incriminazione della corruzione, non sanziono colui che si limita senza aver partecipato alla corruzione, all'interno della divisione del lavoro criminale che esiste nelle imprese dedite all'inquinamento. Tale soggetto non ha partecipato alla corruzione e, quindi, per Pag. 9la corruzione non risponde, ma fa uso del provvedimento abilitante che ha ottenuto attraverso la corruzione.
  Nel codice penale esiste la ricettazione, che, peraltro, è punita più gravemente della fattispecie che si è andata qui a configurare, perché la pena va dai due agli otto anni. Anche da questo punto di vista non ce ne sarebbe, quindi, del tutto bisogno.
  Mi porrei alcune questioni. Di fronte a gravi problemi di raccordo con il sistema di tutela della fede pubblica in senso lato col sistema dei delitti dei pubblici ufficiali contro la PA a me sembra che questa norma aggiunga poco in termini di tutela e che rischi, per l'indeterminatezza di alcune nozioni, di focalizzare fatti non necessariamente allarmanti. Nella gamma procedurale che conduce alle abilitazioni in materia ambientale o alla gestione ambientale non tutto è poi essenziale o importante. Non ogni passaggio burocratico va presidiato con tanto vigore.
  Sulle associazioni l'interesse per il risvolto associativo delle questioni ambientali esiste in tutte le quattro proposte che almeno il mio Gruppo di studio ha esaminato, ossia la proposta Russo, lo schema di legge delega dell'aprile 2007, la proposta Realacci e la proposta Micillo. I punti di vista, però, sono diversi. La proposta Russo del 2005 e lo schema di legge delega del 2007 tipizzano l'associazione finalizzata all'illecito ambientale come reato autonomo, mentre le proposte Realacci e Micillo considerano il fenomeno dal punto di vista della circostanza aggravante.
  La proposta Micillo, diversamente dalle altre tre che ho menzionato, focalizza esclusivamente la sua attenzione sulle associazioni mafiose. Secondo me, è in questo senso parziale. Per il resto è la migliore dal punto di vista dell'aggravante relativa alla finalità ecomafiosa.
  Perché è la migliore ? Innanzitutto perché, diversamente dalla Realacci, non incrimina il reato finale in quanto realizzato dall'associato e coerente con il programma di un'associazione mafiosa, ma incrimina, come è giusto che sia, anticipando doverosamente la soglia di tutela, l'organizzazione in sé che nasce, si organizza, si struttura e si munisce di mezzi al fine di commettere questa violazione.
  In secondo luogo, è la più coerente con l'attuale catalogo dei fini dell'associazione di tipo mafioso che si trova nel comma 3 dell'articolo 416-bis. A mio avviso, è la più coerente perché ricorda ciò che altre volte si dimentica, ossia che l'associazione di tipo mafioso si connota rispetto alla normale associazione per delinquere perché non deve avere necessariamente tra le sue finalità la commissione di delitti, cioè di fatti che aliunde siano considerati delitti.
  Quelle veramente evolute non commettono neanche più delitti nel senso tradizionale del termine. I capi che hanno un minimo di capacità strategica fanno di tutto per non dovere più commettere quei delitti. La fattispecie si connota, invece, perché ambisce, ed è questo sicuramente il suo stadio più evoluto, alla penetrazione di determinati mercati. Ambisce a penetrarli non necessariamente o non più facendo uso del metodo intimidatorio, come invece leggo in qualcuna delle altre proposte che subordinano l'aggravante all'impiego del metodo intimidatorio, perché non ne ha più bisogno. Questo è uno degli sbocchi di reinvestimento dell'associazione mafiosa, laddove il reinvestimento non avviene necessariamente con metodo mafioso, ma sempre – questo sì – con finalità di locupletazione del sodalizio.
  A me sembra che la proposta Micillo colga bene questo aspetto nella misura in cui parla di «un'associazione finalizzata a commettere» un serie di delitti «ovvero all'acquisizione della gestione o comunque del controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici in materia ambientale, ovvero alla realizzazione di profitti e vantaggi ingiusti connessi alla violazione delle norme poste a tutela dell'ambiente». C’è un po’ tutta la gamma criminologicamente realistica dell'agire di tali associazioni in questo settore.
