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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SULL'ATTUAZIONE DELL'AGENDA 2030 E GLI OBIETTIVI DI SVILUPPO SOSTENIBILE

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 4 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'AGENDA 2030 PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

Audizione del Dottor Giorgio Beretta, analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL)
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 3 
Beretta Giorgio , analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa ... 3 
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 8 
Quartapelle Procopio Lia (PD)  ... 8 
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 8 
Beretta Giorgio , analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa ... 9 
Spadoni Maria Edera , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dal Dottor Giorgio Beretta ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
MARIA EDERA SPADONI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Dottor Giorgio Beretta, analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL)

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, del Dottor Giorgio Beretta, analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa (OPAL).
  Nel ringraziare il Dottor Beretta per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori, ricordo brevemente che l'OPAL, associazione onlus costituita a Brescia nel 2004, è uno strumento indipendente di ricerca, monitoraggio, analisi e informazione al pubblico sulla produzione e sul commercio delle armi leggere e di piccolo calibro in Italia e, in particolare, in Lombardia, che dedica una particolare attenzione all'individuazione di percorsi di riconversione delle industrie che producono questi sistemi d'arma.
  L'audizione del Dottor Beretta è stata da me proposta e deliberata dall'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, della Commissione affari esteri in connessione con l'attuazione dell'Obiettivo di sviluppo sostenibile n. 16, concernente la promozione di società pacifiche, e del traguardo 16.4, riguardante la riduzione significativa, entro il 2030, del finanziamento illecito e del traffico di armi.
  Ricordo, infine, che sullo stesso tema il Comitato ha già audito, il 22 marzo scorso, il Direttore dell'Autorità nazionale UAMA (Unità per le autorizzazioni dei materiali di armamento), Ministro Plenipotenziario Francesco Azzarello.
  Do, quindi, la parola al Dottor Beretta affinché svolga il suo intervento, che prevede anche una presentazione informatica, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).

  GIORGIO BERETTA, analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa. Grazie davvero per l'invito, che ritengo estremamente importante. Anche se sembra un tema forse di secondo piano, credo che ogni giorno ci rendiamo conto di come promuovere un mondo più sostenibile, un mondo più pacifico e un mondo in cui la gente stia meglio – per dirla in parole molto semplici e chiare – servirebbe a tutti noi. Anche se sembra un discorso un po’ teorico, perché parliamo di Obiettivi del Millennio e dell'anno 2030, di fatto ci rendiamo conto tutti i giorni dell'importanza di questo tema. Vi ringrazio, quindi, per avermi invitato allo scopo di affrontarlo.
  Il 19 settembre 2015 alle Nazioni Unite è stata approvata l'Agenda 2030 per uno sviluppo sostenibile, i cui elementi essenziali sono i 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile e i 169 sottobiettivi, i quali mirano a porre fine alla povertà, a lottare contro l'ineguaglianza, a promuovere lo sviluppo sociale ed economico e a costruire società Pag. 4pacifiche entro l'anno 2030. È davvero un grande obiettivo.
  Secondo l'Obiettivo n. 16 (Pace, giustizia e istituzioni forti), «è evidente che, senza una comunità pacifica e inclusiva e una governance efficace lo sviluppo non può essere sostenibile. Per esempio, i Paesi colpiti da conflitti sono più lontani dal raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, mentre in molti altri Paesi il ristabilimento di istituzioni responsabili e di pace ha contribuito notevolmente al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio». Credo che questo punto sia di grande interesse, perché il tema che andremo ad affrontare (sviluppo, conflitti e armi) si intreccia anche con un altro tema, ossia sviluppo, democrazia, diritti e armi. Se dovessi usare uno slogan che si usa spesso a livello internazionale, direi: «armi in cambio di diritti». Quando riscontriamo che in alcuni Paesi i diritti sono messi in pratica e attuati, riteniamo, ovviamente, che sia lecito esportare armamenti in tali Paesi perché essi riconoscono, mettono in pratica e cercano di attuare diritti civili, democratici e di partecipazione.
  L'Obiettivo n. 16 mira, pertanto, a promuovere società pacifiche ed inclusive entro il 2030. Il punto specifico è il seguente: «Entro il 2030 ridurre in modo significativo i flussi finanziari illeciti e di armi, rafforzare il ritorno dei beni rubati e combattere ogni forma di criminalità organizzata». L'Obiettivo n. 16, dunque, mette insieme due elementi: flussi finanziari illeciti e di armi. Ma la parola centrale è «illeciti». Che cos'è illecito? Tutti pensiamo di saperlo. Di fatto, non è poi così chiaro, a mio parere. Forse è bene riflettere su questa parola. Quando un flusso di armi può dirsi illecito? Quando è in chiara violazione delle norme internazionali e/o delle norme nazionali o quando viene attuato senza il consenso e il controllo delle autorità governative preposte.
