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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Mercoledì 22 ottobre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 189  PISICCHIO, C. 276  BRESSA, C. 588  MIGLIORE, C. 979  GOZI, C. 1499  MARAZZITI E C. 2168 , APPROVATA DAL SENATO, RECANTI INTRODUZIONE DEL DELITTO DI TORTURA NELL'ORDINAMENTO ITALIANO

Audizione di Tullio Padovani, ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Vazio Franco (PD)  ... 8 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 8 
Vazio Franco (PD)  ... 9 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 9 
Vazio Franco (PD)  ... 9 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 10 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 10 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 11 
Amoddio Sofia (PD)  ... 11 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 11 
Vazio Franco (PD)  ... 12 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 12 
Vazio Franco (PD)  ... 12 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 12 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 12 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 13 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa (fuori microfono) ... 13 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 13 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 13 
Ferraresi Vittorio (M5S) , (fuori microfono) ... 14 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 14 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 15 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 15 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 15 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 15 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 15 
Ferraresi Vittorio (M5S)  ... 15 
Padovani Tullio , Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 15 
Sabelli Rodolfo Maria  ... 15 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Tullio Padovani, ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 189 Pisicchio, C. 276 Bressa, C. 588 Migliore, C. 979 Gozi, C. 1499 Marazziti e C. 2168, approvata dal Senato, recanti introduzione del delitto di tortura nell'ordinamento italiano, l'audizione di Tullio Padovani, ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa, e di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati.
  Sono presenti i rappresentanti di tutti i Gruppi e i colleghi che seguono il provvedimento, nonché il relatore, onorevole Vazio. Alle 16 saremo in Aula con il Presidente del Consiglio e, quindi, abbiamo tempo fino alle 15.55.
  Do la parola al professor Padovani per lo svolgimento della relazione. Ha quindici-venti minuti.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa. Cercherò di essere molto sintetico. La ringrazio, presidente, dell'invito.
  Salto i preliminari. Ho visto che il materiale a vostra disposizione è abbondante e perspicuo, ragion per cui credo che si possa andare al nocciolo della questione saltando tutti i preliminari in genere e i fasti accademici che contornano un professore. Io sono meno professore di quello che potrebbe parere.
  La prima questione che tratterò è la distinzione tra reato proprio e reato comune, la seconda, dipendente dalla prima, quale contenuto dare al delitto di tortura e secondo quali modalità.
  La prima questione, dunque, è: deve trattarsi di un reato proprio o di un reato comune ? Nel primo caso si tratterebbe di un reato commesso da un soggetto qualificato in termini pubblicistici, nel secondo di un reato che chiunque potrebbe commettere.
  Le soluzioni si dividono nei vari disegni di legge: la proposta approvata dal Senato è per il reato comune, ma ce ne sono anche altre. Ci sono anche proposte che stanno, invece, col reato proprio. C’è una certa prevalenza per il reato comune, ma la polemica è molto viva. Voi avete sentito altre opinioni sull'argomento.
  Devo dire che tutte e due le posizioni sono intrinsecamente dignitose. Non si può asserire che l'una debba prevalere in forma eclatante sull'altra. Basti pensare che trovano sostenitori autorevoli anche storicamente. L'idea del reato comune, che viene pur contrastata, risale addirittura a Voltaire. Se si legge il Dizionario filosofico, che cosa si trova sotto la voce question ? Si trova che la tortura è il delitto inventato Pag. 4dai ladri che, recandosi in casa di un avaro e non trovando il suo tesoro, lo sottopongono appunto a tortura per strappargli l'indicazione su dove si trovi il danaro.
  In senso contrario, alle origini stesse dell'istituto della tortura, Alfonso X il Saggio, re di Castiglia, introducendo le Ley de las siete partidas, diceva che la tortura è una forma di pena che trovarono gli amanti della giustizia per scoprire e conoscere la verità, dando quindi la dimensione giudiziaria della tortura.
  Alle origini della tortura, con Alfonso X, si ha, quindi, l'impronta giudiziaria. Alla decadenza della tortura – mentre la tortura sta scomparendo da tutta Europa, almeno formalmente – con Voltaire si ha, invece, la percezione di un fenomeno comune. Voltaire equipara un procedimento giudiziario a un atto criminoso. Stempera questa dimensione giudiziaria in un contesto del tutto banale. Quindi, le due posizioni risultano ugualmente attestate.
  Qual è allora la soluzione preferibile ? Personalmente, un tempo io stavo con il reato proprio. L'ho anche scritto. Secondo la mia attitudine, dovrei continuare a sostenere questa tesi. Continuo a sostenerla preferibile, ma in realtà debbo rispondere onestamente, anche alla luce di una revisione critica di tutta la materia, anche sulla base della documentazione che voi avete acquisito, e devo dire che nessuna delle due soluzioni è preferibile.
  Si tratta di stabilire prima di tutto quali sono le condizioni di ciascuna scelta e quali le implicazioni. Dalla verifica delle condizioni e dalla considerazione delle implicazioni si comprenderà che nessuna delle due è preferibile e che tutte e due sono preferibili. Come fanno a essere preferibili tutte e due ? Perché ci vogliono tutte e due.
  Se si ragiona in termini di reato comune, vedendo la tortura come reato commettibile da chiunque, piaccia o non piaccia, si finisce col descrivere un'ipotesi di maltrattamenti, qualificata finché volete, ma collocata sullo stesso asse teleologico dei maltrattamenti. Si tratta di far perno sull'offesa di un rapporto di affidamento, di custodia, di protezione o comunque di tutela tra soggetti, ragion per cui la tortura è un maltrattamento specializzato, più intenso, o come volete voi, non ha importanza. È un maltrattamento che ha caratteristiche peculiari, ma che si inserisce in questa orbita.
  Se è un reato comune, quel comportamento non può avere finalità specifiche. Voi sapete che normalmente si inseriscono nella tortura la finalità giudiziaria (ottenere informazioni), la finalità punitiva (castigare un reprobo) e la finalità discriminatoria (sanzionare una diversità). Ebbene, se ragioniamo in termini di reato comune, queste finalità non devono comparire, perché la finalità è irrilevante.
  La ragione per cui la tortura viene commessa non ha alcun valore selettivo, per una ragione molto semplice: si determinerebbe un'irragionevole disparità di trattamento tra i soggetti comuni in rapporto alla finalità. Un padre che punisce con la tortura il figlio per l'acquisto della droga risponde di tortura. Un padre che, invece, gli fa la stessa cosa, ma per malanimo, per ostilità verso di lui, perché è un padre snaturato, risponde di lesioni e maltrattamenti. Con quale logica avviene questo ? Francamente, non si vede perché il padre non sia autorizzato a punire, ragion per cui quel suo intento punitivo è un intento privato, che non è idoneo a qualificare il fatto.
  Se si ragiona in termini di reato comune, non c’è, quindi, finalità e, difatti, il disegno di legge approvato dal Senato e trasmesso alla Camera non reca alcuna finalità. Altri, invece, la recano, pur trattandosi di un reato comune. È un reato comune, però, che rifugge dall'identificazione di finalità, cioè di dolo specifico selettivo.
  La necessità di selezionare in termini d'intenzionalità specifica si coglie, invece, se a commettere la tortura è un pubblico ufficiale. In tal caso la finalità è coessenziale al fatto, perché la tortura si innesta, e si è sempre innestata storicamente, nei rapporti tra pubblica autorità e individuo Pag. 5e li perverte, operando come una modalità criminosa di esercizio del potere funzionale attribuito al pubblico ufficiale.