  Questo è sicuramente quanto c’è di buono. Quello che manca è una focalizzazione del fenomeno dell'associazione per delinquere non mafiosa che, tuttavia, sia Pag. 10impegnata in questo settore e che, invece, c’è in altre proposte. Per esempio, c’è nella proposta che io chiamo volgarmente Prodi, ossia nello schema di legge delega del 2007, nonché nella proposta Realacci, ma con la particolarità che vi ho detto prima, ovvero che, in realtà, è un'aggravante del delitto-scopo e non una fattispecie associativa. Figurava anche nella proposta Russo.
  Quando parliamo dell'associazione per delinquere comune, non mafiosa, dobbiamo esigere che la finalità sia quella di commettere delitti in materia ambientale. Non vale il discorso che ho fatto prima per l'associazione mafiosa, quindi, perché non è quella la struttura dell'articolo 416. Il 416 e il 416-bis sono fattispecie molto diverse, non solo per dati nominalistici o regionali. Sono proprio costruite strutturalmente in maniera diversa.
  Io introdurrei un'aggravante per l'associazione ecomafiosa più o meno identica alla proposta Micillo e un'aggravante per l'associazione a delinquere semplice. Nel 416 o, se si vuole, anche nel nostro titolo dei delitti contro l'ambiente, si può prevedere che chi commette i comportamenti, costituisce, promuove, partecipa o fonda l'associazione di cui al 416 con la finalità di realizzare delitti contro l'ambiente sia punito con una connotazione di questo genere. L'innestabilità dell'associazione per delinquere sul crimine ambientale è già confermata dalla Cassazione nell'unico caso di delitto che esiste attualmente. È stata riconosciuta la compatibilità tra un'associazione per delinquere e l'attività organizzata per il traffico illecito dei rifiuti.
  Vi dico subito, però, che io mi porrei un problema. L'attività organizzata, che già esiste e che addirittura io ambirei a mettere nel codice penale, ha questa connotazione organizzativa, e così anche l'associazione. È vero che non sono esattamente la stessa cosa. L'associazione presuppone la plurisoggettività, che non è richiesta dall'attività organizzata. In verità, però, io ho fatto un buon numero di processi e di sentenze su attività organizzata per traffico illecito in cui l'organizzazione ha sempre contato anche su una plurisoggettività. Poiché, però, la superfetazione delle fattispecie, soprattutto quando la criminologia ci dice che stanno sempre insieme, non è un valore positivo, mi porrei, nel momento in cui andiamo a fare questa operazione, un problema di raccordare e spiegare le differenze.
  Detto questo, c’è un punto della proposta Russo del 2005, che, volendo costruire un'associazione finalizzata al crimine ambientale o un'aggravante dell'associazione per delinquere che focalizzi la finalizzazione al crimine ambientale, meriterebbe di essere considerata. La proposta Russo è l'unica tra le quattro che ho preso in considerazione che valorizza, stabilendo una pena differenziata, la circostanza, che corrisponde a una realtà criminologica molto forte e persino imprescindibile perché queste associazioni possano funzionare come funzionano – che l'associazione includa un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio investito del rilascio delle abilitazioni e, quindi, di funzioni e di compiti nella materia. Io considererei questo aspetto, lo recupererei dalla proposta Russo, nel momento in cui costruiamo un'associazione per delinquere finalizzata al crimine ambientale.
  Per ora mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. La ringrazio di questa approfondita analisi.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALESSANDRO BRATTI. Grazie davvero per gli approfondimenti fatti e anche per i suggerimenti assolutamente utili.
