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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 23 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013

Audizione del Ministro della difesa, Mario Mauro.
Vito Elio , Presidente ... 3 
Mauro Mario , Ministro della difesa ... 3 
Vito Elio , Presidente ... 12 
Cicu Salvatore (PdL)  ... 13 
Scanu Gian Piero (PD)  ... 13 
Vito Elio , Presidente ... 14 
Artini Massimo (M5S)  ... 14 
Rossi Domenico (SCPI)  ... 15 
Duranti Donatella (SEL)  ... 16 
Vito Elio , Presidente ... 17 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 18 
Bolognesi Paolo (PD)  ... 19 
Corda Emanuela (M5S)  ... 19 
Piras Michele (SEL)  ... 20 
Vito Elio , Presidente ... 21 
Mauro Mario , Ministro della difesa ... 21 
Vito Elio , Presidente ... 26

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO

  La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv del sito internet della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro della difesa, Mario Mauro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca – nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa, in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013 – l'audizione del Ministro della difesa Mario Mauro.
  Prima di dare la parola al Ministro Mauro, che ringrazio anche a nome di tutti i colleghi presenti per la disponibilità manifestata a partecipare alla seduta odierna che inaugura il ciclo di audizioni sulla materia oggetto d'indagine, ringrazio e do il benvenuto anche all'Ammiraglio Nozzoli, che accompagna il Ministro.
  Ricordo che l'indagine è stata deliberata all'unanimità dalla Commissione, su proposta dell'Ufficio di presidenza, e ha per finalità un'analisi sulla compatibilità dei programmi d'investimento relativi ai sistemi d'arma con gli obiettivi della difesa nazionale, anche in vista del Consiglio europeo di dicembre.
  Signor Ministro, alla Commissione è parso opportuno e anche doveroso – per evidenti ragioni di rispetto istituzionale, ma anche di competenza – avviare l'indagine conoscitiva ascoltando proprio Lei, che guida il Dicastero con il quale la nostra Commissione si rapporta. La ringrazio ancora per la disponibilità che ha trovato nella Sua agenda in questi giorni così impegnativi sia per il Parlamento, sia per il Governo.
  Faccio, infine, presente che siamo stati autorizzati dalla Conferenza dei presidenti dei gruppi a riunirci anche essendo stata apposta la fiducia sul decreto-legge del fare, di cui ha dato notizia il Ministro Franceschini.
  Cedo, dunque, la parola al Ministro Mauro per lo svolgimento della Sua relazione.