  Il pubblico ufficiale ha un potere funzionale che si arricchisce in modo criminoso di un contenuto che non deve avere. Non deve avere un tale contenuto in un ambito nel quale l'autorità esercita istituzionalmente una specifica tutela. Da chi deve esser tutelato l'imputato se non dall'autorità a cui è affidato ? Da chi deve essere tutelato il detenuto, se non da colui che è chiamato a restringerlo in carcere ? Da chi deve essere tutelato il cittadino contro le discriminazioni, se non da chi deve fare osservare l'uguaglianza della legge nei confronti di tutti ? Perciò, quando il pubblico ufficiale opera in contraddizione così manifesta con le finalità istituzionali del potere coercitivo che gli è stato affidato per la tutela di quegli interessi, capovolgendole nell'esatto contrario, deve essere punito con severità.
  Se si tratta, viceversa, di un normale comportamento di disinteresse nei confronti della posizione di un soggetto che determina anche l'inflizione di sofferenze crudeli, il pubblico ufficiale non è connotato da questa veste specifica, che lo qualifica come traditore della funzione. Semplicemente è un soggetto che commette, per le ragioni più diverse, forme anche gravi di maltrattamenti. Sarà punito più gravemente, ma non c’è la tortura, perché non c’è la perversione del potere pubblico. Quando la libertà è nelle mani dell'autorità, il pubblico ufficiale ne è e ne deve essere il più geloso custode e protettore. Se non lo è, scatta il meccanismo.
  A questo punto, è chiaro che non si può scegliere per l'una o per l'altra fattispecie e che tutte e due stanno bene, nel senso che, se si opta per il reato proprio, si lascia fuori la tortura comune. Il soggetto privato che commette gli stessi fatti di tortura dovrebbe essere punito a titolo comune, ma la persona che subisce queste torture potrebbe dire: «Mio padre mi ha chiuso in una stanza e mi ha torturato dalla mattina alla sera, perché è un sadico. Dopodiché, lui non è un mio torturatore, pur essendo il titolare di una posizione di protezione nei miei confronti ?»
  Le fattispecie, dunque, ci vogliono entrambe, titolo comune e titolo del pubblico ufficiale, ma si badi bene: non deve trattarsi di una fattispecie che diventa l'aggravante dell'altra. Potete farlo, se volete, per carità, ma non va bene, perché avremo sempre quelle forme di asimmetria che vi ho segnalato. Si mescolano due questioni che sono, in realtà, diverse. La tortura comune deve restare appannaggio di un soggetto che è al di fuori dell'orbita pubblica, mentre la tortura del pubblico ufficiale assume un altro significato e deve avere il dolo specifico.
  D'altra parte, se si costruiscono due fattispecie in cui, sul versante del pubblico ufficiale, c’è la qualità soggettiva come elemento di specializzazione e il dolo specifico come elemento aggiuntivo, ce n’è quanto basta per costruire un titolo autonomo. Che ci vuole a costruire un titolo autonomo ? È la cosa più normale del mondo. Ci si libera da tutti i fastidi – chiamiamoli così – connessi alla questione che avete sentito dibattere, ossia alla circostanza aggravante. Poi essa viene nullificata dal giudizio di equivalenza e di prevalenza e, quindi, chi s’è visto s’è visto.
  In effetti è così. La tortura del pubblico ufficiale non è e non può essere una forma più grave della tortura del comune cittadino. È una cosa diversa, che si colloca su un piano diverso. Metterle insieme non sta bene.
  A questo punto, affronto rapidamente la seconda questione: il contenuto che deve assumere la fattispecie nei due casi. È chiaro che c’è una base comune. «Gravi dolori e sofferenze fisiche o mentali» è la definizione della Convenzione del 1984. La si può aggiustare variamente, ma il concetto è quello. È inutile cominciare a rompersi il capo col dire che non sia sufficientemente determinata. Certamente ci sono margini di relativa indeterminatezza, ma ci sono sempre nelle fattispecie incriminatrici. Una fattispecie ben costruita è, per così dire, a compensazione simmetrica: ciò che si slabbra da una Pag. 6parte, si recupera dall'altra. È l'insieme che configura la tonalità della tortura nel suo complesso.
  Il problema, quindi, non è questo. Si può lavorarci precisando meglio, essendo più puntuali. Il problema, però, sono le modalità. Le modalità sono importanti, perché non si può costruire una fattispecie, né, peraltro, la proposta di legge approvata dal Senato lo fa – da questo punto di vista è corretta – puntando solo sull'evento legato a chiunque infligga gravi dolori e sofferenze fisiche o mentali. Se così è, anche il fidanzato che tradisce la fidanzata e poi le dice «Io ti ho tradito» e le infligge un grave dolore, provocandole un esaurimento nervoso, per cui poi lei tenta il suicidio commetterebbe tortura. Che tortura è, però ? Sarà un comportamento disdicevolissimo, ma non si può considerare penalmente rilevante. Le modalità, quindi, sono essenziali.
  Quali sono le modalità ? Le modalità sono diverse a seconda che si tratti di un privato o di un pubblico ufficiale. Anche in questo caso la mescolanza non va bene. Non va bene perché, se ci mettete dentro, come ci mette dentro la proposta di legge approvata dal Senato, la violenza o la minaccia, subito i pubblici ufficiali vengono qui, arriva il sindacato e dice: «A parte il fatto che noi un certo grado di violenza lo dobbiamo usare nell'esercizio dei nostri poteri, adesso qual è il limite ?» Hanno ragione, fondamentalmente. Si trovano in una zona a rischio senza sapere qual è il confine.
  Si può rispondere: «Non menate troppo il can per l'aia. Lo sapete anche voi quando è tortura». Loro, però, si preoccupano anche di situazioni marginali. Non si può trascurare la voce di costoro. La nostra, credo, è un'opera di equilibrio, non un'opera di scelte di campo, da una parte sola. Si tratta di bilanciare, soprattutto quando il bilanciamento è corrispondente alla natura delle cose.
  Violenza e minaccia grave sono requisiti modali della fattispecie comune. Vanno bene per il privato. I requisiti sono violenza, minaccia grave e, soggiungerei necessariamente, per evitare tutte le polemiche, forme di violenza cosiddetta impropria (non far dormire qualcuno, tenerlo sotto la luce fissa, non dargli da mangiare e via elencando). Si tratta di forme di violenza cosiddetta impropria, ma questa è una nozione che è bene lasciar da parte, perché quell’«improprio» dice che è «proprio».
  Bisogna fare riferimento, secondo me, alla violazione degli obblighi di tutela e di protezione di cui si è titolari. Il privato risponde di tortura quando si realizza una di queste modalità: violenza, minaccia grave o comunque violazione degli obblighi di protezione e di tutela di cui il soggetto sia titolare nei confronti della persona.
  Se passiamo sul versante del pubblico ufficiale, la scena deve cambiare completamente. La violenza non ce la potete più mettere, perché il pubblico ufficiale agisce con violenza quando opera in ordine pubblico. Non possiamo pensare che l'arresto avvenga con inchini e salamelecchi. Rendiamoci conto di come sono le cose.
  In questo caso il pubblico ufficiale ha una modalità sola, alternativa, ma fondamentale: abusando dei poteri o violando i doveri. Dopodiché, si tratta di identificare i poteri e di distinguere se questi poteri siano stati esercitati correttamente in occasione di un arresto e di una detenzione. Si tratta, quindi, di identificare una violazione di doveri o un abuso di poteri, requisiti modali che compaiono in decine e decine di fattispecie senza suscitare scandalo, saltando la violenza, perché la violenza diventa un abuso di potere quando eccede i limiti, per esempio dell'articolo 53, che riguarda l'uso legittimo degli strumenti di coazione. C’è una discriminante apposta nel Codice penale.
  È chiaro che, se io, pubblico ufficiale, eccedo questi limiti, abuso dei poteri o violo i doveri. Ecco che tutto torna a posto. Voi direte: «è la formula della felicità». No, è la formula della semplicità. È la formula del non complicarsi la vita attraverso contorcimenti che pretendano di riscrivere in modo contorto ciò che il sistema si incarica di dipanare quasi naturalmente.Pag. 7
  Pertanto, il problema si risolve, a mio modesto avviso, con due fattispecie ben costruite. Finalmente entriamo in carreggiata con gli obblighi internazionali e siamo in pace con Dio e con gli uomini.
  Ho finito.