  Io volevo chiedere il suo parere su un punto. Si è parlato di disastro ambientale, facendo riferimento alla fattispecie di reato. A me sembra che si faccia sempre riferimento a danni causati comunque a persone e non all'ecosistema in generale. Questa è una discussione probabilmente non semplice, perché, quando si parla di ambiente, si può intendere l'ambiente naturale, ma anche quello delle bellezze architettoniche.Pag. 11
  A me piace molto la definizione di ecosistema e del danno che si può creare alla funzionalità dell'ecosistema, che mi rendo conto essere una concezione probabilmente più «naturalista», più ambientalista in senso stretto, perché credo che, alla fine, se si parla di beni culturali o di beni architettonici, ci siano già nella legislazione possibilità di intervenire, se qualcuno crea un danno.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. In realtà, se posso interromperla, sul piano dell'effettività non siamo molto lontani. Esiste una sola fattispecie di delitto, che si trova, credo, nel decreto legislativo Urbani n. 42 del 2004, per un'ipotesi di abuso relativo a bene vincolato. Per il resto non ci sono fattispecie particolarmente effettive neanche in quel settore.

  ALESSANDRO BRATTI. In ogni caso, secondo me, una distinzione potrebbe essere utile. Pongo questo come elemento di discussione. Se si parla di disastro ambientale, è un disastro l'intervenire in un'alterazione pesante del paesaggio in senso culturale, ma, se si preclude a una foresta di svolgere le sue funzioni per tot anni, probabilmente è un vero e proprio disastro ambientale. Diverso è il caso di un incendio di dieci alberi. Su questo io credo che bisognerà essere piuttosto precisi.
  L'altra questione, che pongo anche in questo caso come una domanda, riguarda il tema della frode. Non c’è dubbio che, soprattutto sulle questioni che riguardano certificati analitici alterati, analisi non effettuate bene, campionamenti falsi, sia necessario, per contrastare queste situazioni, che oggi sono molto diffuse, avere anche un sistema di controlli che funzioni.
  Oggi, nella stragrande maggioranza dei casi, pur non essendo in fattispecie penali, quando si hanno queste contestazioni da parte dell'organo, che quasi sempre è l'agenzia ambientale che fa i prelievi o i certificati, a volte perché non ha le metodiche adeguate, l'autorità pubblica viene quasi sempre contestata, a meno che non ci siano casi eclatanti. Quando va in tribunale, perde.
  A mio parere, ma vorrei sentire la sua opinione, è necessario che nell'applicazione, per quanto la norma possa essere scritta bene, ci sia anche la filiera dei controlli che funzioni in maniera adeguata e che sia in grado di verificare che davvero si tratta di frode, di certificati analitici falsi o di campioni che non sono stati eseguiti nella maniera idonea.
  L'ultima questione che credo sia assolutamente importante, e che lei ha rilevato, è che non sempre il reato ambientale, quando si parla di associazioni, fa riferimento a un'associazione di carattere mafioso. La stragrande maggioranza dei casi riguarda associazioni tra il laboratorista, il trasportatore e magari il funzionario pubblico. Trattasi di associazioni, perché c’è un progetto criminoso che si costruisce, ma non necessariamente di stampo mafioso. Su questo le fattispecie sono tante. Credo sia giusto definire bene anche questa situazione.
  Volevo conoscere, dunque, la sua opinione sulla questione dei controlli e anche sulla definizione di ambiente.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. La definizione di ambiente è veramente un'opzione politica. Lei ha toccato un nodo cruciale. In astratto possiamo dire che abbiamo due alternative: una nozione ecocentrica dell'ambiente, che ritiene un valore in sé, e non solo un elemento strumentale rispetto alla salvaguardia della salute umana, l'ambiente, le matrici ambientali, l'ecosistema, la biodiversità e via elencando e una visione, invece, antropocentrica, in cui all'ambiente si conferisce funzione servente, per la quale la sua adesione ha una ripercussione o merita un intervento sanzionatorio e repressivo in quanto si traduce in un pericolo per la salute, per l'integrità e per l'incolumità.Pag. 12
  Anche su questo cerchiamo di non impiccarci alle ideologie. Come qualche studioso ha osservato – non ricordo più se fosse Bernasconi – non necessariamente una visione antropocentrica dell'ambiente realizza una minor tutela del bene. Seppure considerato nella sua proiezione servente rispetto all'uomo, è comunque un bene che va tutelato e a noi deve interessare che questa tutela sia efficace.