  A questo punto, occorre riflettere su cosa sono le norme internazionali. Quali sono le violazioni delle norme internazionali? Di fatto, le norme riconosciute a livello internazionale sono pochissime. L'unica norma a livello internazionale consiste negli embarghi, totali o parziali, che vengono decretati dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, per noi, che siamo anche uno Stato membro dell'Unione europea e dell'OSCE, dall'Unione europea e dall'OSCE. Tuttavia, da alcuni anni a questa parte, più precisamente dal 2014, con l'entrata in vigore del Trattato sul commercio delle armi, una violazione delle norme internazionali si ha anche quando si vìolano le norme di tale Trattato. I Paesi che fanno parte dell'Unione europea, tra cui l'Italia, devono anche rispettare la posizione comune 2008/944/PESC, che prevede otto criteri e otto divieti per l'esportazione di armamenti. Vi sono, dunque, tre situazioni diverse quando si parla di illecito. Un Paese può decidere di rispettare soltanto gli embarghi internazionali, ma, non aderendo al Trattato sul commercio delle armi, può commettere, di fatto, delle illiceità. Questo è un punto da tenere presente. Quali altre violazioni di norme possono riscontrarsi? Le violazioni variano in ogni Paese e riguardano le norme nazionali oppure la mancanza di controllo da parte delle autorità preposte.
  A questo punto, a mio parere, entriamo nel punto centrale: chi sono gli attori delle violazioni? Il testo delle Nazioni Unite lascia capire che si tratta della criminalità organizzata. A mio parere, non è solo così. Nel caso in cui ci sono degli embarghi di armi che non vengono osservati, gli attori delle violazioni possono essere gli stessi Stati e gli stessi governi. Oppure, rispetto al Trattato sul commercio delle armi, che pone delle regole, gli attori delle violazioni possono essere Paesi che, pur avendovi aderito, non rispettano le regole imposte dal Trattato. Quindi, gli attori delle violazioni possono essere organi e autorità statali o governative, servizi con entità deviate, chiaramente non in accordo con le autorità statali, agenti corrotti – quindi, singoli soggetti –, trafficanti, criminalità organizzata, singoli individui e così via.
  Un altro punto importante, su cui vorrei porre l'attenzione, è l'esistenza di una zona grigia: governi, loro agenti o singoli, che approfittano di vuoti di legge, mancanze, carenze e, a volte, inconsistenze nelle leggi Pag. 5e di mancanze di controlli per effettuare operazioni illecite. In questa zona grigia rientrano anche le triangolazioni e le esportazioni autorizzate che, poi, finiscono ad altri destinatari, per cui l'utilizzatore finale non è quello che si era pensato. Evidenzio questo aspetto perché, per quanto riguarda i traffici di armi, è molto più facile trafficare le armi leggere che non carri armati blindati, portaerei o navi, i cui movimenti non passano inosservati. Le armi leggere, invece, circolano molto più facilmente, ad esempio, si possono trasportare nei camion.
  Uno dei maggiori istituti di ricerca a livello internazionale è lo Small Arms Survey di Ginevra, il quale ricorda che a livello mondiale c'è un 5-7 per cento di traffico illecito rispetto al commercio lecito di armamenti, anche se nessuno può dire quanto sia realmente il traffico illecito di armi. C'è poi, però, questa zona grigia che copre il 20-25 per cento del traffico illecito. Si tratta di esportazioni di armamenti che sono autorizzate per un determinato destinatario e che poi vengono deviate e trafficate in altra maniera. È una zona grigia molto ampia, che può arrivare a toccare il 30 per cento del commercio mondiale di armi.
  Tanto per dare un'idea di quello che ho detto e passare alla cronaca di questi giorni, riprendo alcune notizie di stampa. Nella slide n. 10 potete leggere una notizia del marzo scorso: «Le armi che uccidono in Siria parlano lingue balcaniche». L'articolo spiega come dai Balcani siano partiti 1,3 miliardi di dollari di armi destinate a quattro Paesi musulmani, per due terzi all'Arabia Saudita e ai ribelli siriani. Nella slide n. 11 è riportata un'altra notizia della settimana scorsa: «Il Pentagono sta acquistando decine di milioni di dollari di armi di tipo sovietico nell'est e nel sud-est dell'Europa per rifornire i ribelli siriani». C'è stata un'inchiesta a livello internazionale in questo senso. Ho riportato questi due articoli come esempi. Non sto invitando ad accusare nessuno ma, in questi giorni, in queste settimane e in questi mesi leggiamo di questi fatti. Nell'ultimo caso, chiaramente, se la responsabilità è del Pentagono, è di un organo governativo, non di un trafficante di armi.