  PRESIDENTE. Grazie, professore. Come sempre è stato molto approfondito e brillantissimo.
  Prima di passare al dibattito saluto e do la parola al Presidente Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell'ANM, che è accompagnato dal vicepresidente, consigliere Valerio Savio.
  Ha dieci minuti di tempo.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Grazie, presidente. Cercherò di stare nei tempi. Tornerò necessariamente in parte su alcuni degli aspetti che sono stati già illustrati nella precedente audizione.
  Il punto di partenza è la definizione che della tortura offre l'articolo 1 della Convenzione delle Nazioni Unite del 1984, che però fa una precisa scelta, aderendo – e qui mi richiamo alle osservazioni che sono state poco fa svolte – a una delle possibili nozioni di tortura, cioè alla tortura come condotta del pubblico ufficiale.
  Gli aspetti che vengono in considerazione in termini generali sono diversi, innanzitutto l'effettiva necessità di una fattispecie specifica di tortura, perché in realtà le condotte che vengono sussunte nell'ipotesi di tortura potrebbero già trovare un qualche riconoscimento in fattispecie esistenti. Tuttavia, noi condividiamo la necessità di una fattispecie specifica sia per le peculiarità sotto il profilo tanto soggettivo, quanto oggettivo della fattispecie di tortura, sia per la necessità di un trattamento sanzionatorio che esprima anche una scelta adeguata al disvalore effettivo specifico di queste condotte
  Una delle questioni centrali è quella sulla quale si è soffermata la precedente audizione circa la scelta fra reato proprio e reato comune. Preciso subito che noi, nel nostro parere, che ho già trasmesso – non so se sia stato già ricevuto, altrimenti posso fornire anche una copia cartacea della nostra relazione – ci soffermiamo soprattutto sull'esame dei disegni di legge, in particolare del disegno di legge approvato al Senato, che fanno la scelta nel senso di un reato comune con circostanza aggravante a effetto speciale.
  Questa è una delle possibili alternative. Noi, in linea di massima, condividiamo anche la scelta per un reato comune, ferma restando la necessità, del resto già accolta nel testo di legge già approvato al Senato, di una circostanza aggravante a effetto speciale che adegui la pena al concreto disvalore di condotta realizzata dal pubblico ufficiale.
  Certo, sarebbe possibile, e forse anche, per alcuni aspetti, auspicabile la scelta alternativa – mi pare che questo fosse il senso della precedente audizione – di una fattispecie autonoma specializzata sul modello di quello che, per esempio, è già attualmente il rapporto fra l'articolo 614 e l'articolo 615 del Codice penale in tema di violazione del domicilio.
  Passerei sopra il tema, più che altro teorico, della collocazione sistematica di questa fattispecie, per soffermarmi invece su un altro aspetto: il rispetto del principio di tassatività. In merito occorre guardarsi da due rischi in qualche misura opposti: da un lato, il rischio di affidarsi troppo e di troppo rimettere all'opera di definizione della giurisprudenza, dall'altro quello di lanciarsi in previsioni troppo specifiche di alcuni elementi costitutivi della fattispecie che di fatto rischierebbero di circoscrivere troppo l'ambito applicativo di questo reato.
  Sotto un altro aspetto va considerata anche la necessità di tener conto nel sistema penale complessivo dell'eventuale applicabilità di cause di giustificazione. Mi riferisco soprattutto alle condotte astrattamente di tortura che potrebbero essere riferite all'attività di pubblici ufficiali.
  Il mancato riferimento specifico al profilo della violazione dei doveri o dell'abuso dei poteri anche in questo caso rimetterà alla giurisprudenza il compito di recuperare l'operatività di eventuali cause di giustificazione, per esempio riferite all'uso Pag. 8legittimo della forza, così come la necessità di tenere indenne, eventualmente, il pubblico ufficiale da responsabilità nei casi in cui, per esempio, il trattamento inumano sia la conseguenza non di condotte individuali, ma di carenze o deficienze strutturali del sistema. Penso, per esempio, ad alcuni rilievi che sono stati mossi dalla Corte europea in tema di trattamento penitenziario.
  Come dicevo, il testo già approvato al Senato compie una scelta ben precisa nel senso di un reato comune. Sotto il profilo oggettivo il testo del disegno di legge C. 2168 delimita la condotta rispetto alla previsione dell'articolo 1 della Convenzione del 1984, in quanto considera soltanto le violenze e le minacce gravi o i trattamenti inumani o degradanti. La Convenzione, invece, fa riferimento a qualsiasi atto, anche se entrambi i testi richiedono qualcosa di più, cioè l'evento per cui siano inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche.
  Il disegno di legge approvato al Senato delimita e circoscrive l'ambito di applicazione in relazione anche a una specifica categoria di soggetti passivi. Deve trattarsi, cioè, di persona privata della libertà personale o affidata alla custodia, autorità, potestà, cura o assistenza del pubblico ufficiale, che si trovi in condizioni di minorata difesa, a differenza invece del testo della Convenzione, che non opera questa delimitazione per categorie di soggetti passivi.
  Un'altra differenza fra i due testi è nel dolo, coerentemente con la natura comune o propria della fattispecie. Nel testo del disegno di legge C. 2168 il dolo è generico. Nel caso della Convenzione, invece, è richiesta una specifica finalità. Peraltro, laddove è richiesta la specifica finalità, si giustifica una condotta descritta in termini più generici. Laddove la condotta è più definita, il dolo è generico. Questo per rispondere al rispetto del principio di tassatività.
  Per il resto mi riporto a quanto abbiamo già illustrato nella nostra relazione. Entrambi i testi, quello della Convenzione del 1984 e quello del disegno di legge C. 2168, ritraggono delle caratteristiche tipiche delle due diverse accezioni di tortura. Una volta calati nella realtà del sistema penale, però, questi testi potrebbero entrambi presentare dei limiti, sia sotto il profilo del rischio quantomeno di eccessiva indeterminatezza, sia sotto il profilo di un'eccessiva delimitazione dell'ambito applicativo della fattispecie.
  Concentrandomi – e concludo – sul disegno di legge C. 2168 osserviamo che, in realtà, questo testo finirà per attribuire un grosso ruolo all'opera della giurisprudenza ai fini di una corretta applicazione della norma, un'applicazione che, da un lato, eviti interpretazioni troppo restrittive della condotta materiale, ma, dall'altro lato, rifugga anche dal rischio di un'estensione di un'applicazione onnicomprensiva, che finirebbe anche poi, in definitiva, con lo svilire e banalizzare la nozione di tortura, estendendola oltre l'ambito, che le è proprio, dei fatti più gravi.
  Mi fermerei qui.

