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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 2 di Mercoledì 26 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLA PROPOSTA DI LEGGE C. 3500 BINDI, RECANTE DISPOSIZIONI PER LA PROTEZIONE DEI TESTIMONI DI GIUSTIZIA

Indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 3500 Bindi, recante disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 5 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 5 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 8 
De Lucia Maurizio , sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Bubbico Filippo , Presidente della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Mattiello Davide (PD)  ... 10 
Sarti Giulia (M5S)  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Mattiello Davide (PD)  ... 13 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Mattiello Davide (PD)  ... 14 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 14 
Mattiello Davide (PD)  ... 14 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
De Lucia Maurizio , sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo ... 14 
Roberti Franco , Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo ... 15 
Spataro Armando , Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino ... 15 
Bubbico Filippo , Presidente della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta Civica verso Cittadini per l'Italia-MAIE: (SCCI-MAIE);
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 3500 Bindi, recante disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame della proposta di legge C. 3500 Bindi, recante disposizioni per la protezione dei testimoni di giustizia, di Filippo Bubbico, Presidente della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione, di Franco Roberti, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, accompagnato da Maurizio De Lucia, sostituto procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo, e di Armando Spataro, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino.
  Abbiamo sentito i vari procuratori distrettuali, tranne il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Torino, Armando Spataro, dal quale comincerei, in modo da chiudere questa fase. Iniziamo, perché ho paura che non ci sia poi tempo a sufficienza.
  Ringrazio gli intervenuti e avverto che, siccome ci sono delle coincidenze di Commissioni, in particolare con la Giunta per le autorizzazioni, alcuni deputati potrebbero doversi allontanare.
  Gli interventi dovrebbero contenersi entro i dieci o quindici minuti.
  Do la parola al dottor Armando Spataro.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Anzitutto, mi scuso per non essere stato presente ieri pomeriggio per un altro impegno professionale.
  Ovviamente, questa è materia che per esperienza professionale conosco, essendomi occupato di collaboratori e di parenti di collaboratori, anche se qui parliamo di una categoria più specifica, ahimè da molti anni.
  In premessa, dico che mi sono informato presso la procura che ho l'onore di dirigere sui numeri dei testimoni di giustizia che in questi ultimi anni sono stati gestiti e sono qualificabili come tali: sono pochi, in tutto tre. Il primo caso è quello della moglie di un collaboratore di Cosa nostra, che però non ha testimoniato, quindi era soltanto moglie di un collaboratore.
  Il secondo era una donna, moglie di un appartenente alla ’ndrangheta, con figlia minorenne, che ha effettivamente testimoniato. Questa potrebbe considerarsi, quindi, secondo il nuovo schema, testimone di giustizia. Peraltro, lavorava presso un'azienda sanitaria locale, come pubblica impiegata, in condizioni economiche precarie, ma è stata sottoposta a programma di protezione.
  La terza è un'altra donna, membro di una famiglia di ’ndranghetisti. Ha testimoniato anche lei. La sua è una testimonianza pubblica. Si tratta di una donna che ha anche scritto un libro sulla sua esperienza. Non ce ne sono altre. Quantitativamente, quindi, in un certo numero di anni, ci sono Pag. 4soltanto due casi effettivamente di ammessi al programma di protezione.
  Dico subito che ho cercato di studiare i documenti trasmessi e sono abbastanza convinto della bontà del progetto. Pur con qualche appunto, che farò dopo, sono convinto della necessità di evitare equiparazioni delle procedure applicative delle misure di protezione, sostegno e altro ai cosiddetti pentiti – mi permetto di usare il termine che ormai conosciamo per esigenze di sintesi giornalistica – e ai testimoni di giustizia.
  Direi che, anzi, è necessario che vi sia una differente procedura anche per quanto riguarda l'esecuzione delle misure di protezione, quelle che possono essere deliberate, le modalità a cui i testimoni sono sottoposti. Potrei su questo addentrarmi, ma mi limito a dire che la lettura della proposta di legge mi sembra sotto questo profilo soddisfacente quanto alle definizioni delle condizioni per cui si può essere qualificati testimoni di giustizia. Sono condizioni concorrenti. Sono d'accordo sulla graduazione che l'articolo 4 e l'articolo 5 prevedono delle misure di protezione e tutela e così via. Non entro, se la presidente mi autorizza, nei dettagli rispetto ciò che condivido.
  Credo che sia il caso di indicare subito i temi su cui ho letto attraverso una delle agenzie che si sono pronunciati i colleghi che avete sentito ieri.
  Io concordo con quello che è stato detto da qualcuno sulla difficoltà di tipizzare le condotte dei testimoni di giustizia e la loro classificazione, ma è necessario, per cui trovo che lo sforzo compiuto sia del tutto condivisibile. Passo in rassegna da ciò che ho letto alcuni punti che sono stati ritenuti centrali dai colleghi che hanno parlato.
