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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

V Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 27 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA NELL'AMBITO DELL'ESAME CONGIUNTO DELLE COMUNICAZIONI DELLA COMMISSIONE AL PARLAMENTO EUROPEO E AL CONSIGLIO «VERSO UN'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA AUTENTICA E APPROFONDITA – CREAZIONE DI UNO STRUMENTO DI CONVERGENZA E DI COMPETITIVITÀ» (COM(2013)165 FINAL) E «VERSO UN'UNIONE ECONOMICA E MONETARIA AUTENTICA E APPROFONDITA – COORDINAMENTO EX ANTE DELLE GRANDI RIFORME DI POLITICA ECONOMICA PREVISTE» (COM(2013)166 FINAL):

Audizione di Roberto Gualtieri, membro del Parlamento europeo.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 3 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 8 
Galli Giampaolo (PD)  ... 8 
Marchi Maino (PD)  ... 9 
Tancredi Paolo (PdL)  ... 10 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 11 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 11 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 11 
Buttiglione Rocco (SCPI)  ... 11 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 13 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 13 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 14 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 14 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 14 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 14 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 15 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 15 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 15 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 15 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 15 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 15 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 18 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 18 
Galgano Adriana (SCPI)  ... 19 
Gualtieri Roberto , Membro del Parlamento europeo ... 19 
Sorial Girgis Giorgio , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Roberto Gualtieri, membro del Parlamento europeo.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'esame congiunto delle Comunicazioni della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività» (COM(2013)165 final) e «Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita – Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste» (COM(2013)166 final), l'audizione di Roberto Gualtieri, membro del Parlamento europeo.
  Do la parola all'onorevole Gualtieri, ringraziandolo per la partecipazione alla seduta odierna.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Grazie, presidente. Buongiorno a tutti.
  Le comunicazioni della Commissione, come è noto, rientrano nel percorso di definizione di una roadmap verso un'autentica Unione economica e monetaria che è stata avviata dal Consiglio europeo nel giugno del 2012. Si tratta di un percorso basato su quattro building block, che possiamo chiamare unione bancaria, unione di bilancio, unione economica e unione politica, e che avrebbe dovuto concludersi a dicembre scorso con la presentazione di una chiara roadmap. In realtà, c’è stata una proroga a questo mese di giugno, ma temo che anche questo termine – penso di non rivelare un segreto anticipando le conclusioni, che su questo punto sono piuttosto condivise, del Consiglio europeo, anche se naturalmente ci potranno essere modifiche dell'ultima ora – non sarà rispettato. Alcuni elementi verranno ulteriormente posticipati.
  Questo percorso, oltre a consentire di fissare già alcuni punti, come il Two-Pack, la supervisione unica, il framework per la ricapitalizzazione delle banche da parte dell'ESM, l'accordo di stanotte sull'armonizzazione della risoluzione nazionale raggiunto a livello di Ecofin – accantonando per il momento gli elementi più ambiziosi, quelli di una capacità fiscale aggiuntiva con la possibilità di emettere titoli, per esempio – ha identificato come punti caldi, su cui si sta lavorando e su cui la Commissione ha già prodotto due comunicazioni, il coordinamento ex ante delle grandi riforme e i cosiddetti contratti per la competitività e per la convergenza.
  A fianco a tali argomenti, grazie anche all'impulso del Parlamento europeo, si pone il pilastro sociale dell'Unione economica e monetaria, che, come spiegherò, è intrecciato a tali due aspetti.
  Il Parlamento europeo è stato coinvolto in questo processo. Van Rompuy ha nominato tre sherpa che hanno partecipato ai negoziati – io sono quello del gruppo Pag. 4socialista e democratico – e si è espresso anche con una risoluzione del 25 maggio del 2013 in cui ha commentato le due comunicazioni della Commissione.
  Nelle conclusioni del Consiglio europeo si introduce una differenziazione sul coordinamento ex ante delle politiche economiche e delle grandi riforme e si invita la Commissione a presentare una proposta legislativa. L’iter preliminare si è, dunque, concluso e vi è un consenso sufficiente a procedere sulla fase legislativa. Per quanto riguarda, invece, il secondo aspetto, i cosiddetti contratti, le conclusioni del Consiglio europeo probabilmente sosterranno che, pur essendosi realizzata una convergenza nel dibattito molto intenso che si è avuto su questi temi, è necessaria un'ulteriore riflessione. Si inviterà, quindi, la Commissione a presentare una seconda comunicazione, prima di una proposta legislativa, e si rinvieranno eventuali decisioni a dicembre.
  Naturalmente, quando si parla di decisioni del Consiglio europeo, bisogna sempre essere molto prudenti, perché, come si sa, secondo i trattati, il Consiglio europeo non ha funzioni legislative e questi temi sono oggetto di procedura legislativa ordinaria e, quindi, in materia vigono il diritto di iniziativa da parte della Commissione e una procedura legislativa. Il cosiddetto metodo dell'Unione, come è noto, ha incluso anche il Consiglio europeo. A giudizio del Parlamento, il ruolo del Consiglio europeo rischia, però, talora di minare l'autonomia del potere di iniziativa della Commissione.
  Venendo al merito delle due comunicazioni, per quanto riguarda la prima – quella più leggera – sul coordinamento ex ante delle riforme, l'idea della Commissione, come avrete visto, è quella di inquadrare nel contesto del semestre europeo, già disciplinato da uno dei Regolamenti che compongono il cosiddetto Six-Pack, una sorta di procedimento di trasmissione alla Commissione delle informazioni sui progetti di riforme economiche particolarmente rilevanti che, preferibilmente, tranne in casi di emergenza, dovranno comunque rientrare nei programmi nazionali di riforma, ossia all'interno di uno strumento già esistente. Si prevede, inoltre – anche se la comunicazione non è una proposta legislativa e quindi bisognerà vederne i dettagli – una valutazione dei piani di riforma da parte della Commissione. Vi sarà forse anche la possibilità di suggerire modifiche con un procedimento mutuato dal Two-Pack, che, come saprete, è uno dei due Regolamenti che consentono alla Commissione di chiedere – questa volta però con carattere vincolante – di produrre una seconda stesura del bilancio. Questo vincolo, però, non è completo. Infatti, in caso di mancato accordo sulla seconda stesura del bilancio, non è previsto che possa essere modificato il bilancio nazionale; in tal caso, infatti, sarebbe necessaria una riforma dei trattati e anche delle Costituzioni nazionali.
  Chiusa questa parentesi, mutuando quel modello, vi è la possibilità da parte della Commissione di suggerire modifiche sulla base di una valutazione che tenga in considerazione la coerenza della riforma con gli obiettivi previsti; l'impatto sul percorso di aggiustamento dei conti e sulla competitività; e soprattutto gli effetti di spillover su altri Paesi, oltre al riferimento alla dimensione sociale.
  Anche il Consiglio sarebbe coinvolto e potrebbe anch'esso chiedere alcune modifiche, mentre, per quanto riguarda la dimensione parlamentare, la comunicazione presenta una vaghezza riguardo il coinvolgimento del Parlamento europeo, che, nel modello della Commissione, ha un ruolo piuttosto marginale.
  Stiamo parlando di elementi che non introducono vincoli, perché, da questo punto di vista, la base giuridica che prevede una competenza di coordinamento delle politiche economiche non lo consentirebbe e che non prevedono un meccanismo sanzionatorio come quello attualmente definito da uno dei Regolamenti del Six-Pack per quanto riguarda gli squilibri macroeconomici. Il riferimento è a un meccanismo di sanzioni piuttosto ardito sotto il profilo giuridico, considerato il dettato dell'articolo 121, che può comunque consentire, nel caso di gravi squilibri Pag. 5macroeconomici e di mancato rispetto della decisione che cela lo squilibrio e la conseguente raccomandazione, di comminare alcune sanzioni.
  In questo caso, invece, stiamo parlando di opinioni della Commissione che non comporterebbero né sanzioni, né vincoli da parte dello Stato membro. Questo sarà, quindi, un progetto di Regolamento che avverrà nel quadro dell'attuale distribuzione delle competenze tra l'Unione e gli Stati membri.
  Per quanto riguarda la posizione del Parlamento, nella sua risoluzione esso ha espresso alcune valutazioni critiche sulla vaghezza dei criteri di definizione delle riforme e della congruità delle stesse, anche se, naturalmente, parlando di una comunicazione non aveva nemmeno l'obbligo di entrare nel merito.
  Il Parlamento ha avanzato, inoltre, la richiesta di prevedere filtri che connettano la valutazione di queste riforme ai grandi obiettivi dell'Unione, in particolare a quelli di Europa 2020, con l'introduzione anche di parametri di tipo sociale o legati alla ricerca, nonché di garantire un ruolo maggiore del Parlamento europeo stesso. Ci sembra, infatti, che l'esigenza di una legittimazione democratica per ciò che riguarda le decisioni a livello dell'Unione non sia soddisfatta dal semplice binomio Commissione e Consiglio.
  Sulla questione del ruolo del Parlamento tornerò successivamente parlando dei contract, cioè della seconda comunicazione, che è quella più rilevante nel merito, anche se l'unica proposta legislativa che vedrà la luce nei prossimi mesi è quella sul coordinamento ex ante.
  Sui contract ci sarà, invece una seconda comunicazione. Gli stessi rappresentano, infatti, una materia più corposa, soprattutto perché definiscono un modello di coordinamento rafforzato della politica economica che introduce uno strumento ulteriore rispetto alla raccomandazione, ed è quello dell'incentivo finanziario.
