Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Lunedì 8 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione di rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO).
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 3 
Bovenga Sergio , Componente del Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO) ... 4 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 7 
Lenzi Donata (PD)  ... 7 
Amato Maria (PD)  ... 7 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 7 
Bovenga Sergio , Componente del Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO) ... 7 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 8 

Audizione di rappresentanti della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM) e della Federazione italiana per la salute pubblica e l'organizzazione sanitaria (FISPEOS):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 8 
Macrì Francesco , Segretario nazionale della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM) ... 8 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 9 
Macrì Francesco , Segretario nazionale della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM) ... 10 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 10 

Audizione di rappresentanti del Sindacato dei medici italiani (SMI), della Federazione veterinari e medici (FVM), della Federazione patologici clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti (FASSID), dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI) e del Segretariato italiano giovani medici (SIGM):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 10 
Calì Salvo , Segretario generale del Sindacato dei medici italiani (SMI) ... 11 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 13 
Ugolini Pierluigi , Componente del Consiglio nazionale della Federazione veterinari e medici (FVM) ... 13 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 14 
Lucà Francesco , Coordinatore nazionale della Federazione patologici clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti (FASSID) ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 16 
Prada Gianfranco , Presidente dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI) ... 16 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 18 
Mazzucco Walter , Presidente nazionale del Segretariato italiano giovani medici (SIGM) ... 18 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 21 

Associazione di rappresentanti di Federfarma, della Federazione ordini farmacisti italiani, del Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SSN (Si.Na.F.O.) e di Assobiomedica:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 21 
Pace Maurizio , Segretario della Federazione ordini farmacisti italiani ... 22 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 24 
Di Turi Roberta , Segretario generale aggiunto del Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SSN (Si.Na.F.O.) ... 24 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26 
Rimondi Stefano , Presidente di Assobiomedica ... 26 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 28 
Racca Annarosa , Presidente di Federfarma ... 28 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 29 
Amato Maria (PD)  ... 29 
Racca Annarosa , Presidente di Federfarma ... 29 
Pace Maurizio , Segretario della Federazione ordini farmacisti italiani ... 30 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 31

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

  La seduta comincia alle 16.20.

  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO).
  Ringrazio i membri delle Commissioni riunite V (Bilancio, tesoro e programmazione) e XII (Affari sociali) per la loro presenza. Mi rendo conto che non è facile per i colleghi deputati essere presenti sin dal lunedì sera, d'altronde il ciclo delle nostre audizioni presenta ritmi quasi obbligati, considerata la volontà espressa dalle due Commissioni di arrivare alla definizione di un documento conclusivo prima della predisposizione della legge di stabilità, che, come tale, possa essere quindi utilizzato dal Governo in relazione anche alla stesura della stessa legge di stabilità.
  Nella seduta odierna sono altresì previste le audizioni di rappresentanti della Federazione delle società medico-scientifiche italiane, della Federazione italiana per la salute pubblica e l'organizzazione sanitaria, del Sindacato dei medici italiani, della Federazione veterinari e medici, della Federazione patologi clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti, dell'Associazione nazionale dentisti italiani, del Segretariato italiano giovani medici, nonché di rappresentanti di Federfarma, della Federazione ordine farmacisti italiani, del Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del Servizio sanitario nazionale e di Assobiomedica.
  Iniziamo, come detto, la seduta con lo svolgimento dell'audizione di rappresentanti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurgici e degli odontoiatri. Sono presenti il dottor Sergio Bovenga e il dottor Giuseppe Augello, componenti del Comitato centrale della Federazione, ai quali do il benvenuto mio, del Presidente della Commissione bilancio Francesco Boccia e dei componenti delle Commissioni.
  Faccio presente che interverranno per primi i nostri ospiti, i quali hanno peraltro depositato una memoria relativa alle indicazioni che rivolgeranno alle Commissioni, che sarà quindi nella disponibilità di ogni singolo commissario. Ho chiesto loro di essere il più possibile sintetici nell'esposizione dei punti salienti della relazione, al fine di lasciare spazio alle domande dei Pag. 4colleghi che vorranno chiedere approfondimenti specifici e indicazioni più precise.
  Do quindi la parola al dottor Bovenga per la relazione introduttiva.

  SERGIO BOVENGA, Componente del Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO). Illustre Presidente, onorevoli deputati, grazie per quest'audizione della FNOMCeO, nel contesto di un'indagine che affronta la questione della sostenibilità del nostro sistema di tutela della salute, stretto tra esigenze emergenti e vincoli di finanza pubblica, in considerazione dei suoi prioritari profili di elevata sensibilità sia sociale che civile.
  Fin dalla sua nascita il nostro modello di Servizio sanitario nazionale si è sempre qualificato come un immenso cantiere della complessità che, come è noto, non ha soluzioni risolutive e stabili ma governi più o meno efficaci delle criticità emergenti.
  I processi riformatori che nei decenni si sono succeduti, compreso quello federalista, sono la testimonianza di un work in progress che oggi ha dinanzi a sé il dilemma più difficile e, per molti aspetti, più radicale: il quesito è cioè se questo nostro Paese possa reggere, nel presente e nel prossimo futuro, sul piano economico e sociale, un Servizio sanitario nazionale finanziato in modo solidaristico dalla fiscalità generale progressiva e fondato sull'universalismo dei destinatari e sull'equità di accesso.
  Noi crediamo che le possibili risposte debbano sciogliere nodi che attengono a profili istituzionali, economici, gestionali, organizzativi e tecnico-professionali, nodi che stanno fortemente condizionando al ribasso l'equità e l'universalismo del nostro Servizio sanitario pubblico, erodendo in alcune aree del Paese anche delicati aspetti di qualità, efficacia e sicurezza delle prestazioni erogate.
  Sul piano istituzionale le vicende di questi ultimi anni hanno, con diverse modalità, evidenziato come il nostro Servizio sanitario necessiti di un Ministero della salute con funzioni e compiti di governo e di indirizzo più incisivi, tanto che in situazioni definite si possa e si debba costituire come sovraordinato ai poteri organizzativi e gestionali costituzionalmente affidati alle regioni.
  Inoltre riteniamo che, in coerenza con lo spirito e il dettato della nostra Costituzione, che definisce come fondamentale il diritto alla tutela della salute, andrebbero diversamente bilanciati gli ambiti di autonomia e i poteri del Ministero della salute rispetto a quelli del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Questo riequilibrio, pur configurato all'interno di uno schema che misura la sostenibilità della spesa sanitaria nell'ambito dell'intera spesa pubblica, di cui la spesa sanitaria rappresenta il 14 per cento, valorizzerebbe la specificità e la rilevanza sociale di tale spesa, conferendo altresì un significato a quel dato negletto che certifica come la nostra spesa pubblica per la sanità sia da tempo tra le più basse tra i Paesi membri dell'Europa a 15.
  La stessa versione più sobria e accattivante della spending review sta in realtà operando con le medesime modalità e, paradossalmente, sta registrando la sua insostenibilità, come dichiarato anche dalle regioni più virtuose, capofila nel 2012 nel non sottoscrivere il Patto della salute, nonché dalla stessa FIASO, che a sua volta denuncia l'impossibilità di raggiungere gli obiettivi di risparmio a parità di servizi erogati, anche al netto della correzione di inefficienze e cattive gestioni.
  Dovendo sintetizzare una relazione che è sicuramente molto più organica, preferisco segnalare soltanto alcuni aspetti lasciando poi nella vostra disponibilità il testo integrale della relazione e rimanendo comunque a disposizione per eventuali domande.
  Desidero svolgere un passaggio sulle cure odontoiatriche, non ricomprese nei LEA, per segnalare come anche le visite negli studi odontoiatrici continuino a calare facendo venir meno anche alcuni presìdi di carattere preventivo.
  Vale la pena di ricordare che, in alcuni casi, le prestazioni odontoiatriche hanno costi quasi sovrapponibili ai ticket che i Pag. 5pazienti pagano a volte nelle strutture pubbliche. L'odontoiatria infatti, per lo meno quella di qualità, è gravata da costi elevati tanto nel pubblico quanto nel privato, in relazione a fattori produttivi impiegati non comprimibili.
  La sostenibilità del sistema sanitario pubblico non è soltanto una partita economico-finanziaria, non potendo essere conseguita e soprattutto mantenuta nel tempo se continuano a sopravvivere sacche di inappropriatezza tecnica, inefficienze organizzative e gestionali, vicinanze improprie tra gestione del consenso politico e gestione del merito e della qualità professionale, taluni allarmanti fenomeni corruttivi e inquinamenti malavitosi, al di là di meridiani e paralleli, nonché esasperazioni consumistiche e inappropriatezza di domanda favorite da quella sorta di azzardo morale intrinseco a tutti i servizi pubblici a libero accesso.
  Sul piano organizzativo e gestionale va ripensato, a nostro avviso, il modello aziendalista dominante, provando a invertire l'ordine dei fattori, ossia partendo dal rispetto delle finalità sanitarie per arrivare a quello dell'equilibrio dei conti.
  Noi crediamo che questa sfida trovi sostanzialmente impreparate anche le grandi scuole di economia sanitaria, mediamente non attrezzate sul piano culturale a considerare, al di là dei costi che generano, la complessità immateriale dei servizi erogati e la criticità sugli esiti delle competenze professionali e dei valori che animano i produttori dei servizi, a cominciare dai medici.
  Ci permettiamo di sottolineare come e quanto sia fondamentale reclutare il lavoro, le intelligenze e i valori dei professionisti in base alle finalità delle organizzazioni sanitarie. Diciamo questo non per ragioni corporative, bensì molto pratiche: senza la compliance dei professionisti, le organizzazioni si inaridiscono di partecipazione, di innovazione e di qualità nei loro valori etici e civili.
  Siamo evidentemente dinanzi a trasformazioni di larga portata, che affrontiamo con centinaia di migliaia di professionisti della salute sospesi ormai da anni in un clima di incertezza economica e professionale, che all'interno delle organizzazioni sanitarie si percepiscono, e spesso sono effettivamente considerati, come anonimi fattori produttivi, macchine banali di un sistema produttivo che subordina le finalità sanitarie alla tenuta dei conti.
  Troppi professionisti – nel conto consuntivo dello Stato vengono stimati tra i 35.000 e i 40.000 soggetti, di cui almeno 8.000 medici – sono impiegati sulla base di rapporti a tempo determinato, senza naturalmente contare altre forme di precarietà che raggiungono punte altissime in settori nevralgici dell'assistenza, in particolare in alcune regioni.
  Merita alcune riflessioni a parte lo sviluppo della e-health, in realtà già attiva nel nostro sistema: basti pensare alle procedure elettroniche di certificazione di malattia, alla ricettazione elettronica, allo sviluppo della telemedicina, alle procedure standardizzate di rilevazione di prestazioni e attività.
  Sostenibilità significa anche rafforzamento dell'autorevolezza tecnico-scientifica che sostiene l'appropriatezza e quindi l'esigibilità delle prestazioni sanitarie. Lo sviluppo della ricerca biotecnologica pura e delle sue applicazioni nella pratica clinica è uno straordinario strumento di emancipazione dell'umanità, che va incentivato e reso trasparente e libero da impropri conflitti di interesse; sempre più spesso tuttavia essa produce un differenziale tra le speranze delle persone e le evidenze della scienza, da affrontare con responsabilità e soprattutto nella collaborazione con le istituzioni a ciò preposte.
  Se è improbabile immaginare un Servizio sanitario nazionale senza l'apporto delle facoltà mediche, è vero anche il contrario. In altre parole, questo sistema formativo non può che reggersi su questo sistema sanitario nazionale. Emblematico di questo ragionamento è il fenomeno, che già incombe, relativo ai contratti di formazione specialistica e formazione specifica in medicina generale, che nei prossimi cinque anni interesserà 35-40 mila neolaureati, in prevalenza donne.Pag. 6
  Quest'anno entrerà a regime il decreto del MIUR che ha portato a cinque anni le scuole di specialità mediche e a sei quelle chirurgiche, determinando così l'insufficienza delle disponibilità di contratti di formazione, che saranno circa 500 in meno, a fronte di un'esigenza specularmente di gran lunga superiore.
  A regole invariate, il prossimo anno i suddetti contratti saranno circa 2 mila in meno e in questa sorta di imbuto, se non risolto, saranno in pochi anni confinate migliaia di giovani medici senza prospettive di qualificazione professionale e di accesso al Servizio sanitario nazionale, una dissipazione di risorse che per il presente e per il futuro non possiamo permetterci.
  Un altro fenomeno perverso che mina la sostenibilità del nostro Servizio sanitario è l'elevato costo del contenzioso per responsabilità medica e sanitaria, sul piano non solo economico ma anche sociale e civile, laddove aggredisce il fondamentale rapporto fiduciario tra cittadini, professionisti e istituzioni sanitarie.
  Al di là di stime, a nostro giudizio, forse anche eccessive sui costi della cosiddetta medicina difensiva, è pur vero che organizzazioni poco attente alla sicurezza delle cure scontano costi inappropriati e che, sebbene ufficialmente in fuga dal settore, tra compagnie assicuratrici italiane ed estere la raccolta dei premi è pari a circa un miliardo di euro, di cui oltre il 60 per cento a carico delle strutture sanitarie, senza contare quelle delle regioni in regime di autoassicurazione e le situazioni di non protezione sui risarcimenti.
  Noi crediamo che vadano affrontati e sciolti i nodi fondamentali della questione e in ciò può aiutarci la valutazione degli esiti a poco più di sette mesi dalla conversione in legge del cosiddetto decreto Balduzzi (legge n. 189 del 2012), che non vi elenco ma che abbiamo puntualmente riportato nella nostra relazione.
  A questo si aggiunge una debolezza delle fonti normative che prevedono un obbligo di tutela risarcitoria in capo alle strutture sanitarie, tutta derivante da sentenze e accordi contrattuali.
  In questo coacervo di nodi irrisolti si avvita una spirale di costi e di incertezze assicurative che sta oggi letteralmente strangolando, in particolare, quei settori dell'attività libero-professionale gravati da rischi di elevati risarcimenti. A titolo di esempio cito gli ostetrici, i ginecologi, gli ortopedici, i chirurghi generali e gli anestesisti.
  Occorre dunque produrre un'azione legislativa a vasto raggio che intervenga in modo armonico su tutti questi profili, per detendere l'enorme pressione che va accumulandosi nel sistema e che determina elevati costi per le aziende sanitarie ma anche per le categorie che non trovano offerte assicurative accessibili, perché tali non possono definirsi premi assicurativi da 25 o mila euro l'anno per massimali di 3 milioni di euro.
  Con pari convinzione affermiamo che il nostro sistema sanitario nazionale non è né un costo insopportabile né un carrozzone inefficiente e inefficace, ma una grande opera tecnico-professionale, civile e sociale che garantisce ricerca, sviluppo ed occupazione qualificata, soprattutto nel rispetto dei princìpi di universalismo, equità, coesione sociale e identità civile del nostro Paese.
  Sul piano dell'economia reale la cosiddetta filiera della salute rappresenta un segmento di PIL pari a circa il 12,5 per cento, con produzione di beni e servizi ad alto indice di investimento in tecnologie ed elevati livelli di qualificazione professionale, con ampie ricadute positive anche su altri settori della produzione.
  Crediamo che sia altresì una ricchezza tutt'altro che immateriale del nostro Paese il profilo politico-culturale insito nel Servizio sanitario nazionale, ovvero il sistema di valori che supportano le scelte degli individui e delle collettività sui temi della salute, con ampie ricadute sociali. A tale proposito sottolineiamo i principi di equità, di solidarietà nel rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali, di coesione sociale e, infine, di responsabilità intergenerazionale, che rappresentano la sfida di quale salute oggi per quale salute domani.Pag. 7
  Ringrazio ancora il Presidente e gli onorevoli parlamentari per l'attenzione che hanno inteso riservarci, rimanendo naturalmente a disposizione per eventuali domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio per la straordinaria capacità di sintesi su un tema tanto delicato, su cui la Federazione nazionale degli ordini immagino sia estremamente impegnata.
  Chiederei ai colleghi di rivolgere tutte le domande che ritengono ai nostri ospiti, con la preghiera usuale di formulare quesiti quanto più possibile sintetici in modo da consentire tempi tecnici di risposta altrettanto rapidi.