  È vero, però, che, nel momento in cui noi andiamo a definire il massimo delle possibili messe in pericolo o delle possibili lesioni del disastro, questa questione mostra la corda, questa incertezza si apprezza. La giurisprudenza che prima ho citato è una giurisprudenza della Corte di cassazione, ma in parte qualche indicazione si coglie nella stessa sentenza della Corte costituzionale del 2008, che, però, svolge un'analisi e un'interpretazione di una fattispecie, che è l'attuale disastro, nel titolo «delitti contro la pubblica incolumità».
  Nulla toglie che, nel momento in cui noi, invece, stiamo costruendo una fattispecie che si intitola «delitti contro l'ambiente», focalizziamo l'attenzione sul fatto che l'evento di prorompente diffusività, di quel tipo di dimensione, suscettivo di un impatto anche, ma non necessariamente irreversibile, la cui risoluzione non si contenta di ordinarie opere di bonifica, bensì esige interventi straordinari, sia non necessariamente un evento che metta in pericolo la salute o la vita. Può essere anche un evento che, con le caratteristiche che ho descritto, semplicemente compromette un'estesa area esclusivamente dal punto di vista delle matrici ambientali.
  Questo si può fare, nel momento in cui noi stiamo mettendo a titolo di questa serie di norme questo bene, che finora non c'era, con tutte le complicazioni che ci vengono dal fatto che l'ambiente non è definito neanche in Costituzione. Noi lo ricaviamo, infatti, mischiando, non a caso, l'articolo 9 e l'articolo 32, che riguarda la salute. Anche la Costituzione sembrerebbe, dunque, averne una proiezione funzionale alla salvaguardia della salute.

  ALESSANDRO BRATTI. Quando hanno scritto la Costituzione...

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. Certo, è chiaro, il problema non era affiorato nella sua autonomia. Non c’è dubbio. Ci possiamo, però, porre questo problema.
  Anche la norma comunitaria, il famoso articolo 3 della direttiva del 2008, quella che poi è stata malamente attuata dal decreto legislativo del 2011, in effetti sembra tener conto di questa proiezione perché parla, come norme che devono essere munite di una sanzione effettivamente efficace e dissuasiva», dello «scarico, l'emissione o l'immissione illeciti di un quantitativo di sostanze o radiazioni ionizzanti nell'aria, nel suolo o nelle acque che provochino o possano provocare il decesso o lesioni gravi alle persone o danni rilevanti alla qualità dell'aria, alla qualità del suolo e alla qualità delle acque, ovvero alla fauna o alla flora». C’è, in fondo, una coesistenza dei profili strumentali rispetto alla tutela della salute con la tutela dell'ambiente in quanto tale.
  Svolgerei un rilievo in merito, perché anche questo è un tema di dibattito dottrinale sul quale forse occorre prendere una posizione. Per quelle fattispecie – credo che ci siano in entrambe le proposte in esame e forse anche nelle altre due che noi abbiamo analizzato – in cui si parla di una salvaguardia dello stato dell'aria, dell'acqua e del suolo forse andrebbe precisato di quale stato si tratti. L'obiettivo non è ovviamente il ritorno a una purezza originaria, che chi sa a quando risale. Anche questo va tenuto in conto. Se vogliamo fare un lavoro che abbia una sua effettività e che non sia ideologico, dobbiamo tener conto del fatto che stiamo parlando della gestione di un'area di rischio in cui c’è una quota di lesione che è necessariamente consentita. L'obiettivo non è il ritorno a una purezza originaria, Pag. 13ma alla purezza che c'era prima della violazione, cioè allo stato sussistente prima che la violazione fosse commessa.
  Passo alla riflessione sull'ecomafia e sull'associazione. Ho cercato di dirlo, ed è per questo che proponevo due fattispecie circostanziali o specialistiche, una per l'associazione mafiosa, per la quale secondo me va bene come è costruita nella proposta Micillo, e un'altra sull'associazione a delinquere comune, con le caratteristiche che illustravo e con l'aggiunta dell'ipotesi di inclusione del pubblico ufficiale.
