Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 26 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boccia Francesco , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL CONTENUTO DELLA NUOVA LEGGE DI BILANCIO E SULL'EQUILIBRIO DI BILANCIO DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI, DI CUI ALLA LEGGE N. 243 DEL 2012

Audizione di rappresentanti di ANCI e UPI.
Boccia Francesco , Presidente ... 3 ,
Perrone Paolo , vicepresidente vicario dell'ANCI e sindaco di Lecce ... 3 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 4 ,
Riva Vercellotti Carlo , vicepresidente dell'UPI e presidente della provincia di Vercelli ... 4 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 5 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 6 ,
Marchi Maino (PD)  ... 6 ,
Palese Rocco (Misto-CR)  ... 6 ,
Zanoni Magda Angela  ... 7 ,
Palese Rocco (Misto-CR)  ... 8 ,
Zanoni Magda Angela  ... 8 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 8 ,
Riva Vercellotti Carlo , vicepresidente dell'UPI e presidente della provincia di Vercelli ... 8 ,
Perrone Paolo , vicepresidente vicario dell'ANCI e sindaco di Lecce ... 9 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 10 

(La seduta, sospesa alle 14.20, riprende alle 14.35) ... 10 

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan:
Boccia Francesco , Presidente ... 10 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 10 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 14 ,
Zanoni Magda Angela  ... 14 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 14 ,
Caso Vincenzo (M5S)  ... 15 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 16 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 16 ,
Marchi Maino (PD)  ... 17 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 18 ,
Padoan Pier Carlo , Ministro dell'economia e delle finanze ... 20 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 22 

(La seduta, sospesa alle 15.35, riprende alle 16) ... 22 

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome:
Boccia Francesco , Presidente ... 22 ,
Garavaglia Massimo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia ... 22 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 25 ,
Fragomeli Gian Mario (PD)  ... 25 ,
Sartore Alessandra , coordinatore vicario della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore per le politiche del bilancio, patrimonio e demanio della regione Lazio ... 26 ,
Garavaglia Massimo , coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia ... 27 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 27 

(La seduta, sospesa alle 16.25, riprende alle 17) ... 27 

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti:
Boccia Francesco , Presidente ... 27 ,
Buscema Angelo , presidente di sezione della Corte dei conti ... 27 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 35 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 35 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 36 ,
Bulgarelli Elisa  ... 36 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 36 ,
Buscema Angelo , Presidente di sezione della Corte dei conti ... 36 ,
Forte Clemente , consigliere della Corte dei conti ... 37 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 37 ,
Forte Clemente , consigliere della Corte dei conti ... 38 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 38 ,
Forte Clemente , Consigliere della Corte dei conti ... 38 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 38 ,
Forte Clemente , consigliere della Corte dei conti ... 38 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 38 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 38 ,
Forte Clemente , consigliere della Corte dei conti ... 39 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 39 ,
Tonini Giorgio  ... 39 ,
Forte Clemente , consigliere della Corte dei conti ... 40 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 40 

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT:
Boccia Francesco , Presidente ... 40 ,
Monducci Roberto , direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT ... 40 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 43 ,
Caso Vincenzo (M5S)  ... 43 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 43 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 44 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 45 ,
Monducci Roberto , direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT ... 45 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 47 

Audizione del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro:
Boccia Francesco , Presidente ... 47 ,
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 47 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 53 ,
Guerrieri Paleotti Paolo  ... 54 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 55 ,
Cariello Francesco (M5S)  ... 55 ,
Marcon Giulio (SI-SEL)  ... 57 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 58 ,
Pisauro Giuseppe , presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio ... 58 ,
Boccia Francesco , Presidente ... 60

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DELLA V COMMISSIONE DELLA CAMERA
DEI DEPUTATI FRANCESCO BOCCIA

  La seduta comincia alle 13.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di ANCI e UPI.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul contenuto della nuova legge di bilancio e sull'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, l'audizione di rappresentanti di ANCI e UPI.
  Do la parola al sindaco Perrone.

  PAOLO PERRONE, vicepresidente vicario dell'ANCI e sindaco di Lecce. La legge di stabilità 2016 ha posto fine a una lunga fase di restrizione finanziaria che ha riguardato il comparto degli enti locali. I comuni hanno contribuito al risanamento del bilancio dello Stato per quasi 13 miliardi di euro, in parte attraverso tagli diretti, in parte attraverso vincoli sul patto di stabilità. Le spese in conto capitale, e quindi gli investimenti effettuati dai comuni in questi anni, si sono praticamente dimezzate, con un decremento di anno in anno che ha visto un'inversione a partire dalla fine del 2015 e, soprattutto, nell'anno corrente.
  Noi siamo convinti che il comparto degli enti locali, e dei comuni in modo particolare, in questa fase possa dare una grossa mano alla ripresa economica di questo Paese, grazie anche alla loro capacità di spesa. Non vorremmo, però, che questa ripresa, che riteniamo debba essere incoraggiata e accompagnata anche dal punto di vista normativo, abbia una battuta d'arresto con la legge n. 243 del 2012, e mi spiego immediatamente.
  La legge introduce gli obblighi di pareggio di bilancio in modo rafforzato. Questo scenario un po’ restrittivo, con la contestuale introduzione della nuova disciplina sulla contabilità pubblica, rischierebbe di porre un freno a questa nuova fase espansionistica del comparto. I comuni si sono da tempo responsabilmente fatti carico di questo loro ruolo importante e più consistente di altri livelli dello Stato – non lo diciamo noi, ma lo dicono l'ISTAT, la Banca d'Italia, la Corte dei conti – nell'ambito del processo di risanamento, ma abbiamo sempre chiesto che d'ora in avanti potessero esservi un assetto stabile della finanza locale e quelle certezze che un po’ sono mancate.
  Non si tratta soltanto di aver contribuito al riequilibrio dei conti pubblici, ma di averlo fatto in un contesto di grandissima incertezza, che ha impedito agli enti locali di programmare così come avrebbero voluto. È evidente che una fase di rilancio dell'economia, e quindi una fase di ripresa degli investimenti, necessita della capacità degli enti locali di poter programmare. Vorremmo, quindi, regole certe e stabili nel tempo nonché semplificazioni contabili e ordinamentali che portino a un riassetto delle entrate su basi di autonomia e responsabilità.
  È chiaro che il disegno di legge di modifica della legge n. 243 del 2012 ha corretto per certi versi, già nella proposta del Governo, alcune storture che avevamo più volte evidenziato. Rimangono tuttavia delle questioni ancora aperte e di importanza consistente.
  Innanzitutto, e ciò ci riguarda in modo particolare, pur essendo previsto l'unico saldo di competenza non negativo tra le entrate finali e le spese finali – abbiamo così superato la questione che riguardava il saldo di cassa – rimane ancora irrisolta la questione del Fondo pluriennale vincolato. Riteniamo che il Fondo pluriennale vincolato debba essere utile rispetto al saldo di competenza, e lo chiediamo in via stabile. Il disegno di legge di riforma, invece, fa riferimento all'eventualità che la legge di stabilità anno per anno decida se il Fondo pluriennale vincolato possa contribuire al saldo di competenza. Questa è per noi una condizione dalla quale non possiamo assolutamente derogare, per una serie di motivazioni.
  Anzitutto, il Fondo pluriennale vincolato di fatto è figlio anche della rivisitazione dei sistemi di contabilità. Abbiamo accompagnato con benevolenza e remissione questo percorso verso i nuovi criteri di finanza e di contabilità. L'abbiamo fatto perché capivamo che perseguire la trasparenza avrebbe agevolato anche la capacità degli enti locali di essere incisivi. Di fatto, con il Fondo pluriennale vincolato abbiamo superato il meccanismo dei residui, e quindi tutta quell'area di opacità e di ombrosità che aleggiava sui bilanci locali. Oggi, il paradosso è che non considerare il Fondo pluriennale vincolato sarebbe come smentire tutto quello che si è fatto insieme con l'introduzione dei nuovi criteri di contabilità.
  Comprenderete che il fatto che venga demandato a una legge ordinaria il suo eventuale inserimento crea per noi grandissime difficoltà nella fase programmatoria della nostra attività, sia finanziaria sia gestionale. Immaginiamo se dovessimo noi aspettare ogni fine dicembre per renderci conto se possiamo utilizzare o meno il Fondo pluriennale vincolato per la valorizzazione del saldo. Per usare un'immagine che abbiamo avuto presente nelle nostre valutazioni tecniche, dobbiamo aspettare fino a dicembre per sapere se prevarrà la linea di un sindaco volitivo rispetto a quella di un ragioniere molto rigoroso.
  È evidente che l'inserimento in modo stabile del Fondo pluriennale vincolato tra gli elementi che compongono il saldo è per noi determinante, anche perché il Fondo pluriennale vincolato di fatto rappresenta una sorta di trait d'union intertemporale tra i vari bilanci, garantendo quell'ampiezza, in termini appunto temporali, di visibilità e quindi di capacità programmatoria, necessaria se vogliamo consentire ai comuni di sostenere questa fase di crescita.
  Un aspetto di carattere secondario ma certamente interessante, su cui pure puntiamo l'attenzione, è il fatto che l'attuale revisione della legge n. 243 del 2012 non prevede uno strumento finalizzato alla redistribuzione dei vincoli di finanza pubblica su scala nazionale. Di fatto, abbiamo un vincolo dell'obiettivo di patto su scala regionale fissato per Costituzione. Dovremmo, ovviamente, immaginare una legge ordinaria che permetta, con maggiore flessibilità e snellezza, la possibilità per esigenze di carattere locale o nazionale di ripartire questi vincoli a livello nazionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sindaco Perrone.
  Do la parola al vicepresidente dell'UPI e presidente della provincia di Vercelli, Riva Vercellotti.

  CARLO RIVA VERCELLOTTI, vicepresidente dell'UPI e presidente della provincia di Vercelli. Rivolgo in primo luogo un saluto ai presenti da parte dell'Unione delle province d'Italia.
  Questo provvedimento è certamente atteso, necessario, improrogabile, nonché richiesto da tempo dal sistema delle autonomie locali. La semplificazione operata all'articolo 1 del disegno di legge del Governo, con la riduzione da quattro ad uno dei saldi di riferimento, è sicuramente un elemento che cogliamo con grande soddisfazione. Sul tema del Fondo pluriennale vincolato diceva poc'anzi il sindaco Perrone. La nostra richiesta è quella di far sì che il Fondo pluriennale vincolato possa essere stabilmente inserito tra le voci utili al saldo per garantire maggiore certezza e fluidità alla programmazione degli enti locali.
  Va bene sicuramente la soppressione del vincolo previsto dal comma 3 dell'articolo 9 della legge n. 243 del 2012 in merito alla destinazione di eventuali saldi positivi all'estinzione del debito maturato dall'ente ovvero al finanziamento di spese di investimento. Va bene anche l'introduzione di strumenti premiali accanto alle procedure sanzionatorie, così come il tema del riequilibrio per quanto riguarda i saldi all'interno delle regioni.
  C'è, però, un elemento che le province ritengono molto importante evidenziare in quest'audizione, perché sta creando notevoli problemi proprio per quanto riguarda la nostra modestissima programmazione. Il sindaco di Lecce giustamente evidenziava come l'esigenza del sistema dell'autonomia dei sindaci sia quella di effettuare una programmazione non solo nel breve e nel medio, ma anche nel lungo periodo.
  Noi abbiamo un'esigenza completamente diversa: riuscire a programmare per l'anno in corso, cosa che ha dell'incredibile, ma che è la realtà dei fatti. Noi dobbiamo presentare i bilanci entro la fine del mese di luglio, e dobbiamo presentarli alla luce di una legge di stabilità che ha dato qualche messaggio interessante al sistema delle province italiane.
  Voi sapete benissimo che quello dei tagli alle province o del contributo forzoso – è meglio definirlo in questi termini – è un sistema che non consente un equilibrio finanziario. L'abbiamo detto in diverse sedi. Il Governo ha colto perfettamente questa situazione, al punto da inserire tanto nel 2015 quanto per il 2016 una serie di «artifizi derogatori» al testo unico e una serie di contributi, di interventi, che in qualche modo potessero consentire alle province di reggere l'urto del 2016 e garantire quel minimo essenziale per quanto riguarda i servizi ai cittadini.
  Bene, ma c'è un problema: le province in sede di bilancio di previsione non devono soltanto guardare all'equilibrio finanziario complessivo, ma agli equilibri definiti dall'articolo 9 della legge n. 243 del 2012, ovvero ai vincoli di finanza pubblica. Tecnicamente, questi vincoli sono oggi inarrivabili per il sistema delle province italiane, e non per qualche manciata o qualche decina di province, ma per tutto il comparto. O si crea a livello normativo una coerenza con quanto il Parlamento ha già deliberato con l'approvazione della legge di stabilità, con riferimento a quei princìpi derogatori e a quegli artifizi che si erano costruiti insieme alle province per cercare di farle reggere finanziariamente, oppure quel lavoro non sarà servito a nulla.
  Il tema della garanzia degli equilibri finanziari deve andare di pari passo con l'equilibrio della finanza pubblica. Non è più la volontà del singolo presidente di provare a fare il bilancio. Qui non ci sarà più nessun ragioniere capo della provincia, nessun revisore, che firmerà mai un bilancio di previsione in questa situazione. O le province non faranno i bilanci o dichiareranno che i vincoli non sono rispettati, semplicemente. È, quindi, un problema molto delicato, molto grave.
  Assicurare la coerenza tra un provvedimento normativo quale è la legge di stabilità – che poneva una serie di possibilità, inclusa quella dell'utilizzo dell'avanzo di amministrazione, libero o vincolato – e i vincoli del saldo di finanza pubblica, è un tema per noi assolutamente centrale e ci auguriamo che il Parlamento raccolga questo stimolo, perché sarà fondamentale per garantire non una programmazione di lungo periodo, ma almeno la gestione dei servizi per l'estate che arriva e per i prossimi autunno e inverno.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Riva Vercellotti. Saluto i colleghi senatori e il presidente Tonini, che ci hanno raggiunto.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Rispetto alla questione posta in particolare dal sindaco di Lecce su un tema che chiaramente rientra nella vocazione di una riforma costituzionale, quello cioè del carattere pluriennale, credo che sia importante per gli enti locali e per i comuni avere altrettante garanzie che la programmazione possa rispettare appunto questo carattere pluriennale.
  Condivido pienamente l'ipotesi di inserire il Fondo pluriennale vincolato all'interno del saldo, ma pongo anche un problema di fattibilità, e quindi avanzo un'ipotesi alternativa, che può essere anche di compromesso, e cioè quella che questa definizione attraverso una legge dello Stato avvenga almeno per una triennalità. In questo modo sappiamo che i comuni hanno davanti un triennio di inserimento del Fondo pluriennale vincolato all'interno del saldo, per cui potranno fare una programmazione almeno triennale.
  Mi rendo conto che ciò risponde più alle esigenze dei piccoli comuni che a quelle dei grandi comuni. Nei piccoli comuni la proiezione di un'opera pubblica triennale salvaguarda quasi tutte le tipologie di opere pubbliche; per un grande comune, la situazione è diversa, perché si tratta di opere che hanno anche un'esplosione temporale molto più lunga. Per garantire, però, che questa riforma costituzionale tenga conto anche dell'aspetto della programmazione finanziaria più ampia, forse potrebbe essere una sorta di mediazione.

  MAINO MARCHI. La mia è una domanda sulle province. Eravamo tutti consapevoli di due limiti, di cui uno relativo al fatto che le normative per i bilanci degli enti locali per il 2016 potevano valere per un anno, perché dopo sarebbe entrata in vigore la legge n. 243 del 2012, che prevedeva vincoli più restrittivi, e quindi occorreva entro quest'anno modificare la citata legge n. 243. Il disegno di legge del Governo va dunque in quella direzione, per quanto si tratta poi di capire i contenuti delle modifiche stesse.
  L'altra questione per le province è il bilancio annuale per riuscire a fare comunque, come l'anno scorso, il bilancio per il 2016, sapendo che per il 2017 si riproporranno gli stessi problemi, considerato che è previsto un altro taglio anche per il prossimo anno. Rimaneva inoltre una questione relativa alle sanzioni per il patto di stabilità 2015, perché è abbastanza oggettivo che quasi tutte le province nel 2015, o molte di esse, non siano riuscite a rispettare il patto per la condizione in cui si trovavano.
  Ritengo pertanto che anche quest'anno sia opportuno che almeno entro luglio venga adottato un provvedimento su quel punto e, eventualmente, su altri punti relativi agli enti locali. Mi domando, però, nello specifico che cosa si chieda di fare per rendere possibili i bilanci, cioè che cosa si dovrebbe fare adesso, in termini di provvedimento legislativo, per fare i bilanci in luglio. Mi sembrava che almeno questa condizione, fatta salva la questione delle sanzioni, potesse esserci.

  ROCCO PALESE. Anch'io, presidente, ho chiesto la parola per la situazione in cui versano le amministrazioni provinciali o ciò che di esse è rimasto. Ad onore del vero, gli atti parlamentari sia della Commissione sia soprattutto dell'Aula parlano in maniera chiara. Per come era stata fatta la riforma, era già scritto tutto quello che sarebbe successo e quello che sta ora succedendo, forse anche in termini peggiorativi purtroppo. Ciò è fin troppo evidente.
  Condivido la sollecitazione del collega Marchi, nel senso che bisogna cercare di intervenire. Chi amministra le ex province e le aree vaste – per le aree metropolitane la situazione è un po’ diversa – si trova davanti a una serie di gestioni continuamente provvisorie e alla giornata, che non riguardano solo le risorse disponibili e l'erogazione dei servizi, ma l'intero impianto.
  Forse avremmo bisogno, presidente, di una analisi seria sulla situazione delle province, a cominciare dalla verifica se tutte le regioni hanno attuato quanto previsto dalla riforma e in che termini. Mi sembra, infatti, che ognuno sia andato per conto suo. Alla rottura dell'unità amministrativa, che nel nostro Paese era già stata provocata dalla modifica del Titolo V della Costituzione, ognuno ha recepito il concetto di autonomia, che pure ha un grande valore, come anarchia, in termini quindi ben differenti da quelli di una rivitalizzazione ed un rilancio delle peculiarità del territorio. Ahimè, per la finanza pubblica la vicenda è stata completamente opposta.
  Quanto ad un'altra questione, dal Dipartimento della funzione pubblica abbiamo avuto un primo censimento di che fine dovrà fare il personale in riferimento alle altre unità da collocare. Anche qui occorre una tempistica, in quanto direttamente collegata con le possibilità del bilancio di previsione con cui le province o ciò che di esse è rimasto hanno a che fare.
  Il terzo problema concerne la devastazione all'interno di quasi tutti gli enti di area vasta. L'impossibilità di provvedere a fare un bilancio di previsione nasce solo dalla situazione che riguarda la avvenuta riduzione dei trasferimenti o dipende anche da una serie di complicazioni dovute a tutto ciò che è in pancia, all'interno delle ex province, in termini di contenziosi, sopravvenienze passive e chi più ne ha più ne metta?
  Noi abbiamo bisogno di un quadro per capire che cosa il Parlamento è nelle condizioni di fare. Se non dovesse esserci nessun tipo di provvedimento, è fin troppo evidente che le norme rimangono così. Non si è in un sistema derogatorio, bensì si naviga a vista, le province navigano a vista, non hanno bilancio, non hanno niente, e nessuno esattamente conosce la situazione dal punto di vista della finanza pubblica.
  Io mi preoccupo – infatti, prima o poi in Europa lo scopriranno – per quello che abbiamo «venduto» per uscire dalla procedura di infrazione per eccessivo debito pubblico, ovvero l'abolizione delle province per un miliardo di euro in termini di risparmio. Non solo non c'è stato il miliardo di euro di risparmi, ma sappiamo che abbiamo una cifra x, indefinita, forse anche illimitata nel tempo, di quello che c'è di più.
  Questa è una responsabilità del Governo, e mi fa piacere che sia qui presente il viceministro Morando. Io pongo un interrogativo, perché non ho la bacchetta magica per capire che cosa effettivamente possa essere utile. Per l'ennesima volta, visto che c'è il massimo rappresentante dell'UPI, penso che sarebbe stata utile una soluzione che però non viene scelta e sulla quale non c'è mai nessuna risposta. Forse a oggi, se abbiamo questo quadro, è il caso di pensare a una gestione straordinaria, sulla falsariga di quelle liquidatorie, non già per liquidare le province, cui già si è provveduto – se passa anche alla Corte costituzionale, è un altro tipo di discorso – ma proprio rispetto alla gestione contabile, finanziaria, dell'esercizio finanziario anno per anno.
  Forse è utile pensare a una gestione liquidatoria completamente divisa da una gestione ordinaria nel momento in cui le regioni finalmente – non so se tutte, ma perlomeno la stragrande maggioranza – hanno definito un punto fermo rispetto alle funzioni e il personale ha trovato una sua collocazione.
  Se non iniziamo a pensare a qualcosa di serio che riguarda anche un ordine nella gestione dal punto di vista contabile, finiremo per avere lo stesso risultato negativo che c'è stato nel nostro Paese quando ci fu la trasformazione delle USL in ASL. Anche allora il Governo si accorse tardi, e dopo ben due anni individuò poi la soluzione delle gestioni liquidatorie. Secondo me, una riflessione va fatta su questo, perché consentirebbe di avere cifre certe, tempi certi e di capire una volta per tutte come effettivamente si può uscire da questa situazione.
  La riforma fa morire per asfissia le province, ma qui si ravvisa un danno nei confronti della finanza pubblica e dei soldi dei cittadini, che è una cosa ben diversa.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Intervengo solo per poche battute e una domanda.
  Anzitutto, per quanto concerne i comuni accolgo favorevolmente la valutazione complessivamente positiva del disegno di legge del Governo recante modifiche alla legge n. 243 del 2012. Certo, quello del Fondo pluriennale vincolato è un problema. Cercheremo di esaminare questa richiesta dell'ANCI. La norma, così com'è scritta, ha una sua logica. È evidente che legarlo al bilancio nazionale e alle strategie nazionali vuol dire non tener conto delle esigenze del patto di stabilità nazionale, che pure resta, con le connesse esigenze di copertura. Credo che pensare di definire la questione in modo stabile sia una soluzione po’ tirata per i capelli.
  La proposta di una triennalità, che comunque rimane legata a un bilancio triennale, forse è più semplice da accogliere. Questo non vuol dire che non la teniamo in considerazione. Sappiamo che è il punto cruciale, non solo perché ce lo dite voi, ma perché da tutti i comuni con cui abbiamo contatti questa è sempre la prima richiesta. Sicuramente se ne terrà conto e si cercherà di fare il possibile.
  Per quanto riguarda le province, il discorso è molto diverso e molto più complicato. Credo che il decreto-legge relativo agli enti locali – che dovrebbe essere adottato quest'anno, esattamente come è avvenuto l'anno scorso, con l'obiettivo di essere approvato entro luglio in modo da dare tempi certi a tutti gli enti locali, inclusi i comuni – sicuramente per le province rivestirà maggiore importanza, poiché dovrà affrontare anche il tema della definitiva riorganizzazione delle province stesse, e soprattutto quello delle funzioni svolte.
  Mi sentirei di dire al deputato Palese che i risparmi in questi anni sono stati tanti. L'Europa non può proprio lamentarsi nei nostri confronti.