  DONATA LENZI. Signor Presidente, intervengo brevemente. Noi iniziamo questa settimana una discussione su una proposta di legge – ed altre se ne aggiungeranno – concernente il tema del rischio clinico e della medicina difensiva. Immagino che su quel progetto di legge svolgeremo un approfondimento coinvolgendo anche i soggetti testé auditi, dal momento che essi hanno sollevato un problema che la Commissione affari sociali ritiene fondamentale.
  Restando invece sulla parte di carattere generale, da precedenti audizioni è già emersa la questione problematica delle specializzazioni mediche e dei medici specializzandi. La domanda che le pongo è quasi in forma di battuta: ma sono proprio necessarie specializzazioni della durata di 5 o 6 anni ? Alla fine gli specializzandi in medicina cominceranno a lavorare ultratrentenni.

  MARIA AMATO. Inappropriatezza, medicina difensiva e carico delle liste d'attesa, per non parlare dei costi che generano, viaggiano frequentemente di pari passo. Quale ruolo potrebbero rivestire gli ordini dei medici che ruolo potrebbero rivestire nella possibilità di contenimento del contenzioso, o quanto meno nelle ricadute sui medici di frequente impropriamente o ingiustamente coinvolti ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  SERGIO BOVENGA, Componente del Comitato centrale della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (FNOMCeO). Alla prima domanda posso rispondere con una battuta: la nostra convinzione – lo dico anche per esperienza vissuta, essendo io un medico ed avendo conseguito una specializzazione – è che non sia tanto importante quanto è lungo il percorso di specializzazione, bensì che cosa si faccia, di quali contenuti reali, e non soltanto enunciati, si riempiano gli anni di specializzazione.
  Se allungare di un anno la specializzazione serve soltanto a posticipare il momento di immissione nel mercato di professionisti che già arrivano sul mercato tardivamente, assumendo quale termine di paragone ciò che accade nei Paesi con i quali dovremmo continuare a poterci confrontare, credo che bisognerebbe essere più incisivi non tanto nei programmi quanto nelle verifiche reali di ciò che viene fatto durante la specializzazione, ossia delle competenze acquisite in tale sede.
  La seconda domanda richiede invece poco più che una battuta, ma per rispetto dei tempi parlamentari direi che quanto lei auspica è ciò che da tanti anni gli stessi ordini chiedono, ossia una legge di riforma degli ordini stessi, essendo la normativa vigente, che risale, se non ricordo male, al 1946, oramai un tantino obsoleta. In tal senso, come abbiamo saputo dal presidente Bianco, sono già stati presentati diversi progetti e speriamo dunque che questa sia la volta buona.
  A legislazione vigente, nel contesto attuale le possibilità di intervento rispetto al quesito da lei sollevato, e sul quale noi siamo ampiamente favorevoli, sono piuttosto limitate, quando non assolutamente marginali.
  In un ruolo degli ordini completamente riformato, molte delle questioni che lei giustamente poneva, ed altre ancora, potrebbero o meglio dovrebbero trovare un luogo di risoluzione; diversamente dovremmo mettere in discussione gli ordini Pag. 8stessi, cosa che ovviamente non riteniamo di dover fare. Dobbiamo piuttosto riempire di contenuti le loro funzioni.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti della Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri. Devo peraltro rilevare che due degli elementi fondamentali che sono stati ripresi anche dalle domande dei colleghi sono tra gli argomenti cui Camera e Senato stanno dedicando attenzione.
  Credo infatti che la Commissione igiene e sanità del Senato stia per iniziare ad occuparsi di riforma degli ordini professionali sanitari mentre, come la collega Lenzi ha ricordato, la Commissione affari sociali della Camera affronterà nei prossimi giorni il tema complesso del rischio clinico.
  Entrambe le Commissioni – parlo almeno per quella di cui ci occupiamo direttamente – nel lavorare sul testo normativo che arriverà in discussione, avranno bisogno di sentire tutti gli interlocutori istituzionali che possano fornirci la loro prospettiva e la loro opinione sui temi oggetto di trattazione.
  Immagino che sui temi del rischio clinico, della medicina difensiva e della responsabilità professionale del medico avremo modo di risentirci, se voi garantirete, come avete sempre fatto, la vostra disponibilità. Per il momento vi ringraziamo, in attesa di rivederci fra non molto. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM) e della Federazione italiana per la salute pubblica e l'organizzazione sanitaria (FISPEOS).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM) e della Federazione italiana per la salute pubblica e l'organizzazione sanitaria (FISPEOS).
  È presente al mio fianco il professor Francesco Macrì, segretario nazionale della Federazione delle società medico-scientifiche italiane (FISM).
  La Federazione italiana per la salute pubblica e l'organizzazione sanitaria (FISPEOS) ha comunicato di non poter partecipare all'audizione odierna.
  Prima di dare la parola al professor Francesco Macrì, che ringrazio a nome sia della Commissione affari sociali, sia della Commissione bilancio e del suo Presidente Francesco Boccia, volevo ricordare ai colleghi che noi abbiamo richiesto l'audizione del professor Macrì e dell'associazione che egli rappresenta comprendendo come sia impossibile invitare materialmente tutte le 116 associazioni che fanno parte dell'associazione rappresentata dal professor Macrì o le altre che eventualmente non ne facessero parte. Abbiamo chiesto pertanto al professor Macrì di rappresentare il punto di vista sintetico delle associazioni che si occupano dell'aspetto scientifico delle attività nel campo della sanità.
  Invito il professor Macrì a contenere i tempi della,sua relazione nell'ordine di una decina di minuti, per cedere poi la parola ai colleghi per le domande. Se fosse possibile, le chiederei altresì di depositare presso le Commissioni il contributo scritto, che poi potremo far avere anche ai colleghi che nella giornata di oggi non sono potuti essere presenti, ringraziandola di questo in anticipo.
  Do la parola al professor Macrì.

  FRANCESCO MACRÌ, Segretario nazionale della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM). Grazie. In realtà, il numero delle società è aumentato e adesso ne rappresentiamo circa 180, anche se è in corso da parte di FISM, in questo momento, una revisione di alcuni criteri al fine di creare aree di aggregazione per le società che hanno un'operatività nello stesso ambito.
  Per partecipare alla presente audizione abbiamo letto, insieme al presidente Vimercati che rappresento in questa sede, il documento che ha accompagnato l'invito e abbiamo svolto alcune considerazioni. Ci è Pag. 9sembrato di capire che due elementi siano sostanzialmente immodificabili: da una parte, la necessità di contenimento della spesa sanitaria; dall'altra, l'aspirazione, o forse l'ambizione, di non determinare ulteriori tagli.
  Valutando anche una parte degli interventi che sono già stati svolti, riteniamo che vi sia un forte interesse a quella che potrebbe essere una riorganizzazione della sanità a livello territoriale, sulla base di interventi di diverso tipo.
  Particolare interesse riveste anche la prevenzione. Ho letto in proposito considerazioni concernenti la possibilità di prevenzione al livello delle scuole, questione che mi interessa personalmente perché con l'università stiamo adesso inaugurando un progetto di educazione al livello delle scuole elementari improntato su schemi di apprendimento da parte dei bambini secondo procedure che abbiamo stabilito insieme a colleghi psicologi. Immaginiamo che questi potranno essere interventi molto interessanti, ma è difficile attendersi da essi vantaggi a breve scadenza, per ovvi motivi.
  Valutando le situazioni inerenti agli aspetti della sanità territoriale, come FISM riteniamo che vi sia un aspetto che forse non è stato ancora sottolineato o che probabilmente non è stato ancora affrontato appieno, perlomeno non strutturalmente, quello cioè dell'appropriatezza in termini sanitari.
  Ci sono due elementi che rappresentano l'appropriatezza, ovvero la corretta indicazione di ogni intervento sanitario e la dimostrazione di efficacia, in ambito sia terapeutico sia diagnostico. Al momento l'appropriatezza sta subendo alcune penalizzazioni ed è attenuata dal fenomeno del ricorso alla medicina difensiva ma anche dal fatto che, per la corretta scelta in termini di appropriatezza, si ricorre ancora a criteri, al momento della prescrizione terapeutica o diagnostica, che probabilmente dovrebbero essere rivisti alla luce della situazione attuale.
  Raccogliendo le società medico-scientifiche di maggior rilievo a livello nazionale, FISM accoglie nel suo ambito coloro che rappresentano l'organico operativo del sistema sanitario. L'opzione che noi riteniamo possa avere rilevanza e sortire risultati concreti in tempi relativamente brevi è quella di far sì che alle società iscritte alla FISM ed accreditate – a parte si pone il problema dei criteri di accreditamento, che stiamo elaborando in accordo con il Ministero – sia affidato il compito di stilare linee guida condivise che riguardino sia gli interventi sanitari in senso stretto, sia quelli di tipo organizzativo.
  Talune indagini mettono infatti in evidenza come i medici conoscono le linee guida in percentuale rilevante – nell'85 per cento dei casi un medico è informato in modo adeguato sulle linee guida – ma le applicano nel 30 per cento dei casi, se tutto va bene, per motivi vari che in questa sede non c’è modo di approfondire.
  Questo obiettivo, secondo noi perseguibile, potrebbe portare all'emanazione di linee guida condivise, il che avrebbe sicuramente due effetti concreti: da un lato, evitare che si continuino a fare prescrizioni terapeutiche o diagnostiche inadeguate, per motivi sia di evoluzione del pensiero medico sia di cambiamento della situazione sociale, dall'altro, pervenire ad una riduzione del ricorso alla medicina difensiva.
  Occorre tenere conto che, con questi due risultati, si potrebbero avere ricadute in termini di tipo economico nonché la possibilità di modificare, sulla base di questa revisione, la modalità di presa in carico del rischio sanitario da parte del settore assicurativo.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Macrì. Mi sembra che anche il tema che lei ha posto sia già all'attenzione delle due Commissioni, quindi è possibile che anche in questo caso vi siano domande pertinenti al tema principale da lei trattato.
  Registro tuttavia l'assenza di domande, non perché quanto il professore ci ha comunicato non sia stato interessante quanto perché il tema che è stato oggetto Pag. 10delle sue comunicazioni è ricorrente nelle audizioni che le due Commissioni hanno avuto occasione di svolgere.
  La Commissione affari sociali della Camera prevede di avviare nei prossimi giorni l'esame di un testo di legge che attiene alle problematiche correlate al rischio clinico e alla medicina difensiva, con riferimento a percorsi diagnostico-terapeutici, linee guida proposte dalle società scientifiche e via elencando.
  È possibile che, nell'approfondimento che la Commissione dovrà svolgere per addivenire a un testo condiviso che possa approdare all'esame dell'Assemblea, chiederemo alle associazioni scientifiche un ulteriore incontro per approfondire specificamente il tema sulla base del lavoro che andremo a fare.

