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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V e XII)

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Lunedì 16 settembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

LA SFIDA DELLA TUTELA DELLA SALUTE TRA NUOVE ESIGENZE DEL SISTEMA SANITARIO E OBIETTIVI DI FINANZA PUBBLICA

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle province autonome.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Marroni Luigi , Assessore per il diritto alla salute della regione Toscana ... 3 
Boccia Francesco , Presidente ... 8 
Palese Rocco (PdL)  ... 8 
Marchi Maino (PD)  ... 10 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 11 
Boccia Francesco , Presidente ... 12 
Marroni Luigi , Assessore per il diritto alla salute della regione Toscana ... 12 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 13 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Baroni Massimo Enrico (M5S)  ... 13 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 
Marroni Luigi , Assessore per il diritto alla salute della regione Toscana ... 13 
Boccia Francesco , Presidente ... 13 

Audizione di rappresentanti della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 14 
Pellegrini Laura , Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM) ... 14 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 19 
Palese Rocco (PdL)  ... 20 
Miotto Anna Margherita (PD)  ... 20 
Marchi Maino (PD)  ... 20 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 20 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 21 
Pellegrini Laura , Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM) ... 21 
Marchi Maino (PD)  ... 21 
Pellegrini Laura , Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM) ... 21 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 21 
Pellegrini Laura , Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM) ... 21 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 22 

Audizione di rappresentanti di Confindustria:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 22 
Panucci Marcella , Direttore generale di Confindustria ... 22 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 26 
Palese Rocco (PdL)  ... 26 
Tabacci Bruno (Misto-CD)  ... 27 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 28 
Panucci Marcella , Direttore generale di Confindustria ... 28 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 28 

Audizione di rappresentanti della CONSIP:
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 28 
Baffi Giuseppina , Presidente della CONSIP ... 28 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 30 
Tabacci Bruno (Misto-CD)  ... 30 
Palese Rocco (PdL)  ... 34 
Cecconi Andrea (M5S)  ... 34 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 34 
Casalino Domenico , Amministratore delegato della CONSIP ... 35 
Baffi Giuseppina , Presidente della CONSIP ... 36 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 36 

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA):
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 37 
Siviero Paolo , Responsabile area strategia e politiche del farmaco dell'AIFA ... 37 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 41 
Marchi Maino (PD)  ... 41 
Binetti Paola (SCPI)  ... 41 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 42 
Siviero Paolo , Responsabile area strategia e politiche del farmaco dell'AIFA ... 42 
Vargiu Pierpaolo , Presidente ... 44

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 16.50.

  (Le Commissioni approvano il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle Regioni e delle province autonome.
  Sono presenti il dottor Marroni, assessore per il diritto alla salute della regione Toscana, il dottor Maritati, dirigente della regione Veneto, l'ingegner Romeri, dirigente della regione Toscana, la dottoressa Principe, dirigente per la salute e politiche sociali della Conferenza, il dottor Alessandrini, dirigente responsabile dei rapporti con il Parlamento della Conferenza, il dottor Mirabelli, capo ufficio stampa della Conferenza.
  Do la parola agli auditi.

  LUIGI MARRONI, Assessore per il diritto alla salute della regione Toscana. Signor presidente, onorevoli membri delle Commissioni, buon pomeriggio. Grazie dell'invito e dell'opportunità di poter esporre in questa sede alcune opinioni e alcuni pensieri sull'argomento.
  Garantire livelli adeguati di assistenza sanitaria tenendo conto delle risorse finanziare è l'impegno delle regioni e delle province autonome, che quotidianamente sono impegnate su questo fronte. Naturalmente si ritiene indispensabile riuscire a garantire l'universalità e la sostenibilità del Servizio sanitario nazionale.
  All'interno di tale quadro occorre dunque procedere ad una declinazione di questo principio, quindi riteniamo che si dovranno fornire indirizzi precisi, in considerazione di una concatenazione di più elementi di natura diversa, ma che nell'insieme determinano il successo dell'erogazione delle prestazioni socio-sanitarie ai nostri cittadini.
  Li elenco brevemente, ma poi avrò modo di approfondirli: la determinazione del Patto per la salute; il tema dell'edilizia sanitaria e degli investimenti; la questione dei costi standard; la compartecipazione alla spesa; il focus sui piani di rientro; la revisione dei LEA e LIVEAS; questioni inerenti l'assistenza territoriale e ospedaliera; la gestione e lo sviluppo delle risorse umane; il sistema di controllo e certificazione dei bilanci delle aziende sanitarie. Sostanzialmente, si tratta dello spettro intero delle attività su cui le regioni e le province autonome sono impegnate.Pag. 4
  Riguardo all'universalità del sistema, la responsabilità pubblica, la tutela della salute, l'universalità di accesso ai servizi sanitari e il finanziamento pubblico costituiscono tuttora principi fondamentali per le regioni e le province autonome.
  Naturalmente, però, si vive la complessità di dover garantire questa situazione. Ad esempio, nel 2013 c’è stata una riduzione reale e numerica di almeno un miliardo di euro rispetto all'anno precedente. Quindi in questa fase si ritiene di dover affermare il fatto che la crisi economica che stiamo vivendo, pur nella sua difficoltà e drammaticità, non possa e non debba mettere in discussione il sistema universalistico e solidaristico del nostro Servizio sanitario nazionale.
  Passando ai numeri, parliamo anzitutto della sostenibilità del Servizio sanitario nazionale: viviamo in una situazione in cui le ultime manovre finanziarie hanno agito profondamente sul fabbisogno sanitario del sistema, vanificando quanto era stato stabilito nel Patto per la salute 2010-2012 e generando indiscutibili effetti, anche negativi, sulla capacità di erogazione di essenziali servizi di assistenza.
  Se prendiamo, ad esempio, il 2012, già con la legge di stabilità e la manovra finanziaria del 2011 il fondo delle risorse finanziarie è passato da 111,8 a 109,6 miliardi e poi, per effetto della spending review, è sceso a 107,9 miliardi. Quindi, vi è stato un calo complessivo. La manovra del 2011 ha altresì comportato un intervento sui ticket, attraverso il cosiddetto «super ticket», mentre successivamente sono state introdotte ulteriori misure che hanno aggravato, anche indirettamente, la questione dei conti della sanità, quali l'aumento dell'IVA, delle accise sulla benzina o delle tariffe per beni e servizi regolamentati.
  Nel 2013, sempre per effetto della cosiddetta spending review e con la successiva legge di stabilità, la n. 228 del 2012, il Fondo sanitario nazionale è stato ridotto ancora di 1,8 miliardi e poi di ulteriori 600 milioni. Si ricorda inoltre che a normativa vigente è prevista un'ulteriore riduzione, rispetto al trend del Patto per la salute, di 2 miliardi di euro per l'anno 2014 e di 2,1 miliardi per l'anno 2015.
  Sostanzialmente, come si può osservare dalla tabella in distribuzione, nel 2006 fu approvato il primo Patto per la salute, che prevedeva un fondo di 93 miliardi; negli anni successivi si è registrato, rispettivamente, un incremento di tale fondo del 4,7 per cento, del 4 per cento e del 3 per cento. Si è così arrivati al 2009, quando è stato siglato l'ultimo Patto per la salute, quello relativo agli anni 2010-2012, che hanno fatto viceversa registrare, rispettivamente, un incremento dell'1,1 per cento, dell'1,3 per cento e dell'1 per cento. Per quest'anno abbiamo invece un valore di meno 0,9 per cento. C’è stata quindi una fortissima diminuzione rispetto alla previsione iniziale e una diminuzione in termini reali.
  Se si considera che il tendenziale inflattivo dei costi della sanità oscilla tra il 2,5 e il 3 per cento, siamo in una fase di fortissima sofferenza in termini di risorse finanziarie. A ciò si aggiunge l'introduzione del ticket per il prossimo anno nella misura di 2 miliardi di euro, rispetto alla quale vi è tuttavia stato l'impegno del Governo, ribadito anche dal Ministero dell'economia e delle finanze, a non procedere e a reperire risorse alternative. Sebbene non sia stato formalizzato, tale impegno c’è.
  Come detto, assistiamo ad un aumento sempre più livellato, addirittura ad una diminuzione del Fondo sanitario, mentre tutte le nostre aziende sono esposte comunque a un trend inflattivo. Peraltro, sono state introdotte normative che hanno aggravato in maniera notevole la questione del Fondo, la cui dotazione è già in calo. Cito, ad esempio, il decreto legislativo n. 118 del 2011, che riguarda la ridefinizione di una serie di regole contabili nel settore sanitario nonché in riferimento a diversi enti; la suddetta ridefinizione decorre dal 2014 per molti enti, ma per la sanità è stata anticipata al 2012. Il decreto pone, soprattutto sulla questione degli investimenti e degli ammortamenti, ma non Pag. 5solo su quella, una serie di norme e regole assolutamente punitive che hanno lo scopo di comprimere il sistema. Se lo scopo era questo, è stato raggiunto con pieno successo.
  Come regioni abbiamo presentato, rispetto al patto di stabilità dello scorso anno, un emendamento molto articolato al decreto n. 118 sulla questione degli ammortamenti, accolto sia pure in minima parte. Avevamo stimato che su base nazionale l'introduzione di questo decreto legislativo in materia di contabilità, andando di fatto a incidere su costi non operativi ma contabili, e tuttavia complessivamente deprimendo il sistema, si traduceva in un aggravio di costi. Di fatto, essendo costi contabili ciò si traduce in un'aggiunta di costi e, in definitiva, in una riduzione di risorse comprese tra 1,3 e 1,5 miliardi di euro. Virtualmente o indirettamente, questo si è pertanto tradotto in un taglio ulteriore di circa 1,3-1,5 miliardi.
  A questo va aggiunta – sebbene indirettamente, ciò grava sempre su una situazione già appesantita – la riduzione drastica da parte del Governo dei fondi relativi al sociale, quindi anche alla non autosufficienza. Molte regioni, direi quasi tutte, suppliscono a questa carenza in maniera indiretta, anche tramite i fondi della sanità, soprattutto nel settore della non autosufficienza e dell'assistenza alle persone anziane. Di fatto, questo è un ulteriore aggravio.
  Ultima – ma non ultima – questione, su cui c’è stata anche una sentenza della Corte europea la scorsa primavera-estate, riguarda la legge n. 210 del 1992 sulle pensioni e gli indennizzi da riconoscere alle persone che hanno avuto danni da trasfusioni o vaccinazioni. La Corte europea ha stabilito un principio che tutti già conoscevamo, ossia che è lo Stato, il Governo centrale a corrispondere le pensioni e non le organizzazioni sanitarie. Da due o tre anni questi indennizzi sono a carico del Servizio sanitario.
  In conclusione, abbiamo avuto una serie di tagli numerici effettivi che hanno determinato il suddetto trend di appiattimento e di calo della curva valutato in una riduzione di circa 31 miliardi di euro fra il 2011 e il 2015. Oltre a ciò, vi è stata anche una serie di aggravi di costi, diretti o indiretti, che hanno compresso ulteriormente il sistema.
  Ovviamente la nostra richiesta è di sostenere nuovamente il finanziamento del Fondo sanitario e di alleggerire – al riguardo dirò qualcosa dopo – questa sovrastruttura che si è creata dal punto di vista dell'aggravio indiretto dei costi, in applicazione di un insieme di normative che comprimono il sistema.
  Quello del Patto per la salute, e delle sue carenze, è un tema noto. Come si sa, lo scorso anno le regioni hanno declinato una sua discussione chiedendo che venissero esaminati – circostanza poi non realizzatasi – alcuni aspetti preliminari; quest'anno invece gli elementi preliminari, soprattutto il ticket di 2 miliardi di euro, sono stati affrontati. Da metà luglio al 1 ottobre sono stati avviati i lavori di dieci commissioni congiunte – Governo e regioni – che in tempi ragionevolmente rapidi dovranno giungere su tutta una serie di argomenti, alcuni dei quali sto qui trattando, ad alcune scelte e definizioni di ciò che deve intendersi per Patto per la salute. Credo che questo sia un metodo molto importante, in primo luogo perché consente di riportare ad una certa normalità lo svolgersi di questi eventi e di questi accordi, in secondo luogo perché probabilmente c’è bisogno di strumenti innovativi che garantiscano, da un lato, un futuro certo e, dall'altro, misure per affrontare la crisi e l'attuale situazione economica. È il momento di avere probabilmente visioni più creative su alcuni dei temi che stiamo affrontando.
  Un tema di grande importanza è quello dell'edilizia sanitaria, dal punto di vista sia degli investimenti sia della sua sostenibilità. Sostanzialmente non ci sono più finanziamenti cui accedere, se non quelli residui di cui all'articolo 20 della legge n. 67 del 1988. Il Ministero della salute stima in 5 miliardi di euro il fabbisogno per i prossimi tre anni; considerando che Pag. 6le regioni stimavano la cifra di 1,5 miliardi all'anno per tre anni, il valore sostanzialmente è lo stesso.
  Il tema sta diventando cruciale perché, da un lato, c’è un piano di investimenti per strutture nuove da costruire, dall'altro, c’è, in particolare, un enorme patrimonio edilizio da riqualificare e, prima ancora, da mettere in sicurezza ai sensi della normativa antincendio, per non parlare di quella antisismica, che aprirebbe un ulteriore scenario di grande preoccupazione, naturalmente dal punto di vista del finanziamento, tralasciando la questione della sicurezza in sé. Sappiamo che la grandissima parte delle strutture sanitarie, come quella degli enti pubblici in generale, è molto carente da questo punto di vista. Al momento non c’è alcun segnale che questa esigenza possa trovare adeguati finanziamenti. Noi crediamo che sia una questione da trattare un po’ a parte, se vogliamo quasi come una sorta di piano di grandi opere pubbliche più che come un aspetto di interesse esclusivo della sanità.
  Si potrebbero anche studiare forme alternative come i fondi immobiliari, gestiti naturalmente dagli enti pubblici, dallo Stato, o trovare un aiuto attraverso le dismissioni, perché sappiamo che spesso si parla di dismissioni di vecchie strutture, potenzialmente molto appetibili ma di fatto impraticabili. Viviamo una situazione di blocco reciproco, nel senso che tutti sanno che le dismissioni si dovrebbero fare, ma poi sono anni che non si riescono a sbloccare.
  Quello dei costi standard è un tema entrato nel vivo da qualche mese. Il percorso si riferisce alla definizione dei costi standard della sanità; in virtù di tale percorso, a decorrere dal 2013, una volta stabiliti i costi e i fabbisogni standard prendendo come riferimento tre regioni selezionate secondo un certo processo, ciò dovrebbe servire per la determinazione del riparto del Fondo sanitario tra le regioni sin da quest'anno. Quindi, da un lato c’è questo processo, che in qualche modo fa riferimento a una legge, dall'altro sono state avanzate da parte di alcune regioni una serie di osservazioni su taluni elementi.
  In primo luogo, sui criteri di accesso alla classifica e quindi alla selezione delle regioni da prendere come esempio, non ci fu accordo fra le regioni e lo Stato perché le regioni chiesero di tenere conto anche di un principio geografico, oltre ai parametri già individuati, ma appunto non venne raggiunto un accordo.
  In secondo luogo, si ritiene che alcuni dei criteri debbano essere aggiornati e rivisti. Mi permetto di ricordare che tra tutte le regioni ne vengono scelte cinque e che poi, di queste cinque, ne vengono scelte tre. Per accedere al gruppo delle cinque c’è un prerequisito che riguarda il pareggio di bilancio per l'anno 2011: chi accede entra in classifica e viene valutato, mentre tutti gli altri non vengono valutati.
  Alcuni ritengono che questo sia un po’ fuorviante. Inoltre – e queste sono anche le opinioni della regione Toscana – poiché questi requisiti economici sono basati su un anno, il 2011, per il quale non erano ancora stati definiti princìpi contabili uniformi per tutta Italia, introdotti appunto dal decreto legislativo n. 118 di cui si è già parlato, né c'era una regola di omogeneizzazione, di valutazione e di consolidamento del bilancio, si può ritenere che questi dati non siano tra di loro molto confrontabili.
  Ci sono alcuni aspetti insomma che, a giudizio di molti, andrebbero meglio approfonditi e discussi.
  Venendo al tema della revisione della compartecipazione alla spesa, viviamo una situazione che si è un po’ stratificata, caratterizzata dai ticket storici cui si è aggiunta la manovra del 2011 con il cosiddetto «super ticket», che ogni regione ha poi regolato secondo le proprie scelte. C'era la grande paura che dovesse entrare in vigore anche la seconda tranche di quella legge, l'anno prossimo, ma come dicevo abbiamo ricevuto rassicurazioni dal Ministero della salute e dal Ministero Pag. 7dell'economia e delle finanze circa il fatto che non si procederà all'adozione di tale intervento.
  Sta di fatto che il sistema dei ticket è cresciuto in questo modo, determinando le strutture complessive del sistema. È oggetto continuo di discussione sui giornali il fatto che molte prestazioni private – nel privato tout court, compreso quello low cost, ma anche nel privato sociale – cominciano a essere competitive con il prezzo dei ticket. Forse il fenomeno presenta dimensioni diverse da quanto appare, ma si sta comunque creando uno sgranamento rispetto ad una questione che probabilmente avrebbe bisogno di un intervento di revisione, da connettere peraltro – mi permetto di osservare – al discorso sui LEA. Sono due aspetti che ritengo debbano andare di pari passo. Infatti sono ormai più di dieci anni che il sistema dei LEA, salvo taluni aggiustamenti, è rimasto nel suo complesso immutato. Molte cose stanno invece cambiando o sono cambiate, quindi una revisione del sistema della compartecipazione e dei LEA appare importante.
  Occorre altresì procedere ad una ridefinizione dei LIVEAS, ossia dei livelli di assistenza del settore sociale, anello mancante di una catena che rende spesso incompleto il sistema del percorso socio-assistenziale.
  Per quanto riguarda i piani di rientro, si dovrà affrontare il tema per cui finora il risanamento è stato solo economico. Sussistono peraltro dubbi in ordine al fatto che si sia trattato di una vera riforma, dal momento che in alcune circostanze esso ha prodotto semplicemente una compressione economica. La nostra richiesta ed il nostro indirizzo è che si debba recuperare una progettualità persa in questi anni in cui le preoccupazioni esclusivamente economiche hanno prevalso su tutto. Si evidenzia come il miglioramento dal punto di vista economico-finanziario non abbia sempre prodotto quel miglioramento qualitativo che ci si aspettava o che ci si sarebbe potuti aspettare. Infatti credo che modificare la denominazione «piani di rientro» in quella di «piani di riorganizzazione e riqualificazione» potrebbe già nel nome indicare una prospettiva diversa.
  Naturalmente è opportuno legare le procedure di verifica degli obiettivi regionali in piano di rientro a percorsi certi nella valutazione degli atti regionali ed alla valutazione da parte degli enti regolatori circa la verifica degli adempimenti.
  Viene segnalato dalle regioni in piano di rientro che da molto tempo ormai c’è il blocco secco del turnover, solo parzialmente superato dalla legge n. 189 del 2012, ma nel contempo c’è la necessità di assicurare i LEA. Quindi una oculata revisione del blocco del turnover sarebbe auspicabile, anche perché spesso vengono poste in essere manovre di aggiramento e così si assiste a un proliferare di contratti atipici o di contratti di servizio che di fatto non sono di per sé meno costosi e generalmente garantiscono minore qualità.
  Un tema su cui le regioni porranno molta attenzione, almeno in rapporto alla questione del Patto per la salute, è la gestione delle risorse umane che, considerata nel suo complesso, rappresenta la più grande industria del Paese. Le ASL sono la più grande azienda della provincia in cui insistono, escluse cinque o sei grandi città. In quasi tutte le province l'ASL è il più grande datore di lavoro della provincia stessa. Sta di fatto che probabilmente stiamo chiedendo molto ai nostri dipendenti e potrebbe essere questa l'occasione di stabilire una sorta di patto per il lavoro, di patto per lo sviluppo, attraverso cui poter introdurre anche elementi di riqualificazione nella gestione delle risorse umane, nonché di meritocrazia. Probabilmente tutto il sistema delle carriere è ormai un po’ bloccato; abbiamo sistemi contrattuali arcaici ed uno scollamento tra questi, da un lato, e gli obiettivi moderni ed al passo coi tempi, che pure si vorrebbe raggiungere, dall'altro. Questa è un'esigenza di tutti, a partire dalla possibilità di carriera di un giovane medico – che ad oggi trova il suo primo lavoro stabile Pag. 8in media intorno ai 33-35 anni e poi conosce venti anni di instabilità totale nell'attesa di un concorso che di rado viene bandito.
  Quella riguardante la movimentazione complessiva delle carriere, la valutazione del personale e la valutazione dell'apprendimento è una discussione che alcune regioni hanno già avviato in proprio, ma probabilmente un indirizzo nazionale all'interno del Patto per la salute potrebbe costituire una delle chiavi di volta. È un elemento su cui nella regione Toscana stiamo lavorando molto, perché è appunto una delle chiavi di volta per rimotivare tutto questo mondo.
  Da ultimo affronterò alcune questioni relative al citato decreto legislativo n. 118 del 2011, che produce alcuni effetti che riteniamo dal nostro punto di vista perversi, sebbene probabilmente quando è stato emanato avesse anche lo scopo di raggiungere determinati obiettivi.
  Come ho detto, abbiamo un sistema di risorse per gli investimenti ormai inadeguato e bloccato e le aziende investono spesso con fondi propri oppure si indebitano, e questo crea un ulteriore meccanismo. Il decreto legislativo n. 118, quando genera e gestisce gli ammortamenti per queste partite, è particolarmente penalizzante. Inizialmente esso prevedeva che ammortamenti per investimenti realizzati con fondi propri sostanzialmente non ci fossero; dopo infinite discussioni, condotte anche in proprio dai presidenti di regione, si è ottenuto che di un grosso pacchetto di emendamenti che avevamo presentato ne sia passato uno solo che di fatto diluisce questa situazione – il primo anno nella misura del 20 per cento, il secondo del 40, poi del 60 e del 100 per cento. Quindi si è ottenuta un po’ d'aria, ma non tantissima.
  Di fatto, in un momento in cui non c’è finanziamento degli investimenti è penalizzato in maniera particolare l'autofinanziamento. Come dicevo, se l'obiettivo è quello di una generale depressione del sistema, è stato ottenuto in pieno. Ciò però genera anche dei fenomeni di by-pass, attraverso fenomeni di leasing, di affitto e di project che di per sé non sono poi molto meno costosi, anzi spesso generano costi reali, cioè non di natura contabile, ma di moneta concreta che esce.
  Noi chiediamo quindi una revisione del sistema degli ammortamenti e degli accantonamenti dei fondi. Molte delle normative che stanno entrando in vigore si riferiscono ad un'azienda che assomiglia molto a un ente pubblico e che, benché si chiami azienda, lo è solo per metà. Introdurre un sistema contabile degno di una società quotata in borsa va bene, tuttavia, alla luce delle peculiarità che caratterizzano questo settore, ciò può penalizzare particolarmente il sistema senza assicurare, viceversa, un vero vantaggio. Ci sono dunque alcuni aspetti del decreto legislativo n. 118 particolarmente complessi e perversi.
  Si era in attesa di una serie di regolamenti applicativi che stanno uscendo in questi giorni ed è arrivata la proposta della Conferenza Stato-Regioni. Va comunque detto che questo sistema contabile ha un costo esso stesso, perché è molto complesso.
  A questo proposito, la mia richiesta è che il sistema normativo, ovvero gli adempimenti di legge, seguano questa evoluzione e non diventino essi stessi un ostacolo o un ulteriore peso. Grazie, presidente.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, assessore Marroni, per l'esaustiva relazione.
  Do ora la parola agli onorevoli che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Penso che la relazione dell'assessore Marroni sia stata abbastanza esaustiva e interessante. D'altro canto, le regioni sono il perno e il motore principale dell'erogazione delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale. Chiaramente non affronterò tutti i temi in maniera completa, però ci sono alcuni aspetti che vorrei sottolineare.Pag. 9
  Fondamentalmente le richieste riguardano: un aumento delle risorse finanziarie, con la certezza dei 2 miliardi di euro; un maggiore snellimento, con normative che cerchino di liberare maggiormente l'azione delle regioni e delle aziende sanitarie; infine, qualche innovazione sul personale. Queste sono le tre richieste che vengono avanzate, in relazione anche al versante degli investimenti.
  Io concordo con quanto detto sul decreto legislativo n. 118 del 2011: oltre la metà di quel testo – 34 articoli su 60 – che pure è indirizzato a tutte le pubbliche amministrazioni e alla finanza pubblica, è dedicato alle ASL. Si è passati da un eccesso all'altro, senza quella gradualità che potesse consentire l'adeguamento degli strumenti contabili e di tutto il resto.
  Io ritengo che ci saranno grandi sforzi per il recupero dei 2 miliardi di euro, perlomeno secondo quanto riferito dai rappresentanti del Governo auditi in Commissione per valutazioni complessive sulla finanza pubblica. È sperabile che ci sia qualcosa in più, ma non sono particolarmente ottimista.
  Si pone nel contesto del Patto per la salute la questione – che io condivido molto e che è venuta dalla voce delle regioni – relativa alla flessibilità del personale. Io guardo la parte positiva della flessibilità, e non la parte negativa. Pur nel quadro di una valutazione globale, occorre assicurare la dovuta flessibilità secondo il modello organizzativo di ogni singola regione, affinché gli sforzi che vengono chiesti oggi al personale di quasi tutte le regioni – sforzi di responsabilità e di prestazione sovrumani, a fronte di una carenza di personale – siano accompagnati da una revisione dell'attuale assetto organizzativo, che risulta oramai obsoleto. Non esiste più in nessuna parte del mondo un'organizzazione così a livello delle figure professionali e delle discipline.
  Non possiamo continuare a dire in un trauma center che un certo soggetto fa parte solo del reparto di rianimazione e un certo dirigente solo di quello di ortopedia, in un contesto di prestazioni e di organizzazione multidisciplinari. Queste situazioni vanno rivalutate d'intesa con i professionisti stessi.
  Sul problema del piano di rientro l'assessore sollecita, anche nella formulazione, l'assunzione della denominazione «riorganizzazione e riqualificazione». È proprio quello che manca. Anche dai dati riportati la settimana scorsa dal presidente dell'AGE.NA.S, dottor Bissoni, sostanzialmente si ricava quello che le norme prevedono: si è badato cioè essenzialmente al piano di rientro per deficit eccessivo, così come fa l'Europa con gli Stati membri. Chiaramente il piano è molto secco: se non si raggiunge quel determinato risultato finanziario, ci sarà un aumento dell'IRPEF, se non si fa un'altra cosa ci sarà il commissariamento e via elencando. Tutto è incentrato quindi sulla sola parte finanziaria.
  Tuttavia nulla viene messo su carta, in maniera altrettanto perentoria, in riferimento alla nuova organizzazione del modello sanitario della singola regione sottoposta a piano di rientro, alla luce del piano di rientro stesso nonché del nuovo sistema, riorganizzato e riqualificato. Probabilmente nel Patto ci si attende che le regioni pensino anche a questi aspetti, altrimenti i livelli delle prestazioni, soprattutto quelle territoriali, nelle regioni sottoposte al piano di rientro, saranno molto deficitari. Le regioni avranno sì raggiunto gli obiettivi del quadro finanziario ma, mancando una nuova riorganizzazione e riqualificazione, anche semplice, rispetto alla situazione esistente, non c’è dubbio che ci sia questa possibilità.
  Sui costi standard non aggiungo niente: sarà faticoso, ma ormai quella è la strada che è stata intrapresa.
  Sul problema degli investimenti bisogna inventarsi qualcosa. Soldi non ce ne sono, ma bisogna mettere in condizioni le regioni e le ASL di adottare soluzioni diverse. L'assessore ci parlava prima di alienazioni, di dismissioni e di altre formule. A me preoccupa molto che si arrivi impreparati all'appuntamento con la libera Pag. 10circolazione delle prestazioni tra gli Stati membri dell'Unione europea, che prima o poi diventerà effettiva. Ce lo diciamo, ma non si fa nulla. Bisogna essere veramente preparati e chiedo all'assessore se mi può confermare quest'aspetto.
  Dagli altri soggetti auditi, al di là dei dati numerici, è emersa una riflessione rispetto al fatto che qualcosa in più sul versante del contenimento e della qualificazione della spesa, soprattutto in alcune regioni, può ancora essere fatto sui beni e sui servizi. Vorrei sapere se la valutazione complessiva delle regioni coincide, soprattutto a fronte di una forte espansione della farmaceutica ospedaliera, avvenuta negli ultimi due anni, e in particolare nel 2012, rispetto a quella convenzionata, che, alla luce degli ultimi dati disponibili, risulta ben contenuta.