  MARIO MAURO, Ministro della difesa. Ringrazio il presidente e tutti gli onorevoli deputati. In premessa mi scuso se, con il desiderio di corrispondere il più possibile alla volontà politica dell'indagine conoscitiva, il mio intervento rischierà di risultare un po’ troppo meticoloso. Dico questo anche per confermare la disponibilità a tornare tutte le volte che la Commissione lo chiederà.
  Vorrei poter esprimere viva soddisfazione per quanto avete inteso realizzare attraverso questa indagine conoscitiva. Ritengo che sia davvero importante per il Ministro della difesa informare in maniera compiuta e dettagliata il Parlamento su materie di così grande interesse e allo stesso tempo complesse, che difficilmente potrebbero essere approfondite nel corso di attività ordinarie. È inoltre indispensabile, a mio modo di vedere, costruire e condividere un'approfondita presa di coscienza sui temi della sicurezza e della Pag. 4difesa, ovviamente nel rispetto di posizioni che possono essere differenti.
  Come ho già ribadito in più occasioni, ritengo che questo Paese abbia bisogno di un grande dibattito sulla cultura della difesa. Me ne sono reso conto a maggior ragione durante le fasi degli ultimi dibattiti parlamentari. Proprio da un ampio dibattito, che sia basato però su solide basi di conoscenza, può scaturire l'indispensabile indirizzo del Parlamento sovrano.
  Considero, quindi, questa audizione la prima opportunità per trattare con voi il tema della «politica degli armamenti», al fine di conseguire lo scopo di questa indagine conoscitiva, che vuole valutare la compatibilità dei programmi d'investimento con gli obiettivi della difesa nazionale, anche in vista del Consiglio europeo di dicembre.
  Interpretando il tema di questa indagine conoscitiva, ho individuato una pluralità di aspetti che, a mio avviso, dovranno essere affrontati e discussi. È mia specifica responsabilità parlare di alcuni di essi, mentre è corretto, come meglio spiegherò tra poco, che siano i vertici delle istituzioni militari a trattare le questioni che, in base alla legge, sono di loro più diretta competenza.
  L'auspicio è che al termine di questa indagine conoscitiva il Parlamento, in particolare la Commissione difesa, abbia piena conoscenza di quel complesso processo che, partendo da una ragionevole valutazione degli sviluppi dello scenario di sicurezza nel medio e lungo periodo, porta alle scelte di politica di difesa e, infine, alla selezione dei sistemi d'arma da acquisire, destinati ad operare nei prossimi decenni e per quelli a venire.
  Si tratta infatti di scelte complesse, difficili e di lungo respiro, spesso soggette a vincoli contingenti, proiettate in un quadro che può subire imprevedibili trasformazioni e, talvolta, vere e proprie rivoluzioni.
  Meno di venticinque anni fa, infatti, dovevamo fronteggiare militarmente Paesi che oggi sono invece i membri dell'Unione europea e della NATO. Venticinque anni sono un lasso temporale più breve di quello richiesto per concepire, sviluppare e produrre un sistema d'arma complesso. Ho fatto questo discorso per rendere l'idea di come le scelte in tema di armamenti siano per loro natura proiettate in avanti e volte a predisporre capacità operative destinate a svolgere la loro funzione in contesti che oggi possiamo solo tratteggiare.
  Il tema di fondo è quindi quello che ho poc'anzi sintetizzato come «politica degli armamenti», una definizione in più occasioni adottata nelle varie fonti normative che disciplinano questa materia. Segnalo, in particolare, il decreto legislativo n. 300 del 1999, recante «Riforma dell'organizzazione del Governo, a norma dell'articolo 11 della legge 15 marzo 1997, n. 59», ovvero la legge di riferimento per l'organizzazione e la suddivisione dei compiti tra i vari dicasteri.
  Al riguardo, cito l'articolo 20 in cui sono richiamate le attribuzioni del Ministero della difesa: «Al Ministero della difesa sono attribuiti le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di difesa e sicurezza militare dello Stato, politica militare e partecipazioni a missioni a supporto della pace, partecipazione ad organismi internazionali di settore, pianificazione generale e operativa delle Forze armate e interforze, pianificazione relativa all'aria industriale d'interesse della difesa».
  Al comma 2 dello stesso articolo, che dettaglia ulteriormente le funzioni e i compiti, compare proprio la dizione «politica degli armamenti e relativi programmi di cooperazione internazionale».
  Identiche attribuzioni compaiono anche all'articolo 15 del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, ossia il codice dell'ordinamento militare.
  La politica degli armamenti è quindi un'attività attestata al Ministero della difesa, non solo per ragioni storiche, ma soprattutto in considerazione della natura della stessa. Difatti, per «politica degli armamenti» s'intende l'insieme di decisioni d'indirizzo politico o di alta amministrazione che riguardano le scelte relative alla produzione e all'acquisizione a Pag. 5supporto del servizio dei sistemi d'arma e degli equipaggiamenti utilizzati dalle Forze armate per svolgere i propri compiti istituzionali.
  Tali scelte giungono in esito a un processo che ha caratteri, sia formali sia sostanziali, fortemente razionali nonché ancorati alla nostra architettura costituzionale. Credo sia utile da parte mia ripercorrere con voi i passi di tale processo.
  In primo luogo individuiamo la fase nella quale si forma l'indirizzo politico generale dello Stato in tema di politica estera e di difesa. Associo questi due termini, perché quando parliamo, ad esempio, di definizione della posizione dell'Italia nell'ambito dell'Unione europea e della NATO, trattiamo con consapevolezza questioni di politica estera, con un precipuo carattere di politica di difesa. Questo indirizzo politico generale si forma, nella maggioranza dei casi, sulla base di una preliminare proposta del Governo, che delinea al Parlamento l'andamento delle relazioni internazionali e le opzioni in discussione nei vari consessi di riferimento.
  L'indirizzo politico prende poi corpo quando il Parlamento delibera nel merito. Così avviene, ad esempio, ogni volta che si debba autorizzare la ratifica di un trattato internazionale, oppure recepire nel nostro ordinamento le decisioni adottate in consessi intergovernativi.
  Desidero citare a tale proposito un momento determinante del recente passato, quando il Parlamento ha impresso una precisa direzione alla politica estera e di difesa dell'Italia. Mi riferisco all'autorizzazione alla ratifica del Trattato di Lisbona, siglato dai capi di Stato e di Governo degli allora ventisette Paesi dell'Unione europea il 13 dicembre 2007, e poi ratificato con legge approvata all'unanimità dal Parlamento il 31 luglio 2008. Questo Trattato è fondamentale, perché introduce importanti novità, anche in tema di politica estera e di sicurezza dell'Europa.
  Questa rimane sostanzialmente una materia intergovernativa, nella quale il Consiglio europeo gioca pertanto un ruolo fondamentale quale attore decisionale. Nondimeno, sono state introdotte sostanziali innovazioni, tra le quali: la possibilità di creare una cooperazione strutturata permanente in materia di difesa tra gli Stati membri che hanno le capacità militari necessarie e la volontà politica di aderirvi; l'istituzionalizzazione dell'Agenzia europea per la difesa, incaricata di individuare le esigenze operative e di contribuire a individuare, e, se del caso, a mettere in atto qualsiasi misura utile a rafforzare la base industriale e tecnologica del settore della difesa, partecipare alla definizione di una politica europea delle capacità degli armamenti e assistere il Consiglio nella valutazione del miglioramento delle capacità militari; la creazione di una clausola di solidarietà tra gli Stati membri in caso di attacco terroristico e di catastrofe naturale o di origine umana; la creazione, infine, di una clausola di aiuto e assistenza in caso di aggressione armata.
  Questo esempio ci consente di individuare, come avevo anticipato, uno degli snodi fondamentali nel processo che conduce, in ultima analisi, alla definizione delle scelte in tema di armamenti. È chiaro infatti che se l'Italia aderisce così convintamente a un disegno europeo che prevede esplicitamente il rafforzamento della politica estera e di sicurezza comune, e che tende verso una vera e propria politica di difesa comune, ne discende che anche le scelte in tema di difesa nazionale debbano essere coerenti con tale indirizzo.
  Giungo quindi al successivo passaggio fondamentale, attraverso cui si articola la riflessione sul tema oggi in oggetto, cioè la politica di difesa. La definizione della politica di difesa nazionale implica anch'essa una iniziativa ad opera del Governo, che deve necessariamente presentare al Parlamento – in forma unitaria e coerente – un insieme di elementi informativi. Si tratta in primo luogo di un apprezzamento generale sul quadro della sicurezza internazionale, quindi dell'insieme dei fattori determinati dal sistema delle alleanze di cui siamo parte, con tutti gli obblighi che ne derivano, e infine del Pag. 6quadro generale delle disponibilità finanziarie, giacché ovviamente la definizione delle scelte politiche non può mai prescindere da questo elemento cogente.
  Il Governo quindi sottopone al Parlamento, in diverse circostanze, scelte che, sotto diverse angolature, contribuiscono nel loro insieme a definire la politica di difesa nazionale. Segnalo a titolo di esempio il disegno di legge di delega al Governo per la revisione dello strumento militare, che come ricorderete è stato oggetto di lunga e approfondita analisi prima della sua adozione. Così avvenne anche in passato, in occasione, ad esempio, della sospensione della leva obbligatoria, oppure quando nel 1997 si definì un'organizzazione di vertice della difesa.
  Tuttavia, non sono solo questi grandi appuntamenti a scandire le tappe della definizione della politica di difesa nazionale. Ogni anno, con la presentazione della legge di bilancio, il Governo dà conto, in maniera estremamente dettagliata, di come intende impegnare i fondi inseriti nei vari bilanci dei dicasteri, specificando i contenuti dei vari capitoli di spesa.
  Nel caso del Dicastero della difesa, il grado di informazione, praticamente da sempre, è davvero elevato. Infatti, il Ministro della difesa è tenuto per legge a presentare la nota aggiuntiva allo stato di previsione del bilancio della difesa, che contiene una grande quantità di informazioni, anche molto dettagliate, con le quali si rendono doverosamente note al Parlamento e al Paese le scelte dell'amministrazione.
  Ancora una volta è con il voto del Parlamento che tale indirizzo politico si cristallizza, determinando in successione tutti gli atti che discendono appunto dalla legge di bilancio.
  Da ultimo, ma non certo per importanza, voglio ricordare le numerose interazioni che sussistono tra Governo e Parlamento in tema di interventi militari all'estero. Annualmente, o anche con cadenza maggiore, è ancora una volta il Parlamento a fissare – in sede di conversione del decreto-legge che finanzia le missioni internazionali – gli indirizzi della politica di difesa dell'Italia. Sappiamo come molto spesso sia il Ministro della difesa sia quello degli affari esteri siano chiamati a fornire al Parlamento informazioni approfondite sull'andamento delle missioni e sugli impegni previsti per il futuro.
  Consentitemi ora di ricordare anche quali siano le responsabilità che la legge attribuisce al Ministro della difesa, e anche di menzionare brevemente – senza la pretesa di approfondire una materia di profilo prettamente costituzionale – la funzione del Consiglio supremo di difesa. Con la già ricordata legge sui vertici, la legge n. 25 del 1997, oggi confluita nel codice dell'ordinamento militare, sono state definite le attribuzioni del Ministro della difesa. All'articolo 10 del codice si legge: «il Ministro attua le deliberazioni in materia di difesa e sicurezza adottate dal Governo, sottoposte all'esame del Consiglio supremo di difesa e approvate dal Parlamento».
  Si è delineata per tale via una sequenza di passaggi, che appare davvero coerente, sul piano formale e logico, con le specifiche attribuzioni che la Costituzione e la legge prevedono. L'iniziativa in tema di definizione delle scelte di politica di difesa è attribuita in linea generale al Governo, coerentemente sia con la prerogativa d'iniziativa legislativa a questo riconosciuta dall'articolo 71 della Costituzione, sia con la necessità di definire le scelte in tema di difesa all'interno di un quadro unitario che contempli e contemperi l'insieme dei vincoli rappresentati dagli accordi internazionali, dalle esigenze sociali e economiche, nonché ovviamente dalle disponibilità di risorse.
  È quindi il Consiglio dei ministri il consesso naturale dove tali scelte possono acquisire una loro prima definizione, peraltro in perfetta analogia con quanto avviene anche con riferimento ad altre scelte pubbliche che per loro natura si caratterizzano per complessità ed multidisciplinarietà.
  Le decisioni in tema di difesa di particolare rilevanza sono poi presentate e discusse nel contesto del Consiglio supremo Pag. 7di difesa. Ricordo che si tratta di un organo di rilevanza costituzionale, previsto all'articolo 87 della Costituzione, e strettamente connesso con il comando delle Forze armate, che la stessa Carta costituzionale attribuisce al Capo dello Stato.
  Il Capo dello Stato ha, dunque, altissime responsabilità di garante dell'ordine costituzionale, e in tale quadro – proprio per esercitare le sue prerogative – è titolare del «diritto all'informazione» per tutto ciò che attiene alle scelte in materia di politica di difesa. Tale informazione si realizza compiutamente proprio nel Consiglio supremo di difesa e non può sfuggire che tale Consiglio prevede la partecipazione di tutti quegli elementi del Governo che in varia misura sono titolari di funzioni rilevanti ai fini della difesa nazionale.
  Dopo questo fondamentale passaggio, il Governo si rivolge al Parlamento, affinché le scelte in tema di politica di difesa possano tradursi in atti normativi. Questa è la fase durante la quale il Parlamento è chiamato a valutare una serie di decisioni, che spaziano dai trattati internazionali alle grandi ristrutturazioni della difesa, passando per le leggi annuali ordinarie di bilancio, le leggi speciali per il finanziamento di specifici programmi o attività e quelle di finanziamento delle missioni internazionali.
  Giunge a valle dell'esame e della deliberazione del Parlamento l'opera del Ministro della difesa che, come ho ricordato, è chiamato ad attuare semplicemente tali decisioni. Riprendendo il testo del già citato articolo 10 del codice dell'ordinamento militare, «il Ministro emana le direttive in merito alla politica militare, all'attività informativa e di sicurezza, e all'attività tecnico-amministrativa; partecipa direttamente o tramite un suo delegato a tutti gli organismi internazionali ed europei competenti in maniera di difesa e sicurezza militare, o le cui deliberazione comportino effetti sulla difesa nazionale; e approva la pianificazione generale operativa interforze con i conseguenti programmi tecnico-finanziari, nonché la pianificazione relativa all'area industriale, pubblica e privata, di interesse della difesa».
  L'indirizzo politico proprio del Ministro della difesa, il quale – voglio ricordarlo – è direttamente responsabile di fronte al Parlamento degli atti del proprio Dicastero, ai sensi dell'articolo 95 della Costituzione, molto citato in questi giorni, si manifesta quindi attraverso direttive ministeriali.
  Tra queste vi sono le direttive in materia di politica militare, che sono specificamente destinate a orientare le attività delle Forze armate e dell'Amministrazione della difesa in generale, in funzione della precisa volontà politica espressa dal Ministro in carica.
  La politica militare con cui si identifica la sfera di responsabilità diretta del Ministro della difesa si colloca, dunque, a cascata rispetto all'indirizzo politico generale dello Stato in tema di politica estera e di difesa e alla politica di difesa.
  La politica militare è dunque contenuta all'interno del più ampio concetto di politica della difesa, la quale, come abbiamo visto, è una materia definita a livello governativo e poi discussa e approvata a livello parlamentare.
  Con le direttive di politica militare, dunque, il Ministro attua le decisioni di politica della difesa, traducendo quest'ultima in obiettivi specifici per ciascuna delle articolazioni operative e amministrative da lui dipendenti.
  Il già citato codice dell'ordinamento militare stabilisce, inoltre, che il Ministro, o un suo diretto rappresentante, partecipi a quei consessi internazionali o europei dove sono discusse e adottate decisioni rilevanti per la difesa nazionale.
  Con questo torniamo al tema dei rapporti internazionali che l'Italia mantiene in materia di difesa con i partner europei. Difatti, come è noto, a livello europeo è previsto che con una certa frequenza i ministri della difesa si riuniscano e discutano su temi d'interesse comune, giungendo a decisioni che spesso implicano l'assunzione di specifici impegni a livello nazionale. Si tratta in evidenza della riproposizione Pag. 8nel settore della difesa di quello che avviene in tutti gli altri ambiti dell'attività politica, dalla politica estera a quella economica a quella dei trasporti e così via. È evidente, quindi, che il Ministro della difesa inserirà poi nelle sue direttive di politica militare anche gli indirizzi che derivano dalle decisione e dagli impegni adottati in Europa. Un processo del tutto analogo avviene anche in ambito NATO.
  Passo adesso al terzo punto tra quelli citati dalla legge come attribuzioni del Ministro della difesa. Egli approva la pianificazione generale e operativa interforze con i conseguenti programmi tecnico-finanziari. Su questo punto desidero fare ulteriore chiarezza. La predisposizione della pianificazione di cui si parla è uno specifico compito del Capo di stato maggiore della difesa, ai sensi dell'articolo 26 del codice dell'ordinamento militare. Quest'ultimo deve recepire gli indirizzi di politica militare del Ministro; tenere conto degli impegni militari assunti dal Paese; sentire i capi delle singole Forze armate e dell'Arma dei carabinieri, e quindi procedere con l'attività di pianificazione dello strumento militare e con i correlati programmi di ammodernamento.
  Tale pianificazione – che non attiene solo agli investimenti, ma racchiude in un insieme coerente anche il personale, le infrastrutture, l'operatività eccetera – non può che muoversi all'interno del quadro generale costituito dai compiti che la legge assegna alle Forze armate. Queste hanno il compito prioritario della difesa dello Stato, e hanno altresì il compito di operare al fine della realizzazione della pace e della sicurezza, in conformità alle regole del diritto internazionale e alle determinazioni delle organizzazioni internazionali delle quali l'Italia fa parte.
  Non è trascurabile, quindi, che anche il Capo di stato maggiore della difesa, al suo livello, in base alle direttive impartite dal Ministro della difesa, mantiene rapporti con le corrispondenti autorità militari degli altri Paesi. In ambito europeo, ad esempio, opera il Comitato militare dell'Unione europea, dove siedono appunto tutti i Capi di stato maggiore della difesa dei Paesi membri. Egli partecipa cioè alla formulazione delle direttive per la pianificazione difensiva, nonché all'individuazione dei programmi e degli accordi tecnico-operativi internazionali che ne derivano.
  Il Capo di stato maggiore della difesa si trova pertanto nella giusta posizione per predisporre una pianificazione generale che sia in grado di recepire pienamente sia i vincoli di ordine finanziario e di altro genere, sia gli impegni politici assunti a livello internazionale, i quali implicano a cascata specifici obblighi di natura tecnico-militare.
  Compiuta questa attività di pianificazione, sarà poi compito del Ministro approvarla, o magari richiedere approfondimenti e aggiustamenti in funzione di nuove esigenze, vincoli e valutazioni nel frattempo emerse.
  Il processo di pianificazione – che ha come riferimento iniziale le linee generali di politica di difesa e di politica militare da me qui descritte, per semplicità d'esposizione, in termini sequenziali – è in realtà un processo sottoposto a revisioni cicliche continue, con periodicità differenziata, se riferita agli specifici aspetti che lo determinano. Mi spiego: i riferimenti generali di politica estera e di difesa sono praticamente rimasti immutati nel dopoguerra e sono ONU, NATO ed Europa. Ciascuna di queste dimensioni ovviamente ha una sua dinamicità, che rispecchia l'evoluzione del sistema internazionale dal punto di vista politico e giuridico.
  Solo a titolo d'esempio vorrei citare l'evoluzione alla quale stiamo assistendo in questi anni nell'ambito delle Nazioni Unite e in tema di responsabilità di proteggere, ovvero di diritto-dovere della comunità internazionale di intervenire, anche eventualmente con l'uso della forza, secondo i termini del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, in caso di gravi violazioni dei diritti umani all'interno di uno Stato sovrano.
  A fronte di riferimenti esterni in progressiva ma lenta mutazione, la pianificazione dell'investimento, che rappresenta l'esito finale del processo, può essere modificata Pag. 9– ed è accaduto anche di anno in anno – in relazione alle variazioni dell'assegnazione di bilancio.
  Vorrei citare come esempio recente quanto è avvenuto a seguito dell'approvazione della cosiddetta spending review, e più in generale della revisione complessiva delle disponibilità finanziarie per il Dicastero, attuata nel corso della precedente legislatura per le ben note esigenze di messa in sicurezza dei conti dello Stato e che ha riguardato tutti i capitoli di spesa del Dicastero.
  In occasione della recente discussione della mozione relativa al programma sugli F-35, ho già citato in Assemblea i dati relativi alla spesa militare italiana, che ho voluto trarre da una fonte internazionale autorevole e indipendente, più volte citata in Commissione difesa, quale il SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute) di Stoccolma. Quei dati ci ricordano come tra il 2011 e il 2012 (anno preso in considerazione) la spesa italiana si sia ridotta del 5,2 per cento.
  Preso atto che l'intendimento del Governo, poi approvato dal Parlamento, prevedeva una generale diminuzione delle risorse, il Ministro pro tempore di allora si è trovato nella necessità di disporre una revisione della pianificazione di tutta la spesa del Dicastero, inclusa quindi una riarticolazione dei programmi di ammodernamento, con una riduzione di alcuni di essi e un differimento temporale di altri.
  Il Capo di stato maggiore della difesa ha conseguentemente predisposto una nuova pianificazione. Questa pianificazione, approvata dal Ministro della difesa pro tempore è stata resa nota al Parlamento con la nota aggiuntiva, e recentemente con un Documento pluriennale di pianificazione.
  Questo è il motivo per il quale alcuni minuti fa ho inteso ricordare nella mia esposizione come la legge attribuisca chiare responsabilità al Ministro, da un lato, e ai vertici delle Forze armate, dall'altro. Ciò in perfetta corrispondenza con il principio generale di separazione tra le attività di indirizzo politico e di controllo e le attività di amministrazione e gestione. Tale separazione deve rimanere netta, quale garanzia sia della supremazia delle scelte politiche, che sono espressione della sovranità popolare, sia della neutralità e dell'imparzialità della Pubblica Amministrazione.
  Tornando al tema della politica degli armamenti, questa si colloca nell'ambito del processo decisionale complessivo. Abbiamo parlato di un indirizzo politico generale in tema di politica estera e di difesa, definito dal Parlamento anche sulla base della proposta del Governo. Abbiamo poi richiamato le scelte relative agli accordi internazionali e all'allocazione delle risorse economiche nel bilancio ordinario, come nei programmi associati a leggi specifiche, incluse quelle relative al finanziamento delle missioni internazionali, che concorrono a definire la politica di difesa nazionale.
  A questo punto è compito del Ministro della difesa, che comunque deve godere della costanza di fiducia da parte del Parlamento, attuare queste decisioni, traducendole in direttive di politica militare.
  Sulla base di tali direttive, i vertici militari della difesa predispongono la pianificazione dello strumento militare, inclusiva dei piani di ammodernamento, e la sottopongono all'approvazione del Ministro.
  Sono proprio questi ultimi passaggi quelli che la legge definisce «politica degli armamenti», cioè quell'esplicita attribuzione del Ministero della difesa che consiste nell'insieme delle scelte in tema di programmi di armamento. Sono scelte che hanno, al tempo stesso, sia una chiara valenza politica sia un fortissimo contenuto tecnico e che, come tali, sono attribuite, con una chiara distinzione di ruoli, ai vertici politico e tecnico-operativo della difesa.
  Esiste, come è ben noto, anche una fase successiva alla cosiddetta politica degli armamenti, ovvero la fase di materiale traduzione dei programmi di ammodernamento in concrete attività di acquisizione dei sistemi d'arma. Questa fase vede ancora una volta il Ministro – che al pari di Pag. 10tutti gli altri ministri è il vertice amministrativo del Dicastero – approvare con decreto ciascun programma, quando previsto d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze, affidando poi alla Pubblica Amministrazione da lui dipendente la fase contrattualistica.
  Tra il decreto del Ministro e la stipula dei contratti si colloca la ben nota attività di controllo, rimessa alle competenti Commissioni parlamentari, che possono esprimersi al riguardo secondo la procedura di recente innovata con la legge n. 244 del 2012. In questa fase, come ho detto, le Commissioni hanno la capacità di verificare la corrispondenza tra quanto comunicato in via formale dal Governo al Parlamento, attraverso il Documento programmatico pluriennale, e il decreto ministeriale che avvia la fase di acquisizione.
  È evidente, infatti, che anche la comunicazione degli intendimenti del Governo in tema di politica degli armamenti consente al Parlamento di valutare tutti quei provvedimenti (trattati e accordi internazionali, leggi di bilancio ordinario, leggi di finanziamento straordinario, finanziamento delle missioni internazionali) che formano la politica di difesa nazionale. Se il Governo, avendo comunicato certi intendimenti in tema di ammodernamento delle Forze armate, presentasse poi specifici programmi di acquisizione sostanzialmente incoerenti con tali intendimenti, verrebbe meno quel vincolo fiduciario che deve legarlo costantemente al Parlamento.
  È per questa ragione che la legge n. 244 del 2012 permette di esaltare il ruolo e le attribuzioni del Governo e del Parlamento. Infatti tale legge rafforza gli strumenti di controllo del Parlamento sugli atti del Governo, ma non altera le rispettive prerogative che sono definite nella Costituzione, né tocca le attribuzioni e la responsabilità del Ministero della difesa, del Ministro e dei vertici delle Forze armate in tema di politica degli armamenti.
  Vengo ora ad alcune considerazioni relative ai contenuti dell'attuale processo di ammodernamento delle Forze armate. Le direttive in tema di pianificazione dello strumento militare, inclusa l'attività di ammodernamento delle dotazioni, si basano sull'apprezzamento dello scenario strategico – cioè del livello e della natura dei rischi e delle minacce che dobbiamo fronteggiare – sulla considerazione degli impegni internazionali assunti dall'Italia e, non ultimo, sul livello delle risorse disponibili.
  Circa lo scenario strategico, sebbene in forma estremamente sintetica, suppongo sia possibile tratteggiare alcuni fattori che rendono quanto mai imprevedibile il mondo di domani. Da un lato ci troviamo al cospetto di elementi di relativa certezza, come la sostanziale stabilità interna al continente europeo o la tendenza largamente prevalente nel mondo occidentale verso una soluzione pacifica delle crisi. Dall'altro siamo di fronte a molteplici elementi di incertezza, originati dall'estrema dinamicità dei fattori sociali, culturali, economici e politici, tali da sovvertire in pochi mesi, praticamente senza preavviso, realtà che apparivano immutabili e che in effetti erano estremamente stabili da decenni.
  Questo scenario può essere adeguatamente affrontato solo attraverso un'attenta gestione dei fattori di stabilità e delle crisi conclamate, che deve prioritariamente essere affidata alla comunità internazionale nelle sue varie articolazioni. L'intervento internazionale, infatti, è di certo premiante in questo specifico contesto geostrategico perché riesce a mitigare – per quanto possibile – l'estrema complessità politica e culturale delle crisi, proponendo un approccio alla loro gestione che è intrinsecamente plurale, sia per la presenza di molteplici attori che concorrono alle operazioni, sia per l'ampio spettro di strumenti messo in campo.
  Proprio quest'ultimo aspetto distingue in senso assolutamente positivo la via europea alla gestione delle crisi internazionali. L'Unione europea, infatti, per la sua natura di presunto gigante pacifico, ha adottato un modello di gestione della conflittualità che è per definizione multidisciplinare. Si parla infatti di comprehensive approach proprio per indicare questo genere Pag. 11di approccio alla gestione delle crisi. Nel comprehensive approach europeo troviamo fianco a fianco strumenti civili e strumenti militari, che devono operare in maniera coordinata e sinergica.
  La componente militare, che in base ai trattati europei gli Stati membri si impegnano a tenere moderna ed efficace, deve poter svolgere un ampio spettro di missioni (i cosiddetti «compiti di Petersberg»), definite inizialmente nell'ambito dell'Unione dell'Europa Occidentale e poi recepite nei trattati dell'Unione. Tali missioni includono anche l'uso della forza per il ristabilimento della legalità internazionale.
  Le componenti militari che i Paesi membri devono poter mettere a disposizione dell'Unione devono pertanto rispondere a quattro qualità fondamentali. Esse devono in primo luogo essere effettivamente impiegabili, ovvero mantenute a un adeguato livello di prontezza operativa. Questo implica che le unità militari devono essere costituite in permanenza, e non dopo una mobilitazione, e devono avere equipaggiamenti moderni ed efficienti.
  Devono inoltre essere dispiegabili in tempi ragionevoli dove serve. Le esigenze militari, infatti, non si identificano più con la difesa dei confini nazionali o di quelli degli alleati. Oggettivamente nessuno è in grado di prevedere dove, come e quando sarà necessario impiegare lo strumento militare. Per questa ragione le Forze armate devono essere dispiegabili dove serve, almeno in larga misura.
  Devono essere sostenibili nel tempo, cioè garantire la continuità dello sforzo operativo per tutto il tempo necessario al raggiungimento dei fini politici. Questo vuol dire che deve esistere la capacità di rigenerare periodicamente le forze, garantendo la turnazione dei contingenti nei teatri di impiego.
  Infine, ma non certo per importanza, le Forze armate europee devono poter operare congiuntamente tra di loro, essere cioè interoperabili. Certamente esistono differenti livelli di interoperabilità, ma nel caso europeo l'obiettivo è quello di avere il massimo grado di integrazione, tanto che proprio il Trattato di Lisbona indica le formazioni multinazionali permanenti quale via per giungere alla difesa comune.
  Tuttavia, è giusto considerare che gran parte dei Paesi europei, tra cui l'Italia, sono anche membri della NATO, ma non possono certo permettersi di duplicare, per questo motivo, il loro strumento militare. Ciascuno di noi ha un solo insieme di capacità militari, che devono essere idonee a operare sia in ambito europeo sia nel contesto della NATO.
  In particolare, devo ricordare che nell'ambito dell'Alleanza atlantica i Capi di Stato e di Governo hanno approvato nel 2010 un nuovo concetto strategico, che delinea una molteplicità di compiti per le Forze armate dei Paesi membri, rivolti sia alla difesa collettiva dell'Alleanza sia alla gestione della conflittualità internazionale. Partendo da questo Documento, la struttura civile e militare della NATO determina lo sforzo capacitivo dell'Alleanza, e la ripartizione dei contributi, ovvero degli impegni degli Stati membri per la difesa collettiva, che vengono avvallati e assunti dalle rispettive autorità politiche nazionali, ovvero i Ministri della difesa.
  Non si pone comunque un problema significativo in termini di pianificazione dello strumento militare nazionale, perché i requisiti fondamentali sono gli stessi sia per l'Unione europea sia per la NATO. In considerazione di questi requisiti, stiamo perseguendo un ammodernamento progressivo dello strumento militare, che incrementi proprio i fattori appena descritti.
  Siamo passati, ormai da circa dieci anni, a Forze armate totalmente professionali, in modo da garantire l'effettiva impiegabilità di tutte le unità militari in missioni operative anche molto impegnative. Stiamo cercando di potenziare gli strumenti che consentono di proiettare le nostre capacità militari là dove servono, ammodernando sia la componente di trasporto sia quella di comando e controllo. La disponibilità di satelliti per le telecomunicazioni, ad esempio, si è rivelata fondamentale per operare a grandi distanze dal territorio nazionale.Pag. 12
  Soprattutto, abbiamo imposto il criterio della totale interoperabilità con gli alleati quale condizione caratteristica imprescindibile per la scelta di qualunque futuro sistema o equipaggiamento. In altre parole, l'ipotesi di avere sistemi d'arma o di altro genere che non siano in rete come quelli dei nostri partner è da scartare in partenza.
  Vengo ora al terzo elemento che ho citato, ossia il vincolo delle risorse. Come ho già detto, da questo punto di vista il continuo depauperamento delle risorse destinate alla difesa rende ogni giorno più arduo perseguire quegli obiettivi che abbiamo accettato di conseguire insieme agli altri Paesi europei.
  Ho già ha fatto riferimento al dato del SIPRI relativo alla diminuzione del 5,2 per cento del bilancio tra il 2011 e il 2012. La stessa fonte rileva che tra il 2003 e il 2012 il taglio è stato del 19 per cento, una diminuzione che non ha alcun possibile paragone con i nostri alleati europei e atlantici. Questa condizione di particolare compressione delle risorse, come credo sia noto, ha prodotto un forte squilibrio anche in termini di articolazione interna della spesa. Oggi il 70 per cento della spesa totale è dedicata al personale, mentre l'operatività dello strumento militare e gli investimenti si dividono il restante 30 per cento. È una condizione insostenibile, perché con questi livelli di spesa, in particolare nel settore dell'esercizio, risulta impossibile perseguire quel livello di effettiva prontezza che, come ho detto, rappresenta un parametro essenziale.
  È per far fronte a questo problema che il Governo è intervenuto con il progetto di legge delega approvato dal Parlamento nella scorsa legislatura. È stata la stessa Difesa a richiedere un taglio della propria consistenza, ben superiore a quello, pur doloroso, imposto dalla spending review, perché solo ribilanciando le risorse – e, quindi, ripristinando ragionevoli livelli di spesa per l'esercizio – potremo avere uno strumento militare tendenzialmente in linea con i parametri europei.
  Negli anni questo ci consentirà di aumentare progressivamente le risorse per l'esercizio, puntando tendenzialmente ad attribuire a tale voce circa il 25 per cento del totale delle risorse disponibili. In tal modo, pur rimanendo la spesa italiana largamente al di sotto della media dei Paesi dell'Unione, si sarà quanto meno avvicinata allo standard europeo in termini di bilanciamento al suo interno.
  Va da sé che la non attuazione di quanto previsto nella legge delega determinerebbe nel giro di pochi anni il completo default funzionale delle Forze armate, e quindi anche il venir meno della capacità di partecipare nei fatti alla politica di difesa europea.
  Spero di aver trattato con sufficiente chiarezza il tema odierno, che, oltre ad essere di per sé molto complesso, non può che essere inquadrato nel più ampio tema della politica di difesa europea e nazionale.
  Detto questo, credo che sia incontrovertibile che ogni singolo intervento su uno qualsiasi dei vari passi che costituiscono questo complesso castello decisionale sia deciso nell'ambito delle attribuzioni delle più appropriate competenze e nel rispetto di ruoli e prerogative, tenendo conto delle ripercussioni che ogni singolo intervento può avere sull'efficacia e sulla coerenza dell'intero processo.
  Solo così, a mio modo di vedere, risulta possibile tendere al meglio verso il conseguimento degli obiettivi di difesa nazionale, ma nel quadro di una progressiva integrazione europea.
  Ringrazio molto per l'attenzione, di cui mi rendo conto di aver abbondantemente abusato. Mi rendo disponibile ad approfondire in questa Commissione ciascuno dei temi trattati, oggi stesso o anche in prossime occasioni, perché reputo questa indagine conoscitiva un utile veicolo per un tema già più volte delineato in ambito parlamentare, ossia quello di un Libro bianco della difesa. Grazie.

