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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

III Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Giovedì 20 luglio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA STRATEGIA ITALIANA PER L'ARTICO

Audizione di rappresentanti di ENI.
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 3 
Bertelli Luca , Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI ... 3 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 9 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 9 
Bertelli Luca , Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI ... 9 
Busto Mirko (M5S)  ... 10 
Bertelli Luca , Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI ... 10 
Busto Mirko (M5S)  ... 11 
Bertelli Luca , Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI ... 11 
Cicchitto Fabrizio , Presidente ... 11 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dal Dottor Luca Bertelli ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori: Misto-CI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI: Misto-FARE!-PRI;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
FABRIZIO CICCHITTO

  La seduta comincia alle 13.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione tramite circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti di ENI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno della seduta odierna reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Strategia italiana per l'Artico, l'audizione di rappresentanti dell'ENI. Saluto e ringrazio il Dottor Luca Bertelli, Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI, e il Dottor Stefano Meloni, Vicepresidente responsabile per le relazioni istituzionali Italia di ENI, i quali sono accompagnati dal Dottor Angelo Grimaldi, responsabile per i rapporti con il Parlamento e gli organismi di governo, dal Dottor Filippo Cotalini, responsabile nell'Ufficio Stampa Exploration, Upstream e Technical Activities, e dal Dottor Alessandro Sabbini, dell'ufficio per i rapporti con il Parlamento ed organismi di governo.
  Il Dottor Bertelli ricopre il ruolo di capo dell'Ufficio esplorativo dell'ENI dal 2014. In precedenza è stato direttore tecnico del Norsk Agip in Norvegia.
  Ricordo che l'indagine conoscitiva che stiamo svolgendo ha visto finora il contributo di soggetti istituzionali e di soggetti provenienti dal mondo della ricerca scientifica, dal mondo accademico e dal mondo dell'industria. Nel mese scorso una delegazione della Commissione si è recata in missione presso le isole Svalbard, dove ha potuto prendere atto della presenza del nostro Paese nella regione a un livello qualitativo altissimo. Oggi, grazie all'intervento degli auditi, analizzeremo in che modo l'ENI è presente in tale scenario e come si sta misurando con le questioni di ordine geopolitico che stanno emergendo nella regione artica.
  A tale proposito, ricordo che l'ENI è presente in Norvegia sin dal 1965, dove ha interessi in licenze esplorative e giacimenti in produzione e che nel 2016 ha avviato la produzione del giacimento Goliat, situato in una zona priva di ghiacci del Mare di Barents, al largo della Norvegia.
  La piattaforma off-shore Goliat ha una capacità di produzione di 100.000 barili di petrolio al giorno. Inoltre, in vista della riduzione delle emissioni degli scarichi e dei rischi di inquinamento, la piattaforma ha un impatto ambientale minimo, grazie all'alimentazione elettrica da terra e al concetto operativo zero discharge.
  ENI è, inoltre, presente in Alaska, nel Mare di Beaufort, dove, tramite la sua filiale americana, dal 2011 è attivo il campo di Nikaitchuk.
  Do, quindi, la parola al Dottor Bertelli per lo svolgimento della sua relazione, che prevede anche una presentazione informatica, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).

  LUCA BERTELLI, Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI. Grazie, onorevole presidente. Prima di entrare nello specifico delle attività di ENI, vorrei fare un piccolo riepilogo su cos'è l'Artico.
  Prima di tutto, per Artico intendiamo tutto ciò che si trova oltre la latitudine di Pag. 466° 33’ a nord, ossia tutto ciò che si trova oltre il Circolo Polare Artico. In queste zone ci sono terre emerse e ci sono vaste aree off-shore. Le terre emerse, chiaramente, appartengono ai cinque Stati che insistono sulla zona artica, che sono Stati Uniti, Russia, Danimarca con la Groenlandia, Canada e Norvegia.
  Quanto alle acque off-shore, invece, esiste la distinzione tra acque libere e acque nazionali, quindi, tra acque internazionali e acque di competenza dei singoli Paesi. Le acque di competenza dei Paesi, come in tutta la giurisdizione mondiale riguardante l’off-shore, sono le acque che rientrano nelle 200 miglia nautiche dalla costa. Queste sono le aree di competenza economica esclusiva dei cinque Stati artici. Ci sono poi le acque oltre le 200 miglia dalla costa, che sono acque internazionali e che, quindi, non appartengono ad alcuno Stato che afferisce alla zona artica.