  MAINO MARCHI. Credo che questa sia una delle audizioni più importanti di quest'indagine conoscitiva, quindi vorrei sottoporre diverse questioni, alcune relative all'immediato, altre riferite ad una prospettiva un po’ più ampia.
  La prima domanda riguarda le priorità per il 2014. Le esigenze che abbiamo ascoltato sono tutte condivisibili, a partire dalla questione di non far scattare nuovi ticket, su cui c’è un impegno da parte del Governo. Tuttavia quando verrà presentato, vedremo come si concretizzerà il disegno di legge di stabilità: le cose da fare sono tante e capire come si arriverà alle coperture è abbastanza problematico.
  Altre questioni sono quelle degli investimenti per il 2014, ma anche per gli anni successivi, del finanziamento della gestione corrente, di talune norme contabili e sul personale, dei fondi per la non autosufficienza. Rispetto a questo insieme di questioni, come Conferenza delle regioni siete in grado di definire quali sono, secondo voi, le priorità in ordine di urgenza ? Sono tutte importanti, però siccome penso che sarà molto complicato riuscire a trovare le risposte per tutto vorrei sapere come sono definibili, a vostro avviso, le priorità.
  In secondo luogo, sia oggi sia nell'audizione della scorsa settimana, abbiamo parlato degli aumenti dei ticket che ci sono stati negli ultimi anni e degli effetti che ciò può produrre sull'organizzazione dei servizi sanitari pubblici, nel rapporto anche con le strutture private. Siete in grado di tradurre queste valutazioni – o forse l'avete già fatto – in documenti che valutino a consuntivo quello che è successo in questi ultimi anni, in modo da poter ragionare anche su queste basi in riferimento alla questione che si porrebbe e agli effetti potenziali di un ulteriore aumento dei ticket ?
  La terza questione riguarda i costi standard. Se ho capito bene, le modalità con cui il Governo sta procedendo non sono condivise: ci sarebbe comunque la possibilità di far partire la sperimentazione, con modalità eventualmente diverse ma condivise dalle regioni ? C’è una proposta alternativa, condivisa dalle regioni, rispetto a quella su cui sta procedendo il Governo ? Credo che infatti noi abbiamo un'esigenza, ossia che su questa partita dei costi standard si cominci a far qualcosa, per poi poter arrivare a dei risultati. Credo che questo sia uno degli elementi importanti, anche rispetto alla prospettiva del sistema di finanziamento del Servizio sanitario nazionale.
  Guardando un po’ più avanti rispetto all'immediato, da tempo sosteniamo che c’è bisogno di una revisione dei LEA. Le regioni, considerato che gestiscono direttamente la sanità, si saranno certamente già fatte un'idea di come dovrebbe avvenire questa revisione, sia in riferimento alle eventuali prestazioni da non prevedere più, sia in riferimento alle nuove esigenze. C’è una valutazione di questo genere e dei connessi, potenziali effetti finanziari ? Credo che questo potrebbe essere di aiuto anche per un'azione parlamentare di stimolo al Governo affinché si arrivi ad una definizione, altrimenti siamo sempre costretti a dire che c’è questa esigenza che però viene rinviata nel tempo.Pag. 11
  Infine, si diceva nell'audizione del presidente dell'AGE.NA.S. dottor Bissoni, della scorsa settimana – ma è una realtà che abbiamo davanti tutti i giorni, forse è anzi la questione fondamentale – che il nostro Paese, come livello sanitario e come organizzazione di servizi sanitari, è tra i migliori al mondo però presenta forti differenze al proprio interno. Da parte delle regioni c’è una strategia condivisa o una proposta su come intervenire per ridurre queste differenze ?
  Io penso che occorrano certamente investimenti, anche in strutture sanitarie, né credo che si possano ridurre le differenze semplicemente gestendo in modo diverso le risorse attuali. Laddove si sono ottenuti dei risultati di maggiore efficienza, ciò è infatti avvenuto grazie alla riorganizzazione delle strutture, con investimenti che non hanno prodotto dei risultati immediatamente ma nel tempo.
  C’è un'idea, da parte delle regioni, su come occorrerebbe agire per fare in modo che queste differenze, anziché aumentare, si riducano nel tempo e per arrivare a livelli di qualità e standard di prestazioni più simili tra le varie regioni del nostro Paese ?

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Reputo anch'io questa audizione come forse la più importante di tutta la nostra indagine conoscitiva, se non altro per le competenze e le funzioni che – sulla base della Costituzione – spettano alle regioni in materia sanitaria. Di conseguenza, un approfondimento dei temi che l'assessore ci ha sottoposto è d'obbligo.
  Ho da porre alcune domande. Innanzitutto, fermi restando il sistema dell'offerta e il sistema della domanda, vedo un allarme sui 2 miliardi di euro che comporterebbero, come è precisato nel documento, «un default dell'intero sistema»: in verità, quante regioni vanno in piano di rientro per effetto di quei 2 miliardi in meno che non sono coperti in questo momento ?
  La seconda domanda concerne l'offerta. Con tutte le indicazioni che lei qui ci ha presentato, in verità credo che non possiamo immaginare di bloccare ulteriormente i contratti. Lei l'ha detto, ma secondo me non c’è stato sufficiente allarme su questo punto. Come possiamo pensare che, in questo delicatissimo settore della pubblica amministrazione, per cinque anni non ci sia un rinnovo del contratto ?
  Vengo ora agli investimenti. Nella relazione non trovo i dati che lei ha citato verbalmente, se me li ripetesse gliene sarai grata. Se non ho capito male, lei parla di un residuo finanziamento che ci sarebbe sul triennale per gli investimenti, ai sensi dell'articolo 20 della legge n. 67 del 1988, che io non ricordavo essere dell'entità che lei ha citato. Ho l'impressione che sia più basso, ma evidentemente sono deficitaria di una notizia e dunque le sarei molto grata se potessi ripetermi le informazioni prima riferite.
  Sulla questione dei ticket, giustamente le regioni dicono che la revisione della compartecipazione andrebbe collegata ai LEA, tuttavia ritengo problematico collegare i due aspetti. Rammento peraltro che già da un anno giace all'attenzione della Conferenza delle regioni un provvedimento sui nuovi LEA, che ha bisogno di finanziamento.
  Non vorrei che la rimodulazione dei ticket, accanto all'esigenza di nuove risorse per i nuovi LEA, trasferisse sull'utenza oneri insopportabili. Un'operazione di equità e di correzione del «super ticket» va certamente fatta perché, così come è stato congegnato, danneggia le aziende sanitarie e il sistema sanitario. Però occorre capire di quale ordine di grandezza stiamo ragionando: stiamo ragionando di 4 o di 6 miliardi di euro di gettito atteso ? Questo è il punto.
  Sul versante della domanda, come in parte ho già detto parlando dei nuovi LEA, il decreto che è fermo da mesi in verità contiene anche delle risposte a domande molto pressanti. Penso a una per tutte: il gioco d'azzardo patologico (GAP).
  L'altra questione particolarmente urgente riguarda il riordino della medicina territoriale. A che punto sono le regioni nel dialogo con le associazioni professionali Pag. 12su questo punto ? È evidente che questa può essere una leva importante per la riorganizzazione dei servizi e quindi una modalità per alleviare la pressione sugli ospedali.
  Mi collego alla domanda che ha fatto il collega Marchi sui venti sistemi regionali di cui spesso si parla, talvolta a proposito talaltra, in verità, per nascondere una domanda di ricentralizzazione del sistema. Sta di fatto, però, che ci sono troppe differenze e questo evidentemente non può essere tollerato. Così l'articolo 32 della Costituzione non vale per tutti i cittadini italiani allo stesso modo, quindi occorre intervenire.
  Vorrei sapere che fine ha fatto la Commissione che pure avevamo previsto in sede di conversione del decreto-legge sulla spending review, che era stata pensata per consentire alle regioni di rideterminare, con il Governo, le modalità per correggere qualche svarione che c'era stato nella prima stesura di quel decreto, peraltro dettata dall'urgenza di intervenire e di realizzare qualche risparmio, sebbene con tutte le contraddizioni che conosciamo.
  Nel decreto era prevista una sorta di collaborazione, come è giusto che sia, fra Stato e regioni per affinare strumenti più efficaci e per confrontare i costi unitari di beni e servizi, raffrontati con i prezzi di riferimento dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici; non se n’è più sentito parlare, o meglio, non sono chiari e noti i risultati del lavoro di questa Commissione.

  PRESIDENTE. Do ora la parola all'assessore Luigi Marroni per la replica.

  LUIGI MARRONI, Assessore per il diritto alla salute della regione Toscana. Ad alcune domande si può dare un'unica risposta. Parto comunque dall'ultima domanda. Sulla questione dei beni e servizi si può fare sicuramente di più. In tale ambito, come in altri, c’è un sistema «a macchia di leopardo». Quello a cui noi ci siamo sempre opposti è il famoso taglio lineare, operato peraltro sulla base di statistiche non sempre correttamente elaborate.
  Sulla questione dei beni e servizi c’è stato molto movimento, in particolare nella farmaceutica, anche se, come diceva l'onorevole Palese, siamo in una fase calante. L'anno scorso la farmaceutica per noi è stata molto più proficua di quest'anno. C’è una forte resistenza, naturalmente, ma sulla farmaceutica c’è una totale collaborazione.
  Sui beni e servizi, dalla mensa alle pulizie e ai servizi più complessi, c’è ancora da fare e la situazione – come ricordavo – è a macchia di leopardo. Le regioni si incontrano, ma non c’è ancora un documento formalizzato sui lavori della richiamata Commissione.
  Parlando della questione dei ticket, sicuramente c’è questo spostamento e la situazione va effettivamente rivista, anche se mi rendo conto che non si può chiedere tutto. Secondo la mia opinione personale, forse bisognerebbe trovare forme diverse piuttosto che aumentare o diminuire i ticket. Personalmente mi permetto di suggerire che in Toscana abbiamo legato la verifica del reddito non solo al reddito fiscale ma anche al reddito ISEE, in un momento in cui l'ISEE è sottoposta ad una rivisitazione. Peraltro, applicando il reddito ISEE si abbassa il numero di persone che devono pagare.
  Mi veniva chiesto quante sono le regioni che vanno in default se c’è il taglio dei 2 miliardi di euro sui ticket. Non potrei dirlo in maniera esatta, scientifica, ma, a mio avviso, ci andrebbero tutte. Alla Toscana, per esempio, che accede al 6 per cento, se si tagliano 2 miliardi mancheranno 120 milioni. Alla Lombardia ne mancheranno 250. Sono numeri molto elevati, quindi mi prendo la libertà di dire che probabilmente andranno tutte in default, anche se non ci sono dei tagli ben precisi.
  Le regioni stanno discutendo molto per omogeneizzare le situazioni, per aiutarsi e per migliorare. Mi avete chiesto se ci sono posizioni comuni: in effetti ci sono. Non ci sono ancora molti documenti, però potremmo Pag. 13produrli e, se tra qualche mese saremo di nuovo invitati, presidente, saremo ben felici di portare il frutto di tanti lavori.

  PRESIDENTE. Onorevole Baroni, le do la parola solo se è un intervento veramente molto breve, perché siamo in ritardo con le altre audizioni.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Si tratta di una rapida osservazione sul tema.

  PRESIDENTE. Prego, anche se l'audizione sarebbe terminata visto che siamo molto in ritardo.