  Per la mia esperienza giudiziaria, in particolare per quanto riguardava i clan campani, effettivamente i clan campani si sono immessi nella faccenda dei rifiuti, ma non l'hanno inventata loro. Le organizzazioni che vi operavano non era nate da loro. Si sono immessi in seguito e hanno portato il loro capitale, in termini sia intimidatori, sia di uomini e mezzi.

  PRESIDENTE. Vorrei inserirmi un attimo nella discussione. Stavo verificando le proposte di legge presentate nella precedente legislatura e ho visto che prevedevano comunque in un articolo iniziale la definizione di ambiente. La domanda all'operatore della giustizia, anche per consentire di delimitare le fattispecie e di dare un indirizzo più specifico all'interprete, è se tale definizione possa essere recuperata. Vedo che non figura né nella proposta Realacci, né nella proposta Micillo.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. Forse dovrebbe stare in Costituzione.

  PRESIDENTE. Potrebbe essere utile ?

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. Forse dovrebbe stare in Costituzione. Io temo che ci perderemmo, perché sul punto le sensibilità sono veramente molto differenziate. È una nozione in evoluzione e soprattutto, in fondo, di una definizione del bene protetto noi facciamo a meno in tutto il resto del codice penale. In genere l'enucleiamo dalla tecnica di tutela.
  Se noi mettiamo insieme, per esempio, per definire il disastro, quelle connotazioni di misura, di estensione e di gravità e le riferiamo sia alla mera tutela della matrice ambientale, sia a quella della salute, possiamo dire che il nostro legislatore, che in questo caso saremmo noi, ha una nozione «eclettica» del bene ambientale, che contempera gli indirizzi contrapposti.
  Lasciamo che siano gli interpreti a porsi questo problema. Cerchiamo di fare norme effettive. L'ideale sarebbe che se ne occupasse la Costituzione. Questo aspetto in Costituzione non c’è. Questo è il punto.

  PRESIDENTE. Sono stati evidenziati come temi importanti, o comunque significativi, la questione dell'estensione delle norme in materia di confisca, la questione della responsabilità delle persone giuridiche, degli enti, e soprattutto il ravvedimento operoso, così come è stato congegnato nelle proposte. Può essere migliorato ? È efficace o no ?
  In realtà, seguendo un po’ il discorso che lei svolgeva inizialmente sulla non particolare incidenza della pena pecuniaria alta ai fini del ripristino, sotto il profilo del ravvedimento operoso o di una cosiddetta giustizia riparativa ci possono essere soluzioni di interesse ?

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. La premessa è che lo strumento penale è una risorsa scarsa e che, quindi, se vogliamo emanare norme effettive che diano luogo a un risultato processuale apprezzabile in tempi ragionevoli, dobbiamo pensare contemporaneamente a tecniche di fuoriuscita dal circuito penale sia delle violazioni meno gravi, sia dei soggetti responsabili di Pag. 14quelle più gravi che, però, tengano comportamenti riparativi. Se non pensiamo in parallelo queste due eventualità, produciamo «gride» manzoniane, cioè norme che fanno paura verbalmente, ma che poi non realizzano risultati.
  Un'ipotesi è quella, per esempio, della depenalizzazione, o dell'applicazione di mere sanzioni amministrative per le fattispecie di pericolo astratto, quelle che attualmente sono sanzionate come contravvenzioni, quando siano tali, cioè quando l'indagine non documenti che sia conseguito a esse un evento di pericolo concreto o di danno. Questa ipotesi, purtroppo, si scontra con la debolezza e l'impotenza della nostra pubblica amministrazione. Sarebbe, tutto sommato, ideale che le fattispecie di pericolo astratto fossero munite di sanzioni puramente amministrative, se ci potessimo fidare dell'effettività di tali sanzioni.
  In realtà, va precisato che anche la Germania, che ha una pubblica amministrazione un po’ diversa, continua a incriminare questi come reati, sia pure contravvenzionali. Cito la Germania perché ha il modello più completo di tutela dell'ambiente, nel senso che comprende una serie di reati ostacolo, ma anche di reati finali, cioè effettivamente lesivi o di concrete compromissioni.