  ROCCO PALESE. Ho parlato delle province.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Ed infatti, anche da questo punto di vista, se prendiamo i bilanci delle province di cinque anni fa e quelli attuali, senza tante alchimie, vediamo che c'è stato un abbattimento dei costi rilevante. Al di là di quelle che possono essere le difficoltà odierne, è un processo che ha avuto un impatto piuttosto consistente dal punto di vista della riduzione di spesa, credo forse unico nella storia delle nostre istituzioni dal dopoguerra. Non siamo sicuramente in difetto sotto questo profilo.
  Il problema delle province va affrontato seriamente. Già l'anno scorso lo abbiamo detto in tutte le sedi: i tagli previsti per un miliardo, 2 miliardi o 3 miliardi addirittura per l'anno ancora successivo sono assolutamente inconciliabili con qualunque livello di erogazione dei servizi, se non a condizione di non erogare più i servizi medesimi. Il problema non è chi svolge le funzioni, se le province, le regioni o i comuni, ma che dello svolgimento delle funzioni deve essere ovviamente assicurata anche la copertura dei relativi costi. Di questo ci faremo senz'altro carico. Credo tuttavia che ciò riguardi meno il tema di oggi, perché la legge n. 243 del 2012, che richiede queste modifiche strutturali nel tempo, a mio avviso risente meno di questi impatti.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la senatrice Zanoni, che è anche la relatrice presso la Commissione bilancio del Senato sul disegno di legge del Governo recante modifiche alla legge n. 243 del 2012.
  Non essendoci altri interventi, do ora la parola ai nostri auditi per la replica.

  CARLO RIVA VERCELLOTTI, vicepresidente dell'UPI e presidente della provincia di Vercelli. Che cosa poter fare? È stata posta questa domanda. Io chiederei al Parlamento e al Governo che cosa possono fare. In audizione, noi correttamente solleviamo una questione, un problema politico e tecnico significativo, che non riguarda strettamente il disegno di legge del Governo recante modifiche alla legge n. 243 del 2012, su cui abbiamo espresso una valutazione sostanzialmente positiva. È giusto che in questa sede le province sollevino una questione molto delicata, molto importante: l'impossibilità tecnica a fine luglio di presentare i bilanci, se si vogliono rispettare i saldi di finanza pubblica previsti nella legge n. 243 del 2012.
  Che cosa fare? Basta guardare a cosa è previsto nella legge di stabilità in merito all'utilizzo dell'avanzo libero, destinato e vincolato, laddove viene data alle province la possibilità di utilizzarlo in fase previsionale. Valutate voi di conseguenza come adottare le misure del prossimo decreto-legge, che auspichiamo anche in questo caso possa arrivare il prima possibile. Se infatti l'approvazione definitiva tra Camera e Senato giungesse a fine luglio, dovendo noi presentare i bilanci, si verificherà un problema. L'auspicio è dunque che ci sia un provvedimento che vada in questa direzione.
  Mi permetto di ribadire, visto che il tema è stato posto con forza, che c'è una situazione davvero di grandissima criticità per quanto riguarda i servizi. Ormai non si toccano più gli sprechi, semmai c'è ancora una situazione complicata sul personale. Quel 50 per cento di taglio lineare ha fatto sì che magari province piuttosto robuste continuino ad esserlo, mentre in province in cui il numero del personale era già particolarmente ridotto ci siano problemi enormi di gestione quotidiana dei servizi. Non ci sono più dirigenti, infatti, né posizioni organizzative, né dipendenti, non c'è più nessuno. La politica del taglio lineare in questo caso davvero ha creato e sta creando situazioni complesse.
  Il problema, però, è proprio che questo contributo alla riduzione della spesa pubblica incide nella carne viva dei servizi ai cittadini, e noi gestiamo scuole e strade. Vi invito ad andare in una scuola superiore italiana a caso, a guardare le aule, i laboratori, i bagni, ad andare lungo le strade provinciali e vedere la situazione di insicurezza generalizzata che si crea.
  Attenzione, il fatto che non si faccia più manutenzione da anni e non la si farà ancora almeno nel breve e medio periodo, significa che tutto il minor costo avuto finora domani sarà pagato con gli interessi. Quel ponte su cui non ho fatto manutenzione, che adesso devo chiudere, prima o poi qualcuno dovrà riaprirlo se vuole dare al Paese i collegamenti.
  I problemi che hanno oggi le amministrazioni provinciali sono, da una parte, di garantire un minimo di equilibrio finanziario, dall'altra, di riuscire a garantire dei servizi senza incappare nei procedimenti di natura penale e civile che stanno piovendo su tutte le amministrazioni provinciali, dai loro presidenti ai dirigenti, ai funzionari, come nel caso dell'inasprimento del reato penale sulle strade, detto banalmente. È giustissimo difatti inasprire le pene se un'amministrazione non interviene, ma dateci almeno la possibilità di intervenire per tappare le buche nelle strade.
  Questi sono i problemi concreti, vivi che vi sottoponiamo. Va bene la riduzione della spesa pubblica. Da questo punto di vista, le province hanno dato un segnale fortissimo in questi anni, ma se un Paese vuole dare un segnale di equilibrio, credo che debba guardare le cose appunto col massimo equilibrio, e capire che probabilmente le province hanno fatto più del dovuto. Adesso si deve guardare al futuro per stabilizzare il livello dei servizi, che non deve essere mirato ai servizi essenziali, ma ai servizi ottimali da erogare ai cittadini.

  PAOLO PERRONE, vicepresidente vicario dell'ANCI e sindaco di Lecce. Ringrazio la senatrice Zanoni e l'onorevole Fragomeli per quest'apertura, che però noi consideriamo insufficiente. Vorremmo che si scardinasse il collegamento tra Fondo pluriennale vincolato e copertura. Vorremmo, proprio per esigenze di assetto stabile della finanza locale, un quadro certo e stabile.
  Ovviamente, ci rendiamo conto che in caso di emergenza magari occorra prevedere dei correttivi, invertendo però semmai l'onere della prova, ossia prevedendo costituzionalmente l'utilizzo del Fondo pluriennale vincolato come saldo e prevedendo inoltre che con legge ordinaria, per esigenze straordinarie di finanza e di riequilibrio nazionale, lo stesso possa essere rivisto ed escluso dal conteggio del saldo. Creiamo una cornice certa, all'interno della quale prevedere una clausola di salvaguardia, ove ce ne fosse bisogno. Questo consentirebbe a noi di ragionare in termini compatibili con la capacità e la volontà programmatoria del comparto. Diversamente, l'ansia che adesso si dovrebbe scatenare ogni anno si scatenerebbe ogni triennio.
  Paradossalmente – so che stiamo dicendo qualcosa che probabilmente in questa sede non si può dire, ovvero di tornare al patto di stabilità – sarebbe maggiormente condivisibile da parte nostra disporre di un quadro certo sapendo poi di dover accettare restrizioni degli obiettivi sui saldi, ogni comune sapendo però di poter contare nel conteggio di quel saldo sul proprio Fondo pluriennale vincolato. Non so se sono stato chiaro.

  PRESIDENTE. Ringrazio il sindaco Perrone e il vicepresidente Riva Vercellotti.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta, sospesa alle 14.20, riprende alle 14.35.

Audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul contenuto della nuova legge di bilancio e sull'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, l'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan.
  Ringrazio il Ministro Padoan per la partecipazione alla seduta odierna e gli do la parola.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidenti, e buon pomeriggio.
  Il disegno di legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio rappresenta il completamento di un percorso avviato nel 2012 con la riforma costituzionale definita con la legge n. 1 del 2012.
  In coerenza con le regole del Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria, la legge costituzionale ha introdotto nell'ordinamento nazionale un principio generale di equilibrio di bilancio, secondo il quale tutte le amministrazioni pubbliche devono assicurare l'equilibrio tra entrate e spese del bilancio e concorrere alla sostenibilità del debito.
  Per il bilancio dello Stato è stata superata una concezione meramente formale della legge di bilancio, che acquista ora carattere sostanziale.
  Nel frattempo, la riforma della normativa di contabilità e finanza pubblica, avviata nel 2009 con la legge n. 196 e proseguita nel corso degli ultimi anni con ulteriori e significativi interventi, è stata ulteriormente rafforzata.
  Ricordo come le disposizioni introdotte con il decreto legislativo per il completamento della riforma del bilancio mirano alla maggiore leggibilità e significatività del bilancio, al miglioramento della qualità dei dati di entrate e spese, al rafforzamento del processo di programmazione finanziaria e del ruolo allocativo del bilancio, anche attraverso la messa a punto di un processo di revisione della spesa integrato nel ciclo del bilancio, e al potenziamento del monitoraggio sul raggiungimento degli obiettivi prefissati.
  Lo stesso provvedimento dispone, inoltre, la semplificazione delle procedure per i provvedimenti di variazione di bilancio in corso d'anno, tali da rendere più tempestiva la disponibilità delle risorse ai fini di una loro corretta gestione.
  È nell'ambito di questa cornice che va collocata la proposta di legge di attuazione del principio del bilancio unificato, nonché il disegno di legge che dispone modifiche della legge n. 243 del 2012 per la parte che disciplina il concorso degli enti territoriali all'equilibrio di bilancio e alla sostenibilità del debito, entrambi all'esame del Parlamento rispettivamente con l'atto Camera n. 3828 e l'atto Senato n. 2433.
  Nel resto della mia presentazione mi concentrerò su alcuni specifici temi che ritengo utile sottoporre all'attenzione di questa assemblea, per un'ulteriore riflessione in vista dell'esame dei predetti provvedimenti.
  Parto dal bilancio sostanziale. L'attuazione della riforma costituzionale e delle disposizioni previste dalla legge rafforzata n. 243 del 2012 offrono l'occasione di completare la predisposizione di un impianto istituzionale in cui siano ulteriormente rafforzati i presìdi a tutela della disciplina di bilancio. Maggiore attenzione si è posta sulla qualità della spesa pubblica e sulle modalità con cui potranno essere monitorati i progressi raggiunti e gli obiettivi prefissati.
  In questa direzione, un elemento di particolare rilevanza riguarda l'unificazione della legge di bilancio e della legge di stabilità in un unico documento. Questa integrazione consente di riportare l'attenzione del dibattito pubblico e del Parlamento sulle priorità dell'intervento pubblico, valutando nello stesso momento i programmi di spesa nuovi e quelli già esistenti, in un quadro di vincoli definito dal complesso delle risorse disponibili e dagli obiettivi programmatici indicati nei documenti di programmazione.
  Affinché questo risultato possa essere conseguito occorre, tuttavia, che questa operazione non sia una mera somma dei contenuti degli attuali disegni di legge di bilancio e di stabilità.
  È in questa nuova chiave che vanno interpretati il criterio della legislazione vigente e i limiti entro i quali può operare il Governo nella formulazione della proposta di bilancio che sottopone al voto del Parlamento.
  La proposta di legge attribuisce, infatti, alla seconda sezione anche il ruolo di strumento di riallocazione delle risorse pubbliche tra le diverse finalità concorrendo, insieme alla prima, a costituire lo strumento per proporre una diversa finalizzazione delle risorse complessive di cui già si dispone in base alla normativa esistente, per sfruttare eventuali margini di efficienza e/o ridefinire le priorità dell'intervento pubblico nell'ambito delle finalità già previste a legislazione vigente.
  Nella fase di predisposizione del bilancio serve soprattutto un cambiamento di prospettiva, in cui si abbia la capacità di rimettere in discussione anche le scelte già adottate negli esercizi precedenti, le spese e le politiche già previste, superando il criterio, spesso prevalente, della spesa incrementale.
  Aumentare i margini di valutazione delle amministrazioni nella fase di formazione può indurre i ministeri e il Governo nella sua collegialità a riconsiderare le proprie priorità e a veicolare le risorse di cui dispongono verso gli strumenti che ritengono più efficaci per il conseguimento degli obiettivi programmati.
  Nella fase della discussione parlamentare del disegno di legge di bilancio, di particolare rilievo risultano alcuni elementi che dovrebbero avvalorare il ruolo del bilancio come principale strumento di politica economica.
  Tra questi, ricordo che la legge n. 243 del 2012 ha ribadito il divieto di disporre norme microsettoriali o localistiche. Tale divieto è stato stabilito con una legge di rango superiore a quella ordinaria, per evitare che nell'ambito della sessione di bilancio ci si concentri esclusivamente su norme particolaristiche, che rispondono a esigenze e interessi legati a specifiche situazioni o soggetti.
  Con il disegno di legge di bilancio, inoltre, potranno essere presentati, nei limiti delle compatibilità economiche e finanziarie, interventi a favore dello sviluppo, cosa oggi formalmente non ammessa.
  La proposta di legge interviene anche sulle disposizioni della normativa contabile che regolano la copertura finanziaria delle leggi. In base a quanto previsto nella proposta in esame, non sarà più necessario predisporre un autonomo prospetto di copertura delle variazioni marginali alla legislazione vigente, come attualmente avviene per la legge di stabilità.
  Per garantire il rispetto del principio dell'equilibrio di bilancio, andrà assicurata la coerenza del saldo complessivo del bilancio dello Stato con gli obiettivi programmatici di finanza pubblica.
  Questo dovrebbe consentire al Governo e al Parlamento di disporre di una maggiore flessibilità nella fase allocativa, orientando l'attenzione sulla dimensione complessiva dell'intervento pubblico, anziché sulla variazione al margine delle singole poste di entrata e di spesa del bilancio statale.
  Particolare attenzione merita la modifica, nella proposta in esame, dell'attuale meccanismo della clausola di salvaguardia effettiva e automatica, prevista nel caso di disposizioni che comportino oneri valutati.
  La nuova clausola, basata su una procedura non più automatica, prevede che, in caso di scostamenti tra l'andamento della spesa e le previsioni, sia il Ministro dell'economia e delle finanze, con proprio decreto, a disporre la sospensione dell'efficacia della disposizione onerosa per l'esercizio in corso, salvo che sia possibile ricorrere alla compensazione dei maggiori oneri tramite una riduzione degli stanziamenti del ministero competente che ha predisposto il disegno di legge che comporta lo sforamento.
  Per gli esercizi successivi a quello in corso, alla compensazione degli effetti che eccedono le previsioni si provvede con la legge di bilancio, adottando prioritariamente misure di carattere normativo che consentano la correzione.
  Si ripropone in questo modo la situazione che la legge n. 196 del 2009 aveva inteso superare, quando ha previsto l'effettività e automaticità delle clausole di salvaguardia, al fine di scongiurare comportamenti non prudenti in fase di valutazione degli oneri determinati dalle innovazioni legislative.
  Una tale modifica della attuale procedura ha ripercussioni sul presidio della finanza pubblica, ma ha anche risvolti rilevanti sul piano giuridico nei casi in cui la sospensione riguardi norme da cui discendono diritti soggettivi costituzionalmente garantiti.
  Inoltre, riguardo alla compensazione degli scostamenti in corso d'anno nell'ambito degli stanziamenti del ministero competente, va evidenziato che si preclude la possibilità di ricorrere alla riduzione di stanziamenti eventualmente eccedenti in altri settori di spesa o a incrementi di entrate.
  Al di là delle valutazioni tecniche, la norma attribuisce al Ministro dell'economia e delle finanze un'evidente responsabilità circa la sospensione dell'efficacia della misura in esame, che nella maggior parte dei casi a oggi si riferisce a benefici attribuiti a soggetti che rivestono particolari caratteristiche.
  Considerata la rilevanza di tale atto e il fatto che una compensazione dei maggiori oneri potrebbe non essere sostenibile od opportuna nell'ambito del ministero competente, si può anche valutare una riflessione sull'opportunità di rinviare la decisione di una sospensione del provvedimento al Consiglio dei ministri, nell'ambito della collegialità del Governo.
  Nella proposta di legge in esame, il carattere sostanziale attribuito alla legge di bilancio non si estende alla legge di assestamento, che assumerebbe caratteristiche e contenuti analoghi alla sezione seconda della medesima legge di bilancio.
  In accordo con quanto previsto dalla legge n. 243 del 2012, si prevede che, sebbene compilato a legislazione vigente, sia possibile rimodulare con il disegno di legge di assestamento fra le diverse unità di voto. Ciò consentirà di utilizzare, compatibilmente con il rispetto dei vincoli di finanza pubblica, eventuali margini di miglioramento finanziario che si dovessero rendere disponibili nel corso dell'esercizio.
  Rispetto a questo strumento vorrei, tuttavia, evidenziare l'opportunità di prevedere un termine certo per la sua approvazione finale. Ciò consentirebbe all'amministrazione che deve provvedere alla concreta gestione delle risorse di disporre di un periodo sufficiente nel corso dell'esercizio.
  Passo ora alla seconda questione, relativa ai bilanci delle regioni e degli enti locali.
  Il principio dell'equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali è declinato all'articolo 9 della legge n. 243 del 2012, in relazione al conseguimento, sia in fase di programmazione che di rendiconto, di un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, fra le entrate finali e le spese finali e di un saldo non negativo, in termini di competenza e di cassa, fra le entrate correnti e le spese correnti, incluse le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti. Tale formula implica che il rimborso dei prestiti deve essere finanziato da entrate correnti.
  Negli anni tale impianto ha mostrato una serie di limiti, riconosciuti nel dibattito tra i vari attori istituzionali.
  Il riferimento ai dati di cassa e all'equilibrio di parte corrente nella definizione del pareggio di bilancio degli enti territoriali non consente un immediato collegamento con le regole dell'Unione europea in materia economico-finanziaria.
  L'utilizzo di finanza pubblica legato, anche se parzialmente, alla cassa, come nel caso della competenza mista, ha inoltre determinato le seguenti criticità: una contrazione delle spese per investimenti, derivante dal difficile governo da parte degli enti del disallineamento temporale fra le risorse acquisite e le opere realizzate, e un rallentamento dei pagamenti ai fornitori per le opere già concluse.
  In tale contesto, appare opportuno procedere a una revisione della definizione del pareggio di bilancio per gli enti territoriali, modificando la legge n. 243 del 2012, tramite l'eliminazione di vincoli non più necessari ed eventualmente distorsivi.
  Peraltro, in tale direzione, la legge n. 208 del 28 dicembre 2015, ovvero la legge di stabilità per il 2016, ha già sostituito la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali e i previgenti vincoli delle regioni a statuto ordinario, anticipando nuove regole di finanza pubblica per gli enti territoriali.
  L'atto Senato n. 2433 in esame prevede l'individuazione di un unico saldo non negativo, in termini di competenza, fra entrate finali e spese finali, nelle fasi sia di previsione che di rendiconto.
  Tale modifica, che avvicina il saldo di riferimento per gli enti territoriali a quello rilevato dall'ISTAT per il calcolo dell'indebitamento netto, può produrre vantaggi per il controllo della finanza pubblica nel suo complesso.
  Vantaggi ancora maggiori derivano dal fatto che si semplificano i vincoli generali degli enti territoriali, fermi restando gli equilibri di parte corrente e di cassa già previsti dalla legislazione ordinaria vigente, e si fornisce un quadro certo per una programmazione di medio-lungo periodo, atta a rilanciare gli investimenti sul territorio.
  Nel corso degli anni i vincoli di finanza pubblica imposti agli enti territoriali hanno avuto un effetto positivo, non solo sul contenimento della spesa, ma anche sulla stabilizzazione dello stock di debito.
  In un'ottica di sostenibilità di medio-lungo periodo e di finalizzazione del ricorso al debito, nel disegno di legge in esame sono stati mantenuti fermi i princìpi generali dell'articolo 10 della legge n. 243 del 2012, riguardanti il vincolo di indebitamento per le spese di investimento e la sostenibilità delle operazioni di debito.
  Viene comunque introdotta un'innovazione particolarmente rilevante per favorire un rilancio dell'economia a livello territoriale. Si tratta di demandare ad apposite intese regionali non solo le operazioni di indebitamento sul rispettivo territorio, ma anche la possibilità di utilizzare gli avanzi pregressi per operazioni di investimento, nel rispetto degli obiettivi di finanza pubblica per il complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la regione stessa.
  Le regioni saranno, pertanto, chiamate a svolgere un ruolo strategico, valorizzando la loro capacità di concertazione fra i diversi livelli di governo sul territorio.
  Tuttavia, considerata l'opportunità di cogliere appieno le potenzialità di una tale disposizione per l'economia, in caso di inerzia o di ritardo delle intese si è ritenuto fondamentale prevedere il potere sostitutivo dello Stato.
  Infine, vorrei soffermarmi sul concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi del ciclo.
  L'articolo 11 definisce i princìpi fondamentali e i criteri del concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali.
  Pur in presenza di un quadro ancora in corso di definizione, il principio generale di assicurazione della loro erogazione su tutto il territorio nazionale, anche nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, deve essere mantenuto fermo, al fine di assicurare i diritti costituzionalmente garantiti a tutti i cittadini.
  In tale circostanza, verrà assicurato anche il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, con le modalità che verranno definite con legge dello Stato, nel rispetto dei princìpi generali stabiliti dalla legge n. 243 del 2012.
  Analogamente, l'articolo 12 stabilisce il concorso delle regioni e degli enti locali alla sostenibilità del debito del complesso delle amministrazioni pubbliche, tramite versamenti al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato.
  In conclusione, le proposte di legge in esame sono un'occasione importante per dotare il nostro Paese di un assetto istituzionale e di una cornice di regole adeguati a cogliere le opportunità che il progressivo percorso di consolidamento dei conti pubblici già intrapreso potrà offrire, oltre che a migliorare le modalità con cui si esplica l'intervento pubblico nell'economia.
  La riforma non deve essere interpretata come un semplice adempimento normativo, con cui adeguare norme di natura contabile a un principio che si esaurisce nelle modalità con cui è definito il saldo di bilancio. Le modifiche dovranno, piuttosto, essere funzionali a una nuova visione del processo di definizione e di programmazione delle politiche di bilancio.
  Elemento centrale di questo impianto deve tornare a essere la manovra annuale di finanza pubblica, composta dall'insieme del bilancio e delle innovazioni a esso apportate.
  Devono, inoltre, essere rafforzati gli strumenti per il monitoraggio dei risultati e la capacità di selezionare gli interventi che meglio si adattano agli obiettivi perseguiti, anche rimettendo in discussione quanto finora acquisito.
  Le modifiche proposte all'equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e al concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico vanno nella direzione di superare le criticità emerse nel corso degli ultimi anni legate ai vincoli di cassa, in particolare la forte contrazione degli investimenti sul territorio e il ritardo nei pagamenti delle fatture commerciali.
  Le innovazioni introdotte dovranno essere accompagnate da una migliorata capacità di progettazione e selezione delle opere pubbliche, per compiere una corretta riqualificazione della spesa.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro Padoan. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MAGDA ANGELA ZANONI. Grazie, Ministro. Ho solo due quesiti. Il primo fa riferimento al Fondo pluriennale vincolato. Nell'audizione appena svolta, l'ANCI ci ha sottolineato come i comuni chiedano la possibilità di inserire stabilmente il Fondo pluriennale vincolato ai fini della definizione del pareggio di bilancio.
  A seguito di questa loro richiesta, si è provato a domandare quale sia la loro posizione rispetto alla soluzione intermedia di considerarlo eventualmente in modo stabile per un triennio, anziché individuare ogni anno la possibilità di tenerlo dentro al pareggio di bilancio.
  Vorrei capire qual è la sua posizione rispetto a un'eventuale apertura e accoglimento di questa richiesta dell'ANCI.
  L'altro quesito riguarda i livelli essenziali delle prestazioni. La modifica prevista all'articolo 11 della legge n. 243 del 2012 fa riferimento al concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali. Sia nella formulazione proposta che in quella attualmente vigente si fa riferimento ai livelli essenziali.
  Per la definizione e la ricognizione dei livelli essenziali era stata incaricata la società SOSE. Nel corso dell'audizione presso la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, la SOSE il 20 aprile ci ha riferito che il lavoro è stato svolto e ce lo ha illustrato.
  Devo dire che è un lavoro molto interessante e molto approfondito, ma riguarda esclusivamente i livelli delle prestazioni relative agli asili nido e all'istruzione pubblica. Ci hanno dato solo qualche indicazione parziale sul servizio di assistenza domiciliare delle prestazioni sociali.
  Qual è l'intendimento del Governo in questa direzione? Quali altre basi dati conta eventualmente di utilizzare?