  PRESIDENTE. Grazie, sia per il documento, sia per essere rimasto nei tempi. Vorrei aprire il dibattito, se ci sono domande.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCO VAZIO. Professore, lei propone, in sostanza, la scissione tra reato proprio e reato comune. Io ho capito le osservazioni e anche le criticità che lei attribuisce alla finalità nel reato comune, ma mi domando in che cosa si differenzierebbe il reato di tortura del tipo comune dalla violenza privata grave e continuata.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. La violenza privata consiste nel costringere taluno a fare, tollerare od omettere qualche cosa con violenze o minacce che hanno anche contenuti di modesta entità.
  La tortura è comunque una fattispecie che io definisco di secondo grado. La Pag. 9tortura non è una fattispecie a selettività primaria. Che cosa significa ? Significa che non è una di quelle fattispecie che delineano il confine in assoluto tra lecito e illecito. Altre fattispecie delineano questo confine. La tortura si insedia all'interno di una situazione che è già connotata da una dimensione illecita e serve a stigmatizzare comportamenti che sono di particolare gravità.
  Anche la rapina non è a selettività primaria. È a selettività secondaria, ma si potrebbe rinunciare alla rapina ? Si potrebbe dire: la rapina è un furto e, quindi, è una violenza privata. Perché prevedere la rapina ? E così la tortura.

  FRANCO VAZIO. Ho capito, ma pensiamo alla minaccia grave. Se io minaccio una persona di ucciderla, commetto una minaccia grave. Lei mi dice è una minaccia grave anche la tortura.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. La tortura, così come è delineata nel testo del Senato, ma è una delineazione abbastanza scontata, consiste nella «violenza e minaccia che provocano gravi sofferenze fisiche». Ci vuole l'evento.
  Io ho detto che, fermo restando che c’è un evento, ossia le gravi sofferenze fisiche o psichiche, noi discutiamo sulle modalità. Le modalità del reato comune sono diverse dalle modalità del reato proprio, e non possono non essere diverse, perché il privato entra nell'illecito con qualunque violenza. Si tratta di stimare se questa violenza produca quell'evento.
  Il pubblico ufficiale non vi entra alle stesse condizioni, perché il pubblico ufficiale ha il potere di esercitare una certa violenza, ma una violenza che ha un limite. Pertanto, al pubblico ufficiale non si può riferire la violenza come modalità. Gli si devono riferire l'abuso dei poteri o la violazione dei doveri.