  Chiaramente, gli Stati artici hanno sollevato rivendicazioni volte ad estendere la loro piattaforma continentale oltre il limite delle 200 miglia, che delimita internazionalmente la zona economica esclusiva, ma le acque che circondano l'Artico sono acque internazionali libere. Questa è una premessa fondamentalmente per capire quali sono i principali Paesi che hanno accesso diretto all'Artico.
  ENI è presente in quattro dei cinque Paesi artici. In particolar modo, siamo presenti in Norvegia, con l'attività di esplorazione e di produzione nel Mare di Barents norvegese. Siamo presenti in Russia esclusivamente con attività di esplorazione, nelle acque russe del Mare di Barents, al confine con le acque norvegesi. Siamo presenti negli Stati Uniti, in Alaska, con insediamenti on-shore e in acque estremamente basse. Infine, siamo presenti, con attività di studio, anche in Groenlandia.
  Prima di tutto, vorrei descrivere come l'ENI si approccia all'Artico. ENI è estremamente consapevole dell'importanza del dibattito sui cambiamenti climatici. Come sapete, infatti, ha aderito, insieme anche ad altre società, alle conclusioni della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (COP 21). Abbiamo finalizzato una policy interna che guida le nostre attività sull'Artico e il cui principio base è che non ci sono e non ci saranno operazioni di ENI, intese in termini di esplorazione e produzione, ossia di perforazione di pozzi e di produzione di idrocarburi, in aree in cui non esistono tecnologie che assicurino una completa gestione del rischio ambientale e fisico degli asset.
  Tutte le attività di esplorazione e di produzione di ENI in Artico sono svolte su quelle che noi chiamiamo zone ice-free. Entrerò, poi, un po’ più nel dettaglio del concetto di zona ice-free, intanto, voglio ricordare che in tutte le operazioni riguardanti i progetti artici siamo impegnati a minimizzare gli impatti ambientali e sociali.
  Relativamente alle acque off-shore dell'Artico, voglio sottolineare che, come vi dicevo, c'è Artico e Artico. Ci sono tre grandi distinzioni che occorre fare. Innanzitutto, ci sono le zone ice-free, ossia le aree in cui per tutta la durata temporale dell'anno non c'è copertura di ghiacci. Quando parlo della copertura di ghiacci intendo fare riferimento alla copertura sia di ghiacci fermi (fast ice), connessi alla superficie terrestre, sia di ghiacci mobili (drift ice), che riguardano la calotta glaciale e a come si muove la calotta glaciale nel Mare Artico. Nelle zone ice-free non sono presenti né ghiacci fermi né ghiacci mobili per tutta la durata dell'anno. Ci sono, poi, zone parzialmente ice-free, nelle quali durante l'anno si hanno finestre temporali più o meno prolungate in cui si verificano condizioni di mancanza di ghiacci, sia ghiacci fast ice, sia ghiacci drift ice. Infine, ci sono le aree sempre coperte da ghiacci, sia fast ice, sia drift ice. Queste, generalmente, sono le aree che vanno oltre il 74° grado di latitudine nord. È importante capire questa differenza, perché, a seconda di dove andiamo ad operare, essa comporta impatti profondissimi sulle attività di esplorazione e produzione.
  Segnalo anche che le acque artiche hanno quasi tutte profondità abbastanza ridotte, mediamente non oltre i 600 metri. Gran parte delle acque artiche si trovano su Pag. 5piattaforme continentali e hanno una profondità che oscilla tra i 200 e i 350 metri.
  Nella slide n. 3 potete vedere la presenza di ENI nell'Artico. In colori diversi sono indicate le varie tipologie di attività svolte nei Paesi in cui siamo presenti. In Alaska ENI è presente con attività di esplorazione e di produzione on-shore. Si tratta, quindi, di attività on-shore e in acque poco profonde, che in seguito descriverò nel dettaglio.
  In Norvegia, nel Mare di Barents, ENI è presente con attività di esplorazione e produzione sulla piattaforma continentale norvegese. In particolar modo, qui abbiamo, come sapete, il campo di Goliat, che è una piattaforma di produzione. In Alaska abbiamo due campi di produzione: il campo di Nikaitchuk, che è operato da ENI al cento per cento, e il campo di Oguruk, un campo in cui ENI è presente, ma viene gestito da un altro operatore. Le nostre attività di produzione in Norvegia sono in partnership con Statoil, mentre le attività di esplorazione che portiamo avanti nel Mare di Barents sono in collaborazione con svariati partner. I partner di riferimento, comunque, sono Statoil e, molto spesso, anche Petoro, la compagnia di Stato norvegese.
