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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 9 di Venerdì 18 ottobre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vito Elio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUI SISTEMI D'ARMA DESTINATI ALLA DIFESA IN VISTA DEL CONSIGLIO EUROPEO DI DICEMBRE 2013

Audizione di rappresentanti di Fincantieri.
Vito Elio , Presidente ... 3 
Bono Giuseppe , Amministratore delegato di Fincantieri ... 3 
Vito Elio , Presidente ... 8 
Villecco Calipari Rosa Maria (PD)  ... 8 
Rossi Domenico (SCpI)  ... 9 
Bernini Paolo (M5S)  ... 10 
Garofani Francesco Saverio (PD)  ... 10 
Rizzo Gianluca (M5S)  ... 10 
Vito Elio , Presidente ... 11 
Bono Giuseppe , Amministratore delegato di Fincantieri ... 11 
Rossi Domenico (SCpI)  ... 12 
Bono Giuseppe , Amministratore delegato di Fincantieri ... 12 
Rossi Domenico (SCpI)  ... 12 
Bono Giuseppe , Amministratore delegato di Fincantieri ... 12 
Bernini Paolo (M5S)  ... 13 
Bono Giuseppe , Amministratore delegato di Fincantieri ... 13 
Petrone Vincenzo , Presidente di Fincantieri ... 15 
Vito Elio , Presidente ... 16 

ALLEGATO: Documentazione presentata dal dottor Giuseppe Bono, Amministratore delegato di Fincantieri ... 17

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ELIO VITO

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata oltre che attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, anche mediante la trasmissione sul canale satellitare della Camera dei deputati e la diretta televisiva sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Fincantieri.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui sistemi d'arma destinati alla difesa in vista del Consiglio europeo di dicembre 2013, l'audizione di rappresentanti di Fincantieri.
  Ringrazio il dottor Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, per la disponibilità a prendere parte ai lavori della Commissione nell'ambito di quest'indagine conoscitiva. Saluto e do il benvenuto, altresì, all'ambasciatore Vincenzo Petrone, presidente di Fincantieri, al dottor Marcello Sorrentino, direttore per le relazioni istituzionali, e al dottor Antonio Autorino, responsabile dell'ufficio stampa.
  Segnalo ai colleghi che, dopo l'intervento del dottor Bono, potrà avere luogo un primo ciclo di domande, cui seguirà la replica del nostro ospite e, quindi, un eventuale secondo ciclo di interventi e quesiti.
  Avverto che gli auditi hanno anche presentato della documentazione che sarà acquisita agli atti della Commissione e di cui autorizza la pubblicazione, allegata al resoconto stenografico dell'audizione (vedi allegato) che credo sarà adesso oggetto dell'illustrazione del dottor Bono, al quale cedo volentieri la parola ringraziandolo ancora per la cortesia dimostrata.