  Sul verbale preliminare ci sono stati, ho letto, dei dissensi. Anche il procuratore di Milano ritiene che sia necessaria una relazione del procuratore piuttosto che una verbalizzazione. Io non vorrei formalizzarmi, ma ritengo che invece una messa a punto in un verbale preliminare degli argomenti di cui il testimone parlerà o intende parlare, non sia fuori dal circuito delle previsioni necessarie.
  Non sono d'accordo sull'obbligatorietà dell'incidente probatorio, di cui ha parlato – mi riferisco alle notizie di agenzia – il collega Colangelo, né sulla tipizzazione dei reati in relazione ai quali la testimonianza renderebbe il soggetto che l'ha resa meritevole di essere sottoposto a protezione e tutela. Non sono d'accordo, perché la tipizzazione del reato è, a mio avviso, una previsione troppo rigida, che rischia di lasciare fuori, se non addirittura di estendere, il catalogo dei reati e di lasciare fuori delle ipotesi che in questo momento a freddo magari non possiamo considerare. Mi pare giusta, invece, e corretta la definizione che lascia anche spazio all'interpretazione delle condizioni necessarie per la protezione.
  Sono d'accordissimo su quello che ha detto il collega procuratore di Reggio Calabria, Cafiero De Raho, sulla necessità di intensificare la protezione e prevederla come primaria sul territorio in cui operano, ma questo c'è già nella proposta di legge. Certo, è importante, perché una protezione che consenta al testimone di giustizia di rimanere ancorato sul territorio mi pare importante anche sotto il profilo della fiducia che i cittadini possono ricavarne: chi collabora da testimone non è costretto a «espatriare» dalla sua regione e ad andare altrove.
  Il tema che vedo ha registrato quasi un'unanimità di critiche è quello della figura del referente. Qui, in punta di piedi rispetto all'opinione degli altri colleghi, dichiaro, invece, il mio disaccordo da loro, e cioè io sono favorevole alla creazione di un referente, ma spiego anche perché.
  Nell'occasione in cui il pubblico ministero ha a che fare con un collaboratore in senso proprio, delinquente che si è pentito – ancora uso questo termine improprio – i rapporti che attengono alle sue richieste, alle sue lamentele, alle sue critiche e così via, vengono in genere tenuti attraverso un avvocato, che ha sempre, quindi, il compito di assistere il collaboratore.
  Molto spesso – diciamocelo qui con chiarezza – il pubblico ministero diventa l'interfaccia, perché molto spesso non funziona il collegamento direttamente con il Servizio di protezione anche attraverso gli Pag. 5organismi che operano territorialmente. Ovviamente, immagino che questo funzionamento non sia perfetto, ma per la solita carenza di personale e tutti i problemi che conosciamo. Certamente, però, è molto importante avere a che fare con gli avvocati. Pensate che ancora adesso ho a che fare con avvocati di persone che ho sentito come collaboratori più di dieci anni fa.
  Tutto questo non c'è per il testimone in sé, che collabora, se testimone è, – lo sarebbe con le condizioni previste dalla proposta di legge – non può ritenersi sempre assistito da un difensore. Per carità, ci potrà essere il testimone che è parente del collaboratore, e quindi conosce l'avvocato del collaboratore, ma non trovo sbagliato che anche a questa figura si assegni un ruolo di altra persona che funga da interfaccia con le istituzioni. Questo è il problema.
  L'obiezione che tutti hanno fatto, se ho ben capito, è che di questo può occuparsi direttamente il Servizio di protezione. Potrebbe farlo già adesso: io vorrei capire perché non funziona. Se la situazione critica è quella che conosciamo, io sono favorevole alla figura del referente. Se, per un colpo di bacchetta magica o di investimenti in tema di risorse umane e materiale, la situazione cambiasse e il Servizio di protezione fosse in grado di svolgere questo ruolo, va da sé che forse neppure i proponenti avrebbero inserito questa figura nella proposta di legge.
  Devo dirvi la verità: ritengo che si debba differenziare le due figure, e quindi superare la quasi identità di trattamento tra pentiti e testimoni, un'identità che non ci può essere nel rapporto con le istituzioni, perché il testimone puro non ha l'avvocato. Io sono, quindi, decisamente favorevole alla figura del referente.
  Mi permetto, sempre in punta di piedi, di suggerire attenzione alla previsione che riguarda la creazione di un sito Web in cui inserire tutti i dati, anche dei testimoni e dei collaboratori. Anzitutto, non mi è ben chiara la necessità, perché il sito Web allude alla possibilità di attingere i dati che vi sono custoditi da una miriade di persone. Dobbiamo ipotizzare che vi abbiano interesse le Forze di polizia, che però attraverso i loro vertici possono tranquillamente attingere questi dati dal Servizio centrale di protezione.
  I dubbi mi vengono ormai dall'esperienza quotidiana. Sostanzialmente, non c'è un solo sito Web che non sia «hackerabile», compresi quelli della CIA e dei servizi segreti. A me sembra un po’ un azzardo mettere insieme in un sito Web, sia pure coperto – immagino – da tutte le garanzie possibili, dati che per definizione che mi verrebbe da dire ontologica devono rimanere assolutamente riservati, come quelli della nuova identità, della località in cui il testimone è protetto, del come è assistito. Direi che questo è l'unico vero punto critico che sento di formulare.
  Per il resto, mi permetto rapidamente di passare in rassegna qualche altro appunto, ma mi pare che avevo solo sintetizzato il contenuto degli articoli della proposta. La relazione pure ben spiega, quindi mi fermerei qui, presidente, salvo che non abbiate delle domande da formularmi.