  In Russia portiamo avanti esclusivamente attività di esplorazione, in partnership con Rosneft. In questo ambito ENI svolge la propria attività come operatore della joint venture del titolo detenuto da Rosneft. In Groenlandia, infine, portiamo avanti solo attività di studio preliminari sulla costa orientale.
  Nella slide n. 4 potete vedere come categorizziamo le varie tipologie di Artico nella nostra policy. Ci sono tre distinzioni fondamentali. La prima riguarda l'Artico che definiamo «operabile». Questo significa che tutte le soluzioni operative esistenti in queste aree, che sono tutte zone ice-free, sono basate su tecnologie già disponibili all'industria. C'è poi un Artico che definiamo «sfidante», perché l'attività di perforazione e di produzione richiede, oggi, miglioramenti alle tecnologie esistenti e degli investimenti che non sono perseguibili se non nel medio termine, ossia in una prospettiva che va da cinque a dieci anni. Infine, c'è un Artico categorizzato come «estremo», in cui per operare gli investimenti sono estremamente significativi e i progetti non sono realizzabili prima di un arco di tempo che va da dieci a vent'anni.
  I progetti di ENI sono rappresentati con le stelle che vedete nella slide n. 4. Il grafico riporta in ascisse la profondità delle acque e in ordinate la percentuale temporale della copertura di ghiaccio. Potete vedere, sostanzialmente, che tutte le attività di ENI avvengono o in acque afferenti piattaforme continentali, come le attività nel Mare di Barents norvegese e le attività nel Mare di Barents russo, oppure on-shore o in acque estremamente basse, come le attività in Alaska. Siamo, quindi, largamente in quella che definiamo «categoria operabile».
  Le attività di studio che stiamo effettuando sul settore orientale della Groenlandia, invece, non prevedono assolutamente impegni di perforazione. Queste attività rientrano in quella che chiamiamo «categoria sfidante», perché nella Groenlandia orientale abbiamo ancora finestre operative limitate e la condizione ice-free di questo territorio si verifica solo due o tre mesi l'anno. È bene ricordare che dieci anni fa queste aree erano inaccessibili, in quanto completamente coperte da ghiacci. Come sapete, la calotta polare si sta riducendo in copertura e spessore. Anche queste aree, che dieci anni fa sarebbero state categorizzate come estreme, adesso rientrano nella categoria sfidante, perché ci sono periodi ice-free.
  Aggiungo un dettaglio su alcuni dei nostri progetti. Quello che vedete rappresentato nella slide n. 5 è il campo di Nikaitchuk. È un campo operato on-shore, nel Mare di Beaufort, in Alaska, nella regione del North Slope. In questo campo tutte le attività di produzione e perforazione vengono condotte dalla terraferma. In particolar modo, nella slide n. 5 potete vedere quanto dista Spy Island. Questa è sostanzialmente un'isola artificiale costruita in acque profonde 3-4 metri, da cui vengono perforati e gestiti i pozzi in produzione nel campo di Nikaitchuk. Dico questo per sottolineare Pag. 6 che tutte queste operazioni vengono effettuate non off-shore, ma on-shore. Quando si opera on-shore i rischi dovuti a eventuali incidenti per il contenimento degli idrocarburi sono completamente negligibili e diversi rispetto a quando si opera off-shore.
  Segnalo questo aspetto perché negli ultimi giorni, come avete visto, sono state pubblicate alcune notizie sulla stampa circa la riapertura di campi operati da ENI in Artico. ENI è stata la prima compagnia a ottenere permessi per la perforazione nell'Artico, relativamente a quattro nuovi pozzi esplorativi, da parte dell'Amministrazione Trump. Non si parla che di cose che sono state già fatte in precedenza e di cose che faremo come le abbiamo fatte in precedenza. Questa attenzione è dovuta, ovviamente, al fatto che, come sapete, il Presidente Obama aveva previsto una moratoria sulle acque del Mare di Beaufort. Quindi, ora che l'Amministrazione Trump cerca di eliminare questa moratoria per rilanciare le attività nell'Artico qualsiasi notizia di questo tipo fa un po’ di rumore.