  PRESIDENTE. Signor Ministro, credo di interpretare i sentimenti di tutti i colleghi nel ringraziarla, anche per la completezza della Sua relazione che consente di avere un opportuno quadro di riferimento Pag. 13normativo rispetto all'oggetto della nostra indagine.
  Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SALVATORE CICU. Signor Ministro, grazie per l'approfondimento, che Lei ha svolto iniziando con il ricordarci quali sono i ruoli, i compiti, le prerogative e le linee dei soggetti istituzionali che si occupano in maniera particolare della gestione, della programmazione e dell'indirizzo dei sistemi d'arma.
  Io non voglio soffermarmi su una serie di aspetti, perché sono un convinto assertore del fatto che il nostro Paese abbia bisogno di Forze armate efficienti e debba continuare sulla linea di una cooperazione internazionale. Sono altrettanto convinto che occorra attivare e sostenere sempre di più una forza di difesa europea. Credo che l'appuntamento previsto per dicembre sia importante per questo passaggio.
  Tuttavia, sono soprattutto convinto che, parlando anche a nome del mio gruppo, sia necessario comprendere meglio e di più le scelte. Noi non siamo contrari ideologicamente, ma, per il nostro ruolo e per la responsabilità nei confronti del Paese in quanto forza politica, abbiamo la necessità di capire meglio e di più in che modo si debbano contemperare le priorità rispetto alla crisi che il Paese vive e in che modo queste stesse priorità vadano mediate. Credo, infatti, che da una parte si debba salvaguardare l'efficienza del sistema delle Forze armate di questo Paese, ma nello stesso tempo si debba salvare il Paese.
  Sono fortemente convinto che i moniti, le denunce e i moti che agitano questo tipo di passaggio abbiano bisogno di risposte forti. È forte la richiesta di comprensione da parte dell'opinione pubblica, a cui noi non possiamo sottrarci. Credo che questa Commissione, nel corso di questa indagine conoscitiva, non possa sottrarsi ad un atteggiamento forte e responsabile. Abbiamo questo compito a cui dobbiamo guardare con dignità, soprattutto dando credibilità e autorevolezza alle risposte.
  Nell'ipotesi contraria, noi non saremmo utili nel sostenere il progetto delle Forze armate che hanno bisogno di un ammodernamento. Questo è scontato: le Forze armate hanno bisogno di un processo d'innovazione, di ricerca e di tecnologia. Il nostro sistema industriale non può restare indietro rispetto ai passi da gigante che il mondo sta facendo e mi riferisco, soprattutto, alle nuove potenze mondiali. Noi non possiamo sentirci né di categoria C, né di categoria B. Io credo che noi possiamo e dobbiamo puntare ad un ruolo di primo piano, certamente non guardando a percorsi e obiettivi di guerra, ma guardando, così come è sempre stato, a percorsi e obiettivi che ci hanno impegnato e ci impegnano nel mondo in un contesto di rafforzamento delle istituzioni democratiche o della mediazione per la pace.
  Credo che sia importante capire come e perché il suo predecessore abbia potuto ridurre il numero degli F-35 fino a 90 aerei, mentre noi oggi non possiamo discutere di quei 90. Senza ostacolare un progetto che, a mio giudizio, rientra nelle competenze di chi ha il ruolo e le conoscenze per fare questo tipo di scelte, bisogna cercare di capire e di far capire – in una proiezione da qui al 2020 – quali siano le esigenze e le priorità reali, e quale sia il metodo per salvaguardarle, contemperandole con le esigenze e le priorità del Paese, delle nostre piccole e medie imprese, dei cassaintegrati e dei disoccupati. Io credo che questo sia il tema fondamentale a cui tutto il Paese guarda quando si parla di acquistare sistemi d'arma.
  È chiaro che l'approfondimento da parte Sua sarà appropriato e che noi lo utilizzeremo per capire meglio e di più. Grazie, signor Ministro.