  Nella slide n. 12 è riportata un'altra questione molto importante, di cui si è parlato proprio nelle settimane scorse. Ho tradotto in italiano l'articolo che ho trovato in inglese: «Tutta la verità sulle armi mandate ai terroristi in Siria tramite i voli diplomatici». Si tratta di una lunga inchiesta, condotta soprattutto da una giornalista bulgara, che, documenti alla mano, riporta come siano state continuamente fornite armi attraverso voli diplomatici, tra l'altro, operati dalla SilkAir, la stessa compagnia aerea che si occupa dei cargo che partono dalla Sardegna e trasportano le bombe in Arabia Saudita.
  Nella slide n. 13 potete vedere che il Washington Post, proprio ieri e l'altro ieri, riportava di un'inchiesta delle Nazioni Unite riguardante 24.000 granate a propulsione a razzo, più altro materiale, partito dalla Corea del Nord e destinato all'Egitto. Tra l'altro, l'imbarcazione che trasportava le armi è stata bloccata in Egitto e in quella circostanza si è scoperto che era proprio l'Egitto il destinatario finale. Queste sono notizie di cronaca che vediamo tutti i giorni.
  Spostandomi, invece, sul lato della ricerca, voglio citare una ricerca chiamata FIRE condotta da Transcrime, che è il Centro universitario di ricerca di criminologia dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, la quale è stata presentata lo scorso novembre con il titolo: «Traffici illeciti delle armi da fuoco a livello europeo: i risultati di un'analisi». Anche in questa ricerca, come vedete nella slide n. 15, si parla di grey zone e di traffici leciti e illeciti. Tuttavia, questa ricerca si è concentrata a cercare le fonti aperte, anche perché – questo è il punto triste della questione – non ci sono informazioni precise, né a livello italiano né a livello europeo né a livello internazionale, sull'ampiezza del traffico illecito. L'Unione europea ha sponsorizzato questa ricerca. Uno dei punti focali della ricerca è stato quello di raccogliere le informazioni attraverso la stampa e i media rispetto ai traffici di armi o alle armi sequestrate in Europa nell'ultimo quinquennio. Pag. 6
  Nella slide n. 16 è rappresentato il risultato della ricerca, che, secondo me, è estremamente interessante. Se guardate la tabella, vedete che, nell'arco del quinquennio, i piccoli casi, quelli in cui sono state sequestrate una o due armi, sono 1.893. Non si tratta, quindi, di grandi traffici illeciti, magari si tratta di persone che detenevano le armi in modo irregolare. Ci sono 1.139 casi di media scala, in cui sono state sequestrate 3.848 armi. Il punto interessante è che i casi di larga scala sono pochi, 243, ma hanno portato al sequestro di 12.960 armi. Prestate attenzione a questo dato, che può sfuggire: in totale, ci sono 18.721 armi sequestrate in Europa in cinque anni, dal 2010 al 2015. Nelle settimane scorse si è svolta un'indagine che ha riguardato il sequestro di armi illecite in Spagna, per la quale le armi sequestrate sarebbero circa 10.000, quindi si tratta di una cifra consistente. Tenete presente, però, che la ricerca di Transcrime parla di 18.721 armi sequestrate in cinque anni.
  Dico questo perché stiamo entrando in una zona grigia. Nell'anno 2009 l'Italia ha concluso un accordo di partenariato e di amicizia con la Libia. Nello stesso giorno in cui Gheddafi arriva in visita ufficiale in Italia, il 10 giugno 2009, viene consegnata l'autorizzazione alla Beretta per esportare 7.500 pistole semiautomatiche calibro 9x19 serie PX Storm e altre 1.900 carabine di tipo 9x19 CX Storm 4 e poi altri fucili della Benelli. In tutto erano 11.100 armi, più alcune parti. Nella slide n. 18 è riportato il documento ufficiale del ricevimento di quelle armi da parte dell'Ambasciata italiana a Tripoli. Vorrei mettere in chiaro che non si tratta di niente di illecito. Sto cercando di spiegare come funziona la zona grigia. L'Italia ha un accordo di partenariato con la Libia e alla Libia: già da un anno era stato tolto l'embargo di armi che vigeva in precedenza, quindi era lecito esportare armi in quel Paese.
  Se guardiamo la questione dal punto di vista delle norme e delle regole, non c'è alcun illecito. Se guardiamo la questione dal punto di vista dell'essenza delle regole, cioè considerando, per esempio, le violazioni dei diritti umani in Libia e come avrebbero potuto essere utilizzate queste armi a scopi repressivi, forse qualche interrogativo si poteva porre. Erano gli anni in cui, tra l'altro, l'attuale Presidente della Camera, Laura Boldrini, era portavoce regionale dell'UNHCR e lamentava il fatto che in Libia immigrati e rifugiati erano in condizioni davvero disperate.