  PRESIDENTE. Ci potrebbero essere dopo nel dibattito o anche alla luce degli altri interventi.
  Do ora la parola al procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, Franco Roberti. È presente anche il dottor Maurizio De Lucia, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Il collega Maurizio De Lucia è qui perché è responsabile della materia dei collaboratori di giustizia per la procura nazionale ed è anche componente della Commissione ministeriale presieduta dal Viceministro Bubbico. Ha, quindi, una grande esperienza di questa materia e potrà, se vorrete, rispondere anche in dettaglio ai vostri eventuali quesiti.
  Io mi limiterò a indicizzare alcuni punti problematici, premesso che va manifestato sicuramente grande apprezzamento per l'iniziativa della Commissione parlamentare antimafia e della presidente Bindi per dare una sistemazione definitiva a questa materia, Pag. 6 rispetto alla quale però devo ricordare che il legislatore già rispetto alla legge n. 8 del 1991 era intervenuto, dieci anni dopo, nel 2001, con la legge n. 45, che aveva già definito e marcato le distanze, almeno dal punto di vista concettuale, tra il collaboratore e il testimone di giustizia. Poi devo ricordare che già la Commissione ministeriale ha con opportuni interventi meglio ancora definito e circoscritto le condizioni perché un soggetto che rende dichiarazioni all'autorità giudiziaria possa essere considerato collaboratore di giustizia e testimone di giustizia.
  Fatta questa premessa, mi limiterò a indicare alcuni punti critici, che, comunque, meritano e meriteranno un approfondimento da parte della Commissione giustizia.
  Innanzitutto, la proposta di legge sembra non risolvere il tema di fondo relativo ai testimoni, e cioè se dopo la testimonianza gli stessi debbano essere nascosti, occultati, ai fini di protezione, nelle migliori condizioni di vita ed economiche possibili, o se invece debbano essere protetti anche nel ruolo di testimoni di legalità, che negli anni molti di essi hanno assunto.
  Se li si vuole proteggere in questo ruolo, che obiettivamente li sovraespone, allora bisogna prevedere delle misure ad hoc per coloro che fanno non solo i testimoni di giustizia, ma i testimoni di legalità a tutto campo, partecipando a manifestazioni, a convegni, intervenendo pubblicamente, sollecitando interventi in termini di protezione sicuramente più impegnativi anche dal punto di vista finanziario, oltre che organizzativo, rispetto al mero nascondimento del testimone protetto. Questo è il primo punto.
  Qui la proposta di legge non solo non risolve, ma sembra porre un problema quando all'articolo 8 segna un limite temporale massimo di durata delle misure tutorie: sei anni prorogabili di un anno. Come si fa a stabilire per legge un limite simile? Io potrei parlare più di collaboratori che di testimoni. Oggi, abbiamo 70 testimoni di giustizia. Tra l'altro, e lo dico richiamando l'intervento del collega Spataro, solo 5 – mi diceva Maurizio De Lucia – non hanno l'avvocato. A parte questo, come si va a prevedere un termine – sei più uno – quando ci sono testimoni esposti per tutta la vita, per la scelta di civiltà e di coraggio che hanno fatto, alla ritorsione dell'organizzazione criminale che hanno accusato? Questo è un punto che noi riteniamo importante: rivedere il limite temporale per il programma di protezione.
  Vengo al secondo punto, l'articolo 2, in materia di definizione del testimone di giustizia. Ripeto che la Commissione ha fatto un'opera di limatura, di definizione e di circoscrizione dei criteri molto importante. Si vuole definire il testimone, e va bene. Quello che notiamo è che i cinque parametri previsti dalla proposta di legge debbono essere contestuali. È sulla contestualità che io mi permetto di sollevare molte perplessità.
  Vanno bene i parametri, ma quando siano presi singolarmente, o anche uno o più, ma pretendere la contestualità... Che senso ha, per esempio – me lo sono annotato – quando alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 2 si dice che, per essere testimone di giustizia, deve essere una persona offesa o testimone o persona informata sui fatti, e deve essere contestualmente – questa è la proposta – terzo rispetto ai fatti dichiarati? Che significa terzo rispetto ai fatti dichiarati?
  Se tu sei testimone, sei oggettivamente terzo. Se sei persona offesa, non sei più terzo, perché sei coinvolto nel fatto dichiarato. Se sei vittima, non sei coinvolto. Che significa la contestualità con il criterio dell'essere terzo rispetto ai fatti dichiarati?
  Ancora, alla lettera c) del medesimo comma 1 si prevede che non debba essere testimone sottoposto a misure di prevenzione né, addirittura, debba essere in corso nei suoi confronti un procedimento per l'applicazione delle misure di prevenzione, lettera d). Che senso ha?
  Oltretutto, questa previsione già sembra coperta dall'altra previsione, di cui alla citata lettera c) della proposta di legge, per la parte che esclude l'attribuzione della qualifica di testimone a chi abbia consapevolmente rivolto a proprio profitto l'essere Pag. 7 venuto in relazione con il contesto delittuoso su cui rende le dichiarazioni.
  Se uno già ha avuto relazione consapevolmente e ha tratto consapevolmente profitto dal contesto delittuoso su cui rende dichiarazioni, ci possiamo fermare qui o dobbiamo pretendere addirittura la clausola di preclusione che sia sottoposto a indagini finalizzate all'applicazione della misura di prevenzione, che può non entrarci niente con il fatto di reato o con i fatti di reato su cui testimoni è chiamato a deporre? Non vi sembra troppo restrittiva la contestualità di questi cinque parametri? A me sembra di sì.
  Con il terzo punto torna il discorso del referente dei testimoni di giustizia. Specularmente a quello che ha detto Armando Spataro, dico che dobbiamo far funzionare il Servizio di protezione. Non possiamo fermarci all'esistente, anche se mi faccio carico delle osservazioni del collega Spataro.
  Chiedo, però: perché non proviamo a far funzionare il Servizio di protezione piuttosto che creare queste figure di privati, di interfaccia, di collegamento, tra il testimone, il Servizio di protezione e l'autorità giudiziaria? Tenendo conto che quasi tutti i testimoni hanno già un avvocato, un difensore di fiducia, che bisogno c'è di prevedere ulteriori spese, un'altra fonte di spesa? Poi chi seleziona questi referenti?
  La proposta di legge non prevede come vengono selezionati i referenti. Vogliamo creare, come per gli amministratori giudiziari, un albo dei referenti dei testimoni di giustizia? Chi li sceglie? Chi li paga? Li paga lo Stato; ma chi li sceglie? La legge non dice niente su questo punto.
  Allora, credo che dobbiamo far funzionare il Servizio di protezione, magari potenziandolo, anche in termini di risorse economiche, di aggiornamento professionale, di capacità, di attitudini professionali, magari prevedendo, come secondo me già è nella legge n. 45 del 2001, che alcuni componenti del Servizio di protezione si dedichino alla tutela dei testimoni, cioè curino la protezione dei testimoni, che richiede – è vero – forse in certi casi, anzi in molti casi, una cura diversa da quella prevista per i collaboratori di giustizia, soprattutto quando sono testimoni di legalità e non solo di giustizia.
  Ancora, la natura della testimonianza, che dovrebbe esaurirsi in una sola deposizione, o comunque in poche deposizioni, imporrebbe di inserire una specifica disposizione che lo renda tendenzialmente obbligatorio. Anche qui, l'integrazione dell'articolo 392 del codice di procedura penale, incidente probatorio, lascia alla piena discrezionalità del pubblico ministero la valutazione se sottoporre il testimone a incidente probatorio. Noi diciamo che, non con obbligatorietà secca, giustamente censurata dal collega Spataro, ma almeno con una tendenziale obbligatorietà, salvo casi particolari, salvo casi motivati, si debba procedere all'incidente probatorio.
  Inoltre, non sembra coerente con il ruolo di testimone di giustizia la previsione di un programma preliminare, di una verbale illustrativo connesso al programma preliminare. Che cos'è il verbale illustrativo? A che cosa serve il verbale illustrativo, introdotto con la legge n. 45 del 2001? A circoscrivere a 180 giorni la raccolta del materiale dichiarativo del collaboratore di giustizia, che, provenendo dal mondo del crimine, è un soggetto di cui diffidare per definizione e del quale bisogna sventare le eventuali dichiarazioni a orologeria o dichiarazioni a rate. Per questo è previsto il termine di 180 giorni.
  Ha senso tutto questo per il testimone di giustizia, che normalmente in pochi verbali dichiara tutto quello che sa intorno al fatto di cui è testimone? Ha senso un verbale illustrativo? Io non dico che non abbia senso, poi forse il collega De Lucia potrà approfondire questo punto. Penso che, però, avrebbe poco senso una previsione esplicita di verbale illustrativo da raccogliere nei 180 giorni.
  Poi va bene il reinserimento lavorativo. Va benissimo – voglio anche dire le cose buone che abbiamo colto in questa proposta di legge – la previsione di estensione dell'assunzione verso la pubblica amministrazione anche in soprannumero rispetto alle dotazioni organiche. Pag. 8
  Per quanto riguarda il sito Internet, condivido pienamente le perplessità del collega Spataro, quindi non ci torno.
  Concludo con riferimento al tema del cambio di generalità allargato, che non riguarda solo i testimoni e i loro congiunti, ma riguarda anche soggetti che, non avendo fatto la scelta di rendere dichiarazioni testimoniali e non essendo congiunti, potrebbero rendere false dichiarazioni dissociativi come parenti dei mafiosi, che sono stati magari anche loro mafiosi, e che potrebbero scegliere, rendendo false dichiarazioni dissociative, di vivere alle spalle dello Stato in modo facile e senza impegno testimoniale.
  Questi sono i punti salienti che mi è sembrato di cogliere insieme al collega De Lucia, al quale eventualmente darei la parola, se ritiene di fare ulteriori precisazioni, o che potrà rispondere alle domande dei componenti la Commissione se riterranno di farne.