  GIAN PIERO SCANU. Signor Ministro, grazie innanzitutto per le notizie che Lei ha voluto fornirci e che ha definito anticipatamente «un contributo per costituire solide basi di conoscenza».
  Debbo sottolineare in primo luogo la chiarezza delle cose che Lei ha sostenuto, perché ho piacere di rendergliene merito, ma anche perché la sua chiarezza mi Pag. 14autorizza ad essere altrettanto chiaro, sperando di non scivolare nell'interpretazione delle intenzioni, ma semplicemente e doverosamente commentandole.
  Signor Ministro, questo suo dotto intervento mi è parso un po’ una messa a punto, o quasi una «messa in riga» del Parlamento rispetto a quelle che Lei ritiene debbano essere le prerogative del Governo. Se questo fosse vero, sarebbe grave, perché, dopo l'inopinata sortita del Consiglio supremo di difesa (inopinata perché totalmente estranea al merito), sarebbe la seconda volta che ciò accade nel giro di qualche settimana.
  Il gruppo del Partito Democratico ha votato convintamente – con il parere favorevole Suo, e quindi del Governo che qui Lei autorevolmente rappresenta – una mozione che non si può prestare ad alcun tipo di derubricazione e tanto meno di carsica archiviazione. Infatti, in quella mozione si dà una lettura – che è del Parlamento e non del singolo parlamentare – relativamente alle competenze che la legge n. 244 del 2012, legge del Parlamento italiano, regolarmente dotata della controfirma del Capo dello Stato, contiene ed indica.
  Noi siamo certi di aver votato una mozione in cui si chiarisce l'obiettivo da raggiungere. Signor Ministro, si tratta di un obiettivo che mi pare Lei abbia voluto di fatto confutare nei suoi frequenti richiami a quelle che ha definito «rispettive prerogative del Governo, del Ministro, dei vertici militari e del Parlamento». Lei ha sottolineato che quella del Parlamento dovrebbe essere un'attività di controllo, riferita soltanto ad un'incoerenza.
  È evidente, signor Ministro, che il tipo d'impostazione che Lei ha ritenuto di dover dare – se mi permette – è fuori tema. Non mi pare che noi oggi dovessimo parlare di queste cose. Io La ringrazio per il contributo che ha voluto darci, ma immaginavo che oggi, conformemente a quanto votato da questa Commissione, dovessimo discutere dell'acquisizione di utili elementi conoscitivi sull'insieme dei programmi di armamento e rinnovamento dei sistemi d'arma in corso di svolgimento. Di questo non si è assolutamente parlato.
  Affinché il messaggio esterno possa essere corretto, ricordo che il Partito Democratico sostiene convintamente questo Governo e ha convintamente votato una mozione, ma non ha nessuna intenzione di farsi mettere in riga da chicchessia.
  La mozione che è stata votata comporta uno stop dell'acquisizione di nuovi F-35 rispetto ai tre o ai sette – ancora non siamo in grado di saperlo – che sarebbero stati acquistati e noi riteniamo che nessuna libera interpretazione possa agire in termini di limitazione, o peggio ancora di annullamento. Quindi, nel ringraziarla e nel pregarla di ritenere queste dichiarazioni, che rendo in nome e per conto del mio gruppo, come un contributo sincero e costruttivo al miglioramento in fieri dei nostri rapporti, io auspico che, con il consenso del presidente della Commissione, alla ripresa delle attività parlamentari, dopo la pausa estiva, si possa chiedere la disponibilità del Ministro ad un'audizione che tenga conto del tema.
  Oggi il tema, a mio giudizio, non è stato affrontato. Si è parlato di altre cose. Mi auguro che queste cose non contribuiscano ad avvelenare un clima che non ha bisogno di ulteriori veleni. Noi siamo immessi in una serena e felice fisiologia democratica. Non intendiamo, come Parlamento, ricoprire ruoli che non ci competono, ma vorremmo essere convinti che a nessuno venga in mente di sottrarci compiti che invece ci appartengono.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola all'onorevole Artini, poiché sono stato chiamato in causa, mi preme dire che naturalmente ognuno è libero di esprimere i suoi giudizi, ma ritengo che l'audizione del Ministro Mauro, che ringrazio ancora, sia stata pienamente nel tema oggetto dell'indagine conoscitiva della nostra Commissione.