  Secondo il modello della Commissione, nell'ambito del cosiddetto ramo preventivo della procedura sugli squilibri macroeconomici, disciplinato da uno dei regolamenti del cosiddetto Six-Pack, quando si identifica uno squilibrio macroeconomico non eccessivo – perché con quello eccessivo si entra nel ramo correttivo, in cui ci sono anche possibilità di sanzioni – possono essere adottate le Country-Specific Recommendation -ovvero le raccomandazioni specifiche collegate a questa procedura di squilibri macroeconomici – le quali possono prevedere contratti.
  In altri termini, secondo il modello delineato dalla Commissione, lo Stato membro, per attuare le raccomandazioni collegate all'ambito degli squilibri macroeconomici, può realizzare determinate riforme, che però hanno un costo. A tal fine lo Stato può contrattare con la Commissione il consenso al tipo di riforma, nonché un incentivo finanziario a realizzarla e ad attutirne il costo. Rispetto a questo modello, anch'esso delineato in una comunicazione, che, a quanto ritiene il Consiglio europeo, non è neanche quella definitiva, perché ne è necessaria una successiva, e premesso che anche in quest'ambito siamo in una fase preliminare, entriamo in un territorio molto sensibile, come lo è peraltro quello precedente, ma con un elemento di enforcement maggiore.
  La posizione del Parlamento, che personalmente condivido – essendo uno dei tre sherpa ed avendo materialmente contribuito a delinearla, nonché uno degli autori della risoluzione a cui facevo riferimento – si può sintetizzare su tre punti.
  Il primo è un meccanismo basato su incentivi. Noi riteniamo che, in assenza di una revisione dei trattati che modifichi l'attribuzione delle competenze, nell'ambito dei trattati vigenti sia positivo introdurre modelli di rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche basati su incentivi piuttosto che su sanzioni.
  Occorre chiarire, però, ed è un punto che va rafforzato, il nesso inscindibile tra i contratti e l'esistenza di risorse aggiuntive che determinano l'incentivo. Il rischio che vediamo, infatti, è che, in assenza della volontà politica e della disponibilità a costituire questo fondo aggiuntivo di risorse, si utilizzino, invece, come cosiddetti incentivi, i fondi attuali e, quindi, il Pag. 6meccanismo delle cosiddette condizionalità macroeconomiche, che la Commissione cerca di inserire nei Regolamenti di attuazione dei fondi strutturali.
  In sostanza, i fondi strutturali, quelli che spettano a uno Stato, possono essere in parte condizionati anche al rispetto di obiettivi macroeconomici, in questo caso eventualmente al rispetto di contratti. Questa per noi sarebbe una condizione molto negativa, perché comporterebbe di fatto un ritorno a un modello di sanzione mascherata. Infatti, se invece dell'incentivo, frutto di una capacità fiscale aggiuntiva, si usasse come incentivo, ossia di fatto come disincentivo, il non attribuire risorse già previste sulla base del bilancio o dei fondi strutturali, quello non sarebbe un incentivo, ma una sanzione.
  La Commissione non dice questo, ma, essendoci da parte del Consiglio europeo e di alcuni Stati membri una prudenza sulla costituzione di questo strumento finanziario aggiuntivo, il Parlamento ha sottolineato il punto per tenere l'attenzione e chiarire che a noi va benissimo un modello basato su incentivi, purché siano incentivi veri e, quindi, si tratti di risorse aggiuntive.
  Questo discorso ci porta al secondo elemento: occorre definire con chiarezza natura, entità, origine e collocazione amministrativa e istituzionale di questo strumento finanziario. Mentre, per esempio, nel draft delle conclusioni del Consiglio d'Europa e in quelle precedenti ancora si parla di contratti e di meccanismi di solidarietà, il modello della Commissione parla di un Convergence and Competitiveness Instrument (CCI), ossia di uno strumento finanziario collegato alla definizione di alcune condizionalità.
  Per noi questo approccio è quello corretto. Occorre, però, rispettare un altro punto – che per noi è una linea rossa presente nella comunicazione della Commissione – ossia il fatto che questo strumento finanziario aggiuntivo debba essere collocato nel bilancio dell'Unione europea.
  Noi siamo assolutamente contrari a una scatola finanziaria di tipo intergovernativo al di fuori del bilancio dell'Unione. Riteniamo, invece, con la Commissione, che sia possibile inserire una capacità fiscale aggiuntiva per finanziare questo strumento specifico, ovvero il CCI, all'interno del bilancio dell'Unione, anche se ciò riguarda non tutti i 27 Paesi, ma solo alcuni. Riguarderebbe, infatti, i Paesi dell'euro, più i Paesi che vogliono partecipare volontariamente pur non avendo l'euro, ma essendo, per esempio, Paesi in deroga o persino, in teoria, con l’opt-out.
  Il meccanismo consentirebbe, quindi, attraverso la cosiddetta categoria degli assigned revenue, – una categoria del bilancio al di fuori del quadro finanziario multiannuale che può essere finanziata volontariamente da alcuni Paesi – di alimentare una linea di bilancio rivolta agli stessi Paesi che l'hanno finanziata; e di avere all'interno del bilancio dell'Unione – gestito quindi con le procedure di bilancio e con la codecisione tra Consiglio e Parlamento – una linea specifica per finanziare lo strumento CCI. Ribadisco, quindi, che per noi è fondamentale che la procedura prescelta sia questa che vi ho delineato, altrimenti si aprirebbe un conflitto istituzionale molto pesante.
  È possibile anche una seconda modalità per inserire lo strumento nel bilancio dell'Unione, che è quella di modificare, il che però richiede l'unanimità, la decisione delle risorse proprie. Si tratterebbe di alimentare lo strumento con specifiche risorse proprie, il che, a regime, sarebbe anche una scelta ottima. Si potrebbe utilizzare, per esempio, una parte della tassa sulle transazioni finanziarie come risorsa propria dell'Unione per alimentare questa linea. Questo è il secondo punto fondamentale.
  Il terzo punto, particolarmente rilevante anche dal punto di vista di un Parlamento nazionale, è il modello di relazione tra Commissione e Stato membro nell'individuazione delle specifiche riforme e delle misure da realizzare.
  Noi contestiamo il concetto di contratto, in quanto ci sembra improprio o poco perspicuo. Lo è, in effetti, giuridicamente. Anche per la Commissione stessa non è legalmente un contratto, in quanto, Pag. 7ai sensi del diritto dell'Unione, l'Unione non può stipulare contratti o trattati internazionali con i suoi Stati membri.
  Non sarebbe, dunque, un contratto, ma una sorta di Memorandum of Understanding, ossia un accordo come quello che, per esempio, disciplina l'erogazione delle risorse dell'ESM, legandole a condizionalità. La sanzione consiste nella mancata corresponsione dell'incentivo, non in una sanzione aggiuntiva, come nel caso della violazione di un contratto.
  In questo caso, quindi, secondo noi, il termine «contratto» è alquanto improprio e delinea anche un modello un po’ bilaterale di relazioni tra i singoli Paesi e la Commissione. Secondo noi, questo non è il modello appropriato per la governance economica dell'Unione europea.
  Noi abbiamo, pertanto, delineato, come Parlamento, una variante, un modello alternativo, che naturalmente siamo pronti a discutere nell'ambito dalla procedura legislativa ordinaria, quando essa sarà avviata. Riteniamo, infatti, che il CCI si debba realizzare secondo quanto previsto dall'articolo 121, comma 6, attraverso la codecisione.
  In questo quadro noi immaginiamo tre elementi.
  Il primo è un codice di convergenza (convergence code) che identifichi alcuni benchmark generali, ossia obiettivi sui diversi aspetti – ad esempio sociali, di competitività, e via elencando – verso cui devono tendere i Paesi.
  Il secondo consiste nelle Country-Specific Recommendation, che devono essere, però, maggiormente legate agli obiettivi da raggiungere che ai mezzi per conseguirli. In questo momento, per esempio, è in atto un conflitto tra Francia e Commissione per il fatto che nelle Country-Specific Recommendation, anche perché sono stati loro riconosciuti due anni in più per rientrare dal deficit, si prevedono obiettivi molto specifici che devono riguardare la riforma delle pensioni.
  In questo caso penso che la Francia abbia ragione, ossia che il modello classicamente federale tra la dimensione dell'Unione e quella degli Stati membri dovrebbe essere tale per cui la dimensione dell'Unione definisca alcuni obiettivi e poi i Parlamenti nazionali, ossia il circuito democratico nazionale, individuino i mezzi migliori per conseguirli. Naturalmente, questi mezzi devono essere congrui rispetto agli obiettivi.
  Immaginiamo, quindi, alcune Country-Specific Recommendation più target-oriented che policy-oriented. Inoltre, invece che di contratti, noi parliamo di National Implementation Plan, cioè di Piani di attuazione nazionali che propongano la realizzazione e il conseguimento di quegli obiettivi, con un modello di legittimazione democratica più limpido, in cui il livello dell'Unione, con il codice di convergenza e le Country-Specific Recommendation, deve introdurre elementi di codecisione.
  Il Parlamento europeo deve, quindi, essere incluso nel processo del semestre europeo che parte dalla Annual Growth Survey e arriva alle Country-Specific Recommendation, nelle quali i Parlamenti nazionali pienamente sovrani, ossia gli Stati membri sovrani, stabiliscono le modalità di raggiungimento degli obiettivi e l'attivazione dello strumento finanziario attraverso una procedura normale di bilancio, come avviene, per esempio, per il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, attraverso proposte della Commissione e decisioni delle due Autorità di bilancio, il Consiglio e il Parlamento.
  Questo è il modello che il Parlamento prospetta e che è, non direi alternativo, ma correttivo della proposta della Commissione. In ogni caso, il Parlamento, anche in una successiva risoluzione della quale sono firmatario, ha criticato fortemente il rallentamento della procedura e la richiesta di un'ulteriore comunicazione.
  Noi vorremmo, a questo punto, che la Commissione presentasse una proposta legislativa anche sui contract. Nell'ambito della procedura legislativa intendiamo appunto proporre alcune modifiche all'impianto che ci sembra prevalente lungo i tre assi che ho sommariamente identificato.
  Mi permetto di aggiungere, al fine di garantire un rapporto proficuo tra il Parlamento Pag. 8europeo e i Parlamenti nazionali, che il modello delineato dal Parlamento europeo stesso corrisponda meglio alle necessità di un pieno coinvolgimento di entrambi i Parlamenti ai rispettivi livelli, ossia ai livelli in cui si determina il loro circuito di legittimazione.
  Grazie per l'attenzione.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIRGIS GIORGIO SORIAL