  C'è, dunque, l'esportazione di 11.100 armi in Libia; nella slide n. 19 è riportato il documento della Beretta relativo a questo ordine. Nel 2011, però, Gheddafi viene deposto e, nell'agosto di quell'anno la sua roccaforte viene presa. Nella foto riportata nella slide n. 21, sulla sinistra, potete vedere Gheddafi nel suo compound chiamato Bab al-Aziziya. Nelle slide successive sono riportate le varie scene degli insorti che entrano nel compound. Il Corriere della Sera in quell'occasione scrive: «I ribelli sono entrati a Bab al-Aziziya. Nelle stanze adibite ad arsenali militari ci sono scatole intatte e foderi di migliaia tra pistole calibro 9 e fucili mitragliatori, tutti rigorosamente marca Beretta. A lato, letteralmente montagne di casse e munizioni italiane. Ricordano da vicino gli arsenali che avevamo trovato nella zona dei palazzi presidenziali di Saddam Hussein» (slide n. 27). Lo stesso giorno, l'inviato di Sky News twitta: «Scene incredibili oggi al compound. La preoccupazione adesso è che un grande numero di pistole e fucili Beretta vengano rubati dai gruppi di insorti» (slide n. 28). Dopo qualche minuto, lo stesso inviato twitta: «Un certo numero di leader degli insorti militari presenti al compound si sono scusati per l'errore di aver permesso che una così grande massa di armi venisse rubata da non combattenti» (slide n. 29). Praticamente tutte le 11.000 armi che erano in quel compound sono state depredate. Facendo un confronto, tenete conto che la ricerca di Transcrime ci ha detto che in cinque anni in Europa sono state sequestrate 18.721 armi, mentre in Libia, in un colpo solo, sono state portate via 11.000 armi.
  Nelle slide nn. 30-34 sono riportate le fotografie del Guardian che rappresentano le persone che portano via le armi dal compound. Alcune delle armi non sono Pag. 7Beretta, ma guardate le cassette nella slide n. 34, che non sono, ovviamente, di pomodori. Nelle valigette della slide n. 34 c'è un simbolo, che è quello della valigetta riportata nella slide n. 35, che è quello della valigetta riportata nella slide n. 36, che è quello della valigetta riportata nella slide n. 37: sono quelle armi che nel 2009 l'Italia ha esportato e ha venduto a Gheddafi, le quali sono state tutte depredate. A questo punto, da ricercatore, tiro una linea: se un Paese esporta armi a un regime autoritario, le possibilità sono solo due: o quel regime userà le armi contro la sua popolazione o, nel momento in cui ci sarà una rivolta, quelle armi verranno depredate. Tertium non datur: non ci sono terze possibilità. Ci potrebbero essere se il dittatore si convertisse alla democrazia, ma è un caso che sappiamo essere abbastanza difficile e raro.
  C'è, poi un ultimo passaggio. Non so se sia vero, ma un signore mi ha contattato e poi ha anche twittato la foto riportata nella slide n. 38, scrivendo che al mercato nero di Bengasi sono in vendita, per circa 1.600 dollari, delle CX Storm, quelle famose carabine di cui abbiamo parlato prima. La foto, come potete vedere, riporta il marchio, con tanto di libretto nuovo fiammante. Io non sono in grado di dirvi se questa informazione sia vera o non lo sia in quanto non sono stato lì personalmente ma è un'informazione pubblica, che sarà da verificare.
  Dico questo perché, a proposito di trasparenza, sappiamo davvero troppo poco delle armi che circolano. A livello internazionale, l'Italia, come altri Paesi, avendo aderito al Trattato internazionale sul commercio delle armi, è tenuta a inviare ogni anno a Ginevra un rapporto, un modulo già prestampato, in cui devono essere certificate le armi che vengono esportate. Come potete vedere nella slide n. 41, nel modulo è riportato il tipo di arma (ad esempio, veicoli da combattimento) e l'elenco delle armi leggere. Nella slide n. 41 è rappresentato il rapporto della Germania. Come vedete, c'è scritto molto chiaramente che è stata non solo autorizzata (colonna a sinistra), ma anche effettuata l'esportazione di una data quantità di armi a un dato numero di Paesi. Nella slide n. 41 vedete il numero delle armi e i Paesi destinatari. Stiamo parlando di armi pesanti. L'elenco è molto più lungo e nelle slide è riportato solo in parte.
  Nella slide n. 42 è riportato il rapporto della Svezia, che addirittura indica anche il tipo di veicolo e di sistema militare esportato. Il rapporto dell'Italia consegnato a Ginevra (slide n. 43) riporta che l'Italia ha autorizzato un determinato numero di esportazioni di armi, ma non dà conto del Paese destinatario. Le regole valgono per tutti. Ma questo è un fatto discrezionale, è una decisione politica. Chi decide di mandare o di non mandare queste informazioni alle Nazioni Unite? C'è qualcosa di segreto? Non credo, perché gli altri Paesi europei fanno meglio dell'Italia.