  FRANCO VAZIO. Ho capito. Mi mancava l'inserimento nella proposta del Senato.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Si delineano, quindi, due quadri, due scenari tipici, che sono diversi.
  Sul contenuto delle gravi sofferenze io condivido le perplessità del consigliere Sabelli, ma noi viviamo in un sistema ormai a dimensione molto ampia. Non siamo più un'Italia provinciale. Noi giudici siamo vincolati al rispetto della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha carrettate di sentenze sul concetto di tortura. Quel concetto di tortura noi lo dovremmo applicare. Possiamo definirlo come vogliamo, ma poi, essendo vincolati alla CEDU, vedrà che quelle definizioni entrano.
  C’è già un retroterra ermeneutico. Noi ci insediamo in un terreno che è già molto arato. Dobbiamo soltanto evitare di «delirare», nel senso etimologico, cioè di uscire dal solco, mantenendo l'aratro su questo.
  Io ho cercato di delineare questi solchi per come li vedo io. Mi sembrano solchi dritti e semplici. Non mi ritengo depositario di alcuna verità. Sono, però, un entusiasta sostenitore delle mie opinioni perché le maturo, le faccio proprie e le comunico con piacere a partire dai miei ragazzi. Ho fatto il corso sulla tortura per un anno e, quindi, li ho torturati abbastanza. Ho torturato voi solo pochi minuti.

  PRESIDENTE. Questo tema non è stato ancora affrontato, ma è stato inviato anche un articolo su questo punto. Cosa ne pensate di quello che ha detto la CEDU nella sentenza del 1o luglio 2014, collocando il reato di tortura tra quelli che comunque non possono essere condonati e che, secondo la definizione che è stata data anche dal Comitato dell'ONU contro la tortura, non potrebbero rientrare nella prescrizione ?

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Cioè tra gli imprescrittibili.

  PRESIDENTE. Questo è ciò che dice la sentenza. Richiama questi princìpi. Ovviamente, Pag. 10per come il testo è articolato dal Senato, non è così. Voi che dite ? È un problema che ci dovremmo porre. Poiché l'altra volta, nell'altra legislatura, lei venne in audizione sulla prescrizione, le ho reintrodotto il tema.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Le rispondo subito. Qui tocchiamo un tasto dolente, che riguarda il nostro ordinamento e, ahimè, che riguarda voi, che contingentemente siete i legislatori. Noi non abbiamo una legge di attuazione dello Statuto di Roma. Si chiama «di Roma» ma noi una legge non ce l'abbiamo. Questa carenza, che ci distingue nell'ambito internazionale in modo non commendevole, ha le sue ricadute. Perché ? Perché nello Statuto di Roma, ovviamente, il reato di tortura come crimine contro l'umanità c’è e, naturalmente, è imprescrittibile.
  Se noi avessimo attuato lo Statuto, avremmo previsto, come molti ordinamenti prevedono – mi pare che lo preveda l'Olanda, per esempio – un reato di tortura che corrisponda alla dimensione del fenomeno di tipo internazionale. Non dico internazionale perché si svolge fra Stati, ma perché si svolge a un livello per cui, anche internamente, assume un connotato di rilevanza internazionale, come una guerra civile o fenomeni assimilati. Avremmo, quindi, un reato di tortura che si connota in una dimensione di rottura dell'assetto civile e poi avremmo un reato di tortura normale.
  I due reati non sono la stessa cosa. Un conto è la tortura che un regime di colonnelli o di militari argentini attua. Su questa non si prescrive niente. Hanno torturato migliaia di persone e adesso si fa una prescrizione ? No, ovviamente, perché si tratta di crimini contro l'umanità. Non si può, però, definire ogni tortura crimine contro l'umanità, perché si svilisce il crimine contro l'umanità. È un delitto grave contro la persona, per carità, è un delitto gravissimo, ma non possiamo fare di tutta l'erba un fascio.
  Io la vedo così.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Se posso intervenire anch'io su questo punto, condivido sostanzialmente questa impostazione. Non voglio, naturalmente, tornare sul tema della prescrizione, ma anche il fatto che si avverta poi – non è forse questo il caso, ma ve ne sono altri – per alcune tipologie di reati la necessità di dettare una disciplina specifica diversa da quella ordinaria in tema di prescrizione forse dovrebbe far riflettere sulla necessità, invece, di un approccio più sistematico e ampio su questa materia.
  Per quanto riguarda specificamente il tema della tortura, in buona sostanza io condivido le osservazioni che abbiamo ascoltato poco fa. Anche qui, piuttosto che interventi specifici, spot, su norme che, tutto sommato, possono avere una portata non dico onnicomprensiva, ma forse più ampia rispetto al portato delle convenzioni della giurisprudenza delle Corti internazionali, occorrerebbe forse un approccio un po’ più sistematico.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Mi raccomando, perché quello che sento non è un granché.

  PRESIDENTE. Non si sta riferendo ai nostri testi ?

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. No, ma mi aggiorni. Quello che ho visto di recente non mi è piaciuto per niente.

  PRESIDENTE. A quali testi si riferisce ? Sono chiacchiere giornalistiche.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. È circolato un testo anonimo.

  PRESIDENTE. È circolato da uffici periferici del Governo.

Pag. 11

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Io ho chiesto da dove venisse. Mi è stato risposto: «Pare da ambienti governativi». Che cosa significa «ambienti governativi» ?

  PRESIDENTE. Eppure qui stiamo lavorando seriamente. Peraltro, abbiamo acquisito anche le audizioni della scorsa legislatura. Siamo partiti sempre dai soliti testi. Ancora non siamo arrivati alla fine. Glieli mando volentieri.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Mi tenga aggiornato.