  PRESIDENTE. Se ritiene di aggiungere qualcosa, abbiamo ancora dei minuti. Se lo ritiene necessario, o comunque utile...

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Indispensabile, no.

  PRESIDENTE. Utile.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Se vuoi aggiungere qualcosa in base alla tua esperienza, fallo, altrimenti vediamo se ci sono domande.

  MAURIZIO DE LUCIA, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Se posso, interverrei rapidissimamente per trenta secondi, perché naturalmente quello che ha detto il procuratore nazionale è una sintesi del lavoro svolto in ufficio.
  Può essere utile un dato. Abbiamo attualmente sotto protezione 76 testimoni, di cui però 24 vittime di usura, 34 vittime di estorsione, quindi 58; gli altri sono testimoni di altre vicende relative a infiltrazioni o omicidi ai quali hanno assistito, diversi dei quali sono omicidi di congiunti. Molti di loro hanno già una protezione legale che deriva dal fatto di essere persone offese.
  C'è una specificità dei testimoni vittima di usura, che la proposta di legge non considera, perché per essi sì ci sarebbe bisogno di un trattamento di tutoraggio psicologico ed economico essendo vittime diverse dalle altre per questo tipo di reati.
  L'incidente probatorio su cui si è discusso è per noi uno strumento apprezzabile, a cui fare ricorso tutte le volte che è possibile, in ragione della capacità di definire rapidamente il contributo testimoniale processuale del testimone di giustizia. Soltanto interrotto il rapporto con il processo, si può pensare al suo reinserimento nella vita sociale. Mi fermo.

  PRESIDENTE. Teniamo lo spunto, come diceva anche il procuratore nazionale antimafia, per il dibattito, in cui ci potrebbero essere ulteriori chiarimenti da parte di tutti.
  Do ora la parola al Viceministro Bubbico nella sua qualità di presidente della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di prevenzione.