  Volevo segnalarvi che l'attività che ENI svolgerà in Alaska, quella di cui si è parlato sui giornali in questi giorni, non è altro che un'attività di esplorazione svolta con l'osservanza di tutti gli standard che sono già stati utilizzati nel campo di Nikaitchuk. Non c'è alcuna attività off-shore, ma l'attività viene condotta da terra. Qual è la differenza? Perché abbiamo dovuto presentare richiesta al Bureau of Ocean Energy Management (BOEM), ossia l'autorità statunitense che eroga i permessi nelle acque federali? La differenza è che il punto di impatto del pozzo che andiamo a perforare non ricade nelle acque di competenza dello Stato federale dell'Alaska, ma ricade nella competenza delle acque federali statunitensi, che sono oltre il limite di 3 miglia dalla costa.
  Pertanto, come prevede la legge negli Stati Uniti, abbiamo dovuto presentare una richiesta al BOEM per poter perforare in acque federali. Il pozzo verrà perforato da un'isola artificiale e sarà un pozzo in extended reach. Si tratta di un pozzo che, dall'isola, avrà una deviazione per raggiungere un prospect che si trova a circa 7, 8 chilometri di distanza dall'isola, quindi off-shore. Il punto di impatto del pozzo si trova in acque federali e questo è il motivo per cui abbiamo avuto bisogno dell'autorizzazione del BOEM. Segnalo che le licenze che ENI ha nell’off-shore dell'Alaska non hanno mai fatto parte delle aree che erano state escluse dalla moratoria del Presidente Obama sulle perforazioni nel Mare di Beaufort.
  Passando ad illustrare le attività di ENI in Norvegia, nella slide n. 7 è rappresentato il campo di produzione a olio Goliat. Goliat è l'unico campo in produzione off-shore a olio nell'Artico ed è anche il campo a olio posizionato alla latitudine più a nord del mondo. È un progetto che ha richiesto un tempo notevole dal punto di vista realizzativo e che vede molte «prime» nell'industria: infatti, date le condizioni artiche, sono state realizzate soluzioni tecnologiche e ingegneristiche, utilizzate per la prima volta come standard dell'industria.
  In particolare, la piattaforma, che si trova a circa 80 chilometri dalla costa di Hammerfest, è elettrificata da terra. Secondo la policy zero discharge, non generiamo energia a bordo della piattaforma, bruciando e utilizzando gas, ma l'energia viene trasmessa direttamente dal network norvegese a terra. Un cavo sottomarino di 80 chilometri, che alimenta tutti i sistemi della piattaforma, è collegato alla base della stessa piattaforma definita in lingua inglese Floating Production Storage and Offloading (FPSO).
  Si tratta di un progetto zero discharge e zero flaring. Questo significa che il gas che viene estratto insieme all'olio non subisce un processo di combustione (flaring), perché ciò non è consentito nel Mare di Barents, ma viene reiniettato nel giacimento, attraverso due dei riser che vedete nella slide n. 7. Analogamente, anche l'acqua che viene prodotta dal giacimento viene reiniettata nel sottosuolo.
  Queste sono le caratteristiche di Goliat. La produzione proviene da pozzi sottomarini (stiamo parlando di 300-350 metri di profondità) e il processo di offloading dell'olio avviene attraverso un sistema speciale Pag. 7progettato per Goliat, che può operare anche d'inverno in condizioni di buio assoluto e a temperature estremamente basse. L'olio viene trasportato, poi, con dei tanker, ossia delle petroliere.
  La piattaforma ha capacità di produrre circa 100.000 barili di olio al giorno e ha una capacità pari a un milione di barili. Questo significa che, producendo a pieno ritmo, ogni dieci giorni dobbiamo procedere all’offloading della produzione attraverso i tanker.
  Nella slide n. 8 è rappresentata la FPSO di Goliat. Essa è abbastanza unica in quanto è la più grande FPSO cilindrica nel mondo. Come già detto, si tratta di una piattaforma di produzione e stoccaggio con 64.000 tonnellate di stazza. È un cilindro largo 115 metri e alto 100 metri. La piattaforma di Goliat è stata costruita nei cantieri coreani della Hyundai e poi trasportata nel Mare del Nord da un battello speciale, che l'ha caricata e ha fatto il periplo dell'Africa per portarla nel Mare di Barents. La produzione della piattaforma è iniziata nell'aprile 2016 e attualmente essa ha una produzione regolare.
  Se non avete domande specifiche su queste due tipologie di progetti, passo ad illustrare gli aspetti logistici e gli aspetti operativi, ma soprattutto gli aspetti dei rapporti con gli stakeholder, che sono fondamentali in qualsiasi progetto artico.