  Vado a concludere con una piccola nota che riguarda il Register of Conventional Arms delle Nazioni Unite (UNROCA), da cui si possono ricavare informazioni relative alle esportazioni di armi. Gli Stati Uniti sono il maggior produttore ed esportatore di armi nel mondo. Sul sito internet dell'UNROCA è possibile visionare il rapporto che gli Stati Uniti, che non hanno aderito al Trattato internazionale sul commercio di armi, inviano annualmente. L'ultimo rapporto risale al 2016 e in esso, come potete vedere nella slide n. 44, sono indicati quanti carri da battaglia, a quale Paese e di che tipo vengono esportati, in modo molto preciso e documentato. L'ultimo rapporto che l'Italia ha inviato all'UNROCA è del 2009. Perché in questi ultimi otto anni l'Italia non ha mandato i propri dati al registro internazionale, che dovrebbe essere quello che raccoglie le informazioni sulle esportazioni di armi nel mondo? Se volete, vi posso far vedere le informazioni che mandano la Svezia, la Germania, la Francia e altri Paesi. L'Italia è ferma al 2009, da quello che ho visto. Sono tutte informazioni pubbliche, che si possono verificare. Forse la mia linea ieri, quando sono andato a verificare, era bloccata, ma non credo: per tutti gli altri Paesi il rapporto è aggiornato al 2016.
  Questa è una domanda molto importante e il discorso sull'esportazione di armamenti Pag. 8 riguarda questa Commissione e forse qualche altra Commissione per due motivi. Innanzitutto perché, ai sensi della nostra legge, ci deve essere un controllo sull'esportazione di armamenti. Se non si sa dove vanno a finire e si conoscono soltanto dei valori vaghi, è ben difficile controllare. Occorre fare una domanda, un'interpellanza, per ogni autorizzazione. A questo punto, non ha più alcun senso fare una relazione. Il secondo punto è quello di cui parlavo prima. La gran parte delle armi leggere che finiscono sul mercato nero non sono armi pesanti e armamenti che vengono fabbricati in officine, ma proviene da una zona grigia che va dal mercato lecito al mercato illecito. L'unico modo con cui si può controllare questo fenomeno è tramite una piena trasparenza.
  La mia conclusione è che, se davvero si vuole fare in modo che si limiti al massimo il traffico di armi, occorre far sì che ci sia massima trasparenza su questo commercio. Non è un caso che lo stesso Trattato internazionale sul commercio delle armi dell'ONU, ma anche altre disposizioni, affermino che proprio la trasparenza nel commercio di armi crea maggior confidenza tra i popoli, tra le nazioni. Si sa quello che si sta facendo e ottenere questo tipo di informazioni dovrebbe aiutare a sostenersi reciprocamente. Si può essere d'accordo o meno sulle esportazioni di armi di un altro Paese, ma la trasparenza dovrebbe creare – lo dicono i trattati internazionali – una maggiore confidenza tra le nazioni.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Dottor Beretta per il suo intervento. Chiedo ai colleghi se hanno intenzione di intervenire e ne approfitto anche per dare il benvenuto alla collega Santerini, da poco assegnata alla Commissione affari esteri.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  LIA QUARTAPELLE PROCOPIO. Ringrazio molto il Dottor Beretta per questa audizione e, in generale, per il suo lavoro, sempre puntuale, che è stato utile anche ad alcuni di noi, in alcune occasioni, per sollecitare il Governo allo scopo di avere chiarezza su alcune questioni.
  La mia domanda è la seguente. Quando abbiamo esaminato il Trattato internazionale sul commercio delle armi in questa sede abbiamo valutato come esso fosse ispirato alla legge n. 185 del 1990, in quanto è un sottoinsieme di ciò che dice la legge n. 185 del 1990. L'impressione che noi abbiamo avuto è che la normativa italiana sia una normativa più avanzata rispetto alle normative internazionali sulle armi. Vorrei una valutazione su questo punto. Se noi abbiamo una normativa più avanzata, perché la comunicazione internazionale italiana è inferiore a quello che richiederebbe, invece, la normativa nazionale? Questa è la prima domanda: com'è possibile, avendo già una normativa esistente e funzionante da anni, che non funzioni?
  La seconda domanda riguarda una questione più di carattere generale, sulla quale si è discusso anche con Lei, se non direttamente, attraverso la posta elettronica e altre forme di scambio. La legge n. 185 del 1990 è, chiaramente, una buona legge. Probabilmente ci sono dei problemi sul tema del controllo e del ruolo che il Parlamento può avere. Mi piacerebbe avere da Lei qualche suggerimento su come noi, nel nostro ruolo di parlamentari, possiamo provare a essere più efficaci, all'interno dei meccanismi previsti dalla legge n. 185 del 1990, nell'andare verso quella trasparenza da Lei auspicata, che credo sia veramente molto utile.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi, anch'io ringrazio il Dottor Beretta e anch'io ho qualche domanda.
  Lei ha parlato della questione dell'illecito e ha dato una definizione abbastanza esaustiva di che cosa significhi import-export illecito. Tra i vari punti ha anche segnalato la chiara violazione di norme internazionali e ha citato, durante la sua esposizione, anche la questione egiziana.