  MASSIMO ARTINI. La ringrazio, Ministro, di essere qui presente ad iniziare questa indagine conoscitiva. Ha fatto bene a ridefinire i suoi compiti, dando un'ampia Pag. 15spiegazione al riguardo. In seguito, approfittando della Sua disponibilità, Le chiederemo giustamente di tornare per entrare nel dettaglio del tema dell'indagine.
  Noi del Movimento 5 Stelle, ed io in particolare, riteniamo che questa indagine dovrebbe aiutare il Parlamento a capire quali siano le scelte nelle strumentazioni d'arma, senza, voler vedere, in questa particolare fase, anche analisi future o successive. Certamente le implicazioni ci sono, ma in particolare vorremmo capire se le quindici pagine del Documento programmatico pluriennale stilato dal suo predecessore riguardano tutti gli strumenti d'arma, ovviamente concentrandosi su quelli economicamente più gravosi.
  Lei ha detto che tra le Sue prerogative c’è quella di valutare la parte tecnica e finanziaria di ogni strumentazione d'arma. Le farò, al riguardo, alcune domande nel dettaglio. Infatti, in tutte le audizioni dei vertici militari che abbiamo svolto è sempre stata posta una domanda, soprattutto all'Aeronautica e al Segretario generale della difesa, cui non è stata data risposta. Come giustamente ha sottolineato il collega Scanu, sarebbe opportuno una nuova Sua presenza a settembre, in vista della quale potremmo produrre delle domande scritte su cui Lei si potrebbe concentrare.
  Ritengo che su determinati strumenti d'arma – che avranno dei costi importanti nell'arco dei prossimi quarant'anni – sarebbe giusto avere delle risposte mirate che specifichino non solamente le motivazioni politiche, ma anche gli impegni finanziari, le modalità d'impegno, i beneficiari da un punto di vista industriale e le modalità dei benefici. Secondo la mia breve esperienza parlamentare, infatti, molte scelte si basano soprattutto sui benefici industriali che ne derivano.
  Io penso che il Suo obiettivo politico sia importante per capire anche dove verranno investite le risorse del bilancio nei prossimi anni. Quindi, per quanto mi riguarda, vorrei arrivare a dicembre con una definizione precisa, almeno, come dicevo, per gli strumenti che hanno un costo maggiore. Penso agli F-35, ma anche agli Eurofighter, al programma Forza NEC e ai satelliti. È importante dunque capire se ci sono degli offset che ci permettono di azzerare i costi per la nostra difesa, in quanto ci sono dei ritorni industriali di pari entità.
  Per quanto riguarda le missioni all'estero, ritengo che queste non dovrebbero essere oggetto dell'indagine, giacché io non le intendo come strumenti d'arma. Magari costituiscono l'obiettivo che permette di capire quali strumenti adoperare, ma, a mio avviso, non sono da trattare direttamente nell'indagine.
  A proposito delle missioni all'estero, come Le ho già detto altre volte, bisogna cercare di capire se quanto è stato fatto in alcune missioni è stato sensato, o se magari altre missioni abbiano avuto maggiore significato. Io faccio sempre il paragone tra l'Afghanistan e il Libano, che sono due scenari completamente diversi. L'impatto delle nostre Forze in Libano non è stato quello di forze che hanno compiuto «azioni di guerra», dato che ciò non è avvenuto. Dovremmo quindi capire se quello strumento di difesa o di applicazione della volontà internazionale abbia più senso rispetto a quanto è stato fatto in Libia, in Afghanistan o in un altro contesto.
  D'altronde, l'impatto finanziario che lo Stato deve sostenere per garantirsi uno strumento di difesa valido sia per le azioni in Afghanistan sia per quelle in Libano è completamente diverso. Penso anche che dovrebbe essere potenziata la capacità di bonificare dalle mine i territori, rendendoli più usabili dalle popolazioni.
  In ultimo arrivo alla domanda particolare che Le avevo accennato. Come ho già chiesto a vari suoi «dipendenti» – mi passi il termine – vorrei che fosse definito esattamente, nella pianificazione dell'acquisto degli F-35, a quanti teorici velivoli siamo arrivati, quanto stiamo realmente pagando in questo momento per la componentistica degli F-35 che dovremo comprare e quello che si prospetta da qui ai prossimi cinque o sei anni.

  DOMENICO ROSSI. Signor Ministro, innanzitutto La ringrazio per la relazione. Pag. 16Ritengo, infatti, che sia stato necessario svolgere gli argomenti in questa trattati. Credo che avere il quadro di riferimento delle singole competenze e responsabilità dovrebbe essere una base di partenza per tutti. Probabilmente anch'io avevo qualche lacuna in merito. È per questa ragione che ritengo la Sua relazione opportuna. Essendo un'indagine conoscitiva, come Lei stesso ha detto, è evidente che il Ministro della difesa e tutti gli altri interlocutori che noi abbiamo intenzione di chiamare a questo tavolo potranno dare risposte maggiormente tecniche o approfondite su temi specifici.
  Ho ascoltato gli interventi dei colleghi e, onestamente, ho dei dubbi che prima non avevo. Sono sicuro che la difesa ha un costo e che la percezione del concetto di difesa in un Paese ha un livello fluttuante di intensità, a seconda dei momenti e delle situazioni. Sicuramente dopo l'11 settembre ci sarà stata una percezione maggiore, mentre in altri momenti ci può essere una percezione inferiore. È bene che tutti quanti entriamo nell'idea che la difesa ha degli strumenti su cui si appoggia in linea teorica potenziali, a fronte di qualcosa che è parzialmente definito e definibile. In tal senso – ed ecco perché secondo me la relazione è stata interessante – la responsabilità dei Capi di stato maggiore delle singole Forze armate, della difesa e del Ministro è individuare lo scenario più attendibile possibile o che abbia la più alta probabilità di verificarsi, perché il nostro strumento deve essere calibrato in base a questo.
  Se si perde di vista tale quadro – che è in parte potenziale ed è poi arricchito dalle sensazioni, dai vincoli e dalle limitazioni che abbiamo, insieme a tutti i rapporti (bilaterali, alleanze internazionali eccetera) – non si riesce a capire perché lo strumento militare debba avere, anche in «tempo di pace», determinate potenzialità.
  In alcuni momenti ho avuto la sensazione che l'indagine conoscitiva stia diventando uno strumento ispettivo. L'indagine deve essere conoscitiva nel senso che noi dobbiamo conoscere gli scenari di riferimento. Infatti, è dai compiti delle Forze armate che deriva la loro organizzazione. Lei ha richiamato il Libro bianco. Ritengo che quella sia la cosa più urgente da fare, perché è da lì che forse potremmo avere le risposte sulle motivazioni di certe scelte sui sistemi d'arma.
  Introdurci in un discorso parlando di contratti, senza acquisire prima lo scenario di riferimento in base a cui è stato deciso di comprare gli F-35 o di avviare Forza NEC, è assolutamente limitato. Con il senso di responsabilità di membro della Commissione difesa, chiamo a riflettere su questo, perché non vorrei che andassimo fuori direzione.
  Ritengo invece che siano due i passaggi fondamentali a cui la Commissione difesa deve rispondere. Il primo è stato illustrato dall'onorevole Cicu e si riferisce al fatto che le scelte vanno contemperate nell'ambito della situazione nazionale e non solo. Il secondo passaggio è che dobbiamo essere sicuri di dare ai nostri soldati un equipaggiamento, un armamento e delle situazioni che li pongano in massima sicurezza in tutti gli scenari esistenti e prefigurabili.

  DONATELLA DURANTI. Ringrazio il Ministro per lo sforzo che ha fatto per ricordarci ruoli, competenze e prerogative. Tuttavia credo anch'io, come i colleghi Scanu e Artini, che la Sua relazione sia fuori tema. Noi siamo qui oggi – lo dico anche al presidente – per ottenere elementi conoscitivi rispetto ai diversi programmi d'armamento e all'acquisizione di nuovi sistemi d'arma. Pare anche a me, appunto, che la relazione del Ministro non abbia dato conto di ciò. È stata una relazione incentrata sulle prerogative e sul processo decisionale complessivo, così come il Ministro lo ha definito, in cui ci sono prerogative, ruoli e funzioni di diversi soggetti.
  Rispetto a questo, credo che ogni legislatura si possa caratterizzare come le forze politiche che ne fanno parte preferiscono. Credo anche che questa legislatura si debba caratterizzare per la ricerca e la formalizzazione definitiva e concreta Pag. 17di veri strumenti di controllo da parte del Parlamento, rispetto a tutta la materia complessa della politica di difesa e della politica militare.
  A questo proposito, vorrei rimanesse agli atti una preghiera che rivolgo al Ministro Mauro, che ha più volte citato la legge n. 244 del 2012. Innanzitutto, mi permetto di dire che non mi sembra che nella scorsa legislatura sia stato dedicato tanto tempo a questa legge. In ogni caso, per quanto riguarda i doveri che noi abbiamo oggi, mi permetto di chiedere al Ministro Mauro un'attenzione particolare rispetto ai decreti attuativi. Io mi auguro – e lo chiedo formalmente al Ministro – che i decreti attuativi non vengano trasmessi a queste Commissioni alla vigilia della pausa estiva dei lavori del Parlamento, ma piuttosto a partire dai primi di settembre affinché le Commissioni possano svolgere il loro ruolo.
  Penso che questa indagine conoscitiva debba servire a darci degli elementi. Farò, poi, tre domande, in particolare sugli F-35, ma prima di tutto mi sento di dover dire alcune cose rispetto al percorso, anche storico, che Lei ci ha illustrato. Il modello di difesa del nostro Paese è cambiato nel tempo e mi sento di poter dire che ciò è avvenuto esautorando il Parlamento del suo ruolo. Oggi, invece, dobbiamo provare a fare un'altra cosa. Io penso che dobbiamo accettare la sfida di discutere sul modello di difesa, ma a partire dalla riconsiderazione degli elementi che sono alla base della politica di difesa e di sicurezza del nostro Paese, in un quadro del mondo completamente cambiato.
  Lei ha parlato di crisi, instabilità e incertezza. Io penso che le minacce attuali non siano più di tipo militare. Per esempio, molti Paesi del Mediterraneo sono membri della NATO, o dell'Unione europea o di entrambi gli organismi. Penso anche che problemi come il terrorismo, i cambiamenti climatici e le minacce nucleari necessitino di altri strumenti per essere affrontati. Per esempio, rispetto alla proliferazione nucleare, bisognerebbe aumentare l'impegno nazionale, europeo ed internazionale rispetto al disarmo nucleare. Come dimostra la vicenda di Bin Laden, credo che le minacce del terrorismo vadano affrontate con gli strumenti dell’intelligence. Penso, inoltre, che anche le minacce che provengono dai cambiamenti climatici vadano affrontate con altri strumenti, come la cooperazione internazionale e la cooperazione allo sviluppo, ma non certamente con le armi.
  Penso, infine, che noi dobbiamo accettare questa sfida. Anzi, noi vogliamo discutere di qual è il modello di difesa del nostro Paese, e qual è il modello di difesa europeo. È vero che l'Unione europea prevede l'utilizzo di strumenti sia civili sia militari, ma credo di poter dire che c’è uno sbilanciamento a favore degli strumenti militari.
  Vogliamo entrare nel merito delle prerogative del Parlamento e aumentare il potere di controllo e di decisione del Parlamento stesso. Anche a noi le affermazioni del Consiglio supremo di difesa, mentre si discuteva in Parlamento degli F-35, sono sembrate un ingresso a gamba tesa rispetto alle nostre prerogative. Noi pensiamo che vada fatta un'altra cosa.
  Infine vogliamo davvero discutere di quali minacce dobbiamo affrontare. La ringrazio per la pazienza. Per rimanere in tema, le consegno alcune domande sugli F-35. Anche noi vorremmo conoscere la scansione temporale degli accordi di acquisto, qual è il loro costo (da questo punto di vista c’è un «balletto» incredibile di cifre) e, infine, quanti saranno gli aerei che gli F-35 dovranno sostituire. Le ricordo solo che queste stesse domande le abbiamo poste al Generale Debertolis, che, invece di rispondere, ci ha rimandato all'indagine conoscitiva. Quindi, riprendendo il Generale Debertolis, ritengo che questa sia la sede per fare tali domande e per avere le risposte.