  GIUSEPPE BONO, Amministratore delegato di Fincantieri. Ringrazio, anzitutto, per l'invito a presenziare a questa seduta della Commissione. Vorrei iniziare ricordando le decisioni che deve prendere il Consiglio europeo di dicembre sulla difesa, incentrato sostanzialmente sull'aumento dell'efficacia, visibilità e impatto dalla politica di sicurezza e difesa comune e sviluppo della capacità di difesa europea e sul rafforzamento dell'industria europea della difesa.
  Il primo filone è quello di rilanciare l'idea di una difesa europea, elaborare una strategia di sicurezza marittima e dedicare maggiore attenzione al controllo delle frontiere negli Stati terzi di nostro interesse strategico in funzione delle problematiche migratorie.
  Ovviamente, il Consiglio europeo dovrà dibattere anche altri temi. In questo quadro, comincerei a illustrare la posizione di Fincantieri nel suo ambito nazionale e internazionale, fornendo un'informativa, anche spinto da un moto di soddisfazione per avere un'industria al momento posseduta totalmente dallo Stato. In un momento di grave crisi, anche Fincantieri presenta molti problemi, ma comunque rimane in essere e va avanti per conto proprio.
  Fincantieri è oggi il quarto costruttore al mondo: i primi tre sono tutti i coreani. Siamo, però, il primo costruttore al mondo Pag. 4se guardiamo alla tipologia di prodotti che realizziamo, ossia prodotti della fascia alta del cluster cantieristico mondiale (navi da crociera, militari, per l’off-shore – quindi per tutta la catena dell'estrazione petrolifera, non petroliere – mega yacht e una serie di prodotti ad alto livello tecnologico).
  Questa scelta ormai data vent'anni. Se non fosse stata fatta questa scelta, oggi probabilmente Fincantieri non ci sarebbe. Come anticipavo, infatti, i primi tre produttori sono coreani, molto più forti e realizzano navi normali, quelle che in gergo si definiscono standard, petroliere, gasiere, che sono poi la maggior parte delle navi costruite nel mondo.
  Tanto per fornire un'idea, negli anni Ottanta, la cantieristica europea occupava il primo posto al mondo con circa il 40 per cento di mercato. Oggi è al 4 per cento. Sono rimaste queste nicchie importanti nel militare e nella costruzione di navi da crociera. Nei nostri uffici di progettazione, ci sono circa 1.500 tra ingegneri e tecnici. Probabilmente, siamo la società cantieristica al mondo col maggior numero di tecnici e ingegneri.
  Vantiamo una presenza globale. Di fatto, il nostro network produttivo, con le nostre aziende controllate, vede 21 cantieri in 3 continenti, circa 20.000 dipendenti diretti e, sostanzialmente, l'accesso a tutti i mercati anche a elevato potenziale di sviluppo. Inoltre, alcuni di questi mercati sono ad altissimo potenziale di sviluppo, ma in questo momento con grandi problemi nell'impiantare un'attività industriale perché si tratta di Paesi che ancora non hanno sviluppato tale attività.
  Ci piace ricordare che la nostra attività offre risultati economici finanziari positivi che riteniamo di tutto rispetto. Il nostro fatturato in tutto il mondo ammonta a circa 4 miliardi di euro con una redditività del margine medio del 9 per cento.
  Tra il 2002 e il 2012 abbiamo preso ordini – la maggior parte della nostra produzione è rivolta all'esportazione – per circa 26 miliardi di euro, di cui circa il 70-80 per cento dedicato all'esportazione. In tutto questo periodo, abbiamo maturato utili per circa 458 milioni di euro che si sono ridotti a 258 milioni perché abbiamo pagato la ristrutturazione negli anni 2009, 2010 e 2011, quando, scoppiata la crisi, abbiamo ristrutturato l'azienda con interventi anche sul piano del personale e della struttura aziendale.
  Nel 2012 e all'inizio del 2013, abbiamo perfezionato un'operazione di acquisizione di una delle più importanti società operanti nell’off-shore, una società norvegese con 1 miliardo e 600 milioni di euro fatturato all'anno, che concorre a quei 21 cantieri che abbiamo nel mondo, di cui 9 cantieri in Norvegia, Romania, Vietnam e Brasile. La società è quotata alla borsa di Singapore. Abbiamo acquistato tale società dal gruppo coreano che nel 2008 l'aveva acquisita in Europa e che poi è entrato in crisi. Ci piace, quindi, anche sottolineare che abbiamo riportato in Europa una società molto importante, la prima società al mondo nel settore dell’off-shore. Dobbiamo immaginare per un attimo una piattaforma petrolifera in mezzo al mare: ebbene, questa società fa navi da lavoro. Senza questi tipo di navi, e senza una serie di grandi e tecnologicamente importanti impianti su queste navi, che aiutano a estrarre il petrolio, le piattaforme non potrebbero operare.
  Abbiamo preso il 55,63 per cento della società, pagandolo circa 500 milioni di euro, completamente con mezzi di Fincantieri, senza interventi dell'azionista o di banche.
  In Italia, abbiamo 8 cantieri, dislocati a Monfalcone, vicino a Trieste, Marghera, vicino a Venezia, in Liguria – Sestri Ponente, Sestri Levante, Riva Trigoso e Muggiano – Castellammare di Stabia, Ancona e Palermo, zone importanti dal punto di vista industriale, che presentano situazioni di sviluppo industriale meno intenso e che, quindi, richiedono e hanno richiesto anche da parte nostra uno sforzo maggiore.
  La parte nel Nord-Est è maggiormente dedicata alle attività che definiamo mercantili, ossia tutte le navi da crociera; la parte a Ovest, quindi in Liguria, è dedicata in parte anche ad attività mercantile, ma soprattutto all'attività di costruzione di Pag. 5navi militari. Anche a Trieste è concentrata l'attività di progettazione del settore mercantile, mentre a Genova la progettazione dell'attività militare.
  Siamo in tutto, in Italia, 8.100 persone. Una nostra ristrutturazione ha comportato esuberi per circa 1.800 persone: al momento, sono uscite dall'azienda un migliaio di persone senza licenziamenti. Abbiamo, infatti, utilizzato gli ammortizzatori sociali, le incentivazioni, i piazzamenti all'esterno, gli aiuti a intraprendere attività o a trovare altro lavoro. Abbiamo, cioè, gestito in modo da non danneggiare i dipendenti, ma anche perché si salvasse l'azienda, come era giusto a causa del calo del mercato. Va tenuto presente che, dopo la crisi, le navi da crociera, che rappresentavano l'80 per cento della nostra attività, sono state decimate dal mercato: la domanda si è ridotta, infatti, del 50 per cento, per cui siamo a metà della produzione rispetto a prima.
  Riteniamo di avere anche meritato un'attenzione particolare nella cantieristica. Anzitutto, siamo diventati il terzo gruppo meccanico nazionale non in crisi. Se Governo e Parlamento decideranno in tal senso, in una visione strategica di breve e medio, ma soprattutto di lungo periodo, penso che potremo rappresentare una parte importante nella strategia geopolitica del Paese.
  L'industria della difesa nei Paesi più sviluppati – per come noi li conosciamo, dal momento che sembra che adesso il PIL non valga più e valgano invece altri parametri – è considerata un motore di sviluppo. Mette, infatti, in campo molta tecnologia e capacità tecnologiche, muove l'economia con un indotto molto ampio e qualificato.
  Nell'ambito dell'industria della difesa, la cantieristica è quella che muove di più. D'altra parte quando noi andavamo all'università si studiava l'economia keynesiana, secondo cui lo Stato deve intervenire in certi momenti per spingere, e una delle risorse principali che allora era stata individuata era il cantiere, ovviamente non solo quello che realizzava navi, ma anche quello, ad esempio, dell'edilizia. Il cantiere di per se stesso muove. Nei migliori anni, consumavamo 120-130.000 tonnellate di acciaio, quindi una grande acciaieria lavorava solo per noi e, oggi, continua a farlo.
  Abbiamo fatto fare uno studio apposito su ciò che sto per illustrare per non risultare di parte: ogni euro investito nella cantieristica produce un valore pari a 3,4 euro, a beneficio soprattutto del territorio di insediamento. Dove siamo noi, il network produttivo dei subfornitori, dei subcontrattisti è fondamentale per lo sviluppo di quei territori.
  Ovviamente, la maggior parte del nostro network è composto da piccole e medie aziende. Riteniamo che la nostra presenza a Monfalcone e a Marghera sia stata e rappresenti tuttora un momento di grande sviluppo per il cosiddetto miracolo del Nord-Est. Inoltre, senza la cantieristica, la Liguria sarebbe sicuramente in una situazione di deindustrializzazione molto più avanzata.
  Per ogni addetto direttamente impiegato nei cantieri, all'esterno ce ne sono altri cinque, distribuiti su una filiera industriale, correlata a una filiera economica che attiva dei consumi da parte delle famiglie e dei lavoratori. In altre parole, gli 8.100 addetti diretti Fincantieri attivano in Italia altri 40.000 posti di lavoro. Questa è la nostra stima.
  La maggior parte della costruzione della nave avviene in Italia. Con le navi da crociera adesso siamo arrivati anche 5-600 milioni di euro. Gli investitori sono tutti stranieri e sono i più grandi investitori in Italia, per un prodotto che è costruito prevalentemente in Italia. Il 95 per cento del valore della nave resta nel nostro Paese: questo credo che sia uno degli aspetti più importanti. Molto spesso si parla, infatti, di grandi investimenti, spesso per l'economia del Paese più di prestigio che di effettiva ricaduta industriale.
  Procedo rapidamente, limitandomi agli aspetti più importanti. Il nostro modello produttivo prevede che, sul valore della nave, noi concorriamo solo per il 25 per cento; il 75 per cento proviene, sostanzialmente, Pag. 6da fornitori esterni. Sia la nave da crociera sia quella militare rappresentano un sistema, con motori e impianti di tutti i tipi. Su una nave da crociera c’è l'inceneritore per i rifiuti, l'impianto che produce e desalinizza l'acqua per le 5.000 persone a bordo, cucine di spaventosa grandezza, marmi, sedie, poltrone. Siamo i più grandi costruttori di teatri al mondo perché ogni nave da crociera ne ha uno. Negli anni d'oro, ne abbiamo realizzate anche 4 all'anno con teatri da 800 posti.
  Questa nostra presenza importante sul territorio richiede, ovviamente, anche da parte nostra uno sforzo organizzativo altrettanto importante. Pensate a quanto è difficile non solo progettare e costruire, ma fare andare d'accordo, in termini un po’ più semplici o semplicistici, le migliaia di lavoratori anche esterni che vengono a lavorare sulla nave che, per quanto grande, resta uno spazio ristretto. Spesso, nei nostri cantieri vengono molto più persone dall'esterno di quante non siano quelle interne. Si tratta, quindi, di uno sforzo organizzativo enorme: infatti, l'industria cantieristica è sicuramente tra le più complesse al mondo.
  Ora abbiamo anche pensato che dovevamo legare a noi tutta questa filiera e sviluppare, evolvere prodotti e tecnologie. Con gli enti locali e con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbiamo promosso dei distretti naval-meccanici a Trieste, in Liguria, a Palermo, nelle zone dove pensiamo possa essere più importante lo sviluppo dell'azienda.
  Il nostro cantiere più giovane è quello di Monfalcone, che ha compiuto cent'anni nel 2008; con riguardo al cantiere di Castellammare di Stabia c’è un dipinto del 1783 che raffigura un varo: questo cantiere, quindi, è anteriore alla Rivoluzione francese.
  Se quel cantiere o altri nostri cantieri hanno più di cent'anni, io sento la responsabilità, tutti dovremmo sentire la responsabilità, che per altri cento chi verrà dopo di noi possa ritrovarseli.
  Veniamo ai temi del Consiglio europeo. Vorrei fare un discorso sull'Italia e sulla sua posizione geografica. Noi siamo nel Mediterraneo. Quando si parla della sicurezza in quest'area, ormai si parla di un Mediterraneo allargato, che va dal Golfo Persico e arriva anche all'Africa, al Mozambico, alla Nigeria, all'Angola. Sapete dei giacimenti dell'ENI trovati in quelle zone.
  Per il 2020, si stima un potenziale di popolazione di Paesi che si affacciano sul Mediterraneo di 525 milioni, non solo europei, ma di tutta l'Africa e l'Asia. Sapete cosa vuol dire avere di fronte Paesi che in questo momento presentano problemi di stabilità politica, che poi riguardano anche noi, se non altro perché arrivano imbarcazioni con persone a bordo che vanno alla ricerca di una vita migliore.
  Per il Mediterraneo passa il 19 per cento dei traffici mondiali e il 30 per cento di quelli petroliferi, quindi dell'energia mondiale. Sotto il profilo turistico, nel 2012, le navi da crociera nell'area erano 168, con una capacità di 221.000 letti e un potenziale di trasporto di passeggeri di 3,78 milioni distribuiti su un'offerta di 2.650 crociere di durata media di una settimana.
  Molte, se non quasi tutte, ma in ogni caso la buona parte di queste 168 navi da crociera passa dall'Italia, con i portati di ricchezza che ne conseguono dal momento che nel Mediterraneo l'Italia è il punto più importante.
  Lo vediamo dallo sviluppo dei porti: Civitavecchia è diventato uno dei più importanti porti italiani, nato e sviluppatosi soprattutto con le crociere, perché è il porto di Roma. Per Venezia, a proposito della quale conoscete tutte le polemiche, sicuramente non c’è nave da crociera che viene dal Mediterraneo che non voglia transitarvi, perché i passeggeri vogliono andare a Venezia. Ci sono, poi, Napoli, Palermo, Livorno perché vicina a Firenze e Genova. Questo è il modo in cui si distribuisce il turismo delle navi da crociera. Tornerò sugli altri traffici perché, a mio avviso, è importante anche questa riflessione.
  Il valore dell'interscambio marittimo dell'Italia ammonta a oltre 241 miliardi di Pag. 7euro all'anno e pesa per il 15,4 per cento del PIL. Tra le principali modalità di trasporto – non potrebbe essere che così perché siamo una penisola in mezzo al mare – l'interscambio marittimo rappresenta il 31,3 per cento del totale degli scambi dell'Italia con l'estero. Se consideriamo, infatti, che il nostro interscambio principale è con il resto d'Europa, e quindi procede su gomma verso la Germania, la Francia e tutto il nord Europa, tutto il resto passa attraverso il mare.
  Da questo punto di vista, sarebbe utile la considerazione che l'Italia è di fatto una piattaforma logistica nel Mediterraneo e che con il recupero, l'esplosione delle economie dell'Estremo Oriente, il Mediterraneo – dopo 500 anni dalla scoperta dell'America – ha riacquistato una centralità nei traffici. Forse abbiamo perso un po’ il treno. Non so se ancora facciamo in tempo, ma dovremmo incrementare ed essere la piattaforma logistica dell'Europa.
  Pochi sanno che molte delle merci che provengono dall'Oriente, anziché essere attratte dai porti italiani, finiscono in Olanda, a Rotterdam, ad Amsterdam, in Germania, ad Amburgo, e poi da lì – magari dopo essere stati assemblati – ci arrivano i prodotti attraverso i camion. Credo che su questa bisognerebbe riflettere.
  Penso che non sia stata negli anni affrontata una politica sui porti. Abbiamo lasciato i nostri 28 porti a farsi la guerra piuttosto che concentrarci su pochi porti importanti che possano fare da distributori verso l'Europa. La sede della società è a Trieste e mi viene da piangere quando penso che Trieste, a suo tempo, era il porto dell'Impero asburgico mentre oggi non è porto di niente e, anzi, fa la guerra con Venezia, Monfalcone e Capodistria, lì a due passi, che non fa la guerra con nessuno e sta diventando più importante dei nostri porti.
  Direi che questo è fondamentale per lo sviluppo del Paese. Uno dei driver di sviluppo su cui, a mio avviso, bisognerebbe insistere nel prossimo periodo è il cluster marittimo, ossia l'Italia deve diventare la piattaforma logistica non solo per se stessa, ma per l'Europa. Conoscete il problema dei camion, dell'inquinamento, delle strade. Credo, quindi, che il Paese debba compiere questo sforzo, che vuol dire anche avere la voglia, la capacità e l'orgoglio di affermare che il Mediterraneo è il nostro mare e che vogliamo presidiarlo.
  Ovviamente, questo discorso mi porta a dire che, non per ragioni di bandiera in quanto rappresento la Fincantieri, se l'industria militare è un driver di sviluppo, se vogliamo diventare una piattaforma logistica, se abbiamo certi problemi, se i Paesi di fronte all'Italia hanno i loro, l'Italia deve fronteggiare tutto questo con un presidio del Mediterraneo molto più forte di quello attuale. Deve, dunque, dotarsi di una Marina che possa assolvere a tutti questi compiti.
  Cito un esempio semplicissimo. Sono arrivato a Fincantieri nel 2002; negli anni Novanta gli ordini italiani per navi alla Fincantieri sono stati per 4 miliardi e 520 milioni di euro, quindi una media di 450 milioni all'anno. Nei dieci anni in cui ci sono stato io, gli ordini sono stati per 2 miliardi e 400 milioni, circa la metà: abbiamo avuto una media di 240 milioni all'anno e il resto lo abbiamo fatto con le mani nostre.
  Oggi esiste un programma e un'esigenza rappresentata dalla Marina italiana, che sembra all'attenzione del Governo: auspichiamo fortemente che di quest'esigenza si tenga conto, ovviamente nei limiti dei bilanci dello Stato, ma rivendichiamo, per tutto quanto ho illustrato, un'attenzione particolare. Non ci siamo mai sottratti al compito di rendere la nostra azienda importante nel mondo, molto spesso contro tutto e tutti, difendendola con determinazione pur non essendo nostra, più che se fosse stata nostra.
  In questi anni, ho assistito a tanti contrasti, ma abbiamo portato l'azienda a un livello che oggi ci invidiano in tutto il mondo. Sono stato recentemente in Oriente e con soddisfazione posso affermare che una delle tre o quattro «F» che ancora rimangono al Paese, il fashion, la Ferrari e un po’ il food, c’è la Fincantieri.Pag. 8
  Ho descritto tutto quello che abbiamo fatto e quello che ancora, a mio avviso, potremo e dovremo fare. Dico, con l'orgoglio che dovremmo avere, che abbiamo comprato dei cantieri negli Stati Uniti che lavorano per la Marina militare americana. Si parla sempre degli Stati Uniti come del Paese più avanzato al mondo: noi abbiamo dovuto mandare nostri uomini per rimettere a posto quei cantieri e, bypassando le ferree leggi americane sulla sicurezza per le industrie che lavorano per la Difesa, hanno riconosciuto che il nostro apporto dal punto di vista tecnologico è stato necessario per realizzare dei prodotti innovativi di grande valenza.
  Stiamo realizzando, in America, navi che vanno oltre i 40 nodi. Abbiamo mandato i nostri uomini, che sono in posizione di responsabilità e questo ci è riconosciuto. Ogni tanto dovremmo riconoscerlo anche nel nostro Paese. Non basta sentirci dire continuamente a Genova, Marghera, Castellammare che dobbiamo portare le nostre navi. Le abbiamo portate.
  Adesso serve un salto di qualità su una delle poche industrie che ancora può essere vivace e vitale per lo sviluppo del Paese. Dobbiamo andare incontro anche alle esigenze dell'Europa. Rivendichiamo sempre l'Europa: offriamo anche noi qualcosa alla politica europea da quanto possiamo e dobbiamo fare.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Bono per l'ampia illustrazione sull'attività e le prospettive di Fincantieri.
  Naturalmente, il materiale consegnato alla Presidenza sarà acquisito agli atti della Commissione e delle indagini conoscitive. In ogni caso, sarà messo anche a disposizione dei colleghi presenti, che ringrazio per la loro partecipazione.
  Vi sono già alcune richieste di intervento da parte dei colleghi, a partire dall'onorevole Villecco Calipari, vicepresidente della Commissione difesa.