  Si sa che il Consiglio dell'Unione europea nel 2013 ha condannato con la massima fermezza gli atti di violenza e ha deciso di sospendere le licenze di esportazione verso l'Egitto per qualsiasi attrezzatura Pag. 9 utilizzabile. Malgrado questo, l'Italia ha continuato a inviare armi in Egitto, nonostante le pesanti violazioni dei diritti umani operate dalle autorità egiziane.
  Una domanda mi sorge spontanea. L'Italia può avere in qualche modo violato quelle norme internazionali, per esempio, quelle che il Consiglio dell'Unione europea aveva stabilito nel 2013? Se lo Stato italiano continua a inviare armi in un Paese che vìola leggi e diritti umani, ovviamente andiamo contro la violazione di norme internazionali, ossia il Trattato sul commercio delle armi e anche la famosa legge n. 185 del 1990. Andiamo, quindi, contro qualsiasi tipo di legge, sia internazionale sia nazionale. Lo stesso discorso si può fare anche per l'Arabia Saudita, che sta perpetrando violazioni dei diritti umani. Ciò nonostante, continuano comunque a esserci import-export di armi nei confronti dell'Arabia Saudita. Questi sono esempi. Purtroppo, ci sarebbero tanti altri esempi. Questa è una prima domanda.
  La seconda domanda riguarda proprio la legge n. 185 del 1990, che è stata citata precedentemente. Attraverso la legge n. 105 del 2012, che ha recepito una direttiva europea, è stato modificato l'articolo 27 della legge n. 185 del 1990. Prima il Ministero del tesoro, oggi MEF, doveva autorizzare i trasferimenti bancari collegati a operazioni in materia di armamenti. Recependo questa direttiva europea, è stato modificato questo articolo e le banche non sono più obbligate a chiedere l'autorizzazione del MEF. Basta una semplice comunicazione via web delle transazioni effettuate.
  So che c'è una proposta di legge del collega Sibilia, che chiede di ripristinare la versione originaria dell'articolo 27. Chiedo un suo commento anche su questo punto: secondo Lei, l'articolo 27, che prevedeva non soltanto la comunicazione ma anche la richiesta di autorizzazione, dovrebbe essere ripristinato?
  Oppure, secondo Lei, è sufficiente il nuovo articolo 27, come modificato?
  In ultimo, Le chiedo se vuole fare un commento, eventualmente, rispetto ai tragici avvenimenti di Las Vegas di qualche giorno fa. Credo che anche questo episodio rientri in un concetto di semplificazione della possibilità di comprare armi anche in modo lecito.
  Do la parola al Dottor Beretta per la replica.

  GIORGIO BERETTA, analista ricercatore dell'Osservatorio Permanente sulle Armi Leggere e le Politiche di Sicurezza e Difesa. Queste domande sono già estremamente impegnative. Provo a rispondere.
  È più avanzata la legge n. 185 del 1990 o il Trattato internazionale? Io credo che, per alcuni aspetti, sia più avanzato il Trattato internazionale. Quest'ultimo pone divieti abbastanza chiari, ma anche tutta una serie di valutazioni che nella nostra legge non ci sono. Si tratta, ad esempio, di considerare il fatto che le armi o i sistemi di armamento possano servire a contribuire o a esacerbare un conflitto in atto. Questo è un fatto estremamente importante. Credo che sia riguardo al Trattato internazionale sia riguardo alla legge n. 185 del 1990 possiamo fare un elenco rigidissimo dei divieti, ma poi c'è sempre una valutazione politica. Non sto parlando di una valutazione politica che tiene conto di interessi internazionali o dell'interesse nazionale. Parlo di una valutazione politica sull'utilità o meno di esportare le armi o se sia necessario farlo. Credo che questo tipo di valutazione debba essere sempre mantenuto e credo che il Trattato, proprio perché chiede di valutare le singole esportazioni, le singole destinazioni e i singoli destinatari, sia estremamente importante in questo senso.
  Sotto un dato aspetto, anche se so che è difficile, andrebbe riletto il Trattato internazionale e andrebbe anche verificato se la legge n. 185 del 1990 non debba essere aggiornata ai sensi del Trattato internazionale. Io credo che ciò sia necessario.
  Per quanto riguarda la comunicazione, la relazione al Parlamento arriva, di solito, abbastanza puntualmente. Quello che ho voluto mettere in rilievo è che c'è tutta una serie di strumenti internazionali – ne ho citati due: il Trattato internazionale, che richiede annualmente di segnalare tutte le esportazioni di armi, soprattutto quelle relative Pag. 10 alle armi leggere, e il registro delle Nazioni Unite – rispetto ai quali non capisco davvero perché l'Italia non sia adempiente. Si tratta di informazioni che ci sono.