  FRANCESCO MACRÌ, Segretario nazionale della Federazione delle società medico-scientifiche (FISM). Volevo solo aggiungere che, in realtà, noi abbiamo già inaugurato una serie di iniziative in tal senso. È chiaro che stabilire linee guida che portino a costruire percorsi di appropriatezza terapeutica e diagnostica è processo complesso.
  A prescindere dalla circostanza attuale, che ci vede coinvolti in termini indiretti, abbiamo già avuto intenzione in passato di dedicarci a questi aspetti, che ci sembrano di particolare rilievo. Abbiamo quindi già alcune esperienze in tal senso, di tipo iniziale, che consistono nel far sì che le società, prima di impegnarsi nello stabilire le linee guida sulle cose che si dovrebbero fare, possano, con risultati in verità molto interessanti, lavorare in termini propositivi su un nucleo di cose essenziali che non si devono fare.
  Si può cioè ottenere un risultato con procedure anche più rapide invitando le società a stabilire intanto quali sono le cose che assolutamente non si possono fare in termini di appropriatezza; il passo successivo è quello di stabilire quali sono le cose che si devono fare.
  Sembrerà banale, ma le assicuro che per quanto riguarda la definizione di linee guida questo passaggio è assolutamente propedeutico, poiché consente, se non altro, di individuare in termini essenziali quali siano gli interventi, terapeutici o diagnostici, che assolutamente non hanno senso. Questo è già un obiettivo importante.
  Vi ringrazio per avermi dedicato attenzione anche a nome del nostro presidente, che questa mattina era occupato al Ministero.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, professore. Avremo modo sicuramente, se ci sarà la disponibilità della sua associazione, di risentirci anche su questa novità delle linee guida al contrario, ossia di linee guida che consentano di escludere determinate attività. Del resto, in passato sulle linee guida rigidamente inclusive si sono registrati tanti problemi anche per via dell'interpretazione che nei tribunali ne è stata data. Forse modificare i termini dell'approccio culturale ha dunque un significato importante, che approfondiremo. Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti del Sindacato dei medici italiani (SMI), della Federazione veterinari e medici (FVM), della Federazione patologici clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti (FASSID), dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI) e del Segretariato italiano giovani medici (SIGM).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti del Sindacato dei medici italiani (SMI), della Federazione veterinari e medici (FVM), della Federazione patologici clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti (FASSID), dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI) e del Segretariato italiano giovani medici (SIGM).
  Comunico che per il Sindacato dei medici italiani sono presenti il dottor Calì, Pag. 11segretario nazionale, e la dottoressa Volponi, responsabile dell'area convenzionata; per la Federazione veterinari e medici la dottoressa Triozzi e il dottor Ugolini, componenti del Consiglio nazionale; per la Federazione patologi clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti il dottor Francesco Lucà, coordinatore nazionale; per l'Associazione nazionale dentisti il dottor Gianfranco Prada, presidente; per l'ANDI il dottor Roberto Callioni, past president ANDI e vicepresidente Confprofessioni, e il dottor Aldemiro Andreoni, dirigente associativo.
  Ho più o meno spiegato ai nostri ospiti che darò la parola a un membro in rappresentanza di ciascuna sigla, con la preghiera di essere il più possibile contenuto, nel termine indicativo di cinque minuti, per lo svolgimento della relazione introduttiva. Ciò al fine di consentire ai colleghi componenti delle due Commissioni bilancio e affari sociali, che danno il benvenuto agli ospiti insieme con il Presidente Boccia, il quale questa sera arriverà in ritardo, di porre alcune domande sugli aspetti specifici che saranno stati sollevati durante le relazioni introduttive.
  Per il Sindacato dei medici italiani do la parola al dottor Calì.

  SALVO CALÌ, Segretario generale del Sindacato dei medici italiani (SMI). Mi auguro di riuscire a stare nei tempi.
  Credo innanzitutto che sia opportuno presentare il Sindacato dei medici italiani, il cui nome, di per sé, esprime in maniera esemplare e paradigmatica che cosa esso vuole rappresentare, ossia i medici italiani. Il Sindacato dei medici italiani è un sindacato che rappresenta i medici a tutti i tavoli delle trattative negoziali.
  All'interno del Sindacato dei medici italiani ci sono medici della dirigenza medica – chi vi parla si occupa di direzione ospedaliera – medici della medicina di famiglia, come la dottoressa Volponi che è qui con me, pediatri di libera scelta e specialisti ambulatoriali. All'interno del sindacato vi è, dunque, la possibilità di avere la rappresentanza di tutte le professioni mediche e delle relazioni sindacali all'interno di esse con le Istituzioni.
  Svolta questa breve premessa, debbo irritualmente – me lo consenta, Presidente – sostenere una nota che apparirà polemica, ma che in qualche misura introduce l'argomento di cui stiamo trattando. La dottoressa Paola Volponi, che è qui con me ed è medico di famiglia, è qui presente senza fruire dei diritti sindacali.
  Lo dico in questo luogo per una ragione molto banale e semplicissima: questo è il luogo massimo della rappresentanza della democrazia nel nostro Paese, in cui le Istituzioni danno espressione alle voci democratiche del nostro Paese. È accaduto purtroppo, nel corso degli ultimi mesi, che i diritti sindacali di alcuni medici di questo Paese siano stati conculcati per un'interpretazione estensiva della Conferenza Stato-regioni in seguito a un'ordinanza.
  Introduco così subito il tema: questa interpretazione taglia trasversalmente le regioni nel nostro Paese. Ci sono infatti regioni che interpretano questa nota in un dato modo ed altre che la interpretano in un altro. Ciò sta a significare il fatto che all'interno di questo Paese non vi è, nemmeno sul tema delle relazioni sindacali, per non parlare dell'organizzazione della sanità, un'unanimità di pronunciamenti. Ci troviamo di fronte a una babele di voci che testimonia della deriva del governo della sanità.
  Si tratta di un esempio paradigmatico: è assurdo che alcune regioni consentano l'esercizio dei diritti sindacali e li tutelino e che altre non lo consentano più. Mi pare chiaro che questo fatto sia esemplare di un modello di relazioni che non ha ragione di essere in un Paese democratico come il nostro.
  Se poi poniamo mente a quanto accade in altri ambiti, potremo osservare che anche nell'organizzazione sanitaria il nostro Paese sconta una deriva regionalista assolutamente inaccettabile, sia nell'applicazione del ticket – come ben sappiamo, ci sono regioni e regioni, con ticket diversi da regione a regione – sia nell'organizzazione sanitaria. A tale ultimo proposito, vi sono Pag. 12regioni che organizzano l'emergenza territoriale con i medici delle ambulanze e regioni che la organizzano con gli infermieri sulle ambulanze, ma vi sono altresì regioni che organizzano l'emergenza territoriale con i medici o con gli infermieri a seconda della postazione che si trova.
  Vi è, dunque, un'organizzazione a macchia di leopardo anche relativamente ad aspetti essenziali dell'assistenza sanitaria, che meriterebbero invece una riunificazione e un governo centrale.
  Questo mancato equilibrio tra poteri regionali e centrali, a nostro modo di vedere, è il primo dei nodi che il Paese deve affrontare se vuole davvero mettere mano a una riforma della sanità. D'altra parte, lo dico senza alcuna polemica, alcuni tentativi sono stati fatti nella scorsa legislatura con il decreto Balduzzi, che noi abbiamo ampiamente stigmatizzato per la semplice ragione che le riforme importanti in questo Paese hanno seguito, nel corso degli anni, percorsi importanti, in quanto importanti erano le riforme.
  Voglio ricordare soltanto che, nel corso degli ultimi cinquant'anni, noi abbiamo assistito a una riforma della normativa sul sistema ospedaliero attraverso la cosiddetta legge Mariotti n. 132 del 1968, la quale giungeva all'esito di un ampio dibattito parlamentare, di un'ampia discussione presso le Commissioni nonché di un'ampia consultazione delle parti sociali.
  Si trattò di una legge di grande rilevanza e importanza per il nostro Paese, che ha modificato lo scenario della pianificazione ospedaliera nei nostri ospedali e rispetto alla quale bisognerebbe operare alcuni ripensamenti interessanti e oramai inevitabili, alla luce anche della rimodulazione dell'offerta dei posti letto.
  Ma la stessa legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, ha seguito un iter parlamentare rilevante, che si è concluso alla fine del 1978 con un pronunciamento importante, definendo i capisaldi di quella che era allora l'organizzazione sanitaria nel nostro Paese.
  Se la legge di riforma ospedaliera del 1968 aveva messo ordine nell'ambito degli ospedali, la legge di riforma sanitaria aveva l'ambizione, che adesso scontiamo, dell'universalità e di tutte le questioni che sono ben contenute nella nota delle Commissioni, a sua volta figlia di un dibattito importante.
  Gli stessi decreti legislativi n. 502 del 1992, n. 517 del 1993 e n. 229 del 1999 sono figli di una legge delega che ha seguito un iter parlamentare importante, a conclusione del quale sono state adottate norme che sono state, peraltro, anche riviste. Voglio ricordare che il decreto legislativo n. 502 è stato rivisto a distanza di un anno con il decreto legislativo n. 517, fino ad arrivare all'ultima riforma importante con il decreto legislativo n. 229, altrimenti noto come «legge Bindi», dal quale discende, seppure parzialmente, l'assetto attuale del nostro Servizio sanitario nazionale.
  Io credo che sia necessario che il Parlamento e il Paese si occupino del tema della sanità partendo da lontano e guardando lontano, perché i problemi che abbiamo davanti in questo momento sono estremamente importanti e non possono essere affidati a una regia regionalista, in cui ciascuno tira dalla propria parte e ritiene di essere depositario del modo migliore di organizzare l'offerta sanitaria per i cittadini, determinando in tal modo una sperequazione ed una diversità nell'offerta medesima che è sotto gli occhi di tutti, nonché l'ingovernabilità complessiva del sistema.
  Noi non siamo innamorati di tentazioni neocentralistiche, non è questo il punto. Il punto è che bisogna definire compiti e funzioni in ambito sia nazionale sia regionale, e che la programmazione nazionale non può limitarsi ai LEA. Se guardiamo infatti all'applicazione dei LEA in ambito regionale, vediamo che vi è una sperequazione incredibile sia nella quantità sia nella qualità dell'offerta sanitaria.
  Da qui bisogna ripartire, sapendo che la sfida della cronicità che abbiamo davanti – lo hanno detto tutti e lo ribadisco anch'io – è una sfida epocale che richiede una riorganizzazione del tanto decantato territorio, che è sempre al centro delle nostre discussioni, e che necessita soprattutto, Pag. 13più che di interventi di carattere strutturale, di grandi interventi di carattere funzionale e organizzativo.
  Occorre recuperare uno spazio di confronto reale tra domanda e offerta a partire, come ho sentito dire poco fa dal segretario della FISM, dall'appropriatezza delle prestazioni che debbono essere erogate ai cittadini. Da questo bisogna partire per definire i livelli essenziali di assistenza. Quando le prestazioni non sono appropriate, non solo assistiamo a sprechi ma sottraiamo anche risorse a chi ha bisogno di prestazioni.
  Complessivamente ritengo che i nodi da affrontare siano importanti e che questo Parlamento, da poco insediato, debba comunque avvertire la necessità di affrontare in maniera generale il problema del riordino della sanità nel nostro Paese, ovviamente alla luce dei problemi della sostenibilità economica.
  Non vi è dubbio però che la sostenibilità economica vada di pari passo con i servizi che riusciamo a erogare. Definiamo anzitutto il livello dei servizi erogabili e quindi la quantità di risorse che vogliamo investire rispetto a detti servizi erogabili, senza dimenticare che, mentre discutiamo in questo Paese, gli accordi contrattuali delle organizzazioni datoriali e del mondo del lavoro già prevedono fondi sanitari integrativi.
  È chiaro che anche in quella direzione bisogna guardare per capire se questi fondi possano essere di aiuto per sostenere quella parte della domanda o dell'offerta che noi non riusciamo più a sostenere nell'ambito delle risorse del Servizio sanitario nazionale ed abbiano pertanto natura realmente integrativa.
  Se così non fosse, si aprirebbe uno spaccato francamente non condivisibile dal punto di vista della mia organizzazione sindacale, nel quale vi sarebbero servizi sanitari e offerte sanitarie «paralleli» rispetto a quelli del Servizio sanitario nazionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Calì. Do la parola al dottor Ugolini della Federazione veterinari e medici.