  ROSA MARIA VILLECCO CALIPARI. Ringrazio il dottor Bono perché devo ammettere che ci ha fatto conoscere ciò che avevo sempre letto sui giornali. Di altri argomenti avevo sentito in settori di cui mi occupo relativamente alla sicurezza, ma sul piano della conoscenza più complessiva della qualità del vostro lavoro, oggi ha offerto una panoramica molto interessante per due ordini di motivi.
  Il primo è che Lei credo abbia messo al centro quello che io definisco – ma è un problema, in questo Paese, ancora definirlo in maniera condivisa e complessiva – il concetto di interesse nazionale. A mio avviso, Fincantieri lo rappresenta anche per le sue ultime osservazioni.
  Finalmente, siamo noi a portare anche in altri Paesi la nostra tecnologia, i nostri ingegneri, la qualità professionale di un'industria, tra l'altro pubblica. Credo, quindi, che questo sia sicuramente un punto che dovrà essere considerato da noi parlamentari, per quello che diremo o potremo contribuire a dire rispetto alla posizione che il nostro Governo dovrà avere nei due Consigli europei.
  Lei, infatti, ha toccato anche il tema dell'immigrazione, che sarà discusso nel Consiglio del 25 e 26 ottobre: si tratta di una prima questione rilevante anche per l'operazione messa in piedi dal Governo in relazione alle imbarcazioni che trasportano i cittadini che fuggono dai Paesi del Sahel, dell'Africa, o comunque da Paesi fortemente instabili come la Siria. È un tema che non può essere soltanto italiano, ma sicuramente deve investire l'Europa. Ovviamente, in quel senso, ritengo che ci siano spazi anche per quanto riguarda la nostra cantieristica.
  Oggi siamo, però, qui perché vogliamo ascoltarvi nell'ambito di un'indagine conoscitiva fortemente voluta da tutti i componenti della Commissione, proposta tra l'altro dal Partito Democratico, di cui faccio parte, e relativa alla questione di sistemi d'arma.
  Nel Suo intervento, ha fatto riferimento ai vincoli imposti dal bilancio di uno Stato, quindi dalle risorse e dalle priorità che la politica si dà nel momento in cui deve decidere dove investire quel poco di risorse disponibili anche in considerazione del disagio dei cittadini in questa fase di crisi che perdura da molto tempo.Pag. 9
  In relazione alla Difesa e alla questione della Marina militare, abbiamo di fronte un pacchetto molto ampio di progetti. L'indagine conoscitiva verte non su uno o due progetti della Difesa, ma su molti di più. Ritengo che potrebbe essere un forte contributo di questa Commissione la loro razionalizzazione, puntando a tagliare progetti inutili sia dal punto di vista del concetto che ci siamo dati, ossia dell'interesse nazionale che possiamo tutelare in funzione di quelle scarse risorse, sia per quanto attiene a una visione strategica non solo dal punto di vista della sicurezza, ma proprio anche della nostra rilevanza internazionale come Paese nel complesso.
  Su queste due direttrici, dobbiamo renderci conto che da voi possiamo capire un punto importante: se l'Ammiraglio De Giorgi chiede un supporto maggiore per la Marina militare, ritenendolo un elemento strategico – ne condivido l'impostazione – d'altro canto, però, abbiamo impegni che pesano altrettanto in qualità di progetti di sistemi d'arma all'interno del pacchetto generale, come ad esempio il NEC e l’F-35.
  L'altro ieri, Finmeccanica in audizione ci ha spiegato che l'EFA è qualitativamente il miglior risultato sul piano tecnologico che l'Italia potesse ottenere dallo sviluppo di un aereo di quarta generazione (non si sa, poi, se anche di quinta).
  Abbiamo una nave che può essere la piattaforma per gli F-35 B, quelli a decollo verticale. Dovremmo acquisirne trenta nei prossimi anni, se il pacchetto sarà di 90, di cui 60 per l'Aeronautica. La Cavour non può trasportare trenta F-35. Voi, che l'avete costruita, lo sapete. Quali problemi, innanzitutto, questa nave ha a portare gli F-35, se ne ha ? Ci sono state voci su questo. Vorrei capire di più.
  Quanto, eventualmente, è necessario spendere per mettere la Cavour in grado di supportare gli F-35 a decollo verticale ? Quanti aerei porta e, a questo punto, quante navi ci servono come portaerei per gli F-35 a decollo verticale ? Questo è un punto su cui si possono effettivamente fare delle valutazioni in relazione a quanto stiamo dibattendo in questa Commissione.