  PRESIDENTE. Per completezza, onorevole Duranti, sottolineo che noi tutti portiamo rispetto agli altri organi istituzionali e che il Generale Debertolis aveva fatto riferimento anche al Documento programmatico pluriennale che è già agli atti della nostra Commissione e che valuteremo proprio domani Pag. 18con la relazione dell'onorevole Villecco Calipari, alla quale do ora la parola.

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Grazie, presidente. Ringrazio il Ministro della Sua presenza e anche del «ripasso» di diritto costituzionale, diritto amministrativo e analisi dei sistemi complessi che ci ha fornito.
  La ringrazio, perché, come per il collega Rossi, ascoltarla mi ha permesso di rinfrescare un po’ la memoria rispetto ai compiti nella tripartizione dei poteri nel nostro Paese che Lei ci ha voluto sottolineare e di cui ne rappresenta una parte, cioè l'Esecutivo.
  Tuttavia, oggi siamo qui per un'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, fortemente voluta e approvata all'unanimità da questa Commissione in cui, signor Ministro, le forze politiche presenti, e in particolare noi del Partito Democratico, abbiamo ben chiara la cultura della difesa e siamo sempre stati abbastanza coerenti su questo aspetto.
  Avrei gradito quindi, signor Ministro, che Lei oggi ci avesse spiegato meglio le molteplici dichiarazioni che sta facendo sulla questione della demagogia che in questo Paese si sta sviluppando, in particolare su un programma d'armi. Avrei preferito che Lei ci avesse parlato chiaramente della Sua visione delle priorità nella politica di difesa del nostro Paese, piuttosto che dell'architettura istituzionale, nella quale, tra l'altro, Le confesso che mi è sembrato ci fosse una piccola lacuna.
  Nell'architettura istituzionale che Lei ci ha molto bene illustrato manca un passaggio, peraltro quello che ci interessa molto oggi. Infatti, quando si parla di sistemi d'arma, si parla di una funzione che all'interno dell'amministrazione viene svolta attualmente dal Segretario generale, che abbiamo già audito, e che sentiremo di nuovo in quanto si è dichiarato disponibile a tornare. Io spero che questa sia solo una svista e non un'omissione di una parte rilevante nelle decisioni relative alla politica di acquisizione dei sistemi d'arma, che dipendono strettamente dalle direttive del Ministro e che penso lo resteranno ancora.
  Faccio questa osservazione perché ho notato che Lei ha sottolineato molto bene la funzione del Capo di stato maggiore della difesa e dei vertici militari. Tuttavia, nella procedura di acquisizione dei sistemi d'arma c’è un ruolo rilevante che viene svolto dal Segretario generale, a cui Lei oggi, stranamente, non ha fatto cenno.
  In secondo luogo, da più di un anno e mezzo sento parlare di due concetti chiave della politica militare. Il primo è il paradigma europeo 50-25-25; il secondo è l'interoperabilità. Sul primo concetto Le rivolgo una richiesta che ben si lega alle preoccupazioni che esprimeva il collega Cicu rispetto alla responsabilità che del Parlamento di fronte a una crisi che attanaglia il Paese da molto tempo e che ha portato il Ministro dell'economia a fare delle affermazioni che hanno impensierito molti di noi in merito a possibili vendite di industrie nazionali, tra cui anche Finmeccanica, a partner esteri.
  Il paradigma 50-25-25 è alla base della revisione dello strumento militare che non è il modello di difesa, ma qualcosa di diverso che atteneva alle competenze dell'allora Ministro della difesa e di cui abbiamo valutato l'impostazione fino in fondo, facendo tra l'altro due importanti integrazioni: la prima, all'articolo 4, sul controllo parlamentare e, la seconda, relativa alla visione di integrazione europea, quindi – come dite voi – di interoperabilità in Europa.
  A questo proposito, vorrei chiedere al Ministro se nel momento in cui nel rapporto tra numeratore e denominatore, cioè tra le risorse impiegate del bilancio della difesa e PIL, il denominatore scende, Lei ritenga che permanga ancora un problema di carenza di risorse per l'Amministrazione della difesa. I numeri esprimono quello che attanaglia i cittadini italiani. Stando alla riduzione percentualmente forte del PIL, quel rapporto è ancora in sofferenza oppure no perché cresce essendo sceso il denominatore ?
  Inoltre, domani inizieremo l'esame del Documento programmatico pluriennale, nel quale ci sono le previsioni per i Pag. 19prossimi tre anni per vari sistemi d'arma. Non voglio fare premesse rispetto a quello che dirò domani nella mia relazione, ma vorrei porle una domanda. Nel Documento, le previsioni per gli F-35 – mi riferisco agli F-35 non perché sia l'unico sistema d'arma che mi preoccupa in termini di impegni finanziari, ma perché è sotto l'attenzione di tutti – sono di 500,3 milioni di euro per il 2013; di 535,4 per il 2014 e di 657,3 per il 2015. Queste sono le cifre riportate nel Documento.
  Vorrei sapere – in relazione a quanto approvato nella mozione parlamentare, in cui si parlava di una sospensione di questo programma – dal Ministro della difesa quanti di quei 500,3 milioni sono stati già utilizzati a oggi. Ci sono state ulteriori acquisizioni dopo l'approvazione della mozione ? Quante sono le risorse ancora disponibili per il 2013 ? Ovviamente, quelle per il 2014 e 2015 sono ancora da verificare.
  Sono queste le risposte che credo il Ministro debba dare a questa Commissione. Sulle architetture istituzionali, invece, vorrei sapere cosa pensa del Segretariato generale.

  PAOLO BOLOGNESI. Grazie, signor Ministro, per la relazione. Le rivolgerò delle domande molto nette. Alcuni colleghi che mi hanno preceduto hanno evidenziato la necessità per i nostri militari impegnati nelle varie missioni di disporre di una struttura e di mezzi di protezione adeguati. Ora, nessuno vuole mettere in discussione questo. Mi interessa, invece, che la Commissione possa stabilire da chi il nostro Paese si debba difendere, come ci inseriamo nell'ambito della difesa in Europa e, di conseguenza, cosa dobbiamo acquistare e ammodernare. Se abbiamo mezzi militari vecchi, ma tali mezzi non ci servono più, non si capisce per quale motivo li dovremmo ammodernare.
  Il Segretario generale, nella sua audizione, ha parlato di più di 85 sistemi d'arma. Occorrerebbe, però, valutare quelli che sono necessari, quelli che non lo sono e quelli che addirittura sono in contrasto con la politica europea di difesa. Questa informazione potrebbe aiutare la Commissione a fare dei passi avanti in un discorso non solo di collegamento con l'Europa, ma anche di adeguamento delle nostre Forze armate con gli strumenti necessari, abolendo quelli non necessari.

  EMANUELA CORDA. Anch'io ringrazio il Ministro per la relazione molto dettagliata, che, tuttavia, anche a mio avviso, non è entrata nel merito della questione che avremmo dovuto affrontare.
  Vorrei riallacciarmi a quanto detto dal collega Rossi, che ha fatto una sorta di appunto sull'intervento del collega Artini. Se non ho capito male, in tale intervento si affermava che i Capi di stato maggiore hanno il compito di prevenire, ovvero di immaginare degli scenari, quindi, allo stato attuale, non possiamo porre domande specifiche sul discorso dei contratti o in relazione ai sistemi d'arma perché questi investimenti vengono fatti, appunto, in previsione di scenari che magari si verificheranno in futuro.
  Mi chiedo, allora, quanto conta politicamente l'Italia a livello europeo. Insomma, vorrei capire verso quale modello di difesa vogliamo andare perché, guardando gli investimenti sui sistemi d'arma, stiamo investendo su sistemi fortemente offensivi.
  Il collega Artini ha citato le missioni internazionali e le differenze tra l'Afghanistan e il Libano. In quest'ultimo caso avremmo bisogno di mezzi di pattugliamento, mentre in Afghanistan sono stati utilizzati i cacciabombardieri e sono stati fatti dei rastrellamenti.
  In definitiva, vorremmo capire se politicamente l'Italia, a livello europeo, può far valere le proprie ragioni, anche pensando a un modello di difesa che non vada verso una direzione offensiva come, invece, sta succedendo. Se vogliamo continuare a chiamare tali missioni «missioni di pace», anche gli investimenti sui sistemi d'arma dovrebbero andare in questa direzione, cosa che – ripeto – non sta accadendo. Quindi, va bene immaginare gli Pag. 20scenari, ma gli obiettivi quali sono ? Se l'obiettivo è quello di disporre di mezzi di offesa, evidentemente siamo in contraddizione con ciò che dice la nostra stessa Costituzione e continuiamo a perseverare con questo modus operandi a nostro avviso errato sotto il profilo etico. Bisognerebbe, piuttosto, ripensare al nostro modello di difesa. Chiedo, quindi, al Ministro se è possibile immaginare un modello di difesa che vada – realmente, non solo a parole – nella direzione della pace.
  Vorrei poi sapere se questi sistemi d'arma così sofisticati, sempre in un'ottica di previsione degli scenari, verranno poi effettivamente utilizzati. Infatti, è già capitato che siano stati fatti degli investimenti, ma che questi strumenti d'arma non siano poi stati utilizzati, risultando delle vere e proprie bolle speculative. Anche questo è un altro problema. Occorre, allora, immaginare gli scenari, senza investire su strumenti che poi si riveleranno completamente inutili. Prevenire, infatti, è meglio che curare sia dal punto di vista etico sia da quello realistico, altrimenti stiamo parlando invano.
  In conclusione, ci piacerebbe che questa indagine conoscitiva – e non ispettiva – andasse anche in questa direzione per capire se stiamo investendo su qualcosa di concreto e di eticamente accettabile.