  PIERLUIGI UGOLINI, Componente del Consiglio nazionale della Federazione veterinari e medici (FVM). Ringrazio per l'audizione. Abbiamo letto il programma dell'indagine e non possiamo che convenire sui presupposti che l'hanno ispirata, ci auguriamo pertanto che il nostro contributo sia utile.
  Noi rappresentiamo come Federazione veterinari e medici la dirigenza medica e veterinaria nell'ambito del Servizio sanitario nazionale. In quanto dirigenti, siamo anche portatori di proposte e non soltanto di richieste.
  In premessa vogliamo dire che riteniamo fondamentale continuare a investire all'interno del Servizio sanitario nazionale, se si vogliono mantenere gli attuali livelli essenziali di assistenza e gli attuali livelli di erogazione di cure e di garanzie ai cittadini, le quali – teniamo a ribadirlo – sono costituzionalmente garantite.
  Riteniamo quindi che, in primo luogo, se si vuole continuare a mantenere un adeguato livello di spesa bisogna dotarsi di livelli essenziali organizzativi, in modo da evitare una deriva federalista che possa in qualche modo ridurre l'obiettivo che dovrebbe essere comune al nostro Stato e alla nostra nazione, ovvero quello di garantire un'assistenza uguale per tutti. Diversamente, come già diceva il collega prima di me, non potremmo che avere assetti variabili nelle varie regioni, a seconda di come si ritiene che debba essere erogato un servizio, circostanza questa per noi inaccettabile.
  È fondamentale investire in prevenzione perché gli studi dell'Organizzazione mondiale della sanità, non i nostri, evidenziano come ogni euro speso in prevenzione garantisca un ritorno, in termini di minore spesa in futuro, nell'arco dei prossimi dieci anni, di 3 euro. Ciò consentirebbe nel tempo di allocare in modo molto più appropriato le risorse che dovrebbero rimanere all'interno del sistema e non da questo essere distolte.
  Attualmente non è garantito che il 5 per cento della spesa sanitaria venga erogato in prevenzione. Secondo studi condotti in argomento, solo un decimo viene Pag. 14allocato in prevenzione; ciò significa che noi potremmo spendere circa 10 volte di meno in prospettiva futura.
  Un dato politico che sentiamo di dover portare all'attenzione delle Commissioni è la percezione – non soltanto nostra ma della società civile italiana – che spendere meno in sanità non è considerato accettabile. La percezione comune è che spendere di meno in sanità rende soltanto minore la qualità dei servizi, con il rischio poi di spendere anche di più in termini di medicina difensiva.
  Paradossalmente, quindi, noi spendiamo per difenderci perché abbiamo erogato prestazioni inferiori in termini di qualità. Questo, di nuovo, non è accettabile.
  Non è accettabile neanche che si continui a mantenere un sistema di accesso e soprattutto di progressione di carriera all'interno del Servizio sanitario nazionale collegato a specializzazioni e a meccanismi che non tengono conto delle effettive necessità della popolazione, un sistema che come tale non risulta dinamico e nel quale sono assenti scuole di specializzazione che formano in funzione di quanto si prevede si dovrà avere in futuro all'interno degli ospedali, dei servizi veterinari e della rete di assistenza territoriale.
  È necessario quindi effettuare una programmazione e stabilire un collegamento tra università e regioni nonché un'effettiva copertura del fabbisogno in prospettiva, considerato che formare un medico, un veterinario o uno specialista richiede dagli otto ai dieci anni.
  È necessario porsi questo problema non quando nasce la necessità ma nel momento in cui si ritiene, come adesso, che le patologie future saranno legate all'invecchiamento, alla luce anche dell'innalzamento dell'aspettativa media di durata della vita delle persone.
  È necessario inoltre che all'interno del Servizio sanitario nazionale si possa – in questo momento, di fatto, non si può – procedere a meccanismi di copertura dei posti che si rendono vacanti per cessazione di attività, attraverso meccanismi concorsuali che a isorisorse consentano di mettere la persona giusta al posto giusto.
  Non è pensabile che ci sia qualcuno che viene pagato per sostituire qualcun altro o che non viene pagato per svolgere una funzione che si ritiene debba essere specialistica e comunque di elevata qualità, soprattutto se ciò non costa perché prima di lui qualcun altro veniva pagato per farlo. Parliamo cioè sempre di isorisorse.
  In alcuni casi sono stati introdotti – e in questo mi devo agganciare al decreto Balduzzi, ossia alla legge n. 189 del 2012 – meccanismi di restyling a isorisorse. Si è semplicemente definito quello che poteva essere il meccanismo con cui si andavano a coprire alcune attività, in questo caso parliamo di sicurezza alimentare e di prevenzione.
  Si è definito semplicemente quello che poteva essere un livello organizzativo minimo. È stata emanata una circolare, che noi speriamo e ci auguriamo venga rispettata dalle regioni. Non stiamo chiedendo un euro di più, stiamo soltanto chiedendo di poter far bene il nostro lavoro, di fare ciò per cui siamo pagati e che poi è l'interesse di tutti e della nostra casa comune.
  Riteniamo che il federalismo sanitario debba ormai essere visto in modi e termini diversi, perché non ha più senso commissariare le regioni se poi non abbiamo la forza di commissariarle. Ciò non ha più senso ed in tale direzione chiediamo al Parlamento una riflessione .

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Ugolini. Do la parola al dottor Lucà della Federazione patologici clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti.

  FRANCESCO LUCÀ, Coordinatore nazionale della Federazione patologici clinici, radiologi, medici del territorio e dirigenti specialisti (FASSID). Grazie per l'audizione. Cercherò innanzitutto di tratteggiare i confini della nostra Federazione, che comprende tutti i servizi più importanti del mondo sanitario rappresentando i medici e patologi clinici, i medici di laboratorio, i radiologi e i medici del territorio.Pag. 15
  Le nostre proposte, che potete trovare nel documento che abbiamo già inviato e che cercherò di illustrare, mirano soprattutto a un obiettivo: per la sanità in Italia si spende male, ma soprattutto si spreca tanto. Uno dei dati forse più sconcertanti è constatare come, rispetto ai dati OCSE, il nostro è il Paese dopo la Grecia che effettua il maggior numero di risonanze magnetiche. Osservando le percentuali di esami svolti ogni mille abitanti, è sconcertante notare quante TAC e quante risonanze – che, mi sia permesso il termine, sappiamo tutti essere assolutamente inutili – vengono eseguite.
  Se la popolazione invecchia ed esistono patologie croniche legate all'invecchiamento della popolazione medesima, nel sottoporre a risonanza il ginocchio di un anziano di ottant'anni o la colonna vertebrale di una settantenne dobbiamo porci un quesito: cui prodest ? A cosa serve tutto ciò ? Questo non è spendere bene, è spendere male, è sprecare energie, perché così probabilmente si rischia di sottrarre il posto a chi effettivamente avrebbe bisogno di essere curato.
  Sono sconcertanti gli esiti della recente ricerca condotta dalla Remolet, la quale ha dimostrato addirittura come tanta gente non si sia rivolta al sistema sanitario nazionale, abbia cioè smesso di curarsi. Questo è un dato drammatico: la gente ha smesso di curarsi perché ciò significa spendere, perché i ticket sono troppo elevati o perché non avrebbe comunque avuto accesso a prestazioni che magari venivano utilizzate per soggetti cui tali prestazioni non servivano.
  Questo ci deve far riflettere e noi chiediamo fortemente che venga difesa l'appropriatezza della prestazione. L'appropriatezza deve essere presente a tutti i livelli, lo specialista deve essere in grado di decidere che cosa serve o non serve.
  Per noi radiologi esiste la legge n. 187 del 2000, la quale dice chiaramente che noi, secondo il principio di ottimizzazione e giustificazione, possiamo decidere qual è l'esame più corretto e utile per la salvaguardia del paziente.
  Ultimamente alcuni nostri colleghi sono finiti nella lente del consiglio di disciplina perché si erano rifiutati di effettuare esami a bambini con risonanza o TAC, esami che ritenevano inutili. Una recentissima statistica redatta negli Stati Uniti dimostra l'enorme aumento di neoplasie secondarie a radiazioni per TAC applicate sui bambini.
  Cerchiamo dunque di utilizzare i mezzi che abbiamo – fin troppi probabilmente, o mal distribuiti – in un modo corretto, affinché possano essere utili alla salvaguardia della popolazione e senza sprecare energie.
  Sprecare energie significa anche sottoporre i medici a carichi di lavoro e volumi prestazionali assolutamente fuori regola, e sappiamo tutti che sprecare energie significa rischiare di sbagliare. Il famoso risk management ha come primo principio una chiara distribuzione dei volumi prestazionali: se io lavoro troppo, corro un maggiore rischio di sbagliare; se lavoro correttamente, tale rischio si attenua.
  Soprattutto bisogna far fronte a un sistema di Health Technology Assessment basato sulla razionalità. Non ha senso comprare una TAC che fa una total body in quaranta secondi, quando io poi ottengo 500 immagini che mi richiedono quaranta minuti per la lettura; analogamente, non ha senso comprare una TAC multistrato dove non serve.
  Distribuiamo la tecnologia secondo le esigenze, andiamo a vedere in un dato territorio che cosa veramente serve, qual è l'epidemiologia di quel territorio. È inutile comprare le cose che non servono, adottiamo piuttosto un sistema piramidale per cui sul territorio si possa trovare tutto.
  Il vero problema della sanità italiana è che si spende poco sul territorio. Dire che il cittadino non deve rivolgersi all'ospedale perché deve trovare nel territorio ciò che va a cercare nell'ospedale è giustissimo, ma allora mettiamogli a disposizione le cose che cerca nel territorio, mettiamo nel territorio apparecchiature e sistemi di analisi, consentiamo al territorio di fare veramente filtro. Allora sicuramente negli Pag. 16ospedali si recherà un minor numero di persone, circoscritto ai soggetti «acuti».
  Il dato offerto da una recentissima rilevazione, secondo cui in un anno sono diminuite di un milione le prestazioni del pronto soccorso, è significativo del fatto che, quando si potenzia il territorio, il risultato è efficace. Potenziare il territorio vuol dire spendere molto di meno di quanto si possa credere, perché bastano cose banalissime come un sistema ecografico o una radiologia assolutamente convenzionale.
  Per maggiori difficoltà di specifiche richieste cliniche ci si dovrà rivolgere poi a centri più attrezzati, ma sul territorio bastano poche attrezzature. Per poter dimostrare che un soggetto è a rischio infarto bastano due o tre analisi del sangue, non c’è bisogno di strumenti imprescindibili. La distribuzione della finanza nel territorio è dunque fondamentale. Ma soprattutto occorre riconoscere credibilità agli specialisti nel momento in cui indicano cosa serve e cosa non serve.
  Un dato di fatto è inequivocabile: smettiamo di spendere nella parte strettamente amministrativa. Nella sanità italiana si spende troppo in amministrazione, si sottraggono posti che dovrebbero andare ai dirigenti medici, ai medici che lavorano effettivamente per il bene del malato, e ciò a causa di sperequazioni di tipo amministrativo.
  Gli amministrativi certamente servono ma cerchiamo di raggrupparli in modo più omogeneo, sfruttando uffici che possono servire per più aziende e cercando di meglio distribuire sul territorio le potenzialità, che non devono essere racchiuse nella singola azienda ma ripartite in un più ampio territorio. Forse così riusciremmo a risparmiare. Questi sono i sistemi che indubbiamente ci devono portare a migliorare: noi non chiediamo di spendere di più, bensì chiediamo di spendere meglio.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Lucà.
  Do la parola al dottor Gianfranco Prada, presidente nazionale dell'ANDI.