  DOMENICO ROSSI. Mi riallaccio all'intervento dell'onorevole Villecco Calipari, ma non so se il dubbio sia solo mio o anche di altri colleghi. Senza che il mio intervento voglia apparire critico nei confronti dei soggetti che citerò, è evidente che la Commissione – ecco perché mi riallaccio anche a quanto esposto dalla collega intervenuta prima di me – ha per vari motivi nel tempo svolto l'audizione di tre soggetti, ossia il Ministro della difesa, il Capo di stato maggiore della difesa e il Capo di stato maggiore della Marina, che ci hanno detto cose diverse.
  È necessaria, quindi, una riflessione. Al di là del fatto che il Ministro della difesa a cui mi riferisco era un Ammiraglio, ovvero l'Ammiraglio Di Paola, che il Capo di stato maggiore alla difesa è un Ammiraglio, ovvero l'Ammiraglio Binelli Mantelli, che Capo di stato di maggiore della Marina è un Ammiraglio, in due relazioni iniziali si è parlato di una trasformazione dello strumento impegnato sul riequilibrio delle risorse finanziarie, dal 70-10-20 per cento circa a uno strumento equilibrato, sul 50-25-25.
  Questo processo di trasformazione, mantenendo il bilancio della Difesa costante, riesce a ottenere delle Forze armate equilibrate, che possono variare i loro equipaggiamenti o sistemi d'arma in maniera che possano assolvere ai presumibili compiti nel breve e medio termine.
  Nel Documento sulle linee programmatiche della Marina militare, che volutamente ho consultato si legge: «entro il prossimo decennio, la Marina perderà la capacità di operare con continuità nella maggioranza delle missioni e di assolvere i compiti di istituto».
  Ci troviamo, se non altro, di fronte a dichiarazioni contrastanti. Da un lato, si dice che il bilancio della Difesa servirà e può servire anche per assolvere i compiti di tutte le Forze armate, dall'altra, che una Forza armata perde operatività.
  Vengo alla domanda, ovviamente incentrata sui sistemi d'arma, tema della nostra indagine conoscitiva. Fermo restando tutto quanto di positivo è stato fatto – mi associo all'onorevole Villecco Calipari e Le Pag. 10faccio anch'io i complimenti per i dati forniti nell'interessante relazione, osservando che anche da parte della Commissione c’è una grande sensibilità nei confronti di tutta l'industria cantieristica che può portare avanti discorsi di carattere nazionale in sede europea – e fermo restando quello che si potrà «giocare» nei Consigli europei e chi per noi può portare una voce o chi di noi stando all'interno di certe delegazioni lo farà, vorrei però capire, in una previsione a quindici anni, ossia della durata pari a quella del nuovo modello di difesa, in questo momento quali certezze ha Fincantieri in merito agli sviluppi della Marina militare italiana.
  Vorrei comprendere in questo momento – a voi serve anche un discorso di stabilità e di risorse per certi discorsi – quale sia la programmazione, se non pratica, almeno teorica, di Fincantieri da qui al 2025 per la Marina italiana, in maniera da mettere a sistema l'esistente con quello che dovrebbe esserci a bilancio attuale.
  Mi risulta, ancorché il provvedimento non sia ancora uscito, quindi parlo solo sul sentito dire, che nel disegno di legge di stabilità vi sia una norma che prevede uno stanziamento per il prossimo triennio a favore di programmi della Marina militare, forse incrementando i fondi del MISE. Questi, evidentemente, ricadono o dovrebbero ricadere su Fincantieri. Se la stessa notizia risulta a Fincantieri, La pregherei nella risposta di tenere conto anche eventualmente di questi fondi.