  GIULIO MARCON. Ringrazio il Ministro per la sua illustrazione. Vorrei porre una domanda molto specifica sul primo articolo della proposta di legge C. 3828, che riguarda un'innovazione di cui, peraltro, anche la stampa si è occupata con una certa attenzione.
  In particolare, l'articolo 1, comma 5, lettera f), inserendo all'articolo 10 della legge di contabilità pubblica i nuovi commi 10-bis e 10-ter, introduce una previsione riguardante l'utilizzo degli indicatori di benessere equo e sostenibile, che l'ISTAT e il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) hanno curato in questi anni e che in alcuni Paesi, tra cui la Francia, si inseriscono già, con altre modalità, nella discussione della sessione di bilancio.
  Si tratta di un'innovazione sicuramente importante, perché arricchisce il quadro delle informazioni e delle valutazioni sull'impatto delle politiche rispetto a uno strumento, come è quello della legge di bilancio, che tradizionalmente non ha previsto in questi anni meccanismi e strumenti di questo genere.
  Vorrei conoscere la sua opinione su questi due nuovi commi e vorrei sapere se al Ministero sia stata già avviata o ci sarà una riflessione su come attrezzarsi rispetto a una materia che è abbastanza complessa e che prevede un certo impegno.
  Ricordo che l'ISTAT e il CNEL svolgono su questa materia un gravoso impegno nell'arco dell'intero anno, coinvolgendo una serie di ricercatori, ma anche di istituti che concorrono alla realizzazione degli indicatori di benessere.
  Poiché nel testo si prevede anche che entro il 15 febbraio di ogni anno venga presentata alle competenti Commissioni parlamentari una relazione specifica, vorrei sapere se su questo punto si è avviata una riflessione e qual è la sua opinione su come si possa realizzare il meccanismo previsto, in particolare, dal nuovo comma 10-ter.

  VINCENZO CASO. Grazie, Ministro. Premettendo che il nostro gruppo parlamentare continua a essere contrario all'attuazione del pareggio di bilancio, avrei alcune domande da porle.
  Innanzitutto, fa piacere che all'interno di una proposta di legge si continui a portare avanti il discorso che nel nuovo bilancio non sarà più possibile prevedere delle norme microsettoriali e localistiche.
  Forse lei non lo sa, ma sicuramente il presidente Boccia si ricorderà che noi, come gruppo parlamentare, ogni anno proponiamo emendamenti per eliminare queste norme, che sono sempre presenti, non solo negli emendamenti elaborati dalle due Camere, ma a volte anche all'interno dello stesso disegno di legge presentato dal Governo.
  Vorrei capire come questo verrà evitato. A nostro avviso, che sia all'interno di un regolamento o all'interno di una legge, questo principio dovrebbe essere rispettato comunque. Vorrei sapere se tutto questo si baserà unicamente sul fatto che gli emendamenti possono essere dichiarati ammissibili o meno. Non vedo quale possa essere la differenza con quello che è avvenuto finora.
  In secondo luogo, ci dispiace che non abbia parlato del Documento di economia e finanza (DEF). Visto che un'accusa che viene spesso rivolta alla politica è di avere un orizzonte temporale molto breve, mi chiedo se non sia il caso di iniziare ad avere un'ottica temporale un po’ più lunga – di almeno cinque anni – proprio all'interno del DEF, o addirittura ad avere delle sezioni del DEF che guardino a periodi anche più lunghi, per capire come le politiche di bilancio rientrano in una prospettiva almeno ventennale. Altrimenti, guardiamo sempre a orizzonti brevi. Vorrei sapere se lei è d'accordo con questa mia considerazione.
  Lei non ha parlato neanche degli indicatori di benessere, che il collega Marcon citava, che verranno inseriti all'interno di un allegato al DEF.
  Ci chiediamo – e vorremmo un suo parere al riguardo – se, invece, si possa essere un po’ più coraggiosi, nel senso di iniziare a inserire questi indicatori proprio all'interno del DEF e a capire come inserirli anche all'interno del bilancio.
  Parliamo sempre di saldi, ma alla fine dovremmo capire anche che impatto hanno questi saldi sulla vita delle persone. Si può rimanere all'interno del parametro del 3 per cento, ma lo si può fare in modi diversi. Pertanto, occorrerebbe legare quei parametri a indicatori che ci facciano comprendere l'impatto delle politiche pubbliche sulla vita e sul benessere dei cittadini.
  L'ultima domanda concerne le clausole di salvaguardia. Lei ci ha riferito che queste clausole di salvaguardia non ci saranno più e che potrà essere il Ministro dell'economia e delle finanze a intervenire nel caso in cui ci siano questi scostamenti.
  Tuttavia, noi vediamo che all'interno delle leggi solitamente non c'è una copertura specifica. In particolare, molte clausole di salvaguardia sono state utilizzate all'interno delle leggi di stabilità, in cui la copertura finanziaria non è legata a una singola disposizione, ma più in generale all'intero provvedimento.
  Lei mi sta dicendo che eventualmente, se ci dovessero essere degli scostamenti, sarà il Ministro a decidere, ad esempio, tra l'insieme delle norme contenute nella legge di stabilità o nella futura legge di bilancio per le quali non c'è più copertura, quali dovranno essere eliminate e quali no. Tuttavia, quelle norme sono state approvate dal Parlamento. Vorrei capire in quel caso come si fa, perché la copertura non è specifica di un'azione.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Buongiorno, Ministro. Riprendo molto brevemente la questione posta dalla senatrice Zanoni, riguardo al fatto che il Fondo pluriennale vincolato deve avere sicuramente una proiezione pluriennale e non può essere demandato alla singola annualità, perché ciò renderebbe impossibile per gli enti locali fare una programmazione degli investimenti conseguente.
  Vengo a un'altra domanda – mi rendo conto che è una questione complessa, anche nei rapporti tra Stato e autonomia regionale – che riguarda la capacità di poter fare investimenti attraverso un ricalcolo dell'indebitamento su scala regionale o comunque locale, e non solo su quella del singolo ente.
  Non so come, ma forse un supplemento di riflessione da questo punto di vista si dovrebbe fare, considerando le esperienze simili che abbiamo vissuto. Mi riferisco, ad esempio, al patto verticale regionale, che in qualche modo era legato alla normativa previgente del patto di stabilità, ma arrivava sempre lì, ovvero le regioni potevano individuare degli spazi finanziari aggiuntivi rispetto a quelli che normalmente i comuni avevano.
  Abbiamo visto, specialmente nell'ultima legge di stabilità, che alcune indicazioni date, quale, ad esempio, l'allentamento dei vincoli finanziari per i comuni sotto i 1.000 abitanti, non hanno trovato un'espressione diretta nella normativa regionale. Probabilmente in molte regioni italiane non la troveranno, anche a seguito di difficoltà di bilancio regionali.
  Di conseguenza, vista l'importanza di consentire una certa capacità di investimento dei comuni, che oggi magari hanno una soglia di indebitamento di un certo tipo e, quindi, non avrebbero la possibilità di investire, mi chiedo come individuare dei parametri che in qualche modo salvaguardino questo aspetto.
  Non dico che dobbiamo imporre alle regioni di individuare all'interno del loro bilancio uno spazio di questo tipo, ma sicuramente questa possibilità non può essere qualcosa di aleatorio che poi non trova concretizzazione.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Vorrei riprendere questo aspetto, che è tra i più importanti, se non il più importante.
  Mi riferisco alla possibilità, in questo processo di costruzione delle nuove regole di bilancio, di rafforzare la finalità di allocazione delle risorse, che nella formulazione annuale e pluriennale ci si ripromette.
  In particolare, faccio riferimento alla possibilità di avere uno schema che permetta, non di inserirsi, come avviene oggi in presenza di alcune criticità, quindi con vincoli molto forti, in percorsi predeterminati nel passato, ma di poter impostare una formulazione che consenta questo processo dall'alto verso il basso, ovvero dalla definizione di un saldo complessivo e via via irradiando.
  Naturalmente, perché questo avvenga, è molto importante la possibilità di una sequenza in queste decisioni, cioè che, ogni volta che si chiuda un processo di definizione di certe macro variabili, si possa poi passare a quello successivo.
  In altri termini, in questa formulazione, che abbiamo già affrontato con l'approvazione e con la visione degli altri schemi di decreto legislativo e che adesso proponiamo con questo progetto di legge, l'idea è che si possa fissare un saldo dell'amministrazione pubblica, articolarlo tra entrate e spese, e via via stabilire una spesa per sottosettori, per comparti e per ministeri. Si tratta di avere una visione che permetta questa decisione di allocazione.
  Perché questo possa avvenire, però, è molto importante che questa sequenza sia rispettata e, quindi, ci sia la possibilità di passare da una fase all'altra.
  Nella proposta di legge per quanto riguarda il DEF non ci sono variazioni di sostanza, ma noi sappiamo che a questo punto è fondamentale che, a differenza di quello che è avvenuto fino a oggi, un documento come il DEF non contenga semplicemente indicazioni di carattere macro e aggregate, anche se sono importanti, ma contenga già indicazioni sulle misure per la realizzazione degli obiettivi.
  In altri termini, in mancanza di un DEF che venga rivisitato, io credo che si possa utilizzare la normativa attuale, anche se potrebbe essere rafforzata. In assenza di un DEF che venga profondamente rivisitato e, quindi, contenga già una forte articolazione riguardo alle entrate e alle spese, gli obiettivi definiti per i ministeri rimarrebbero ancorati a questa relativamente astratta definizione di saldi. In questo senso, questa sequenza troverebbe una grossa difficoltà a essere realizzata.
  Di conseguenza, le chiedo se in questa ridefinizione, dal momento che lei giustamente accentuava l'aspetto di potersi riappropriare di strumenti di allocazione strategici dal punto di vista della determinazione della politica economica, sia già implicita l'ipotesi di rivedere la formulazione dei contenuti del DEF e di poterla inserire in questo quadro di fasi successive.
  Forse potrebbe essere utile – naturalmente è una cosa a cui possiamo pensare – inserire qualcosa di mirato riguardo alla formulazione già in questa proposta di legge.

  MAINO MARCHI. Signor Ministro, credo che sia emerso dalla sua illustrazione che siamo di fronte a due provvedimenti molto importanti e significativi, che ritengo collegati all'insieme di processi e di riforme che si stanno portando avanti.
  A questo proposito, le pongo una domanda, che è anche una riflessione. Io credo che sia del tutto giusto porsi l'obiettivo che nell'esame della legge di bilancio si valuti l'allocazione delle risorse nel suo complesso e ovviamente anche l'insieme delle politiche sulle entrate, e non, come è avvenuto in questi anni, una parte complessivamente marginale.
  Per fare questo, credo che occorra certamente uno strumento, come quello che abbiamo individuato, ovvero l'unificazione in un solo dispositivo legislativo, ma credo che occorra anche una modalità completamente diversa di lavorare del Parlamento. Dobbiamo avere il tempo di affrontare, non solo in Commissione bilancio, ma anche nelle diverse Commissioni competenti per materia, i bilanci dei singoli ministeri e l'allocazione delle risorse negli stessi.
  Questo comporta un lavoro che richiede, anche per quanto riguarda il rendiconto, a mio avviso, più tempo di quello che normalmente oggi abbiamo a disposizione.
  Io ritengo – e credo che lei lo condivida – che questa riforma, per essere efficace da questo punto di vista, si leghi fortemente a quella costituzionale. Io penso, infatti, che non sia possibile fare questo lavoro con il bicameralismo paritario, perché i tempi non ce lo permettono. Credo che, invece, sia possibile realizzarlo se c'è solo una Camera che affronta complessivamente il bilancio nelle sue articolazioni e un'altra che può intervenire come previsto, in modo particolare sulle questioni relative alle regioni e agli enti locali, ma con modalità diverse da quelle che abbiamo utilizzato fin qui.
  Credo che anche sotto questo aspetto emerga il collegamento tra le riforme istituzionali e le politiche economiche. Non sono cose disgiunte: per realizzare le une, occorre anche avere un quadro normativo e istituzionale diverso.
  Riprendo anch'io la questione che è stata posta dall'ANCI. Da una parte, si registra il miglioramento della situazione dal punto di vista degli investimenti, che sono stati l'elemento più critico di questi anni. C'è stato un miglioramento nel 2015, con il patto di stabilità allentato in modo rilevante, e ci sarà un miglioramento ulteriore nel corso del 2016, con la normativa-ponte che ha superato il vecchio patto di stabilità e ha dato un'indicazione su come cambiare la legge n. 243 del 2012. Il disegno di legge del Governo va esattamente in quella direzione.
  È indubbio che, per raggiungere o consolidare gli obiettivi sugli investimenti che ci siamo posti anche sul 2016, un ruolo fondamentale è svolto dal Fondo pluriennale vincolato, che non può essere questione disgiunta dal resto della finanza pubblica e ovviamente ha una copertura che deve essere individuata con la legge di bilancio.
  Tuttavia, mi pare che ci sia un elemento di preoccupazione, nel senso di non considerare questo elemento pienamente strutturale, ma prevedibile di anno in anno, non con certezza.
  Una delle proposte che erano emerse era quella di invertire, cioè di prevedere che la legge n. 243 del 2012 contemplasse tra le sue modifiche che c'è il Fondo pluriennale vincolato, che dovrà trovare copertura, compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica, e quindi la potrebbe trovare pienamente o parzialmente, a seconda della situazione in cui ci si viene a trovare.
  L'altro elemento è forse questo del carattere triennale, nel senso che vi sia una copertura triennale che ogni anno poi si adegua triennalmente, in modo da poter dare una prospettiva di medio termine per i bilanci comunali, per l'azione di governo, e soprattutto – lo ripeto – per quanto riguarda gli investimenti. Credo che ci sia una preoccupazione che dobbiamo avere, cioè quella di trovare le soluzioni migliori per affrontare questo tema perché quella degli investimenti, pubblici e privati, è una delle questioni fondamentali per far riprendere questo Paese. Gli enti locali possono essere in grado di fare, in modo diffuso, interventi significativi su tutto il territorio nazionale, ma dobbiamo costruire le condizioni perché questo possa avvenire.

  PRESIDENTE. Se non ci sono altri interventi dei colleghi, aggiungo, prima di chiedere al Ministro di replicare, una brevissima riflessione su alcune valutazioni. Molte di queste sono già state anticipate dai colleghi.
  Faccio miei i quesiti della senatrice Zanoni sulla legge n. 243 del 2012. Penso che sia in corso un lavoro molto importante che avrà un impatto di profondo cambiamento anche nei rapporti con gli enti locali, quindi non ribadisco alcuni aspetti che sono già emersi.
  Vorrei semplicemente far notare al Ministro Padoan che la nuova legge di bilancio è stata condivisa anche in questo confronto che è partito da lontano, perché è partito sin dall'indagine conoscitiva su cui abbiamo lavorato insieme con il Viceministro Morando, che ringrazio per l'attenzione che ha prestato sin dal primo momento ai lavori delle Commissioni.
  Le due sezioni, di fatto, ci conducono per mano verso il percorso che, in questo momento, indicava l'onorevole Marchi, cioè verso una semplificazione molto evidente della formulazione del bilancio dello Stato. I contenuti della vecchia legge di stabilità, di fatto, vengono ripresi e si concentrano sugli obiettivi di finanza pubblica, per cui deve essere chiaro che lì ci vanno misure che hanno un impatto sulla finanza pubblica.
  Sarà anche più facile per le Commissioni bilancio non ammettere alcun intervento microsettoriale e localistico. Poi, è inutile negarlo: fuori da ogni ipocrisia, non tutti gli interventi microsettoriali e localistici fanno riferimento a quelle circostanze che, nella vulgata e nel conflitto molto forte che avviene in quelle notti, non vorremmo più rivivere, o almeno la speranza è questa, né tutte sono cose inutili perché in alcuni casi sono collegate a emergenze figlie di questioni connesse ai territori e che i territori, attraverso l'articolazione istituzionale, non sono in grado di risolvere.
  Forse sarebbe opportuno e auspicabile – lo diciamo qui per il dibattito che dobbiamo ancora affrontare insieme nelle prossime settimane – individuare un fondo e poi magari utilizzarlo in un collegato con tempi certi e in cui i gruppi parlamentari, nella loro autonomia, si assumano la responsabilità di fare proposte su quali debbano essere le priorità localistiche e microsettoriali che non sono state risolte attraverso gli strumenti ordinari.
  Lo dico perché c'è il rischio che, se non ce lo diciamo oggi, quando ci ritroveremo di fronte a quei problemi alcuni dei nostri colleghi non riusciranno a risolverli. Una delle passionarie della nostra Commissione bilancio è l'onorevole Rubinato che pone sempre problemi seri, ma a volte, pur avendo condiviso le sue battaglie, ho dovuto dirle di no perché non avevo gli strumenti, con il Viceministro Morando, per risolvere quei problemi.
  Non è che i problemi scompaiano con il nuovo bilancio, giacché essi resteranno comunque e noi saremo sempre chiamati a risolverli. Lo dico, ora e in questo contesto, ai colleghi di maggioranza e di opposizione. Penso che questa sia tuttavia l'occasione per individuare un meccanismo o una procedura che possa consentire al Parlamento, dopo l'approvazione della legge di bilancio, nei mesi successivi di avere un provvedimento che un tempo, sbagliando, era chiamato volgarmente «legge mancia» e che oggi potrebbe essere collegato con un fondo predefinito e in luce, non in clandestinità, perché i gruppi parlamentari ci mettono la faccia e si assumono la responsabilità di indicare le soluzioni.
  Ora, se riuscissimo a far diventare queste due sezioni quello che stiamo scrivendo, cioè la prima sezione legata agli obiettivi di finanza pubblica e la seconda dedicata alle previsioni di entrata e di spesa, espresse in termini di competenza e cassa, penso che avremmo fatto certamente il nostro dovere e avremmo lasciato, anche a chi verrà dopo di noi, un bilancio facile da leggere. Questo è anche il tentativo che stiamo facendo con i due provvedimenti che si incrociano tra Camera e Senato.
  Sulle clausole di salvaguardia, lei ci fa una controproposta, cioè la possibilità che la competenza non sia del Ministro dell'economia e delle finanze, ma del Consiglio dei Ministri. Le do atto della sua particolare generosità nei confronti del resto del Governo, ma vedremo la discussione in Parlamento. Le rammento, solo per ragioni storiche, che alcuni suoi autorevoli predecessori avevano fatto carte false per imporre al Parlamento meccanismi così decisionali.
  Certamente, si tratta di un salto di qualità che consente una velocità d'intervento da parte del Governo. Poi, con il Viceministro Morando ci confronteremo e con il suo Ministero troveremo certamente una soluzione che vada bene a tutti, però la strada è quella giusta.
  Sugli indicatori di benessere equo e sostenibile, mi permetto di dirlo al relatore, ed anche all'onorevole Marcon, che ha dato un grande contributo su questo tema, e agli altri colleghi che hanno sostenuto la sua proposta di legge che poi è stata assorbita dalla proposta di riforma del bilancio, io penso che sia un passo in avanti molto importante quello di consentire al Parlamento di avere una sessione ad hoc, cioè una discussione ad hoc con una risoluzione perché inevitabilmente, se nel tempo zero non avrà un vissuto, nel tempo uno e negli anni successivi impareremo a misurare le politiche pubbliche anche sulle dodici dimensioni del rapporto ISTAT. I Ministri, da quello dell'ambiente passando per quello della scuola e dell'università e agli altri ancora che si occupano di welfare, misureranno i loro stanziamenti in funzione anche del fatto che sia aumentato o meno il livello di CO2 o che siano aumentati o meno gli asili nido o il numero di laureati. Questa è una discussione culturale che avviamo e che è evidente che entrerà nelle vene delle modalità con cui si discuteranno le leggi di bilancio.
  Anche quella sull'accesso alle banche dati è una discussione che, nelle nostre Commissioni, è avvenuta più volte, sia alla Camera che al Senato, e che alcuni gruppi hanno posto. Faccio riferimento soprattutto al gruppo MoVimento 5 Stelle. Il predetto accesso già era previsto nella legge n. 196 del 2009, che non è mai stata attuata in pieno, e noi lo abbiamo nuovamente inserito perché ci sono le condizioni per costruire meccanismi di accesso che consentano il monitoraggio continuo delle leggi di spesa.
  Riprendo il suo passaggio sulla necessità del cambiamento di prospettiva e lo sottoscrivo, ribadendo che questi due provvedimenti danno un'unica certezza: non ci sarà mai più spesa incrementale automatica perché, per come abbiamo costruito l'impianto, quella stagione va definitivamente alle spalle.
  Ringrazio il Ministro Padoan, cui do la parola per la replica.