  MASSIMO ENRICO BARONI. Per quanto riguarda la sanità d'iniziativa, la Toscana è considerata tra le regioni virtuose e ha assorbito un chronic care model che ha inserito nel piano sanitario regionale. Mi pare che quindici regioni su venti non siano ancora riuscite ad assorbire modelli di sanità d'iniziativa. Uno di questi era il nucleo di cure primarie e le case della salute in Emilia-Romagna. Mi risulta però che la politica abbia cambiato nel piano sanitario regionale il piano di sanità d'iniziativa della Toscana.
  Per quanto riguarda le intersezioni tra politica e governance sanitaria, noto ancora una volta che non si accenna mai minimamente al discorso delle collusioni e degli sperperi, che ovviamente troppa vicinanza e troppo accumulo di potere creano. Questo mi dispiace. Le chiedo se vuole rispondere brevemente. Penso che abbia capito dove voglio mirare con questo ragionamento.

  PRESIDENTE. Onorevole Baroni, l'assessore le risponderà. Tuttavia per l'economia dei nostri lavori e per evitare di riaprire la discussione, le chiedo, anche per le prossime audizioni, di iscriversi a parlare per intervenire insieme agli altri colleghi, in modo che i nostri ospiti possano replicare a tutti i colleghi parallelamente, altrimenti non riusciamo a completare le audizioni e andiamo oltre gli orari prestabiliti. Prego, assessore.

  LUIGI MARRONI, Assessore per il diritto alla salute della regione Toscana. La ringrazio, onorevole, della domanda. Sulla questione del chronic care model, in Toscana non siamo tornati assolutamente indietro anzi, nella delibera che abbiamo assunto alla fine dell'anno scorso, che sostanzialmente è una sorta di piano sanitario, abbiamo fissato l'obiettivo di arrivare in tre anni al 95 per cento di quelli eleggibili per questo progetto. È pertanto per noi un progetto di grandissimo valore e importanza.
  Ogni regione adotta poi le sue iniziative e organizza le proprie strutture. Io posso parlare per noi, ma poi vorrei estendere molto rapidamente il discorso. Ci sono regioni che si sono date molto da fare con la certificazione dei bilanci. Molte aziende stanno tentando di applicare – io ne feci una grande esperienza a Firenze, quando ero direttore dell'ASL – il modello gestionale di prevenzione del rischio amministrativo (il modello 231), altre stanno ora applicando la legge anti-corruzione. È facile parlare di collusione tra poteri e politica, è un fenomeno che esiste dai tempi di Nabucodonosor.
  Detto questo, io non credo che il sistema non sia solido. Parliamo comunque di un'attività di 110 miliardi di euro l'anno, che coinvolge 600-700 mila persone. Come è evidente, è la più grande industria nazionale e non si vive in un mondo perfetto, ma complessivamente le regioni hanno rinnovato molto e con molta serietà.
  Va anche detto che spesso, quando si cambia, a parole tanti vogliono il cambiamento ma quando si va a farlo poi diventa difficilissimo. Tutti invocano il cambiamento ma poi gli stessi promotori del cambiamento – ad esempio, taluni giornali – spesso quando si va a risanare o a modificare le situazioni esistenti cominciano ad opporre una qualche resistenza.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'assessore Marroni e dichiaro conclusa l'audizione.

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PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA XII COMMISSIONE PIERPAOLO VARGIU

Audizione di rappresentanti della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca ora l'audizione di rappresentanti della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM).
  Do la parola alla dottoressa Laura Pellegrini, che ringrazio – anche a nome del presidente Boccia – per aver accolto il nostro invito.

  LAURA PELLEGRINI, Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM). Ringrazio molto la V Commissione bilancio e la XII Commissione affari sociali della Camera per questo invito e mi auguro che i dati che vi illustrerò saranno utili per la vostra indagine.
  La Struttura tecnica di monitoraggio sulla sanità è stata istituita dall'articolo 3 del Patto per la salute 2010-2012, che è stato poi integralmente recepito dalla legge finanziaria per l'anno 2010. Ho consegnato una memoria, nella quale sono anche indicati i compiti della STEM, e pertanto cercherò di contenere i tempi della mia illustrazione.
  Tra le principali attività svolte dalla STEM, che si è insediata il 9 febbraio 2011, ricordo la definizione della metodologia di calcolo degli indicatori previsti nell'allegato 1 (indicatori del rispetto della programmazione nazionale), nell'allegato 2 (indicatori sui costi medi per i gruppi di prestazioni omogenee) e nell'allegato 3 (indicatori di appropriatezza organizzativa) del Patto per la salute.
  La STEM ha inoltre curato l'aggiornamento degli strumenti di valutazione e monitoraggio, al fine di snellire e semplificare gli adempimenti regionali, che è stato approvato dalla Conferenza Stato-Regioni il 15 marzo 2010. Abbiamo altresì elaborato lo standard di numerosità e di costo del personale e la metodologia di calcolo del coefficiente di correzione del rapporto fra erogatori pubblici e privati accreditati.
  Abbiamo definito la variazione dello standard di posti letto regionali, ai sensi dell'articolo 6 del Patto per la salute, anche se poi è cambiata la normativa sul numero di posti letto, ed abbiamo individuato un apposito set di indicatori per aree prioritarie di particolare rilevanza in materia attuazione dei LEA, ai fini dell'aggiornamento del provvedimento relativo al sistema di indicatori di garanzia degli stessi LEA, di cui all'articolo 9 del decreto legislativo n. 56 del 2000.
  Abbiamo fatto un'analisi del rapporto tra numerosità del ruolo amministrativo e il totale del personale delle aziende ospedaliere, secondo quanto previsto dalla bozza di schema di regolamento per la definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera.
  Infine, abbiamo condotto un'analisi relativa al governo del personale della sanità e un'analisi sui costi della dirigenza di vertice delle ASL e delle aziende ospedaliere, entrambe in collaborazione con l'AGE.NA.S.
  Date le finalità di quest'audizione, ritengo opportuno focalizzare l'attenzione sull'analisi relativa al governo del personale della sanità e sull'analisi dei costi della dirigenza di vertice delle ASL e delle aziende ospedaliere.
  Chiedo di distribuire la relazione poiché, contenendo essa molti dati numerici, ciò renderà più rapida ed agevole la sua comprensione.
  Essendo stata posta, come priorità, tra gli indicatori di efficienza ed appropriatezza del Patto per la salute la valutazione dei dati relativi al costo e alla numerosità del personale, la STEM sta provvedendo all'elaborazione di uno studio, in collaborazione con l'AGE.NA.S., al fine di poter Pag. 15fornire alle regioni interessate utili strumenti di autovalutazione delle proprie performance in campo sanitario.
  La scelta del costo del personale come primo momento di analisi è motivata dal fatto che, mediamente, ogni anno i costi per il personale ammontano a oltre 36 miliardi di euro, rappresentando uno dei maggiori aggregati di spesa – circa un terzo del finanziamento del Servizio sanitario nazionale – e quindi uno dei principali fattori su cui incidere ai fini della razionalizzazione dei costi per la sanità.
  Lo studio viene eseguito in diversi stadi per consentire alle regioni di essere parte attiva nel processo di elaborazione dei dati, con la STEM che agisce sia in fase di proposta sia in fase di controllo e di interpretazione dei dati. Attualmente è in corso il processo di validazione degli stessi da parte delle regioni.
  Gli anni di riferimento sono il 2010 e il 2011. Lo studio si basa sul calcolo di un valore del costo medio del personale basato sul confronto tra costi del personale dei diversi ruoli, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, estratti dal modello CE (modello del conto economico) e numerosità dello stesso personale estratta dal conto annuale.
  Il costo del personale comprende, per richiesta regionale, anche l'IRAP, mentre la numerosità del personale è stata riportata ad un valore di FTE (full-time equivalent), considerando, per esempio, due unità di personale in part-time al 50 per cento come una sola unità FTE al 100 per cento della prestazione lavorativa. Dallo studio sono stati eliminati i dati che apparivano vistosamente anomali.
  Dalle analisi appare che la spesa totale per il personale dipendente è in calo in tutta Italia, per effetto sia delle politiche di blocco del turnover sia per l'utilizzo di forme alternative di acquisizione delle risorse umane. In media in Italia la spesa per il personale dipendente è scesa dell'1,3 per cento. Si è infatti passati dai 36,618 miliardi del 2010 ai 36,149 miliardi del 2011.
  La figura 1 e la figura 2, che potete esaminare, evidenziano l'incidenza del costo dei diversi ruoli del personale (ruolo sanitario suddiviso in dirigenza medica, dirigenza non medica, e comparto ruolo sanitario; ruolo tecnico suddiviso in dirigenza ruolo tecnico e comparto ruolo tecnico; ruolo amministrativo suddiviso in dirigenza ruolo amministrativo e comparto ruolo amministrativo; ruolo professionale suddiviso in dirigenza ruolo professionale e comparto ruolo professionale) sul totale del personale per gli anni 2010-2011.
  La composizione media per l'anno 2011 della spesa per il personale è la seguente: l'80,4 per cento riguarda il ruolo sanitario; l'11,4 per cento il ruolo tecnico; il 7,8 per cento il ruolo amministrativo; lo 0,3 per cento il ruolo professionale. La maggior parte della spesa per il personale, come atteso, è imputabile al ruolo sanitario, cioè dirigenti medici e non medici e comparto.
  Da notare che dal confronto dei due anni appare che l'incidenza dei dirigenti medici sul totale del costo del personale è diminuita passando dal 37,2 al 36,9 per cento. Per contro, l'incidenza del comparto del ruolo sanitario è aumentata arrivando a sfiorare il 40 per cento (come vedete nella figura 3). In pratica mentre i costi per i dirigenti medici sono diminuiti dello 0,35 per cento, quelli per il comparto sono aumentati dello 0,37 per cento. C’è un minimo aumento (0,05 per cento) che riguarda i dirigenti non medici. Per il resto siamo su valori estremamente bassi di variazione.
  Per quanto attiene al costo medio, il costo del personale sanitario delle regioni nel 2011 si attesta su un valore pari a 56.240 euro, sostanzialmente invariato rispetto al 2010, anche per effetto delle manovre che hanno portato al congelamento della contrattazione collettiva in quasi tutto il pubblico impiego. Il range tra il valore minimo e il valore massimo del costo medio del personale fra le regioni, esclusa la provincia di Bolzano, è pari a circa 14 mila euro. Vi faccio notare che è proprio sul range che va posta l'attenzione di tutti, quindi naturalmente anche per Pag. 16quello che riguarda la vostra indagine. Infatti, a mio avviso, è sul range che ci sono gli elementi per trovare soluzioni di razionalizzazione.
  Vi devo precisare che quando escludo la provincia di Bolzano o la provincia di Trento o la Valle d'Aosta da questi dati, è perché, mentre nella media generale dei costi i numeri di queste regioni sul personale sono talmente bassi da non alterare la media del costo del singolo personale, altererebbero invece la media del range perché hanno picchi talmente elevati che, se avessi tenuto conto della provincia di Bolzano, avrei dovuto dire che il range è pari addirittura a 17 mila euro. Il fatto che nella provincia di Bolzano ci siano pochissime persone, molto ben pagate, naturalmente incide in maniera rilevante su questo dato.
  Si rivela una forte variabilità nei dati, sia nel confronto fra le regioni sia all'interno delle regioni stesse. Difatti dalla comparazione tra i costi medi dei singoli ruoli delle regioni sono riscontrabili differenze che arrivano a 30 mila euro, mentre all'interno della stessa regione possono raggiungere picchi di quasi 50 mila euro.
  Queste differenze sono da imputare principalmente alla diversa composizione dei fondi integrativi a disposizione delle strutture del Servizio sanitario regionale, in quanto le voci retributive di base sono stabilite da contratti di comparto con validità nazionale. Lo studio è stato approfondito analizzando i singoli ruoli e dividendoli anche tra comparto e dirigenza.
  Il ruolo della dirigenza sanitaria è stato ulteriormente suddiviso tra dirigenza medica (medici e veterinari) e dirigenza non medica (biologi, farmacisti, psicologi e chimici). Nella dirigenza sanitaria medica, che come abbiamo detto è composta da medici e veterinari, il costo medio per l'anno 2011 si attesta a 113.705 euro, in leggero calo (- 0,7 per cento) rispetto al 2010. Escluse le province autonome di Trento e Bolzano e la regione Valle d'Aosta, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è pari a poco più di 20 mila euro. Per quanto attiene alla variazione complessiva del costo da CE (conto economico), tra il 2011 e il 2010 si è rilevata una diminuzione media del 2,9 per cento. La numerosità FTE si presenta anch'essa in calo generalizzato del 2,8 per cento.
  Nella dirigenza sanitaria non medica, composta principalmente da farmacisti, biologi, chimici e psicologi, il costo medio per l'anno 2011 si è attestato a 95.556 euro, in lieve calo rispetto al 2010 (- 0,7 per cento). Escluse le province autonome di Trento e di Bolzano, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni si attesta intorno a 30 mila euro. Con riferimento alla variazione del costo da CE (conto economico), tra il 2011 e il 2010 si ritrova una variazione media Italia pari a – 2,7 per cento. Lo stesso vale per il dato relativo alla numerosità FTE.
  Il costo medio nazionale del comparto sanitario, composto principalmente da collaboratori professionali sanitari, operatori del personale infermieristico, operatori del personale tecnico sanitario, e operatori tecnici della prevenzione, per l'anno 2011 è pari a 44.676 euro, in lievissimo aumento rispetto all'anno precedente (+1 per cento). Esclusa la provincia autonoma di Bolzano, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è pari a circa 6 mila euro. Il costo complessivo da CE (conto economico) per l'anno 2011 si presenta in calo rispetto al 2010 dell'1,7 per cento. Per quanto attiene alla numerosità FTE, tutte le regioni presentano valori in diminuzione; mediamente il calo è stato del 3,3 per cento.
  La dirigenza del ruolo tecnico, composta principalmente da dirigenti statistici, sociologi e analisti, si presenta poco omogenea in tutta la penisola in quanto è un ruolo caratterizzato da poche professionalità, con un numero limitato di personale, che non raggiunge il migliaio. Nel 2011 il valore medio del costo della dirigenza del ruolo tecnico a livello nazionale si attesta a 96.969 euro, con un aumento del 5,2 per cento rispetto al 2010. Escluse la provincia Pag. 17di Trento e la regione Valle d'Aosta, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è pari a poco più di 30 mila euro. Con riferimento alla variazione del costo da CE (conto economico), il valore medio si attesta a -7,9 per cento e la numerosità FTE si presenta in calo in tutta Italia, con un valore medio di -5,4 per cento.
  Il personale del comparto del ruolo tecnico, composto principalmente da collaboratori professionali, assistenti sociali, collaboratori tecnico-professionali, assistenti tecnici, programmatori, operatori tecnici e operatori ausiliari specializzati, ha la peculiarità di contenere al suo interno figure molto diverse. Questa disomogeneità rende più complicato fare comparazioni fra le singole regioni in quanto in alcune situazioni si possono avere maggiori concentrazioni di personale con qualifica più alta (ad esempio gli assistenti sociali) e, quindi, con livelli retributivi più importanti rispetto ad altre, dove è presente una maggiore concentrazione di personale con qualifiche più basse (ad esempio gli ausiliari specializzati) e con retribuzioni meno elevate.
  Nel 2011 la retribuzione media del comparto è pari a 34.391 euro e il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è pari a circa 15 mila euro, corrispondente quindi a quasi la metà sebbene questo altissimo range è dovuto al problema di cui vi dicevo. Il costo medio a livello nazionale è cresciuto dell'1 per cento, con la maggior parte delle regioni che presentano valori in aumento. Per quanto riguarda la variazione del costo da CE (conto economico), tra il 2011 e il 2010 è presente una diminuzione media pari al 2,3 per cento mentre la variazione della numerosità FTE è in media del -3,5 per cento.
  La dirigenza del ruolo professionale, composta principalmente da avvocati, ingegneri, architetti e geologi, ha la particolarità di essere composta da personale che può avere una parte consistente della propria retribuzione collegata all'effettuazione di incarichi, come la direzione dei lavori per gli ingegneri e gli architetti o le cause per gli avvocati. Questa variabilità si riverbera nella difficoltà di riconoscere andamenti consolidati nei dati. La media nazionale per il 2011 è pari a 103.385 euro, in aumento del 2,5 per cento rispetto all'anno precedente. Nel 2011 il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è pari a quasi 50 mila euro. Anche in questo caso sfioriamo quindi il 50 per cento di differenza di costo medio tra una regione all'altra. La media nazionale del costo da CE (conto economico) è in lieve calo (-0,9 per cento), ma i dati sono molto contrastanti all'interno delle regioni. Per quanto riguarda la numerosità FTE, anch'essa presenta un calo del 4 per cento.
  Il comparto del ruolo professionale non è stato oggetto di analisi in quanto poco rappresentativo, essendo composto da circa 13 mila unità in tutta Italia.
  Il costo medio della dirigenza amministrativa nel 2011 è mediamente pari a 110.176 euro, in aumento del 3,9 per cento rispetto all'anno precedente. Il range del 2011 tra le regioni è pari a poco più di 30 mila euro. Tutte le regioni presentano comunque una certa variabilità al loro interno, con punte massime di 80 mila euro, in un ruolo che dovrebbe essere piuttosto standardizzato quanto a funzioni svolte e a retribuzioni erogate. La variazione complessiva dei costi da CE (conto economico) risulta essere pari al -6,6 per cento. La variazione della numerosità FTE è di -9,7 per cento. Questo effetto è sicuramente dovuto alle manovre di contenimento delle spese per il personale e di semplificazione delle strutture amministrative che hanno interessato i vari servizi sanitari regionali.
  Nel comparto del ruolo amministrativo nel 2011 il costo medio è stato di 37.195 euro, in lieve aumento rispetto al 2010 (+0,7 per cento). Il personale del comparto del ruolo amministrativo è sostanzialmente formato da collaboratori, assistenti coadiutori amministrativi e commessi. Nel 2011, esclusa la provincia autonoma di Bolzano, il range tra valore minimo e valore massimo tra le regioni è pari a 8 Pag. 18mila euro. La variazione da costo CE (conto economico) è pari a -1,9 e riguarda praticamente tutte le regioni, mentre la variazione della numerosità FTE è in calo in tutta Italia con un valore medio pari a -2,8 per cento.
  L'incidenza delle indennità e dei compensi accessori – che sono quote di retribuzione stabilite su base aziendale, in considerazione dell'ammontare dei fondi a disposizione, quali ad esempio il premio di risultato, lo straordinario, l'indennità di lavoro svolto nei turni di notte e nei giorni festivi e le indennità di struttura complessa – nel 2011 hanno rappresentato mediamente in Italia il 26,4 per cento sul totale dei costi per il personale, con un forte range fra le regioni. Infatti abbiamo un valore massimo pari al 32,8 per cento e un valore minimo pari al 23,6 per cento: c’è dunque un range di nove punti all'interno delle regioni rispetto alle indennità e ai compensi accessori, e quindi praticamente rispetto ai fondi integrativi.
  In conclusione, da questa prima analisi – i cui risultati, come vi ho detto, sono ancora in corso di validazione da parte delle regioni – è emerso che la spesa totale per il personale è in calo generalizzato in tutto il sistema sanitario italiano.
  Occorre però indagare alcuni comportamenti che le regioni possono porre in essere per supplire alle carenze di personale che si possono verificare dopo lunghi periodi blocchi del turnover. Mi riferisco, ad esempio, all'esternalizzazione dei servizi sanitari e non sanitari e all'utilizzo di personale in convenzione. Questo spostamento delle forme classiche di acquisizione delle risorse umane deve essere monitorato e studiato con attenzione in quanto rappresenterà per il futuro una voce sempre più importante di spesa del Servizio sanitario. Ricordiamoci anche che questo tipo di spese, per quanto riguarda l'imputazione a bilancio, passano dal personale ai beni e servizi e quindi si rintracciano con più fatica.
  Occorre inoltre studiare la notevole variabilità dei dati all'interno della stessa regione. Infatti il contratto collettivo nazionale di lavoro stabilisce l'ammontare di alcune voci stipendiali uguali in tutte le regioni, ma lascia alla contrattazione integrativa aziendale la determinazione di alcune voci che quindi possono variare in relazione all'ammontare dei cosiddetti fondi integrativi aziendali.
  Un'errata determinazione dei fondi, effettuata la prima volta nel 1996, e una non corretta applicazione degli incrementi contrattuali previsti nel corso degli ultimi anni, potrebbero essere la causa di questa notevole variabilità dei dati. A titolo esemplificativo, per la dirigenza medica la retribuzione a livello nazionale, secondo il contratto collettivo nazionale, oscilla da un valore minimo poco superiore ai 70 mila euro per i medici con meno di cinque anni di servizio ad un valore massimo pari a circa 130 mila euro per i direttori di struttura complessa.
  Inoltre, il costo medio aziendale è influenzato dalla composizione del ruolo. Esistono infatti livelli retributivi differenti in relazione all'incarico e all'anzianità del medico, secondo la seguente indicazione: direttore di struttura complessa, direttore di struttura semplice, dirigente medico con più di quindici anni di servizio, dirigente medico con anni di servizio compresi fra cinque e quindici e dirigente medico con meno di cinque anni di servizio.
  Appare quindi evidente che se in un'azienda si rileva una maggiore concentrazione di personalità con anzianità di servizio elevata, avremo un costo medio più alto rispetto ad un'altra azienda composta da personale lavorativamente più giovane.
  Ulteriori differenze, non riconducibili alla differente composizione del personale, sarebbero quindi da attribuire alla composizione dei fondi integrativi aziendali. Si deve far presente che a decorrere dall'anno 2011, in attuazione della cosiddetta legge Brunetta, le aziende sanitarie devono diminuire annualmente i fondi della contrattazione integrativa con riferimento alle unità di personale cessato. Fino all'anno 2010 ciò non era previsto da alcuna normativa nazionale, mentre il blocco del Pag. 19turnover era in vigore già da diversi anni. Conseguentemente le unità di personale in servizio hanno beneficiato della quota dei fondi relativi al personale cessato. Questo fenomeno può aver portato, in alcune aziende, all'erogazione di trattamenti economici elevati.
  È necessario però, considerata la notevole variabilità dei dati, effettuare gli opportuni approfondimenti al fine di accertare l'esatta consistenza dei fondi che le aziende sanitarie hanno a disposizione per la contrattazione integrativa aziendale.
  L'obiettivo di questa analisi è rendere i dati il più possibile confrontabili tra di loro. Infatti la necessità delle regioni è avere dati confrontabili, in quanto ciò consente di autovalutare le prestazioni del proprio sistema sanitario riconoscendone i punti di debolezza e i punti di forza, e quindi di migliorare l'efficienza, l'efficacia e l'economicità dei servizi resi ai cittadini, anche attraverso l'esportazione in altre realtà di modelli organizzativi innovativi che possono consentire un miglioramento globale della sanità italiana.
  Passo al costo della dirigenza di vertice di ASL ed aziende ospedaliere. La scelta dell'analisi del costo della dirigenza di vertice delle strutture del sistema sanitario è stata motivata, oltre che dall'esplicita richiesta degli assessori regionali nel corso di una mia audizione presso la commissione salute della Conferenza delle regioni, anche dall'esigenza di conoscere maggiormente un fenomeno che, nonostante lo scarso volume di spesa – parliamo di circa 120 milioni di euro l'anno per tutta l'Italia – può essere indicatore delle scelte regionali e quindi utile in sede di autovalutazione.
  L'elaborazione ha interessato le figure del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario, solo di ASL e di aziende ospedaliere ma non, ad esempio, degli IRCCS. Lo studio viene eseguito in diversi stadi, per consentire alle regioni di essere parte attiva nel processo di elaborazione dei dati. Attualmente è in corso il processo di validazione degli stessi da parte delle regioni. Anche in questo caso gli anni di riferimento sono il 2010 e il 2011. I dati però provengono dal conto annuale e non dal conto economico, perché nel conto economico le voci non hanno un sufficiente livello di dettaglio. Anche in questo caso, il costo della dirigenza di vertice comprende l'IRAP.
  Il costo medio nazionale per l'anno 2011 dei direttori generali delle aziende sanitarie è in Italia pari a 206.082 euro, in calo rispetto all'anno precedente del 4,3 per cento. Escluse le province autonome di Trento e Bolzano, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni arriva a 80 mila euro.
  Il costo per i direttori amministrativi ha un andamento analogo: il costo medio è infatti di 170.292 euro. Escluse le province autonome di Trento e Bolzano, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è di circa 84 mila euro. Per quanto riguarda la variazione del costo medio pro capite, si evidenzia una diminuzione media del 4 per cento, in analogia con quanto rilevato per i direttori generali ma con delle differenze più evidenti tra le regioni.
  Per i direttori sanitari il costo medio è di 174.367 euro, in calo rispetto al 2010 del 3,6 per cento. Escluse le province autonome di Trento e Bolzano, il range tra il valore minimo e il valore massimo tra le regioni è di 82 mila euro.
  Ci siamo posti il problema di capire se questa forte differenziazione nella retribuzione, e quindi nel costo, dei direttori generali potesse essere in qualche modo correlata alla numerosità della popolazione ricadente in una determinata ASL ovvero al reddito della popolazione medesima. Dagli approfondimenti che abbiamo effettuato è invece emerso che il costo medio della dirigenza di vertice non può essere statisticamente correlato alle variabili osservate – popolazione, reddito medio e finanziamento pro capite – ma dipende esclusivamente dalle scelte politico-finanziarie delle regioni. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la dottoressa Pellegrini per la sua relazione molto esauriente.Pag. 20
  Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROCCO PALESE. Innanzitutto prendo atto di questo grande e ottimo lavoro di monitoraggio che è stato svolto. Spesso e volentieri parliamo delle differenze tra le regioni. La fonte principale che consente l'erogazione delle prestazioni è il personale, e questo lavoro dimostra in maniera puntuale, ove ce ne fosse ancora bisogno, le grandi differenze esistenti all'interno dei ventuno sistemi sanitari, ormai tra di loro completamente diversi.
  Detto questo, non mi meraviglio per niente dei dati riguardanti il salario integrativo, perché ciò riguarda l'autonomia delle regioni e delle ASL. Sono invece letteralmente sorpreso dai dati riguardanti la retribuzione dei dirigenti, visto che esistono leggi nazionali di disciplina dei contratti dei direttori generali, dei direttori amministrativi e dei direttori sanitari, i quali prevedono un certo livello, che adesso onestamente non ricordo, ed una parte premiale che può essere nella misura massima del 20 per cento. Qui invece siamo oltre ogni ragionevole dettaglio e sarà eventualmente nostra cura approfondire questo dato.
  Ritengo tuttavia che, nel contesto dell'indagine conoscitiva sulla spesa sanitaria, questo lavoro di monitoraggio, che ci offre in maniera puntuale una tale ricchezza di dati sul personale, sia un punto di partenza molto importante.