  SOFIA AMODDIO. Mi rivolgo a entrambi gli illustri relatori. Intanto vi ringrazio, perché questo è sempre un momento di accrescimento di conoscenza.
  La mia domanda è specifica. In virtù della tipicità del diritto penale la norma deve essere specificata in maniera dettagliata. Secondo il vostro parere, la proposta del Senato nella definizione di tortura eliminerebbe qualunque sovrapposizione con il reato di maltrattamenti in famiglia ?
  È vero, come dice il professore, che basterebbe specificare che si tratta di gravi e inumani trattamenti e di grave sofferenze inflitte, però il caso specifico concreto che spesso sentiamo dalle cronache dei giornali – faccio un esempio a caso: la madre che chiude e, quindi, priva della libertà personale la figlia disabile per mesi interi e che la fa vivere in condizioni veramente degradanti – finora si è inglobato nel reato di maltrattamenti in famiglia. Con il nuovo reato di tortura che ci appresteremo comunque a legiferare con quale tipicità si potrà differenziare questa fattispecie concreta dai maltrattamenti in famiglia ?
  La mia domanda concreta è: quale delle proposte di legge eviterebbe questa sovrapposizione e, quindi, con quali frasi tipiche si potrebbe superare questo scoglio, che credo sia quello più comune che rimarrebbe ?

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Come io stesso accennavo poco fa, il reato comune senza finalità specifiche è fatalmente un'ipotesi che possiamo definire «speciale» di maltrattamenti. Non è tecnicamente speciale, perché il maltrattamento copre un'area un po’ più vasta.
  Non stiamo a discutere se sia speciale o non speciale, ma di certo ruota intorno allo stesso asse teleologico. Sono in gioco interessi omogenei. Che nel diritto penale esistano fattispecie collocate in situazioni di progressione di tutela, dal meno al più, è un fatto normalissimo. È una cosa fisiologica e il confine tra le due fattispecie non è sempre tracciato in una forma immediatamente percepibile, perché pretendere di assoggettare la varietà delle circostanze della vita a una dimensione normativa, che è necessariamente astratta, significa in sostanza evocare l'eliminazione del giudice. Il giudice dovrebbe essere sostituito da un computer in cui si inseriscono i dati, ma non è così e non può essere così. Il giudice sta lì per quello, sta lì per identificare quel confine, nel caso concreto, adoperando tutti gli strumenti che l'ordinamento gli affida.
  Si tratta, per il legislatore, non di compiere un'opera di dettaglio, perché il dettaglio è un meccanismo casistico che non ci appartiene. Più la legge è casistica, più è permeata da vuoti, da lacune e da buchi. Il problema è utilizzare espressioni che consentano di definire i contenuti tipici con un grado di determinatezza sufficiente a cogliere il nucleo di disvalore dell'illecito.
  In materia di tortura noi stiamo parlando di un terreno, come dicevo, lungamente arato. Abbiamo una giurisprudenza della CEDU costituita da decine e decine di sentenze che ci vincolano. Non sono oggetto di studi nei seminari, sono materia applicata nei tribunali. Ora no, perché non abbiamo il reato di tortura, ma domani la prima fonte a cui il giudice si rivolgerà per identificare se nel caso concreto ci sia una tortura o no sarà la ricca giurisprudenza della CEDU.Pag. 12
  Se voi scorrete quella giurisprudenza, che diventa vincolante per il nostro giudice – ormai ci avviamo a un sistema misto di civil law e common law, che si stanno un po’ incrociando – vedete che i casi che la CEDU ha qualificato di tortura sono macroscopici e comunque assolutamente condivisibili.
  Per quanto riguarda il caso dell'articolo 613-bis, io non intendo difenderlo in modo particolare, perché, ripeto, non ci avrei messo «mediante trattamenti inumani o degradanti la dignità umana», in quanto questo effettivamente crea una zona di confine con i maltrattamenti che è ambigua. La modalità è proprio il maltrattamento. Un maltrattamento che evolve in acute sofferenze fisiche o psichiche ci può stare, ma io, francamente, avrei evitato questo riferimento, visto che torture e trattamenti inumani sono su due piani diversi. Come dicevo, avrei fatto piuttosto riferimento alla violazione dei doveri di protezione e di tutela che incombono al soggetto. In questo caso l'evento è di acute sofferenze fisico-psichiche.
  Tenga anche presente, onorevole, che il delitto di maltrattamenti è un delitto necessariamente abituale, mentre la tortura no. Pertanto, c’è uno spazio della tortura che i maltrattamenti non potranno mai coprire. Per questo motivo dicevo che non si tratta propriamente di un'ipotesi speciale. Sono sullo stesso asse di tutela, ma non si può dire che la tortura sia una forma speciale di maltrattamento, perché i maltrattamenti sono un reato abituale.
  Se noi li inseriamo in questo testo, trasformiamo la tortura in un reato abituale, il che mi sembra, francamente, fuori da ogni logica. Se io commetto violenze o minacce gravi, può esserci un reato istantaneo. In un pomeriggio con minacce terribili provoco uno shock che addirittura implica il ricovero di qualcuno in una clinica psichiatrica. Terrorizzo una persona, anche in poche ore, e, quindi, non ci sono problemi.
  Se, invece, non ci sono né violenze, né minacce, bisogna che ci siano trattamenti inumani e degradanti e, quindi, protratti nel tempo, ma protratti nel tempo in modo molto significativo, per integrare il delitto di maltrattamenti. Questo requisito chiama i maltrattamenti dentro la fattispecie di tortura.
  A me questa non sembra una buona scelta. I maltrattamenti stanno a casa loro, hanno le loro caratteristiche. Ci saranno delle zone di sovrapposizione, ma non bisogna favorirli. Non bisogna inserire i maltrattamenti addirittura dentro la tortura come una delle modalità.

  FRANCO VAZIO. Intervengo per capire il suo ragionamento. Lei dice che il reato proprio ha una finalità di tipo processuale e punitivo. Nel reato comune abbiamo violenze e minacce, che producono quegli effetti, ma i maltrattamenti, benché gravi, devono essere una cosa diversa e non entrare nel reato comune.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. No, possono entrarvi. Per carità, se i maltrattamenti si sostanziano in violenze e minacce che provocano acute sofferenze, rappresentano una tortura continuata.