  PIER CARLO PADOAN, Ministro dell'economia e delle finanze. Grazie, presidente, e grazie a tutti per i molti spunti importanti per la costruzione di un meccanismo più efficiente. Proverò a rispondere alle domande nell'ordine in cui mi sono state poste.
  Innanzitutto, sul Fondo pluriennale vincolato – voglio essere molto diretto – c'è un problema di copertura, quindi è chiaro che, in un mondo ideale e meno vincolato, avere disponibilità senza limiti per questo Fondo potrebbe permette di programmare meglio, ma allo stesso tempo questo è un Fondo che deve colpire, o assorbire più che altro, situazioni che di volta in volta cambiano. Detto questo, c'è un problema di copertura, quindi ne prendo atto e ovviamente vedremo.
  Sul ruolo della SOSE e i livelli essenziali, la senatrice Zanoni giustamente ricordava che bisogna fare di più, anzi vorrei specificare che sui livelli essenziali la valutazione è avviata per le regioni e non per gli enti locali, quindi c'è da fare e sicuramente andrà fatta l'attività della SOSE, anche in vista di un cambiamento di management che sarà completato a breve. Questa sarà l'occasione per dare ulteriore stimolo a questo aspetto che è molto importante.
  All'onorevole Marcon e anche al presidente e all'onorevole Caso sulla questione degli indicatori di benessere equo e sostenibile, vorrei dire che la mia opinione personale è che si tratta di una cosa molto importante di cui mi sono occupato anche in un'attività precedente. Il problema secondo me fondamentale, quando si passa dall'analisi, peraltro molto importante, alle implicazioni di policy, è che bisogna stabilire, per quanto possibile, un legame fra livelli dei vari componenti di un indicatore e strumenti di politica, per cui, se noi crediamo veramente che gli indicatori possano misurare come si sta meglio rispetto a prima, bisogna anche trovare il modo di collegarli alle policy.
  Questo rende lo strumento molto potente e sicuramente richiede analisi e valutazioni. Ci sono valutazioni fatte a livello internazionale e già si prevede l'inserimento di questa grandezza nel DEF.
  Secondo me, tale questione deve essere ulteriormente approfondita e aggiungo un punto. È chiaro che gli indicatori di benessere cambiano lentamente nel tempo, nel senso che hanno a che fare con grandezze importanti, ma più strutturali, quindi bisognerà anche decidere qual è l'orizzonte temporale rilevante per valutare se le politiche, da quel punto di vista, sono state efficaci o meno.
  Questo mi permette di parlare dell'orizzonte temporale del DEF. Innanzitutto, io sono molto favorevole ad avere un orizzonte temporale più lungo. Ci sono obiezioni tecniche rispetto all'attendibilità di orizzonti temporali che vanno oltre alcuni anni in termini di previsione. I modelli che abbiamo a disposizione semplicemente sono meno attendibili sugli orizzonti più lunghi, quindi c'è questo limite tecnico.
  Tuttavia, dal punto di vista del ruolo della policy, io sono molto d'accordo e faccio un esempio molto specifico. Il calcolo del prodotto potenziale, che, com'è a tutti noto, è fondamentale per definire lo stato di squilibrio strutturale di un Paese, con i metodi del Tesoro viene calcolato su un orizzonte di quattro anni mentre con i metodi della Commissione europea, che vi ricordo sono decisi da un accordo politico, viene calcolato su un orizzonte di due anni. Ciò provoca una fortissima distorsione che, nel caso specifico, penalizza l'Italia e a cui noi abbiamo reagito facendoci promotori di una lettera firmata da otto Paesi nei confronti della Commissione per allungare l'orizzonte temporale. La richiesta è stata accolta e la Commissione cambierà i suoi metodi.
  Detto questo, sono favorevole ad avere un orizzonte temporale più lungo e ho perplessità tecniche, non politiche, sulla attendibilità oltre un certo orizzonte temporale di certe previsioni, ma comunque si può sempre aggiustare questa questione.
  Aggiungo che, in un contesto temporale del genere, il ruolo degli indicatori di benessere equo e sostenibile è peraltro più importante appunto per quello che dicevo prima: questi indicatori cambiano lentamente, però nel giro di cinque anni si vede di più quello che sta cambiando.
  Sulle clausole di salvaguardia, sempre rispondendo all'onorevole Caso, preciso che ce ne sono di due tipi. Ci sono quelle specifiche, legate a misure specifiche. Ed è proprio relativamente a queste misure che mi riferivo quando trattavo del ruolo del Governo o del Ministro. Poi, ci sono quelle generali che hanno il ruolo di rendere compatibile l'equilibrio di bilancio complessivo e che sono approvate dal Parlamento, quindi non sono legate a specifiche misure di spesa che vanno in eccesso, ma sono legate all'andamento del bilancio nel suo complesso. Queste, in ambedue i casi, sono note come clausole di salvaguardia, per cui forse dovremmo inventarci un termine diverso per specificarle, ma non c'è alcuna contraddizione.
  Sulle norme microsettoriali – sto rileggendo gli appunti delle domande poste dall'onorevole Caso – mi associo a quanto il presidente Boccia ricordava ai fini del ruolo che queste giocano nel processo di bilancio, però penso che si potrebbe ragionare riguardo all'istituzione di un fondo che poi dovrebbe essere ripartito con norme successive, quindi, se prendiamo in considerazione quest'ipotesi, essa ci permetterebbe di essere forse più trasparenti nella gestione di quest'aspetto che, in ogni caso, è presente.
  Riguardo alla domanda dell'onorevole Fragomeli, che mi poneva la questione del Fondo pluriennale vincolato, rinvio alla risposta che ho dato in precedenza e che provo a dire di nuovo così: gli enti locali e le regioni hanno un problema, da una parte di riduzione del debito e dall'altra di finanziamento degli investimenti, quindi si tratta di fare delle scelte. Le misure di modifica del bilancio e di uscita dal patto di stabilità vanno nella direzione di favorire di più gli investimenti, il che è molto positivo secondo me, in termini generali e anche specifici. In ogni caso, si pone un problema di compatibilità con l'andamento del debito e di riduzione del debito da parte degli enti locali.
  Qui c'è – non dimentichiamolo – un ruolo che potremmo chiamare «sostitutivo» dell'amministrazione centrale, che deve spesso intervenire. Si tratta di un meccanismo complesso che deve, però, essere mantenuto per evitare che, sia pur nel migliorato quadro che è più flessibile, si vada all'estremo opposto, cioè non si dimentichi la necessità di garantire la sostenibilità del debito.
  Il senatore Guerrieri Paleotti pone un problema generale molto importante. Nel ridisegnare il quadro complessivo e la sequenza dei passi che portano alla definizione della manovra di bilancio, a parte la necessità appunto di avere una sequenza, qual è il ruolo del DEF? Io immagino il DEF come il primo passo di un processo che poi porta alla legge di stabilità, quindi deve essere un primo passo che però deve tener conto, se ho capito bene l'osservazione, del ruolo più importante dei livelli di spesa in ambito settoriale o di singolo Ministero.
  Anche qui c'è un trade-off, nel senso che, se si anticipa troppo la specificazione delle voci di spesa nel processo che porta al bilancio, si introducono elementi che magari si dovranno rivedere successivamente. Voglio dire che, se ci si spinge troppo in là, il legame fra il quadro macroeconomico complessivo e le singole voci si indebolisce.
  La mia posizione è di cercare di valutare in concreto come si può dare più dettaglio, se la posso tradurre così, al processo del DEF, fermo restando che dal DEF di primavera si cominciano non solo a definire i quadri di compatibilità, ma – lasciatemelo ricordare – si comincia a stabilire il colloquio con la Commissione e con le autorità europee, con l'Ecofin, che poi dovranno essere tradotte nell'approvazione della manovra di bilancio complessiva.
  Quindi, ci sono anche questi elementi che vanno presi in considerazione per portare all'aggiustamento. Comunque, sicuramente il legame tra il DEF e il nuovo processo di bilancio andrà poi verificato nei dettagli. Questo è un punto importante.
  Su quello che diceva l'onorevole Marchi a proposito del legame con la riforma costituzionale, non posso che essere totalmente d'accordo. Anzi questo mi permette di ribadire un fatto che spesso nel dibattito viene ignorato, cioè che le riforme istituzionali non sono riforme che non hanno niente a che fare con l'economia; sono riforme che hanno moltissimo a che fare con l'economia per tante ragioni, e una di queste è la semplificazione, quindi i tempi. Ma aggiungerei un altro elemento: l'orizzonte temporale più lungo e quindi uno spazio per fare politiche di più ampio respiro. Questo non lo dico perché io la penso così, ma perché esiste in altri Paesi un'evidenza empirica molto forte che dimostra quanto sia importante il ruolo delle istituzioni nel guidare in meglio o in peggio – poi, ognuno mette il contenuto a queste parole – il processo di bilancio, e quindi la politica economica.
  Anche qui, sono d'accordo che il Fondo pluriennale vincolato deve richiedere certezze e non posso che ribadire questa temporanea risposta, cioè che c'è un problema di copertura di cui sono pienamente cosciente.
  Credo di poter dire, ma voglio essere corretto, che ho implicitamente risposto anche alle osservazioni del presidente Boccia, per cui, se non l'ho fatto, lo faccio adesso.
  Non so se ho saltato qualcosa, ma, se l'ho fatto, ciò non è avvenuto volontariamente.

  PRESIDENTE. Grazie, Ministro Padoan, è stato assolutamente esaustivo.
  Interrompiamo ora la nostra audizione, che riprenderà alle ore 16 con i rappresentanti delle regioni.

  La seduta, sospesa alle 15.35, riprende alle 16.

Audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul contenuto della nuova legge di bilancio e sull'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, l'audizione di rappresentanti della Conferenza delle regioni e delle province autonome.
  Sono presenti, oltre a Massimo Garavaglia che relazionerà, Alessandra Sartore e Raffaele Piemontese, rispettivamente assessore alle politiche per il bilancio della regione Lazio e assessore al bilancio della regione Puglia. Darei la parola a Massimo Garavaglia per la sua relazione e poi passiamo alle domande dei colleghi.

  MASSIMO GARAVAGLIA, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia. Grazie, presidente. Abbiamo portato un documento, per cui poi avrete modo di approfondire le questioni che adesso esaminiamo in modo sintetico.
  Vado subito sui punti chiave che secondo noi potrebbero contribuire a migliorare questa norma, che comunque ha fatto dei passi avanti rispetto all'impostazione originale. Per inciso, io ho l'onore di non aver votato la legge originale appunto perché conteneva dei buchi che, in parte, sono stati corretti, ma ancora si può fare qualcosa.
  Facciamo subito delle considerazioni, partendo dai punti critici che abbiamo sottolineato, dando invece per scontato quelli positivi.
  Il primo punto riguarda un'asimmetria, che non trova giustificazione, tra enti pubblici territoriali ed enti pubblici non territoriali. Non si capisce come mai questi siano trattati in modo diverso e ciò riguarda in particolare l'avanzo. Come mai nella relazione tecnica non si prevede, per gli enti pubblici non territoriali, la necessità di copertura dell'avanzo, mentre invece, qualora eventualmente si prevedesse per gli enti territoriali, necessiterebbe di copertura? Delle due, l'una: o c'è un errore da una parte o c'è un errore dall'altra.
  Secondo noi, la cosa si può sistemare uniformando il trattamento per le due fattispecie, che non trovano giustificazione per essere considerate in maniera differente.
  Vorrei passare al secondo punto e poi torneremo sul tema dell'avanzo, anzi, già che ci sono, lo approfondiamo. Proprio di questi tempi, stiamo vedendo la possibilità o meno di inserire l'avanzo di amministrazione nel bilancio preventivo. C'è una curiosità, nell'accavallarsi delle norme, per cui noi, in teoria, non potremmo spendere la quota di avanzo di amministrazione, se non in corso d'anno e a fronte di spazi che si liberano.
  La domanda che ci siamo posti, però, è molto semplice: dove mettiamo i 20 miliardi? Cioè, è possibile fare bilanci falsi per 20 miliardi? Adesso, io sto banalizzando il concetto, però quelli ci sono e non è che possiamo nasconderli o metterli in un cassetto, quindi noi semplicemente diciamo di poterli iscrivere a preventivo perché comunque il pareggio di bilancio si valida a consuntivo, esattamente come è stato fatto l'anno scorso. La prima questione è dunque: dove mettiamo i 20 miliardi? Quindi i bilanci non sarebbero veritieri?
  La seconda questione è: se l'anno scorso, visto che li abbiamo messi e a consuntivo tutte le regioni hanno rispettato gli equilibri, dove è la motivazione per cui non li puoi mettere a preventivo? Non c'è, quindi, una motivazione di buonsenso sulla veridicità dei bilanci perché non ci pare ragionevole di poter annullare 20 miliardi dai bilanci pubblici. Non ci pare ragionevole la motivazione che dice: «se li iscrivi, poi dopo falsi l'equilibrio», perché la dimostrazione è che l'anno scorso, pur iscrivendoli, gli equilibri sono stati rispettati, per cui, razionalmente, noi diciamo che questa è una cosa che si può risolvere in due secondi, equiparando gli enti pubblici territoriali a quelli non territoriali. Poi, sulla spendibilità dell'avanzo andrebbe approfondito il tema, però qui parliamo banalmente di iscrizione e di evitare un falso contabile.
  Il secondo punto attiene alla seguente questione: utilizzare il Fondo pluriennale vincolato e svincolarlo. Ora, gli avanzi per la regione rappresentano un'anomalia e si creano non tanto perché restano lì delle risorse libere, ma perché tipicamente succede che le risorse arrivano a fine anno, e faccio un esempio, così ci capiamo. Il Parlamento decide di stanziare un miliardo per il dissesto idrogeologico, che rappresenta un tema di stretta attualità. I ministeri trasferiscono alle regioni questo miliardo a dicembre, cosa che puntualmente accade perché i fondi e i trasferimenti alle regioni sono tutti sostanzialmente vincolati. Mi riferisco, ad esempio, al fondo per la non autosufficienza o a quelli relativi al dissesto idrogeologico e alle scuole, che sono tutti fondi vincolati le cui risorse arrivano a dicembre. Ma a dicembre, ovviamente, non riesci a spendere quelle risorse perché hai anche delle regole di pubblicità da rispettare, devi fare dei bandi, devi trasferire le risorse, per cui il risultato è che quel miliardo va in avanzo e, l'anno dopo, non puoi più spenderlo perché la regola dice che non lo puoi spendere.
  Questa è una cosa che ovviamente non si tiene, quindi la creazione di questi 20 miliardi di avanzo delle regioni non dipende da risorse che restano lì, ma dal fatto che le risorse stesse arrivano a fine anno e necessariamente si trascinano.
  Questo discorso riguarda gli avanzi mentre una cosa diversa è il Fondo pluriennale vincolato. Qui, abbiamo una fattispecie ancora diversa e ancora tipica delle regioni.
  Come si crea il Fondo pluriennale vincolato? Lo si crea a fronte di obbligazioni coperte in corso di anno. Facciamo un esempio semplice. Devo fare un ponte, per cui faccio lo stanziamento e decido di fare il ponte. Poi faccio la gara, ma non spendo i soldi in quell'anno, che vanno dunque nell'anno dopo, anche se la spesa era coperta nell'anno precedente. A quel punto, che facciamo? In base a delle regole che sono curiose, dovremmo ricoprirli l'anno dopo: ma quindi paghiamo due volte il ponte? Questa non ci sembra una cosa ragionevole, quindi anche in questo caso semplicemente si dice che a fronte di questa fattispecie, il Fondo pluriennale vincolato si trascina, anche se la copertura già c'era, nell'anno, perché semplicemente la trascini. Anche qui, dunque, basterebbe un po’ di buonsenso.
  Il terzo tema riguarda una vicenda tutta italiana. Le regioni sono a pareggio di bilancio già dal 2015, quindi non impattano sui parametri di Maastricht già dal 2015. La norma dice che il saldo deve essere non negativo. Ora, in italiano due negazioni fanno un'affermazione. Ed infatti il saldo delle regioni nell'anno in corso è positivo per 2,6 miliardi di euro, cioè le regioni non è vero che sono a pareggio, ma realizzano un avanzo per 2,6 miliardi di euro. Per amor di Dio, è legittima la scelta del Parlamento di far fare al comparto delle regioni una manovra per 2,6 miliardi di euro.
  Innanzitutto, bisognerebbe scrivere le cose come vanno scritte e, se questo è l'obiettivo, bisogna dire che fanno un saldo positivo e non dire che lo fanno non negativo, il che è anche un po’ una presa in giro.
  Dopodiché, si pone un tema macroeconomico che noi solleviamo e poniamo alla vostra attenzione. Ora, se due in barca remano uno da una parte e uno dall'altra, tipicamente la barca sta ferma. Vuoi vedere che è esattamente quello che è successo? Lo dico perché, se il centro fa una manovra prociclica e impone agli enti territoriali una manovra anticiclica, l'effetto si annulla, quindi i 2,6 miliardi di manovra anticiclica delle regioni hanno annullato per 2,6 miliardi e probabilmente molto di più, perché la spesa delle regioni è costituita quasi per intero da investimenti, quindi si tratta di strade, ponti, ferrovie, dissesto idrogeologico, ossia di fatto costituisce una tipologia molto anticiclica e il suo effetto è quello di annullare la manovra prociclica fatta dal centro, quindi le due cose dovrebbero tenersi.
  La logica sarebbe di ragionare in termini unitari, cioè se la flessibilità di bilancio consente di fare una manovra prociclica, allora si decide, sottosettore per sottosettore, qual è la componente di manovra che va nella stessa direzione perché, se siamo in un periodo in cui serve fare una manovra prociclica, allora diciamo: «ok, x deve essere fatto dal centro, y dai comuni, z dalle regioni», però questo comporta di andare tutti in una certa direzione. Viceversa, l'effetto è quello di annullare una componente della manovra.
  Il quarto punto riguarda gli investimenti. Questo è un tema che dovreste affrontare con una certa attenzione perché, secondo noi, costituisce il punto forse più critico della legge n. 243 del 2012, per come è stata pensata. Banalizzando il concetto, avete mai visto un imprenditore che compra un capannone con il cash flow?
  Ci risulta che normalmente un capannone si compra facendo un mutuo. Ora, il divieto secco di indebitamento arriva a bloccare, di fatto, la spesa di investimento degli enti territoriali. Del resto, gli enti territoriali non fanno investimenti di poco conto, ma normalmente fanno strade, ponti, pezzi di ferrovia o comunque cose che difficilmente si coprono con il cash flow. Quindi, la norma secca sul divieto di indebitamento è una tagliola sulla spesa di investimento.
  Pertanto, noi proponiamo di andare almeno verso una razionalizzazione di questo principio, che in sé è già poco ragionevole. Varrebbe, quindi, lo stesso ragionamento fatto prima. Se il Governo, ovvero il centro, ha una capacità di deficit per spesa in investimenti pari a 100, non è saggio che si tenga tutto lui.
  Insomma, il papà deve dare anche qualcosa ai figli e aiutare tutta la famiglia. Questo sarebbe il primo tema. Certo, si può dire che dipende dai figli, ma io non conosco papà che non aiutano i figli.
  Possiamo farlo anche in modo vincolato, con le regole e tutto quello che volete, ma decidere che i comuni e le regioni non facciano più investimenti ci sembra irragionevole per lo sviluppo del Paese. Non è ipotizzabile che un comune possa fare una scuola o una regione possa fare una ferrovia con gli avanzi di cassa. Questo vuol dire essere su un altro pianeta.
  Comunque, al netto di una considerazione più drastica, riprendiamo il ragionamento. Se il tema è la riduzione del debito per chi ha esagerato, dovremmo anche considerare che, secondo i dati relativi alla riduzione del debito per sottosettori, questo si è ridotto solo per gli enti territoriali, in particolare per i comuni e le regioni, mentre il centro lo ha aumentato. Allora, la regola già di per sé non funziona.
  Se il tema è questo, dovremmo parlarne perché la norma, com'è scritta oggi, consente paradossalmente di fare più debito a chi ne ha fatto di più. Infatti, si può fare debito nel limite di quello che hai fatto nel passato per cui un ente molto indebitato riesce ad avere ancora la possibilità di fare debito; invece un ente virtuoso, che ha fatto bene tutti i compiti e quindi ha fatto poco debito, farà sempre meno debito. Questo è un freno notevolissimo per la spesa in investimenti perché va a penalizzare proprio quelli che negli anni hanno fatto investimenti nel modo più virtuoso, ovvero utilizzando il debito nel modo più ristretto possibile.
  Non vorrei citare la solita Lombardia, ma sono obbligato a farlo perché conosco i dati. Ebbene, negli ultimi tre anni la Lombardia ha fatto circa un miliardo di investimenti l'anno, facendo stanzialmente zero debito. Si riesce a fare, ma se c'è una spesa grossa è comunque necessario fare un mutuo. Questo è il tema, quindi noi vi proponiamo una modalità per arrivare a farlo.
  L'ultimo tema che vi sottoponiamo è quello dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e dei livelli essenziali nelle prestazioni (LEP). Ora, quando si introduce un LEA o un LEP è sacrosanto che venga finanziato, altrimenti si possono porre delle questioni molto serie di disparità di trattamento. Anche qui faccio un esempio, così ci capiamo.
  Facciamo finta che i trattamenti dell'epatite C siano un LEA. Dati alla mano – riporto sempre quelli della regione Lombardia, perché li conosco – noi abbiamo trattato 6.300 pazienti, spendendo parecchio. Se avessimo speso solo la quota a noi spettante del fondo nazionale, ne avremmo trattati 4.500 in meno. In questo modo, siamo riusciti a trattare 4.500 pazienti in più, utilizzando risparmi interni al bilancio.
  La domanda che ci poniamo e vi poniamo è: siete sicuri che tutte le regioni abbiano trattato tutti i pazienti possibili, avendo la possibilità di fare risparmi? La risposta, che è retorica, è no. Quindi, il non avere finanziato in totale un LEA ha, di fatto, consentito delle disparità di trattamento, cosa molto grave dal nostro punto di vista. Pertanto, sarebbe da dichiarare in maniera chiara che quando si inserisce un LEA o un LEP che costa 100, si finanzia per 100, altrimenti è inevitabile che si creino delle disparità di trattamento. Ecco, quando si fa una norma di contabilità, questo va tenuto in considerazione.
  Questi sono i punti critici che, come regioni, abbiamo sottolineato e che potrebbero meritare dei miglioramenti e degli approfondimenti. Abbiamo presentato degli emendamenti che vanno nella direzione di correggere questi punti, quindi, se volete, siamo a disposizione per domande e chiarimenti. Peraltro, è qui presente anche l'amica Alessandra Sartore, che ci può dare una mano.

  PRESIDENTE. Grazie, assessore Garavaglia. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIAN MARIO FRAGOMELI. Quest'oggi la discussione si è in particolare concentrata sulla possibilità degli investimenti, quindi sul tema del Fondo pluriennale vincolato, partendo dall'ANCI, passando per il Ministro Padoan e via dicendo. Abbiamo posto il problema della pluriennalità, consapevoli della criticità delle coperture, in modo che si possa individuare almeno un triennio, dando la possibilità che il Fondo pluriennale sia considerato un avanzo – di questo stiamo parlando – che si trascina nell'anno successivo, a fronte di un'uscita che è già stata impegnata.
  Siamo, quindi, già consapevoli che la copertura c'è già nel primo anno, ma si trascina l'effettuazione della liquidazione e del pagamento.
  Questo è un tema che abbiamo già approfondito. Prendendo spunto da quello che diceva lei, ovvero del rapporto tra genitori e figli, parto da lì per dire che ci sono anche i nonni e i nipoti.
  Dal nostro punto di vista, ho sollevato anche prima al Ministro Padoan una questione rispetto alla capacità di indebitamento, ovvero alla possibilità di fare investimenti per i comuni medio-piccoli. Nella riforma della legge n. 243 del 2012 possiamo anche introdurre una capacità di indebitamento «di area», la chiamo così perché non le do un confine ben definito, che è sicuramente quello regionale.
  Tuttavia, può accadere quello che è accaduto quest'anno, ovvero che, giustamente, le criticità dei bilanci delle regioni hanno reso difficile l'impiego del Patto verticale. Penso ai comuni sotto i 1.000 abitanti, che hanno dovuto bloccare tutti gli investimenti in quanto con la legge di stabilità avevamo previsto che fosse proprio il Patto verticale a diminuire i vincoli di competenza rafforzata.
  Quindi, nello strutturare questa riforma ci chiediamo come, demandando all'ente territoriale regione, possiamo tutelare anche gli enti territoriali più piccoli. Da questo punto di vista, è impossibile per loro prevedere una capacità di investimento anche minima perché sappiamo come vengono considerate le entrate da mutuo nei bilanci. Anche qui occorre, pertanto, capire come si possa raccordare questo aspetto con le regioni.

  ALESSANDRA SARTORE, coordinatore vicario della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore per le politiche del bilancio, patrimonio e demanio della regione Lazio. Giustamente, tutto l'intervento si è per noi concentrato in sostanza su tre articoli della legge n. 243 del 2012. Vorrei tuttavia aggiungere due parole, perché in Commissione affari finanziari abbiamo valutato anche l'altro provvedimento, quello cioè recante la modifica della legge n. 196 del 2009.
  Ricordo a tutti che, da ultimo, con il decreto legislativo n. 126 del 2014, si è intervenuti sul decreto legislativo n. 118 del 2011 anche per le regole a carattere generale che riguardano le norme di contabilità per la definizione e l'adozione dei documenti programmatici. Quindi, le modifiche che vengono effettuate alla legge n. 196 del 2009 dovrebbero trascinare anche la parte che riguarda il decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal citato decreto legislativo n. 126, che ha ad oggetto i documenti programmatici, ovvero bilancio e legge di stabilità, che, appunto, si modificano profondamente.
  Noi rimarremo, dunque, con una disciplina antecedente. Ecco, questo è un piccolo problema perché mi pare di non aver visto una norma di raccordo con i bilanci degli enti territoriali. La preoccupazione è sempre la stessa, visto che ci rincorriamo nell'armonizzazione.
  Da una parte, sta andando avanti la delega sul bilancio dello Stato, con le sue modifiche. Nel 2014 abbiamo sistemato la parte relativa all'ordinamento che risaliva addirittura al decreto legislativo n. 76 del 2000 e oggi ci ritroveremmo indietro rispetto alle modifiche proposte al bilancio dello Stato, con la nuova legge di bilancio, che adesso sarà sostanziale ed articolata in due sezioni.
  Quindi, ritengo importante portare alla vostra attenzione questo aspetto. Peraltro, occorrerebbe prevedere anche una norma di raccordo con le deleghe, che erano già state adottate con i decreti legislativi n. 118 e n. 126 in precedenza richiamati. Delle predette deleghe, una derivava, infatti, dall'articolo 2 della legge n. 196 del 2009, che ha peraltro modificato in parte anche la legge n. 42 del 2009.
  Alla fine, l'armonizzazione tra bilancio dello Stato e bilancio degli enti territoriali è difficile, anche perché noi abbiamo la competenza cosiddetta «potenziata», mentre l'amministrazione centrale continua ad avere quella finanziaria.
  Tuttavia, mi voglio concentrare solo sulle modifiche della legge n. 196 del 2009, quindi chiedo se è giusto che venga previsto l'adeguamento per la parte che riguarda gli enti territoriali. Ecco, questo è un piccolo problema che, però, esiste perché altrimenti saremo sempre sfalsati.