  GIANFRANCO PRADA, Presidente dell'Associazione nazionale dentisti italiani (ANDI). Grazie anche da parte mia per quest'audizione e per l'attenzione che volete dedicarci.
  L'ANDI è il sindacato più rappresentativo dell'odontoiatria italiana, con 23.000 soci iscritti certificati il secondo sindacato medico dopo la FIMMG in Italia.
  Illustro velocemente la situazione dell'odontoiatria italiana, peraltro alcune tabelle da noi realizzate evidenziano i dati che seguono.
  In Italia c’è un'offerta di odontoiatria, come numero di esercenti, sicuramente in eccesso rispetto al fabbisogno: abbiamo infatti un dentista ogni 1.042 abitanti, rispetto ai dati dell'OMS che collocano il numero ideale nel rapporto di un dentista ogni 2 mila abitanti nei Paesi industrializzati.
  Questo fenomeno in ambito odontoiatrico viene definito pletora ed è aggravato anche dal fatto che purtroppo esiste una forte percentuale di abusivismo: nel nostro settore circa 10 mila esercenti sono stati indicati come abusivi e ciò aggrava ulteriormente l'aspetto dell'eccesso di offerta, che oltretutto, nell'ambito della formazione, riveste un costo notevole per la comunità dal punto di vista del percorso universitario.
  La domanda di salute orale degli italiani è invece sicuramente ridotta. I dati che abbiamo prodotto e che arrivano dall'ISTAT indicano che soltanto il 40 per cento degli italiani – il dato è relativo al 2005, quando la crisi non aveva colpito pesantemente anche la nostra professione e i cittadini – si reca dal dentista regolarmente nel corso di un anno.
  Questa percentuale è scesa addirittura al 32 per cento sulla base degli ultimi dati che abbiamo a disposizione, relativi al 2011. A curare gli aspetti odontoiatrici della popolazione sono essenzialmente i dentisti privati, mentre l'offerta pubblica nel nostro Paese è limitata a meno del 10 per cento delle cure complessive.
  I LEA nazionali, come sapete, dovrebbero garantire le prestazioni odontoiatriche esclusivamente agli individui in età Pag. 17evolutiva e ai soggetti di particolare vulnerabilità sociale o sanitaria. Il discorso dei LEA è stato però applicato in modo assolutamente disomogeneo dalle diverse regioni; di conseguenza, in alcune regioni il servizio odontoiatrico è garantito perlomeno per questi aspetti essenziali, in altre invece questo non avviene per nulla e i cittadini sono lasciati totalmente allo sbando.
  Per citare dati concreti, vi posso dire che, secondo i dati forniti dal Ministero della salute nei Quaderni del Ministero della salute del 2011, i riuniti pubblici, cioè le poltrone odontoiatriche, lavorano soltanto per una media di circa tre ore al giorno rispetto alle 8 ore su cui dovrebbero rendere il servizio. Sono dunque assolutamente sottoutilizzati ed il costo dell'odontoiatria per il Servizio sanitario nazionale è di circa 9,6 miliardi di euro all'anno.
  Perché i cittadini scelgono l'odontoiatra privato ? Prima di tutto perché l'offerta pubblica è decisamente carente, in secondo luogo perché l'odontoiatria privata ha saputo conquistarsi questi pazienti negli anni, tanto per la capillarità di presenza sul territorio e per la capacità di organizzare nel modo più corretto le terapie, quanto per il rapporto di fiducia, che è considerato fondamentale dai cittadini italiani per una prestazione così sensibile e delicata come quella odontoiatrica. Ciò è testimoniato, peraltro, da ricerche che pongono l'odontoiatra tra i professionisti ai quali i cittadini italiani ritengono di attribuire il massimo voto in tema di fiducia.
  Qual è la prospettiva e quali sono le tendenze ? La diminuzione della domanda che si è registrata negli ultimi anni, principalmente per la cura, ha determinato una notevole riduzione di prestazioni effettuate e un peggioramento della salute orale anche degli italiani che si recano dal dentista. Sono infatti diminuiti, come dicevo prima, anche coloro che si rivolgono a noi, i quali tendono a effettuare soltanto le prestazioni di pura emergenza per tamponare i problemi del dolore o le situazioni infettive senza affrontare le terapie più complesse, come quelle protesiche o implantari.
  Ci troveremo quindi ad avere sicuramente, nei prossimi anni, una vera e propria emergenza in ambito odontoiatrico, con richieste sempre maggiori da parte dei cittadini al fine di ricevere quelle cure che la Costituzione pone a carico dello Stato anche in ambito odontoiatrico, sebbene ciò attualmente non avvenga e non sia mai avvenuto in passato proprio per i costi che l'odontoiatria comporta laddove viene esercitata secondo livelli di qualità e nel modo più corretto possibile.
  Quali sono i suggerimenti che ci sentiamo di formulare, come Associazione nazionale dentisti italiani ? In primo luogo, occorrerebbe creare campagne per sensibilizzare la popolazione sull'importanza di prevenire, senza aspettare che la situazione orale degeneri.
  Tale iniziativa appare particolarmente significativa in relazione, ad esempio, alla popolazione scolastica o comunque a tutti quei presìdi in cui è possibile raggiungere la popolazione. Noi abbiamo offerto piena disponibilità al Ministero della salute per collaborare alla realizzazione di tali campagne, che speriamo si possano a breve attuare.
  L'ANDI, del resto, è stata capofila in alcuni progetti sperimentali che hanno conferito alla collaborazione tra pubblico e privato taluni importanti successi. A titolo di esempio, voglio ricordare – viene citato anche in allegato ai nostri documenti – l'accordo tuttora in vigore che abbiamo sottoscritto con il Ministero della salute nel 2008 per offrire, come professionisti privati, terapie e prestazioni a tariffe calmierate, dedicate ai cittadini con i redditi più bassi. Abbiamo fatto ciò senza avere praticamente nulla in cambio, se non minime agevolazioni a livello di studi di settore nel nostro specifico ambito.
  Inoltre abbiamo collaborato con la regione Toscana, la quale ha realizzato un progetto sulla prevenzione che ha riscosso un particolare successo: consistente nella sigillatura dei solchi dei denti permanenti nei bambini di sette anni, esso ha determinato, Pag. 18secondo i dati oggettivi rilevati dall'OMS, una drastica riduzione del numero delle carie in questi bimbi.
  Noi svolgiamo altresì ulteriori attività direttamente, come associazione, nell'ambito della prevenzione. Ricordo che da 33 anni tutti i mesi di ottobre l'ANDI realizza il mese della prevenzione dentale, e fummo noi a inventare a suo tempo il famoso slogan «Prevenire è meglio che curare», che è poi diventato uno slogan assolutamente valido in tutti gli ambiti della salute.
  Da sette anni realizziamo anche un mese dedicato all’Oral Cancer Day e alla sensibilizzazione dei cittadini sul tumore del cavo orale, con manifestazioni nelle piazze e l'apertura dei nostri studi per visite gratuite allo scopo di intercettare questa particolare patologia nel momento iniziale ed evitare grossi problemi alla cittadinanza.
  Abbiamo anche una fondazione che si occupa di progetti sociali, per esempio nelle carceri. Anche questo è un aspetto che viene trascurato dal settore pubblico e che richiederebbe, invece, un impegno più particolare.
  Che cosa chiediamo in cambio ? Che cosa vorremmo che lo Stato offrisse per migliorare la qualità delle prestazioni odontoiatriche e soprattutto per condurle di nuovo a una quantità accettabile ? Chiediamo che vengano almeno previsti sgravi e incentivi fiscali in favore dei cittadini che si curano, tenuto conto che l'attuale detrazione al 19 per cento è assolutamente minima. Per fare solo un esempio, ora sono stati incentivati gli acquisti degli elettrodomestici mentre non vengono per nulla incentivate le cure della salute orale, che a nostro avviso rivestono un livello maggiore di importanza dal punto di vista della tutela generale della persona.
  L'aumento delle detrazioni permetterebbe anche di riportare alle casse dello Stato tanti denari che attualmente vanno all'estero, attraverso il fenomeno del cosiddetto turismo odontoiatrico.
  Consentirebbe inoltre di combattere meglio probabilmente anche il fenomeno dell'evasione determinata dagli abusivi che, come dicevo, rappresentano una vera e propria emergenza. Al riguardo chiediamo che il Parlamento affronti finalmente con una legge questo scandalo, che è solo italiano, per il quale 10 mila abusivi esercitano e, se individuati o condannati, subiscono multe o sanzioni irrisorie di 500 euro ed il giorno dopo riaprono e continuano ad esercitare la loro attività.
  Chiediamo infine di avere perlomeno, come libera professione, la possibilità di svolgere un po’ più tranquillamente la nostra attività nei nostri studi con una minor burocrazia e alcuni interventi mirati alla semplificazione generale per le professioni, che in questo Paese sono spesso penalizzate e non favorite.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Prada.
  Do la parola al dottor Walter Mazzucco, che interviene a nome del Segretariato italiano giovani medici.

  WALTER MAZZUCCO, Presidente nazionale del Segretariato italiano giovani medici (SIGM). Ringrazio i Presidenti delle Commissioni riunite per il graditissimo invito. Intervengo in qualità di presidente nazionale del Segretariato italiano giovani medici, l'organizzazione non sindacale più rappresentativa della componente giovane della professione.
  Porterò un brevissimo contributo cercando di declinare il tema oggetto dell'indagine conoscitiva di queste autorevoli Commissioni parlamentari per fare un focus sulle risorse umane in seno al Servizio sanitario nazionale.
  Parto dal presupposto che la disponibilità di professionalità adeguatamente preparate e motivate possa fornire un contributo importante alla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale che, come sappiamo, è messa a repentaglio da tutta una serie di criticità che chi mi ha preceduto ha peraltro richiamato. Cito semplicemente l'aumentato impatto delle malattie cronico-degenerative invalidanti, che configura un bisogno di salute sempre più spostato in termini di risposta verso il territorio, unitamente alle disuguaglianze Pag. 19di salute, che non sono più soltanto geografiche ma anche e soprattutto sociali e che caratterizzano in maniera trasversale tutti i territori, da nord a sud, del nostro Paese.
  In questo contesto la condizione della componente giovane della professione medica non è assolutamente esente da ulteriori criticità. Noi siamo pienamente coscienti di queste problematiche e vogliamo fare sistema per cercare di superarle.
  Purtroppo, però, dobbiamo rappresentare e documentare con dati oggettivi, che sono a disposizione di queste autorevoli Commissioni, un trend in ascesa di giovani professionalità mediche formate dallo Stato italiano che tendono ad appoggiarsi presso istituzioni assistenziali estere, dove trovano maggiori possibilità in termini non solo di progressione di carriera, ma anche, e prima ancora, di arricchimento professionale, sociale e umano.
  È possibile documentare ciò attraverso i dati forniti dal Ministero della salute nel 2009 relativi ai certificati di congruità richiesti da giovani specialisti o da soggetti in fase di formazione per poter obbligatoriamente produrre questa documentazione, che è necessaria per esercitare la professione all'estero, in ambito comunitario e non.
  Abbiamo anche condotto due indagini indipendenti, grazie al supporto rispettivamente della Federazione dei medici svizzeri e del General Medical Council del servizio sanitario inglese, le quali documentano un incremento, dal 2004 al 2012, delle professionalità formate in Italia ed operanti presso queste strutture.
  Volendo fare un passo indietro alla radice dei mali, non possiamo che concordare con quanti hanno rappresentato la non volontà, o forse l'impossibilità, allo stato attuale, di poter procedere a un'adeguata rilevazione dei fabbisogni e a un'adeguata programmazione delle professionalità mediche da formare e da inserire nel Servizio sanitario nazionale.
  Le ragioni tale situazione sono molteplici: tra di esse, la presenza di numerosi flussi informativi, che però non comunicano tra di loro, l'esistenza di un doppio binario, una dicotomia tra le esigenze, da un lato, del Servizio sanitario nazionale e delle regioni e, dall'altro, delle università, la cui rete formativa segue tutt'altre logiche organizzative sul territorio.
  Ma anche i ritardi nell'implementazione da parte di numerose regioni di un sistema integrato delle cure tra ospedale e territorio chiaramente non favoriscono un'apertura alla rete formativa o prospettive occupazionali che in tale contesto pure avrebbero, a nostro avviso, maggiore ragione di esistere oltre che possibilità di sbocco.
  Quest'assenza di politiche adeguate ha prodotto nel tempo fenomeni documentati, a cominciare dalla pletora medica degli anni Ottanta, che presenta una coda ai giorni nostri e che può essere sintetizzata nella cosiddetta «gobba demografica», ovvero nella presenza, nella classe tra i 51 e i 59 anni, di ben un terzo dei medici in attività nel nostro Servizio sanitario nazionale.
  A fronte di previsioni di fuoriuscita sempre più ritardate, riconducibili dapprima ai Piani di rientro e successivamente alle decisioni assunte a livello centrale che hanno imposto un blocco del turn over, vi sono numerose possibilità di accesso parziale – noi lo definiamo «a mezzo servizio» – da parte dei giovani attraverso contratti e forme di precariato, il cosiddetto precariato medico, che mortificano la professione in generale e, in particolar modo, la sua componente giovane.
  In tale contesto annoveriamo anche la previsione di una riduzione importante del finanziamento dei contratti di formazione nonché la mancata implementazione delle borse di studio per quanto concerne la medicina generale, a fronte di 10 mila accessi annui alle facoltà di medicina.
  Tutto ciò è condito da politiche e sperequazioni generazionali, da una progressiva valorizzazione dei livelli apicali rispetto a chi entra nel sistema, seppur tardivamente, dalla ridondanza dei ruoli delle unità operative e dalla presenza di personale non attivo e non produttivo all'interno delle piante organiche.Pag. 20
  Probabilmente una rappresentazione demografica della professione, che documenta uno spostamento in avanti dal punto di vista dell'età e delle generazioni nella composizione delle professionalità, incide anche sulle politiche all'interno e all'esterno della professione.
  Alcune iniziative in passato sono state assunte, a nostro avviso, in modo erroneo, come quella di ritardare e procrastinare l'accesso all'esercizio della professione spalmando nel tempo la formazione. Non si è saputa infatti cogliere l'opportunità di un sistema formativo post lauream e di un titolo di specializzazione intesi come requisito qualificante del percorso del medico, ma si sono procrastinate nel tempo l'assunzione e la crescita professionale, così come la possibilità di assunzione di responsabilità crescenti.
  Come documentato, il periodo di tempo intercorrente tra il momento in cui si accede al mondo dell'università ed il momento dell'ingresso nel mondo del lavoro, nel gennaio 2013, prima del Piano di rientro, era pari a circa 15-16 anni.
  Il problema non è tanto la durata del percorso post lauream quanto la qualificazione, lo status attribuito al giovane medico laureato, che, secondo la nostra rilevazione e in base a un confronto con gli altri Paesi comunitari e non solo, non ha i riconoscimenti e la responsabilità che gli si converrebbero. Non gli viene, dunque, permesso, a differenza che in altri sistemi, di esprimere al meglio le sue potenzialità.
  Ricordiamo come uno dei più importanti e famosi cardiochirurghi del mondo, Barnard, abbia eseguito il suo primo trapianto di cuore sotto i quarant'anni, mentre l'età media di accesso a contratti di lavoro a tempo indeterminato oggi in Italia è dai trentasette anni in su.
  Ciò si riverbera anche sulla formazione pre-laurea laddove, piuttosto che lavorare e cercare di implementare la componente professionalizzante della formazione, si è tuttora ancorati a elementi che connotano maggiormente l'aspetto contenutistico. Non si coglie quindi l'opportunità di ampliare la rete formativa presso l'ospedale e, a maggior ragione, sul territorio, alla luce anche dei bisogni di salute e degli scenari prima rappresentati.
  Una brevissima digressione merita la condizione dei giovani colleghi che intraprendono il percorso della medicina generale. È infatti totalmente mancata, a nostro avviso, l'opportunità di avere un percorso specifico di formazione per questa figura importante e strategica che, oggi più che mai, è chiamata a intercettare i bisogni di salute della nostra cittadinanza, della popolazione italiana.
  Questi giovani vengono costretti in un sistema imperniato sulla contrattazione sindacale e sull'intera gestione sindacale, che non permette di reperire e di investire risorse. Quel poco di risorse che viene investito è assorbito per una buona misura dal supporto alla componente della docenza e dell'organizzazione, piuttosto che dalla valorizzazione di queste figure, le quali perdono di entusiasmo e non possono arrecare il contributo che pure vorrebbero.
  Svolgo alcune rapide considerazioni uscendo dall'alveo delle risorse umane, per condividere alcuni dati e le nostre percezioni al riguardo.
  Noi abbiamo portato agli atti i dati relativi agli accessi al pronto soccorso di una delle più grandi e importanti ASL del nostro Paese, un'ASL romana. Al di là della variazione della componente dei codici bianchi, che si è contratta rispetto a quella dei codici verdi, probabilmente, più che altro, per dinamiche diverse e non perché vengano intercettati adeguatamente i codici bianchi, dobbiamo documentare come ben l'80 per cento dei casi di coloro che accedono all'area di emergenza dei nostri ospedali sia ascrivibile a codici verdi e codici bianchi. Circa il 78 per cento di questi accede al servizio senza confrontarsi e chiedere il conforto del medico di medicina generale e ben il 65,7 per cento viene di fatto rinviato all'assistenza domiciliare.
  In base al dato da noi raccolto si potrebbe stimare, solo per questa ASL, un risparmio di circa 22 milioni di euro per i soli codici verdi, che potrebbero essere Pag. 21intercettati nel territorio. Non si tratta soltanto di un problema di costumi e di usanze tipiche della nostra popolazione, vi sono anche problemi di organizzazione e di integrazione delle strutture sul territorio.
  Un ultimissimo dato, pure a vostra disposizione, riguarda invece l'assistenza ospedaliera. Una condizione critica importante è quella del trattamento farmacologico dell’ictus ischemico attraverso la trombolisi. Tutti noi sappiamo come l’ictus ischemico sia la terza causa di morte nel nostro Paese e la prima causa di eventi invalidanti.
  Il dato relativo al numero dei pazienti trattati versus quello dei pazienti trattabili rende ragione di una copertura soltanto del 23,9 per cento. Ciò significa che la parte rimanente impatta sul nostro Servizio sanitario nazionale in termini non solo di costi diretti, ma anche di costi indiretti e sociali e, quindi, anche sulle nostre famiglie.
  Mi sia consentito un ultimissimo appunto per quanto concerne il capitolo della prevenzione. È risaputo che il nostro Paese è la cenerentola rispetto ai Paesi OCSE per quanto concerne il contributo e il sostegno destinati ai progetti di prevenzione di sanità pubblica.
  Noi riteniamo che l'entusiasmo e le capacità relazionali fisiologicamente migliori che possono avere i giovani nell'essere coinvolti in attività, ad esempio, di promozione della salute nei confronti della popolazione scolare in età dell'obbligo potrebbe garantire quella continuità e quell'omogeneità di intervento che, allo stato attuale, nonostante numerose iniziative, non può essere garantita dal sistema.
  In conclusione, noi abbiamo partecipato a questa audizione per portare un contributo costruttivo. Le nostre indicazioni e il nostro intervento non sono propedeutici ad alcun tipo di rivendicazione, proponiamo piuttosto all'attenzione di queste Commissioni un ragionamento di sistema.
  Come a tutti noto, a partire dall'ottobre del 2013 avrà piena implementazione la direttiva comunitaria sull'assistenza transfrontaliera: cittadini italiani residenti in Italia avranno la possibilità, seppur a determinate condizioni, di poter chiedere assistenza in Paesi comunitari, trovando pari assistenza in termini economici rispetto al Paese di residenza.
  Il paradosso che noi documentiamo è che probabilmente essi troveranno a curarli, rispetto ai dati che rappresentavamo prima, giovani medici formati a dello Stato e delle famiglie italiane.
  Poniamo pertanto al centro dell'attenzione e dell'azione del Legislatore un rilancio e un investimento non soltanto etico-morale, ma anche concreto, nei confronti delle giovani generazioni, affinché sia possibile e più verosimile che la discontinuità culturale richiesta per avere un approccio di tipo etico e di sistema al Servizio sanitario nazionale si possa realizzare attraverso il rilancio delle giovani generazioni e questo elemento possa contribuire alla sostenibilità di un Servizio sanitario nazionale pubblico, equo, accessibile, ma anche competitivo.