  PAOLO BERNINI. Ringrazio i nostri ospiti.
  La mia domanda verte sul programma d'acquisizione del sommergibile U-212. Poiché Fincantieri e ThyssenKrupp hanno il compito di costruire quattro sommergibili, due dei quali già finiti e varati in mare, vorrei sapere a che punto è la costruzione del terzo, che se non erro dovrebbe essere pronto nel 2017, e quale sarà il costo finale. Inoltre, vorrei sapere in che anno sarà pronto il quarto e quali costi di realizzazione dovrebbe avere. Infine, Le chiedo come procede la collaborazione industriale con la società russa Rubin per lo sviluppo del nuovo sottomarino S-1000 e quali sono le possibilità di mercato per questo sottomarino considerato che i russi hanno ridotto le spese per gli armamenti e non sono interessati ad acquistarlo ?

  FRANCESCO SAVERIO GAROFANI. Ringrazio il dottor Bono per l'ampiezza e la puntualità della sua relazione.
  Vorrei rivolgere tre domande particolarmente legate all'oggetto dalla nostra indagine, anche se il quadro è stato utilmente più ampio. La prima riguarda il rapporto tra industria e tecnologia civile e militare. Uno degli aspetti più interessanti è proprio questo aspetto duale che lega le due dimensioni e rende particolarmente importante e prezioso lo sviluppo di molti progetti.
  La seconda domanda riguarda il ruolo dell'industria navale italiana nell'orizzonte europeo. Lei ha affermato che siamo, al quarto posto nel mondo dopo le tre società coreane per l'intero settore. Infine, per quanto riguarda l'industria militare, qual è il nostro spazio in Europa e quali sono i potenziali mercati in tale contesto considerando il fatto che, almeno a quanto ci ha riportato l'Ammiraglio De Giorgi, assistiamo a circostanze abbastanza curiose, come Paesi del Nord Africa che si rivolgono per acquistare navi all'industria tedesca, così come, se non sbaglio, è successo anche con la Grecia ?
  È abbastanza paradossale che, godendo di questo vantaggio tecnologico e di questa dimensione industriale, che non ha nulla da invidiare ai nostri concorrenti, perdiamo delle occasioni dal punto di vista delle politiche del mercato.

  GIANLUCA RIZZO. Ringrazio il dottor Bono. La mia è una domanda breve e fa riferimento all'audizione dell'Ammiraglio De Giorgi che abbiamo svolto a maggio, nella quale ci ha riferito l'interesse della Marina militare per l'acquisto di dodici grandi pattugliatori dual use. Volevo sapere se la progettazione di queste navi è già stata avviata e se sono effettivamente una derivazione FREMM o di altri progetti, Pag. 11come quello delle corvette MOSAIC, o si tratta di sviluppare ex novo una nuova classe di navi ?

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola al dottor Bono per le risposte, ringrazio i colleghi intervenuti, ai quali ricordo, come a tutti, che le audizioni cui è stato fatto riferimento, anche quelle che si sono svolte nella fase di avvio dell'attività della nostra Commissione, sono comunque già acquisite agli atti dell'indagine conoscitiva. Proprio per la complessità e l'ampiezza del tema che stiamo trattando, infatti, l'Ufficio di presidenza ha ritenuto utile acquisirle e, pertanto, restano agli atti e, giustamente, i colleghi vi hanno fatto riferimento.
  Visto l'interesse che ha suscitato la Sua relazione, dottor Bono, Le do ora la parola per ascoltare, con analogo interesse, le risposte e i chiarimenti che vorrà fornirci.