  La tecnica di fuoriuscita che, da questo punto di vista, credo vi sia stata prospettata anche da Ramacci, perché è un po’ il frutto delle idee del lavoro del nostro Gruppo di studio, è quella che si applica in materia di infortuni sul lavoro. Per le violazioni formali, verificato da parte del giudice che non ci sono stati eventi con conseguenze in termini di pericolo concreto o di danno, si potrebbe stabilire che siano imposte al soggetto che se ne è reso responsabile determinate prescrizioni dirette a mettersi in regola con queste violazioni e un'oblazione pagata, la quale poi esce dal circuito penale.
  È meglio che depenalizzare a monte, perché perderemmo anche quel minimo di deterrenza e, quindi, di incentivo a cooperare che nasce dal fatto che si parte con un reato che ha comunque una sua rilevanza penale.
  Gli istituti riparatori che riguardano i delitti contemplati un po’ in tutte le proposte che abbiamo preso in esame, non solo le Realacci e Micillo, ma anche le precedenti Russo e lo schema di legge delega del 2007, sono ovviamente a loro volta decisivi e importanti. Funzionano, però, naturalmente, a condizione che sia effettivo e sufficientemente deterrente il sistema ordinario.
  È lo stesso discorso che vale per i riti alternativi nel nostro processo. Perché i procedimenti speciali, per esempio, non funzionano per i reati modicamente puniti e funzionano per quelli puniti più severamente ? Perché evidentemente c’è una premialità clandestina del reato punito con pene basse che sta nella prescrizione: io non mi assumo l'onere e gli impegni di una collaborazione con gli inquirenti, di una condotta riparatoria o risarcitoria, di una dimostrazione di resipiscenza, se so che posso ottenere il risultato dell'impunità semplicemente per il decorso del tempo.
  Se noi costruiamo, invece, alcune fattispecie effettive, ossia focalizzate e discriminate con i criteri che ho esposto, con pene che effettivamente consentano un'efficace indagine attraverso le intercettazioni, le misure cautelari personali, oltre che reali termini di prescrizione che resistano alla complessità di questi accertamenti, compatibili con la complessità, che è forte, di molte di queste vicende e di questi accertamenti, allora avremo anche incentivato le condotte riparatorie.
  Dopodiché, vedo che l'unica differenza è un po’ di misura. Per esempio, lo schema di legge delega del 2007 era il più coraggioso. Per colui che si attivasse spontaneamente prima dell'esercizio dell'azione penale nel senso della riparazione o del ripristino era prevista addirittura l'esclusione della punibilità.
  Nelle ultime due, invece, il discorso è di misura della riduzione di pena, con una differenziazione legata al tempo in cui si matura la scelta collaborativa e anche un Pag. 15po’ alla tipologia. Voi concepite, cioè, un ravvedimento operoso che ha una connotazione di collaborazione con gli inquirenti volta a far sì che siano individuati gli altri responsabili della violazione e che siano sottratte le risorse investite o impiegate nella violazione, nonché approfondite altre attività programmate, nell'ipotesi di un'associazione che si occupi stabilmente di questo tipo di fatto.
  Poi c’è un'altra fattispecie che voi costruite sulla base del comportamento riparatorio e di ripristino. Io mi spingerei fino al punto della causa di non punibilità, pretendendo, però, che ci sia un comportamento che copra tutti e due i fronti, cioè che sia riparatorio e, nello stesso tempo, collaborativo per il disvelamento dei complici e per la sottrazione delle risorse. Io pretenderei che, prima dell'esercizio dell'azione penale, il soggetto che fa tutte queste cose possa anche godere della impunità, cioè possa anche essere avere questa causa di non punibilità.
  Condivido, quindi, la strategia e penso che debba procedere in parallelo. Ritengo, però, che non si possa fare una norma con margini di effettività se non si pensa anche a un’exit strategy rispetto al circuito penale, perché la risorsa è scarsa.

  ALFREDO BAZOLI. Molto velocemente, lei ha fatto riferimento alla Germania, dove c’è il sistema più completo di apparato sanzionatorio. A noi è stato riferito, nel corso di qualche audizione precedente, che in Germania, pur essendoci una previsione piuttosto accurata di fattispecie delittuose, in realtà si sono celebrati molto pochi processi, perché c’è un problema di prova nel processo.