  MICHELE PIRAS. Ho l'impressione che, oltre a un'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, avremmo bisogno di aprire, a breve, una discussione in Parlamento sul modello di difesa. Ragionando come fosse un pezzetto di un mosaico, che comunque può cominciare a comporsi, rilevo che negli ultimi anni il nostro approccio alla politica della difesa è progressivamente cambiato, in maniera lenta o più o meno rapida a seconda dei momenti.
  In questo frangente stiamo per votare il decreto del fare in cui l'articolo 48, di fatto, attribuisce nuove prerogative al Ministero della difesa che, per quanto stemperate rispetto alla stesura originaria dall'attività condotta in particolare dei colleghi del Partito Democratico, mantiene comunque la caratteristica di un intermediario nel commercio internazionale di armi per conto dell'industria nazionale. È, quindi, cambiato anche l'approccio alla nostra politica industriale. In un Paese dove non c’è stata una politica industriale da almeno trent'anni, oggi abbiamo una politica di implementazione dell'industria degli armamenti. Queste sono scelte politiche, per cui, pur non vedendo nelle scelte politiche mai una neutralità, le segnalo come tali. Peraltro, ho già espresso anche ieri in Aula il mio giudizio su questo tipo di scelte.
  Insomma, tutto sta cambiando. Persino nelle sue parole, signor Ministro, c’è nelle terminologie che si utilizzano un punto di aggressività in più rispetto agli ultimi anni, quasi che il Paese stesse assumendo un ruolo diverso rispetto al passato.
  Personalmente, penso che non sia giustificabile la sottovalutazione, nel bilancio della difesa, di quello che potrebbe essere il miglior sistema di difesa. Paradossalmente, infatti, il miglior sistema d'arma è la cooperazione internazionale. Abbiamo un bilancio della difesa che investe quantità significative di risorse pubbliche sui sistemi d'arma e molto meno sulla cooperazione internazionale.
  Il rischio internazionale è quello della difesa dei confini nazionali ? Sarò un ingenuo, ma non riesco a vedere questa priorità, né quella di continuare sulla strada delle missioni internazionali, per anni presentate come missioni di pace in maniera da eludere il tema dell'articolo 11 della Costituzione, ma che in realtà sono altro.
  Non credo, signor Ministro, che si possa dire che esistano tecnologie e sistemi d'arma offensivi e difensivi, come Lei ha affermato in questi giorni davanti ai mezzi di informazione. I sistemi d'arma hanno tutti una capacità offensiva, anche se alcuni ne hanno più di altri; alcuni caricano armi atomiche, altri no; un cacciabombardiere può essere utilizzato in difesa o in offesa. Mi pare, però, che tutto torni, rimettendo a posto le tessere del mosaico. Pag. 21Torna, cioè, l'idea di un Paese che assume un atteggiamento internazionale diverso da quello della risoluzione pacifica dei conflitti internazionali. Questa – ripeto – è una scelta politica comprensibile, ma andrebbe messa in chiaro, anche per uscire da questa ambiguità che ha caratterizzato gli ultimi anni del dibattito politico.
  La mia è una domanda retorica, provocatoria e forse anche, in apparenza, non pertinente al tema dell'indagine (del resto l'opposizione deve essere un po’ impertinente). Le chiedo, quindi, se ritiene sufficienti o meno le risorse destinate alla cooperazione internazionale e se, eventualmente, queste si possano implementare.
  È giusto ricordare, anche se ad alcuni sembrerà demagogico, due elementi. In primo luogo, vorrei dire – anche per interloquire con il collega Rossi – che noi non crediamo che i nostri militari all'estero debbano operare in condizioni di insicurezza o di rischio della vita. Semplicemente riteniamo che in alcuni scenari esteri quei militari non ci dovrebbero proprio stare, quindi dovremmo riportarli a casa, dove sarebbero certamente più al sicuro. In secondo luogo – sarà pure demagogico, ma anche questa è una legittima idea politica di utilizzo delle risorse pubbliche – riteniamo che il programma degli F-35 non solo vada sospeso, ma anche cancellato.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi intervenuti che hanno manifestato l'attenzione di tutti i gruppi presenti in Commissione per l'audizione del Ministro e per i temi oggetto dell'indagine conoscitiva oggi avviata. Infatti, è stato confermato l'interesse della Commissione ad approfondire la questione, nell'ambito della natura ricognitiva tipica di questo strumento e con tutti i mezzi a nostra disposizione, per poter poi fornire al Parlamento gli elementi di valutazione necessari.
  Nel ringraziare nuovamente il Ministro per la disponibilità manifestata e per l'utile contributo ai lavori di questa Commissione, gli do la parola per la replica ai quesiti posti dai colleghi intervenuti.