  MASSIMO GARAVAGLIA, coordinatore della Commissione affari finanziari della Conferenza delle regioni e delle province autonome e assessore all'economia, crescita e semplificazione della regione Lombardia. Rispondo alla domanda in precedenza posta perché la ritengo molto interessante. Svolgo tre considerazioni velocissime. La prima è che considerare una capacità di debito di area a livello regionale è sicuramente ragionevole. Rientra, infatti, nella discussione appena fatta. Se 100 è l'extra-deficit compatibile in quell'anno a livello dello Stato, si può dire che una certa componente va per le singole aree e si distribuisce, come si faceva con il Patto.
  La seconda considerazione è che, al netto di questo, si può – anche applicando decreti mai applicati, quindi impiegando le norme vigenti – stabilire per il comparto un livello di debito per poi impedire l'indebitamento solo a chi è sopra l'asticella, consentendo invece a chi è sotto di arrivare all'asticella. In questo modo, si normalizza l'indebitamento all'interno di un comparto, cosa che si potrebbe fare – ripeto – applicando le norme esistenti.
  Il terzo punto riguarda proprio il Patto. È una sperimentazione che vorremmo portare avanti e che abbiamo valutato con ANCI Lombardia e portato all'attenzione di ANCI nazionale e delle altre regioni.
  In particolare, si tratta di evitare l’overshooting. Per tradurre, se il comune sa che non può spendere l'avanzo, va a fare le asfaltature anche in campagna perché preferisce spendere piuttosto che buttare via i soldi. Quella, però, non è una spesa ragionevole, mentre, magari, accanto c'è un comune che ne ha bisogno. Occorrerebbe, quindi, prevedere un meccanismo verticale e orizzontale per cui il comune in overshooting potrebbe cedere spazi alla regione, che poi li ridistribuisce ai comuni che sono sotto. Questo consentirebbe di liberare spazi senza necessità di copertura e, secondo noi, è un meccanismo ragionevole e fattibile che pertanto lasciamo alla vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli assessori Garavaglia e Sartore per gli interventi. Occorre certamente una riflessione ulteriore sul raccordo con la legge n. 196 del 2009 nelle due Commissioni di Camera e Senato. Ovviamente, al Senato sono impegnati nel lavoro che vi riguarda più da vicino, ovvero le modifiche e le integrazioni alla legge n. 243 del 2012. Nel nostro lavoro sulla riforma del bilancio terremo presente tale aspetto, anche se stiamo lavorando esclusivamente sul bilancio dello Stato. È evidente, però, che i documenti programmatici incidano anche sugli altri livelli istituzionali.
  Penso, quindi, che la vostra sia un'indicazione particolarmente utile, per cui ne faremo tesoro. Vi auguro buon lavoro e spero che esso possa trarre giovamento dalle modifiche su cui ci stiamo impegnando.

  La seduta, sospesa alle 16.25, riprende alle 17.

Audizione di rappresentanti della Corte dei conti.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul contenuto della nuova legge di bilancio e sull'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, l'audizione di rappresentanti della Corte dei conti.
  Ringrazio il presidente Angelo Buscema e la delegazione composta dal consigliere Uccello, dal consigliere Forte, dal consigliere Peluffo e dal responsabile dell'ufficio stampa Pierina Avorio.
  Do, quindi, la parola al presidente Buscema.

  ANGELO BUSCEMA, presidente di sezione della Corte dei conti. Innanzitutto, porto alle Commissioni il saluto del presidente, impossibilitato a partecipare ai lavori di questa indagine conoscitiva. La delegazione è composta, oltre che da me, dal consigliere Uccello della Sezione autonomie e dal consigliere Forte delle Sezioni riunite di controllo. In relazione alle eventuali richieste di chiarimenti da parte delle Commissioni saranno, ovviamente, a disposizione.
  È stato distribuito un documento di cui darò contezza leggendone solo alcuni brani, fermo restando che, naturalmente, il documento scritto rimane a disposizione delle Commissioni.
  Con la proposta di legge in titolo, di attuazione dell'articolo 15 della legge rinforzata n. 243 del 2012 relativa al contenuto della legge di bilancio, si avvia a compimento il complesso processo di riforma del diritto contabile interno, iniziato con la riforma della Costituzione nel medesimo anno e resosi necessario a seguito della modifica, da parte dell'ordinamento sovranazionale, dell'assetto della decisione di finanza pubblica.
  Un altro passaggio in corso di svolgimento consiste nell'esercizio delle deleghe previste dalla legge di contabilità n. 196 del 2009, e successive modificazioni e integrazioni, in riferimento sia ad una nuova struttura del bilancio dello Stato sia al potenziamento del bilancio di cassa.
  Ho dimenticato di dire inizialmente che nel mio intervento farò in particolare riferimento alla proposta di legge di cui all'atto Camera n. 3828.
  Si tratta di temi su cui la Corte si è espressa nelle varie sedi e in particolare nell'audizione davanti alle Commissioni riunite del Senato e della Camera del 30 giugno 2015 in riferimento alle problematiche relative alla riforma della contabilità di Stato e, per quanto concerne in particolare le citate deleghe della legge di contabilità, nell'audizione innanzi alle medesime Commissioni del 15 marzo scorso.
  Con riferimento al contenuto dell'atto n. 3828, in merito alla data di presentazione dei vari documenti, la proposta di legge indica una doppia data per quanto concerne il disegno di legge di bilancio, ossia la deliberazione da parte del Consiglio dei ministri entro il 12 ottobre e la presentazione in Parlamento entro i successivi 12 giorni, salvo l'ipotesi dell'identità degli obiettivi programmatici tra DEF e Nota di aggiornamento, nel qual caso la data di presentazione del disegno di legge di bilancio può cadere il 30 settembre.
  Si osserva che la materia andrebbe di sicuro semplificata, prevedendo una sola data di presentazione del disegno di legge ed evitando la formalizzazione dei tempi di trasmissione degli atti dal Governo al Parlamento.
  La motivazione riportata nella relazione illustrativa a sostegno di tale formalizzazione, ossia la necessità di apprestare una sorta di Nota di variazioni iniziale, come peraltro indicato dalla legge rinforzata, non appare argomento sufficiente per dilazionare, di fatto, alla fine di ottobre l'inizio della sessione di bilancio, in quanto trattasi di una trasposizione avalutativa, nella gran parte dei casi, in bilancio dell'effetto delle norme.
  Nel caso, invece, di identità della data di presentazione della Nota di aggiornamento e del disegno di legge di bilancio, il Parlamento non potrebbe utilmente esercitare i propri poteri di indirizzo nei confronti del Governo in ordine a una diversa composizione, per esempio, della manovra, a parità di saldo, risultando peraltro imprecisato il termine per la presentazione in Parlamento con la Nota di variazioni.
  Circa il contenuto dei documenti programmatici, merita un giudizio positivo il nuovo comma 5-bis introdotto dall'articolo 1, comma 5, lettera d), della proposta di legge che ingloba sostanzialmente nel DEF e, con il successivo comma 6 del medesimo articolo 1, nella Nota di aggiornamento, la relazione sullo scostamento dei saldi di cui all'articolo 6 della richiamata legge rinforzata n. 243.
  L'articolo 2 della proposta di legge, relativo al bilancio di previsione, affronta i problemi legati alla struttura del nuovo disegno di legge di bilancio. Per quanto riguarda la prima sezione, ovvero la definizione dei saldi, appare da condividere l'indicazione, contenuta nella lettera a) del nuovo comma 1-ter dell'articolo 21 della legge n. 196 del 2009, dei saldi di bilancio in termini non solo di competenza, come attualmente previsto, ma anche di cassa, il che può trovare una spiegazione anche con il potenziamento della cassa, di cui alla delega dell'articolo 42 della legge di contabilità, in ordine alle cui problematiche si rinvia all'apposita audizione della Corte.
  L'indicazione dei saldi anche di cassa può inserirsi, comunque, in un tema più ampio riguardante il progressivo maggior peso delle rappresentazioni diverse da quelle legate alla mera contabilità finanziaria di competenza, anche ai fini dell'individuazione e della gestione dei saldi-obiettivo, la cui rappresentazione nelle diverse contabilità presenta, comunque, evidenti connessioni.
  In merito alla componente normativa dalla manovra, la successiva lettera b) del predetto comma 1-ter, è tesa a definire la funzione della prima sezione della legge di bilancio nel senso di raggruppare le variazioni dei parametri di sostegno alle entrate e alle spese, ovvero alle relative autorizzazioni legislative: nulla quaestio sul piano sostanziale, anche se si potrebbe semplificare riferendosi alle leggi, dal momento che i parametri sono stabiliti per legge.
  La mancata indicazione di un segno come vincolo in termini di effetto della prima parte della legge di bilancio – restrizione oppure espansione – si muove dunque in conformità con l'evoluzione dell'ordinamento sull'argomento, laddove la norma di chiusura è costituita dal vincolo della coerenza con i saldi programmatici, tenuto conto dei tendenziali.
  Ciò è confermato anche dalla mancata riproposizione del comma 3, lettera i), dell'attuale articolo 11, che impone un effetto restrittivo alla normativa di cui alla legge di stabilità, come ricorda la stessa relazione illustrativa.
  Venendo al vincolo contenutistico, la previsione ad opera della legge rinforzata e della relativa legge attuativa – l'iniziativa legislativa in esame – del descritto vincolo contenutistico per la prima sezione della legge di bilancio presenta profili di particolare delicatezza e può comportare il problema delle conseguenze della relativa violazione sotto il profilo della giustiziabilità. La questione potrebbe porsi ora in termini ancora più stringenti rispetto al passato, essendo la legge rinforzata direttamente attuativa di una norma costituzionale.
  Sulla questione della copertura, la scelta della proposta di legge di non riproporre la copertura della prima sezione della legge di bilancio appare da condividere. Tale impostazione rinvia la soluzione del problema della copertura degli oneri correnti per la prima sezione della legge bilancio alla definizione delle modalità dell'iter in Parlamento del relativo disegno di legge, in riferimento – presumibilmente – al relativo regime di emendabilità.
  La seconda sezione, di cui al nuovo comma 1-sexies dell'articolo 21 della legge n. 196 del 2009, riproduce l'esposizione dei conti dello Stato sulla base del criterio della legislazione vigente. In argomento, la Corte ha da anni richiesto un ampliamento documentativo in virtù del quale dovrebbero essere maggiormente chiari in dettaglio, e quindi ricostruibili, i criteri di costruzione dei tendenziali.
  Si tratta di problematiche che attengono all'attendibilità non solo delle previsioni di finanza pubblica, ma anche in molti casi delle stesse coperture del processo legislativo ordinario.
  Una relazione tecnica di dettaglio sulla componente della legislazione vigente del bilancio, ad esempio per programmi, permetterebbe di meglio comprendere in primo luogo i criteri seguiti nella costruzione della previsione, con la connessa possibilità di verificarne l'affidabilità, in secondo luogo quanta parte della futura legislazione onerosa vi sia eventualmente incorporata, in terzo luogo, e conseguentemente, la sussistenza o meno di effettivi spazi di copertura nei casi in cui si utilizzano a tali scopi i tendenziali, ed infine la sostenibilità tanto delle clausole di salvaguardia che insistono sui programmi di spesa quanto delle stesse clausole di invarianza.
  Con riferimento all'articolo 3, che concerne la copertura delle leggi ordinarie e prevede una modifica dell'articolo 17 della legge di contabilità, si rileva che la nuova formulazione tratta di due questioni, essenzialmente: da un lato, il nuovo divieto di utilizzo a copertura delle somme derivanti dalle risorse collegate all'8 per il mille e al 5 per mille; dall'altro, la revisione della disciplina delle clausole di salvaguardia.
  Si osserva preliminarmente che non è stato affrontato il tema dell'aggiornamento delle modalità con cui assolvere l'obbligo di copertura per le leggi ordinarie, se non per l'aspetto relativo alle clausole di salvaguardia, considerando la casistica più recente.
  Si tratta di questioni di assoluta rilevanza, come la Corte ha avuto modo di sottolineare anche nella predetta audizione del 30 giugno, principalmente a seguito della riforma costituzionale intervenuta nel 2012; questioni che possono essere sintetizzate, tra le tante, nella necessità: di rendere noti gli effetti di tutti i provvedimenti legislativi, e non solo di quelli più rilevanti, sui saldi sia nominali sia strutturali, in questo secondo caso anche in via orientativa; di sistemare il delicatissimo caso delle coperture a debito, da vincolare in modo stringente alla ricorrenza dei presupposti previsti dalla normativa europea e interna; di disciplinare le eventuali conseguenze della regola della spesa sul regime delle coperture ordinarie, anche considerando l'evoluzione in atto del quadro delle regole di finanza pubblica; di prevedere tendenzialmente l'obbligo di apprestare clausole di salvaguardia anche in presenza di clausole di neutralità, almeno per i provvedimenti di maggior rilievo finanziario.
  Altro tema da affrontare potrebbe riguardare il divieto di utilizzare a copertura i cosiddetti «effetti indiretti», soprattutto se non automatici e al di fuori della sessione di bilancio.
  Venendo al testo, ferma la dicotomia delle leggi onerose tra quelle costruite con il tetto di spesa e quelle formulate in termini di previsioni di spesa, con annessa clausola di salvaguardia, con il nuovo comma 12 e seguenti dell'articolo 17 della legge di contabilità anzitutto si prevede il blocco, con decreto ministeriale, della legge in caso di scostamento tra oneri e previsioni, salvo che sia possibile provvedere ricorrendo, per l'esercizio in corso, a programmi di spesa in essere, sempre con decreto ministeriale, rinviando comunque alla legge di bilancio per la copertura aggiuntiva per gli anni successivi. Il tutto è previsto poi solo per il caso che si tratti di spese, quindi con l'esclusione degli scostamenti riferiti alle minore entrate.
  Anche su questi temi la Corte si è espressa in numerose circostanze, con posizioni che possono essere così riassunte.
  Anzitutto, il meccanismo della clausola di salvaguardia andrebbe esteso anche al caso di oneri consistenti in minori entrate, a nulla rilevando lo slittamento di un esercizio dell'eventuale recupero in virtù dell'operare del meccanismo saldo-acconto e tenendo conto della rilevanza delle tecniche di intervento consistenti nella previsione o nella revisione di benefici fiscali.
  In secondo luogo, prevedere solo la riduzione, sia pure per l'esercizio in corso, delle dotazioni di bilancio non appare una proposta priva di problemi, perché esclude una copertura con nuove o maggiori entrate, per esempio, sempre nell'ambito della attivabilità in via amministrativa.
  Molti esempi, in tal senso, sono rinvenibili nella legislazione più recente. Si può allentare, peraltro, il vincolo di una soluzione nella legge sostanziale a monte, rispetto alla quale i poteri del ministro siano limitati a dare attuazione al relativo precetto, che costituisce l'aspetto positivo dell'attuale formulazione del comma 12.
  In terzo luogo, se il nuovo comma 12-ter si interpreta nel senso del rinvio alle successive leggi di bilancio per la sola compensazione, senza il richiamo alle facoltà più ampie previste in riferimento alla sezione prima di tale legge – ovvero la possibilità di rivedere l'onere come opzione alternativa –, ciò potrebbe, anche per questo verso, comportare un indebolimento della necessità di allineare il più possibile onere e copertura nella singola legge sostanziale, con conseguente alterazione del rispetto del parametro costituzionale della copertura.
  Rimane, poi, sempre il problema per cui le future leggi di bilancio potrebbero non presentare risorse di copertura sufficienti, tenuto conto dei vincoli programmatici, in presenza di uno scostamento di rilevanti dimensioni, per esempio, ovvero per scelte di merito di diverso contenuto.
  Si potrebbe anche porre il problema dell'assorbimento o meno dell'attuale comma 13, la cui giustificazione sarebbe ravvisabile solo per il caso di uno scostamento di entità così imponente da porre in pericolo gli equilibri della finanza pubblica.
  In quarto luogo, la possibilità a sistema di ridurre, sia pure provvisoriamente, stanziamenti di bilancio può non costituire un incentivo verso una calibratura accorta delle previsioni in base alle sole esigenze dettate della legislazione vigente.
  Da ultimo, l'annotazione più rilevante sul piano sistematico si riferisce però al fatto che il meccanismo presentato nella proposta di legge, con il comma 12-bis in particolare, offre motivi di forte perplessità per il fatto di prevedere, come primo rimedio per il disallineamento tra oneri e coperture, la sospensione della legge con un semplice decreto ministeriale, in assenza di fondi di bilancio cui attingere.
  Una tale disposizione può generare profili problematici di tenuta del sistema, segnatamente in sede giudiziale. Si tratta infatti di leggi che, in quanto dotate di clausola di salvaguardia, è fortemente probabile rechino oneri inderogabili, a fronte, con grande probabilità, di diritti soggettivi.
  Va notato, peraltro, che la relazione illustrativa utilizza argomenti per ritenere inopportuna l'attuale configurazione della norma su cui andrebbe fatta una riflessione in quanto, al momento, la clausola di salvaguardia di cui al comma 12 dell'articolo 17 della legge di contabilità si riferisce all'obbligo di apprestare, nella singola legge onerosa, senza rinvio alla sede amministrativa se non per i profili attuativi, coperture aggiuntive e non consente la revisione degli oneri né dunque il sacrificio, con un decreto ministeriale, di diritti soggettivi riconosciuti legislativamente.
  Vale la pena di sottolineare, inoltre, che l'intervento normativo qui offerto nella proposta di legge è riferito alle leggi ordinarie.
  Altra questione è se si intende vietare che con la legge di bilancio si rinvii a future clausole di salvaguardia – da attivare a tempo debito – quote di manovra non realizzate e comunque contabilizzate negli obiettivi programmatici.
  La normativa contenuta nella proposta di legge in esame, con il rinvio – salvo il blocco della legge – per il primo anno alle dotazioni di bilancio in essere e alle future leggi di bilancio per gli esercizi successivi, conferma che si tratta di due ipotesi diverse, come attesta anche il riferimento testuale all'articolo 17 della legge di contabilità, il quale ha per oggetto le coperture delle leggi ordinarie, diverse da quelle di sessione, ora unificate nella legge di bilancio.
  Passando all'atto Senato n. 2344, con la presentazione di questo disegno di legge recante modifiche alla legge 24 dicembre 2012, n. 243, in materia di equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, il processo di riforma dell'ordinamento contabile degli enti territoriali, avviato dopo la novella costituzionale del 2012 introduttiva del principio del pareggio di bilancio, giunge a un punto di svolta cruciale.
  Nel testo del disegno di legge in discorso viene esplicitata, infatti, l'esigenza di rendere coerente la disciplina dei vincoli di finanza pubblica che gli enti territoriali devono rispettare, ai sensi della legge n. 243 del 2012, con il nuovo quadro di regole contabili di cui al decreto legislativo n. 118 del 2011, come modificato dal decreto legislativo n. 126 del 2014, recante disciplina di armonizzazione dei bilanci regionali e locali.
  Ora, piuttosto che cercare di adattare i contenuti della riforma contabile dettata dal decreto legislativo n. 118 del 2011 ai principi fondamentali e ai criteri adottati dalla legge n. 243 del 2012 in attuazione del principio del pareggio di bilancio, ai sensi dell'articolo 81, comma sesto, della Costituzione, il provvedimento in esame persegue il coordinamento tra le due normative adeguando, all'opposto, i vincoli di finanza pubblica ai nuovi principi contabili, piegandoli alle esigenze di una gestione delle risorse più efficiente a livello locale e più incline a incrementare la dimensione degli investimenti.
  Venendo al quadro normativo da riformare, il disegno di legge governativo in esame ha ad oggetto le disposizioni del Capo IV della legge n. 243 del 2012, che specifica per le regioni e gli enti locali modalità e limiti per il conseguimento dell'equilibrio di bilancio (articolo 9), il ricorso all'indebitamento (articolo 10), il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali (articolo 11), nonché il concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico (articolo 12). L'insieme di queste norme definisce un sistema di principi, di procedure e di vincoli contabili il cui contenuto, costituzionalmente riservato, costituisce il parametro interposto nel sindacato di costituzionalità delle leggi ordinarie con esso contrastanti.
  Peraltro, la legge n. 243 del 2012, in quanto legge ordinaria a carattere rinforzato, può essere assoggettata a controllo di costituzionalità, dovendosi conformarsi ai principi definiti dall'articolo 5 dalla legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, che ne disciplinano il contenuto, come avvenuto, peraltro, in occasione della pronuncia della Corte costituzionale n. 88 del 2014 nell'ambito dell'attuazione del nuovo assetto costituzionale derivante dalla legge richiamata.
  In ordine all'applicazione delle richiamate disposizioni di cui al Capo IV, fissata a decorrere dal 1° gennaio 2016 a norma del successivo articolo 21, comma 3, la Corte ha avuto modo di osservare, in sede di audizione sul disegno di legge di stabilità per l'anno 2016, come l'entrata in vigore delle norme della predetta legge n. 243 sugli equilibri di bilancio di parte corrente e complessivi, sia di cassa che di competenza, risulterebbe essere stata, di fatto, rinviata in attesa di una sua effettiva attuazione o di una sua eventuale modifica.
  Venendo al passaggio dal Patto di stabilità interno agli equilibri di bilancio, lo schema del pareggio di bilancio previsto dalla legge rinforzata per gli enti territoriali ha rappresentato, per il legislatore ordinario, l'archetipo su cui costruire la nuova disciplina di finanza pubblica da applicare, in via sperimentale e transitoria, in sostituzione delle tradizionali regole del Patto di stabilità interno, che negli ultimi anni si sono basate sul controllo della spesa finale delle regioni, al netto di quella sanitaria e di altre voci residue espressamente indicate, e, per gli enti locali, sul controllo dei saldi di bilancio espressi in tema di competenza mista.
  Il tendenziale avvicinamento del regime del Patto allo schema del pareggio di bilancio previsto dalla legge rinforzata nasconde, in realtà, dietro l'apparente parallelismo tra le due discipline, finalità profondamente diverse tra loro.
  Nel primo caso, i vincoli di finanza pubblica perseguono obiettivi di contenimento della spesa e di redistribuzione degli spazi finanziari con tecniche variabili, che lasciano agli enti territoriali ampi spazi di manovra nella gestione del bilancio, nella composizione dei saldi e nei tempi necessari al raggiungimento dell'equilibrio strutturale.
  Nel secondo caso, il vincolo di bilancio è più stringente in quanto finalizzato esclusivamente a salvaguardare gli equilibri effettivi di bilancio e la riduzione progressiva del rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo nel lungo periodo.
  Il difficile contemperamento delle due opposte esigenze sembra, dunque, potersi risolvere in situazioni di latente conflitto tra le rispettive discipline.
  Venendo ai profili di incostituzionalità della legge n. 243 del 2012, è da segnalare ai fini dell'esame del presente disegno di legge, in particolare degli articoli 10 e 12, la sentenza n. 88 del 2014, con la quale la Corte costituzionale, con pronuncia additiva, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale in parte qua di due disposizioni della legge n. 243: l'articolo 10, comma 5, e l'articolo 12, comma 3.
  In particolare, è da sottolineare come la Corte, nel riscontrare la violazione del principio di leale collaborazione, abbia riconosciuto l'esigenza di contemperare le ragioni dell'esercizio unitario di date competenze statali con la garanzia delle funzioni costituzionalmente attribuite alle autonomie, previo il loro indispensabile e pieno coinvolgimento, in modo da garantire a tutti gli enti territoriali la possibilità di collaborare, attraverso il modulo partecipativo dell'intesa, alla fase decisionale.
  Venendo all'equilibrio di bilancio delle amministrazioni locali e passando ad analizzare il testo del disegno di legge di cui all'atto Senato n. 2344, occorre premettere che, ai sensi del vigente articolo 9 della legge n. 243 del 2012, l'equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali corrisponde ad una situazione di pareggio o di avanzo, sia in fase di previsione sia di rendiconto, tanto in termini di saldo complessivo di bilancio, quale differenza tra entrate finali e spese finali, quanto di saldo di parte corrente, includendo tra le spese correnti anche le quote di capitale delle rate di ammortamento dei prestiti. Si aggiunga che il pareggio o l'avanzo deve essere assicurato, in entrambi i casi, sia in termini di competenza che di cassa.
  Il provvedimento del Governo intende sopprimere i due vincoli previsti per la cassa e quello di competenza per le spese correnti, assicurando il solo saldo non negativo in termini di competenza tra le entrate finali e le spese finali, sia nella fase di previsione sia in quella di rendiconto. Quest'evidente semplificazione troverebbe due giustificazioni. Secondo la relazione illustrativa, il pareggio di parte corrente non incide direttamente sui saldi di finanza pubblica, ma sulla composizione della spesa. Dall'altro lato, il pareggio di cassa, al pari di quello corrente, è già previsto a livello dei princìpi contabili – ai sensi dell'articolo 162, comma 6, del decreto legislativo n. 267 del 2000 per gli enti locali e dell'articolo 40 del decreto legislativo n. 118 del 2011 per le regioni – , mentre il saldo di competenza, dopo l'introduzione del principio della competenza finanziaria potenziata, risulta più vicino al saldo di cassa e, di conseguenza, al saldo rilevato dall'ISTAT ai fini del computo dell'indebitamento netto nazionale.
  Nel prendere atto di tali motivazioni, la Corte non può mancare di rilevare che l'eliminazione dall'ambito di diretta applicazione della legge n. 243 del 2012 di due parametri fondamentali per la tenuta degli equilibri di bilancio, quali il saldo corrente e il saldo di cassa, indebolisce notevolmente il sistema di garanzie che la legge costituzionale n. 1 del 2012 ha posto a presidio del corretto raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica.
  Né sembra del tutto irrealistica la possibilità che, per effetto del principio della successione delle leggi nel tempo, si interpreti la normativa di risulta, conseguente alla soppressione dei saldi corrente e di cassa, quale espressione di un principio orientativo verso cui debba tendere anche il legislatore ordinario, nel senso di ritenere non più riproponibili tali parametri in sede sia di eventuale legge organica sia di manovra annuale.
  Sarebbe, dunque, auspicabile che il sistema di verifiche e di correttivi previsti dalla legge n. 243 del 2012 conservasse questi due parametri, richiamando al suo interno anche i princìpi della competenza finanziaria potenziata introdotta dalla riforma della contabilità, piuttosto che i relativi schemi di bilancio, così da scongiurare il rischio che eventuali squilibri di parte corrente possano ripercuotersi sulla parte capitale e sulla cassa al solo fine di assicurare il formale rispetto del vincolo del pareggio di competenza finale.
  Peraltro, la valutazione della semplificazione degli obiettivi di saldo ai fini della verifica dell'equilibrio di bilancio non può andare disgiunta dagli altri correttivi che si intendono apportare sia all'articolo 9 sia all'articolo 10. Si osserva, infatti, che nel saldo di competenza tra entrate finali e spese finali, declinato come differenza tra la somma dei primi cinque titoli delle entrate del bilancio – entrate di natura tributaria, trasferimenti correnti, entrate extra tributarie, entrate in conto capitale ed entrate da riduzione di attività finanziarie – e la somma dei primi tre titoli delle spese – spese correnti, spese in conto capitale e spese per incremento delle attività finanziarie –, si introducono elementi di incerta valutazione non contemplati come forme di copertura utilizzabili ai fini del rispetto dei saldi fissati in sede europea.
  Tra questi figurano l'utilizzo dell'avanzo di amministrazione degli esercizi precedenti, in quanto compatibile con l'equilibrio di competenza a livello di complesso degli enti territoriali della regione interessata, compresa la regione stessa, e il Fondo pluriennale vincolato, nei limiti stabiliti con legge dello Stato compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica. Tali voci di copertura facilitano il rispetto dell'equilibrio di bilancio e hanno effetti espansivi della capacità di spesa degli enti.
  Inoltre, consentendo di modificare di volta in volta il parametro di composizione del saldo, generano situazioni di provvisorietà e di persistente incertezza operativa che rischiano di compromettere la corretta e coerente programmazione finanziaria da parte degli enti territoriali, con ricadute negative proprio sul fronte degli investimenti che si intende incentivare.
  Né può tralasciarsi di segnalare che, nei limiti in cui l'introduzione del Fondo pluriennale vincolato comporti oneri aggiuntivi in termini di indebitamento netto, la disposizione andrebbe corredata da una clausola di neutralità finanziaria che ne assicuri l'invarianza degli effetti sui saldi di finanza pubblica mediante opportune coperture finanziarie.
  Venendo ad alcuni altri profili di criticità possibili, al di là del fatto che mal si comprendono i motivi che inducono ad introdurre nella legge rinforzata, attraverso il nuovo comma 1-bis dell'articolo 9, elementi tecnici di elevato dettaglio, quale l'indicazione dei titoli del bilancio che concorrono a definire il saldo di competenza, con ciò ingessando inutilmente le leggi di contabilità e ogni loro possibile sviluppo in ordine alle partizioni del bilancio, si osserva come, al contrario, il provvedimento governativo miri, in più occasioni, a svuotare di contenuto la stessa legge rinforzata con l'introduzione di nuovi e diffusi rinvii alla legge ordinaria dello Stato, senza prevederne, peraltro, particolari limiti di disciplina.
  Quest'insieme di rinvii mobili o dinamici offrirebbe allo Stato l'opportunità di articolare liberamente il concorso degli enti territoriali alle manovre di finanza pubblica, utilizzando al massimo gli spazi di flessibilità resi disponibili non solo dalla concertazione interregionale, ma anche dall'ampia delega in materia di premi e sanzioni, i cui effetti sui saldi di finanza pubblica andrebbero opportunamente inquadrati all'interno di apposite previsioni che assicurino ex ante l'allineamento degli oneri alle rispettive coperture. Non si esclude comunque che tale sistema di rinvii, se non ricondotti entro più ristretti margini di discrezionalità, possa alimentare contenziosi con gli enti territoriali a salvaguardia delle loro prerogative costituzionali.
  In riferimento all'articolo 11, merita una riflessione la soppressione del fondo straordinario per il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali.
  Con la prevista modifica del comma 1 e l'abrogazione del comma 2 nelle parti in cui il testo vigente circoscrive l'ambito d'azione dello Stato al sopraggiungere di fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di gravi crisi finanziarie o calamità naturali aventi ripercussioni sulla finanza di singoli enti territoriali, il concorso finanziario dello Stato non sarà più soggetto ad alcuna di queste condizioni, che ne limitano stabilmente l'ambito discrezionale, potendosi con legge ordinaria disporre variazioni del finanziamento anche in caso di ciclo economico favorevole e a prescindere dai riflessi finanziari che gli eventi eccezionali potranno produrre sui singoli enti.
  Quanto all'articolo 12, la nuova formulazione proposta dal disegno di legge omette di riprodurre il modulo consensualistico dell'intesa in sede di Conferenza unificata per la ripartizione del contributo degli enti territoriali al Fondo per l'ammortamento dei titoli di Stato e introduce una riserva di competenza del legislatore statale.
  Si tratta di una sostanziale attenuazione del principio della leale collaborazione posto a garanzia dell'autonomia finanziaria degli enti territoriali, tanto più che, come chiarito dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza n. 88 del 2014, il ricorso al predetto modulo partecipativo non compromette di per sé la funzionalità del sistema né genera il rischio di uno stallo decisionale, poiché, in caso di dissenso e fatta salva la necessaria adozione di «idonee procedure per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze», la determinazione finale può essere adottata direttamente dallo Stato.
  Venendo alle considerazioni conclusive, le modifiche che il disegno di legge di cui all'atto Senato n. 2344 intende apportare in materia di equilibri di bilancio degli enti territoriali ai princìpi sanciti dalla legge rinforzata n. 243 del 2012 in attuazione dell'articolo 81, comma sesto, della Costituzione, non sono di poco momento. L'ampia tipologia di correttivi introdotti sembra andare nella direzione di un intervento che valica il semplice intento di semplificazione, adeguamento ai principi della armonizzazione contabile, efficientamento della gestione e stimolo agli investimenti, per disegnare un modello di governance della finanza pubblica che ricalca nella sostanza i meccanismi tipici delle manovre annuali e che sembra non del tutto coerente con il percorso di realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica, in termini di equilibrio strutturale tra entrate e spese e sostenibilità del debito, prefigurati dalla novella dell'articolo 81 della Costituzione. Il momento centrale del disegno di legge in esame è, infatti, la soppressione di due vincoli essenziali per garantire l'equilibrio strutturale dei bilanci: l'equilibrio corrente e quello di cassa.
  La circostanza che il primo non incida direttamente sui saldi di finanza pubblica e che il secondo risulti in qualche misura assorbito nel più ampio equilibrio della competenza potenziata non sembrano argomenti sufficienti per affidarne la regolazione a livello di legge ordinaria di contabilità, tanto più che la loro verifica non presenta particolari difficoltà operative e il loro raggiungimento si dimostra, sovente, particolarmente impegnativo per gli enti.
  Ancora più delicati sono i profili di incerta determinazione dell'unico parametro che il progetto di riforma intende conservare, ovvero il saldo non negativo in termini di competenza tra entrate e spese finali. Al di là del rischio di dequalificazione della spesa connesso alla previsione di un unico saldo, si osserva che con la tecnica di composizione del saldo affidata, di anno in anno, alla legge ordinaria acquistano natura strutturale determinate misure dettate con esclusivo riferimento all'esercizio 2016, quale quella relativa al Fondo pluriennale vincolato, sia pure compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica.
  Sono inoltre da valutare gli effetti derivanti dalle intese concluse in ambito regionale, che potranno modificare la struttura del saldo di ciascun ente con le quote dell'avanzo di amministrazione utilizzate ai fini di investimento, che sarebbero riconosciute nei limiti dell'equilibrio complessivo del comparto regionale.
  Nel complesso, la perdita del carattere di neutralità del saldo obiettivo e l'introduzione di diffusi rinvii alla legge ordinaria dello Stato, senza particolari delimitazioni degli ambiti di materia, non sembrano disegnare quel quadro di regole certe, di relazioni stabili e di obiettivi condivisi che la disciplina sull'equilibrio di bilancio e sulla sostenibilità del debito dovrebbe, almeno tendenzialmente, assicurare.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Buscema.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il dottor Buscema.
  Io ho una domanda ben precisa sulla Relazione annessa al DEF e alla Nota di aggiornamento del DEF. Per quanto riguarda la proposta di legge a prima firma Boccia, comunque parte della discussione odierna, è previsto che tale Relazione, in passato presentata alle Camere in maniera separata rispetto al Documento di economia e finanza, sia parte integrante dello stesso Documento laddove dovessero presentarsi scostamenti rispetto ad eventi eccezionali.
  Mi chiedo se avete valutato anche la possibilità che questi scostamenti o queste necessità si presentino nel periodo che va dalla Nota di aggiornamento del DEF fino all'approvazione dell'ex legge di stabilità, ora nuova legge di bilancio, ovvero che si presentino variazioni, come in passato è già accaduto, nel qual caso in alcune circostanze particolari sono state varate delle «manovrine» immediatamente prima della legge di stabilità. In tale ipotesi, potrebbe essere necessario prevedere un'ulteriore Relazione da far approvare alle Camere. In generale, non è il caso di tenere tale Relazione sempre separata dal Documento che si va ad approvare?
  A nostro avviso, altro è chiedere al Parlamento l'autorizzazione rispetto a degli scostamenti, in positivo o in negativo – non entriamo nel merito –, altro ancora è approvare le modalità o gli utilizzi che di quelle risorse aggiuntive o in riduzione si vuole fare. A nostro avviso, quella Relazione dovrebbe essere comunque oggetto di approvazione attraverso un voto a sé stante, ma dalla vostra nota si evince invece una valutazione positiva su quest'aspetto specifico: vorrei pertanto capirne le motivazioni e l'impianto decisionale che la sottende.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Buscema per la relazione, per i chiarimenti e per aver ripreso buona parte delle valutazioni inserite nell'indagine conoscitiva sulle prospettive di riforma degli strumenti e delle procedure di bilancio, che anche dopo il confronto con la Corte dei conti sono rientrate sia nel disegno di legge di modifica della legge n. 243 del 2012 sia nella proposta di legge che integra la legge n. 196 del 2009. C'è un'unica risposta rispetto a una criticità che la Corte dei conti aveva sottolineato connessa all'ipotesi alternativa sui meccanismi di copertura finanziaria delle leggi. Mi riferisco alle clausole di salvaguardia.
  Nell'indagine avevamo previsto la possibile istituzione di un fondo. Alla fine, si è scelta un'altra strada perché è evidentemente la più semplice, in quanto consente – ne abbiamo parlato anche con il Ministro Padoan nel corso della sua audizione – l'intervento attraverso un decreto ministeriale sulla quota di previsioni errate anziché, come avevamo indicato nell'indagine conoscitiva, attraverso l'indicazione di un fondo ad hoc, che serviva appunto a coprire le eventuali previsioni sbagliate. Le due ipotesi erano alternative. È stata scelta questa strada, ma evidentemente la discussione è aperta. Se lei volesse tornare su questo aspetto, sarebbe molto utile.
  La Corte dei conti giudica, infatti, la via amministrativa come la più debole. In questo caso, sarebbe connesso l'intervento di un rateo dell'anno, perché rinviamo alla legge di bilancio successiva gli interventi sul triennale, mentre per la parte prevista nell'anno in corso oggi il Ministro Padoan ci ha detto che preferirebbe andare in Consiglio dei ministri per condividere, per socializzare la natura di quell'atto amministrativo, che tale resta, ma stiamo parlando di una scelta di cui avevamo discusso anche durante l'indagine conoscitiva.
  Prendo atto anche delle considerazioni della Corte dei conti per quanto concerne la definizione dei saldi e il controllo parlamentare della spesa. Si condivide anche la data di presentazione dei vari documenti, che abbiamo differito dal 20 al 30 settembre, perché ci sembrava abbastanza fuori luogo la discussione su numeri che poi era sistematicamente necessario ribadire che non erano definitivi. Comunque, come abbiamo sottolineato quest'anno più volte, quei numeri venivano confermati solo successivamente dall'ISTAT.
  Chiede di intervenire la senatrice Bulgarelli, alla quale do la parola.