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'onorevole Roberto Gualtieri. Do ora la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAMPAOLO GALLI. Ringrazio l'onorevole Gualtieri per questa relazione. Dal momento che è coinvolto come sherpa e come parlamentare europeo in maniera molto intensa in questo esercizio, gli chiedo se ci può aiutare ad attenuare un po’ lo scetticismo che vige sul senso e sull'utilità di questo esercizio, o che almeno alcuni di noi avvertono.
  Sappiamo che l'Europa procede per passi spesso molto piccoli e tortuosi. Vorrebbe andare da qui a là in fondo, ma intanto fa un primo passo di un millimetro, passando per giri molto complessi.
  Come ha detto lei, in mancanza di una riforma dei trattati e di un'unione di bilancio, si dovrebbe fare un bilancio. Non è chiaro, però, se ci sia addirittura la possibilità, o il rischio, di utilizzare i fondi esistenti come disincentivo.
  Non è chiaro e sembra un po’ improbabile, alla luce delle discussioni in corso sul bilancio europeo, che ci possa essere un consistente apporto di nuove risorse. Anzi, io mi sentirei di escluderlo.
  Non è chiarissimo nemmeno qual è l'oggetto di questo esercizio, ossia quali riforme sarebbero oggetto di sostegno finanziario. Si parla di quelle indicate in termini ampi nei Programmi nazionali di riforma, ma essi spesso contengono tutto e niente. Per esempio, non credo di aver letto i cambiamenti o le riforme di cui discutiamo in questi giorni in Italia in alcun Programma nazionale di riforma, anche perché i processi democratici sono complicati: i Governi cambiano, ci sono le elezioni e via elencando.
  Non è chiarissimo, in particolare, in relazione al tema del coordinamento ex ante, quale sia l'autorità in grado di incidere su questo teorico bilancio pubblico. La Banca d'Italia in particolare, nel commentare questa comunicazione, aveva detto che «l'impatto – cito testualmente – potrebbe essere limitato, perché è tutto basato sulla peer pressure e sulla moral suasion».
  Un tema ancora più importante, che è un sottopunto del tema più ampio, è l'oggetto del sostegno finanziario e, quindi, dei contratti o dei Memorandum of Understanding – MoU – fra Commissione e Stati membri e su chi ricade l'aggiustamento.
  Oggi regna un drammatico squilibrio, per esempio, in termini di competitività, fra Paesi core e Paesi periferici. Ad esempio: la nostra produttività non è aumentata a sufficienza, o è aumentata troppo in Germania ? I salari sono aumentati troppo da noi, o sono aumentati troppo poco in Germania ?
  Risolvere problemi di questa natura è molto complesso. Un conto è emanare le raccomandazioni, che, peraltro, i Paesi non sempre attuano. Per esempio, una raccomandazione forte che ha emanato la Commissione europea, uscendo l'Italia dalla procedura di infrazione, quindi quasi come una condizione per uscire dalla procedura stessa, è che l'Italia sposti il peso della tassazione dalle persone alle cose. Si tratta, nello specifico, della raccomandazione n. 5, la quale dice che bisogna ridurre la tassazione sul lavoro e sulle imprese, anzi sul capitale, e aumentarla sugli immobili e sui consumi. Ognuno poi valuta se l'Italia stia facendo questa operazione o qualcosa di diverso.
  Noi conferiamo alla Commissione un potere finanziario. Se un Paese decidesse, come l'Italia in questo momento – pongo la questione quasi provocatoriamente; magari non succederà, ma, secondo me, in realtà succederà – di fare il contrario di Pag. 9quanto indica una delle raccomandazioni specifiche della Commissione, che cosa succede ? La Commissione non eroga i fondi ? O addirittura c’è il rischio che tagli i fondi strutturali ?
  Per fare una cosa del genere, però, occorre la legittimazione democratica. La questione dovrebbe passare per il Parlamento, che ha quei poteri. Io trovo straordinario che la Commissione europea possa usare strumenti tanto cogenti, in carenza, per ritornare al punto iniziale che lei aveva toccato, di modifiche dei trattati.