  Segnalo che esiste anche la relazione annuale all'Unione europea. In quella relazione l'Italia riporta puntualmente tutte le autorizzazioni che rilascia annualmente, ma non riporta mai le consegne effettive. Si può pensare che, una volta che è stata autorizzata l'esportazione, prima o poi si consegna. Non è poi così vero. Cito un caso recente, che riguarda l'autorizzazione di esportazione di armi al Venezuela. L'autorizzazione rilasciata nel 2016 alla Arsenal Firearms, un'azienda bresciana, era di 10.000 armi, anche se dalla relazione era difficile capirlo. Tuttavia, erano state esportate poco più di 1.700 armi. Tre anni prima anche alla Beretta era stata concessa un'autorizzazione a esportare 10.000 pistole dello stesso tipo, calibro 9, sempre in Venezuela. La Beretta, che non è un'azienda piccola, ne ha esportate finora soltanto 1.700.
  Perché c'è questa discrepanza tra grandi autorizzazioni e poche forniture? È un fatto che dipende dalle dogane? Può essere, perché questo tipo di armi possono essere considerate anche armi comuni. Quindi, deve essere segnalato se sono esportate ai sensi della legge n. 110 del 1975, perché il destinatario non è un ente governativo o un corpo di polizia, o se sono esportate ai sensi della legge per le armi comuni. Capisco che si tratta di questioni molto tecniche, sulle quali bisogna documentarsi bene e con calma. Tuttavia, sottolineo questa discrepanza in quanto si segnalano all'Unione europea soltanto le autorizzazioni e non le consegne effettive.
  L'Italia non è l'unico Paese a comportarsi in questo modo. Lo dico chiaramente. Purtroppo, anche la Germania, la Francia e il Regno Unito, i maggiori produttori di armi a livello europeo, non riportano nella relazione inviata all'Unione europea tutte le esportazioni di armi, tant'è vero che una recente risoluzione del Parlamento europeo ha chiesto esplicitamente non solo puntualità, ma anche maggiore rigore: ha chiesto, cioè, che tutti i Paesi si conformino a tale norma.
  Tra l'altro, è da segnalare che la situazione è addirittura peggiorata. Spiace dirlo. Prima, infatti, c'era il codice di condotta, che risaliva al 1998. Nel 2008 è stata approvata la posizione comune 2008/944/PESC. Ma, nonostante siamo nel 2017, pare non abbiano un computer dove scrivere: «tante autorizzate, tante esportate e tante vietate».
  Segnalo anche questo aspetto perché nell'audizione che ha svolto il Ministro Plenipotenziario Azzarello – l'ho seguita via web-tv – si è parlato della questione dei dinieghi. Non è una questione di poco conto. Il Ministro Plenipotenziario ha detto che con le aziende si parla e, se si fa capire loro che, se sanno già che in alcuni Paesi le esportazioni sono vietate, è inutile che chiedano di autorizzare ciò che già sanno non sarebbe autorizzato. Quindi, non c'è un diniego formale. Scusate, sto volgarizzando; dovrei essere preciso nelle parole, ma la sostanza era quella.
  La questione dei dinieghi, invece, è molto importante. Ai sensi della posizione comune dell'Unione europea, quando un Paese pone un diniego e una ditta chiede un'autorizzazione, perché, ad esempio, ha la possibilità di chiudere un contratto con un Paese, come, per esempio, l'Egitto, il Governo può negare l'autorizzazione. A questo punto, un altro Paese dell'Unione europea, prima di concedere a una propria azienda un'autorizzazione simile per lo stesso tipo di arma, deve chiedere motivazione del diniego al Paese che l'ha negata e, qualora voglia autorizzare l'azienda, deve motivare la propria decisione. Questa norma è stata introdotta per fare in modo che non ci sia una concorrenza sleale, per cui se l'Italia nega un'autorizzazione, ad esempio, la Germania la concede. A questo punto, saremmo fessi noi. Scusatemi davvero, volgarizzo, ma mi faccio capire. Se, seguendo l'esempio che ho proposto, la Germania vuole autorizzare l'esportazione, deve motivare la propria decisione. Chiaramente, se un Paese pone in atto questo tipo di manovra una volta o due volte, si espone a un rischio, in quanto tutti lo guardano con Pag. 11sospetto chiedendosi perché abbia concesso l'autorizzazione. Ecco perché è importante porre dei dinieghi: è un modo per controllare esportazioni di armi che sarebbero non gradevoli, inopportune non solo per il nostro Paese ma anche per altri Paesi. Con il meccanismo del diniego queste esportazioni si possono prevenire. Non è vero, quindi, che se noi non esportiamo armi, tanto le esportano gli altri. Ai sensi della posizione comune, se un Paese pone un divieto, un altro può anche superare quel divieto, ma si espone a un forte rischio.