  ELISA BULGARELLI. Intervengo solo per una precisazione, perché a un certo punto non sono riuscita a seguire e non ho capito se ha parlato di problemi di copertura nelle prossime manovre finanziarie. Poiché non ho trovato il riferimento nel testo, la mia è solo una precisazione per capire se ho inteso bene o se, invece, stava parlando di altro.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Buscema per la replica.

  ANGELO BUSCEMA, Presidente di sezione della Corte dei conti. Demanderei al consigliere Forte parte delle risposte alle domande.
  Ovviamente, rispondendo a quanto diceva il presidente Boccia, si tratta di una scelta problematica su cui anche la Corte ha posto l'attenzione. Certamente, sono scelte rispetto alle quali la Corte dà dei suggerimenti, ma resta fermo che la decisione ultima appartiene al Parlamento, attraverso l'individuazione della soluzione più condivisa.
  Risponderei per quanto riguarda il problema della copertura. Io ho fatto riferimento alla questione della copertura saltando alcuni riferimenti, perché meramente descrittivi, mentre ho riportato esclusivamente la parte di cui a pagina 14 del documento, laddove si dice che la scelta della proposta di legge di non riproporre la copertura della prima sezione della legge di bilancio appare da condividere. Questo è il giudizio finale, mentre la parte precedente aveva un valore essenzialmente descrittivo, fermo restando che il documento è a disposizione ed ha carattere illustrativo ma non valutativo. Siccome c'era bisogno anche di concentrazione in quest'esposizione, si è scelto di citare alcuni brani, fermo restando che il documento nel suo complesso è a disposizione delle Commissioni.
  Se il presidente è d'accordo, lascerei ora la parola al consigliere Forte.

  CLEMENTE FORTE, consigliere della Corte dei conti. Per quanto riguarda il quesito posto dall'onorevole Cariello, se non ho capito male egli pone il problema se esista o meno uno strumento per ratificare la necessità di un allentamento dei vincoli di bilancio quando si verifichino, al di fuori della sessione di bilancio, degli eventi eccezionali o il peggioramento del ciclo o quanto è previsto dall'articolo 6 della legge n. 243 del 2012. Se non ho capito male, è questo il quesito, che poi richiama l'altro relativo al voto autonomo quando questo riguarda la sessione di bilancio.
  Per la prima questione, esiste già la norma nella legge n. 196 del 2009, così come poi è stata modificata, ed è l'articolo 10-bis, comma 6, il quale identifica esattamente la fattispecie del verificarsi di una ragione di allentamento dei vincoli di bilancio al di fuori della sessione di bilancio. È quella che è stata utilizzata come norma, per esempio, in occasione del decreto-legge n. 35 del 2013, concernente l'assolvimento dei debiti commerciali delle pubbliche amministrazioni mediante emissione di debito: il Governo presentò allora una Relazione preliminare per consentire l'allentamento dei vincoli e questo tipo di copertura, utilizzando appunto questa norma, l'articolo 10-bis, comma 6, dell'attuale legge n. 196 in precedenza citata.
  Ciò richiama l'altra parte della domanda, cioè se serva o meno, se sia utile o meno votare in maniera autonoma, preliminarmente alla sessione di bilancio, l'allentamento dei vincoli, e quindi il peggioramento, al verificarsi delle condizioni previste nel caso in cui il nuovo pattern, il nuovo sentiero di aggiustamento, sia peggiore rispetto a quello di prima. Su questo probabilmente andrebbe un attimo ricostruita la ratio dell'articolo 6 della citata legge n. 243. Forse, da quello che si vede dagli atti preparatori, l'idea era non di riferirsi alla sessione di bilancio così come si sussegue nel tempo, che ha un effetto sostitutivo per i due esercizi essendo triennio per triennio rispetto al triennio precedente, quanto al verificarsi degli eventi eccezionali o degli scostamenti dopo che è stato presentato il nuovo percorso di finanza pubblica.
  La soluzione che si è avuta in questi ultimi due o tre anni è stata, invece, di riferire questa Relazione, da approvare con un voto autonomo, alla reimpostazione del disegno di politica finanziaria. Probabilmente, la predetta legge n. 243 all'articolo 6 o non diceva questo o comunque è ambiguo se dicesse questo o dicesse anche altro. È sembrata opportuna, quindi, la soluzione, stante questa ricostruzione, che ne dà la proposta di legge del presidente Boccia ora in discussione, ovvero quella, quando si tratta di reimpostare la manovra di finanza pubblica, di assorbire quella Relazione, evitando dunque un voto autonomo, tra l'altro con una maggioranza particolare, nel nuovo disegno di politica economica che il Governo presenta al Parlamento con la Nota di aggiornamento. Non so se sono riuscito a chiarire adeguatamente i termini della questione.

  FRANCESCO CARIELLO. In parte riesco a comprendere la spiegazione della ratio, ma non riesco a comprendere un aspetto, anche alla luce di quello che lei ha precisato. Facendo riferimento all'articolo 10-bis della legge n. 196 del 2009, lei ha detto che resta comunque in vigore, ma dalla ricostruzione che gli uffici hanno fatto sembrerebbe che nella legge definitiva, così come risulterebbe in caso di approvazione della proposta di legge Boccia, quella parte del comma 6 verrebbe stralciata, ed è proprio la parte a cui lei si stava riferendo.
  Sussiste il mio dubbio: rimarrà solo il DEF o c'è una Relazione che invece quel comma 6 prevede che, al ricorrere di determinate circostanze, debba essere presentata? Nel caso che lei ha citato, l'esempio del decreto-legge n. 35 del 2013, se dovessimo tornare indietro nel tempo e applicassimo questa nuova configurazione della legge n. 196, in quel caso non ci sarebbe bisogno di una Relazione al Parlamento, giacché basterebbe che il DEF inquadrasse quel nuovo decreto in una programmazione triennale, e quindi in una rivisitazione dei saldi di finanza pubblica. Se ho capito bene, questo mi sembra un po’ fuori dalle regole.

  CLEMENTE FORTE, consigliere della Corte dei conti. Non è così, onorevole Cariello. Dobbiamo distinguere i due aspetti. Da un lato, si dà il caso in cui si tratta di reimpostare la politica finanziaria, e probabilmente la Relazione che autorizza il discostamento può far parte dei documenti programmatici.

  FRANCESCO CARIELLO. Ma non si vota.

  CLEMENTE FORTE, Consigliere della Corte dei conti. Si vota con la Nota di aggiornamento.

  PRESIDENTE. Come del resto accade già ora.

  CLEMENTE FORTE, consigliere della Corte dei conti. Un altro aspetto della faccenda è il seguente: se fuori della sessione di bilancio si verifica l'evento eccezionale, il peggioramento del ciclo, ovvero si verifica qualcosa che induce a rallentare il percorso di finanza pubblica che è stato votato con la sessione di bilancio, dovrebbe mantenersi questo comma 6 dell'articolo 10-bis, nel senso che è il caso appunto del decreto-legge n. 35 del 2013. La stessa cosa successe peraltro, come lei ricorderà, anche ad agosto del 2013, quando il citato decreto-legge n. 35 venne rifinanziato col decreto-legge n. 102, e ad agosto, quindi prima della sessione di bilancio, fu presentata la stessa Relazione. Questa norma dell'articolo 10-bis, comma 6, ha funzionato e dovrebbe continuare a funzionare.

  FRANCESCO CARIELLO. Credo che il dossier ci faccia comprendere con questa soppressione che, in caso di approvazione della proposta di legge Boccia, il comma 6 dell'articolo 10-bis della legge n. 196 del 2009 verrebbe completamente cassato. Ho capito bene o è sbagliato il dossier? Fatemi capire questo. La spiegazione mi è chiara, ma conferma che venendo meno il predetto comma 6, nel caso in cui si dovesse ripetere lo scenario verificatosi con il decreto-legge n. 35 del 2013, tale da comportare una variazione dei saldi, con il menzionato comma il Parlamento verrebbe interessato con una Relazione specifica. Ma se il medesimo comma viene espunto, non c'è più questa necessità. Se mi chiarite questo punto, allora ci siamo intesi.