  Per operare nell'Artico la compagnia deve avere una sorta di licenza speciale. Questo richiede, prima di tutto, una particolare preparazione nei progetti. Prima di iniziare qualsiasi progetto di produzione, però, è fondamentale il coinvolgimento capillare di tutti gli stakeholder che sono sul territorio. Qualsiasi progetto artico deve venire minuziosamente scandagliato sotto l'aspetto ambientale e sociale e valutato con la massima accuratezza, perché deve essere minimizzato qualsiasi impatto negativo. Qualsiasi iniziativa artica richiede anni di studi mirati a valutare sia tutte le caratteristiche del contesto artico ambientale e sociale in cui si opera, sia l'impatto sulle comunità locali.
  A questo proposito, voglio darvi un quadro temporale del progetto Goliat. La licenza relativa a questo progetto fu assegnata nel 1987. La scoperta del primo pozzo nell'ambito del progetto risale al 1990. Tale scoperta è stata delineata nel 1992 e nel 1993, con la scoperta di due nuovi pozzi. Si tratta della prima scoperta consistente nel Mare di Barents norvegese artico e per il governo norvegese creò un problema nuovo, perché, in precedenza, tutti esploravano l'Artico ma si erano sempre scoperti giacimenti di gas. Per quanto riguarda gli aspetti produttivi, ovviamente, il gas richiede soluzioni e ha impatti molto diversi rispetto all'olio.
  Dopo aver effettuato e confermato la scoperta, il governo norvegese sospese la licenza del progetto per tre anni al fine di far riunire tutte le comunità che erano interessate dall'eventuale progetto di sviluppo ed avere, quindi, feedback e reazioni su questo progetto. Il periodo di sospensione della licenza fu interrotto solo dopo tre anni, quando il public hearing diede un risultato positivo e si cominciò a lavorare per pianificare il piano di sviluppo effettivo del giacimento. Il progetto è stato sanzionato nel 2010: pensate che tra l'attribuzione del titolo e il sanzionamento del progetto sono passati ben quattordici anni. La produzione di Goliat è iniziata l'anno scorso, nel 2016. Queste sono le scale temporali con cui operiamo, soprattutto quando si lavora nell’off-shore dell'Artico, che è l'argomento di cui stiamo parlando.
  Chiaramente la situazione è diversa per progetti come quello di Nikaitchuk, dove le attività vengono condotte dalla terraferma. Anche in quel caso, sono necessari iter autorizzativi e un rapporto molto intenso con gli stakeholder, soprattutto con le comunità che vivono sul territorio. Infatti, le comunità che vivono sul territorio sono realmente impattate anche dai progetti on-shore, ma, in questo caso, i tempi sono un po’ più brevi. È chiaro che per tutti questi progetti si lavora con un open book: c'è un rapporto completo di dialogo e trasparenza con tutti gli stakeholder, basato sulla collaborazione e sulla comunicazione, condividendo tutte le informazioni.
  Per poter partecipare a questo tipo di progetti bisogna anche investire in ricerca Pag. 8e partecipare a tutta una serie di iniziative riguardanti la sicurezza, la qualità e, soprattutto, la salvaguardia della biodiversità e anche delle specificità delle comunità locali.
  Passo ora ad illustrare le tecnologie. Le tecnologie rappresentano un altro requisito fondamentale per poter ottenere una licenza ad operare in Artico. ENI impiega le soluzioni tecnologiche disponibili più all'avanguardia ed è impegnata nella ricerca di tecnologie proprietarie sempre più avanzate, soprattutto per la prevenzione dei rischi e per la mitigazione delle emergenze.
  Con riguardo alle unità di perforazione dei pozzi esplorativi o dei pozzi di produzione, posso dire che il design dei pozzi viene sempre studiato per ridurre al minimo i diametri di perforazione, al fine di prevenire eventuali problemi legati a grandi volumi di olio nel caso di blowout, ossia di fuoriuscite di idrocarburi. Oltretutto, questi impianti soddisfano specifiche tecniche che garantiscono l'operabilità continua nell'oscurità – ricordo che per 3-4 mesi l'anno si lavora 24 ore al giorno in condizioni di oscurità – e che, soprattutto, assicurano l'operabilità esterna anche in condizioni estremamente rigide, come meno 25 gradi di temperatura.