  MAINO MARCHI. Ringrazio l'onorevole Gualtieri, perché credo che ci abbia fornito una serie di elementi di riflessione e di valutazione, soprattutto in merito a ciò che è maturato a livello di Parlamento europeo.
  Tali elementi, in parte, confermano le prime valutazioni che avevamo espresso sui due strumenti che dovranno essere oggetto di una nostra risoluzione; e, in parte, ci forniscono valutazioni su come poter interloquire rispetto a modifiche sulla natura e sulla struttura di questi strumenti.
  La prima questione che mi sento di porre è di carattere più generale e riguarda l'impressione, almeno quella che ho io in base alle audizioni che abbiamo svolto, per cui non si sa se e fino a che punto questi strumenti vadano nella direzione di modificare le politiche europee che da più parti abbiamo indicato, non solo sul rigore finanziario, ma anche per le politiche di sviluppo, per l'occupazione e per il lavoro.
  Ci si domanda se, invece, tutto sommato, non si tratti di ulteriori strumenti che rientrano nelle logiche relative alla stabilità, pur essendo richiamati in riferimento alle questioni delle riforme. In altri termini, mi chiedo se tali strumenti agirebbero anche su quel piano, e non solo su quello finanziario, pur se con una strumentazione che, per alcuni versi, richiama più quanto abbiamo avuto a disposizione fino a oggi e che, però, aveva l'obiettivo soprattutto della stabilità finanziaria, piuttosto che permettere di fare il salto di qualità che da più parti abbiamo richiamato. Abbiamo sottolineato la questione anche nella seduta di martedì, con la comunicazione del Presidente del Consiglio dei ministri in riferimento al vertice europeo di questa settimana.
  In sostanza, occorre anche una valutazione di carattere generale rispetto a come si inquadrano questi strumenti in riferimento alle innovazioni necessarie per quanto riguarda le politiche europee.
  Entrando più nel merito, invece, dello strumento di convergenza e di competitività, che mi sembra quello maggiormente in discussione, noi avevamo svolto valutazioni critiche che vengono confermate da questa audizione. Vorrei ritornare anche sugli elementi che sono stati introdotti, non solo, eventualmente, per sollevare problemi, ma anche per avanzare proposte, o rafforzare le proposte che stanno venendo avanti in sede di Parlamento europeo.
  La prima valutazione critica verteva sulla natura del valore giuridico di questi accordi contrattuali. Mi sembra che una proposta in questo senso sia venuta, nel senso di contestare il concetto stesso di contratto, individuando un modello alternativo o correttivo. Io credo che possiamo muoverci in questa direzione.
  Sempre in riferimento al carattere bilaterale degli accordi, si avvertiva la preoccupazione che il contenuto degli stessi dipendesse molto dalla capacità negoziale dei singoli Paesi, mentre procedure diverse, come quelle previste nel semestre europeo, hanno una base unitaria, perché si fondano su obiettivi definiti a livello europeo.
  Il Programma nazionale di riforma individua come avvicinarsi a tali obiettivi da parte dei singoli Paesi. Le raccomandazioni europee intervengono sulle proposte dei singoli Paesi e, quindi, hanno natura diversa da Paese a Paese, all'interno, però, di un quadro unitario che in questo modo rischierebbe di essere perso. La preoccupazione è che si perda questa unitarietà, con il rischio di inficiare uno degli obiettivi che si intendono perseguire, quello di un coordinamento più stretto in ragione Pag. 10delle ricadute di alcune scelte adottate in un Paese rispetto all'intera area dell'euro o dell'Unione.
  Sotto questo aspetto una questione che volevo porre è se le proposte alternative sono, in un certo senso, separate rispetto al processo del semestre europeo, oppure se possono essere un'implementazione di quel processo, il che mi sembrerebbe più logico, per non avere a disposizione una serie di strumenti che magari non dialogano l'uno con l'altro, e per fare in modo che le riforme che, sulla base della contingenza, si attuano in concreto non vadano in altre direzioni, o comunque non siano strettamente coerenti con la programmazione che si è delineata.
  Si pone poi la questa questione di incentivi e non sanzioni. Lo strumento non deve essere una sanzione mascherata, ma un incentivo e, se è un incentivo, deve avere una sua linea finanziaria. C’è la possibilità, dentro un bilancio, che non si è certamente allargato, dell'Unione europea, di ricavare una dotazione finanziaria adeguata perché questo sia effettivamente un incentivo vero ?
  Inoltre, porre il problema di un incentivo, ossia di risorse aggiuntive rispetto al singolo Paese dentro il bilancio, non solleva anche l'esigenza che il bilancio stesso si adegui dal punto di vista quantitativo, ovvero che ci sia una dotazione complessiva del bilancio incrementata rispetto a quello di cui si sta discutendo ?
  L'accordo non si è ancora concluso. Io credo che anche questa sia una questione sulla quale occorre avere chiarimenti e valutazioni ulteriori, altrimenti possiamo correre il rischio che, alla fine, anche questo incentivo si ritagli dentro una dotazione finanziaria complessiva che noi riteniamo non sia molto adeguata rispetto agli obiettivi che ci prefiggiamo.
  Da una parte, parliamo di Stati Uniti d'Europa e, dall'altra, abbiamo a disposizione risorse sul versante del bilancio certamente molto modeste. Si rischierebbe di far diventare ancora più stretta la coperta: la si allarga da una parte e la si stringe ancora di più dall'altra.

  PAOLO TANCREDI. Ringrazio l'onorevole Gualtieri per la sua illustrazione.
  Per collegarmi a quanto diceva poco fa il collega, l'annuncio di questa mattina di Barroso dell'approvazione definitiva del budget pluriennale finanziario «sbilanciato» sulle proposte del Consiglio europeo – perché così è – mi fa un po’ sospettare che il meccanismo di contract e di sanzioni sia mirato a risparmiare qualcosa tra gli impegni e la spesa. Questa è soltanto una battuta.
  Onorevole, nonostante le sue precisazioni siano rassicuranti, e le attività che il Parlamento sta ponendo in essere ci rassicurino, non c’è dubbio che ci troviamo di fronte a un percorso di penetrazione dei meccanismi dell'Unione europea all'interno della legislazione nazionale ancora più invadente.
  È una penetrazione che, d'altronde, sulle politiche economiche va avanti, ed è quella per cui l'Europa oggi è sentita come distante e, a volte, anche nemica delle questioni politiche e sociali dei Paesi membri. Si tratta di una questione che va avanti da Maastricht, per poi passare per Amsterdam e arrivare fino alle politiche e alle regole sul debito che si stanno implementando.
  Non è nemmeno rassicurante il fatto che tale questione venga inquadrata all'interno del rinnovato semestre europeo. È chiaro che hanno un valore il Documento di economia e finanza, il Programma di stabilità e – lo stiamo percependo, anche se con lentezza, anche a livello di Parlamento italiano – il Programma nazionale di riforma rispetto alle indicazioni delle misure da prendere per arrivare a centrare alcuni obiettivi, ma non possiamo affermare che tutto ciò sia penetrato all'interno della legislazione italiana e nella decisione della rappresentanza politica italiana.
  Mi chiedo, dunque, al di là, lo ripeto, del fatto rassicurante che il Parlamento stia comunque combattendo per il rafforzamento della sua posizione all'interno della governance di questi fenomeni, se a livello europeo ci sia una reale cognizione di quanto questa riforma potrebbe, se non Pag. 11accompagnata da un'effettiva trasformazione della governance politica, acuire il distacco dell'Europa e far percepire veramente l'Europa come punitrice e portatrice di misure ancor più di austerity.
  Leggevo velocemente il materiale predisposto dalla Banca di Italia per l'audizione che abbiamo svolto in precedenza, la quale giustamente riferisce che il processo delineato rimane rispettoso delle prerogative dei Governi e dei Parlamenti nazionali, come lo sono stati Maastricht, Amsterdam, il Patto di stabilità, il Fiscal Compact. Sappiamo che tutto questo oggi ha lasciato, nell'immaginario collettivo dei popoli e dei Paesi, un'impressione molto diversa.
  Ci dobbiamo occupare di questo aspetto a tutti i livelli, a fronte del fatto che io rimango convinto che i passaggi di coordinamento di politica economica siano opportuni e che vadano sicuramente appoggiati e auspicati.