  GIUSEPPE BONO, Amministratore delegato di Fincantieri. Onorevole vicepresidente Villecco Calipari, potrei sottrarmi facilmente a delle risposte, ma non lo farò. Sono nato in un piccolo paese della Calabria, sulle Serre. Sono calabrese e lo dico con orgoglio. Mi sono laureato a Messina, quindi sono anche mezzo siciliano. Per una strana vicenda della vita, credo di essere la persona che di più si sia occupata dell'industria della Difesa in Italia.
  Ho trascorso, infatti, una buona parte della mia attività professionale nel settore dell'industria della Difesa e la mia è, quindi, una conoscenza a 360 gradi. Lascio le riflessioni sugli aspetti di politica generale a quelli che l'hanno fatta. Personalmente, faccio quello che facevo anche un decennio fa, quando ero amministratore delegato di Finmeccanica e, quindi, avevo un panorama dell'industria Finmeccanica ristrutturata.
  Penso, anzitutto, che ognuno debba fare i suoi interessi. Prima vengono gli interessi del Paese, dell'Italia. Nell'interesse dell'Italia, bisogna vedere come il bilancio della Difesa si è sviluppato.
  Certo, l'EFA è stato un grande progetto europeo che ha dimostrato di unire industrie europee che hanno saputo sviluppare – non le dirò quanto è costato e quanto costa, non sta a me farlo – un grande sviluppo tecnologico, ma nell'ambito di un progetto comune. L'EFA non è venduto da un'industria: l'industria che partecipa all'EFA è inglese, tedesca italiana e spagnola, quindi nessuno di questi quattro Paesi da solo potrebbe vendere l'aereo. Lo fanno tutti e quattro insieme, per cui le tecnologie di questo prodotto sono ripartite nei Paesi che hanno contribuito.
  Se l'interesse è quello del Paese, mi permetterei di suggerire e di riprendere un po’ quanto illustravo a proposito della necessità di capire quali sono gli interessi che deve perseguire il Paese anche dal punto di vista geopolitico. Siamo nel Mediterraneo: tutti abbiamo studiato un po’ la storia e, fintanto che i romani vincevano a terra, non erano nessuno; hanno dovuto inventarsi marinai e, siccome all'inizio non lo erano tanto, hanno inventato i rostri per attaccare le navi cartaginesi. Questa è la storia.
  I grandi imperi sono nati tutti sul mare, come l'Inghilterra. Non dobbiamo certo diventare un impero, ma stiamo nel Mediterraneo, in un mare che ha opportunità di sviluppo notevoli per l'Italia se vogliamo perseguire una politica marittima importante. I Paesi che abbiamo di fronte sono instabili; esiste una pressione da parte di questi Paesi da sud. Pur non essendo questo il mio mestiere, poiché non faccio politica, geopolitica, né lo stratega di politica estera, ma mi pare semplice pensare che la nostra casa è il Mediterraneo e che in qualche modo dobbiamo presidiarla.
  Guarda caso, questo interesse geopolitico si sposa con un interesse anche industriale. Nel settore della Difesa non v’è dubbio, infatti, che abbiamo pochissime industrie capaci di sviluppare un prodotto completo. Una nave militare – parlo di Fincantieri – investe buona parte dell'industria di Finmeccanica, tutta la parte dei sistema di combattimento, elettronica e così via. Quando parliamo di una nave, dunque, parliamo delle due industrie insieme. Siamo in grado di realizzare un prodotto italiano, così come siamo in Pag. 12grado di realizzare gli elicotteri, che vanno anche sulle navi. Non voglio indicare la strada a nessuno, ma valutiamo quali sono i nostri interessi.
  In passato, a mio avviso – potrei anche non fare questa considerazione, ma ormai voglio togliermi certe piccole soddisfazioni – abbiamo fatto troppi investimenti a pioggia anziché concentrarci. Quando adesso parliamo della difesa europea, dovremmo avere il coraggio e l'orgoglio di sostenere che certe produzioni dovrebbero essere nostre, mentre altre dovrebbero essere fatte da altri Paesi. La Francia deve fare quello che sa. Ha un'industria aeronautica importante. Non so se riesco a rendere l'idea. Bisognerebbe cominciare a portare avanti questo discorso.
  Quando si parla di interessi geopolitici, e arriviamo anche alla domanda dell'onorevole Garofani sulle esportazioni, bisogna che abbiamo il coraggio di candidare il sistema italiano. Quando gli americani, i francesi o gli inglesi vendono certi prodotti a certi Paesi, promettono anche che, in caso di difficoltà, staranno al loro fianco. Il discorso è più complesso. Il discorso della Siria è semplice. È un Paese importante e delicato. I russi hanno dato loro le armi e lo difendono perché, anzitutto, hanno pagato le armi, poi però lo condizionano anche. Difatti, la posizione della Russia è fondamentale.
  Alla fine della seconda guerra mondiale non potevamo realizzare portaerei perché ciò fu vietato alla Germania e all'Italia. Alla Germania non è importato, ha pensato a fare i soldi e l'industria della difesa tedesca è abbastanza ridotta. Noi, invece, abbiamo costruito negli anni Ottanta la Garibaldi, chiamandola portaeromobile: portava gli elicotteri e degli aerei a decollo verticale.
  Quando è nato l’F-35, non si chiamava così, ma JSF, Joint Strike Fighter. Gli americani, le cui lotte tra le diverse forze armate sono molto più robuste di quanto non siano in Italia perché negli Stati Uniti i bilanci sono di volume assai consistente, volevano realizzare un aereo joint, che cioè servisse tutte le forze armate, quindi con molte esigenze.
  Una di queste – quella dei Marines – era di fare un aereo a decollo verticale. La Marina italiana, che aveva l’Harrier, decise di sostituirli, da quanto so, non però con 30, ma con 22, comunque non portati tutti perché vanno a squadriglia, a rotazione. Il Cavour, tanto bistrattato, è una delle più belle navi del mondo, invidiata da tutti perché non porta solo elicotteri o aerei, ma ha ospedali da campo, un bacino, è una nave multifunzionale, importante. Questo era il discorso degli F-35. In seguito, è venuta l'Aeronautica con le sue esigenze e poi dovrebbe venire il Paese con le sue. Più di questo non si può dire.
  Oggi, sul bilancio di Fincantieri, la Marina italiana incide per il 7 per cento. Abbiamo, come ricordava l'onorevole Bernini, in costruzione due sottomarini, e poi le FREMM, di cui la settima e l'ottava sono state contrattualizzate adesso. Resterebbe, entro il 2015, da contrattualizzare la nona e la decima e poi non abbiamo più niente. Se non parte questo programma, l'Ammiraglio De Giorgi vi ha già riferito che la Marina praticamente non ci sarà più.

  DOMENICO ROSSI. Scusi dottor Bono, se ho capito bene sono in costruzione due sottomarini e le FREMM.

  GIUSEPPE BONO, Amministratore delegato di Fincantieri. E basta. In questo momento, abbiamo solo i contratti di due sottomarini, della settima e dell'ottava FREMM e le altre FREMM che stiamo costruendo e che ancora non abbiamo consegnato.

  DOMENICO ROSSI. Ma le risorse previste dalla legge di stabilità sono già finalizzate a qualche altra costruzione.