  FRANCO VAZIO. Non, però, il maltrattamento.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. In questo modo si rischia di creare quella zona grigia che si vuole evitare. Il fatto che poi le fattispecie coesistano e costituiscano un insieme unitario è una caratteristica del sistema. Ci mancherebbe anche che non fosse così. Il sistema tiene conto dell'esistenza di tutte le altre fattispecie. Studiare il sistema significa capire quante strade sono già tracciate in realtà. Molto spesso ignorare il sistema significa uscire di strada. In questo caso mi pare che non sia davvero difficile rispettare il campo di entrambi senza creare alcun tipo di inconveniente, a mio giudizio.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Pag. 13Brevemente, svolgo qualche considerazione di tipo soprattutto pratico. Il problema non è forse tanto quello di una distinzione delle due fattispecie, che presentano elementi costitutivi diversi, quanto, in concreto, quello di trovare una definizione dell'ambito di applicazione dell'una e dell'altra, perché potrebbe trattarsi di fatto, per esprimermi così, di una sorta di due insiemi parzialmente coincidenti.
  Noi il problema ce lo siamo posto. Ce lo siamo posto nell'ultimo paragrafo della nostra relazione, dove non potevamo che concludere osservando che il testo del disegno di legge C. 2168 «finisce così – scriviamo testualmente – con il valorizzare il ruolo che avrà la giurisprudenza poi nella concreta applicazione di questa norma».
  La giurisprudenza, a nostro avviso, non potrà che fare riferimento – in questo, ancora una volta, sono perfettamente d'accordo col professore – agli elementi che noi indichiamo come gli elementi specifici desumibili dalla giurisprudenza della CEDU, ossia ai princìpi costituzionali, alla stessa Convenzione ONU e, sotto altro aspetto, alle cause di giustificazione e ai princìpi che governano il complessivo sistema penale.
  Naturalmente un testo di questo tipo, proprio per sottrarsi ai rischi di sovrapposizione con altre fattispecie, richiederà un grosso sforzo di consapevolezza da parte di chi dovrà applicare questa norma.

  VITTORIO FERRARESI. Mi rivolgo al professor Padovani. Ho letto il suo scritto del 2007 in cui criticava, in maniera forse un po’ più pesante, questi progetti di legge, che avevano le stesse caratteristiche, più o meno, anche se sono passati tanti anni, di quello che ci è arrivato dal Senato.
  Vorrei chiedere al dottor Sabelli quattro punti in particolare. Il primo è sulle finalità.
  Premesso il fatto che le finalità devono essere ricondotte a un reato di natura propria, ci sono stati degli esempi nel nostro Paese in cui molto spesso le forze dell'ordine agivano infliggendo sofferenze senza una finalità, per il solo scopo di infliggere violenza, per il solo fatto di volerla infliggere. In questo caso, non vorrei che, mettendo quattro o cinque...

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa (fuori microfono). Si riferisce a Genova ?

  VITTORIO FERRARESI. Non solo. Mi riferisco anche a casi non così eclatanti, ma importanti, come quelli di alcuni soggetti. Mi riferisco, per esempio, al caso Magherini e al caso Uva, in cui la finalità non c'era. Non vorrei, quindi, che, disciplinando quattro o cinque finalità, noi producessimo una norma che in questo senso manca di una copertura per alcuni casi.
  La seconda questione riguarda la pluralità dei termini, ovvero «violenze o minacce». Presupposto il fatto che sono comportamenti non abituali, ma singoli, mi chiedo se non sia tortura anche un gesto singolo e non solo plurale.
  Oppure, per quanto riguarda la seconda modalità, «acute sofferenze fisiche o psichiche», mi chiedo se la pluralità possa coprire anche altri fatti, che magari non sono più fatti, ma sono fatti singoli.
  Vorrei anche un parere sulla parte che recita «privazione della libertà personale o affidato alla sua custodia o autorità». Vorrei sapere se, secondo lei, sia necessaria e se sia necessaria – parzialmente lei ha già risposto – la parte sui «trattamenti inumani o degradanti», che, da quello che ho capito, lei vorrebbe escludere.
  Grazie.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Il mio scritto del 2007 era più sbilanciato verso il reato proprio, perché – come ho premesso – io sono convinto che il reato proprio sia ciò che ci manca. Non dico, però, che il reato comune sia fuori posto. Ho un'opinione, ma in questa sede non intendo far valere un'opinione contraddetta da un'evoluzione legislativa. Vorrei che questa evoluzione, Pag. 14però, rispettasse la coerenza del sistema, almeno come auspicio, ragion per cui mi sono sforzato di illustrare i termini di questa coerenza.
  Lei si preoccupa che il reato proprio abbia delle lacune. Nel reato proprio innanzitutto ci vuole, a mio avviso, la modalità «abusando dei poteri o violando i doveri». Dopodiché, le finalità sono tre, fondamentalmente: quella processuale, quella punitiva e quella discriminatoria.
  Che il pubblico ufficiale, nell'esercizio di funzioni legate fatalmente ad aspetti che coinvolgono questi momenti della vita sociale, eserciti una violenza che non si caratterizza per le finalità che la norma indicherebbe mi sembra piuttosto improbabile. L'esempio di Genova è illuminante da questo punto di vista. Secondo l'accusa, quella fu una spedizione punitiva, ossia un caso in cui il dolo specifico era il fondamento dell'azione: «Andiamo a punirli, altrimenti la fanno franca». Più di così !
  Quanto agli altri esempi che lei faceva, sono esempi in cui si tratta di esercitare una coercizione processuale che è avvenuta, secondo l'accusa, in violazione manifesta dei doveri. In questo caso si è esercitata una violenza di gran lunga superiore allo scopo di sanzionare il comportamento del soggetto. Il soggetto veniva sanzionato perché considerato una persona che avrebbe dovuto scontare in anticipo quella pena che, diversamente, non gli sarebbe stata riservata. È stato, quindi, un intento punitivo.
  Lei pensa che non sia un intento punitivo ? Vede, il problema è sulla difesa. Lei vede il pubblico ufficiale che si difende dicendo «Guardi che io l'ho fatto per istinto sadico, sa ? Non l'ho fatto mica per punire» ? Lei pensa che sia questa la difesa del pubblico ufficiale ?