  PRESIDENTE. A me la questione appare abbastanza chiara. Non ho dubbi che si voti la Relazione e poi l'eventuale modifica. D'altronde la proposta di legge a mia prima firma prevede, all'articolo 1, comma 6, lettera d), che, qualora prima della presentazione della Nota di aggiornamento del DEF si verifichino gli eventi eccezionali e gli scostamenti dall'obiettivo programmatico strutturale, di cui all'articolo 6 della legge 24 dicembre 2012, n. 243, la Relazione di cui al comma 3 del medesimo articolo 6 è presentata alle Camere come annesso alla Nota di aggiornamento del DEF.
  Devo dire che trovo la norma molto chiara, ma ne discuteremo senz'altro durante l'esame di merito presso la Commissione bilancio. Non teniamo in ostaggio la Corte dei conti su una discussione che, come detto, comunque affronteremo più avanti in Commissione.
  C'era poi il quesito relativo alle clausole di salvaguardia, con una critica assolutamente costruttiva alla relazione del presidente Buscema.

  CLEMENTE FORTE, consigliere della Corte dei conti. Presidente, sul problema posto da lei relativamente al discorso della creazione eventuale di un fondo per far fronte agli eventuali disallineamenti tra oneri e coperture per quanto riguarda le leggi ordinarie – parliamo sempre delle leggi ordinarie e non della sessione di bilancio, che è altra questione – dobbiamo fare un passo indietro.
  L'attuale formulazione del comma 12 dell'articolo 17 della legge n. 196 del 2009 rappresenta non un novum, ma il frutto di un'esperienza maturata per molti anni su questa materia. Quando c'è stata una fase in cui, per l'alternarsi delle modifiche della legge precedente, esistette per un certo periodo un fondo, e addirittura si fece riferimento per un dato periodo al Fondo di riserva per le spese obbligatorie e d'ordine per la copertura nell'immediato degli scostamenti tra oneri e copertura delle leggi ordinarie, il sistema trasse una certa insoddisfazione da come funzionava questo meccanismo.
  L'attuale formulazione del comma 12, che ha il pregio di porre a carico del legislatore il compito, ogni volta che adotta una legge onerosa, di risolvere il più possibile in quella sede senza rimandare a una sede successiva, sia esso un fondo di riserva o la legge di bilancio, è una soluzione che continua ad avere un suo pregio. Rimanda infatti al legislatore sostanziale il compito di farsi carico il più possibile, a monte, di tutto ciò che può succedere dopo, evitando rinvii a qualcosa che viene dopo. Questo è il senso della posizione espressa dalla Corte dei conti, trattandosi peraltro di problemi non nuovi nell'esperienza legislativa.

  PRESIDENTE. Ringrazio il consigliere Forte. Evidentemente, le audizioni servono a svolgere riflessioni ulteriori.
  Come molto opportunamente emerso durante l'indagine conoscitiva e come sottolineato molto opportunamente anche dal Servizio studi, già l'attuale sistema rinvia a provvedimenti amministrativi. Come è noto, alcune clausole di salvaguardia determinano l'attivazione di atti amministrativi.
  Noi abbiamo ritenuto, ed è il risultato del lungo confronto avvenuto nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato, che oggettivamente accanto al bilancio ordinario iniziare a ipotizzarne uno delle clausole di salvaguardia minasse la sovranità stessa del Parlamento. Il numero delle clausole di salvaguardia è aumentato, divenendo quasi una sorta di rinvio di una decisione in alcuni casi. L'effetto è stato che in molte amministrazioni le previsioni non sono più state fatte in maniera puntuale, poiché la comodità della clausola di salvaguardia portava chi doveva fare la previsione a farla in maniera non proprio approfondita. Questo dato è evidente, non può più tenere ed è opportuno superarlo.
  Penso che la soluzione trovata sia migliore di quella esistente. Se l'ipotesi di un fondo sia addirittura migliore o meno, ciò verrà fuori dal dibattito.

  GIORGIO TONINI. Intervengo per un chiarimento. A pagina 5 del documento elaborato dalla Corte dei conti si legge: «Si osserva che la materia andrebbe di sicuro semplificata, prevedendo una sola data di presentazione del disegno di legge ed evitando la formalizzazione dei tempi di trasmissione degli atti dal Governo al Parlamento. La motivazione riportata nella relazione illustrativa a sostegno di tale formalizzazione – ossia la necessità di apprestare una sorta di Nota di variazione iniziale, come peraltro indicato dalla legge rinforzata – non appare argomento sufficiente per dilazionare di fatto alla fine di ottobre l'inizio della sessione di bilancio».
  Naturalmente, se si riuscisse a mantenere un termine più anticipato per l'inizio della sessione di bilancio sarebbe meglio, ma c'è una previsione precisa della legge n. 243 del 2012 su questo. La Corte ci suggerisce di introdurre una modifica della citata legge n. 243 su questo punto? Mi facevano infatti osservare che all'articolo 15, comma 3, della legge medesima è stabilito che per le modifiche alle previsioni deve essere assicurata autonoma evidenza contabile all'inizio della presentazione del disegno di legge: ossia, tra le due parti, prima e seconda sezione del disegno di legge di bilancio, tutto deve essere squadernato.
  Se non abbiamo ancora tutti gli elementi, come si fa? Bisognerebbe introdurre nella legge n. 243 una modifica che consenta poi una diversa definizione del calendario. Su questo punto forse sarebbe interessante un approfondimento da parte vostra.

  CLEMENTE FORTE, consigliere della Corte dei conti. Presidente Tonini, l'osservazione è giusta. Quello che abbiamo scritto porta in realtà a questa conclusione. In effetti, è eccessiva l'enfasi sulla necessità di una nota di variazioni al testo iniziale. La nota di variazioni è solo, come si dice qui, una trasposizione abbastanza meccanica delle norme in variazione di bilancio.
  Poiché, però, la legge di bilancio identifica in maniera estremamente precisa ed opera una netta distinzione tra la prima e la seconda sezione, ossia la vecchia legge di stabilità e la vecchia legge di bilancio, francamente prevedere un sistema a cascata di passaggi anche nel rapporto tra Governo e Parlamento probabilmente introdurrebbe un tipo di tecnica legislativa della quale mi pare di ricordare esistano ben pochi casi. Forse relativamente alla previsione di un sistema mobile di date per la presentazione al Parlamento dei documenti della sessione di bilancio, se questa è la giustificazione, quella cioè di avere l'immediatezza della nota di variazioni anche sul testo iniziale, se si può mettere mano alla legge n. 243 del 2012 anche per quest'aspetto, allora sarebbe forse uno dei punti da riprendere.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Buscema e la delegazione intera della Corte dei conti.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul contenuto della nuova legge di bilancio e sull'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
  Do la parola a Roberto Monducci, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT, per lo svolgimento della sua relazione.

  ROBERTO MONDUCCI, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT. Grazie, presidente. In questa audizione l'ISTAT fornisce alcune valutazioni sul contenuto della nuova legge di bilancio, come attualmente formulata nella proposta di legge n. 3828 all'esame della Camera dei deputati.
  Sui temi trattati nella proposta, l'ISTAT è già stato audito il 14 luglio passato, nel corso dell'indagine conoscitiva sulle prospettive di riforma degli strumenti e delle procedure di bilancio.
  In particolare, è stata affrontata la questione della tempistica di elaborazione dei conti da parte dell'ISTAT, in funzione della predisposizione della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza.
  Come si dirà tra poco, le valutazioni allora espresse hanno trovato piena considerazione nella proposta di legge oggi in esame. Siamo particolarmente soddisfatti di questo.
  Di seguito, si richiamano brevemente i principali punti della precedente audizione e si illustra contestualmente la nuova calendarizzazione. Infine – questa è la novità rispetto all'audizione precedente – si commenta la proposta contenuta nell'articolo 1, comma 5, lettera f), relativa all'inserimento nell'allegato al DEF di una relazione sull'andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale.
  Questa è una novità. Anche in questo caso, esprimiamo soddisfazione, come vedrete tra poco, per questa considerazione di una produzione statistica molto innovativa, che fa compiere un salto di qualità anche all'ISTAT, in quanto fornitore di dati e analisi a supporto delle policy.
  Per quanto riguarda il primo punto, ovvero i tempi del ciclo di bilancio e i tempi dell'elaborazione dei conti da parte dell'ISTAT, nella precedente audizione è stata già affrontata una discussione sui tempi di definizione della politica di bilancio in sede europea, lungo il cosiddetto Semestre europeo, e di come questi si accordino con il calendario di trasmissione alle autorità europee e di validazione dei dati su cui si fonda la valutazione delle politiche di bilancio.
  In quell'occasione si è sottolineato che i risultati relativi alla finanza pubblica sono inseriti all'interno di quella che si definisce «procedura dei deficit eccessivi» (EDP), ma che, allo stesso tempo, vi sono alcune specificità del calendario nazionale di diffusione dei dati da parte dell'ISTAT.
  Inoltre, è stata affrontata la questione relativa ai tempi di compilazione dei dati da parte dell'ISTAT, discutendo la possibilità di anticipare la disponibilità dei dati di consuntivo necessari alla predisposizione della Nota di aggiornamento del DEF e della manovra di finanza pubblica, ciò nell'ottica di consentire un'anticipazione dei termini di presentazione del documento stesso, secondo quanto considerato al punto 6) del programma dell'indagine conoscitiva in precedenza citata.
  In quell'occasione è stato sottolineato che l'ISTAT avrebbe potuto anticipare la diffusione dei conti, usualmente prevista per i primi di ottobre, a una data compresa tra il 23 e il 25 settembre.
  Tenendo pienamente conto delle indicazioni sulla tempistica fornite dall'ISTAT lo scorso luglio, la proposta di riforma della legge di bilancio sceglie di posticipare la presentazione della Nota di aggiornamento del DEF al 30 settembre.
  Il ruolo centrale che svolge l'ISTAT nel processo di definizione della politica di bilancio è quello di produrre e fornire i dati di consuntivo che fanno da riferimento per la politica economica italiana ed europea.
  In particolare, l'ISTAT è il soggetto individuato dai regolamenti europei per il coordinamento della trasmissione dei dati EDP. Ne deriva che il calendario di rilascio definito a livello nazionale dall'ISTAT e quello di trasmissione di tali dati a Eurostat sono elementi che devono essere considerati con grande attenzione nella definizione delle tempistiche della politica di bilancio del nostro Paese.
  Se le scadenze europee sono stabilite per via regolamentare, quelle nazionali possono essere definite con qualche grado di libertà, ma hanno un vincolo ineludibile nella disponibilità delle informazioni di base, provenienti dalle autorità preposte al monitoraggio dei flussi di finanza pubblica, in primo luogo il Ministero dell'economia e delle finanze.
  La ridefinizione dei calendari deve, dunque, tener conto della necessità dell'ISTAT di disporre di informazioni complete e affidabili per le proprie elaborazioni e di tempi sufficienti a garantire la correttezza e robustezza delle stime dei parametri di finanza pubblica trasmessi a Eurostat.
  Si ricorda che già nel 2014 e nel 2015 la diffusione dei conti economici nazionali – prodotto interno lordo e indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni – di solito prevista nella prima settimana di ottobre, è stata anticipata di oltre una settimana, e più precisamente al 22 settembre nel 2014 e al 23 settembre nel 2015.
  Questa anticipazione è stata ora resa permanente e anche nel 2016 la diffusione di questi dati avverrà il 23 settembre, così come ufficializzato nel calendario di diffusione dei comunicati stampa che pubblichiamo all'inizio dell'anno.
  Ciò costituisce attualmente il massimo aggiustamento possibile del calendario, ottenuto operando una significativa compressione dei tempi interni di compilazione dei conti.
  Considerando nel dettaglio l'attuale calendario di acquisizione delle fonti per l'aggiornamento dei conti di settembre, ogni altra ipotesi dovrebbe basarsi su una revisione complessiva dei tempi di fornitura dei dati all'ISTAT da parte delle istituzioni coinvolte, con un coordinamento molto rigoroso della fase di definizione delle informazioni consolidate relative all'ultimo anno di stima, in questo caso quelle riguardanti il 2015.
  Si ricorda, infine, che la trasmissione a Eurostat dei dati della notifica EDP rimane comunque fissata al 30 settembre. Di conseguenza, non si può escludere la possibilità che intervengano variazioni di alcuni aggregati tra i dati comunicati il 23 settembre e quelli inviati il 30 a Eurostat, a seguito del processo di controllo delle componenti del conto e della coerenza dei raccordi.
  Peraltro, i dati da considerarsi veramente definitivi sono quelli certificati da Eurostat e diffusi il 22 ottobre di ciascun anno, a seguito della fase di verifica e chiarimento, il cosiddetto clarification round, che in linea di principio può condurre a modifiche anche non irrilevanti dei dati.
  In sostanza, il messaggio che diamo è assolutamente coerente con le esigenze poste dalla proposta di legge. Segnaliamo che comunque non possiamo anticipare prima del 23 settembre la fornitura dei dati relativi al PIL e al quadro macro-economico della finanza pubblica, e che non è escluso che, a seguito di questi round di chiarificazione e di approfondimento, i dati definitivi che vengono diffusi il 22 ottobre possano essere diversi. Questo è fisiologico. Direi che questo è il quadro.
  Chiaramente, a questo punto, il problema da valutare è quanto questa anticipazione da parte dell'ISTAT e questa posticipazione della Nota di aggiornamento del DEF al 30 settembre, ovvero questa settimana di disponibilità dei dati, sia sufficiente alle autorità che devono compilare i documenti di programmazione. È un tema di discussione tecnico, però immaginiamo che questo sia realizzabile.
  Questo è il primo punto. Passo rapidamente al secondo, a cui teniamo molto: la riforma del bilancio e gli indicatori di benessere equo e sostenibile (BES).
  La proposta di riforma della legge di bilancio prevede che l'allegato al Documento di economia e finanza riporti l'andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale, nonché le previsioni riguardo all'evoluzione degli stessi nel periodo di riferimento. Tali previsioni dovrebbero tenere conto delle misure previste per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica.
  Inoltre, si stabilisce la presentazione alle competenti Commissioni parlamentari, entro il 15 febbraio di ogni anno, dell'evoluzione degli indicatori di cui sopra, sulla base degli effetti determinati proprio dalla legge di bilancio per il triennio in corso.
  L'ISTAT, in quanto produttore di informazioni per favorire i processi decisionali di tutti gli attori della società e in modo particolare di quelli pubblici, ritiene che questa sia un'importante innovazione, che potrebbe aprire un nuovo percorso per i rapporti tra politica economica e statistica ufficiale.
  In merito, facciamo presente che l'ISTAT ha progettato un sistema di indicatori – circa 130, organizzati secondo dodici diverse dimensioni tematiche – sul benessere equo e sostenibile per l'Italia, diffuso per la prima volta nel 2013 e da allora annualmente aggiornato.
  Per il 2016, la diffusione del rapporto, e quindi, degli indicatori, è prevista per la metà di dicembre.
  Inoltre, a livello internazionale, l'Istituto è stato chiamato dalla Commissione statistica dell'ONU ad avere un ruolo attivo e di coordinamento nazionale nell'ambito della produzione dei 234 indicatori stabiliti per il monitoraggio degli obiettivi e dei rispettivi target dell'Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile, i cosiddetti Sustainable Development Goals (SDGs).
  I due sistemi di indicatori, quello nazionale progettato dall'ISTAT e quello sovranazionale elaborato dall'ONU, si sovrappongono solo in parte. A tal proposito, si richiama il dettato della proposta di legge, in cui si stabilisce che bisogna utilizzare gli indicatori adottati a livello internazionale. Pertanto, ci deve essere un'analisi sulla copertura.
  La valutazione che facciamo è che gli indicatori armonizzati a livello internazionale riflettono ancora poco l'esigenza dei Paesi sviluppati, perché chiaramente il framework di riferimento dell'ONU è il mondo e, quindi, molti di questi indicatori hanno un valore informativo importantissimo rispetto a Paesi in via di sviluppo.
  Rileviamo una certa debolezza del sistema di indicatori internazionali rispetto alle esigenze di un Paese sviluppato come l'Italia, anche se c'è sovrapposizione con quelli calcolati con riferimento al BES.
  Con specifico riferimento al contenuto della proposta di legge, l'ISTAT è disponibile a offrire la propria collaborazione nel mettere a disposizione i dati e le analisi richieste sull'andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile e anche a discutere nel merito la selezione degli indicatori stessi.
  Sembra tuttavia opportuno segnalare già in questa sede alcune problematiche relative all'attuale formulazione della proposta di legge.
  Innanzitutto, per realizzare previsioni, anche di natura programmatica, è importante disporre di un dettaglio sull'azione di politica economica, di solito non riportato nelle sezioni del DEF, cui queste previsioni andrebbero allegate.
  Inoltre, i modelli previsionali generalmente utilizzati per questo tipo di analisi non consentono di integrare tutti gli indicatori considerati, che sono molto dettagliati, ragione per cui appare necessario ridurre l'analisi di previsione a un numero ristretto di indicatori rilevanti e prevedere un percorso di sperimentazione.
  Infine, sul fronte della tempestività dei dati sul benessere, si segnala che in alcuni casi il processo di produzione attuale non consente di coprire l'intero triennio considerato nei documenti di programmazione.
  Tutto questo suggerisce che, per disporre di uno strumento pienamente operativo, sarà innanzitutto necessario adottare un sistema di indicatori pertinente alle finalità del DEF e, quindi, operare una selezione e un approfondimento, giungendo verosimilmente a un quadro informativo semplificato e in grado di integrare il quadro nazionale sul benessere e quello internazionale sullo sviluppo sostenibile.
  Ci sono anche problemi di tempestività e di copertura, però sono technicality che potremo sviluppare in seguito. Il messaggio che diamo è positivo, ma soprattutto sull'aspetto previsionale restano da chiarire molte cose.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Monducci. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZO CASO. Io ho due domande molto brevi. Per quanto riguarda il DEF, cosa pensate dell'ipotesi di avere un orizzonte temporale del DEF più ampio, per esempio di cinque anni?
  Ovviamente ci rendiamo conto che le previsioni da fare su cinque anni sono più complesse, però in tal modo si potrebbe avere una visione più ampia su dove un Paese sta andando.
  In alternativa, si potrebbe prevedere all'interno del DEF una sezione con una visione un po’ più ampia, anche a vent'anni. L'ISTAT, per esempio, sulla parte pensionistica fa già previsioni a più lungo termine.
  L'altra questione concerne gli indicatori di benessere. Da ciò che ho capito, tendenzialmente l'ISTAT si concentra sul BES, ma vorrei sapere se si considerano anche altri parametri, ad esempio il Better Life utilizzato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Ce ne sono diversi. Vorrei un suo commento anche su queste altre tipologie.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Io vorrei porre alcune domande su questa parte, perché mi sembra che sul discorso della tempistica da parte vostra, oltre alla soddisfazione per i suggerimenti che sono stati ripresi nelle formulazioni, si delinei un percorso sostenibile rispetto alla fornitura di dati affidabili, sebbene revisionabili, che servono alle decisioni che vengono prese.
  Io vorrei fare alcune considerazioni sul tema di questa aggiunta. Credo che sia unanime la considerazione positiva degli indicatori di benessere equo e sostenibile, ma credo anche che siano molto importanti le considerazioni che voi aggiungete.
  In altri termini, perché un'aggiunta di questo genere abbia rilevanza e senso e possa essere utilizzata, è fondamentale che gli indicatori che vengono selezionati siano in qualche modo riportabili al quadro di variabili che il DEF e la legge di stabilità prendono in considerazione.
  Credo che noi dobbiamo stare molto attenti a non considerare questo insieme di indicatori come la pubblicazione di una serie di dati riguardanti la condizione sociale ed economica, che, come sappiamo, può essere infinita. Innanzitutto, in molti rapporti queste informazioni sono già disponibili.
  Quello che a noi interessa, in realtà, è stabilire un qualche legame tra gli andamenti macroeconomici e microeconomici e gli indicatori di benessere equo e sostenibile. Infatti, se questo collegamento non è chiaro, la semplice pubblicazione di questi indicatori lascerà il tempo che trova, perché non avrà un legame con le policy.
  Da questo punto di vista, al di là del suggerimento di carattere generale, che cosa dovrebbe essere considerato in questa selezione, non solo per rafforzare la parte previsionale – le previsioni, infatti, devono basarsi su andamenti macro – ma soprattutto per le implicazioni di policy?
  Se questo collegamento è vago, incerto e ambiguo, il fatto che si dica che l'indicatore è migliorato o peggiorato può lasciare il tempo che trova. Naturalmente poi può essere ripreso su altri piani. Lo sforzo maggiore, invece, va portato su questo.
  Su questo piano, che cosa potrebbe aiutare, secondo voi? Che cosa suggerireste per quanto riguarda il compito, che noi avremo, di operare una selezione?
  La sperimentazione è importante e bisogna partire con obiettivi che, via via, possano crescere. Tuttavia, il modo in cui si parte è fondamentale. Vorrei sapere su cosa ci si potrebbe basare maggiormente e qual è l'evidenza a livello di modellistica tra andamenti economici e andamenti «di benessere» più ampio che voi considerate più interessante.
  C'è un aspetto che mi sembra, invece, più critico. Se questo collegamento è così difficile, forse bisognerebbe rimandare il collegamento con i Sustainable Development Goals, poiché occuparsi degli indicatori BES è già una sfida. Perché pensare già a questi indicatori, che, come sappiamo, riguardano una fascia di Paesi molto diversi rispetto a quelli avanzati?
  Questo mi sembrerebbe un po’ in contraddizione con la prima parte, che condivido pienamente, sull'esigenza di avere questo tipo di approccio.

  GIULIO MARCON. Mi scuso per aver ascoltato solo in parte l'introduzione. Ho una lunga frequentazione con l'ISTAT e, quindi, spero di potermi permettere di interloquire su un tema che sicuramente ci sta molto a cuore.
  Io vorrei porre tre questioni. In primo luogo, è molto prezioso il lavoro che voi avete svolto in questi anni, con il cappello istituzionale del CNEL. Vedremo come andrà il referendum nel prossimo mese di ottobre. Questo cappello istituzionale potrebbe infatti venire a mancare.
  Voi avete già discusso di questo? C'è già un programma di lavoro rispetto al prosieguo del lavoro sul BES? Sarà un lavoro che verrà portato avanti solamente dall'ISTAT, oppure ci saranno altre forme di collaborazione istituzionale, per dare in qualche modo seguito a un'iniziativa che è stata molto importante e che è alla base di quello che stiamo prevedendo in questa proposta di legge?
  Passo alla seconda questione. Oggi il Ministro Padoan ci diceva, giustamente, che l'impatto non può essere misurato nel corso di un anno, ma va misurato nel corso di un periodo di tempo più ampio.
  Su questo voi conoscete una modellistica o avete già delle ipotesi di lavoro? Ovviamente gli indicatori di benessere non sono semplicemente un'esigenza di tipo conoscitivo o statistico, ma sono strumenti per mettere in campo delle politiche e – aggiungo – per la valutazione delle stesse.
  Siccome la valutazione nel nostro Paese è un problema, ahimè, irrisolto, soprattutto per quanto riguarda le politiche pubbliche, sarebbe interessante capire se, come ISTAT, potete darci delle indicazioni e dei suggerimenti, o comunque se potete informarci su come poter valutare l'impatto delle politiche in base agli indicatori di benessere, ovviamente su un arco temporale che non può essere quello annuale.
  Il terzo punto riguarda la Strategia Europa 2020. In realtà, Europa 2020 nel DEF c'è sempre, sebbene con un numero di pagine che diventa più esiguo nel corso degli anni. Questo è un tema che si lega molto alla questione degli indicatori di benessere.
  In Europa 2020 ci sono degli obiettivi per l'Italia, che, ahimè, a parte quelli relativi alle fonti di energia rinnovabili, non sono rispettati granché, anzi siamo in ritardo su diversi fronti. Comunque, si tratta di una serie di obiettivi che intersecano molto la questione degli indicatori di benessere. Infatti, quando parliamo di lotta all'abbandono scolastico, di percentuale di occupati sulla popolazione attiva, di interventi per l'innovazione e la ricerca e via elencando, discutiamo di temi e di aspetti che riguardano gli indicatori di benessere.
  Sul tema di Europa 2020 e sugli obiettivi che essa pone, e che sono già nel DEF, si può pensare a un passo in avanti, anche dal punto di vista dell'apporto che può dare l'ISTAT con il lavoro sugli indicatori di benessere, per valutare il raggiungimento degli obiettivi in base alle politiche e, quindi, l'impatto di queste ultime su quegli obiettivi sui quali, ahimè, siamo in grave ritardo?