  Poi c'è tutto l'aspetto tecnologico legato alla prevenzione e al monitoraggio degli oil spill. Ci sono fondamentalmente tre sistemi utilizzati da Goliat. Innanzitutto, ci sono sistemi ad infrarosso, montati su navi da rifornimento (supply vessel) stazionarie intorno alla piattaforma, e ci sono dei sistemi radar (oil radar) per l'indagine e l'identificazione di eventuali fuoriuscite di idrocarburi. Ricordo che in questo caso il problema è, nuovamente, l'oscurità. È chiaro che se avviene un incidente nel periodo in cui non c'è oscurità, tutto è facilmente gestibile. Fare indagini relativamente a eventuali inquinamenti o fuoriuscite quando ci sono ventiquattr'ore al giorno di buio non è un compito banale. Servono tecnologie come il sistema ad infrarosso, quelle oil radar e il monitoraggio satellitare. Con il monitoraggio satellitare, attraverso particolari bande satellitari, si riesce ad avere oggi una buona sorveglianza sull'eventuale presenza e fuoriuscita di idrocarburi.
  Questa attività è tutta relativa alla prevenzione. C'è un aspetto, poi, di monitoraggio sottomarino. Avrete notato dalle slide che in Goliat i pozzi di produzione sono sottomarini. Anche questi pozzi vengono monitorati tramite sistemi robotici, ossia piccoli sottomarini teleguidati. L'ENI ha investito molto su questi sistemi robotici. Si tratta di un sistema che forse avete già sentito nominare: si chiama Clean Sea. È un robot sottomarino indipendente che può operare 24 ore al giorno nell'oscurità per monitorare i pozzi di produzione.
  Ovviamente, dobbiamo anche pensare all'eventualità di un incidente, che nessuno vuole si verifichi. Dobbiamo dotarci, quindi, non solo di sistemi di prevenzione, ma anche di sistemi di contenimento. Anche nel caso di fuoriuscita di idrocarburi, l'industria e l'ENI si sono attrezzati con sistemi di contenimento sottomarini che possano tenere sotto controllo l'eventuale fuoriuscita sottomarina di petrolio. In particolar modo, ENI ha sviluppato una sua tecnologia e un suo sistema di contenimento, che si chiama CUBE, il quale è presente in tutti i pozzi sottomarini di ENI. Oltre a questo, ci sono i sistemi robotici che vi ho illustrato prima e i sistemi di contenimento in superficie. I sistemi di contenimento in superficie sono sostanzialmente effettuati attraverso speciali galleggianti e speciali agenti dispersanti degli idrocarburi.
  Per darvi un'idea di come questi progetti siano molto radicati sul territorio, pensate che il sistema di contenimento di Goliat sfrutta la flotta peschereccia di Hammerfest. Tutta la flotta peschereccia di Hammerfest ha fatto un addestramento e, in caso di incidente, ha le strumentazioni per intervenire sul contenimento di un eventuale incidente intorno alla piattaforma. È proprio il sistema locale che partecipa a qualsiasi evento e aiuta anche nella soluzione degli incidenti.
  Vi ho già descritto l'attività di Goliat. Per quanto riguarda l'aspetto impiantistico, voglio sottolineare che esso sposa il concetto «zero discharge». Ciò vuol dire che Pag. 9nell'Artico non possiamo scaricare in mare né i detriti di perforazione, che vengono caricati da speciali battelli, portati a terra e lì trattati, né qualsiasi altro materiale. Anche tutto il sistema di gestione e smaltimento dei rifiuti della piattaforma prevede che non sia scaricato alcun materiale in mare.
  Poi, come vi ho detto prima, viene rispettato il concetto di «zero flaring». Il gas estratto con l'olio non può subire il processo di flaring, se non in caso di emergenze, ossia quando vi è la necessità di fare shutdown e una decompressione dell'impianto. Avete potuto notare nelle slide che rappresentano la piattaforma che essa ha una fiaccola, ma la fiaccola è sempre spenta. Si accende soltanto nel caso in cui occorra decomprimere l'impianto per fare lo shutdown. Inoltre, stiamo lavorando anche a nuove tecnologie che rendano sempre più sicura l'operabilità nell'Artico.
  In conclusione, ENI ha affrontato e sta affrontando le sue attività nell'Artico con un approccio estremamente graduale e ponderato. Questo deriva dai passi progressivi e incrementali che vengono da oltre trent'anni di esperienza maturata in ambienti operativi sfidanti. In questa sede parliamo di Artico, ma vi ricordo che ENI è parte anche di altre situazioni operative, come il campo di Kashagan in Kazakistan, dove per alcuni mesi dell'anno in inverno le condizioni sono uguali, se non peggiori, rispetto alle condizioni artiche. Anche questa è un'esperienza che ci ha fatto crescere in tecnologia e negli aspetti operativi, anche per sviluppare le nostre policy.