  PRESIDENTE. Grazie. Purtroppo, come è comprensibile, le audizioni si sono ampliate un po’ oltre i tempi che avevamo preventivato. Chiedo pertanto ai colleghi se intendano rivolgere, sia pure sinteticamente, domande ai nostri ospiti.
  Non essendovi domande, ringrazio di cuore i nostri ospiti ai quali, soprattutto a quelli che sono arrivati un po’ più tardi, rivolgo la preghiera, qualora avessero contributi scritti che possono essere fatti pervenire singolarmente anche ai commissari che non hanno potuto assistere oggi alla nostra discussione, di poterceli fornire, ringraziandoli anticipatamente della loro disponibilità.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Associazione di rappresentanti di Federfarma, della Federazione ordini farmacisti italiani, del Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SSN (Si.Na.F.O.) e di Assobiomedica.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla Pag. 22sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti di Federfarma, della Federazione ordini farmacisti italiani, del Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SSN (Si.Na.F.O.) e di Assobiomedica.
  Siamo arrivati alle ultime audizioni della serata odierna. Abbiamo con noi la Federazione ordini farmacisti italiani, il Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SNN, Assobiomedica e Federfarma, che sta completando la sua delegazione in questi minuti. Se siamo d'accordo, darei la parola al dottor Maurizio Pace, segretario della Federazione ordini farmacisti italiani.
  Vorrei prima ringraziare tutti i nostri ospiti, a nome sia mio e della Commissione affari sociali, sia del presidente della Commissione bilancio Francesco Boccia e di tutti i componenti della Commissione stessa.
  Stiamo organizzando i lavori in questo modo: chiediamo la vostra disponibilità a usare tempi molto ridotti, di cinque minuti, se possibile, pregandovi di segnalarci nell'ambito della sostenibilità del sistema sanitario quali sono le criticità che voi ritenete di maggior importanza. Saremo lieti se voi vorrete fornirci interventi scritti che saremo in grado di fare circolare anche presso i componenti delle Commissioni che questa sera non sono potuti essere presenti all'audizione. Al termine delle vostre considerazioni daremo la parola ai colleghi componenti delle Commissioni perché vi possano porre alcune domande che possano servire da approfondimento rispetto ai vostri interventi.
  Do la parola al dottor Pace.

  MAURIZIO PACE, Segretario della Federazione ordini farmacisti italiani. Grazie, signor presidente. In via preliminare desidero esprimere il più profondo apprezzamento per questa iniziativa parlamentare. Ritengo, infatti, che la presente indagine possa costituire un importante strumento conoscitivo che fornisca gli elementi di valutazione utili per individuare il nuovo punto di equilibrio tra le esigenze di salute dei cittadini italiani e gli obiettivi della finanza pubblica.
  Il settore sanitario in generale e quello farmaceutico in particolare stanno affrontando una fase di considerevole e profonda evoluzione, legata a cambiamenti istituzionali, sociali e di mercato, dalla progressiva armonizzazione legislativa con le politiche europee alle politiche di contenimento della spesa farmaceutica, ospedaliera e territoriale, dalla richiesta di collaborazione alle farmacie per l'erogazione dei nuovi servizi assistenziali da parte dei Servizi sanitari regionali – si veda la legge n. 69 del 2009 – ai nuovi indirizzi dell'AIFA, dalla globalizzazione delle aziende farmaceutiche, fino ad arrivare al mutamento sociale del rapporto di fiducia tra le professioni sanitarie e i pazienti.
  Personalmente, ritengo che in questo confronto di idee il criterio ispiratore di ogni scelta dovrebbe essere il valore della persona e dei suoi bisogni di salute, pur nella necessità di tener conto delle risorse disponibili.
  In questi anni abbiamo assistito, dal 2006 in poi, a una serie di manovre economiche. Mi sono limitato e non voglio dilungarmi. Nel memorandum che vi lasceremo troverete i dati riportati, con numeri che certamente rappresentano un decremento della spesa farmaceutica a livello nazionale.
  Alla luce di tutti questi dati appare ormai urgente impegnarsi affinché non vi siano ulteriori tagli e manovre finanziarie incidenti sul settore del farmaco, che, nel momento attuale, necessita di una stabilizzazione e soprattutto di una stabilizzazione di tutti gli operatori della filiera che possa consentire una ripresa anche della crescita.
  Noi puntiamo a salvaguardare la presenza del farmacista in ospedale per continuare a garantire un'assistenza sanitaria di tipo universalistico, tesa alla qualità e all'equità delle cure, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza, nonché a ottimizzare, nel contempo, tutte le risorse disponibili. A tal fine occorre ovviamente un forte contributo da parte di tutti gli attori Pag. 23del sistema salute che ritengano come valore aggiunto l'integrazione interdisciplinare, interprofessionale e intersettoriale. A tal proposito, premesso e acclarato che l'approccio multidisciplinare qualifica l'intervento assistenziale, ne riduce i rischi e ne ottimizza l'efficienza e l'economicità, osserviamo che il farmacista di reparto è una realtà quotidiana, che in molti Paesi europei e non è ormai consueta. Penso agli Stati Uniti d'America, al Canada, all'Australia e alla Nuova Zelanda.
  Noi abbiamo portato avanti, insieme al Si.Na.F.O., su indicazione del Ministero della salute, un progetto di farmacista di dipartimento, il cui coordinamento è stato demandato a suo tempo alla SIFO, la quale ha indicato nella Federazione degli ordini il suo principale collaboratore. L'obiettivo del progetto era quello di dimostrare l'importanza del ruolo del farmacista quale strumento per la prevenzione degli errori in terapia e l'implementazione delle politiche del governo clinico. Da questo progetto è emerso che il farmacista diventa l'esperto a tutti gli effetti della garanzia dell'appropriatezza prescrittiva, dell'ottimizzazione della gestione terapeutica del reparto e della sicurezza del trattamento farmacologico.
  Nello studio e nell'approfondimento che ha condotto all'emanazione della legge n. 69 del 2009, meglio conosciuta come la legge sui servizi, voluta dal Ministro Fazio e oggi nuovamente ripresa dall'attuale Ministro Lorenzin, come momento di rilancio della programmazione e dell'implementazione della farmacia nel futuro, della farmacia di comunità, desidero segnalare anche che questo progetto era già stato guardato con grande attenzione dal precedente Ministro Turco, ma che non aveva avuto il tempo di potersi espandere. Su tutta questa progettualità noi desideriamo portare avanti alcune economie che rappresentano un risparmio per il Servizio sanitario nazionale.
  Il ruolo del farmacista si è evoluto, nel corso del tempo, da semplice preparatore e dispensatore di prodotti farmaceutici a quello di fornitore di servizi e di informazione e, da ultimo, di assistente alla cura del paziente. Alla luce di questo noi stiamo portando avanti con l'Università del Kent un progetto serio, che riguarda il controllo sul corretto utilizzo dei farmaci. Mutatis mutandis, si tratta del progetto che è stato portato avanti per il farmacista ospedaliero, ossia per il farmacista di reparto. Anche in questo caso abbiamo voluto rafforzare il ruolo del farmacista nel potenziamento dell'aderenza alle terapie dei pazienti ed evidenziare come sia possibile ottenere concretamente tale risultato attraverso i farmacisti, in quanto operatori sanitari.
  Voi capite chiaramente che, entrando nella logica dell'appropriatezza terapeutica e del corretto utilizzo dei farmaci, si realizza un grossissimo risparmio per il Servizio sanitario nazionale, come è avvenuto in tutti i Paesi europei, come l'Inghilterra, che negli ultimi anni ha ridotto notevolmente i costi della gestione e della cura del paziente mettendolo in carico al farmacista di comunità. Lo stesso può essere fatto col farmacista ospedaliero.
  In ultimo, riteniamo opportuno, e mi avvio alle conclusioni, che oggi per la farmacia di comunità venga ripreso il concetto della nuova remunerazione come voluto dall'articolo 15 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 2012. È stato portato avanti un progetto molto serio, in cui la prestazione fissa, in aggiunta o ridotta percentuale sul prezzo di riferimento del farmaco, permette un grosso risparmio al Servizio sanitario nazionale, ma soprattutto stabilizza definitivamente l'attuale situazione delle farmacie, le quali, di mese in mese e di anno in anno, vedono notevolmente ridursi la loro redditività. Tutto questo permetterebbe di stabilizzare l'economia e il bilancio di una farmacia e di recuperare tutti i farmaci ad alto costo e di poterli distribuire in tutti i piccoli comuni, in tutte le realtà comunali della nostra penisola. Il farmacista, a questo punto, si riapproprierebbe del suo ruolo, collaborando con il legislatore e portando avanti una seria politica di risparmio nei confronti del Servizio sanitario nazionale.Pag. 24
  Nelle battute finali di questo mio intervento vorrei dedicare alcune riflessioni a un aspetto che considero di fondamentale importanza. Io sono profondamente convinto che l'attività innovativa rappresenti una delle forme più importanti di concorrenza industriale. L'innovazione, infatti, è sempre più strategica per la competitività e per lo sviluppo, e lo è ancora di più in un settore come quello sanitario e farmaceutico, che ha dinanzi a sé continue sfide di crescita e di miglioramento. La digitalizzazione della sanità, con la graduale operatività della ricetta elettronica, rappresenta un obiettivo di progresso da perseguire, che consentirà una gestione migliore del paziente e dei trattamenti terapeutici. Parallelamente allo sviluppo del fascicolo sanitario elettronico, già contenuto nel decreto-legge n. 69 del 2013, occorrerebbe, dunque, prevedere la creazione anche di un dossier farmaceutico del paziente, contenente tutte le informazioni relative alla terapia in uso, da aggiornare puntualmente ad opera del farmacista. Ciò al fine di consentire il virtuoso interscambio informativo che, oggi più che mai, rappresenta una ricchezza a fini non solo terapeutici, ma anche di contenimento di spesa. In tal modo, anche l'implementazione della farmacia di servizi potrebbe trarre impulso dalla diffusione di nuovi strumenti informatici e tecnologici per un servizio farmaceutico efficace e plasmato sulle esigenze di salute dei cittadini, nel rispetto di un'efficiente gestione economica.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Pace.
  Do la parola alla dottoressa Roberta Di Turi, segretario generale aggiunto della Si.Na.F.O.