  ANNA MARGHERITA MIOTTO. Penso che sia opportuno, se possibile, acquisire il dettaglio di questo studio, perché è molto interessante vedere l'andamento delle regioni. Io ho ancora presente un'indagine condotta dal CERM quattro o cinque anni fa su questa stessa materia, sia pure non accurata come questo studio che lei, presidente Pellegrini, ha condotto e che io trovo molto interessante. In cauda venenum, quest'ultimo punto dice chiaramente che forse il range più alto è quello sovrapponibile alle regioni in piano di rientro, come già dimostrava peraltro il citato studio del CERM. Su questo occorre davvero compiere un'operazione di coordinamento tra l'iniziativa del Governo e quella della Conferenza Stato-Regioni, ed in ciò il ruolo di AGE.NA.S., come avevamo già rilevato nel corso dell'audizione precedente, risulta particolarmente significativo. Le saremo pertanto molto grati se potremo avere anche il testo dettagliato.

  MAINO MARCHI. Ho solo una domanda. Vorrei sapere se ci sono dei range significativi tra le regioni anche nella composizione della spesa per il personale tra i quattro ruoli, oppure se nelle diverse regioni ci si attesta sostanzialmente su questi dati.

  ANDREA CECCONI. Vorrei chiedere alcuni chiarimenti. Dai dati mi pare di capire che c’è un rapporto tra medici e personale del comparto che è di uno a due: per ogni medico ci sono più o meno due dipendenti del personale sanitario, non necessariamente infermieri ma anche operatori socio-sanitari o tecnici. Infatti, se spendiamo un 40 per cento per i medici e un altro 40 per cento per il comparto, e i medici costano il doppio del comparto, più o meno il rapporto ipotetico è di uno a due. Vorrei capire se questo che sto dicendo corrisponde al vero, oppure se c’è uno scostamento addirittura più rilevante.
  Vorrei inoltre sapere se, secondo il vostro studio, l'aumento retributivo riconosciuto al ruolo amministrativo tra il 2010 e il 2011 – che mi pare sia stato maggiore rispetto agli altri ruoli, che invece hanno avuto dei cali o dei piccoli aumenti – sia stato determinato dal fatto che il ruolo amministrativo dal 2010 al 2011 è stato fortemente, o in parte, ridotto, e quindi ad esso sono state affidate maggiori competenze, con conseguente incremento retributivo. Vorrei sapere se questo è un dato che si può evidenziare.
  Io vengo da un'azienda sanitaria nella quale le indennità e i compensi accessori erano erogati in linea con quanto stabilito dal contratto collettivo nazionale. Infatti il Pag. 21contratto collettivo nazionale stabilisce il limite entro cui le indennità accessorie possono essere riconosciute: vorrei capire come è possibile allora che alcune regioni vadano oltre questo limite. Immagino che ci siano regioni che non possono andare sotto questo limite. Vorrei capire dove sta l'autonomia delle regioni nel dare di più. Immagino che un medico che lavora in Umbria e un medico che lavora in Toscana facciano entrambi la notte in ospedale e dunque, secondo il mio modesto parere, dovrebbero avere la stessa retribuzione e non dovrebbe esserci questo scollamento.
  So che fare le leggi è il nostro lavoro però vorrei chiedere se, a suo avviso, esiste uno strumento normativo consigliabile per ridurre queste anomalie, soprattutto quella prima ricordata riguardante i direttori generali, sanitari e amministrativi, per i quali la differenza di retribuzione si misura non in centinaia ma in migliaia di euro, e questa mi pare un'assurdità.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Pellegrini per la replica.

  LAURA PELLEGRINI, Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM). Ringrazio l'onorevole Palese per gli apprezzamenti. A lui e all'onorevole Miotto rispondo che naturalmente, appena saranno validati dalle regioni, i dati saranno resi disponibili a tutti. Mancano ancora alcune validazioni, ma in seguito li pubblicheremo e ve li manderemo con grande piacere. Non ho invece potuto fornirvi i dati regionali disaggregati proprio per ragioni di correttezza nei confronti delle regioni stesse.
  Mi scusi, non ricordo in questo momento la domanda dell'onorevole Marchi.

  MAINO MARCHI. Chiedevo se ci sono scostamenti e range significativi anche nella composizione dei ruoli.

  LAURA PELLEGRINI, Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni (STEM). No, non sono così variabili da rendere significativa l'analisi.
  Per rispondere all'onorevole Cecconi, la differenza tra alcune retribuzioni, anche a parità di prestazioni tra le regioni, è dovuta al fatto che in alcuni casi le indicazioni nazionali sulle indennità o sul costo dello straordinario affermano che la variabilità aziendale deve essere compresa tra 3 mila e 9 mila euro. I fondi integrativi possono intervenire in questo e decidere se la cifra deve essere la più bassa piuttosto che la più alta.
  All'interno dei fondi integrativi ci sono poi i premi di risultato, gli straordinari, le posizioni organizzative e le posizioni di coordinamento nel comparto. Questo fa sì che ci siano, ad esempio, degli stipendi per gli infermieri completamente diversi, anche in maniera assai sensibile, tra regione e regione. Naturalmente lo stesso avviene per i medici. Addirittura all'interno di una stessa regione c’è una differenza di 60 mila euro tra una struttura e un'altra nel costo della dirigenza medica, e ciò avviene perché una struttura ha molti fondi integrativi, che l'altra non ha, e quindi ha la possibilità di pagare molto meglio i suoi dipendenti.
  A mio parere, questo problema potrebbe essere risolto con una direttiva a livello nazionale in base alla quale i fondi devono essere legati al numero delle persone. La quantità del fondo deve essere stabilita per testa e poi moltiplicata per il numero delle persone, cosa che finora non è mai avvenuta. Questa è la ragione per cui – nonostante, come osservava l'onorevole Cecconi, abbiamo definito a livello nazionale gli stipendi e le indennità – registriamo queste differenze che altrimenti non sarebbero comprensibili.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la dottoressa Pellegrini. Siamo in forte ritardo rispetto alla tabella dei nostri lavori.

  LAURA PELLEGRINI, Presidente della Struttura tecnica di monitoraggio paritetica istituita presso la Conferenza Stato-Regioni Pag. 22(STEM). Spero di non aver contribuito al ritardo.

  PRESIDENTE. Assolutamente no. È stata la prima audizione di oggi che si è rivelata molto interessante e ha preso più tempo del previsto.
  Ringrazio ancora la dottoressa Laura Pellegrini e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confindustria.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca ora l'audizione di rappresentanti di Confindustria che ringrazio i rappresentanti di Confindustria, a nome di entrambe le Commissioni e del presidente Boccia, e mi scuso con loro per il ritardo.
  Chiedo all'avvocato Panucci di essere sintetica, anche perché, come lei sa, in Commissione abbiamo ascoltato i rappresentanti delle sezioni di Confindustria e immagino che oggi ascolteremo una sintesi di quello che ci è stato in parte detto da loro.
  Do la parola all'avvocato Panucci, direttore generale di Confindustria, per lo svolgimento della sua relazione.