  ADRIANA GALGANO. Grazie per la sua relazione, che mi ha chiarito alcuni aspetti.
  Io sono la relatrice delle due comunicazioni per la Commissione delle politiche dell'Unione europea. Nella relazione introduttiva ho ricordato molte preoccupazioni che emergono dal parere del Consiglio europeo, in particolare rispetto all'aspetto contrattuale degli strumenti previsti. Noi sappiamo che nella Commissione esistono Paesi che contano più di altri, il che potrebbe, da una parte, compromettere l'unitarietà e, dall'altra, alterare l'equilibrio che esiste tra gli Stati membri.
  Io continuo a ripetere in tutte le sedi che, a seconda delle procedure che verranno individuate, ci potrebbe essere una riduzione della sovranità nazionale. Mi si continua a rispondere che è una preoccupazione peregrina, ma, in realtà, quando nella comunicazione che ricevo figura la domanda «Il meccanismo dovrebbe essere obbligatorio o facoltativo ?», io osservo che, se la Commissione europea obbliga il Paese, senza passare per l'approvazione del Parlamento, a subire modifiche della riforma proposta, è chiaro che il Parlamento e il Paese vengono esautorati. Non è detto che sceglieremo questa procedura, ma dobbiamo sapere che rappresenta un rischio concreto e dobbiamo esprimere un parere in merito.
  Ho alcune domande molto concrete. Innanzitutto, nella comunicazione che abbiamo ricevuto si dice che sono interessati da questo strumento i Paesi in stato di difficoltà. Cosa vuol dire «stato di difficoltà» ?

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. A quale comunicazione si riferisce ?

  ADRIANA GALGANO. Mi riferisco alla comunicazione sullo strumento di convergenza. È molto importante chiarire che cosa si intende con questa espressione.
  Volevo poi conoscere la sua posizione rispetto a quanto ci ha comunicato il dottor Signorini della Banca d'Italia, il quale ci ha detto che lo strumento – ed è un'ipotesi molto verosimile – sarà finanziato dagli Stati membri; che la sua dotazione dovrebbe essere di 26 miliardi, e che 4 miliardi di tale complessivo ammontare sarebbero di spettanza del nostro Paese.
  Passo alla due domande molto pratiche che io ho a questo proposito. Nel caso in cui ci fossero diverse richieste e si andasse extra budget, quali sono i criteri di priorità che agiscono nel determinare che una riforma per un Paese è più importante di un'altra ?
  Per quanto riguarda la seconda domanda, quanto costerebbe il finanziamento per il Paese ? Che costi avrebbe per il Paese l'utilizzo di questo strumento ?
  La ringrazio.

  ROCCO BUTTIGLIONE. Io vorrei portare una voce un filo più ottimista su queste due comunicazioni, cercando prima di tutto di inquadrarle dentro una visione di carattere più generale: che cosa rappresentano all'interno della politica europea ?
  Premettiamo che a me sembra che ci troviamo a livello di Libro Verde, ossia di Pag. 12domande aperte e che, quindi, ciò che effettivamente risulterà sarà quello che i Parlamenti nazionali e gli altri soggetti consultati alla fine avranno suggerito di fare. Non siamo davanti a qualcosa che ci viene imposta, al contrario, si tratta di domande aperte, sulle quali dobbiamo prendere posizione.
  Forse ottimisticamente, io vedo questa vicenda come un tentativo di ripartire da dove abbiamo perso il filo del giusto cammino, cioè dal Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, in cui abbiamo indicato una serie di elementi di convergenza delle nostre economie e abbiamo individuato i veri problemi, che non sono quelli dello spread finanziario, ma quelli dello spread, molto più preoccupante, della competitività.
  Davanti a un mondo in cui cresce la competitività si pone la domanda all'Europa di non rimanere indietro. In quel contesto il tema era stato rilevato. Noi avevamo affermato che non potevamo competere nel fare le magliette con i cinesi e che dovevamo entrare nell'economia della conoscenza. Poi abbiamo definito un metro di coordinamento aperto, che non ha funzionato: a incontri periodici gli uni con gli altri non seguivano azioni concrete, almeno non in tutti i Paesi.
  Nel leggere questi documenti, posso sbagliare. Chiedo all'onorevole Gualtieri un parere: a me sembra che essi siano il tentativo di «dare denti» al processo di Lisbona, individuando la possibilità di sanzioni positive per chi fa riforme che conducono nella giusta direzione.
  In questo senso mi sembra che questa sia un'iniziativa molto positiva, anzi potenzialmente molto positiva, perché le dimensioni dello strumento sono ancora tutte da determinare. A me sembra quasi come – non so se voi siete pratici di pugilato – quando si fa una finta per verificare se l'avversario è reattivo oppure no. Se non emerge una violenta reazione negativa, su questo percorso si può continuare.
  Io ho colto molto positivamente l'accenno al fatto di un possibile finanziamento fuori dal bilancio ordinario dell'Unione europea. Quando leggo di un finanziamento fuori dal bilancio ordinario, penso che non sia un finanziamento realizzato da mecenati, ma dagli Stati membri. L'espressione «fuori del bilancio ordinario» mi auguro significhi, ma non è detto, e il punto andrebbe chiarito, anche per i Paesi che contribuiscono fuori dei limiti stabiliti dal Patto di stabilità. Mi pare che questo aspetto venga incontro alle domande che noi abbiamo formulato nel Consiglio europeo del giugno 2012.
  Che cosa abbiamo detto sempre ? «Noi vogliamo che gli investimenti vengano trattati in modo diverso dalla spesa corrente». Che cosa ci hanno risposto sempre gli altri ? «Voi imbrogliate. Noi non ci possiamo fidare».
  Questo strumento mi sembra costruito, invece, per dire: «Ci possiamo fidare. Siamo disponibili a finanziare su base europea, ma con i contributi degli Stati, riforme che vanno effettivamente nella giusta direzione, che sono concordate e, in qualche modo, controllate da parte dell'Unione europea».
  È ovvio che tali strumenti non possono essere obbligatori ed è anche provocatorio l'aver sollevato l'ipotesi. Questi procedimenti possono avvenire soltanto col consenso. Tutti i Parlamenti nazionali lo diranno. Non credo che ci siano Parlamenti nazionali che sosterranno che la Commissione può agire in via obbligatoria. Tutti considererebbero questa una domanda retorica.
  Noi dobbiamo trattare e, se raggiungiamo un accordo, abbiamo la possibilità di sottrarci, parzialmente e con le garanzie opportune, ai vincoli degli accordi esistenti. Questa mi pare la sostanza della vicenda, che credo rappresenti un grande passo avanti positivo.
  Certo, le incognite sono tante: come si procede, quale sarà l'entità reale del programma, se ci sarà una reazione dei rigoristi che lo congelano prima che possa effettivamente partire. Tuttavia, mi pare che le prime reazioni siano positive, onorevole Gualtieri, o sbaglio ? Mi pare che il Parlamento stia prendendo una posizione Pag. 13buona e anche che il Consiglio non stia reagendo male a questa proposta. Io credo che sia nel nostro interesse.
  L'Unione europea ha una sua filosofia, che è contenuta nei trattati. Su quella non si «sgarra». Tale filosofia non è keynesiana. È una filosofia che non tollera deficit eccessivi, una filosofia che può accettare – «può» - non è detto che lo faccia – l'idea della spesa in deficit, se finanziata dall'aumento di produttività.
  Se andiamo a chiedere di poter finanziare spesa sociale in deficit, ci diranno sempre di no. Se andiamo a chiedere di finanziare in deficit un investimento produttivo sull'economia della conoscenza, ma forse anche su altri aspetti, per esempio su una riforma del mercato del lavoro che permetta a chi ha 55 anni ed è licenziato, invece di andare in pensione, di avere un orientamento professionale, una formazione professionale, un accompagnamento da posto di lavoro a posto di lavoro, forse potremmo avere una risposta positiva.
  Se andiamo a chiedere sostegno su riforme che incrementano la competitività, anche se magari non sono strettamente riconducibili alla categoria degli investimenti produttivi, in merito si può ragionare e mi pare che questi due documenti oggetto di audizione siano un inizio positivo.
  Chiedo se questa mia visione è eccessivamente ottimistica o se stiamo andando in quella che a me sembra la giusta direzione.