  MARIO MAURO, Ministro della difesa. Mi scuso ancor di più, rispetto a quanto abbia fatto all'inizio, se la mia relazione è risultata eccessivamente scolastica. Ovviamente, non c'era nessuna pretesa da parte mia di fornire chiarimenti al Parlamento o di «metterlo in riga», bensì intendevo riportare fedelmente quanto guadagnato dall’iter parlamentare a seguito dell'approvazione delle due mozioni, il cui contenuto si travasa idealmente nella prospettiva di questa indagine conoscitiva.
  Infatti, nel mio intervento al Senato – cito testualmente per mantenere il profilo di chiarezza già ricordato – ho detto: «Per intendere compiutamente l'argomentazione del Governo sull'approvazione della mozione credo sia utile spendere qualche ulteriore parola. Le scelte di spesa militare dell'Esecutivo nell'attuale forma di governo parlamentare sono rimesse, sul piano dell'indirizzo politico, alle Camere. Ciò comporta che – come ha ricordato anche il senatore Tonini, del Partito Democratico – la fase di indirizzo parlamentare sul piano logico e giuridico preceda l'attuazione della scelta governativa. Successivamente, seguita detta scelta, è previsto che il Parlamento eserciti i poteri di ispezione e controllo.
  Nella formazione dell'indirizzo politico nel settore della difesa, va riconosciuto indubbio rilievo all'atto di iniziativa governativa, tra l'altro sovente dovuto e non discrezionale, anche a causa dei vincoli dei rapporti internazionali. Quindi, l'indirizzo parlamentare in tema di armamento, materia tecnico-militare, va deciso tenuto conto anche della posizione del Governo che, a sua volta, valuta vincoli internazionali e profili tecnici riguardanti l'adeguatezza dei sistemi di sicurezza e difesa.
  Per quanto riguarda la pianificazione generale dell'investimento, che ricomprende il programma F-35, l'indirizzo politico ha trovato riscontro sino ad ora nelle leggi di bilancio – come ha ricordato il senatore Nencini – con le quali sono state Pag. 22allocate le risorse finanziarie per l'attuazione dei programmi previsti, inclusi gli F-35.
  La disposizione della riforma Di Paola delinea, infatti, precise cadenze temporali sia nella presentazione dei programmi di ammodernamento da sottoporre alla valutazione delle Commissioni, sia nelle modalità di espressione del parere, anche quando questi risulti ostativo.
  La posizione del Governo è chiara. A fronte dell'annunciato ridimensionamento del programma di acquisto degli F-35 effettuato dal Governo e dal Ministro Di Paola il 15 febbraio 2012, la mozione Speranza e altri rappresenta un atto inibente ogni ulteriore acquisizione e non sembra – come ha ricordato anche il senatore Tonini (Partito Democratico) – dover essere intesa come un generale retroattivo divieto incidente su politiche di acquisto già determinate.
  In mancanza di diverse scelte normative, il Governo ha il dovere di esercitare compiutamente le proprie competenze in materia di politica degli armamenti, in coerenza con un quadro giuridico rimasto immutato. Nel nostro regime costituzionale il Governo è sottoposto al preciso vincolo rappresentato dalla costanza della fiducia del Parlamento e dall'avere la distinta responsabilità delle scelte in tema di pianificazione dello strumento militare e di politica degli armamenti».
  Così ho espresso l'opinione del Governo nell'intervento per l'approvazione della mozione al Senato, che ricordo è identica nel testo a quella della Camera. Questo intervento è stato ricompreso nel voto attraverso le dichiarazioni di voto dei partiti che compongono la maggioranza.
  Ho citato questo intervento perché l'essermi soffermato sul processo decisionale non deve apparire come un voler evadere il tema. Viceversa, il mio è un modo di entrare nel tema. Riguardo a questa tornata legislativa vi posso assicurare due cose. La prima è che non ci annoieremo in Commissione difesa perché abbiamo «preso l'onda giusta». La seconda è che imparerò a parlare con l'accento sardo, dal lugodorese del nord al campidanese del sud, perché questo è un connotato della Commissione difesa. Ecco, le due cose mi sembrano chiaramente definite.
  Tornando nel merito, vorrei ricordare ai componenti della Commissione un aspetto non formale. La chiarezza che si traduce in esibizione muscolare diventa ottusità; invece, la chiarezza che vuole essere condizione attraverso la quale il Parlamento può esercitare appieno le sue prerogative è un fattore fondamentale perché il Governo sia serio e non approssimativo nell'esercizio delle sue prerogative.
  Passando agli argomenti di merito, iniziando dall'osservazione dell'onorevole Duranti, mi preme entrare nel tema del processo decisionale complessivo che non è un fuoco di fila fatto per coprire intenzioni turpi. Dobbiamo, invece, ragionare su che cosa siamo. Noi siamo l'Italia. Venticinque anni fa due terzi del nostro sistema militare era schierato in tre regioni (Friuli, Veneto e Trentino). Aspettavamo il nemico da est. Oggi tutto questo non c’è più. Il sistema, quindi, è stato spostato in Puglia, in Sicilia e in Campania, con un'allocazione di queste risorse che comporta di per sé un trasferimento di oneri che non necessariamente sono in carico al bilancio della difesa.
  Abbiamo città del Friuli che hanno perso abitanti e città della Sicilia e della Puglia che ne hanno acquisiti. Verosimilmente, abbiamo oneri in carico ai sistemi di istruzione, sanitari e della pubblica amministrazione che si sono, di conseguenza, trasferiti. La nostra partecipazione anche a organismi internazionali, come la NATO, dipende dal cosiddetto «principio di burden sharing», cioè della sostenibilità del sistema attraverso una condivisione degli oneri che si è radicalmente modificata.
  Pertanto, quando cerco di individuare con precisione gli aspetti del processo decisionale sto segnalando alla Commissione che se veramente – come nelle intenzione dei proponenti la mozione – Pag. 23questa indagine conoscitiva è rivolta anche a condizionare gli esiti del Consiglio europeo di dicembre non possiamo prescindere da un processo decisionale complessivo che assuma su di sé anche le decisioni che vengono prese sul profilo sia della NATO sia europeo. Dobbiamo essere compartecipi perché nella fase ascensionale del processo di Lisbona sono i Parlamenti nazionali che hanno l'onere di segnalare le contraddizioni e che – non vorrei fare un assist all'opposizione – se realmente volessero entrare nel merito di che cosa vuol dire, per esempio, la militarizzazione di quella che è chiamata la «portaerei del Mediterraneo», cioè la Sicilia, potrebbero forse dire anche che questo merita maggiore considerazione in sede NATO ed europea. Infatti, quell'ambito geografico e storico-politico viene oggi caricato, come avvenuto in passato per la Sardegna, di molti gravami dal punto di vista della strutturazione della spesa di difesa, di cui si deve oggettivamente tener conto.
  Questo ha rappresentato il vostro Ministro nell'ambito del vertice NATO che si è svolto a luglio. Questo mi è sembrato, infatti, un aspetto qualificante della partecipazione dell'Italia nell'ambito NATO ed europeo riguardo a come deve essere sopportato il peso dell'onere di una difesa comune. Per essere ancora più chiaro, il processo decisionale implica una valutazione di alcuni aspetti del modello di difesa.
  Onorevole Piras, l'articolo 48 del decreto del fare risponde all'esigenza di fare chiarezza, anche in virtù dei commenti di quello che accade in giro per il mondo riguardo alle performance di certi intermediari. Insomma, vogliamo che l'attività industriale legata ai sistemi di difesa rimanga opaca o che ci sia chiarezza ? Vogliamo dare un contributo ai fini della trasparenza del sistema su scala globale o tornare ai tempi in cui producevamo le mine antiuomo e queste venivano veicolate con tutte le opacità del caso ?
  In questo senso, non ho la pretesa di essere un riformatore perché, onestamente, penso di dover essere un realizzatore. Penso cioè di affidare a condizioni di assoluta sostenibilità quello che siamo chiamati a fare come Governo affinché l'azione di Governo sia trasparente e misurabile dai cittadini. Penso, quindi, che quella sia una buona norma e significhi tutto tranne che la trasformazione del Ministero della difesa in un mercante d'armi. In più, è un aspetto di politica industriale, come Lei ha ben sottolineato. Tuttavia, non ho nulla in contrario se il nostro Paese tornasse a ragionare in termini di politica industriale.
  Inoltre, credo che fissando con chiarezza le prerogative di ognuno, al Ministero dalla difesa – cui non compete l'onere della compenetrazione internazionale, per cui La ringrazio dell'auspicio di sussumere su di noi un aspetto di stretta competenza della politica estera – spetta una cooperazione civile e militare attraverso la quale finalizziamo i nostri atti. È chiaro, però, che nell'ambito delle nostre prerogative non possiamo pensare di vedere identificata l'azione che conduce la difesa su mandato del Parlamento e per dettame costituzionale, confondendola con le competenze di un altro dicastero.
  Questo aspetto, però, chiarisce bene dal punto di vista dei numeri quanto abbiamo a cuore di rappresentare. Prendiamo la nostra missione più controversa, l'Afghanistan. Siamo in Afghanistan da oltre 10 anni, ma siamo in Bosnia da 20 e in Kosovo da 15, quindi nel cuore dell'Europa. Quando siamo arrivati in Afghanistan c'erano 900.000 studenti, tutti maschi, legati al meccanismo scolastico attuato dalla dittatura dei talebani; oggi ci sono 7,5 milioni di studenti di cui il 35 per cento sono donne; il 20 per cento degli studenti universitari sono donne. Da quando c’è ISAF (International Security Assistance Force) sono stati costruiti 120 ospedali e il 70 settanta per cento della popolazione accede ai servizi sanitari.
  Ecco, quando arriveremo alla discussione sulle missioni internazionali penso che, in ordine alla stretta relazione tra Pag. 24queste missioni e le attività di cooperazione internazionale, sarà bene poter entrare nel merito per dare una valutazione complessiva perché, per l'appunto, il processo decisionale complessivo non è un modo per evadere gli argomenti, bensì per arrivare a giudicare l'argomento nel dettaglio, partendo da una cornice che ci dia la visione adeguata di quello che siamo chiamati a giudicare.
  Venendo agli F-35, proprio perché facciamo l'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma, trovo molto più razionale affrontare il tema discutendo del complesso dei sistemi d'arma di cui il Ministero della difesa è chiamato a essere discrimine. Infatti, dobbiamo avere uno strumento militare bilanciato e che deve tener conto di tutti gli elementi.
  Tuttavia, siccome volete qualche cifra, per rispondere all'onorevole Corda, vorrei dire che – buono o cattivo che sia – il sistema d'arma di gran lunga più utilizzato nella storia recente dalla Repubblica sono gli F-35, o meglio i loro predecessori storici (il sistema d'arma analogo, ancorché non aggiornato), ovvero i Tornando e gli AMX; in sostanza i cacciabombardieri. Questi – ripeto – sono stati utilizzati più di ogni altro nostro strumento militare da quando siamo coinvolti nelle missioni internazionali di pace. Infatti, se facciamo la somma delle ore di volo, delle missioni, delle sortite e di quanto hanno operato, a partire da Kuwait 1991, abbiamo una chiara rappresentazione della realtà. Questi, peraltro, non sono dati che deve fornirvi il Ministero della difesa perché da oltre 15 anni sono pubblicati nelle riviste specializzate.
  Dobbiamo pensare che siamo stati fuori dalla Costituzione per tutti questi anni ? Che sono imputabili i Presidenti della Repubblica che hanno dato il via libera alle missioni precedenti e a quelle di cui dobbiamo ancora discutere ? O piuttosto dobbiamo pensare che il giudizio di valore dato sull'interpretazione dell'articolo 11 della Costituzione del capitolo VII della Carta dell'ONU e dell'articolo 42 del Trattato di Lisbona tratteggiano i fattori di un modello di difesa che concepisce l'intervento di polizia internazionale, fatto dalla comunità internazionale sulla base del diritto internazionale e delle costituzioni vigenti in ognuno dei Paesi che afferiscono al sistema, come elemento sufficiente per esercitare per l'appunto quelle azioni ?
  Se non fosse così, entreremmo in contraddizione con noi stessi. Ovviamente, siamo liberi di farlo perché anche su questo è sovrano il Parlamento, ma è una rivisitazione della storia che non darebbe ragione di quello che i partiti democratici del nostro Paese hanno garantito negli ultimi trent'anni e ben prima. Ricordiamoci, infatti, che tanti anni fa siamo andati in Congo e in Corea, sulla base del dettato dal mandato internazionale. Peraltro, in Corea torneremo nei prossimi giorni per celebrare i 60 anni dell'armistizio di quella guerra che ha visto il primo impiego delle truppe italiane in una missione internazionale sotto mandato ONU dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
  Per essere ancora più preciso, i dati cui avete fatto riferimento sono già pienamente disponibili sul sito del Ministero della difesa nella forma di una lunga e completa intervista del generale Esposito, direttore di Armaereo, ossia l'uomo che fisicamente attende allo sviluppo dei contratti. Difatti, non ci è mai passato per la mente di non essere pienamente trasparenti su questo tema.
  Oltre a questo, è chiaro che, affinché l'indagine conoscitiva possa potenziare la nostra visione di un modello di difesa, torno a mettere in evidenza il fatto che, per le ragioni che ho spiegato poco fa, andare su ogni singola vite, o bullone, o aereo è legittimo nel momento in cui si immagina di dare un giudizio sulle ragioni per le quali si è consentito il dispiegarsi di un programma, nel suo articolarsi comprensivo. Questo programma ha disegnato un percorso di 25-50 anni, ma nello stesso tempo si è già ridotto perché è passato da 150 a 131 e, poi, a 90.Pag. 25
  Pertanto, sulla base delle conclusioni che la Commissione vorrà trarre attraverso l'indagine conoscitiva, tutti i passi che verranno fatti in futuro devono essere sempre pensati nel dispiegarsi delle risposte che vanno date all'interrogativo dell'onorevole Corda, la quale con molta sagacia ha suggerito che dobbiamo sempre chiederci quali saranno i sistemi più utilizzati. Quali possono essere, però, i sistemi più utilizzati se non, razionalmente, quelli che abbiamo utilizzato più di ogni altro ? Verosimilmente, quelli che utilizzeremo di più sono anche quelli che abbiamo più utilizzato fino ad ora.
  L'eventualità di uno scenario complessivo che trasformi il Mediterraneo in una sede di scontri navali oggi imperscrutabili – cosa che non mi auguro – può essere un criterio razionale con cui ci si avvicina a una valutazione. Ecco, credo che queste valutazioni di puro realismo siano legate a visioni politiche e geostrategiche che ci devono far comprendere cosa si cela dietro alle tensioni dell'area euro-mediterranea e quali sono i punti interrogativi.
  Ovviamente, la linea maestra è che tutti gli interventi vengano vissuti in una logica di pace. Ritorno su quanto si è detto che, anche in termini di facile ironia, mi ha trasformato in «mister F-35». Tuttavia, lo scopo di forti sistemi di difesa all'interno di società evolute e di democrazie garantiste è l'utilizzo della deterrenza per costruire le condizioni della pace.
  Noi stiamo vivendo dei momenti della storia molto particolari perché facciamo contenimento dei conflitti e attraverso questo prepariamo le condizioni della pace. Invece, fino a settant'anni fa il contenimento dei conflitti non si riusciva a fare; non era neanche contemplato perché non c'erano le condizioni di disparità e di deterrenza tali da permettere a un soggetto di dire «se non fate i buoni interveniamo». Questa nuova condizione è frutto anche delle tecnologie. Questo è un dato evidente, per cui su questa base la deterrenza – che ha molte opportunità, anche di natura diplomatico-politica – deve articolare e gestire tutte queste leve per poter produrre le condizioni della pace. In questo senso, stando sempre al merito, le risposte che diamo per mettere a punto una strategia congrua per l'acquisizione di sistemi d'arma passano attraverso il vaglio necessario del Parlamento.
  Le precisazioni che ha fatto il Ministro sono perché i passaggi siano nei tempi e nei modi dovuti per evitare che ognuno, nel pieno rispetto delle proprie prerogative, possa pensare di esacerbare un rapporto di leale collaborazione con una modalità fatta di continui approfondimenti vissuti come fine a se stessi, quasi con un significato ostativo, e non piuttosto come legittimazione di una volontà politica democratica, che è l'unico riferimento assoluto che dobbiamo tener presente nella definizione di chi realmente ha il potere di istruire una procedura di acquisizione di un sistema d'arma.
  D'altra parte, è la democrazia che ha realmente la capacità di gestire l'essere buono o cattivo di quel sistema. Quindi, nel momento in cui arriviamo, dopo il processo complesso che ho definito ad assumere una decisione, la certezza è rinsaldata dal fatto che la decisione della leva di comando sull'utilizzo di quello strumento d'arma è affidata al Parlamento, quindi alla democrazia. È – ripeto – nelle piene mani di una democrazia partecipativa come quella in cui viviamo, che è la condizione necessaria e indispensabile perché il tutto si svolga secondo le regole.
  Concludo rispondendo alla domanda dell'onorevole Villecco Calipari sul Segretariato generale della Difesa. Come potrete rilevare anche nei decreti attuati della riforma dello strumento militare, l'architettura di tale struttura segue in pienezza l'assunto che era stato già della «riforma Andreatta». Infatti, il Segretario generale della difesa risponde per le parti che attengono alla sua specificità direttamente al Ministro della difesa e, per la parte, che richiede l'aspetto dei requisiti operativi al Pag. 26Capo di stato maggiore della difesa. Tale architettura è, dunque, pienamente confermata.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro che anche con la Sua replica ha consentito alla Commissione di chiarire il quadro di riferimento all'interno del quale svolgeremo i nostri lavori. Le posso assicurare che è intendimento di tutti i membri della Commissione – dei colleghi che sono intervenuti, di quelli che hanno partecipato alla seduta odierna e di quelli che parteciperanno alle altre sedute – fare in modo che sia mantenuto uno spirito di leale collaborazione, costruttivo e attivo, fra Governo e Parlamento, nel rispetto delle reciproche competenze.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.10.