  MARCELLA PANUCCI, Direttore generale di Confindustria. Grazie, presidente, per aver accolto la nostra richiesta di essere auditi. Ringrazio anche il presidente Boccia, al quale le chiedo la cortesia di portare i miei ringraziamenti e saluti, e tutti i deputati delle due Commissioni.
  Sarò molto breve. Lei ha richiamato il fatto che sono già state audite varie componenti del nostro sistema. Questo è vero, tuttavia noi abbiamo chiesto di essere rappresentati perché in realtà, oltre ad associare l'intera filiera della sanità, partendo dalle imprese manifatturiere che producono farmaci o prodotti strumentali come dispositivi medici, biomedicali e così via, aggreghiamo anche le associazioni dell'ospedalità e i servizi alla sanità, ossia tutte le varie componenti di questo sistema.
  Oltre a farci portavoce di una visione di sintesi, possiamo formulare anche delle proposte ulteriori perché in realtà la sanità va affrontata non soltanto dal punto di vista degli operatori del settore, ma anche delle imprese che, nel loro complesso, ne sostengono il costo. Infatti, attraverso l'imposizione locale e, in particolare, l'IRAP, le imprese finanziano il sistema sanitario.
  C’è quindi un tema rilevante che riguarda la pressione fiscale nei confronti di tutto il mondo imprenditoriale, a prescindere da chi opera nel settore della sanità. Peraltro, purtroppo, assistiamo spesso al riversarsi dei costi della sanità pubblica sul settore privato attraverso il fenomeno dei ritardati o mancati pagamenti. Questo è un meccanismo sempre più utilizzato per finanziare impropriamente la spesa sanitaria e riguarda tutti i fornitori del Servizio sanitario nazionale, il cui numero è anche maggiore rispetto a quello di coloro che operano nella filiera strettamente sanitaria.
  Infine, come lei sa, Confindustria può apportare un contributo importante in questo ciclo di audizioni alla luce dell'esperienza dei fondi sanitari che abbiamo costituito direttamente o attraverso le associazioni del nostro sistema associativo – tutte, non soltanto quelle del settore sanitario –, che sono diventate ormai importanti interlocutori del sistema degli erogatori sanitari.
  I temi che si affrontano nell'ambito di quest'indagine conoscitiva sono molto rilevanti, soprattutto in vista dell'ormai prossimo appuntamento della legge di stabilità. È quindi evidente che la spesa sanitaria è un tema di grandissima importanza, che deve essere necessariamente affrontato.
  Abbiamo – si tratta di un dato noto e pertanto non mi dilungherò – una spesa sanitaria che nel corso degli ultimi dieci anni è stata nella media di quella dei principali Paesi europei che hanno sistemi comparabili al nostro. Tuttavia, questo dato va corretto con alcune considerazioni.Pag. 23
  La prima considerazione riguarda appunto il meccanismo occulto di finanziamento del sistema sanitario nazionale, che risiede nei ritardati o nei mancati pagamenti. È un fenomeno che in moltissimi Paesi, per loro fortuna, non esiste.
  In secondo luogo, questo assunto va corretto alla luce del dato demografico, e quindi del progressivo invecchiamento della popolazione, che ci pone davanti ad esigenze di finanziamento della sanità sempre crescenti e che porterà la nostra spesa nel settore sanitario a livelli più alti rispetto a quelli oggi previsti. La Ragioneria generale dello Stato stima che fra quarant'anni ci sarà un incremento di 1,8 punti di PIL sulla spesa sanitaria. È un fattore con il quale dobbiamo necessariamente fare i conti.
  Accanto a questo, si aggiungono alcune brevi considerazioni sulla spesa sanitaria privata. In tutti i Paesi moderni, europei e non, alla spesa sanitaria pubblica si affianca una quota molto rilevante, a seconda del sistema sanitario considerato, di spesa sanitaria privata. Nel 2010 in Italia la spesa sanitaria privata emersa è stata di circa 30 miliardi di euro, quindi il 20 per cento della spesa sanitaria totale. Accanto a questa c’è una spesa sanitaria sommersa che, ahimè, non è quantificabile, ma che assume dimensioni molto importanti.
  Un aspetto fondamentale della composizione della spesa sanitaria privata in Italia è che, a differenza di ciò che avviene negli altri Paesi, questa non è intermediata da operatori specializzati (fondi assicurativi o fondi sanitari), ma è una spesa cash, cioè viene pagata direttamente dal cittadino al professionista o alla struttura sanitaria.
  Peraltro le manovre finanziarie degli ultimi anni hanno aumentato ulteriormente questa spesa sanitaria privata, perché si va diffondendo il timore – ahimè fondato – che, di fatto, alcune prestazioni sanitarie non siano più realmente disponibili nelle strutture sanitarie pubbliche, molto spesso perché il costo di queste risulta superiore quando vengono erogate da strutture sanitarie pubbliche, anche attraverso il pagamento del ticket, anziché da strutture sanitarie private.
  Anche questa è una componente importante, che potrebbe essere un fattore rilevante in termini di maggiore efficienza del servizio sanitario pubblico. Infatti, la spesa sanitaria privata normalmente cerca l'efficienza e la qualità della prestazione e quindi riesce ad orientarsi a seconda dell'operatore, pubblico o privato, che possa garantire questa qualità.
  Per questa ragione riteniamo importante – e su questo torneremo in seguito – che ci sia una migliore organizzazione della spesa sanitaria privata e che questa spesa sanitaria possa essere intermediata attraverso operatori specializzati che possano rafforzare il potere della domanda dei cittadini nei confronti degli erogatori di servizi sanitari, siano essi indifferentemente pubblici o privati.
  A questa spesa sanitaria privata si aggiunge un'altra spesa privata molto importante, ossia la spesa assistenziale che i cittadini sopportano per prestazioni nei confronti degli anziani e o dei non autosufficienti, che è stimata per difetto in circa 8 miliardi di euro l'anno. Si tratta, quindi, di una spesa particolarmente consistente, anch'essa erogata senza intermediazione dai cittadini, molto spesso verso badanti o altre forme di servizio poco o male organizzate.
  Accanto a queste considerazioni sulla spesa sanitaria, anche per evitare malintesi rispetto al nostro interesse in questo settore, mi preme affermare con la massima chiarezza che noi non abbiamo alcuna intenzione di mettere in discussione il Servizio sanitario nazionale, che è pensato come strumento per attuare il diritto costituzionale alla salute, e soprattutto la sua caratteristica di universalità. Mi preme veramente sgombrare il campo da possibili malintesi sul fatto che si voglia mettere in discussione l'universalità del sistema nazionale italiano che, seppur con carenze e difetti, ha dimostrato di saper tenere per lungo tempo.Pag. 24
  In realtà, ciò che è problematico è capire come garantire questa universalità nel tempo, per fare in modo che essa non diventi soltanto formale, ma che sia veramente esigibile dai cittadini. Oggi questa universalità è purtroppo messa a rischio. Abbiamo già visto le conseguenze in termini di peso sui cittadini della spesa sanitaria, che non può più essere sostenuta dal pubblico e che in futuro graverà ancora di più sui cittadini a causa del progressivo invecchiamento della popolazione.
  Per questa ragione a noi interessa che il Sistema sanitario nazionale sia sostenibile anche nel lungo periodo. Se ci chiediamo se nel lungo termine, o comunque nei prossimi decenni, il nostro servizio sanitario, così come oggi è configurato, sarà sostenibile, la risposta è che purtroppo non lo sarà. Infatti, quello che oggi lo rende sostenibile sono appunto i mancati pagamenti nei confronti dei fornitori privati, gli aumenti delle addizionali IRAP che conseguono all'applicazione dei piani di rientro delle regioni, i tagli che sono stati operati nel corso degli ultimi anni con le spending review e che hanno pesato, ahimè, per la gran parte sugli operatori privati.
  Dal momento che questi sono meccanismi che non possono continuare a essere utilizzati, perché peserebbero fin troppo sul settore privato, e in particolare sulle imprese, è necessario chiedersi come il sistema sanitario debba essere reso sostenibile.
  Vengo alle scelte di policy. Non ripeterò questioni che sono già note e che sono state ampiamente affrontate dalle due Commissioni che oggi cortesemente ci ospitano.
  C’è una situazione infrastrutturale e tecnologica del nostro sistema sanitario nazionale che purtroppo, non tiene più. Il parco macchinari va rinnovato e sono necessari investimenti infrastrutturali, sia sulle strutture ospedaliere sia in termini di investimenti tecnologici. L'attuale composizione della spesa sanitaria non rende possibile quest'adeguamento.
  Per questa ragione sono necessari anche modifiche e interventi di carattere organizzativo sulla rete ospedaliera, che va razionalizzata. Bisogna intervenire sui presidi sanitari più piccoli per garantire che questi possano effettivamente erogare delle prestazioni efficienti ed efficaci alla popolazione su cui insistono. È necessario intervenire non tanto per una ragione di risparmi nel costo del singolo presidio ospedaliero, ma anche per una migliore organizzazione della rete ospedaliera. Quindi, se si razionalizzano i presidi ospedalieri, sarà possibile anche effettuare in maniera più efficiente e produttiva degli investimenti sia sulle infrastrutture sia sulla rete tecnologica.
  Peraltro, questa revisione della rete ospedaliera, e comunque più in generale dell'organizzazione del nostro sistema sanitario, è necessaria perché – lo ripeto – i tagli che si sono resi necessari negli ultimi anni per sostenere il sistema sanitario non sono più sostenibili da parte delle nostre imprese. Come vi avranno sicuramente già detto i nostri associati che sono stati qui prima di me, questi tagli hanno pesato prevalentemente sul settore farmaceutico e su quello biomedicale, che sono due settori portanti del nostro sistema manifatturiero perché investono nell'innovazione, hanno un grande know-how ed esportano.
  Tagliare su questi settori ha, quindi, un impatto molto negativo non soltanto sulle singole imprese coinvolte, ma anche sull'indotto e sui lavoratori. Inoltre, questi settori impiegano lavoratori altamente qualificati, tra cui molti ricercatori, e possono pertanto dare importanti prospettive di sviluppo anche agli altri settori economici.
  Oltre ad una razionalizzazione e revisione della rete ospedaliera, c’è bisogno di riflettere anche sulla governance del sistema sanitario nazionale. Questa governance è cambiata radicalmente a partire dal 2001, con la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha ricomposto l'assetto e i rapporti tra Stato e regioni, definendo una competenza concorrente. È una governancePag. 25sulla quale bisogna riflettere ma che non va necessariamente ripensata, nel senso che oggi, con riguardo alla sanità, non intendiamo mettere in discussione il sistema delle competenze concorrenti. Tuttavia, come emerge chiaramente da più parti, c’è l'esigenza di mettere a punto dei meccanismi secondo i quali lo Stato possa svolgere effettivamente un ruolo di coordinamento per garantire l'omogeneità dei costi, delle prestazioni e dei controlli.
  Dico con chiarezza che in questo caso ci deve essere necessariamente un equilibrio. Non è possibile che lo Stato sia chiamato a finanziare o a colmare i buchi che si aprono nei vari territori e poi, d'altro canto, non ci sia quantomeno un onere, una responsabilità da parte delle regioni nel senso di fare trasparenza sui propri bilanci e, soprattutto, di renderli comparabili tra una regione e l'altra. Tutto questo secondo noi è necessario.
  Peraltro la situazione è cambiata in peggio dopo la recente sentenza della Corte costituzionale, che ha dichiarato illegittime le norme sul «fallimento politico». Ormai non esistono più dei meccanismi sanzionatori, anche soltanto reputazionali, nei confronti delle classi politiche che hanno causato i buchi e questo crea dei problemi. Va bene lasciare la situazione delle competenze così come è stata prevista dal Titolo V della Costituzione, però non possiamo che andare verso un rafforzamento dei controlli, preventivi ma anche ex post, da parte dello Stato nei confronti delle regioni.
  Vengo, infine, all'efficienza della spesa sanitaria e, soprattutto, a come finanziare la domanda di salute dei cittadini. Ho detto nella premessa che Confindustria partecipa a dei fondi sanitari. Noi siamo stati tra i primi promotori dei fondi sanitari che sono stati istituiti nell'ambito della contrattazione collettiva e dei rapporti con i sindacati e che rappresentano una componente essenziale della retribuzione che il datore di lavoro riconosce al lavoratore.
  Esistono diversi fondi sanitari nel nostro sistema, ma anche in altri sistemi contrattuali al di fuori di Confindustria. Sono ormai degli operatori molto importanti quanto a dimensioni, ma anche per la visione del sistema sanitario, le prestazioni che vengono finanziate e, soprattutto, i soggetti assicurati. Tuttavia, purtroppo, nel complesso parliamo di una parte marginale perché evidentemente i cittadini italiani sono ancora molto distanti dal modello delle polizze assicurative per varie ragioni che adesso non intendo qui richiamare, ma forse anche perché, rispetto ai fondi sanitari, le polizze assicurative danno minori garanzie di stabilità al soggetto assicurato.
  Secondo noi i fondi di sanità integrativa possono svolgere un ruolo fondamentale nel finanziamento della sanità. Non sto parlando di privatizzare o di sostituire parti di sanità pubblica con quella privata. Rimane fermo il principio dell'universalità del nostro sistema e dell'importanza del sistema sanitario nazionale. Quello di cui sto parlando è trovare dei meccanismi alternativi di finanziamento del sistema sanitario nazionale, che consentano anche di alleviare il costo fiscale che le imprese sopportano nel finanziare di fatto il sistema sanitario.
  Per semplificare in maniera brutale, anche se evidentemente le proporzioni non sono quelle che citerò, un euro in meno di IRAP potrebbe trasformarsi in un euro in più che i datori di lavoro mettono sui fondi sanitari per finanziare i propri lavoratori.
  Il problema è che finora questi fondi sanitari si sono sviluppati sulla base di meccanismi fiscali che vanno a privilegiare soltanto il lavoratore. Infatti, il contributo che il datore di lavoro paga ai fondi sanitari per assicurare il lavoratore beneficia di un trattamento fiscale favorevole, cioè non viene considerato reddito tassabile per il lavoratore. Invece, dal punto di vista dell'investimento fatto dal datore di lavoro, non esiste alcun beneficio fiscale.
  Se si riuscisse a trovare un meccanismo fiscale incentivante per il datore di lavoro, affinché questi sia incoraggiato a investire sui fondi sanitari, siano essi istituiti da Pag. 26Confindustria o da altre organizzazioni datoriali, ciò potrebbe costituire un vantaggio perché alla spesa pubblica in sanità si sostituirebbe una spesa privata in sanità. Questa spesa potrebbe essere più efficiente perché in realtà verrebbe gestita da soggetti che, intermediando la domanda dei cittadini, quindi dei privati, avrebbero il potere contrattuale di esigere una migliore qualità ed efficienza delle prestazioni, anche dal Servizio sanitario nazionale.
  Questo per noi è molto importante e potrebbe effettivamente determinare un miglioramento della spesa. È evidente che l'investimento del privato sul fondo sanitario andrebbe compensato con una minore tassazione e con minori tagli che altrimenti graverebbero su di lui. Tutto ciò, dal punto di vista dello Stato, sarebbe comunque compensato perché l'esistenza di fondi sanitari fa emergere una spesa sommersa che altrimenti non emergerebbe. È evidente che il fondo sanitario, quando deve rimborsare la prestazione sanitaria, richiede la fattura, cosa che il privato cittadino non sempre fa per beneficiare di trattamenti più favorevoli.
  Spero di essere stata nei tempi che il presidente mi aveva assegnato. In conclusione, gli obiettivi che ci poniamo, come Confindustria, sono: incrementare l'efficienza del Servizio sanitario nazionale, che comunque ha un'importanza fondamentale soprattutto nel nostro Paese; migliorare i meccanismi esistenti di spesa per alleviare le imprese dall'onere che oggi sopportano per finanziare il sistema sanitario nazionale; trovare delle soluzioni fiscalmente incentivanti per favorire lo sviluppo del secondo pilastro, che può rappresentare una componente importante nel finanziamento del sistema.
  Abbiamo un appuntamento prossimo, che è la legge di stabilità, nella quale ci aspettiamo che il Governo dia un segnale chiaro, orientandosi non più verso tagli lineari – che evidentemente, da un punto di vista politico, pongono meno problemi in quanto non richiedono scelte anche politicamente difficili –, ma verso scelte differenti, che vadano a potenziare proprio questo particolare segmento. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, avvocato.
  Do la parola ai deputati che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni. Li pregherei di essere rapidi in modo da non gravare sugli ospiti che stanno ancora aspettando di essere sentiti.

  ROCCO PALESE. Presidente, sarò molto rapido. Comprendo – e mi fa piacere ascoltarlo ancora una volta – l'interesse di Confindustria per la parte assistenziale e organizzativa, ma è anche un loro dovere istituzionale, atteso che, se continuiamo di questo passo, la sanità rimarrà forse l'unica industria in Italia. Infatti, tra i 110 miliardi di euro del fondo pubblico, più circa il 20 per cento, si arriva a 140 miliardi di euro.
  A me fa piacere che ci sia una stimolazione maggiore su una cosa che ritengo vada affrontata. Di fronte al fatto che, nell'ambito di questa indagine sulle dinamiche della spesa sanitaria, Confindustria, ossia uno dei principali interlocutori del sistema, ci chieda di provvedere a mettere dei sistemi di controllo sulla spesa, mi sembra che non possiamo più eludere il problema. Si tratta di una questione su cui mi batto da tanti anni, ma da un orecchio entra e dall'altro esce. La corruzione si alimenta con gli sprechi. È inutile che giriamo intorno al problema.
  In secondo luogo, non c’è dubbio che l'impostazione sui fondi integrativi è la gamba che ancora manca all'aziendalizzazione vera. La legge n. 502 del 1992, così come è nata, prevedeva l'istituzione di fondi integrativi che poi per questioni ideologiche non si sono sviluppati. Anzi, si è andati in direzione opposta.
  Nel nostro Paese c’è un sistema universalistico da cui non si può prescindere perché rappresenta una grande conquista di civiltà anche rispetto a quanto prevede la Costituzione. Con il decreto legislativo n. 229 del 199, il cosiddetto decreto Bindi, per la prima volta nel nostro Paese è stato Pag. 27sancito nell'ordinamento il principio secondo cui il sistema rimane sì universalistico, però è sostenuto dalla finanza pubblica e dalla compartecipazione dei cittadini.
  Nel contesto della compartecipazione dei cittadini – non apriamo il fronte dei ticket, che è una cosa incredibile –, vorrei sapere se a Confindustria risulta questo crescente fenomeno delle strutture low cost, al di là delle le strutture accreditate, che sta prendendo piede nel nostro Paese. Vorrei sapere se questo fenomeno esiste e se è veramente così in crescita.

  BRUNO TABACCI. Presidente, intervengo per esprimere apprezzamento per le osservazioni ragionevoli che il direttore ci ha esposto. Non c’è dubbio che la riforma sanitaria che ha dato vita al Servizio sanitario nazionale ha avuto come obiettivo la base universalistica, avendo come riferimento la necessità di perseguire una giustizia sociale più profonda.
  Tuttavia, il problema di fronte al quale siamo con questa indagine conoscitiva è quello di interrogarci sull'effettiva strumentazione che si è messa in campo nella realizzazione di questa riforma. Non possiamo far finta di niente: la riforma del Titolo V rende falsamente paritarie le competenze concorrenti di Stato e regione e rende del tutto virtuale l'azione dello Stato in materia sanitaria. Questo è un nodo ineludibile.
  È chiaro che, con queste premesse, la spesa sanitaria non sarà sostenibile nell'arco dei prossimi decenni, innanzitutto perché la popolazione, invecchiando, con le caratteristiche tipiche della demografia del nostro Paese, tenderà ad appesantire l'esigenza di tutela e di cura sanitaria. Per questa ragione, è un modello che va profondamente ripensato – l'indagine conoscitiva aveva sostanzialmente quest'obiettivo –, comprese le opzioni che sono state avanzate in occasione della riforma del Titolo V della Costituzione.
  Perseverare diventa, infatti, irresponsabile in un contesto di questa natura. Allo stesso modo, va definita la parte relativa alla partecipazione dei cittadini, in particolare di quella forma di presenza del privato a cui lei ha fatto cenno, intermediata in altri Paesi da strutture assicurative che raggiungono attraverso quella via un obiettivo importante.
  Penso che questi, accanto ai temi della corruzione, siano gli elementi sui quali bisognerà mettere il dito: o restituiamo allo Stato il peso di un riequilibrio, oppure restiamo con venti centri di spesa, i quali, tra l'altro, hanno messo in moto dei meccanismi di controllo palesemente inesistenti.
  Vorrei semplicemente ricordare che, quando nella mitica Lombardia è scoppiato lo scandalo del Santa Rita, il controllo sulle cartelle era indicato in un numero magico. I controlli facevano riferimento al 3 per cento delle cartelle cliniche, ma questi controlli avvenivano su segnalazione. Ciò vuol dire che si andava a controllare, avvisando le strutture, sia private che pubbliche, che si sarebbe andati a prendere la cartella 151 e 152.
  Solamente dopo la vicenda del Santa Rita si è stabilito che, fermi restando al 3 per cento, i controlli sarebbero stati effettuati a sorpresa. Con questa dimensione di controllo non c’è da meravigliarsi che qualcuno sostenga che c’è un 25 per cento di intermediazione «politica», e mi dispiace usare questo termine perché vuol dire non avere neppure accortezza nel rispetto dei ruoli istituzionali. C’è un ladrocinio dentro la vicenda sanitaria che è di dimensioni gigantesche, come – lo ripeto – la stessa questione della Lombardia si è incaricata di evidenziare. Parliamo di numeri grossi perché la spesa sanitaria di quella regione, che appare la più efficiente, è pari a 17 miliardi di euro.
  Se quella è la regione più efficiente ed emergono queste evidenze, immaginiamoci qual è la condizione, per esempio, della Calabria, per citare una regione che invece viene indicata come una di quelle che non avrebbe un equilibrio appropriato.
  Penso che il tema centrale sia quello riguardante le competenze, perché condiziona Pag. 28fortemente il modulo organizzativo.

  PRESIDENTE. Do la parola all'avvocato Panucci per la replica.

  MARCELLA PANUCCI, Direttore generale di Confindustria. Noi abbiamo lasciato agli atti delle Commissioni una memoria più dettagliata, dove ci sono considerazioni più approfondite rispetto a quelle che io ho svolto.
  Onorevole Palese, il fenomeno del proliferare di strutture low cost ci risulta ed è abbastanza diffuso. Nella nostra memoria c’è un paragrafo in cui troverà maggiori informazioni su questo tema. Siamo comunque a sua disposizione per fornirle tutte le informazioni di cui ha bisogno.
  Sono d'accordo con la considerazione dell'onorevole Tabacci, nel senso che il meccanismo delle competenze concorrenti andrebbe mantenuto. Tuttavia, nell'ambito di una revisione del Titolo V della Costituzione, che ci auguriamo possa essere portata a termine da questo Parlamento perché si tratta forse della riforma più urgente, è necessario rivedere anche il meccanismo di operatività dei sistemi di concorrenze competenti.
  Infatti, come dicevo prima, è evidente che non può esistere una totale assenza di controlli da parte dello Stato da considerare doverosa e necessaria alla luce dell'articolo 117 della Costituzione. Questo è un sistema che non può stare in piedi se non c’è un check and balance tra autonomia delle regioni, loro responsabilità e poteri dello Stato che, di fatto, comunque finanzia questo settore. Sono d'accordo con lei, onorevole Tabacci.
  Vi ringrazio ancora e siamo a disposizione per ogni chiarimento.

  PRESIDENTE. Siamo noi che la ringraziamo per la memoria che ci sta lasciando e per la disponibilità che ha avuto nello svolgere una sintesi di ciò che i vostri associati avevano già in parte detto.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti della CONSIP.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca a questo punto l'audizione di rappresentanti della CONSIP.
  Sono presenti la dottoressa Giuseppina Baffi e il dottor Domenico Casalino. Pregherei anche loro di essere sintetici. L'orario è tardo perché, purtroppo, le audizioni sono state molto interessanti, per cui tendono ad andare oltre i tempi prefissati.
  Do immediatamente la parola ai nostri ospiti.