  PRESIDENTE. Penso che a questo punto l'onorevole Gualtieri abbia un numero sufficiente di questioni alle quali rispondere.
  Anch'io pongo una domanda. In realtà, in parte o indirettamente, è già stata formulata da qualcuno dei miei colleghi, ma vorrei comunque sottolineare alcuni elementi emersi nell'audizione del dottor Signorini della Banca d'Italia, che si è svolta l'altro ieri.
  A titolo esemplificativo, il nostro ospite faceva un ragionamento su un fondo di 25 miliardi e su un contributo dell'Italia di 4 miliardi. Era un esempio, che però effettivamente potrebbe essere più o meno realistico. Che pensa lei in merito ?
  Sottolineo anche la questione della sovranità nazionale. È vero, l'Europa ragiona in termini di trattati, ma anche – abbiamo visto negli ultimi anni che cosa pensa parte della popolazione – di perdita della sovranità nazionale su tali trattati.
  Colgo anche l'occasione, anzi sfrutto l'occasione di averla con noi, per farle una domanda in merito all'Ecofin e a tutta la questione di ieri notte del fallimento ordinato. Il messaggio che mi sembra voglia passare è la tutela dei risparmiatori, ma le pongo la seguente domanda: in Europa non si pensa che serva un Fondo unico per la tutela dei depositi, un po’ come negli Stati Uniti c’è la Federal Deposit Insurance Corporation, che è, a sua volta, garantita direttamente dagli Stati Uniti ? Per l'accordo dell'Ecofin, con la mediazione dei 27, si ragiona un po’ per ordine e, quindi, in teoria, i piccoli risparmiatori, i piccoli correntisti, sono tutelati, ma il sistema finanziario è talmente legato a quello bancario che oggi ha bisogno di una regolamentazione.
  Effettivamente, il rischio è che il sistema bancario continui a dominare, come sta dominando adesso, andando a toccare in futuro – adesso si toccheranno i conti superiori a 100.000 euro – anche i conti sotto i 100.000 euro.
  Rimane, dunque, un punto di domanda. In Italia è previsto che siano le banche stesse a ripagare i fallimenti. Io mi chiedo, però, se le due o tre banche maggiori dovessero fallire, a quel punto che cosa succederebbe ?
  Secondo l'Ecofin e il Patto, lo 0,8 per cento dei depositi garantiti verrà stanziato direttamente dallo Stato. Immaginiamo, però, che lo Stato non riesca a mettere da parte lo 0,8 per cento dei depositi garantiti. Che cosa dovrebbe succedere ? Sono domande cui spero di avere risposta.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Sono state poste Pag. 14molte domande. Nelle risposte terrò conto del loro ordine, anche se alcune questioni si sono intrecciate.
  Prima rivolgo una precisazione all'onorevole Galgano sulla questione della natura obbligatoria o facoltativa della partecipazione a questi strumenti L'ipotesi che sia obbligatorio non significa che le riforme prescritte diventano obbligatorie. Si sta stabilendo se la partecipazione a questo strumento sia obbligatoria o facoltativa, ossia se si identifica una platea di partecipanti o se si può decidere o non decidere di sottomettersi allo strumento.
  Sottomettersi allo strumento non significa che ciò che lo strumento prescrive diventa obbligatorio. In questo caso mancherebbe la base giuridica che consente di scrivere una riforma di politica economica a Bruxelles e di applicarla a Roma.

  ADRIANA GALGANO. Mi scusi, formalmente non può avvenire, ma di fatto sì. Nel momento in cui si stabilisce un incentivo o un forte disincentivo, diventa possibile.
  Una delle domande che si pongono è la seguente: nel momento in cui si presenta la riforma e la Commissione fa dei rilievi, questi rilievi vengono automaticamente inseriti o si ripassa dal Parlamento ? Sono d'accordo con l'onorevole Buttiglione che tutti diranno che si ripassa dal Parlamento, ma è una questione in discussione. Perciò la sottolineo.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Io sono fortemente critico per molti aspetti e, quindi, non voglio assolutamente apparire come un difensore d'ufficio della Commissione, la quale si difende benissimo. In questo caso, però, mi permetto di rilevare che non esiste l'opzione che la Commissione possa scrivere una riforma di politica economica di uno Stato membro.

  ADRIANA GALGANO. Non parlo di scrivere, ma di correggere.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Scrivere significa correggere. Non si può emendare una legge dello Stato italiano laddove non esiste una competenza. Ciò che nell'ambito delle politiche economiche è possibile fare è formulare raccomandazioni.
  Esiste già, per il ramo correttivo della procedura degli squilibri macroeconomici, la possibilità, seppure tenue, di irrogare sanzioni in caso di non rispetto delle raccomandazioni adottate. È un elemento che già esiste e sulla cui solidità di base giuridica io nutro seri dubbi. Infatti, suppongo che non ci sarà mai il caso di una sanzione irrogata ai sensi del ramo correttivo delle procedure degli squilibri macroeconomici. Questo è un Regolamento già approvato, sul quale io ho votato contro, e l'Italia ha votato a favore in sede di Consiglio nel 2011.
  Per quanto riguarda, invece, questo Regolamento, si sta parlando del ramo preventivo. Inoltre, stiamo parlando del CCI, non dell’ex ante, che, come dice la Banca d'Italia, è una moral suasion e nulla di più.
  Sul CCI il dibattito è se, oltre alla moral suasion, ci possa essere anche un incentivo, ossia la sanzione per cui, se uno Stato non modifica la riforma come richiesto, non gli viene erogato l'incentivo. È chiaro che, se l'incentivo diventasse la macroeconomic conditionality con fondi europei esistenti, diventerebbe una sanzione.
  Questo, però, per essere corretti è un pericolo che noi mettiamo avanti, ma che non è scritto nella comunicazione della Commissione. Stiamo parlando di un fondo aggiuntivo che dovrebbe incentivare alcune riforme. La conseguenza «peggiore» che possa capitare è che non si acceda a questo fondo aggiuntivo.
  Un Paese può prendere atto di una raccomandazione, può affermare di volerla seguire, può proporre una data riforma e chiedere soldi per attutirne il costo. La cosa peggiore che può succedere è che l'Europa risponda che la riforma non piace e che va cambiata in un determinato modo. Il Paese proponente decide che non la vuole cambiare e la fa in un altro modo.Pag. 15
  In caso di conflitto può accadere che l'Unione europea non eroghi l'incentivo, ma non che costringa il Paese a cambiare riforma. Ciò è giuridicamente impossibile. Questa eventualità non è oggetto di discussione.

  ADRIANA GALGANO. Mi scusi. Giuridicamente questo va bene, ma noi abbiamo sotto gli occhi quello che sta succedendo in Grecia. Io penso che una buona parte delle riforme che si stanno facendo, la Grecia non le avrebbe volute fare.
  Non esisteva per noi base giuridica sulla lettera dei 40 punti di Rehn che il Presidente del Consiglio Berlusconi ha firmato e che sono stati recepiti nel decreto legge Salva Italia.
  Giuridicamente non è possibile, quindi, ma politicamente è diverso.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Ho capito perfettamente la questione.

  ADRIANA GALGANO. La mia preoccupazione è che noi, Italia, per la difficoltà di far passare per via parlamentare alcune riforme, a causa delle diverse opposizioni, demandiamo a organismi superiori di indicarci che cosa dobbiamo fare. Possiamo anche essere d'accordo con queste riforme, ma io ne vedo comunque i pericoli intrinseci.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Si pongono due questioni diverse. Il rischio, per esprimersi con una formula semplice, di essere deboli con i forti e forti con i deboli. Tale rischio esiste ed è una delle ragioni per cui noi, e io personalmente, siamo contro il modello dei contratti.
  Siamo d'accordo in generale, dunque, ma questo non significa – è una questione di rigore tecnico – che la frase sull'obbligatorietà che lei ha citato implichi che sia in discussione la possibilità che le raccomandazioni diventino obbligatorie, ossia vincolanti dal punto di vista giuridico. Ciò è impossibile, ai sensi del diritto europeo e italiano e, quindi, non stiamo parlando di questo.
  Quanto al caso della Grecia – il Parlamento europeo è contrario al meccanismo della troika – la cogenza della raccomandazione è dovuta al fatto che essa è legata non a un incentivo della riforma, ma alle risorse cosiddette salva Stati. Si tratta, infatti, di un Paese in default, che ha bisogno urgentemente di 80 miliardi, e deve adeguarsi alle richieste di chi può prestargli questi soldi e attuare alcune riforme. In tal caso la cogenza c’è, ma noi non stiamo parlando di questo tipo di meccanismo.