  GIUSEPPE BONO, Amministratore delegato di Fincantieri. Dipende dalla legge di stabilità e dal Parlamento. Quanto alle nostre esigenze, oggi sono abbastanza contento di essere qui a esporle. Credo di essere anche abbastanza più chiaro di quanto non si sia certe volte in queste occasioni.Pag. 13
  I sottomarini sono una bella domanda. Ne consegneremo uno nel 2015 e un altro nel 2016. Mi pare che il costo di entrambi i sottomarini, ricordo a memoria, dovrebbe essere intorno agli 800 milioni di euro, con una forte riduzione rispetto ai primi due. Qui voglio fare una precisazione.
  Il programma era italo-tedesco, così come la tecnologia. Inoltre, questo sommergibile ha una caratteristica: escludendo quelli nucleari, è il più avanzato al mondo. Infatti, il sistema di propulsione funziona con le celle a combustibile. Ha anche la propulsione diesel elettrica, ma quando serve ha anche le celle a combustibile, realizzate con l'idrogeno e una tecnologia particolare. Noi siamo andati a New York per svolgere un'esercitazione e gli americani non sono stati in grado di individuare il sommergibile.
  Abbiamo dovuto intervenire su un aspetto importante, che abbiamo brevettato. Il sottomarino era sviluppato dai tedeschi secondo le loro esigenze, e quindi per i mari loro, dove i fondali sono bassi. Il sottomarino era progettato, dunque, per sopportare pressioni molto basse rispetto a quelle che doveva sopportare un nostro sottomarino nel Tirreno.
  Abbiamo dovuto modificarne, allora, la struttura dell'involucro, in modo che potesse sopportare pressioni molto più elevate. L'abbiamo anche brevettato. Al mondo, quindi, in questo momento per quel sottomarino, se dovesse essere venduto in Paesi dove il fondale è più basso, dovrebbero venire da noi o adottare altre tecnologie.
  Abbiamo sviluppato l’S-1000 con Rubin, uno dei più grandi centri di ricerca russi con una grande esperienza nei settore dei sottomarini. Tutta la produzione navale russa, come peraltro quella americana, è di grandi navi, grandi sottomarini, nucleare, tecnologia ormai superata. Continuano a realizzare queste grandi navi soprattutto gli americani, ma anche i russi. Una nostra fregata di 6.000 tonnellate dà loro la pista, tanto per capirci. Sono 12.000-13.000 tonnellate che devono presidiare altri mari, stare sull'oceano, risolvere altre esigenze.
  Stiamo adesso vedendo di risolvere da noi il problema della propulsione. Non avendo la tecnologia della propulsione a celle combustibili, questo in qualche modo impedisce o, perlomeno, ostacola la possibilità di vendita di questo sottomarino. Lo abbiamo sviluppato coi nostri soldi. Era un progetto russo, su cui abbiamo messo la nostra capacità tecnologica.
  Nella nostra storia abbiamo realizzato più di cento sottomarini. Il primo sottomarino realizzato in America è stato fatto in base a un progetto di Fincantieri Approfitto, peraltro, per invitare la Commissione nei nostri cantieri. Se venite a Muggiano, vicino a La Spezia, si trova lo statino di nostri tecnici che sono andati agli inizi del Novecento a Filadelfia per insegnare come si dovevano realizzare i sottomarini.
  Non so se avrà un mercato. Nel navale, non parliamo di grandi numeri. Non so quanti EFA abbia comprato l'Italia, ma per noi già dieci FREMM sono un numero importante. Noi, infatti, parliamo di piccoli numeri.
  In ogni caso, ci crediamo, sappiamo realizzare il sottomarino. Per questa tecnologia non sono riuscito a ricevere una lira. Anche di questo si tratta. Non ho voluto infierire, ma Fincantieri è una delle poche industrie italiane a non ricevere neanche una lira di contributi da parte dello Stato per la ricerca.

  PAOLO BERNINI. A che percentuale è il terzo sottomarino ? Il quarto deve essere già costruito o è in costruzione ?

  GIUSEPPE BONO, Amministratore delegato di Fincantieri. Sono tutti e due in costruzione. Ne consegniamo uno alla fine del 2015 e uno alla fine del 2016. Poi abbiamo finito. Speriamo, fino a quella data, di ripartire con un S-1000 nostro, che ci consenta ovviamente di esportarlo. Si tratta di un progetto tedesco e stiamo lavorando per cercare di sperimentare una tecnologia che consenta di avere anche la propulsione con le celle a combustibile.Pag. 14
  Onorevole Garofani, credo in parte di avere già risposto alle sue domande. Mi pare che per lei la questione importante fosse quella dell'esportazione civile e militare. Per noi, civile e militare sono una sola cosa. La nave è, innanzitutto, una piattaforma. Se ci montiamo un albergo, diventa una nave da crociera, coi ristoranti e via discorrendo; se il garage, diventa un traghetto; se il sistema di combattimento, diventa una nave militare; se gli impianti per aiutare l'estrazione petrolifera, diventa una nave dell’off-shore; se suppellettili di lusso, diventa un mega yacht e ne abbiamo realizzato uno di 134 metri, ne stiamo costruendo uno di 140. Potete immaginare cosa sia.
  Ovviamente, sto semplificando. La nave militare non è uguale a quella da crociera, ma la tecnologia di base è molto importante. In questo momento di scarico di lavoro sul militare, per esempio, i nostri ingegneri del militare stanno progettando una nave da crociera. Sono mezzi dinamici, c’è tutta la stabilità, i rumori, le vibrazioni, tutti aspetti che naturalmente sono travasati da una parte all'altra.
  Anche l'elicottero è una piattaforma, non può esserci un elicottero civile e uno militare. Di solito, le versioni sono civili e militari. Certo, un industria che produce treni non c'entra niente col militare, ma per le nostre industrie la base tecnologica è unica. Non tutti sono in grado di realizzarle.
  Naturalmente, l'industria militare si sviluppa sulla base dei programmi della sua nazione. Non v’è dubbio che in Europa l'Inghilterra abbia speso tanto, sviluppando un'industria militare. Lì è poi seguita una politica di deindustrializzazione. Anche la Francia spende tantissimo per la difesa e quindi ha un'industria militare molto più forte della nostra.
  Noi spendiamo meno e forse dovremmo concentrarci sul nostro interesse. Per il nostro tipo di industria, se dovessero chiedermi se posso fare a meno del militare, per come è strutturata Fincantieri, risponderei di no. In Francia, però, si fa molto più di noi per il militare, ma si fa solo quello. Fino a 4-5 anni fa, la DCN (Direction des Constructions Navales) era un arsenale, come quelli che c'erano da noi, solo che lì si costruiva e da noi no.
  Ognuno si sviluppa a seconda del suo modello storico. Gli otto cantieri presenti in Italia sono molto vecchi, ma se qualcuno ricorda la storia del nostro Paese, eravamo divisi in tanti piccolo Stati e ogni Stato voleva il suo arsenale. Qui si arriva all'altra Sua domanda sull'esportazione.
  Ovviamente, le navi si esportano verso Paesi che hanno il mare. Quelli evoluti, dispongono di tutta la cantieristica, per cui non esportiamo mai in Francia, in Germania, in Inghilterra. Dovremmo dire loro che disponiamo di una cantieristica evoluta e proporre, a livello europeo, di concentrare molto di più in Italia per questo aspetto e, magari, su altri settori in altri Paesi. Ho condotto battaglie all'epoca delle prime joint venture con l'industria europea per rivendicare che avevamo ristrutturato, che a quel punto toccava a qualcun altro. Diversamente, perdiamo sempre e non va bene.
  Abbiamo, per esempio, venduto alla Turchia il progetto per quattro pattugliatori. Con questa vendita, abbiamo venduto una parte di componenti e una parte di «assistenza» al cantiere di costruzione. Abbiamo dovuto adattarci perché la Turchia voleva costruirsele lì.
  Abbiamo venduto agli Emirati, invece, prodotti realizzati in Italia e speriamo che ci sia un seguito. In previsione di quello che possiamo fare da quelle parti, abbiamo creato una joint venture con un cantiere locale. Sta funzionando per tutta la parte di post-vendita sulle navi che abbiamo fornito. Tra l'altro, abbiamo realizzato, dopo la guerra, anche quattro pattugliatori per l'Iraq. La nostra manutenzione avviene negli Emirati.
  Quanto al Cavour, abbiamo con l'India un contratto per la progettazione dell'apparato motore e di tutto l'apparato di propulsione per la loro portaerei. Abbiamo consegnato la nostra tre anni fa, loro devono realizzarla. Abbiamo realizzato per loro due rifornitrici di squadra costruite in Italia. La situazione è variegata.Pag. 15
  Su Grecia e Algeria stenderei un velo pietoso. Con la Grecia non mi dispiace perché sapevo come sarebbe finita, tant’è vero che i tedeschi hanno litigato e sono in causa perché, per vendere i sottomarini, hanno dovuto comprare un cantiere lì. Col nostro accordo, siamo stati noi a costruire il sottomarino. Lì non avevano l'esperienza necessaria.
  L'Algeria è un fatto politico, direi che riguarda Paese e Paese. C’è stata una pressione del Governo ai massimi livelli che forse qui da noi non c’è stata.
  Forse la domanda che nessuno ha posto è quella sulle esportazioni. Di solito esportiamo ed è importante per questo la Marina, che è il referente. Vengono, infatti, a vedere le navi in costruzione e la Marina deve offrire assistenza. Molti dei Paesi a cui vendiamo, infatti, non hanno una Marina evoluta e certe volte neanche l'equipaggio, quindi dobbiamo preparare anche i loro equipaggi per metterli sulle navi. La situazione è abbastanza complessa, come la logistica successiva. Molto spesso la realizziamo insieme con la Marina italiana.
  Quanto ai pattugliatori, il programma dell'Ammiraglio De Giorgi è molto complesso e ridisegna una Marina del futuro. Credo che si debba decidere cosa vogliamo fare. Tralascio tutti gli argomenti che ho cercato di portare per le vostre riflessioni sull'importanza di certi tipi di industria per il Paese e dei nostri interessi nazionali. Non pensiamo, infatti, al momento attuale, ma a 10, 15 o 20 anni, quando non sappiamo cosa potrà succedere e quali spinte ci saranno.
  Bisogna avere sempre il pensiero rivolto al domani, non solo all'oggi, soprattutto riflettendo su come cambia rapidamente il mondo. In Africa, uno dei Paesi al momento è più vivaci è la Cina, che dispone di un grande serbatoio di «persone», ma è carente di materie prime, per cui le raccatta in giro per il mondo.
  Se pensiamo a 10, 15 o 20 anni, alla necessità di accendere la luce, viaggiare ancora in automobile, eccetera allora ci servirà il petrolio, le energie rinnovabili e tante altre cose. Quindi il programma disegna una nuova Marina.
  Per la verità, il programma di De Giorgi andava al 2025. Delle 62 navi in esercizio, lui vorrebbe eliminarne 38, perché obsolete e, dunque, consumano molto di più e richiedono molto personale a bordo, altro aspetto importante. Una delle questioni fondamentali ormai per il futuro, soprattutto per i Paesi evoluti, è avere delle navi ad alta automazione, che richiedono quindi l'impiego di poche persone a bordo.
  Il pattugliatore di De Giorgi è un esempio di nave polivalente, che può fare praticamente tutto, come essere utilizzata per contrastare l'immigrazione oppure in caso di calamità naturale. Ogni tanto viene pubblicato sui giornali qualche articolo sul Vesuvio: pensate a cosa potrebbe succedere in casi di questo genere se non avessimo pronta una flotta che vada a prendere e portare via tutti. Sono casi abbastanza complessi e complicati che, a mio avviso, meriterebbero ogni tanto che il Paese ci si soffermasse.
  Vi ringrazio.