  ROBERTA DI TURI, Segretario generale aggiunto del Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SSN (Si.Na.F.O.). Ringrazio a nome di tutto il Sindacato nazionale farmacisti dirigenti del SNN per l'invito e per l'opportunità che ci viene offerta di portare il nostro piccolo contributo tecnico a questa iniziativa, alla quale abbiamo plaudito notevolmente. Passo subito a leggervi la relazione, molto sintetica, della quale vi lascerò traccia scritta.
  Vi ricordo che il nostro mercato del farmaco negli ultimi anni, dal 2005 al 2012, ha subìto un incremento di spesa del 33 per cento, piazzandosi al sesto posto a livello mondiale. Del 75 per cento di questa spesa si fa carico il Servizio sanitario nazionale. Il totale di incidenza sul PIL è dell'1,6 per cento.
  Quello che sappiamo per certo è che negli ultimi anni, soprattutto dal 2005 in poi, la spesa farmaceutica convenzionata, ovvero quella delle farmacie aperte al pubblico, di cui ha esposto prevalentemente il collega che mi ha preceduto, è piuttosto stabile. Per cui l'incremento è dovuto quasi interamente all'aumento della spesa ospedaliera e nella distribuzione diretta.
  A tal proposito, il Rapporto dell'Osservatorio nazionale sull'impiego dei medicinali – OsMed del 2011 ci ha ricordato che la spesa in carico alle AASSLL, alle aziende pubbliche, relativa ai soli farmaci è stata di circa 7,5 miliardi di euro, una spesa assolutamente non trascurabile su un totale di 26,3 miliardi di euro. Quasi un quarto della spesa farmaceutica è, quindi, in carico interamente ad aziende pubbliche. Il maggior livello di spesa riguarda prevalentemente i farmaci antiblastici, che oggi rappresentano oltre 3 miliardi di spesa. La nostra attenzione deve, quindi, concentrarsi su questi aspetti.
  Per quanto concerne i 7,5 miliardi di euro di spesa, va ricordato che soltanto 4,5 miliardi di euro circa sono dovuti a consumi interni, ovvero al fabbisogno ospedaliero – una misura almeno pari, se non leggermente superiore, al costo che si attribuisce alla dispensazione di dispositivi medici. La distribuzione diretta che noi siamo stati costretti a garantire dal 2001 in poi, ai sensi della legge n. 405 del 2001, ci ha visti impegnati, invece, per una cifra di poco superiore ai 3 miliardi di euro. Le criticità evidenti in questo panorama sono legate alla disparità, alla differenza macroscopica che si riscontra tra una regione e l'altra.Pag. 25
  Nel ricordare molto rapidamente le attività prevalenti che ci vedono impegnati nelle farmacie ospedaliere e territoriali, dobbiamo assolutamente rammentare che noi non ci occupiamo solo di dispensazione e distribuzione di farmaci e di dispositivi medici – questi ultimi rappresentano il 75 per cento delle nostre attività – ma anche di flussi e procedure, di risk sharing e di payment by result. Si tratta di sistemi per recuperare una parte del dispendio economico legato a terapie che non risultano efficaci. Esistono poi diverse Commissioni, delle quali facciamo parte, che riguardano il rischio clinico, le infezioni ospedaliere, i Comitati di bioetica. Inoltre, ci occupiamo di informazione del farmaco. Quando si parla di attività farmaceutiche e territoriali, non bisogna quindi dimenticare un'attività non trascurabile di valutazioni farmaco-economiche e farmaco-epidemiologiche che ci consentono di andare a osservare e rilevare i bisogni insoddisfatti della popolazione e individuare gli eventuali ambiti di inappropriatezza. Partecipiamo anche al processo di costituzione di budget e forniamo un'informazione adeguata, anche partecipando alle Commissioni per l'appropriatezza prescrittiva.
  Quali sono i campi di interesse che hanno coinvolto prevalentemente il Si.Na.F.O. negli ultimi anni ? Noi siamo stati molto attenti alla dispensazione del primo ciclo terapeutico per i pazienti in dimissione e alla dispensazione diretta, nonché all'impiego e all'adozione di valutazioni di EBM (Evidence-based Medicine) e di HTA (Health Technology Assessment) legate anche al mondo dei dispositivi medici. Si tratta di un argomento molto caldo, nel quale riteniamo di dover acquisire ulteriori conoscenze e anche ulteriori risorse e strumenti per portarlo bene a termine. Analogamente, la nostra attenzione è rivolta alla centralizzazione degli acquisti, non tanto per ciò che concerne un vero e proprio risparmio, quanto per il governo della spesa. Infine, ci occupiamo della fornitura del bene, che non può essere disgiunta da valutazioni e da richieste di monitoraggio continuo e adeguato. I nostri interventi hanno riguardato prevalentemente gli aspetti dell'informazione scientifica, che per troppo tempo è stata riservata ed effettuata soltanto da parte dell'industria. Ricordiamo, invece, che tra i nostri compiti rientra anche quello dell'informazione indipendente.
  Si tratta, dunque, di compiti e funzioni che si sono ampliati a dismisura negli ultimi tempi e che hanno visto l'impegno di tutti i colleghi coinvolti a livello nazionale, che sono soltanto uno sparuto numero, circa 2.500. Nella tabella che trovate in allegato al documento che lascerò per memoria, potete ben vedere che nell'ultima rilevazione del 2010 effettuata dal Ministero della salute, i farmacisti risultano in carico soltanto per 2.500 unità in tutto il Servizio sanitario nazionale, a fronte, per esempio, di 5.400 veterinari, di 5.800 psicologi e via elencando. Sono numeri che non ci aiutano nello svolgere tutti i compiti delicati che ho citato. Naturalmente, noi sosteniamo che l'implementazione dei Piani di miglioramento non potrà essere garantita, se non verrà posta la giusta attenzione nei riguardi dei servizi farmaceutici, che dovranno essere adeguatamente potenziati.
  Consentitemi solo un esempio per spiegarvi quello che sta succedendo e che ci discosta di fatto dalla teoria e dal comportamento che le norme ci dovrebbero spingere ad adottare. La raccomandazione n. 14 del Ministero della salute ci vede nettamente al centro dell'attenzione nella gestione delle terapie oncologiche, con la necessità di centralizzare tali terapie. I fattori che il Ministero stesso ha preso in considerazione sono prevalentemente strutturali e ambientali, ma anche gestionali ed economici. Sussistono oggettive difficoltà di applicazione di questa raccomandazione n. 14, per motivi sia logistici, sia organizzativi. Bisogna ricordare che all'interno delle strutture private non c’è nemmeno l'obbligo dei farmacisti e delle farmacie e che anche le stesse strutture pubbliche non sono ancora adeguate per numero di unità in organico.
  Per quanto concerne la raccomandazione n. 14, il punto caldo, che può interessare Pag. 26anche i lavori di queste Commissioni, è il possibile recupero economico. Le terapie antiblastiche, se centralizzate, possono produrre risparmi legati alla diminuzione dei danni al paziente e agli operatori, ai premi assicurativi, agli scarti di produzione, agli sprechi dovuti alla scarsa organizzazione e al tempo dedicato ad eseguire calcoli e trascrizioni cartacee. Possono, dunque, rientrare nell'adozione delle procedure legate al risk sharing e al payment by result che ricordavo prima e risultare utili per un recupero economico consistente. Vi ricordo che si tratta di circa 3 miliardi di euro gestiti in ambito oncologico solo per i farmaci.
  Il punto caldo che noi rileviamo è che, nonostante le diverse raccomandazioni e normative relative alla sicurezza prevedano la centralizzazione della lavorazione delle miscele antiblastiche, in realtà le unità di fabbricazione degli antiblastici centralizzate si trovano al Nord in un rapporto di 1 a 3 rispetto alle oncologie, al Centro in un rapporto di 1 a 3,5 e al Sud addirittura in un rapporto di 1 a 7, con una media di 1 a 5 in tutta Italia. Questo naturalmente la dice lunga su quanto poco si possa realizzare con queste risorse.
  Quali sono gli interventi strategici che noi intendiamo sottolineare e suggerire a queste Commissioni ? Il primo è quello di aumentare la sorveglianza sulla spesa farmaceutica, ospedaliera e territoriale attraverso un monitoraggio intensivo delle innovazioni, soprattutto perché il tema dell'innovatività non sempre coincide con quello delle novità poste sul mercato. Si richiedono, quindi, attente analisi di HTA, un'adeguata informazione indipendente e una gestione di rischio clinico e di farmacovigilanza. Bisogna soltanto garantire l'assistenza farmaceutica nel suo complesso, andando a investire in campi sui quali a tutt'oggi non si è decisamente posta un'adeguata attenzione.

  PRESIDENTE. Molte grazie. Chiedo scusa se devo esercitare un ruolo assolutamente antipatico, ma vi chiederei, se fosse possibile, dal momento che queste non sono le prime audizioni e che ovviamente molti dei problemi sollevati sono conosciuti alle Commissioni, di soffermarvi sugli elementi che, in merito alla sostenibilità complessiva del sistema, voi ritenete che riguardino fondamentalmente il vostro angolo di visuale, in modo da proporli nella maniera più stimolante possibile ai colleghi commissari.
  Do la parola, per Assobiomedica, all'ingegner Stefano Rimondi.

  STEFANO RIMONDI, Presidente di Assobiomedica. Grazie, presidente, per la convocazione. Entrerei subito nel merito rispondendo alla sua sollecitazione e svolgendo una brevissima descrizione di Assobiomedica.
  Noi siamo l'associazione di categoria di Confindustria che si occupa di tutte le aziende produttrici e distributrici di dispositivi medici. Per dispositivo medico intendiamo una gamma vastissima di prodotti, praticamente tutti i prodotti non farmaci che entrano in tutti i percorsi diagnostico-terapeutici. Abbiamo oltre 250 associati e oltre 30.000 dipendenti ad altissima qualificazione, perché il nostro è un settore che vive fondamentalmente di innovazione. Il ciclo di vita di un dispositivo medico in genere è di pochi anni. Abbiamo visto che ogni tre anni il 50 per cento dei dispositivi si rinnova. L'altro aspetto che caratterizza il settore è l'estrema varietà dei prodotti, sia come tipologia – si va dal cerotto alla risonanza magnetica nucleare – sia come numero di prodotti. Abbiamo decine di migliaia di famiglie di prodotti e molti milioni di codici.
  Si tratta di un settore che sta vivendo un momento particolarmente negativo. Stiamo parlando di molte aziende, anche multinazionali, che hanno dovuto iniziare un percorso di mobilità, di cassa integrazione e di licenziamenti. Vorrei svolgere una considerazione che non è forse simpatica, ma tutti ci siamo preoccupati, come cittadini, delle problematiche occupazionali che riguardano i grandi distretti industriali. Pensiamo all'Ilva di Taranto. La nostra stima è che i provvedimenti di spending review che si sono abbattuti sul Pag. 27nostro settore provocheranno nel giro di due anni una perdita di posti di lavoro assolutamente paragonabile a quella che si sta verificando nella realtà industriale che ho citato.
  La difesa che noi facciamo del nostro settore non è disgiunta, e vengo al tema che lei citava, da una difesa del Servizio sanitario nazionale e del suo valore, che era un valore riconosciuto a livello mondiale. Il nostro sistema sanitario nazionale è stato oggetto di studio e di tentativi di clonazione e di replica dei suoi successi da parte di moltissimi Paesi. Dall'Organizzazione mondiale della sanità, fino a pochi anni fa, il nostro era ancora considerato il secondo sistema sanitario al mondo per qualità e per rapporto qualità/costi.
  I provvedimenti di spending review, lo ripeto, si sono abbattuti in generale sul settore. Noi abbiamo da subito dichiarato che si trattava di provvedimenti ingiusti nei confronti dei cittadini, che perdevano il valore delle cure prestate, e pesantemente recessivi per l'economia nazionale, oltre che ingiustificati dal punto di vista dei numeri relativi alla sostenibilità.
  Ci sono diversi parametri con i quali si può valutare l'impatto del Servizio sanitario nazionale e, quindi, della spesa pubblica per la sanità; nel position paper che lasceremo al termine di questa audizione ne abbiamo citati tre fondamentali: l'incidenza percentuale sul prodotto interno lordo, la spesa pro capite e il trend di incremento, sempre come incidenza sul PIL, degli ultimi dieci anni. Su tutti e tre questi parametri il Servizio sanitario nazionale è di gran lunga molto più virtuoso della media europea a 27 – oggi a 28 – e assolutamente più economico e, per usare un brutto termine, «risparmioso» rispetto alle economie di riferimento con le quali dovremmo confrontarci, quelle di Gran Bretagna, Francia e Germania. Non si capisce bene, quindi, in base a quali criteri si sia ritenuto che la sanità fosse un settore su cui intervenire con tagli lineari pesanti come quelli che abbiamo verificato. Ripeto, non esistevano le premesse numeriche per questo tipo di intervento.
  Nell'ambito di un attacco generalizzato al Servizio sanitario nazionale ci sono state pesantissime manovre nei confronti dei dispositivi medici, in particolare con un'adozione di prezzi di riferimento assolutamente svincolati da qualunque logica, che giustamente il TAR del Lazio ha cassato, e con l'identificazione di tetti di spesa del tutto disgiunti da qualunque realistica valutazione del settore.
  Noi chiediamo, quindi, nell'ambito di un discorso più generale di difesa del valore universalistico del Servizio sanitario nazionale, che ci sia una valorizzazione del settore che rappresentiamo per le sue valenze, per la sua capacità di generare occupazione qualificata, di assumere costantemente neolaureati e di portare elementi di benessere ai pazienti.
  Il settore dei dispositivi esiste non da una vita, ma da cinquant'anni. Negli ultimi cinquant'anni, non casualmente, l'aspettativa di vita, grazie al miglioramento dei percorsi diagnostico-terapeutici generati anche e soprattutto dai nostri prodotti, è aumentata di dieci anni. Dieci anni in cinquanta sono un risultato eccezionale. Non vorremmo che la politica dei tagli portasse a una regressione rispetto a questo trend positivo.
  Noi, lo ripeto, viviamo di innovazione, ma l'innovazione ha senso e le aziende continueranno a fare ricerca e a investire solo se vedranno un possibile sbocco sul mercato. Nessuno investe pensando che il frutto dell'investimento, il prodotto derivante dall'innovazione e dalla ricerca e sviluppo, non trovi uno spazio di mercato. Sono soprattutto le piccole e medie imprese, la tipologia di aziende più importante nel nostro settore, quelle che apportano innovazione e che devono trovare spazi sul mercato. Questo significa chiedere, e lo chiediamo, una politica di acquisti che garantisca appropriatezza e trasparenza. E noi siamo disponibilissimi a collaborare perché ci sia massima trasparenza e massima appropriatezza, ma senza porre barriere di immissione al mercato, per esempio, con gare centralizzate massificate, che selezionano in genere pochissimi grandi gruppi multinazionali ed Pag. 28escludono dall'accesso al mercato le piccole e medie aziende italiane innovative. In tal modo si corre un gravissimo rischio di creare monopoli od oligopoli. Noi riteniamo che il rischio di creare monopoli e oligopoli nel medio-lungo termine finisca anche per essere un grave fattore di incremento dei costi, che è proprio quello che, invece, si vorrebbe andare a colpire.
  Ribadiamo, dunque, da parte delle nostre aziende la massima disponibilità a contribuire con le nostre esperienze e le nostre conoscenze a tutti i criteri di ottimizzazione di tutte le fasi di approvvigionamento del Servizio sanitario nazionale, condividendo, però, un'ottica di accesso all'innovazione che è bene per le aziende, ma soprattutto è bene per la salute dei cittadini.