  ADRIANA GALGANO. Infatti, io le ho chiesto di chiarire che cosa si intende per Stato in grave difficoltà, proprio per chiarire questo punto.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Allo Stato in grave difficoltà, come Parlamento, noi siamo contrari. Riteniamo che questo debba essere un meccanismo generale, valido per tutti. Questo modello bilaterale, che identifica alcuni Paesi in particolare, non corrisponde alla nostra idea di un modello di governance che dovrebbe rafforzare molto di più la concezione e il governo del meccanismo di interdipendenze, che riguarda tutti i Paesi, e in particolare l'Eurozona come un insieme. Preferiamo questo al modello dei «compiti a casa», cioè dell'individuazione del singolo Paese da convincere a realizzare determinate risorse.
  Premesso, quindi, che, come Parlamento, noi siamo contrari all'idea che il meccanismo sia limitato solo ad alcuni Paesi, come invece una delle opzioni della Commissione prevede, preciso che tecnicamente tale opzione si limiterebbe ai Paesi che rientrano nel ramo preventivo, come dicevo all'inizio, della procedura sugli squilibri macroeconomici.
  Tale procedura prevede tre livelli: assenza di squilibrio macroeconomico; presenza di uno squilibrio macroeconomico non grave – ramo preventivo –; presenza Pag. 16di uno squilibrio macroeconomico grave – ramo correttivo –. Il ramo correttivo è escluso e, quindi, l'ipotesi a cui lei fa riferimento sarebbe quella dell'attivazione dello strumento per i Paesi nel ramo preventivo. È un'ipotesi che formula la Commissione.
  Personalmente, ritengo che il meccanismo debba riguardare tutti i Paesi, ma proprio il Regolamento sugli squilibri macroeconomici prevede che esista questa procedura, che teoricamente dovrebbe essere positiva, perché il problema, in questo caso, riguarda l'applicazione. La procedura sugli squilibri macroeconomici, di cui è utile parlare, perché è lo sfondo di tutto ciò di cui stiamo trattando, in teoria dovrebbe riguardare tutti.
  Se un Paese come la Germania ha un attivo, un surplus commerciale, è altrettanto vero che a questo corrisponde uno squilibrio. Il problema è che la Commissione afferma che lo squilibrio della Germania è, mettiamo, di 5,8, ma la soglia è 6, mentre sul passivo è 4. Di fatto, quindi, si identifica lo squilibrio macroeconomico solo da una parte.
  Questo, però, non riguarda lo strumento in sé, ma il modo con cui viene applicato. Se lo scoreboard è fatto diversamente, lo squilibrio dovrebbe riguardare tutti e, quindi, si dovrebbero considerare anche gli attivi nelle partite correnti, per chiedere ai Paesi che li hanno di attirare, per esempio, un po’ più di domanda interna. In quel caso si tratterebbe di un'applicazione adeguata del concetto di squilibri macroeconomici, su un modello interdipendente.
  Naturalmente, se la Commissione predilige un modello da «compiti a casa», in cui lo squilibrio è solo da un lato, questo produce un determinato tipo di raccomandazioni. Il discorso, però, attiene, più che allo strumento in sé, al modo con cui esso viene concepito e attuato. Il Regolamento sugli squilibri macroeconomici è l'unico, rispetto agli altri sulla politica fiscale, che potenzialmente dovrebbe riguardare tutti, e non solo i Paesi che hanno problemi di finanza pubblica. Come Parlamento, noi riteniamo che lo strumento debba riguardare tutti i Paesi dell'Eurozona ed essere aperto volontariamente ai Paesi non dell'Eurozona.
  Soprattutto con riferimento al primo dei due strumenti, cioè il coordinamento ex ante delle politiche economiche, che, peraltro, costituisce l'attuazione dell'articolo 11 del Fiscal Compact, condivido l'opinione dell'onorevole Galli e lo scetticismo sull'utilità e sulla forza di uno strumento che non prevede sanzioni, incentivi e cogenza, ma solo un meccanismo di peer review. Ritengo quindi che questa obiezione possa essere fondata.
  Sono d'accordo con le sue considerazioni. Esiste il rischio che nei fatti, più che nella lettera, un Paese fragile, che su altri fronti è in credito con l'Europa di qualcosa – un'uscita dalla procedura del deficit, due anni in più, un OMT – possa essere oggettivamente portato a rivelarsi più debole nella discussione della Commissione, al contrario di un grande Paese solido, con tripla A, verso cui prevale un atteggiamento molto più condiscendente.
  Questo rischio esiste. Per questo motivo, quanto più ci si attesta a un modello target-oriented generale più che a un modello specifico Paese per Paese, tanto più tale rischio viene evitato.
  Sul carattere non particolarmente risolutivo del coordinamento ex ante delle politiche economiche sono d'accordo con l'onorevole Galli. La questione del potere della Commissione è un altro punto fondamentale. Per questo noi riteniamo che, in ogni caso, anche sulla base di ciò che le comunicazioni si propongono di introdurre – uno strumento che non è un diretto intervento legislativo avente forza di legge nelle materie di competenza degli Stati nazionali, ma che esercita un potere di condizionamento – se si varca questa soglia, sia insufficiente un meccanismo di legittimazione che lasci alla Commissione un'autonomia discrezionale priva di qualsiasi legittimazione democratica a livello dell'Unione europea.
  Quella che noi poniamo sul coinvolgimento del Parlamento nel processo del semestre europeo per noi non è una questione corporativa di un'istituzione che Pag. 17vuole contare di più, ma una questione sostanziale. Non si può lasciare alla Commissione, senza alcuna forma di legittimazione democratica a livello dell'Unione, un potere, sia pure di moral suasion, tanto potenzialmente inclusivo e invasivo, come quello che di fatto essa ha assunto.
  C’è un tema di legittimazione democratica a livello dell'Unione che, secondo noi, deve essere assolta dal Parlamento europeo, molto acuto. Su questo punto le critiche del Parlamento alle due comunicazioni sono, come potete leggere dalla nostra risoluzione, molto severe.
  L'onorevole Marchi chiedeva come le comunicazioni si inquadrano in un ragionamento più generale. Si inquadrano come sintomo, sia pure in una determinata versione, e possono rappresentare un passo avanti. Possono essere i «denti» a Lisbona di cui parlava l'onorevole Buttiglione, cui poi risponderò.
  Tuttavia, obiettivamente, rispetto a tutto ciò che occorrerebbe fare, all'entità dei problemi e ai limiti dell'assetto di governance dell'Unione europea che il processo Van Rompuy, dopo un anno, produca questi due temi, a parte la questione dell'Unione bancaria, a noi sembra insufficiente rispetto alla portata dei problemi. Esprimiamo anche un giudizio di inadeguatezza nel pensare di risolvere l'enorme problema di una moneta senza una politica economica comune, attraverso i contract e il coordinamento ex ante delle politiche economiche.
  Sulla questione delle risorse vorrei fornire alcuni chiarimenti. Mi sono stupito del fatto che la Banca d'Italia fosse a conoscenza della dotazione di uno strumento che non esiste, ma, in realtà si trattava di una loro ipotesi. Si supponeva, infatti, che, se l'importo complessivo sarà di 25 miliardi, la quota relativa all'Italia sarà di 4. Questi 25, però, non esistono da nessuna parte. Non si sa quale dotazione possa avere questo strumento.
  Per noi questo è un problema, perché ci risulta difficile discutere di un meccanismo che rafforza il coordinamento sulle politiche economiche senza sapere l'ordine di grandezza dell'incentivo e come si finanzia. Per noi si dovrebbe partire dalle risorse. La questione, però, è messa un po’ a margine, per evidenti motivi di difficoltà politica.
  Naturalmente, non si sta parlando di utilizzo del bilancio esistente, sul quale stamattina si è raggiunto un compromesso, che non è la sanzione di ciò che era stato deciso a febbraio dal Consiglio europeo e proposto giovedì scorso, quando è saltato l'accordo. Il Parlamento, con la sua posizione ferma, ha ottenuto alcuni cambiamenti, anche rilevanti, che, peraltro – vi informo, perché è interesse del nostro Paese – consentono anche un aumento dei 6 miliardi di fatto relativi al Youth Employment Initiative. Con un complesso meccanismo di scorrimento dei margini degli impegni per quanto riguarda questo capitolo attraverso i primi tre anni, di fatto ci saranno 2,5 miliardi in più.
  Per quanto riguarda, invece, i pagamenti, è stato alzato il cap per la flessibilità dei pagamenti, il che consentirà un utilizzo maggiore di risorse.
  Il compromesso raggiunto non modifica, dunque, il carattere inadeguato di questo quadro finanziario pluriennale, ma mostra comunque un miglioramento rispetto a quanto definito dal Consiglio europeo nello scorso febbraio. Non si sta parlando di alimentare questo CCI con questo bilancio pluriennale – Multiannual Financial Framework (MFF )-. L'idea della Commissione, che il Parlamento sostiene, è quella di introdurre una linea di bilancio aggiuntiva finanziata dagli Stati partecipanti attraverso alcuni contributi.
  L'ideale a regime sarebbe realizzare un finanziamento, più che attraverso contributi sulla base del PIL, attraverso risorse proprie. È il famoso problema per cui l'Europa si dovrebbe alimentare con risorse proprie, più che con contributi degli Stati membri. Questo per rafforzare la legittimazione agli occhi dei cittadini e l'efficacia ed evitare un meccanismo che, anche politicamente, produce le consuete paralisi al momento di approvazione del bilancio.
  La questione – fuori dall'MFF dentro il bilancio – significa che sarebbe al di sopra Pag. 18dei tetti del bilancio pluriennale. Per note ragioni politiche, però, non è ancora chiaro se e quale disponibilità ci sia a fornire risorse per alimentare questo strumento, il che rende l'intera discussione su di esso piuttosto virtuale. Se stiamo parlando di uno strumento basato su un incentivo e non si sa a quanto ammonta l'incentivo stesso, è molto difficile fare qualsiasi valutazione.
  Se si seguisse il modello del Parlamento, un modello che identificasse alcuni grandi obiettivi sociali, di ricerca e di sviluppo, e non solo una certa filosofia delle riforme della competitività, che prevale oggi nella Commissione, un modello che compendiasse diversi aspetti – Lisbona, per capirci – e prevedesse incentivi virtuosi per rafforzare una convergenza delle politiche economiche in un quadro non di individuazione dei singoli Paesi che devono fare i compiti a casa, ma di rafforzamento del quadro complessivo dell'indirizzo di politica economica complessivo e della sua coerenza nell'Eurozona, questo sarebbe uno sviluppo positivo. Con alcuni grossi emendamenti rispetto all'impianto la comunicazione del CCI potrebbe anche trasformarsi in questo senso.
  Per questo motivo noi chiediamo che si presenti una proposta alla comunicazione, e non semplicemente un vade retro al CCI. Non c’è dubbio che quella che traspare dalle comunicazioni sia un'impostazione – condivido molte delle considerazioni svolte da voi – discutibile, insufficiente e, per alcuni aspetti, preoccupante.
  Infine, vengo alle domande sull'Ecofin, anche se non riguarda quest'audizione, e l'accordo raggiunto nella notte. Mi scuso se non ne conosco tutti gli elementi e, quindi, non entro nei dettagli.
  È stata decisa una soglia di 8 per cento di bail-in, che esclude la garanzia dei depositi, sulla base delle normative attuali. Inoltre, è stata introdotta una riserva di flessibilità del 5 per cento, che può essere finanziata anche con meccanismi di bail-out, dentro cui può passare anche un ruolo indiretto dell'ESM.
  Questo è il compromesso che è stato raggiunto, che, dal punto di vista dell'Italia, è ritenuto piuttosto soddisfacente, ma non spetta a me dirlo. Ho colto comunque un certo grado di soddisfazione.
  Questo, però, è solo un piccolo tassello. Non riguarda né il Single Resolution Mechanism, per cui aspettiamo la proposta legislativa della Commissione, né la questione dei depositi. Purtroppo, a oggi l'idea di un fondo, e non di un meccanismo europeo di garanzia dei depositi, è considerata come quella degli eurobond: è una di quelle questioni che, se solo si nominano, tutti mettono mano alla pistola. È un tema, cioè, su cui non esiste a oggi un consenso. Io lo riterrei uno sviluppo positivo, ma non è in discussione l'idea di un fondo europeo di garanzia dei depositi.