  FILIPPO BUBBICO, Presidente della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione. Anch'io consegnerò un documento, che in maniera analitica propone alcune valutazioni sulla proposta di legge, che noi apprezziamo, così come consideriamo importante che la Commissione antimafia abbia voluto dedicare a questo tema, attraverso la costituzione di una specifica sottocommissione, una significativa attenzione. Consideriamo, ripeto, importante che questa proposta di legge sia sottoscritta da tutti i gruppi parlamentari.
  Questa diventa, quindi, un'occasione importante per sviluppare un'analisi sui risultati ottenuti nell'arco di applicazione delle norme esistenti e di valutazione anche delle opportune e necessarie modifiche da introdurre.
  Io sono convinto che le questioni già segnalate meritino una particolare attenzione. Pag. 9 La distinzione, ora richiamata dal procuratore Roberti, circa la funzione di testimone di giustizia e di testimone di legalità, mi pare alquanto importante, perché è discriminante rispetto all'approccio complessivo che occorre garantire.
  Spesso, si dimentica che l'inserimento in un programma speciale di protezione, quindi l'adozione di misure di protezione, è finalizzato a garantire la sicurezza e la mimetizzazione del testimone di giustizia in ragione del contributo offerto e dei rischi che corre. È evidente che quest'obiettivo risulta incompatibile con tutte le forme di pubblicizzazione della funzione esercitata e del ruolo assunto da quel cittadino che ha fatto il proprio dovere, che è quello di segnalare questioni e fatti penalmente rilevanti di cui è venuto a conoscenza e per i quali, in ragione della pericolosità dei contesti criminali denunciati o dei fatti denunciati, si rende necessaria l'adozione di un programma di protezione.
  C'è, appunto, una contraddizione nel pretendere forme di organizzazione anche di natura sindacale. Spesso, ci troviamo di fronte a presunte associazioni di testimoni che rappresentano la negazione stessa del programma di protezione. I testimoni non dovrebbero potersi riconoscere.
  In questo quadro, la previsione del tutor caratterizza in termini diversi il percorso del testimone, perché è evidente che lo espone a un sistema di relazioni e di rapporti esterni. Nell'ipotesi prospettata, il tutor porterebbe anche avvalersi di coadiutori in ragione di specifiche competenze. È evidente che tutto questo confliggerebbe con l'esigenza primaria di mimetizzazione e di tutela del testimone stesso.
  Cogliamo, però, in questa proposizione la segnalazione di un problema che esiste. Per taluni testimoni si pone il problema di un sostegno molto caratterizzato dal punto di vista professionale. In taluni casi, si rileva l'esigenza di un supporto di natura psicologica, in altri di natura finanziaria, economica, consulenziale rispetto alle storie pregresse, di natura imprenditoriale, che ciascuno di essi espone.
  Vorremmo cogliere la rappresentazione di quest'esigenza, di cui nell'esperienza diretta e concreta dell'attività della Commissione ci siamo anche noi accorti, attraverso la necessità, come sottolineava il procuratore Roberti, di potenziare il Servizio centrale di protezione, a beneficio del quale bisogna dire che produce, attraverso i nuclei operativi provinciali, ogni sforzo per sostenere e assistere queste persone. Tuttavia, essendo segnate da esperienze traumatiche, queste persone espongono un quadro esigenziale complesso, talvolta contraddittorio, e anche segnato da sofferenze che perdurano nel tempo in ragione della rottura delle relazioni sociali, affettive, familiari ed, economiche con i territori di provenienza. Proprio su questo, però, è opportuno sviluppare una considerazione.
  Il dottor De Lucia dava un quadro della composizione dei testimoni di giustizia. Ebbene, forse vale la pena approfondire e scrutare meglio la dimensione e la finalizzazione degli strumenti oggi a disposizione.
  Spesso, ci troviamo a dover operare delle verifiche in ordine all'utilizzazione di strumenti che la legge mette a disposizione. Mi spiego. Capita che un testimone fruisca degli interventi, delle provvidenze nella disponibilità del commissario antiusura e antiracket e chieda il mancato guadagno o il consolidamento delle proprie condizioni debitorie alla Commissione centrale.
  Ci deve essere un'alternatività. Non può essere affidato al caso questo percorso. In questo senso, le indicazioni contenute nella proposta di legge circa il mantenimento in sede del testimone, riservando il trasferimento in località protetta in forma residuale solo per i casi strettamente necessari in ragione della sicurezza da garantire, dovrebbero poter determinare una diversa canalizzazione per i testimoni che rimangono in sede e per i quali è ragionevole pensare lo sviluppo, la riproposizione della loro attività d'impresa in alternativa all'assunzione nella pubblica amministrazione rispetto ai testimoni che vengono spostati in località protetta, per i quali le condizioni generali diventano diverse e gli strumenti da utilizzare potrebbero essere diversamente finalizzati. Poiché una componente significativa dei testimoni testimonia su fatti di usura e di estorsione, è evidente che un Pag. 10approfondimento in questi termini potrebbe risultare particolarmente prezioso.
  Allo stesso modo, potrebbe risultare prezioso unificare gli strumenti giuridici a disposizione di questi soggetti riconsiderando anche le provvidenze per le vittime di mafia. Spesso, lo stesso soggetto assume la funzione di testimone di giustizia, di vittima di mafia e di soggetto danneggiato per effetto dei fenomeni estorsivi o di usura, e fa riferimento ai tre meccanismi previsti dalla legge, ovviamente non cumulabili, determinando anche situazioni complesse in ragione delle aspettative che si alimentano o che artatamente vengono alimentate mettendo i testimoni in una condizione di ulteriore sofferenza.
  Quando, infatti, viene opposto un diniego rispetto a un'istanza non accoglibile, si determina una condizione di ulteriore disagio psicologico, che, per soggetti esposti a fattori di fragilità, sarebbe importante evitare.
  In ogni caso, è possibile affrontare tutto questo cogliendo quest'opportunità che la proposta di legge ci offre e rispetto alla quale, anche valorizzando l'esperienza gestionale che la Commissione può mettere a disposizione e le risultanze dell'attività sviluppata da un apposito gruppo di lavoro che la Commissione ha voluto mettere in campo nel 2014, ci riserviamo non solo di offrire un contributo, ma anche di formulare specifici emendamenti perché questo provvedimento possa risultare più ricco, più capace di spostare in avanti il quadro normativo per rendere più efficace l'azione dello Stato a sostegno dei testimoni di giustizia, che rendono e ci auguriamo possano continuare sempre più a rendere, un contributo per sconfiggere le organizzazioni criminali.