  Come operare, quindi, per fare in modo che ci sia un maggior controllo, anche parlamentare, rispetto alle prescrizioni della legge n. 185 del 1990 e anche che ci sia una maggiore trasparenza? È una domanda importante. Il Parlamento europeo in questi ultimi due anni, nonostante il grande lavoro, ha approvato una risoluzione che valuta l'esportazione di armi nei Paesi dell'Unione europea e la trasparenza in questi Paesi. Come analista, credo che se ci si ponesse come obiettivo, quello di licenziare la relazione a marzo, analizzarla entro maggio-giugno e per settembre avere una valutazione da parte della Commissione competente, ciò potrebbe essere molto utile anche per l'UAMA e per il Governo, i quali potrebbero avere maggiori elementi per capire quali cose sono da migliorare e quali vanno già bene.
  In questi anni, purtroppo, da analista ho potuto verificare che, per vari motivi, nonostante una certa attenzione, il tempo che viene dedicato a questo tema è un po’ poco. Nell'ultimo anno abbiamo il record storico di autorizzazioni all'esportazione di armi degli ultimi venticinque anni. Siamo a 14,6 miliardi di euro. È vero che gran parte riguardano gli Eurofighter al Kuwait ma, tolti quegli 8 miliardi di euro, ce ne sono altri 6-7 da andare a verificare.
  Tante sono piccole cose, come accennavo prima, come quella che riguarda il Venezuela, ma c'è anche l'Egitto, cui accennava Lei, presidente, che sono molto importanti. A questo proposito, la dichiarazione del Consiglio dell'Unione europea non aveva un valore sanzionatorio, ma aveva un valore politico. Tale dichiarazione è immediatamente successiva al colpo di Stato e, data la situazione di rischio e di violazione dei diritti umani, riteneva non opportuno inviare armi in Egitto. Di fatto, guardando i vari database anche per quanto riguarda le armi comuni, tranne forse la Repubblica Ceca, solo l'Italia ha inviato armi all'Egitto.
  Scusate, forse sono davvero un po’ forte nel dire queste cose ma si tratta di cose che si sanno. Non sono informazioni che conosciamo noi e gli altri non conoscono, perché i database ci sono. Sono dati che emergono attraverso una serie di incroci con tante informazioni. Si tratta di dati conosciuti a livello europeo e, davvero, ne va un po’ della nostra reputazione.
  Concludo con un riferimento all'articolo 27 della legge n. 185 del 1990. La norma è stata cambiata: prima era necessario ottenere l'autorizzazione; adesso, invece, è sufficiente una semplice segnalazione. C'è un punto molto problematico. Porto l'esempio della Banca Valsabbina, l'azienda che, da quanto ci risulta, sta fornendo i servizi per l'esportazione di bombe verso l'Arabia Saudita, per un valore di 411 milioni di euro. Quando, con un comunicato dovuto a una campagna di pressione verso la banca, è stato rivelato quali fossero gli importi realizzati da tale banca, questa ha risposto dicendo che i dati riportati nella relazione non erano corretti e che aveva prontamente segnalato l'errore al Ministero dell'economia e delle finanze, Dipartimento del tesoro. Il Dipartimento del Tesoro avrebbe corretto l'informazione sul database, ma da nessuna parte è stato dato conto di questa correzione. Se occorre correggere un dato, il giorno dopo, magari sul sito del Ministero, si comunica che un tale dato è sbagliato e che deve essere letto in un determinato modo. Non dovrebbe essere l'azienda a dire alla società civile che è stato fatto un errore da parte del Ministero.
  Ricordo anni fa, quando, controllando le relazioni della Presidenza del Consiglio, avevo notato un grafico che riportava un andamento, i cui valori non erano stati correttamente posti in valori costanti. Lo Pag. 12segnalai al consigliere militare, perché a quel tempo aveva lui in carica questa materia, e nel giro di pochi giorni il grafico fu rielaborato e messo online con la dicitura «errata corrige». Queste informazioni sono importanti ma, a mio parere, avere un'autorizzazione garantiva sia la banca sia il Ministero.
  Come sapete, sono uno studioso, ma sono uno studioso attivista e spesso ho a che fare anche con persone che lavorano negli istituti di credito, che seguono il settore della responsabilità sociale d'impresa. So anche da loro che hanno fatto molta fatica ad abituarsi al nuovo sistema e che si sentivano molto più garantiti prima della riforma. Spesso anche a loro arrivano delle segnalazioni da cui non capiscono se un'azienda si occupa di materiali militari, perché ci sono anche materiali dual use, armi che possono essere comuni oppure possono essere anche altro, essendo inviate a corpi di polizia e rientranti nel contesto della legge n. 185 del 1990. Non sanno, quindi, se devono segnalare queste situazioni al Ministero. Avere l'autorizzazione era molto più semplice e garantiva tutti.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Dottor Beretta e anche i colleghi che hanno partecipato all'audizione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

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ALLEGATO

Presentazione informatica illustrata dal Dottor Giorgio Beretta

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