  Ci sono poi gli aspetti legati al territorio. Ogni volta che si può iniziare un progetto nell'Artico, verificata la fattibilità tecnica ed economica, si pone tutto l'aspetto relativo al coinvolgimento del territorio e all'accettabilità del progetto da parte del territorio. Senza questo aspetto non si va avanti: dobbiamo essere considerati operatori affidabili nel contesto artico.
  L'ultimo punto che voglio sottolineare riguarda il messaggio che tutte le future attività di ENI e tutte le operazioni saranno proporzionate alla disponibilità degli sviluppi tecnologici che permetteranno di assicurare sviluppi sostenibili, anche dal punto di vista economico ovviamente, minimizzando gli aspetti ambientali e sociali. Dobbiamo ricordarci che anche i progetti artici devono avere un'economicità; poiché sono progetti più costosi e tecnologicamente più complessi, se non c'è l'economicità, il progetto non può essere portato avanti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto il Dottor Bertelli per la presentazione davvero affascinante. Pongo una domanda.
  Sono rimasta molto colpita dalla descrizione delle tecnologie utilizzate. Credo che siano tecnologie molto avanzate e credo che anche le policy in ambito ambientale siano molto avanzate. Immagino che i costi tecnologici legati al rispetto dell'ambiente siano molto alti. La mia domanda, quindi, riguarda la convenienza economica di questo tipo di investimenti. Il vostro è un investimento che già oggi ha una convenienza economica o è un investimento che riguarda il fatto che altri luoghi, in altre parti del mondo, stanno esaurendo le riserve e che, quindi, vale la pena di esplorare zone sempre più remote e impervie?

  LUCA BERTELLI, Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI. Bisogna sempre leggere le cose in un contesto temporale allargato. Prima di tutto, una cosa che non ho detto, ma che è importante, è che tutti gli organismi internazionali che studiano l'Artico, anche le compagnie oil & gas, ritengono che nell'Artico sia contenuto circa il 30 per cento delle riserve di idrocarburi ancora non scoperte nel mondo.
  Ad oggi nell'Artico sono stati scoperti circa 150 miliardi di barili di olio equivalente, di cui circa il 70 per cento è gas. Si stima che restino ancora da scoprire 400 miliardi di barili di olio equivalente, di cui circa il 70 per cento di quello che sarà scoperto sarà gas. Si tratta di un concetto importante, perché in Artico c'è più gas che petrolio. Se volete, seppure sia complicato, Pag. 10posso provare a spiegare il motivo per cui si trova più gas che petrolio.
  Con riguardo al secondo aspetto, va sempre letta la tempistica con cui vanno prese decisioni di investimento. Quando è stato sanzionato il progetto Goliat, il prezzo del petrolio era di 100-110 dollari al barile. Avevamo fatto un sanzionamento del progetto su degli scenari di prezzo. Oggi possiamo dire che Goliat è economico con un prezzo del petrolio a 50 dollari al barile. Nikaitchuk è sicuramente economico. Lo sviluppo di Nikaitchuk ha un'economicità intorno ai 20 dollari, perché è un progetto da terra e non ha la complessità e i costi tecnologici del progetto Goliat.
  Nuovamente ripeto che, quando parlo di progetti sostenibili intendo che la prima sostenibilità è, ovviamente, la sostenibilità ambientale. La seconda è la sostenibilità sociale e la terza è la sostenibilità economica. Se la domanda che mi pone è se convenga esplorare in Artico, rispondo che sicuramente in questi tre anni, in cui il prezzo degli idrocarburi è sensibilmente diminuito, i progetti artici sono meno attraenti. È inutile negarlo. Infatti, tutti gli operatori, noi compresi, hanno rallentato o fermato le attività di nuove iniziative in Artico.
  Tuttavia, dobbiamo sempre leggere le cose in un contesto temporale. Se i prezzi cambieranno e ritorneranno a salire, come succederà tra pochi anni – il taglio degli investimenti, l'esplorazione e la produzione porteranno sicuramente a una risalita dei prezzi –, tutto il discorso andrà analizzato di nuovo. Quindi, un progetto non è né buono né cattivo; dipende dal contesto temporale in cui si guarda. Sicuramente è un dato di fatto che i progetti artici sono più costosi degli altri. Tuttavia, aggiungo che essi consentono anche di sviluppare e utilizzare le tecnologie che non servono poi solo per l'Artico, ma anche per altri contesti operativi. Quando si porta avanti un qualsiasi progetto sfidante, che sia artico o non artico, e si è obbligati a sviluppare tecnologie che consentono di operare in sicurezza, questo è comunque un elemento che arricchisce la compagnia.