  ADRIANA GALGANO. Scusatemi ancora, ma per me è molto importante intervenire ancora una volta tenuto conto che devo svolgere una specifica relazione in proposito in Commissione.
  Negli ultimi otto anni la Germania ha ridotto il suo costo del lavoro, ha ridotto la domanda interna per favorire le esportazioni e ha creato, in questo modo, uno squilibrio. Non solo, essa beneficia di altri due squilibri che, a differenza dei Paesi europei in difficoltà, si finanziano a costo meno zero. Praticamente, noi stiamo pagando i tassi di interesse per la Germania per gli anni a venire. In più, la Germania beneficia di un euro che, rispetto alle sue ragioni di scambio, è sicuramente sottovalutato, mentre per noi è sopravvalutato.
  Le volevo chiedere questo: uno strumento di convergenza, in realtà, dovrebbe intervenire anche per valutare le riforme dei Paesi. Se sposiamo in pieno questa filosofia, e non è detto che lo dobbiamo fare, ciò dovrebbe avvenire anche in relazione a questo tipo di riforme.
  Vorrei chiarire il quadro concettuale: la libertà di ogni Stato di competere al meglio dove va a finire ? Vorrei avere la sua opinione su questo tema.

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. L'ho già detto. Io ritengo che il concetto di squilibrio macroeconomico dovrebbe riguardare entrambi Pag. 19i lati. L'ho affermato pubblicamente in Aula, in plenaria e in Parlamento.
  Il Parlamento – in questo caso c’è una divisione politica – critica la Commissione per l'interpretazione dell'utilizzo unilaterale della procedura del Regolamento sugli squilibri macroeconomici, che dovrebbe invece correggere con riferimento a entrambi i lati.
  Quando ci sono, per esempio, una domanda interna tenuta bassa e salari che crescono meno della produttività, il che produce uno squilibrio interno all'Eurozona che ha poi anche un effetto sui tassi, conferendo un ulteriore vantaggio ad alcuni Paesi, secondo me, la Commissione, dovendo tutelare l'equilibrio dell'intera Eurozona, dovrebbe suggerire anche a quei Paesi di aumentare la domanda interna e di fare più investimenti. In parte l'ha fatto, ma non a sufficienza. Se si leggono le raccomandazioni per la Germania, si vede che sono sicuramente insufficienti da questo punto di vista.

  ADRIANA GALGANO. Le faccio un'ultima domanda: la Commissione ha il peso per farsi ascoltare dalla Germania ? Uno Stato in difficoltà, alla «canna del gas», accetta. Quando, invece, lo Stato è forte, la possibilità di influire su di esso è molto minore. Qual è il grado di fattibilità concreta e pratica di un modello di questo tipo ?

  ROBERTO GUALTIERI, Membro del Parlamento europeo. Stiamo parlando nell'ambito di una determinata attribuzione delle competenze agli Stati membri, che prevede alcune competenze nazionali e una funzione di coordinamento a livello dell'Unione europea. In tale ambito i limiti di cogenza sono quelli noti. È chiaro che non si può pensare – questo vale per l'Italia come per la Germania e per tutti i Paesi – che la Commissione europea possa imporre in modo diretto determinate politiche interne nell'ambito di competenza degli Stati membri.
  Io penso, però, che una gestione più equanime ed equilibrata anche degli strumenti attuali, soprattutto se tali strumenti venissero rafforzati con alcuni incentivi e con un meccanismo come il CCI, ma alla maniera del Parlamento, si potrebbe avere un riequilibrio e anche una influenza nei confronti della politica economica di tutti gli Stati membri. Questo, almeno, è l'auspicio.

  PRESIDENTE. Diversamente, si favorisce la divergenza. Concordo anch'io con quanto stava dicendo l'onorevole Galgano. Effettivamente si parla di convergenza, ma questo aspetto non viene rispettato.
  La ringrazio ancora, per la partecipazione e ringrazio tutti i commissari per gli interventi. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.30.