  GIUSEPPINA BAFFI, Presidente della CONSIP. Il mio sarà un brevissimo intervento, poi cederò la parola al dottor Casalino per gli ulteriori chiarimenti sui dati relativi all'attività di CONSIP.
  Ringrazio, innanzitutto, le Commissioni per averci dato l'opportunità di presentare una relazione in questa sede.
  Cercherò, nella mia breve descrizione, di sintetizzare la missione e le attività di CONSIP, illustrando le connessioni che la nostra società ha con le sfide che riguardano il sistema sanitario e gli obiettivi di finanza pubblica.
  Nell'intervento del dottor Casalino, come accennavo, insieme ai colleghi, l'avvocato Martina Beneventi e l'ingegner Stefano Tremolanti, se ci saranno domande specifiche, saranno forniti anche ulteriori dettagli sui risultati da noi raggiunti.
  La CONSIP è una società in house del Ministero dell'economia e delle finanze costituita nel 1997. Dal 2000 gestisce il programma di razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione. Ha, dunque, acquisito in questo arco di tempo abbastanza lungo una certa esperienza. Nel corso degli anni, sono intervenute varie modifiche normative, che hanno portato il ruolo e le funzioni della società a concentrarsi in particolare sulla suddetta attività di razionalizzazione. CONSIP si occupava, infatti, prima anche di una attività informatica, da ultimo ceduta all'altra società in house, la SOGEI.Pag. 29
  In questo momento, la CONSIP svolge tre funzioni fondamentali. La prima è la gestione del programma di razionalizzazione degli acquisti della pubblica amministrazione, attraverso il quale, sostanzialmente, si possono effettuare acquisti di beni e servizi con procedure e strumenti differenti. Le procedure più note sono quelle delle convenzioni e delle gare su deleghe.
  Vi è, inoltre, la procedura molto rilevante e in fase di continua crescita del mercato elettronico, che consente anche alle aziende di piccole e medie dimensioni di partecipare.
  La società svolge anche le funzioni di centrale di committenza, ovvero effettua gare di appalto per conto di singole amministrazioni. Recentemente, ne abbiamo gestite per la Protezione civile, per l'INAIL e per altre amministrazioni.
  Svolge, inoltre, un'attività di supporto nei confronti della pubblica amministrazione in generale in materia di revisione della spesa e di revisione dei processi organizzativi.
  Altra attività rilevante che dobbiamo sempre più cercare di sviluppare, anche se in questo momento a mio avviso non proprio centrale, è quella di incrementare un'attività di sistema a rete per condividere i piani di razionalizzazione della spesa con le altre società di committenza regionali. Si tratta di un punto, a mio avviso molto importante, che negli ultimi anni non è stato molto sviluppato e che, invece, può davvero portare a una razionalizzazione della spesa a livello generale. Da sola, la CONSIP non può fare tutto, ha bisogno anche di altre centrali regionali.
  Con riferimento agli argomenti oggetto della vostra indagine ricordo che, nel decreto-legge n. 95 del 2012, sono presenti diverse disposizioni che incidono sull'operato di CONSIP nell'ambito del settore sanitario.
  È previsto, infatti, all'articolo 15, l'obbligo per gli enti del sistema sanitario nazionale di utilizzare la piattaforma di CONSIP o quelle delle centrali di committenza regionali. Si tratta di un chiaro tentativo di centralizzazione della spesa per consumi intermedi afferenti al settore sanitario, al fine di conseguire risparmi di spesa attraverso un maggior controllo del fabbisogno e l'operare di economie di scala e di scopo.
  Prima di cedere la parola al dottor Casalino, vorrei fare un accenno alla specificità del settore sanitario, che costituisce un ambito certamente delicato, in equilibrio, come sappiamo, tra la necessità di garantire il diritto alla salute enunciato dalla nostra Costituzione e l'effettivo bisogno di controllare la spesa pubblica, come accennato poco fa.
  L'importanza rivestita dal settore emerge da un'analisi della spesa per beni e servizi delle pubbliche amministrazioni in ambito sanitario, che ammonta, nel 2012, a circa 70 miliardi di euro su un totale di 132.
  Dei 70 miliardi, circa 40 riguardano prestazioni sociali in natura, e quindi non possono essere oggetto di iniziative e di razionalizzazione da parte di CONSIP. I restanti 30 miliardi costituiscono acquisti di beni e servizi per le strutture sanitarie, ma di questi solo 18 miliardi possono essere oggetto di iniziative e razionalizzazione da parte di CONSIP. Scusate il numero un po’ elevato di cifre, ma serve a spiegare che, dell'ammontare generale di spesa sanitaria, la parte che CONSIP per i suoi compiti specifici può aggredire, è abbastanza contenuta.
  A ciò si aggiunga che, dal punto di vista economico, il settore sanitario presenta simmetrie informative e rischi di comportamenti opportunistici da parti di tutti i diversi attori coinvolti, in virtù dei quali, a mio parere, il controllo della spesa diventa un fattore davvero determinante, a prescindere dalla scelta del modello cui anche prima si accennava, se pubblico o privato.
  Nel rapporto sulla spesa delle amministrazioni centrali dello Stato del 2012, in un confronto tra diversi comparti delle amministrazioni pubbliche, la crescita più elevata della spesa per consumi intermedi dal 2001 al 2012 è stata registrata proprio Pag. 30dagli enti sanitari locali, per i quali l'aggregato di riferimento sarebbe cresciuto del 107,3 per cento.
  Il ruolo di CONSIP in questo contesto è semplice, ma credo di rilevante importanza. CONSIP, infatti, permette di ottenere l'acquisizione di beni e servizi che servono a soddisfare i bisogni legati alla salute con il maggior risparmio possibile in termini di risorse pubbliche attraverso l'aggregazione del fabbisogno – è questo il dato più rilevante – e l'acquisizione di una competenza nel campo delle gare, che consente di ottenere il prezzo migliore.
  Non bisogna trascurare – questione a cui tengo in modo particolare – che, se CONSIP può far molto sul fronte del prezzo unitario, ha maggiori difficoltà a dare delle indicazioni sulle quantità consumate.
  Sotto questo profilo, credo sia decisamente rilevante un ripensamento di tutte le amministrazioni, che devono essere incaricate di controllare tali aspetti. Diversamente, infatti, si può far molto per la definizione, la realizzazione di un prezzo eccellente, ma se le quantità consumate rimangono alte, è difficile ottenere un risultato complessivo soddisfacente.
  Concludo qui, data l'esiguità del tempo a disposizione. Vi ringrazio molto.

  CASALINO DOMENICO, Amministratore delegato della CONSIP. Sono funzionario dello Stato da 25 anni. Proseguo la relazione secondo il documento depositato, illustrando l'attività, in particolare la spesa pubblica in beni e servizi, con il focus particolare sulla sanità.
  Secondo la contabilità nazionale, e, in particolare, dai conti ISTAT, la spesa per consumi intermedi è costituita dalle seguenti voci: in primo luogo, beni e servizi, ovvero i noleggi, le manutenzioni, i servizi di pulizia e così via; in secondo luogo, prestazioni sociali in natura, e quindi spesa sostenuta per le funzioni di protezione sociale della sanità. Su beni e servizi sono possibili gli interventi di aggregazione e di razionalizzazione degli acquisti operati da CONSIP.
  Nel 2012, la spesa complessiva delle pubbliche amministrazioni è stata pari a 132 miliardi di euro, con un trend che, dopo un decennio costante di crescita – nel 2012 si è registrato un più 53,3 per cento rispetto al 2000 – ha fatto registrare proprio lo scorso anno una contrazione rispetto all'anno precedente – meno 2,6 per cento – dovuto a quello che noi chiamiamo «effetto spending review».
  Non tutte le spese, però, sia pure per l'approvvigionamento di beni e servizi, possono essere oggetto di razionalizzazione attraverso l'efficiente gestione degli acquisti. Affinando l'aggregato di riferimento, risulta che la dimensione della spesa effettiva su cui è possibile incidere mediante la centrale acquisti è pari a circa il 35-40 per cento della componente originaria, ovvero 40 miliardi di euro.
  A fronte di questo valore, il programma di razionalizzazione degli acquisti ha presidiato, nel 2012, complessivamente 30,1 miliardi di euro, con un'incidenza quindi del 75 per cento della spesa effettiva complessiva. Con riferimento all'ambito della sanità la spesa è stata di circa 18 miliardi di euro, ripartiti con il 60 per cento di spesa specifica di comparto – farmaci, presìdi sanitari, diagnostica e così via – e il 40 per cento di spesa comune – utenze, PC, servizi agli immobili, buoni pasto –.
  Di questo valore, il programma di razionalizzazione di acquisti nel 2012 ha presidiato 13 miliardi di euro, con un'incidenza del 72 per cento, e ha interessato per 9 miliardi di euro la spesa specifica e per 4 miliardi la spesa comune.
  Infine, l'intermediato erogato attraverso il programma di razionalizzazione del comparto sanitario è stato, nel 2012, pari a circa 1,4 miliardi di euro su 3,4 complessivi.
  Vediamo cosa sono il sistema a rete e gli altri aggregatori della domanda. Esistono diverse forme di aggregazione territoriale della domanda. Ai fini del contenimento e della razionalizzazione degli acquisti di beni e servizi, le regioni possono costituire centrali d'acquisto anche Pag. 31unitamente ad altre regioni, che operano quali centrali di committenza, ai sensi del codice dei contratti pubblici, in favore delle amministrazioni, di enti regionali, enti locali, enti del Servizio sanitario nazionale e delle altre pubbliche amministrazioni aventi sede nel medesimo territorio.
  La legge finanziaria del 2007 ha previsto la costituzione di un sistema a rete tra la centrale acquisto territoriale e la CONSIP, al fine di perseguire l'armonizzazione dei rispettivi piani di razionalizzazione della spesa e di realizzare sinergie nell'utilizzo degli strumenti informatici.
  Ad oggi operano, anche se con un notevole diverso grado di maturità, molteplici aggregatori della domanda pubblica. Nell'ambito del sistema a rete ci sono 12 soggetti, evidenziati in verde nella tabella del documento consegnato, con livelli di operatività, natura giuridica e perimetro d'azione di tutte le amministrazioni del territorio o degli enti del servizio sanitario regionale molto differenti. L'ambito d'aggregazione di questi soggetti si basa su contratti aperti, vale a dire contratti quadro stipulati dalla centrale acquisti, a cui le singole amministrazioni aderiscono con buoni d'ordine.
  A livello territoriale, agiscono anche altre centrali di committenza istituite ai sensi dell'articolo 33 del codice dei contratti, che aggregano comunque le iniziative di acquisto del territorio. L'ambito di aggregazione di questi soggetti si basa su contratti chiusi, per cui si acquistano, ad esempio, i 10 beni necessari e commissionati dai soggetti alle centrali di committenza.
  Nella tabella consegnata, figurano 21 soggetti di 18 regioni: Abruzzo e Umbria non hanno centrali di committenza. Toscana, Trentino-Alto Adige e Basilicata hanno due unità centrali di committenza.
  Per concludere, in merito a questi diversi livelli di governo della spesa pubblica, evidenziamo come manchi un coordinamento ufficiale, inizialmente previsto in sede di Conferenza Stato-Regioni, al quale ha fatto fronte lo sviluppo di una cooperazione informale volontaristica tra e con i principali soggetti che operano in questo comparto.
  Veniamo all'impatto della spending review sull'attività di CONSIP. Nel 2011, ancor prima della stagione «forte» della spending review, sono state individuate le misure per l'incremento della centralizzazione nell'ambito del sistema rete. A questo scopo, il Ministero dell'economia e delle finanze ha avviato un piano per l'ampliamento della quota di spesa degli acquisti di beni e servizi gestita con gli strumenti di centralizzazione e pubblica: sul sito acquistinretepa.it, con cadenza trimestrale, sono indicate le merceologie per le quali è attivato il piano.
  Veniamo ora alla spending review. Il decreto n. 95 del 2012, culmine della produzione normativa della spending review, all'articolo 15 individua disposizioni urgenti per l'equilibrio del settore sanitario, misure di governo per la spesa farmaceutica e prescrive, al comma 13, lettera d), che gli enti del Servizio sanitario nazionale, ovvero per essi le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, per gli importi sia sopra sia sotto la soglia comunitaria, hanno l'obbligo di ricorrere alle convenzioni delle centrali di acquisto territoriale (CAT) di riferimento, ; in mancanza di queste, a quelle di CONSIP. In assenza di convenzioni, hanno l'obbligo di ricorrere a strumenti d'acquisto e negoziazione telematici messi a disposizione dalla CONSIP o dalla CAT di riferimento.
  A seguito di questo intervento, è stato riscontrato un significativo aumento nell'utilizzo del mercato elettronico nella pubblica amministrazione da parte di tutte le amministrazioni riconducibili al Servizio sanitario nazionale. Misuriamo, quindi, l'effetto spending review negli ultimi dodici mesi.
  Il transato complessivo è stato pari a 132 milioni di euro rispetto ai 44 milioni precedenti – più 200 per cento –; si è riscontrato un aumento medio percentuale del transato mensile per più 205 per cento; sempre gli enti del Servizio sanitario nazionale hanno effettuato oltre 25.000 transazioni Pag. 32rispetto alle 5.900 precedenti – più 300 per cento -. Per quello che riguarda, infine, il bando del mercato elettronico della pubblica amministrazione (MePA), cioè i beni specifici per la sanità, il transato complessivo è passato a oltre 47 milioni – più 400 per cento –. Infine, sempre gli stessi enti del Servizio sanitario nazionale, su questo bando hanno effettuato 9.100 transazioni – più 900 per cento –. L'effetto spending review ha consentito, dunque, aumenti dal 200 al 900 per cento.
  Venendo ai risultati 2012 dell'attività CONSIP, come mostra una delle tabelle consegnate, che offre un'illustrazione complessiva, sono stati banditi 6,6 miliardi di euro di gare; presidiati, creando un benchmark su quella spesa, 30,1 miliardi di euro; gestite 178.000 transazioni a sistema; gestiti 3,4 miliardi di euro di erogato sui sistemi CONSIP.
  Il dato molto importante è che il 40 per cento di questa quota di erogato è stato fatturato da piccole e medie imprese, per 6,1 miliardi di euro di risparmi come valore creato. ISTAT ha certificato, inoltre, che gli acquisti 2012 in convenzioni CONSIP costano il 24 per cento in meno della media degli acquisti della pubblica amministrazione. Un euro investito nel programma CONSIP ha generato 212 euro di risparmi, un ritorno sugli investimenti del 20.200 per cento. In media, ogni dipendente CONSIP ha generato nel 2012 risparmi per oltre 20 milioni di euro.
  In ambito sanità, nel 2012, il volume di acquisti, attraverso gli strumenti del programma di razionalizzazione effettuati da parte di enti del Servizio sanitario nazionale, è stato di circa 1,4 miliardi di euro.
  Il comparto sanità ha acquistato, inoltre, 395 milioni di euro di erogato ricorrendo allo strumento della convenzione quadro. Questa specifica spesa sanitaria riguarda ortopantomografi telecomandati e portatili per radiografia, TAC, risonanze, mineralometria ossea computerizzata, angiografi ad archi, apparecchiature per telepatologia, presìdi per l'autocontrollo della glicemia, mammografi, multiservizio tecnologico sanitario.
  Attraverso il MePA (il Mercato elettronico della pubblica amministrazione) il comparto sanità ha acquistato 62 milioni di euro di erogato ed è presente un bando per beni e servizi specifici per la sanità con oltre 15.000 articoli al catalogo. Tra questi, vi sono arredi sanitari, ambulanze, strumentario chirurgico, materiale per sterilizzazione, defibrillatori; aghi e siringhe; strumenti e materiali laboratorio, ausili per l'incontinenza, apparecchiature elettromedicali.
  In relazione al Sistema dinamico d'acquisto della pubblica amministrazione (SDAPA), CONSIP ha pubblicato, nel 2011, il primo bando istitutivo del Sistema dinamico avente come oggetto la fornitura di prodotti farmaceutici medicinali, soluzioni infusionali, emoderivati, vaccini; nel 2012, il comparto sanità ha acquistato 858 milioni di euro di erogato utilizzando lo strumento del Sistema dinamico d'acquisto della pubblica amministrazione. Attualmente, su questo sistema sono presenti 180 fornitori. A giugno 2013, CONSIP ha pubblicato il bando istitutivo SDAPA, avente per oggetto la fornitura di antisettici e disinfettanti. Sono presenti su questo comparto 30 fornitori.
  Con riferimento alle gare su delega, è di particolare importanza la collaborazione avviata con la regione Abruzzo, con la quale si sono sviluppate gare nell'ambito di spesa specifica sanitaria: raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti; Radiology information system e Picture Archiving and Communications System (RIS E PACS); infrastruttura 118.
  Concludo illustrando quale potrebbe essere un ulteriore contributo di CONSIP, che si aggiunge ovviamente al fatto che manterrà e svilupperà il presidio sul comparto sanità attraverso gli strumenti del programma di razionalizzazione – le convenzioni, il MEPA, gli accordi quadro, lo SDAPA, le gare su delega – e anche con le gare di sistemi informativi e gestionali Pag. 33per l'agenda digitale, ossia per digitalizzare i processi gestionali in campo sanitario.
  È, quest'ultimo, un tema veramente molto caldo, proprio perché è noto che la corretta gestione può favorire la migliore conoscenza, e quindi l'indirizzo di nuove politiche. Purtroppo, riscontriamo che, nella gran parte degli enti del Servizio sanitario nazionale, i sistemi informativi hanno rigorosamente scollegate anagrafiche da prestazioni dalla contabilità.
  Vi sono due ulteriori ambiti di sviluppo e due fattori abilitanti. Il primo ambito di sviluppo è l'aggregazione selettiva della domanda, ossia puntare ad alcune iniziative insieme agli enti del Servizio sanitario nazionale per cui si possono calibrare interventi sì di larga scala, ma il più possibile misurati, vicini e personalizzabili dagli enti del servizio.
  Come è noto, inoltre, le regioni in deficit sanitario hanno firmato un piano di rientro con il Ministero della salute e con il Ministero dell'economia e delle finanze, con cui si impegnano a rientrare dal deficit attraverso un piano triennale, ottenendo il diritto a finanziamenti aggiuntivi.
  In questo contesto, CONSIP potrebbe sviluppare, con uno scenario abilitante in stretto raccordo con il Ministero della salute, dei piani d'intervento per razionalizzare gli acquisti, basandosi su integrazione e armonizzazione dell'informazione di spesa disponibili – ovviamente, bisogna disporre di sistemi informativi che li trattino – iniziative d'acquisto aggregato per specifici fabbisogni delle regioni, con piano di rientro che consentano il perseguimento degli obiettivi economici.
  Riteniamo, infine, che i migliori risultati si possano ottenere grazie a due categorie di interventi abilitanti: il miglioramento costante dell'efficienza dei processi gestionali dell'aggregazione dei fabbisogni e della programmazione degli acquisti da parte degli enti; lo sviluppo dell'accuratezza e della sistematicità dei controlli da parte degli organi preposti.
  Concludo riassumendo il profilo di CONSIP, che: abilita in un quadro giuridico complesso efficienza, trasparenza e risparmio negli acquisti pubblici; è la centrale di committenza nazionale per l'acquisto di beni e servizi; forma il sistema a rete con le centrali di acquisto regionali; fa gare che creano il prezzo benchmark e permettono acquisti efficienti; inoltre, aspetto non trascurabile, gestisce i mercati elettronici della pubblica amministrazione: il MePA e lo SDAPA.
  Il risultato sono i 6,1 miliardi di euro di risparmi nel 2012, il 24 per cento di risparmio certificato da ISTAT per gli acquisti di tutte le pubbliche amministrazioni.

  PRESIDENTE. Direttore, ci viene voglia di affidare il ministero direttamente a CONSIP.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  BRUNO TABACCI. Non nutriamo alcun dubbio sul ruolo di CONSIP in generale, ma mi pare che sulla questione della sanità, per quello che avete illustrato, il vostro ruolo sia assolutamente marginale.
  Quando affermate che avete presidiato 13 miliardi di euro del comparto sanitario, significa che li avete censiti. Nella relazione, infatti, avete spiegato con dovizia di particolari che i rapporti tra CONSIP e le centrali di committenza regionali sono del tutto inadeguati. Manca un coordinamento efficace perché non esiste una base giuridico-formale, e quindi si tratta di «aria fritta».
  Allo stato, appare troppo incerto, a fronte della rivendicazione regionale che la sanità sia una competenza pressoché esclusiva, contrapporre delle convenzioni, che non hanno nessun peso specifico se i centri di committenza regionale non possono essere coordinati se ognuno fa per sé.
  La domanda è molto semplice: quali interventi legislativi sarebbero necessari se quelli sinora adottati si sono rilevati così inadeguati ? Questa è la questione sulla quale converrebbe avere una risposta.

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  ROCCO PALESE. La mia domanda è stata anticipata dall'intervento dell'onorevole Tabacci. Considero l'esperienza CONSIP una santa, grande e urgente necessità per il Paese, che deve seguire tale esempio. In presenza del 24 per cento di risparmio nella pubblica amministrazione per gli acquisti di beni, servizi, strumentazioni e così via nella sanità, avremmo subito 20 miliardi di euro all'anno. Sono assai convinto che sia così.
  Alla luce di questo quadro, vogliamo sapere quale strumento legislativo è necessario. Se l'esperienza del Parlamento continuerà, vorremmo capire, come ho tentato di capire, nella mia esperienza in consiglio regionale negli anni in cui ci ho lavorato: chi vuole agevolare i ladri e chi non vuole farlo. La domanda è semplice, secca.
  Siccome non esistono risorse e non siamo in un periodo di «vacche grasse», non si doveva comunque, ma meno che mai adesso consentire il perpetuarsi di tali comportamenti. Saremmo veramente grati se, anche con riferimento alle competenze esclusive in materia di sanità previste dal Titolo V, andassimo a verificare quali sono le regioni che davanti a una norma nazionale di questo tipo, che garantisce dei risultati e degli obiettivi, vanno davanti alla Corte costituzionale per rivendicare le proprie competenze.
  In questo modo, il Parlamento è nelle condizioni, chi vorrà farlo, di affermare che quelle regioni sono amministrate da giunte regionali che favoriscono i ladri e la corruzione, altro che tutto il resto !
  Inoltre, una delle obiezioni che mi è stata sempre mossa un po’ dappertutto è che non si possono gestire gare nel Servizio sanitario nazionale al massimo ribasso perché verrebbe meno in qualità. Non sono convinto di questo dogma assoluto.
  Sono convinto – per carità – che, se il capitolato è redatto bene, non ci sia problema. Tuttavia, non è così. Dappertutto, le gare si gestiscono con gli accordi, si prende il dischetto, lo si porta alle direzioni generali delle ASL in astratto, non necessariamente al direttore generale o chi ne è responsabile, dopodiché lo si prende, lo si inserisce nel computer e si tira fuori il bando, peggio ancora nei comuni sulle questioni attinenti ai rifiuti. Sappiamo bene come vanno le cose.
  Soprattutto per i prodotti e i dispositivi medici e sanitari, che presentano certificazione europea, con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea, cosa costa chiedere 1.000 siringhe di una certa tipologia, con certe certificazioni, al prezzo più basso ? Dov’è, in questo caso, la perdita di qualità ? Non sono nelle condizioni di dire se tutto ciò sia possibile e, finalmente, riesco ad avere di fronte persone che hanno un'esperienza nettamente superiore alla mia.
  Anche in questo caso, a mio avviso, potremmo intervenire. Se siamo davanti al patto per la salute, siamo davanti a un accordo di tipo bilaterale. Lo Stato deve allora indire gare al massimo ribasso, non libere. Esistono, infatti, le ruberie in tutti i sensi, a 360 gradi.