  PRESIDENTE. Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  DAVIDE MATTIELLO. Anzitutto, ringrazio gli auditi per i contributi che ci hanno voluto portare e per assicurare la massima attenzione, come già abbiamo fatto ieri, per tutti i rilievi portati. Per limiti di tempo, anche se sarei tentato di tornare su ciascuno dei rilievi anche solo per spiegare alcuni aspetti che penso possano essere stati fraintesi, inducendo dell'allarme nel commento, non lo farò, proprio per motivi di sinteticità. Mi limito, però, a porre almeno alcune questioni.
  Il primo è, in realtà, un commento che sento doveroso su una delle questioni sollevate, ovvero come possano esserci termini perentori alla durata del programma, sei anni più uno. Sento il dovere di spiegare qualcosa su questo, perché detto così effettivamente genera inquietudine anche in me, che pure sono tra gli estensori, tra i proponenti.
  Che cosa abbiamo voluto dire con questa previsione? Se l'abbiamo detto male, aiutateci a dirlo meglio, ma che cosa abbiamo voluto dire? Abbiamo voluto ribadire un principio che mi sembra del tutto pacifico anche nella prassi poco fa richiamata dal Viceministro Bubbico, e cioè che i programmi come tali finiscono. Il fatto che il programma finisca non significa che finisce la tutela da parte dello Stato nei confronti della persona.
  Abbiamo voluto dire che l'immissione alle speciali misure, l'immissione allo speciale programma non può essere sine die. Deve essere, per tutto ciò che comporta, una condizione temporanea, dalla quale il soggetto ed eventualmente la sua famiglia devono uscire. Nel frattempo, infatti, o si sono create le condizioni per un suo pieno reinserimento in località d'origine o, non ricreandosi le condizioni per un suo pieno reinserimento nella località d'origine, si procede decisamente con il cambio di generalità.
  Ciò che abbiamo voluto scrivere in questa norma, a fronte dell'inchiesta che conducemmo come Commissione antimafia, è che quello che non può perdurare a tempo indeterminato è quella condizione, tipica soprattutto dello speciale programma con i documenti di copertura, che sono altro, come sapete molto bene, dal cambio di generalità, quella condizione di incertezza, di indefinitezza del proprio ruolo. Pag. 11
  Questo non può perdurare a tempo indeterminato. Dopo sei anni, dopo sette anni, lo Stato deve fare una valutazione insieme al testimone e decidere se ci sono le condizioni perché il testimone torni a casa, che non significa che lo Stato non se ne occuperà più. Sapete meglio di me, infatti, che, non prorogato lo speciale programma, non prorogate le speciali misure, si può passare alle misure ordinarie, che dipendono dal prefetto e dal Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Non vuol dire, quindi, che lo Stato si disinteressa, che lo Statuto abbandona, ma che lo Stato rimodula le condizioni della tutela. Questo abbiamo voluto segnalare con quel termine sulla durata dello speciale programma o delle speciali misure.
  Finisco con la seconda questione e tralascio, almeno per adesso, le altre, anche per dare ad altri la parola.
  Anche relativamente all'articolo 21, e vi chiedo aiuto rispetto alla lettera, che cosa abbiamo voluto raccogliervi? Abbiamo voluto raccogliere la situazione di chi, non essendo nelle condizioni di riversare all'autorità giudiziaria informazioni rilevanti, vuole comunque rompere il rapporto familiare, e parliamo di famiglie mafiose. È chiaro che, fino a prova contraria, l'azione penale si può sempre esercitare, si deve esercitare. Se ci dovessero essere motivi per pensare che chicchessia – scusate la prosaicità – ha fatto il furbo, benissimo, si eserciterà contro costui o costei l'azione penale.
  Tornando indietro, immaginiamo che questa persona sia una donna, una madre, che faccia parte di quel contesto mafioso, ma che non abbia informazioni rilevanti da consegnare all'autorità giudiziaria, che la farebbero diventare una testimone. Ho già detto che non è coinvolta nell'attività criminale, che non ha informazioni rilevanti, ma se ne vuole andare portandosi via il figlio minore: come lo Stato riconosce e tutela questa situazione?
  Non è una collaboratrice, perché non ha partecipato all'attività criminale. Non diventa testimone, perché non ha informazioni rilevanti, ma vuole dare un segnale, vuole rompere. Vuole rompere e con ciò mente sapendo di mentire, cioè non rivelando in realtà ciò che sa? Nel momento in cui inquirenti e magistratura se ne dovessero accorgere, si esercita l'azione penale.
  Se, invece, questa persona è in buona fede – peraltro, mi sembra che qui si integri il primo dei tre esempi che il procuratore Spataro ci ha portato – e noi sappiamo quanto può essere importante, soprattutto in certi contesti familiari e criminali, il segnale della rottura, del fatto che quella persona se ne va, noi come la tuteliamo? Per quello che siamo stati capaci di raccogliere, di documentare, in fase d'inchiesta in Commissione antimafia, questo particolare percorso rischia di essere non sufficientemente tutelato. Non è questa la sede per parlarne, ma abbiamo chiari davanti a noi alcuni esempi concreti nei quali si fa fatica a trovare una tutela adeguata.
  Mi fermo qui e vi ringrazio.

  GIULIA SARTI. Chiedo scusa a tutti gli auditi, ma purtroppo c'era in contemporanea un Ufficio di Presidenza della Commissione antimafia, e quindi non ho potuto ascoltare le vostre osservazioni. Ovviamente, sarà mia cura riprendere tutto lo stenografico di oggi.
  Immagino abbiate parlato tanto della figura del referente, disciplinata in questa proposta di legge dall'articolo 14. Vorrei in parte approfondire il discorso. Non so se è stato già spiegato l'intento dell'introduzione di questa figura, che non è certo quello di creare ulteriori categorie staccate dalla Commissione centrale o dal Servizio centrale di protezione, che appunto potrebbero invece dare ulteriori problemi. Tra l'altro, una categoria di questo tipo sarebbe proprio impossibile per i giusti rilievi che avrete fatto anche voi dal punto di vista della riservatezza di determinati atti e così via.
  Con quella soluzione di potenziare il Servizio centrale di protezione, si può però prevedere al suo interno l'individuazione di figure fisse nei confronti di ogni testimone piuttosto che di volta in volta profili diversi, che seguono più di una situazione?
  L'esigenza che ci è stata posta, emersa anche all'interno del Comitato costituito dentro la Commissione antimafia e coordinato Pag. 12 dal collega Mattiello, è proprio il fatto che chi entra in un programma di protezione, o comunque si avvale delle misure di protezione, spesso è un po’ abbandonato, perché ha certo uno scambio con la Commissione centrale, ha certo una tutela che può derivare dal cambio di generalità, dal cambio di luogo e così via, ma in realtà i bisogni derivanti da problemi di natura personale, psicologica, di vario genere, non vengono mai affrontati.
  Da parte del testimone, infatti, si crea una sorta di chiusura e si può sfociare spesso – lo abbiamo visto – in azioni eccessive, di protagonismo, denunce di vario tipo, prese in carico sempre dalla Commissione centrale o dal Servizio centrale di protezione, ma che magari potrebbero essere risolte proprio con la previsione di figure fisse, una sorta di tutor per ogni testimone. Questa è la richiesta.
  Nel momento in cui si predisponessero – dovremmo vederlo anche noi – delle risorse ulteriori per il Servizio centrale di protezione, che a parer mio servono come il pane, l'individuazione di queste figure sarebbe possibile o ritenete che la situazione vada bene così e ci sia bisogno, invece, di altro?