  VITTORIO FERRARESI, (fuori microfono). Si tratta di accertare se...

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. L'accertamento è in re ipsa. Qui factum interpellat pro homine. Come ? Lo stavi arrestando, tu dici che si è ribellato e l'hai picchiato, l'hai ridotto in fin di vita. Perché l'hai ridotto in fin di vita ? L'hai ridotto in fin di vita perché intendevi punirlo, o perché intendevi assicurarlo alla giustizia, perché intendevi esercitare una finalità legata alla tua attività istituzionale. Io non vedo per il pubblico ufficiale una situazione di rischio di lacune.
  D'altra parte, il rischio di lacune è estremamente ridotto, perché, se così fosse, il pubblico ufficiale sarebbe un cittadino comune e l'evento ricadrebbe nella tortura comune, che risulterebbe punita un po’ meno, ma con l'aggravante di essere lui un pubblico ufficiale. Come vede, l'ufficiale non si salva. Non gli danno la medaglia al valore. Il fatto ricadrebbe nella tortura comune.
  Pertanto, non mi formalizzerei su aspetti di questo tipo, che non colgono il fenomeno nella sua dimensione operativa reale. Questi aspetti marginali non possono intaccare la solidità del sistema, anche perché il rimedio è interno al sistema. Non vedo motivi di alcuna perplessità.
  I maltrattamenti li abbiamo già visti. Che altro mi chiedeva, onorevole ?
  Parlava del plurale. Lei sa che nell'uso del linguaggio legislativo il plurale non indica necessariamente una pluralità, ma è un plurale cosiddetto indeterminato, che comprende il singolare. Questo non nel caso di minacce gravi, perché le modalità, in questo caso, si connotano in termini di precisione tassativa.
  Dunque, lei ha ragione, secondo me, sulle modalità (con violenza o minaccia grave), ma le sofferenze le lascerei così, perché le sofferenze gravi sono la connotazione di uno stato che non si determina in una forma singolare. Può determinarsi in una forma singolare, ma può esprimersi anche in una pluralità di situazioni.
  Lei ha fondamentalmente ragione nel dire che «violenze o minacce» sia un plurale che può indurre in equivoco, se poi si dice che c'era una minaccia sola.

Pag. 15

  VITTORIO FERRARESI. Per quanto riguarda «gravi e acute» ?

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Io prenderei la definizione della Convenzione del 1984, che parla di «dolore e sofferenze acute, fisiche o mentali». Le ripeto, c’è un retroterra giurisprudenziale che garantisce. In questo caso lavoriamo su un terreno già arato. Su che cosa sia la tortura ci sono tantissime fonti internazionali.

  PRESIDENTE. Occorre solo inserirla. Dobbiamo fare questo passo.

  VITTORIO FERRARESI. L'ultima cosa, professore, sulla «persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia», secondo lei, è giusto specificare la privazione della libertà o l'affidamento alla custodia ?

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. No. Francamente, non mi pare.

  VITTORIO FERRARESI. È nel testo del Senato.

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Il testo del Senato ora non me lo ricordo. Non ci ho fatto caso.

  VITTORIO FERRARESI. Leggo: «ad una persona privata della libertà».

  TULLIO PADOVANI, Ordinario di Diritto penale presso la Scuola superiore S. Anna di Pisa. Il testo dice: «ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia e autorità». È ricompreso. Mi sembra una specificazione inutile.

  PRESIDENTE. Parla di abuso di potere.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Per quanto riguarda la questione del reato comune noi ci siamo espressi favorevolmente all'individuazione quantomeno anche di un reato comune per evitare che le stesse condotte possano essere sottoposte e rientrare nella tortura o no a seconda della qualità soggettiva.
  Prendiamo il caso dell'appartenente alla criminalità organizzata. La preoccupazione legata alla natura di reato proprio con dolo specifico e, quindi, con l'individuazione di finalità tassative è una preoccupazione che non esiste con riferimento al testo approvato dal Senato (A.C. 2168), che compie la scelta di un dolo generico e di un reato comune.
  Per quanto riguarda il riferimento ai trattamenti inumani o degradanti, la necessità di introdurre questa ulteriore condotta alternativa rispetto alle gravi minacce o violenze immagino derivi dal fatto di non escludere dai comportamenti di tortura tutta una serie di situazioni che in concreto, con qualche difficoltà, si potrebbero forse ricondurre alla nozione di minaccia o di violenza.
  Questo, però, con quella ricaduta che indicavo prima e che abbiamo segnalato nel parere, ossia il rischio di un eccesso di ampliamento a situazioni in cui questo degrado, in realtà, derivi da situazioni ambientali. In merito un'opera di delimitazione può avvenire in via interpretativa con gli strumenti ai quali facevo riferimento prima.
  Quanto alla delimitazione delle categorie di persone offese, la necessità di definire maggiormente l'uno o l'altro degli elementi costitutivi del reato probabilmente deriva dal fatto che, a seconda della definizione della fattispecie contenuta nei vari disegni, come anche nella Convenzione del 1984, taluno degli elementi sia individuato e definito più debolmente.
  Accade, quindi, che, laddove si compia la scelta di reato comune, come nel testo dell'A.C. 2168, poi si avverta la necessità di trovare un altro modo per definire, per esempio limitando la condotta – non qualsiasi Pag. 16atto, ma violenze e minacce gravi o trattamenti degradanti – e definendo anche l'ambito della persona offesa.
  È un azzardo. Non conosco la genesi esattamente, ma immagino che questa necessità di definire l'ambito della persona offesa possa costituire un contrappeso rispetto alla scelta di costruire la tortura come reato comune e non come reato proprio.

  PRESIDENTE. Grazie. Se non ci sono altre domande, ringrazio i relatori. Ringrazio il professor Padovani, l'Associazione nazionale magistrati e i colleghi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.50.