  ANDREA CECCONI. Sarò velocissimo. I miei colleghi intervenuti in precedenza hanno già centrato il problema, chiaro a tutti. CONSIP funziona a centralizzare gli acquisti e io vorrei semplicemente sapere quanta strada abbiamo ancora da percorrere prima di avere una siringa dello stesso prezzo a Trento e a Reggio Calabria.
  Soprattutto, vorrei sapere se il vostro ente sarebbe attualmente pronto, se ha la struttura adatta per sostenere, su tutto il territorio nazionale, appalti nazionali. È chiaro che certe attrezzature vanno calate sul territorio, per cui immagino che le regioni debbano mantenere un minimo di autonomia per l'acquisto di alcuni macchinari particolari per esigenze territoriali. Tuttavia, per una siringa, una penna o una flebo, credo che centralizzare al massimo ribasso, pur mantenendo la qualità, sia un obiettivo che dovremmo raggiungere nel più breve tempo possibile.

  PRESIDENTE. Prima che risponda, direttore, vorrei sottolineare che una delle Pag. 35problematiche riscontrate dalle regioni nel rivolgersi a CONSIP, come già implicitamente ricordato negli interventi dei colleghi, è la difficoltà di indire gare basate sulla qualità.
  Soprattutto per gli acquisti di apparecchiature, la lamentela rivolta a CONSIP è che prenda i barattoli della vecchia generazione, quindi non il top di gamma, e non dia così mai risposte adeguate alle richieste dell'ente interessato.

  DOMENICO CASALINO, Amministratore delegato della CONSIP. Innanzitutto, risponderei alla questione sul quadro istituzionale in cui CONSIP opera in Italia. L'onorevole Tabacci citava il quadro normativo e l'impatto sulla spesa presidiata, che è l'azione di CONSIP in questo contesto.
  Diversi Paesi, non soltanto in Europa, ma nel mondo, hanno scelto diversi modelli a cui fare riferimento. Quasi ogni Paese del mondo ha una centrale d'acquisto. L'Italia ha una centrale d'acquisto nazionale e alcune regionali, facciamo parte del G6 delle centrali d'acquisto mondiali perché abbiamo un'esperienza che scambiamo con i partner più importanti. Alcuni Paesi hanno puntato alla centralizzazione totale, come Francia e Regno Unito, che hanno una centrale acquisti nazionale.
  L'Italia, nel suo quadro istituzionale-normativo, sin dal 2007, quindi con la norma che istituisce il sistema a rete, ha puntato a un sistema che coopera, che prevede, appunto, accanto alla centrale d'acquisti nazionale delle centrali d'acquisto regionali, le quali, come accennavo, hanno un diverso grado di sviluppo. Alcune, in effetti, non esistono realmente, mentre altre sono estremamente efficienti.
  Il tema emerso anche durante la stagione della spending review è stato lo scarto tra bandire tutti gare su telefonia mobile ed elettricità e un'organizzazione in cui si divida il piano delle gare, così decidendo chi fa cosa per coprire il numero più ampio possibile di aree merceologiche. Attualmente, il tema non è regolato dal punto di vista delle norme ed è l'oggetto di un interessantissimo dibattito che abbiamo avviato con gli amici e colleghi delle centrali acquisto sul territorio.
  È per questo motivo che in Italia la spesa non è totalmente gestita degli acquisti CONSIP, ma c’è il sistema del benchmark. In tema di spesa presidiata, abbiamo appena stipulato i contatti per l'acquisto di glucometri con una gara a cui abbiamo lavorato 3 anni dopo che, nel 2005, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sanzionato gli operatori del mercato per le intese restrittive della concorrenza. Abbiamo aggiudicato la gara, con la quale creiamo un prezzo benchmark che, per inciso, prevede meno 30 per cento della spesa complessiva annuale, quindi permette 100 milioni di euro di risparmi all'anno.
  Le amministrazioni che devono acquistare dispositivi e striscette per il presidio della glicemia, non possono farlo, evidentemente a parità di prodotto, a un prezzo superiore a quello fissato dal benchmark, quindi non c’è la copertura totale della domanda, ma il principio chiaro che una striscetta non deve costare più di 20 centesimi di euro. Per inciso, oggi costa più di 40 centesimi nella regione che la compra meglio, fino a punte di 1,10 euro. Da dieci anni, su questo comparto, non si bandivano gare pubbliche.
  Quello italiano, quindi, è un sistema che vede una concorrenza, un'attività complementare tra centrale acquisti nazionale e centrali acquisto regionali, laddove la prima fissa un benchmark e, ovviamente, mette a disposizione delle amministrazioni concrete opportunità d'acquisto a valori efficienti.
  L'onorevole Palese chiedeva della norma per migliorare il profilo della spesa e, particolarmente, di come possano essere gestite le gare al massimo ribasso, tema affrontato anche dal presidente Vargiu.
  È chiaro che, guardando ai risultati attesi sul processo degli approvvigionamenti, vediamo cosa funziona e quello che non funziona. In questo senso, possiamo offrire degli elementi al legislatore. Funziona bene un'amministrazione con processi Pag. 36efficienti, ben disegnati, che quindi, fondamentalmente, fa ciò che serve, nella quantità e nella misura che serve ai propri cittadini.
  Sul profilo degli acquisti, funziona bene un'amministrazione con un responsabile unico per gli acquisti e non decine, se non centinaia. Molti enti hanno al proprio interno centinaia di responsabili per gli approvvigionamenti.
  Funziona bene un'amministrazione che ha o che usa una centrale d'acquisto. Questo è importante perché, nel progettare una gara, impiega non soltanto tutta la qualità per gestire l'innovazione del prodotto approvvigionato, ma è anche ben fatta e non è affondata dai ricorsi che non sono pretestuosi.
  Inoltre, funziona molto bene un'amministrazione soggetta a controlli costanti e strutturati. Esistono numerosi organi di controllo a livello nazionale e territoriale, ma al termine di tutto questo percorso le amministrazioni spesso non riescono a essere certe che ci sarà un controllo.
  La gara al massimo ribasso è l'iniziativa più semplice di un'amministrazione quando deve acquistare in maniera improvvisata un bene o un servizio, ma abbiamo appurato per esperienza diretta di CONSIP all'inizio della sua stagione, dal 2001 al 2004, che tale tipo di gara danneggia l'amministrazione e gli operatori di mercato, in particolare sui servizi. Mentre sui beni, infatti, esistono particolari condizioni di mercato, sui servizi tale tipologia di gara risulta distruttiva.
  Sui beni, è possibile, ma va progettata bene perché altrimenti, se non è ben disegnato l'oggetto d'acquisto, si rischia di non cogliere nel segno. Quando accanto al bene, ci sono anche i servizi, come quelli di assistenza e manutenzione, il rischio è ancora più forte.
  Onorevole Cecconi, sul centro e le regioni, la CONSIP evidentemente come società per azioni, come pezzo dello Stato che opera nell'interesse dello Stato, operiamo il meglio secondo il quadro normativo vigente. La scelta a monte del legislatore è, quindi, quella di individuare un modello di riferimento: evidentemente, CONSIP, così come le altre centrali d'acquisto, dovrà seguire questo modello.
  Crediamo che siano possibili contemporaneamente CONSIP, a livello nazionale, e le centrali d'acquisto regionali, a livello territoriale. Sicuramente, funzionerebbe l'intero sistema in presenza di un piano coordinato delle iniziative tra CONSIP e gli altri soggetti che aggregano fabbisogno, quindi non duplicazione di domanda e sovrapposizione, e se contemporaneamente, all'interno dei vari enti, si raggiungessero quegli obiettivi di efficienza del processo gestionale degli approvvigionamenti.
  In realtà, quello che auspichiamo non è, effettivamente, un coordinamento verticistico, ma che ci si possa sedere intorno a un tavolo per decidere quale piano adottare.

  GIUSEPPINA BAFFI, Presidente della CONSIP. In relazione a quanto osservava l'onorevole Tabacci, vorrei aggiungere che credo sia effettiva una difficoltà a mettere attorno a un tavolo i vari soggetti per decidere un ruolo di coordinamento. Oggettivamente, è così.
  Ci terrei, però, anche ad aggiungere che, a mio avviso, disponiamo già di molte norme, ma, la difficoltà spesso è quella di dare loro una compiuta attuazione. Non sempre i soggetti che devono rispettare certi impegni lo fanno.
  Francamente, allora, anche una continua revisione delle norme che disciplinano la società non è semplice. Il contributo che possiamo dare è quello di riuscire ad attuarle, con i vari soggetti incaricati di controllare, ad esempio, che sia utilizzata CONSIP e non si proceda agli acquisti con altre modalità.

  PRESIDENTE. In considerazione del fatto che dobbiamo procedere con l'audizione dei rappresentanti di AIFA, ringrazio i rappresentanti della CONSIP. Se volessero approfondire gli spunti lanciati questa sera durante la discussione in Commissione e inviarci un promemoria aggiuntivo, Pag. 37saremo loro molto grati e interessati anche a darne una diffusione più ampia.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, quindi, l'audizione di rappresentanti dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), l'ultima della giornata.
  Ringraziandolo anche a nome del presidente della V Commissione, Francesco Boccia, darei subito la parola al dottor Paolo Siviero, responsabile dell'area strategia e politiche del farmaco dell'AIFA.

  PAOLO SIVIERO, Responsabile area strategia e politiche del farmaco dell'AIFA. Buonasera. Ringrazio il presidente e gli onorevoli per la possibilità offerta all'Agenzia italiana del farmaco di offrire il proprio parere in merito a quest'importante indagine conoscitiva.
  Mi preme partire sottolineando che il settore farmaceutico si trova, sicuramente, in un momento di criticità per il cambiamento del paradigma con cui sta avvenendo anche l'introduzione dei nuovi farmaci in tutti i sistemi sanitari. La situazione non riguarda solo l'Italia, ma accomuna tutto il mondo della farmaceutica e tutti i sistemi sanitari.
  La criticità che ci troviamo a dover affrontare riguarda, quindi, proprio un cambiamento radicale di modello di sviluppo dei nuovi farmaci. Si passa da quello che era definito il modello blockbuster, in cui cioè un medicinale doveva essere appropriato per numerose terapie per essere utilizzato da una molteplicità di soggetti, ad una medicina sempre più personalizzata, ad una sempre crescente personalizzazione della terapia e dell'approccio terapeutico. Questo cambiamento sostanziale di paradigma pone delle nuove sfide, tra cui, soprattutto, quella relativa alla sostenibilità del sistema sanitario nazionale italiano e dei sistemi sanitari nel loro complesso.
  A questa sfida si aggiunge un altro elemento, che per noi diventa particolarmente rilevante, dell'invecchiamento della popolazione. Se pensiamo che entro il 2050 si prevede un'incidenza del 31,5 per cento degli over-65 in Italia, e che dai 65 anni di età l'utilizzo dei farmaci e la relativa spesa sono particolarmente importanti per il nostro Paese, è ovvio che dobbiamo affrontare un elemento particolarmente rilevante, ovvero trovare risorse che possano garantire quel livello di assistenza che finora è stato uno dei migliori per tutto il settore della sanità.
  Pur brevemente – mi rendo conto che l'orario non ci permette di affrontare nel dettaglio molti temi – ma ribadendo la disponibilità dell'Agenzia ad approfondire qualsiasi aspetto doveste ritenere utile, sottolineerei che negli ultimi cinquant'anni abbiamo visto grossi cambiamenti nelle modalità di regolazione del settore farmaceutico nel suo complesso, e in quello della definizione dei prezzi dei farmaci nello specifico, fino ad arrivare, con le modifiche del 2007, a norme che cercano di mettere insieme strumenti macroeconomici con strumenti microeconomici di regolazione del mercato, particolarmente rilevanti, e che hanno permesso finora di garantire un rapporto positivo tra la spesa sanitaria, il fabbisogno sanitario del Paese e, nello specifico, la disponibilità dei farmaci.
  Mi riferisco alla legge n. 222 del 2007, che ha introdotto i budget aziendali. Annualmente, infatti, in base al fabbisogno sanitario nazionale, viene definita una disponibilità di spesa per le aziende farmaceutiche, che hanno di conseguenza una sorta di tetto. Si tratta di un budget vero e proprio, calcolato sul loro portafoglio di prodotti e sulla possibilità di incremento data dal Fondo sanitario nazionale.
  Questo permette che, nell'eventualità di un eccesso di spesa, dovuto sostanzialmente a un inappropriato utilizzo delle risorse, questo sia ripianato, per quanto riguarda la spesa territoriale, dalle aziende Pag. 38farmaceutiche, e, per quel che riguarda la spesa ospedaliera, dalle aziende farmaceutiche unitamente con le regioni.
  Quest'ultima è una riforma importante, introdotta soltanto l'anno scorso, ma che permette di completare il quadro delle norme di una regolazione del mercato tenendo conto della possibilità e della necessità di crescita del fabbisogno e, dal punto di vista sanitario, rispetto a quello che è il controvalore per le aziende farmaceutiche.
  È bene, però, sottolineare che, dal 2007, il fabbisogno sanitario nazionale e, di conseguenza, il fabbisogno farmaceutico è stato ridotto in modo molto considerevole. Si è passati da un 16,4 per cento di incidenza rispetto al Fondo sanitario nazionale a un attuale 14,85, quindi con una riduzione importante, che indubbiamente ha posto delle sfide assolutamente rilevanti al sistema sanitario nel suo complesso e alle aziende farmaceutiche presenti nel nostro Paese.
  È bene sottolineare anche che questo è stato possibile nel tempo grazie alla genericazione di importanti farmaci. Come sicuramente gli onorevoli presenti sanno, un farmaco gode di una copertura brevettuale, quindi di un'esclusività sul mercato, per circa vent'anni. Nel momento in cui questa scade, subentra una dinamica di concorrenza del mercato che consente l'ingresso di altri player, altri attori, e quindi di ottenere una riduzione estremamente significativa del prezzo del farmaco.
  Ciò ha comportato risparmi considerevoli, che hanno permesso negli anni di abbattere il costo dei farmaci. Si è arrivati, negli ultimi anni, a punte di riduzione del prezzo dei farmaci anche del 75 per cento. Grazie alla genericazione di questi prodotti, dunque, si è potuta garantire la sostenibilità del sistema e si è potuta garantire la riduzione progressiva del fabbisogno farmaceutico.
  È ovvio pensare che tale situazione non potrà durare per sempre. Purtroppo, infatti, già nel 2013, ma anche nei prossimi anni, la situazione è cambiata e cambierà sostanzialmente. Non ci aspettiamo più la genericazione di importanti prodotti, ma dovremo trovare un altro modo per garantire quel rapporto e quel bilanciamento tra la necessità sanitaria del Paese e la disponibilità economica.
  Per offrirvi un flash della situazione nel 2012, abbiamo avuto una spesa farmaceutica totale, comprendendo sia quella pubblica sia quella privata, di 25,5 miliardi di euro, di cui il 76 per cento è stato rimborsato dal Servizio sanitario nazionale con circa 430 euro pro capite. A questo è corrisposto un consumo di circa 985 dosi ogni 1.000 abitanti, in aumento rispetto all'anno precedente del 2,3 per cento; in termini confezioni, abbiamo avuto uno 0,6 per cento di aumento.
  Questo coincide col fatto che, malgrado i consumi siano costantemente in crescita e il 2013 confermi questa crescita – i fattori demografici, epidemiologici confermano tale tendenza – abbiamo potuto comunque godere di una riduzione della spesa determinata proprio in massima parte dalla genericazione di importanti prodotti.
  Sottolineo questo aspetto proprio perché si è arrivati nel 2013 a un momento di svolta, in cui si passa dai farmaci generici di largo consumo, come potevano essere le statine, i sartani, alla circostanza per cui le uniche genericazioni che ci aspettiamo nel futuro sono quelle dei farmaci biologici, con l'introduzione sul mercato dei farmaci biosimilari.
  Questi sono aspetti particolarmente rilevanti dal punto di vista sanitario perché necessitano anche di una profonda azione di istruzione nei confronti dei medici e dei pazienti, per garantirli che questi farmaci, in particolare quelli biosimilari che arriveranno in futuro, non sono di qualità inferiore ai farmaci originatori, ma garantiscono gli stessi standard di qualità e sicurezza degli altri farmaci e comportano esclusivamente la possibilità di una riduzione del prezzo, quindi la possibilità di estendere le cure a tutte le fasce di popolazione.
  In questo senso, mi permetto di sottolineare che l'azione dell'Agenzia, fin dall'anno Pag. 39scorso si è concentrata su tali temi proprio per evitare che succedesse con i farmaci biosimilari quanto, per esempio, è avvenuto con quelli generici. È bene sottolineare, infatti, che l'Italia è stata tradizionalmente, tra i Paesi europei, uno di quelli in cui l'utilizzo dei farmaci generici equivalenti è stato sempre piuttosto scarso, proprio a causa anche della diffidenza della popolazione nel passaggio a questi farmaci.
  In questo senso, l'Agenzia ha potuto attivare fin dall'anno scorso l'apertura di un dialogo con tutte le categorie mediche e dei pazienti per chiarire gli aspetti scientifici e di sicurezza sull'utilizzo di questi farmaci, in modo da cercare di anticipare la necessità di chiarezza e trasparenza nell'introduzione dei farmaci biosimilari sul nostro mercato.
  Un altro importante elemento su cui è importante soffermarsi riguarda la spesa farmaceutica ospedaliera. Questa ha visto nel tempo la crescita del fondo destinato a coprirne il fabbisogno, passando dal 2,4 per cento del 2012 al 3,5 per cento del 2013, ed è tuttora una spesa che non riesce a coprire l'effettiva necessità.
  Va considerato che, nei primi sei mesi del 2013, ci aggiriamo intorno a un fabbisogno di circa il 4,5 per cento rispetto al 3,5 della disponibilità finanziaria. È evidente, quindi, che anche la riforma che l'anno scorso ha portato ad ampliare il tetto della spesa farmaceutica e ospedaliera, passando dal 2,4 al 3,5 per cento, non è stata in grado di coprirne l'effettiva necessità. Su questo aspetto è possibile soffermarsi e analizzare esattamente cosa stia succedendo.
  Indubbiamente, a differenza della spesa farmaceutica territoriale, su cui esiste un controllo molto più stretto e stringente, dettato anche dalla possibilità di creare benchmark tra le diverse regioni, soprattutto sull'utilizzo dei farmaci generici equivalenti, la spesa farmaceutica ospedaliera la situazione è profondamente diversa e pone degli interrogativi di altro genere.
  È importante sottolineare che la maggior parte dei farmaci innovativi di prossima autorizzazione o di quelli che sono stati autorizzati recentemente normalmente incide sulla spesa farmaceutica ospedaliera perché le nuove cure e le nuove terapie spesso sono destinate a essere utilizzate in ambito ospedaliero. Necessariamente, sempre più la medicina personalizzata e la personalizzazione delle terapie nel futuro inciderà e sarà, in qualche modo, legata a un appropriato uso in un contesto ospedaliero.
  È, quindi, evidente che anche l'attuale dotazione legata al fondo farmaceutico ospedaliero può porre degli interrogativi sul fatto che le risorse attualmente allocate siano sufficienti a coprire questo fabbisogno. Ovviamente, può porsi la necessità, per il Sistema sanitario nazionale, di trovare un diverso rapporto tra un utilizzo appropriato delle risorse e un appropriato monitoraggio di come i diversi farmaci sono utilizzati all'interno del sistema sanitario e dei singoli ospedali. Questo è un aspetto particolarmente rilevante perché si chiede non soltanto di utilizzare al meglio le nuove terapie, le scoperte scientifiche, e quindi l'avanzamento in termini di ricerca, ma di ottenere risparmi legati magari a una minore ospedalizzazione o una minore medicalizzazione del malato.
  Questi aspetti sono sfide e problemi che non riguardano esclusivamente l'Italia, come accennavo, ma generalmente e in modo più ampio interessano tutti i sistemi sanitari. Ovviamente, infatti, la nuova terapia, che prevede magari la possibilità di rimanere in ospedale per meno tempo o quella, per un paziente, di tornare a una vita produttiva più velocemente, dovrebbe poter accompagnarsi a una riduzione dei costi per l'ospedalizzazione o per la medicalizzazione del paziente, e quindi a una sinergia o a un'osmosi tra il fondo farmaceutico, quindi il fabbisogno farmaceutico, e le altre spese legate al settore sanitario.
  Oggi questo non è ancora possibile, ma è sicuramente uno dei temi che l'Agenzia Pag. 40ritiene di dover porre e di dover sottolineare a questa Commissione. Si tratta, infatti, di uno degli elementi che può costituire uno snodo e una chiave nella sostenibilità del nostro sistema nel futuro.
  Procedendo nell'analisi, è bene anche sottolineare che l'Italia è tra i Paesi europei in cui il prezzo dei farmaci riesce a essere tra i più bassi in Europa. Sotto certi punti di vista, questo ha potuto garantire dei vantaggi; da altri punti di vista, può comportare anche dei problemi.
  Questa possibilità è stata garantita, nel tempo, non soltanto da un'azione attenta di negoziazione del prezzo dei farmaci all'interno dell'Agenzia, ma anche da un complesso sistema di accesso al mercato, quello definito in inglese management agreement, ovverossia un sistema di accompagnamento all'introduzione nel mercato, che prevede una serie di strumenti per verificare l'appropriato e corretto uso dei farmaci in ogni contesto in cui questi sono inseriti.
  Gli strumenti per cui l'Italia è leader a livello europeo sono quelli legati ai registri di monitoraggio e ai cosiddetti sistemi di rimborso condizionato. Abbiamo, cioè, cercato di sviluppare degli strumenti che permettessero al Sistema sanitario nazionale di pagare esclusivamente per il successo terapeutico o massimamente per il successo terapeutico, cercando di lasciare sulla responsabilità delle aziende l'eventuale insuccesso di una terapia.
  Ovviamente, questo si adatta particolarmente ai farmaci destinati all'utilizzo ospedaliero. Non può che trattarsi di un sistema indubbiamente complesso e che ha richiesto anche l'individuazione di alcuni elementi di monitoraggio dell'utilizzo dei farmaci talvolta anche difficili.
  Stiamo adesso modificando profondamente il sistema dei registri, quindi degli strumenti informatizzati che servono a monitorare tutti questi flussi. In questo momento, ciò sta indubbiamente ponendo per tutti gli operatori qualche difficoltà. Ogni passaggio a un nuovo sistema, infatti, comporta delle difficoltà, ma questo accade proprio nell'ottica di garantire un monitoraggio attento dell'appropriato uso dei farmaci.
  Teniamo a sottolineare questo aspetto, proprio perché l'Agenzia ritiene che la politica farmaceutica non sia legata esclusivamente a una politica di prezzo, di mercato, perché è prima di tutto doveroso trovare strumenti che permettano di avere il più stretto monitoraggio dell'appropriato utilizzo delle risorse.
  In questo senso, sarà sempre più necessario un coinvolgimento non soltanto delle aziende farmaceutiche per l'eventuale responsabilità del pagamento dell'insuccesso di una terapia, ma anche dei medici e, in futuro, sicuramente anche dei singoli pazienti. Esiste, infatti, il bisogno di una responsabilizzazione e di una corresponsabilizzazione anche del singolo paziente sulle risorse che lo Stato sta investendo sulla salute di ogni singola persona.
  A questo proposito, una particolare menzione va fatta a tutto il tema della prevenzione e alla circostanza per cui possono essere messi in campo strumenti che permettano di prevenire eventuali cronicizzazioni di alcune patologie, in modo da essere certi che le risorse siano utilizzate nel modo più adeguato.
  Se, inoltre, ci proiettiamo verso la medicina personalizzata, ci rendiamo conto di come la responsabilità del paziente nell'utilizzo appropriato di un farmaco, magari studiato e, in qualche modo, disegnato attorno alla sua persona, sia assolutamente essenziale, e come quindi sia essenziale recuperare un ruolo attivo anche dei singoli pazienti nell'utilizzo appropriato di ogni risorsa.
  Pongo la questione come uno degli elementi di spunto e di riflessione per questa Commissione, proprio perché cercare di trovare gli elementi che possano permettere la sostenibilità del nostro sistema rientra sicuramente in un ruolo particolarmente difficile, ma che non riguarda esclusivamente le risorse finanziarie, bensì anche un atteggiamento attivo e Pag. 41proattivo di tutti gli attori coinvolti, a partire proprio dal singolo individuo e dal singolo paziente.
  Mi permetto di riassumere e di concludere questa breve introduzione, poi rimanendo a vostra disposizione per tutti gli eventuali approfondimenti, sottolineando quelli che, ad avviso dell'Agenzia, sono gli elementi cardine: prima di tutto, realizzare strumenti che permettano di verificare l'appropriato uso dei farmaci; inoltre la possibilità di creare una sinergia e un'osmosi tra la farmaceutica, e quindi l'utilizzo dei farmaci, con gli altri elementi che compongono il Servizio sanitario nazionale, permettendo di usufruire delle risorse che si liberano dall'introduzione di nuovi farmaci, e quindi dalle scoperte scientifiche e dalla ricerca, attraverso l'utilizzo dei risparmi che si producono sul resto dei settori sanitari.
  Dall'altra parte, serve usufruire di tutte le informazioni; avere un collegamento più diretto con l'azione prescrittiva del singolo medico, non necessariamente per esercitare un'azione di monitoraggio su di essa, ma proprio per indirizzare anche il singolo medico verso un uso più appropriato dei farmaci e una condivisione delle opportunità con il resto del sistema sanitario.
  Serve, in ultima analisi, un approccio che non guardi al nostro Paese esclusivamente come a un mercato farmaceutico, ma che gli permetta di utilizzare e avvantaggiarsi al meglio delle risorse oggi disponibili. In questo, la sinergia possibile a tutti i livelli, centrale, regionale e locale, è indispensabile per permetterci di sostenere il futuro del Sistema sanitario nazionale.
  Oggi, sia il direttore dell'Agenzia sia il presidente sono impegnati in contesti internazionali, proprio perché quello che l'Agenzia ha fatto per disegnare strumenti che non vadano esclusivamente a focalizzarsi sul prezzo dei farmaci – che, ribadisco, è il più basso d'Europa – l'ha posta in una situazione di forte competitività rispetto ai servizi sanitari degli altri Paesi, consentendole di dialogare con tutti gli altri Paesi europei proprio per uno scambio attivo e fattivo delle esperienze.
  Allo stato attuale, manca ancora il tassello, che citavo, della sinergia e dell'osmosi con il servizio sanitario nel suo complesso, in modo da non vedere i due settori slegati e da permetterci di utilizzare le risorse risparmiate da un lato, per sostenere il sistema nel suo complesso.
  Intendevo, così, offrire un quadro complessivo, disponibile a entrare nel merito di ogni singolo elemento anche per quel che riguarda la spesa e la situazione di ogni singola regione. Mi premeva, in ogni caso, un'introduzione alle politiche attualmente sviluppate dell'Agenzia, proprio per poter focalizzare, in seguito, l'attenzione sugli elementi a vostro giudizio più importanti e su cui volete un riscontro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Siviero. Sicuramente sarà utile, se ci farà avere un approfondimento con un dettaglio regionale, come ha appena detto. Ci impegniamo, ovviamente, a farlo circolare tra tutti i membri interessati delle due Commissioni.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAINO MARCHI. Condivido pienamente gli obiettivi contenuti nella sua relazione.
  Vorrei rivolgerle una domanda forse non del tutto attinente, ma la sanità non è solo un servizio, per certi versi un costo, bensì è anche un settore con riflessi importanti sul sistema industriale: dal suo osservatorio in questi ultimi anni, eventualmente anche in considerazione dell'effetto delle politiche praticate, come si colloca l'azienda farmaceutica italiana nel contesto internazionale ? Ha sviluppato la sua competitività o ne ha persa ? Manifesta dei problemi ? Come si colloca dal punto di vista della ricerca e dell'innovazione ?