  PRESIDENTE. Vorrei fare io una breve domanda. Vorrei capire dal relatore come viene fuori – ci sarà sicuramente una motivazione, e ci sono anche state delle critiche su questo punto – il «contestualmente». È una cosa ragionata? Questo nodo non si è sciolto. Ieri, allo stesso modo, è stato in parte criticato e in parte no.
  Questo «contestualmente» – faccio una piccola interpretazione molto banale – forse è il frutto di una serie di paletti di garanzia; dall'altro, però, indubbiamente il ricorrere contestualmente di tutte queste condizioni rischia di non far applicare quasi mai la norma. Chiedo per capire, anche per gli auditi, se c'è una ragione particolare. In questo modo, potremo poi parlare.
  Poi si parlava dell'incidente probatorio. Io sono lontana dalle aule di giustizia da molto tempo, ma mi sembra che per la maggior parte di questi casi ricorra quasi sempre la casistica dell'incidente probatorio. Inoltre, se vittima, il nuovo Statuto delle vittime, in attuazione della direttiva europea, contiene una serie di protezioni e dichiarazioni.
  Su questo mi rendo conto che l'incidente probatorio può essere un momento in cui questa verità si cristallizza, e quindi garantisce forse tempi più certi.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Sarò rapidissimo su alcuni punti.
  Sulla categoria del testimone di legalità io pure ho necessità di fare riflessioni. Non so se possiamo farci carico anche come Stato, come istituzioni, di una funzione che è frutto di una scelta importante, di testimonianza appunto di legalità, ma che debba addirittura richiedere una forma di protezione che di volta in volta, quando eccezionalmente il testimone lo richiede, si potrà sempre prevedere... A inserire nella proposta di legge la figura del testimone di legalità, personalmente qualche dubbio l'avrei.

  PRESIDENTE. Fa riferimento all'articolo 21. La stessa cosa del cambio di generalità allargato...

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino. Sì, ma è una categoria ulteriore un po’ diversa da quella del testimone di giustizia o che si somma al testimone, che negli anni continua a dire... Aggiungo, se mi posso permettere, che anche l'esperienza che abbiamo alle spalle non è sempre stata positiva. C'è stato anche qualche spreco di retorica non proprio dovuto e, soprattutto, meritato.
  In secondo luogo, relativamente all'incidente probatorio, io non confonderei l'utilità che ne possiamo vedere – parlo da pubblico ministero – con l'obbligatorietà. Abbiamo già una disciplina dell'obbligatorietà, che abbiamo già ricordato, ma a me pare che prevederla a tutti i costi per questa categoria sia anche prevedere che ogni strategia processuale, investigativa o di indagine preliminare ne tragga vantaggio. Ci possono essere anche delle condizioni imprevedibili, quindi sull'obbligatorietà qualche riserva ho. Pag. 13
  Infine, sul verbale illustrativo ha ragione il procuratore Roberti quando parla del fatto che, normalmente, questa previsione è collegata ai 180 giorni della collaborazione. Qui, però, mi pare che sia così. Io dico che il verbale illustrativo ha un'utilità rispetto all'urgenza della protezione che magari anche in via provvisoria si può prevedere. Il testimone non è un collaboratore, un pentito, non è destinato a stare in carcere, a confessare chissà che, ma allo stesso tempo egualmente ci può essere necessità di valutare di che cosa parlerà. Solo in relazione all'urgenza, quindi, vedo importante un verbale, che a mio avviso è diverso e più affidabile di una relazione del procuratore, che, per quanto ovviamente chiara e correlata a ciò che ha già saputo, non è un verbale. Mi fermo qua. Sono spunti riflessione più che di dissenso.

  PRESIDENTE. Forse il relatore Mattiello voleva precisare sulla contestualità? C'è qualche origine particolare di questa formulazione o no? Una delle critiche era venuta proprio dal procuratore Roberti.

  DAVIDE MATTIELLO. Direi due cose.
  Rispetto alla lettera, siamo qui proprio per raccogliere indicazioni di cesello.
  Rispetto al senso dell'articolo 2, quello è l'anima di tutta la proposta di legge. Come veniva ben segnalato anche nelle audizioni di ieri, a differenza del legislatore del 2001 con la legge n. 45, nel 2016 cerchiamo di tipizzare positivamente il testimone.
  Il «contestualmente» dovrebbe servire proprio a descrivere nella maniera più positiva possibile, e quindi meno equivocabile, la figura del testimone. Ognuno di questi paletti ha sì, quindi, una sua precisa ragion d'essere. Paletto dopo paletto, si definisce il testimone, cercando di darne una descrizione, ripeto ancora una volta, positiva e il meno possibile equivocabile.
  Alcuni di questi paletti – lo segnalavano anche gli auditi di ieri – sono forse eccessivamente rigorosi e meritano una rivisitazione, come in riferimento alle misure di prevenzione. È stato fatto anche ieri. Rimando, per non far valere troppo le mie parole in questo momento, all'interpretazione che di questo «contestualmente» ha dato ieri il procuratore De Raho, che mi sembra ne abbia voluto dare una rilettura anche durante l'audizione ieri, parlando alla fine, nella quale personalmente come proponente, quindi come legislatore che ha contribuito a scrivere queste norme, mi sono ritrovato. La rilettura datane dal procuratore De Raho ieri mi è sembrata ben illuminante e coerente.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Ringrazio l'onorevole Mattiello per le precisazioni e prendo atto della sua disponibilità a rivedere questa gabbia troppo stretta della contestualità dei cinque criteri selettivi. Va benissimo così.
  Torno un attimo al tema della temporaneità del programma di protezione, che mi sembra, ripeto, confligga concettualmente con il principio che la proposta di legge afferma al comma 1 dell'articolo 8, quando afferma l'esigenza di proteggere il testimone fino a cessazione del pericolo attuale, grave e concreto. Possiamo mettere un paletto temporale inderogabile a questa cessazione del pericolo grave, attuale e concreto? A me non pare.
  Io fisserei anche un termine, ma darei alla Commissione, e nessuno meglio della Commissione può saperlo, un minimo di elasticità nel concedere ulteriori proroghe, naturalmente motivate, ma diamo alla Commissione questa possibilità.
  Quanto all'articolo 21, non so chi di voi ricordi, forse il collega Spataro, che ha quasi la mia età, quando nell’iter legislativo della legge n. 45 del 2001,– correva l'anno 2000 – improvvisamente quasi come per magia nel testo della bozza di legge fu inserita la normativa sulla dissociazione mafiosa. Che cos'era la dissociazione mafiosa?
  Era un principio che consentiva di avere sconti di pena, e di non dover dichiarare i propri beni, a coloro che, dissociandosi dall'attività delittuosa, se ne accusassero, senza fare nemmeno i nomi dei loro complici, quindi nessuna indicazione di correità, nessuna ammissione di proprietà di beni, niente di niente. Bastava la dissociazione, dire «io mi dissocio e confesso». Pag. 14
  Per fortuna, questa norma non passò, perché facemmo notare rispettosamente al legislatore che non poteva passare una norma del genere, che vanificava tutta la legislazione in materia di collaboratori di giustizia. Già, però, in vista del fatto che potesse passare – qualcuno aveva promesso qualcosa – i mafiosi cominciano a dissociarsi. Lo fecero in Campania, lo fecero in Sicilia. Qualche mio collega, anche autorevole, si entusiasmò per questo: vedi, i mafiosi che si arrendono?
  La cosa, invece, non funzionava così. Era una norma strumentale a favorire coloro che si trovavano incastrati dai processi fatti bene la possibilità di uscire dall'ergastolo, di guadagnare un po’ di anni e, soprattutto, di non cedere i propri beni.
  La mia memoria, leggendo quest'articolo 21, mutatis mutandis è andata a quella vicenda normativa. Qua si prevede, sostanzialmente, una sorta di dissociazione. Quando si parla di volontà di recidere i legami derivanti da rapporti di parentela, si chiede di prendere le distanze dall'associazione, in cui per ragioni parentela si è stati inseriti, ma non potendo o non volendo rendere dichiarazioni collaborative, si dice che si vogliono prendere le distanze, che si vuole recidere, si chiede il cambio delle generalità, e ci si rifà una vita.
  Possiamo rischiare ancora una volta di indebolire il sistema della collaborazione e dei testimoni di giustizia, concedendo il cambio delle generalità a un soggetto che si vuole rifare una vita senza pagare niente, senza neanche collaborare con la giustizia, per la dichiarazione di voler recidere i legami? Ce lo possiamo consentire? Io penso di no.
  Allora, con tutto il rispetto per l'onorevole Mattiello e per la Commissione antimafia, penso che non dobbiamo indebolire, ma rafforzare il sistema della collaborazione. Non possiamo mettere punti di indebolimento, quale questo sarebbe sicuramente. Credo di aver finito. Avevo appuntato anche qualche altra cosa, ma mi fermo qui. Non so se Maurizio De Lucia vuole intervenire su qualche altro punto.