  PRESIDENTE. Grazie. È arrivata anche Federfarma per l'ultima delle audizioni che avevamo in programma. Chiederei alla dottoressa Racca, non appena ha preso possesso della sua postazione, di intervenire.
  Dottoressa, noi la ringraziamo anticipatamente se vorrà farci avere un contributo scritto sulle considerazioni che ci proporrà. Le chiediamo la massima sintesi, se possibile, ossia di contenere entro i 5-7 minuti il suo intervento, in modo da poter consentire poi gli interventi dei colleghi che volessero porre domande.

  ANNAROSA RACCA, Presidente di Federfarma. Presidente, la ringrazio e ci scusiamo. Era presente comunque Alfredo Orlandi, presidente delle piccole farmacie. Abbiamo consegnato alla segreteria un documento. In pochi minuti vorrei spiegare che cosa sono le farmacie italiane.
  Le farmacie italiane sono più di 18.000 e il loro numero è destinato ad aumentare in seguito ai concorsi che sono stati banditi in attuazione del decreto-legge n. 1 del 2012, Cresci Italia. Le farmacie si trovano in tutti gli 8.000 comuni italiani, nelle grandi città e nelle piccole città. Si tratta di 50.000 farmacisti e di 64.000 persone che complessivamente lavorano nel settore.
  Che cosa facciamo ? Noi dispensiamo farmaci. Siamo una grande rete interamente collegata. Monitoriamo i consumi, forniamo allo Stato, al Ministero dell'economia e delle finanze, dati sulla spesa farmaceutica ed eroghiamo servizi, facendo uno straordinario lavoro di farmacovigilanza. È anche merito nostro se in questo Paese non ci sono farmaci contraffatti. Noi siamo, quindi, un punto dello Stato. Le farmacie sono punti sanitari delegati dallo Stato italiano.
  Dobbiamo parlare di obiettivi di finanza. Noi abbiamo una situazione economica difficile, in cui stiamo constatando i primi fallimenti delle farmacie. Si stima che siano circa 3.000 le farmacie in difficoltà e che 600 siano vicine addirittura al fallimento. Il motivo è che abbiamo una spesa che negli anni è continuamente diminuita, dal 2001 fino al 2013, addirittura con un calo molto importante, del 20-25 per cento. Anche nei primi sei mesi del 2013 questa spesa continua a scendere.
  A differenza di tutte le altre spese della sanità, questa è l'unica che ha fatto registrare un decremento. Tale decremento è dovuto al fatto che la farmaceutica convenzionata è stata continuamente tagliata. Anche nell'anno scorso è stato effettuato un taglio che ha addirittura portato dal 13,1 all'11,3 per cento, con un meno 15 per cento. Sono continuamente aumentate le trattenute delle farmacie, fino ad arrivare a una situazione che ha praticamente azzerato il margine.
  Inoltre, è aumentata molto la distribuzione diretta, ossia la distribuzione dei farmaci che viene effettuata in ospedali e AASSLL. Ciò comporta costi aggiuntivi e un impatto sociale molto importante sui pazienti, i quali spesso e volentieri devono compiere lunghi chilometraggi oppure sostenere lunghe attese, perché, a differenza della farmacia, che è aperta ventiquattr'ore su ventiquattro, la distribuzione in questi luoghi è aperta in poche ore della giornata.
  Nel documento che vi abbiamo consegnato abbiamo cercato di mostrarvi come non siano rispettati i LEA e come nelle diverse parti del Paese ci sia una differenziazione Pag. 29delle modalità di accesso al farmaco. Se prendiamo alcuni farmaci, come le bicalutamide, epoetine e i farmaci dell'Alzheimer, potrete vedere nel documento come la modalità di accesso sia diversa. Un cittadino di Milano, che è la mia città, ha un trattamento diverso da uno di Roma o di qualsiasi altra regione italiana. Gli vengono erogati i farmaci in posti diversi e con modalità e ticket completamente differenti.
  Questa situazione continua a peggiorare. Se si trattava di 4 miliardi di euro nel 2008-2009, adesso la spesa è arrivata a 7 miliardi di euro.
  Che cosa bisogna fare ? Dobbiamo sicuramente arrivare a portare questi farmaci, i farmaci di uso ormai consolidato, che prima venivano venduti negli ospedali e nelle AASSLL, all'interno di un sistema di distribuzione più facile per i cittadini. Dobbiamo, quindi, arrivare a un nuovo sistema di remunerazione della farmacia italiana che riconferisca centralità al medico di medicina generale, assicuri la completa tracciabilità dei farmaci stessi e rinforzi il rapporto delle farmacie col territorio, riservando naturalmente una maggiore attenzione al paziente.
  Come ultimo punto – mi sembra di essere stata velocissima – che cosa possono fare le farmacie per la sostenibilità del sistema ? Le farmacie hanno una nuova legge, entrata in vigore due anni fa. Abbiamo bisogno che queste normative e che questi servizi abbiano una convenzione, che siano convenzionati. Le farmacie possono e devono essere coinvolte nell'assistenza domiciliare. Le farmacie devono ancora di più occuparsi di garantire l'aderenza del paziente alla terapia. Le farmacie devono fare alcuni screening, dobbiamo utilizzarle per fare maggiori screening, perché questi rappresentano un grande risparmio e sono molto importanti nei programmi di educazione sanitaria e prevenzione. Dobbiamo rinforzare i test diagnostici di prima istanza, proprio per monitorare lo stato di salute e, infine, dovremmo cercare di arrivare a una prenotazione di visite specialistiche ed esami tramite il CUP in tutte le farmacie italiane.
  Io penso che la farmacia sia pronta, per via di quello che dicevo all'inizio, ossia per la sua grande rete. La farmacia ha sempre dimostrato di essere, negli anni, vicina alla gente e di portare risparmio per il sistema sanitario nazionale.
  Noi siamo punti del sistema sanitario nazionale. Sicuramente una nuova farmacia più territoriale e vicina ai bisogni della gente, nell'aderenza alla terapia, nelle figure professionali nuove, ma soprattutto nella distribuzione del farmaco, può portare il proprio contributo a questo Paese.

  PRESIDENTE. Grazie, dottoressa. Chiederei ai colleghi se ci sono domande che vogliono rivolgere agli ospiti di quest'ultima sessione di audizioni. Immagino la stanchezza, giustificata e comprensibile. Abbiamo sentito osservazioni interessanti e forse, per alcuni versi, differenti da quelle delle altre audizioni. Forse può esserci un'esigenza di approfondimento, colleghi.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MARIA AMATO. Quali sono, in termini economici, i risultati del progetto sperimentato relativo alla presenza del farmacista nel dipartimento e soprattutto quali vantaggi, in termini di gestione e di ricaduta economica, ci sono stati nei differenti dipartimenti ? Io mi immagino, per esempio, il peso che può avere il farmaco utilizzato con un migliore criterio anche nell'ottica della ricaduta economica nei dipartimenti oncologici o l'impatto che può avere nel dipartimento di formazione delle immagini.
  Volevo sapere se ci sono dati oggettivi e se questo tipo di esperienza, secondo voi, è riproducibile e, se lo è, se è riproducibile con effetto.

  ANNAROSA RACCA, Presidente di Federfarma. Penso che questa risposta spetti più al dottor Pace che a me. Sulla farmacia possiamo portare risparmi che arrivano fino al 20 per cento tra il prescritto e l'erogato.

Pag. 30

  MAURIZIO PACE, Segretario della Federazione ordini farmacisti italiani. Grazie per la domanda, onorevole. Noi abbiamo portato avanti, come Federazione, un progetto promosso proprio dal Ministero della salute, grazie alla collaborazione, come dicevo poco fa, del SIFO, ossia della Società italiana di farmacia ospedaliera. Questo progetto è stato portato avanti in cinque ospedali italiani, tra cui Le Molinette di Torino e un altro ospedale pediatrico di Taormina. Le farò avere il testo che abbiamo pubblicato. In termini numerici oggi non sono nella condizione di risponderle, ma le posso riferire che l'obiettivo del progetto era quello di dimostrare il ruolo del farmacista quale strumento per la prevenzione degli errori in terapia e dell'implementazione delle politiche del governo clinico.
  Ai fini del monitoraggio, del controllo e del finanziamento il farmacista del dipartimento trova utile collocazione non solo in ambiti specialistici, ma anche in quello oncologico. In particolare, gioca un ruolo nell'appropriazione prescrittiva, verificando che le prescrizioni siano conformi ai registri dei farmaci oncologici sottoposti al monitoraggio delle prescrizioni off-label, ossia che vengono a essere utilizzati fuori dalle indicazioni fornite dall'AIFA. Ogni farmaco ha alcune indicazioni per cui il medico lo può prescrivere, ma sono state scoperte risposte farmacologicamente attive anche al di fuori degli schemi posti dall'AIFA. Tali indicazioni vengono implementate in questi studi e il farmacista diventa importante nella collaborazione quotidiana col medico.
  Il farmacista è utile anche nell'ottimizzazione della gestione dei farmaci di reparto, nella rilevazione periodica delle giacenze di reparto, nella gestione del prontuario terapeutico di reparto e nella riduzione del valore in euro delle scorte di farmaci nell'armadio dello stesso reparto.
  Sono stati studiati anche gli strumenti. Uno mi è stato presentato quindici giorni fa proprio a Trento. Un grosso distributore intermedio ha predisposto un programma informatico in cui le scorte dei farmaci necessari in un determinato reparto potevano essere benissimo gestite direttamente dal distributore intermedio, senza che la farmacia ospedaliera facesse alcun tipo di magazzino. Se venivano a essere, per esempio, utilizzati 24 flaconi di soluzione fisiologica in un determinato reparto, e questi finivano e si andava sotto scorta, nel giro di poche ore era possibile riaverli. Faccio un esempio banale per farle capire. L'ospedale non doveva cioè caricarsi di 2-3.000 confezioni al mese di acquisto di questi prodotti, che possono anche andare in scadenza.
  La sicurezza di questo trattamento farmacologico comporta una diminuzione della riospedalizzazione per eventi avversi, a causa di eventuali ricadute da parte dei pazienti, perché i pazienti vengono seguiti sempre in équipe con i medici. Il farmacista lavora in équipe col medico, con lo psichiatra e con l'infermiere in reparto. Tutto questo ha dimostrato che il paziente veniva seguito con particolare attenzione e che non c'era la possibilità di reazioni avverse da farmaci.
  In termini economici, anche se lei capisce che è stato un progetto durato solo alcuni mesi, un anno in tutto, si sono realizzati risparmi, dei quali parlano molto bene i dati a livello europeo, che le potremo fare avere e che rappresentano la vera risorsa. Prova ne è il fatto che in molti ospedali europei, e sicuramente fuori dall'Europa, la presenza del farmacista in reparto è diventata fondamentale. Il farmacista è in visita insieme al medico dentro tutti i reparti e durante le visite è lui che decide la prescrizione, insieme al medico, dell'antibiotico e del tipo di antibiotico specifico per la particolare patologia. Chi conosce la chimica farmaceutica e la farmacologia è il farmacista
  In Sicilia abbiamo un'esperienza vivente, l'ISMETT di Palermo – io sono siciliano e, quindi, mi avete compreso – che è in collegamento con un grosso ospedale americano. È l'unica struttura dove è presente un numero di farmacisti talmente elevato, perché vengono dalla cultura americana, da essere superiore a quello di tutti i farmacisti presenti nella provincia di Palermo in tutti gli ospedali. Pag. 31All'ISMETT di Palermo hanno ritenuto che la presenza del farmacista sia veramente significativa in termini di risparmio per la stessa gestione del farmaco in reparto.
  Spero di essere stato chiaro. Saremo comunque più precisi e faremo avere al presidente e ai componenti delle Commissioni copia del lavoro prodotto dal Ministero in concerto con la SIFO e con la Federazione ordini.

  PRESIDENTE. Sarà utilissimo. Avremo modo di farlo girare a tutti, se lei ce lo farà avere.
  Se non ci sono altre domande, io ringrazio sia i colleghi componenti delle Commissioni per la loro disponibilità, sia gli ospiti, che sono stati estremamente interessanti.
  A loro rivolgo la calda preghiera di farci avere tutto ciò che ritengono che, come documentazione scritta, possa esserci utile, in modo che possa essere fatto girare alle e-mail dei singoli componenti delle Commissioni e possa essere spunto di riflessione sul tema che stiamo affrontando. Grazie infinite.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 18.45.