  PAOLA BINETTI. Ho da rivolgerle due domande e un'osservazione.Pag. 42
  La prima domanda riguarda le malattie rare, un problema evidentemente esploso negli ultimi tempi e tuttora assolutamente all'ordine del giorno col tema di Stamina, ma che in realtà riguarda tutto il tema della mancata competitività sul piano economico delle malattie rare, dei farmaci orfani e, allo stesso tempo, della situazione di grande conflittualità in cui si collocano le famiglie rispetto a questo tema.
  La seconda domanda riguarda il sistema delle confezioni. Chiaramente, negli ospedali è più facile utilizzare il sistema monodose, nel senso che non avanza il farmaco, ma conosciamo tutti il grande spreco di farmaci che si fa in questo senso. Nella legislatura precedente, la Commissione Affari sociali aveva concluso l'esame di una proposta di legge concernente l'utilizzo dei farmaci non utilizzati, da inviare ai Paesi in via di sviluppo. L'ultima osservazione riguarda, a margine, un suo commento riguardo all'educazione del paziente e del medico. Posso, per professionalità specifica, dirle che non si fa nulla per l'educazione del paziente all'uso del farmaco. Emblematicamente, se cerca pubblicazioni sull'educazione del paziente, le trova esclusivamente per i pazienti diabetici. Per quell'argomento si è scritto di tutto e di più, peraltro in alcuni casi in maniera estremamente interessante.
  Non esiste, però, una cultura per l'uso anche complessivo del farmaco, nemmeno per il medico. Certo, vale quello che vale, ma potrebbe essere una suggestione interessante da trasmettere, per esempio, alle facoltà di medicina, ai corsi di farmacologia o, addirittura immaginarne di appositi. Non riusciremo, però, a ottenere una contrazione dei consumi in assenza di un investimento molto concreto, non solo paternalistico o predicatorio, rispetto all'uso del farmaco.

  PRESIDENTE. Do ora la parola al dottor Siviero per la replica.

  PAOLO SIVIERO, Responsabile area strategia e politiche del farmaco dell'AIFA. Relativamente alla questione della competitività delle nostre aziende farmaceutiche rispetto agli altri Paesi, quello italiano è sicuramente un settore di punta, uno tra quelli che hanno potuto godere, anche in questo contesto di crisi, di una grande competitività. L’export delle nostre aziende farmaceutiche è decisamente una parte veramente fondamentale e importante delle nostre esportazioni complessive.
  È, altresì, assolutamente innegabile che il succedersi di numerose azioni normative in questi ultimi anni, che indubbiamente si sono anche concentrate sulla spesa farmaceutica, non ha facilitato la stabilità di cui il settore ha bisogno per investimenti a lungo termine.
  In questo senso, la possibilità di garantire una prospettiva temporale che permetta a un'azienda farmaceutica di pianificare la propria presenza nel Paese, quindi il proprio sviluppo anche come settore industriale, è sicuramente un vantaggio, e una questione che può essere particolarmente rilevante, su cui possibilmente possono essere intraprese alcune azioni.
  Va anche sottolineato che, rispetto agli anni precedenti, prima del 2007, in cui si agiva normalmente attraverso il taglio sistematico dei prezzi nel momento in cui non c'era la copertura finanziaria, nello specifico, per il settore farmaceutico o nel momento in cui ci fosse la necessità di reperire fondi, sicuramente le normative succedutesi hanno cercato di compensare questo tipo di azione governativa, particolarmente pesante, per garantire la competitività del settore.
  Oggi, l'Italia è particolarmente competitiva sul settore delle biotecnologie, ma non dimentichiamo che importanti aziende farmaceutiche anche multinazionali sono presenti nel nostro Paese. A dispetto del fatto che alcune indubbiamente, ma per ragioni di sistema, quindi non tanto legate alla situazione italiana quanto a quelle del contesto globale, stanno spostando i propri centri produttivi in altri Paesi; altre vedono ancora nella capacità italiana e nella qualificazione del Pag. 43personale italiano un'opportunità di rimanere in Italia e di avviare in tale contesto nuove realtà.
  In ogni caso, sicuramente, politiche che permettano di incentivare la ricerca nel nostro Paese potrebbero essere particolarmente interessanti per un settore che si fonda sulla ricerca. Negli anni passati, sono stati possibili, ad esempio, accordi di programma in cui, a fronte degli investimenti in termini sia produttivi sia di ricerca nel nostro Paese, erano stati garantiti degli incentivi. Questo ha consentito di intraprendere azioni molto concrete e importanti.
  Certo, forse oggi non ci troviamo nella situazione di avere risorse per questo, ma sicuramente contesti in cui sia possibile riconoscere a un'azienda farmaceutica gli investimenti fatti, anche in termini di facilitazioni, potrebbe essere un elemento incentivante per il settore a mantenersi e a svilupparsi nel nostro Paese.
  Per quanto riguarda le domande poste dall'onorevole Binetti, le malattie rare sono certamente un elemento fondamentale e rappresentano una sfida per tutti i sistemi non soltanto nazionali, ma per tutto il sistema europeo internazionale in generale.
  Crediamo e collaboriamo fortemente alla collaborazione tra i diversi attori europei, anche tra i diversi player, che devono trovare le risorse per pagare i farmaci per le malattie rare, proprio perché probabilmente una politica anche europea in questo senso può facilitare la possibilità che un sistema nazionale possa ottenere delle cure senza affrontare costi talvolta assolutamente insostenibili.
  Per essere più concreto, è ovvio che, se dovessimo negoziare con una singola azienda farmaceutica per ottenere le cure per 1, 2, 10, 100 pazienti, otterremmo un prezzo sicuramente elevato e significativo; invece, la capacità negoziale che potrebbe esserci a livello più generale, europeo, laddove a quel punto i pazienti anziché, 1, 10 o 100, diventassero 1.000 o 10.000, potrebbe essere sicuramente diversa.
  Non voglio sostenere che dovremmo venir meno alla nostra sovranità nella negoziazione del prezzo per i farmaci orfani, ma partecipare al dibattito e acquisire la necessità di trovare soluzioni condivise a livello europeo può sicuramente facilitare il rapporto e garantire che i medicinali per le malattie rare non rimangano negletti e per i quali non è profittabile, interessante per un'azienda farmaceutica fare ricerca, ma attrattivi e capaci di garantire prospettive di vita a tutti i pazienti.
  Le malattie rare sono una sfida che ormai diventa realtà. Come accennavo, infatti, la personalizzazione delle terapie fa sì che d'ora in poi si abbiano sempre più malattie rare, che la malattia sia destinata al singolo. Vanno allora trovate soluzioni in questo senso, proprio per una sorta di «organizzazione» delle patologie. Dobbiamo essere in grado di affrontare questa sfida.
  L'AIFA è assolutamente presente su tutti i tavoli a livello europeo per affrontarla tale sfida in modo congiunto. Effettivamente, è un problema che va affrontato anche globalmente, probabilmente attraverso un percorso regolatorio di approvazione dei nuovi farmaci che consenta costi di sviluppo inferiori e la possibilità di chiedere alle aziende un prezzo inferiore proprio perché il costo sostenuto per lo sviluppo del farmaco non è lo stesso che veniva chiesto loro in precedenza.
  Il fatto, per esempio, che l'AIFA abbia, contemporaneamente, compiti regolatori, per cui si occupa dell'autorizzazione e immissione in commercio del farmaco, e che, allo stesso tempo, ne determini il prezzo e la rimborsabilità, è uno degli elementi chiave che la pone in una posizione di assoluta concorrenza rispetto agli altri Paesi europei.
  Abbiamo, infatti, la possibilità di vedere il sistema nel suo complesso, e quindi di capire quali elementi possono essere valorizzati per ridurre i costi per un'azienda farmaceutica e di chiedere, a nostra volta, un prezzo più competitivo dal punto di vista della rimborsabilità dei farmaci.Pag. 44
  Per quel che riguarda lo spreco dei farmaci e la possibilità di confezioni ottimali, siamo assolutamente d'accordo. Non ci si può permettere in alcun modo di sprecare alcuna risorsa. Siamo in un momento in cui è assolutamente fondamentale utilizzare al meglio le risorse disponibili.
  A tale proposito, l'anno scorso è stata introdotta una norma: stiamo rivedendo il prontuario ed è già prevista la possibilità di individuare confezioni starter, ovvero che possono permettere di avviare la terapia, verificare se funziona ed è adatta per quella persona prima di somministrare una confezione più grande, per la terapia di mantenimento. In questo modo, si cerca indubbiamente di risparmiare risorse.
  Quanto all'ultima domanda posta dall'onorevole Binetti relativamente all'educazione del paziente all'uso del farmaco, anche in questo caso non posso che sottoscrivere pienamente il commento. Abbiamo appurato quanto sia fondamentale che il paziente abbia fiducia nelle istituzioni. Abbiamo anche attivato una politica di pubblicazione di questi position paper, un momento di dialogo vero e proprio.
  Prima, infatti, che l'Agenzia istituisca uno statement e pubblichi una propria posizione su una determinata categoria di farmaci, lascia aperto il commento proprio per ascoltare tutte le categorie, ma anche per offrire delle risposte certe attraverso il proprio sito internet e i propri strumenti di destinati all'informazione del paziente.
  Da ultimo, mi preme sottolineare che già l'anno scorso, al termine di un percorso cominciato negli anni precedenti, abbiamo dedicato una giornata proprio alla tematica dell'accesso al farmaco. Tale giornata è stata creata in sinergia con le diverse associazioni rappresentanti della cittadinanza e, in particolare, dei pazienti. Spesso, infatti, l'Agenzia è vista come un ente tecnico, non sempre facile da comprendere.
  Purtroppo, talvolta le materie sono particolarmente ostiche e il sistema regolatorio non è immediatamente intellegibile da parte di ogni cittadino. Abbiamo, allora, intrapreso un percorso di dialogo con le associazioni dei cittadini e, in particolare, dei pazienti sulla tematica dell'accesso al farmaco. In questo modo, attraverso il ruolo fondamentale dell'associazionismo, nel nostro Paese particolarmente attivo, il cittadino potrà disporre di canali aggiuntivi di dialogo.
  Soprattutto, il cittadino potrà chiedere conto all'Agenzia di determinate scelte intraprese dall'Agenzia stessa, e capire quale possa essere, adesso e in futuro, il ruolo del paziente all'interno del percorso registrativo e delle decisioni che l'Agenzia quotidianamente prende circa la rimborsabilità e il prezzo nonchè, di conseguenza, l'accesso ai farmaci, fondamentale per ognuno di noi.

  PRESIDENTE. Ringrazio i colleghi della disponibilità e dell'interesse mostrato per le audizioni di questo pomeriggio e di questa sera. Ringrazio il dottor Siviero e l'AIFA per la disponibilità. Attendiamo, se sarà possibile, le integrazioni che ha anticipato di volerci inviare.
  Ringrazio ancora tutti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 20.35.