  PRESIDENTE. Quest'articolo 21 sul cambio di generalità allargato è stato criticato da tutti, proprio per queste motivazioni che adesso ha riassunto il procuratore Roberti. Se, però, si dicesse che non sono testimoni di giustizia e non sono nemmeno collaboratori... Il problema è che quello posto dall'onorevole Mattiello è il caso proprio di uno che non è né indagato né correo né testimone.

  DAVIDE MATTIELLO. Che non ha delitti da confessare. Il dissociato confessa.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. ...nessuna dichiarazione. Dice solo: «mi dissocio...».

  DAVIDE MATTIELLO. Il dissociato era colui che confessava ciò che aveva fatto e non chiamava in correità. Qua stiamo parlando di un'altra situazione.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Quell'idea secondo me indeboliva il sistema della collaborazione.

  PRESIDENTE. Cioè si vuole portare fuori da quel mondo, ma non è né testimone né dissociato né correo né collaboratore.

  MAURIZIO DE LUCIA, sostituto procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo. Se posso intervenire, noi abbiamo avuto il caso, nel 2005 a Palermo, di Giusy Vitale, la sorella di due capimafia di Partinico molto vicini a Salvatore Riina. Oggi, è collaboratrice di giustizia, ma con questa legislazione avrebbe avuto la possibilità, naturalmente prima che scoprissimo il livello di intraneità non solo familiare ma anche associativo della Vitale, di presentarsi, di prendere le distanze dai fratelli e di ricollocarsi in un altro mondo senza nessun danno, ma senza nessun vantaggio per il sistema. Per questo, questa norma dal nostro punto di vista è pericolosa.
  Se posso aggiungere un'altra cosa, a proposito dei tempi oltre i quali si prevede il cambiamento delle generalità, bisogna tenere conto anche di un altro dato: i tempi burocratici tecnici del cambiamento di generalità non sono brevissimi, e questa procedura Pag. 15 partirebbe sette anni dopo l'inizio della collaborazione, per un soggetto che ha provato a rimanere in loco e ha fallito rispetto alla possibilità di rimanere. Anche questo è un problema in più che va considerato.
  Sarebbe comunque opportuno limitarsi a considerare la concretezza del pericolo per quanto riguarda il programma di protezione, a prescindere dai termini, proprio per questo. È vero che non si può restare in eterno a programma, ma è anche vero che individuare delle scadenze temporali di questo tipo è eccessivamente vincolante, soprattutto per i testimoni di giustizia.

  FRANCO ROBERTI, Procuratore nazionale antimafia ed antiterrorismo. Si deve avere un riesame periodico.

  ARMANDO SPATARO, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Torino Presidente, posso intervenire telegraficamente? Confesso che sull'articolo 21, comma 1, probabilmente non ho le idee chiare, ma mi chiedo e chiedo ai colleghi sempre in chiave problematica: possiamo noi escludere da una previsione tutto sommato minima, che è quella del cambio di generalità, il caso di chi effettivamente si trovi, senza aver reso dichiarazioni o aver collaborato, in una situazione di pericolo? Non mi pare che sia del tutto paragonabile alla dissociazione.
  Una riflessione ulteriore ci vuole, ma possiamo anche fare affidamento sulla serietà con cui la Commissione competente andrà a esaminare i singoli casi. Ci sarà sempre una procedura per il cambio di generalità.
  Nella mia esperienza, che anch'io sto passando in rassegna, ci sono stati anche casi di persone che meritavano comunque una forma di tutela senza aver assunto la formula del collaboratore pieno dissociato. Mi fermo qui.

  FILIPPO BUBBICO, Presidente della Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione. Interverrei solo su un punto segnalato dall'onorevole Sarti.
  È possibile, e io credo che debba essere proprio quella la strada da percorrere, cioè offrire al testimone un'interlocuzione stabile con il Servizio di protezione, tanto da garantire appunto la certezza rispetto alle situazioni, che possono mutare, che sicuramente intervengono successivamente e che turbano, o potrebbero turbare, il quadro di riferimento del testimone o della sua famiglia.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto di questi preziosi contributi. La Commissione farà le sue valutazioni.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.