  Questa è la mia risposta: è chiaro che, se i prezzi degli idrocarburi restano fermi a 40-50 dollari, l'attrattiva dell'Artico diminuisce.

  MIRKO BUSTO. Sono un ospite, in quanto faccio parte della Commissione ambiente e a proposito di ambiente porrei una piccola domanda.
  Ritengo che quello che ci ha descritto sia un investimento considerevole, che avrà un suo ritorno nel tempo. Di fatto, quindi, mantiene congelato del capitale in una direzione, che è quella della perforazione, in una situazione certamente affascinante e tecnologicamente sfidante, anche con ripercussioni dal punto di vista industriale molto interessanti.
  Dall'altra parte, occorre considerare, però, che il nostro Paese ha firmato l'Accordo di Parigi e si è impegnato a una riduzione sostanziale delle emissioni di gas climalteranti. Con riguardo all'investimento che ci ha descritto non ho capito, perché sono arrivato un po’ in ritardo, se c'è una quantificazione. Comunque, osservo che un investimento che ritengo possa essere sostanzioso in una direzione è in parziale conflitto con la necessità di disinvestire nell'approvvigionamento fossile e di investire in approvvigionamenti a ridotte o a zero emissioni di gas a effetto serra, considerato anche le indicazioni che provengono dal Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC).

  LUCA BERTELLI, Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI. Lei è arrivato in ritardo e, quindi, non ha potuto ascoltare la mia spiegazione. I progetti in cui ENI è impegnata e ha investito nell'Artico sono progetti zero flaring. Non ci sono emissioni che contribuiscono all'effetto serra. Il gas non subisce il processo di flaring, ma viene reiniettato in giacimento. Questa non è una scelta di ENI, ma è una policy imposta dallo Stato norvegese per le operazioni nell'Artico.
  È chiaro che qualsiasi progetto artico in cui si dovesse prevedere un flaring sarebbe insostenibile. Tutte le attività che vengono portate avanti in Artico devono essere zero Pag. 11discharge e zero flaring. Questo è alla base di tutti i progetti che si possono andare a proporre in Artico.

  MIRKO BUSTO. Nonostante questo, rimane aperta la questione che si investe in una tecnologia, seppure interessante, e non in altre. A capitale fisso, se investo in una tecnologia interessante ma che estrae una risorsa fossile, non investo lo stesso capitale in ricerca e sviluppo o in apertura di nuove possibilità in ambito rinnovabile, per esempio.

  LUCA BERTELLI, Capo dell'Ufficio Esplorazioni di ENI. Questa è un'audizione sull'Artico, ragion per cui io Le rispondo sull'Artico. Se non lo sa, La informo che ENI, ormai da due anni, ha creato una nuova linea di business che si chiama Energy Solutions, che prevede investimenti in ricerca tecnologica e sviluppo in tutta la filiera e che ci consente di sviluppare quello che la società ha visto come un processo di transizione energetica dalle fonti fossili attuali a un ibrido di fonti fossili ed energie rinnovabili. Si tratta di un processo su cui la società, avendo aderito alle conclusioni della Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici, è estremamente attenta e rigorosa. Non solo ENI ha creato la linea di business, ma ha anche cominciato a investire significativamente in progetti relativi a energie rinnovabili.
  Stiamo partendo, ovviamente, dai Paesi in cui le energie rinnovabili sono più facili da reperire. Sviluppare un progetto solare in Norvegia è un po’ difficile; è possibile, però, sviluppare progetti eolici. Anche in questo caso, però, ci sono tanti aspetti legati alla situazione artica, in quanto installazioni permanenti possono essere problematiche.
  Abbiamo iniziato a investire massicciamente anche sul settore del solare termico e del solare a concentrazione nei Paesi in cui il sole c'è e sulla parte eolica nei Paesi in cui ci sono progetti di sviluppo della parte eolica. Si tratta di un processo di transizione in corso, su cui la società sta ponendo estrema attenzione.
  Spero di essere stato esaustivo.

  PRESIDENTE. Ringraziando il nostro ospite, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.

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ALLEGATO

PRESENTAZIONE INFORMATICA ILLUSTRATA
DAL DOTTOR LUCA BERTELLI

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