  VINCENZO PETRONE, Presidente di Fincantieri. Sarò telegrafico. L'Amministratore delegato ha detto tutto quanto si poteva. Vorrei soltanto porre due considerazioni sull'oggetto di fondo di questa audizione, ossia quello della preparazione del documento della Commissione ai fini del Consiglio europeo di dicembre.
  Se avete già avuto l'occasione di vederne l'agenda e le attività su cui i Capi di Governo stanno lavorando ai fini delle deliberazioni di dicembre, sapete che essenzialmente si parla di tre filoni.
  Il primo, fondamentale, è quello della sicurezza dei Paesi che faranno parte di questa integrazione e difesa. In questo contesto, la sicurezza marittima già oggi in agenda occupa il primo posto in assoluto e per sicurezza marittima intendendo sia quella dei rifornimenti sia quella del controllo delle frontiere.
  Il secondo filone fondamentale sarà quello afferente alla messa a contributo comune dei bilanci della Difesa. È un Pag. 16processo lentissimo, non sappiamo quanto tempo impiegherà, ma certamente ci saranno degli avanzamenti costanti.
  Il terzo e ultimo, tema sul quale forse è bene che la Commissione rifletta in maniera più approfondita nel corso dei lavori delle prossime settimane, riguarda la cooperazione rafforzata a livello difesa nel contesto sempre dell'integrazione europea.
  Mi permetto di sottolineare questi tre aspetti perché tutti e tre, inevitabilmente, conducono alla costruzione di navi militari. In ultima analisi, la scelta che l'Italia si troverà a fare nel giro di pochi anni, di fronte all'avanzare di questi tre aspetti dei processi di integrazione nel settore della difesa, sarà semplicissima: o saremo noi a realizzare le navi e con quelle contribuiremo ai processi di integrazione o le compreremo dagli altri.
  Anche questa è una soluzione – per l'amor di Dio – ma sarebbe bene che tenessimo il nostro valore in casa, benché possiamo comunque decidere che tutto sommato conviene comprarle dalla Francia e dalla Germania. Anche quella è una soluzione.
  Ai fini del ragionamento europeo su questa materia, mi permetto soltanto di ricordarvi che negli ultimi 40 anni, ossia della guerra dello Yom Kippur, e quindi dal boicottaggio petrolifero nei nostri confronti dell'ottobre del 1973, proseguendo per le varie crisi, dall'Achille Lauro alla Libia, all'immigrazione dall'Albania, all'intervento sui Balcani, in tutte queste crisi che hanno riguardato direttamente l'Italia – non in via ausiliaria, ma in via diretta come primo baluardo, se posso dir così, della difesa europea – la nave è stata il centro, l'inizio e quasi la fine del nostro intervento.
  Anche in questo caso, si può decidere di rivolgersi a qualcun altro che ci difenda le frontiere. Tutto è possibile. Bisogna scegliere, ma se il profilo di difesa è quello che si sta preparando nel Consiglio europeo, inevitabilmente il mezzo navale sarà fondamentale.
  L'ultima considerazione riguarda la cooperazione in termini di ricerca e innovazione. Inevitabilmente, questo processo di integrazione europea porterà all'utilizzazione di fondi europei per la ricerca e l'innovazione. Conoscete bene il programma Horizon, che va al 2020 e che avrà parecchie centinaia di milioni di euro per sola ricerca e innovazione.
  Per poter fare ricerca e innovazione nel settore navale, bisogna precisare quali società la faranno e, per averne che fanno ricerca e innovazione nel settore militare, servono delle commesse della Marina militare. Diversamente, non è possibile.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti i colleghi presenti e anche coloro che sono intervenuti, il presidente Petrone e l'amministratore delegato Bono e gli altri ospiti di Fincantieri.
  Dichiaro concluso lo svolgimento di questa audizione.

  La seduta termina alle 11.15.

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