  Ci mettevano, cioè, in evidenza il fatto che oggi l'apparato sanzionatorio, attraverso le contravvenzioni, offre uno strumento molto semplice di applicazione della norma e della sanzione – basta provare il superamento delle soglie e la questione è finita – mentre trasformando in delitti questi reati, si rischia di avere poi problemi di natura processuale sulla prova. Ci hanno riferito che in Germania questi problemi si sono verificati in maniera molto evidente.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. È vero. Noi non immaginiamo di sostituire i delitti alle contravvenzioni. Quella gamma di accertamenti semplificati – la semplificazione nasce dal fatto che le contravvenzioni normalmente non hanno un evento e, quindi, non c’è da verificare nessi causali e situazioni di questo genere – sanziona violazioni formali o superamenti agevolmente accertabili di soglie limite di immissione, ossia di valori limite. Non esigono verifiche del piano soggettivo, nel senso che alternativamente il dolo o la colpa vanno sempre bene.
  Questo è certamente vero. Difatti, nessuno sta proponendo di sostituire l'un tipo di violazione all'altra. È anche vero, però, che, nel momento in cui andiamo a introdurre dei delitti, effettivamente introduciamo fattispecie impegnative. L'incremento di afflittività corrisponde, giustamente, anche a un irrigidimento della prova dal punto di vista dei presupposti e dei requisiti.
  Io, però, ho l'esperienza di un surplus di offesa rispetto a ciò che è stato sanzionato e accertato in alcuni processi. Mi sono capitati processi per attività organizzata per traffico illecito di rifiuti, che è un delitto, ma che ha una pena non particolarmente elevata, perché neanche quello è un delitto di danno. È necessario solo che il soggetto si organizzi per gestire in maniera sistematicamente abusiva con finalità di profitto un quantitativo elevato di rifiuti. Non è necessario che quei rifiuti siano pericolosi, né che siano stati immessi in uno dei corpi recettori tutelati, né che ne sia conseguito danno e, quindi, giustamente, la pena è a sei anni, salvo il caso del radioattivo, che arriva a otto.
  Io mi sono trovato in situazioni in cui, invece, il danno c'era eccome. Anzi, l'indagine è stata svolta addirittura a valle, a Pag. 16partire dal danno, per risalire all'associazione. Quella quota di disvalore non è, tuttavia, sanzionata.
  È vero, è verissimo, è chiaro, ogni volta che si introduce una fattispecie impegnativa, la prova è più seria e impegnativa. In parallelo cerchiamo di farlo. Bisogna ovviamente investire risorse. D'altro canto, esistono l'uso delle intercettazioni e strumenti che possono produrre risultati.

  PRESIDENTE. La domanda finale che volevo fare, in sintesi, è la seguente: ci sono, in un codice molto complesso, alcune condotte sanzionate, ma anche – pongo sempre la domanda all'operatore della giustizia – alcune condotte che sono fuori. Ci sono, cioè, alcune lacune.

  RAFFAELE PICCIRILLO, Presidente del Gruppo di studio per l'individuazione di strategie e priorità politiche per l'analisi, la revisione e l'attuazione della normativa in materia di tutela dell'ambiente. Ci sono alcune lesioni che sono fuori. Molte questioni di cui stiamo ipotizzando l'incriminazione si sono verificate e sono state già accertate, ma sono state punite limitatamente alla componente formale, perché era l'unica incriminata.
  Certo, ci si è mossi nell'ambito delle cornici edittali, ma di contravvenzioni. Molte questioni non sono state accertate perché, poiché affioravano unicamente come contravvenzioni, giustamente per la contravvenzione non si possono fare le intercettazioni non si può adottare la misura cautelare personale. Non abbiamo, quindi, capito fino in fondo che cosa fossero, perché, da un lato, mancava la fattispecie che incriminasse questo di più e, dall'altro, quella che c'era non consentiva l'indagine efficace. Questo è, in soldoni, il problema.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto, anche a nome della Commissione, per il suo pregevole contributo. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.25.