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Monducci per la replica.

  ROBERTO MONDUCCI, direttore del dipartimento per la produzione statistica dell'ISTAT. Mi sembra che alcune domande, soprattutto quelle che riguardano lo scenario previsivo, siano convergenti, nella misura in cui ravvisano l'esigenza di allungare lo scenario previsivo.
  A mio avviso, dobbiamo distinguere il tema specifico di cui stiamo parlando rispetto al ruolo dell'ISTAT. Chiaramente siamo qui a valutare e a discutere, però noi per questo intervento siamo partiti dalla proposta di legge; ci siamo posizionati su quello che c'era scritto e abbiamo provato a fare una valutazione. Adesso stiamo cambiando lo scenario.
  Dal punto di vista della valutazione, è evidente che alcuni indicatori sono assolutamente tendenziali. Non è proprio immaginabile valutarli di anno in anno. Movimenti di breve periodo su indicatori strutturali che tendenzialmente hanno una dinamica di fondo molto forte di solito sono indice di allarme e sono associati a eventi assolutamente imprevisti. Dunque, secondo me, è ragionevole allungare lo scenario, data la natura degli indicatori. Parliamo, infatti, di indicatori di benessere.
  Per quanto riguarda il ruolo dell'ISTAT nel campo specifico, come qualcuno forse ha percepito guardando l'ultima nota di previsione che è uscita pochi giorni fa, noi abbiamo accorciato lo scenario previsivo macroeconomico – non stiamo facendo valutazioni di impatto o previsioni di impatto delle policy –, perché stiamo interpretando il ruolo previsivo dell'ISTAT, tendenzialmente molto legato alla produzione corrente. Infatti, ci piace pensare che siamo più performanti, per come siamo congegnati e per il mestiere che svolgiamo, sulle previsioni di breve periodo. Faccio questa considerazione, perché è bene saperlo.
  È evidente che, se arrivasse una sollecitazione forte all'Istituto di cimentarsi anche su campi di altro tipo, noi sicuramente reagiremmo positivamente, come facciamo di solito.
  Questa è un'annotazione per dire che, a parità di domanda, stiamo tendenzialmente ripiegando sul breve periodo. Per fare delle previsioni addirittura a vent'anni, occorre una metodologia ed una tecnologia completamente diverse da quelle che abbiamo. Stiamo parlando di altri package metodologici e addirittura teorici.
  Per quanto riguarda quello che diceva il senatore Guerrieri Paleotti, il tema è molto complicato. Noi abbiamo dato una risposta positiva, evidenziando la necessità di un approfondimento. Se vogliamo cominciare ad approfondire adesso, io posso dire chiaramente che le intenzioni della proposta di legge sono assolutamente comprensibili, ma aprono un aspetto tecnico, nel senso migliore del termine, ovvero nel senso di analisi su come gestire questa problematica in modo tale che sia credibile. Infatti, siamo pieni nel mondo di previsioni buttate lì, di cui il giorno dopo ci si dimentica.
  Per renderle credibili, come dice giustamente il senatore Guerrieri Paleotti, c'è bisogno di un framework teorico potente, in cui l'indicatore deve essere messo in relazione con le variabili gestibili in termini di policy in modo molto esplicito. In caso contrario, diventa un'operazione statistica e tecnica di correlazione assolutamente debole.
  Questo è un obiettivo molto sfidante. Tuttavia, è necessario aprire una finestra tematica. Il tema è: l'impatto delle policy sugli indicatori di benessere. Si parte dall'inizio: gli aspetti concettuali, le definizioni, gli strumenti, i dati e l'orizzonte temporale. È una cosa che richiede un investimento, non è un giochetto da econometrici. È un esercizio molto scivoloso.
  Rispetto agli SDGs, li ho citati perché, secondo noi, questo è l'unico framework internazionale di indicatori correlati al BES. Peraltro, c'è una sovrapposizione importante tra BES e SDGs, giacché parliamo di 40 indicatori sovrapposti.
  È evidente che, se io leggo nella bozza della proposta di legge «indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale», sovrappongo i due sistemi e mi concentro nel breve periodo sui 40 in comune. Abbiamo seguito i suggerimenti.
  Se questi siano poi quelli «buoni» da prevedere in termini di impatto, questo è un problema. Probabilmente direi che non lo sono. Di conseguenza, un tema che potrebbe essere rivisto è il vincolo previsto degli indicatori adottati a livello internazionale, appunto perché a livello internazionale tendenzialmente la lente è molto focalizzata sui Paesi in via di sviluppo.
  C'è la sovrapposizione di 40 indicatori. Forse non sono esattamente quelli giusti. Pertanto, io suggerirei di rivedere un po’ questa parte, focalizzando gli indicatori che effettivamente descrivono bene l'economia e la società italiane e che magari non sono considerati a livello internazionale. Questo è un problema.
  Rispondo rapidamente alle tre questioni poste dal deputato Marcon. Per quanto riguarda il BES, il presidente ieri o l'altro ieri – adesso non ricordo – ha svolto un intervento proprio al CNEL su questi aspetti.
  Ormai il package statistico degli indicatori BES è a regime nella produzione ISTAT. Dal 16 dicembre noi stiamo realizzando semplicemente l'aggiornamento degli indicatori. Ci saranno delle analisi. Siamo a regime sul set di indicatori decisi collettivamente, insieme agli stakeholder e ai partner.
  In questo momento, abbiamo qualche elemento di convergenza molto interessante con Camera e Senato, con cui abbiamo un accordo. Secondo noi, quello potrebbe essere un contesto interessante, nel senso che la sede ovviamente è molto autorevole. Se c'è un'esigenza di questo tipo, ovvero passare dal CNEL alla Camera e al Senato come interlocutori, secondo noi è assolutamente credibile. Pertanto, auspicheremmo l'apertura di una linea di analisi. Non vorremmo rientrare in un ambito che rappresentava uno stadio pionieristico. Adesso siamo a regime e va strutturato, a maggior ragione se li usiamo per le policy.
  Per quanto riguarda i target di Europa 2020, c'è la massima collaborazione. Peraltro, quelli sono indicatori molto malleabili anche dal punto di vista della modellistica della valutazione. Stiamo parlando di indicatori assolutamente core (centrali), di cui tutta l'Europa parla e su cui Eurostat ha un investimento massiccio dal punto di vista dei dati, così come ce l'abbiamo noi. Pertanto, questo, secondo me, non è in discussione.
  Da tutta questa storia rilevo un problema di rapporto tra provvedimenti di policy descritti bene – perché, se sono troppo aggregati, non riesco a trovare la chiave – e questi indicatori, che in alcuni casi si muovono rispetto a variabili estremamente complesse. Effettivamente, c'è un discorso di complessità del modello teorico, più che della modellistica. La questione richiede cioè in qualche misura un salto di qualità. Non è il solito «esercizio previsivo», ma è una cosa più complicata.
  Ciò nonostante, ripeto che c'è la massima disponibilità a discutere nei dettagli.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Monducci e la delegazione intera di ISTAT.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul contenuto della nuova legge di bilancio e sull'equilibrio di bilancio delle regioni e degli enti locali, di cui alla legge n. 243 del 2012, l'audizione del Presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio, Giuseppe Pisauro, al quale do subito la parola.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Grazie, presidenti, e buonasera a tutti.
  Credo che il testo sia stato già distribuito. Naturalmente, la presentazione è in due parti. La prima riguarda le modifiche alla legge n. 243 del 2012 e l'altra, invece, la proposta di legge che modifica la legge n. 196 del 2009, quindi comincerei dalla regola del pareggio per le amministrazioni locali.
  Forse, per iniziare, vale la pena un po’ contestualizzare l'attuale quadro normativo riguardo alla regola del pareggio. La citata legge n. 243 è stata redatta quando si immaginava che il raggiungimento dell'obiettivo di medio termine sarebbe avvenuto l'anno successivo. Si immaginava quindi una situazione in cui non ci sarebbe stata ogni anno la necessità di effettuare una correzione dei conti, in quanto si presumeva che saremmo stati in una situazione, a regime, già di pareggio raggiunto. Inoltre, in questo quadro si trattava di definire vincoli per i sottosettori, in questo caso per le autonomie locali. Naturalmente, lo stesso ragionamento si può fare anche rispetto a un percorso di avvicinamento all'obiettivo di medio termine.
  In estrema sintesi, quello che dice l'attuale testo è che le autonomie territoriali dovrebbero presentare un saldo di bilancio sempre in equilibrio, a prescindere dall'andamento del ciclo. Lo Stato invece, anche perché ha le leve fiscali che risentono maggiormente dell'andamento del ciclo, sarebbe deputato a muoversi lungo il ciclo, e quindi a presentare disavanzi in fase di ciclo negativo, e dovrebbe, con questi disavanzi, compensare in qualche modo le carenze di entrate, se si verificano, dal lato degli enti locali. Questo era un po’ il quadro generale che veniva disegnato.
  Tuttavia, quel quadro generale è soggetto a una serie di critiche che poi sono un po’ alla base di queste modifiche.
  La prima critica ha a che fare con l'eccessiva complessità delle regole, da un lato per la pluralità dei saldi contabili soggetti al vincolo di pareggio – i famosi otto saldi, che poi otto non sono in realtà, ma che, per comodità espositiva, possiamo definire così – e dall'altro per tutta una serie di disallineamenti tra i saldi e le regole di contabilità. Questa è la prima critica.
  La seconda critica è che il vincolo sembrava, anzi sembra, visto che è ancora vigente, troppo penalizzante per gli investimenti, soprattutto a causa dell'eccessiva rigidità e complessità del meccanismo di flessibilità regionale, che era il meccanismo chiamato a regolare lo scambio reciproco di spazi di finanziamento per gli investimenti.
  Infine, difficilmente attuabile viene ritenuto il meccanismo di regolazione degli effetti del ciclo economico sui bilanci delle amministrazioni locali e le critiche in questo caso riguardano l'automaticità del meccanismo di compensazione, basato su una valutazione degli effetti del ciclo sulle realtà locali che è un elemento di difficile stima, soprattutto su base territoriale.
  Detto ciò, quali sono le soluzioni individuate dal disegno di legge di riforma e quelle che noi, all'interno di queste soluzioni, intravediamo come possibili criticità? Innanzitutto, si passa da quattro saldi a uno oppure, se volete considerare sia la previsione che il consuntivo, da otto a due. Questo è consentito dall'adozione del principio della competenza potenziata nell'ambito delle regole di contabilità. La competenza potenziata avvicina la cassa alla competenza che possiamo chiamare «giuridica» e che è quella contemplata dalla regola attuale, quindi questa operazione non è priva di senso. Si tratta di una semplificazione che, però, non fa perdere troppe informazioni.
  Tuttavia, in questo quadro vi sono almeno un paio di criticità. Queste criticità hanno a che fare con il trattamento – ma lo vedremo meglio più avanti – che assumono il Fondo crediti di dubbia esigibilità e il Fondo pluriennale vincolato.
  Quello che andrebbe evitato è l'utilizzo di deroghe rispetto alla regola del pareggio. Nella fase di transizione 2015-2016, l'introduzione formale del principio del pareggio, accompagnata da deroghe estremamente rilevanti, è stata funzionale all'obiettivo dello smaltimento degli avanzi. A regime, tuttavia, tali deroghe non dovrebbero esistere e il vincolo del pareggio dovrebbe essere reso effettivo e stabile, costituendo il parametro di riferimento per la gestione amministrativa. Per un'efficace vincolo di bilancio dovrebbe essere definito un sistema di premi, oltre che di sanzioni, come stabilisce il testo vigente, sostenibile finanziariamente ma comunque inderogabile, allo scopo di renderne l'efficacia incentivante e deterrente.
  La seconda questione riguarda il maggiore spazio agli investimenti. La soluzione individuata, rispetto all'esigenza di evitare un'eccessiva penalizzazione degli investimenti, ha a che fare con la possibilità di disporre, con legge e nei limiti della compatibilità con gli obiettivi di finanza pubblica, l'inclusione del Fondo pluriennale vincolato.
  Cos'è il Fondo pluriennale vincolato? Si tratta di uno strumento che consente essenzialmente di imputare le entrate vincolate al finanziamento di un'opera agli esercizi in cui esse sono effettivamente utilizzate. Un altro modo di vederlo è che questo Fondo consente di usare entrate conseguite nel passato per finanziare gli investimenti. Questa è l'idea. Naturalmente, in una nozione di competenza economica questo Fondo non ci sarebbe.
  La soluzione individuata è interessante. Qui, poi c'è una questione: il Fondo va incluso nel pareggio a prescindere, cioè va incluso tra le voci di entrata che poi andranno a costituire il pareggio a prescindere, e quindi in tutti i casi, oppure la parte di questo Fondo da includere nel pareggio e gli spazi che questo determina vanno in qualche modo decisi anno per anno?
  Qui, naturalmente c'è un trade-off, ma tra che cosa? Da un lato, c'è una maggiore certezza per gli enti territoriali, se questo Fondo fosse inserito sempre e a prescindere dalle condizioni contingenti tra le entrate utilizzabili. Dall'altro lato, il trade-off contempla che, se queste fossero inserite a prescindere, questo renderebbe l'utilizzo del Fondo, e quindi in qualche modo il comportamento aggregato di tutti gli enti territoriali, una variabile indipendente nel quadro della programmazione finanziaria.
  Ora, trattandosi di un trade-off, io credo che sia preferibile, come in tutti i casi in cui c'è un trade-off, non scegliere soluzioni estreme, quindi la soluzione possibile e auspicabile è quella di nessun automatismo, ma di una decisione che comunque dia una qualche stabilità di prospettiva che non sia contingente, non solo anno per anno, ma soprattutto non avvenga magari quando i bilanci dovrebbero essere già stati definiti. Questo è il problema generale di cui soffrono un po’ le relazioni finanziarie tra i livelli di governo in Italia.
  Poi, c'è l'altra questione che riguarda il Fondo crediti di dubbia esigibilità. Il disegno di legge di riforma richiama in generale i titoli della spesa senza menzionare questo Fondo che, quindi, presumibilmente dovrebbe risultare incluso nel computo delle spese finali, al pari degli altri accantonamenti ai fondi rischi. Tuttavia, tenuto conto che la legge di stabilità per il 2016 prevede, sul piano sostanziale e a regime, che i predetti accantonamenti non rilevino ai fini del vincolo del pareggio, andrebbe chiarito che la deroga della legge di stabilità per il 2016 è di carattere temporaneo, mentre a regime gli accantonamenti al Fondo crediti di dubbia esigibilità sono inclusi nel pareggio.
  In caso contrario, verrebbe in qualche modo tradita la vera finalità dell'istituzione di quel Fondo, che è la sterilizzazione in bilancio delle entrate inesigibili. Questo genererebbe spazi in bilancio per finanziare la spesa per investimenti, tra l'altro senza limiti, e, d'altro canto, incentiverebbe una sovrastima degli accertamenti di entrata, che è uno dei problemi più seri nell'equilibrio delle finanze locali nell'esperienza degli ultimi anni.
  La terza questione concerne la revisione dei meccanismi di flessibilità geografica, quindi all'interno della regione e così via. Viene soppressa la condizione di equilibrio della gestione di cassa del complesso degli enti della regione, che era precedentemente prevista per l'accesso all'indebitamento, ma resta comunque l'obbligo di assicurare il pareggio complessivo degli enti della regione in termini di competenza potenziata, come vincolo per la concessione ad alcuni di essi della possibilità di finanziare gli investimenti con operazioni di indebitamento sulla base degli avanzi pregressi, a valere su posizioni compensative di altri enti.
  Questo principio riguarda sia gli enti che intendono finanziare gli investimenti mediante indebitamento sia quelli che utilizzano risorse proprie, quali gli avanzi pregressi. Ciò non favorirebbe l'autofinanziamento ma lo porrebbe sullo stesso piano dell'indebitamento, quindi un possibile suggerimento è un trattamento differenziato dell'autofinanziamento che potrebbe essere realizzato consentendo di computare nel pareggio non tutto il Fondo pluriennale vincolato, ma la parte alimentata da risorse proprie, ricorrendo alle intese regionali unicamente per la parte di indebitamento. Questa sarebbe un'ipotesi da esplorare.
  Infine, con riferimento alla revisione del meccanismo di flessibilità a fronte delle oscillazioni di carattere ciclico e degli eventi eccezionali, si prevede che nelle fasi avverse del ciclo economico o al verificarsi di eventi eccezionali, quindi quando c'è un disavanzo a livello del complesso del conto della pubblica amministrazione, lo Stato concorra al finanziamento dei livelli essenziali delle prestazioni e delle funzioni fondamentali.
  Al riguardo, va notato che in realtà tale finanziamento è già automatico per le funzioni per le quali è previsto che il finanziamento statale sia determinato in modo da colmare la differenza tra un fabbisogno, calcolato a monte di tutto il processo, e le entrate locali standard destinate alle stesse funzioni.
  Questa necessità di un intervento aggiuntivo per compensare gli enti locali, e in generale gli enti territoriali, dell'effetto del ciclo vale nei limiti in cui non sia già così. Per tutte quelle voci di spesa e quei programmi di spesa in cui c'è la definizione di un fabbisogno di spesa totale a monte e poi si valutano le entrate proprie a livello standard, sempre del complesso di quel mondo, e la differenza arriva dal bilancio dello Stato in varie forme tecniche, l'effetto del ciclo è stato già compensato perché, se le entrate proprie sono diminuite per effetto del ciclo, sarà maggiore quello che possiamo chiamare per semplicità «trasferimento», quindi questo avviene già di per sé.
  Nelle fasi positive del ciclo, le amministrazioni locali dovrebbero, invece, concorrere alla riduzione del debito pubblico. La versione proposta nella modifica semplifica molto rispetto al meccanismo che attualmente si ritrova nella legge n. 243 del 2012. In estrema sintesi, si tratta di una semplificazione che aumenta i margini di discrezionalità per il Governo sulla misura dell'intervento per attenuare gli effetti del ciclo sulla finanza pubblica locale.
  Qui, di nuovo c'è il trade-off cui facevo riferimento prima. A questa maggiore discrezionalità in capo al Governo, fa fronte una maggiore incertezza sulle risorse a disposizione per le amministrazioni locali, e quindi una riduzione della loro capacità di programmazione. Tuttavia, valgono le considerazioni svolte anche prima, in generale, a proposito di questo trade-off.
  Con questo avrei concluso la parte riguardante la questione delle modifiche della legge n. 243 del 2012.
  Passando all'altro disegno di legge, gli argomenti affrontati nel testo distribuito sono i seguenti: il calendario del ciclo della programmazione di bilancio; la clausola di salvaguardia; l'unificazione dei disegni di legge; gli indicatori di benessere. Non credo di riuscire a trattarli tutti, ma di alcuni sicuramente parlerò, fermo rimanendo che, se ci saranno domande, possiamo trattarli anche tutti.
  Riguardo al calendario del ciclo della programmazione di bilancio, la proposta di legge affronta il problema dei tempi, come sappiamo. La proposta di legge, in particolare, prevede che la presentazione della Nota di aggiornamento del DEF venga posticipata dal 20 al 30 settembre, mentre per il disegno di legge di bilancio viene posto un primo termine, il 12 ottobre, per la deliberazione da parte del Consiglio dei Ministri, ed un secondo, entro i dodici giorni successivi, ovvero il 24 ottobre, per la presentazione alle Camere.
  Un altro elemento importante consiste nella proposta di un nuovo contenuto informativo della Nota di aggiornamento, che dovrebbe riportare i principali ambiti d'intervento della manovra di finanza pubblica, che verrà presentata successivamente, per il triennio successivo, con una sintetica illustrazione degli effetti finanziari attesi in termini di entrate e spesa, ai fini del conseguimento degli obiettivi programmatici.
  L'insieme di queste innovazioni, come è spiegato nella relazione illustrativa, tra l'altro dovrebbe soddisfare meglio le esigenze di alcuni degli attori istituzionali nello svolgimento delle rispettive funzioni.
  In particolare, posticipare la Nota di aggiornamento del DEF al 30 settembre consentirebbe al Governo di acquisire sostanzialmente le indicazioni riportate dall'ISTAT nella seconda notifica sull'indebitamento che deve essere trasmessa alla Commissione europea entro il primo ottobre. L'altro attore che beneficerebbe di questo cambiamento siamo appunto noi, cioè l'Ufficio parlamentare di bilancio, che acquisirebbe maggiori informazioni sulla manovra, ai fini del processo di validazione del quadro programmatico.
  Noi oggi, come ricorderete, validiamo il quadro tendenziale con un processo anche soddisfacente dal punto di vista informativo, però ci troviamo a dover valutare il passaggio dal tendenziale al programmatico – parlo di previsioni macroeconomiche – sulla base di indicazioni molto scarne, contenute nella Nota di aggiornamento.
  Va detto che questo sicuramente è un progresso, dal nostro punto di vista. Io devo dire che, quando ho letto questa formulazione, qualche timore mi è tuttavia venuto, se devo essere sincero, nel senso che, per poter fare meglio il nostro lavoro, non ci basterebbe un effetto totale netto sulle spese e un effetto totale netto sulle entrate, tanto per essere chiari.
  Intendo dire che, per inserire in una previsione macroeconomica una modifica delle politiche, noi avremmo bisogno di un certo grado di dettaglio.
  Tanto per fare l'esempio più banale, l'effetto sul saldo, distinto in entrate e spese, non è sufficiente perché lo stesso effetto sul saldo, con entrate raddoppiate e spese raddoppiate, ha un effetto macroeconomico diverso. La composizione di quelle entrate e di quelle spese ha un effetto macroeconomico diverso. Ora, se diminuiamo un'imposta come la TASI o se, invece, diminuiamo un'imposta come l'IRPEF, gli effetti sono diversi e, se aumentiamo o diminuiamo la spesa per investimenti o una spesa di sussidio a qualche settore particolare, gli effetti sono diversi. Quindi, se l'obiettivo è facilitare il lavoro di valutazione del quadro programmatico macroeconomico, questa dizione può benissimo essere compatibile con quello che dicevo, però può anche essere compatibile con qualcosa di molto meno dettagliato.
  Questo è il timore dal punto di vista dell'Ufficio parlamentare di bilancio, ma io direi anche dal punto di vista di una serietà di valutazione in generale, che dovrebbe interessare tutti.
  Questa è una prima criticità che non è neanche riportata nella relazione in termini così chiari, come l'ho riferita adesso oralmente, tuttavia è una criticità importante.
  Poi, ce ne sono altre. Una di queste riguarda la relazione che c'è tra questo calendario e il cosiddetto Semestre europeo. Sappiamo tutti che, entro il 15 ottobre, bisogna presentare alla Commissione europea il Documento programmatico di bilancio. Nel Documento programmatico di bilancio c'è, sostanzialmente, un'indicazione abbastanza dettagliata della manovra. L'unica differenza sostanziale rispetto all'allegato 3 all'attuale disegno di legge di stabilità, che troveremo in allegato al nuovo disegno di legge di bilancio unificato, è che nei documenti di bilancio l'allegato 3 è espresso in termini di euro, mentre nel Documento programmatico di bilancio, quello per l'Europa, è espresso in termini di percentuale di PIL. Tuttavia, l'elencazione dei vari elementi costitutivi della manovra c'è tutta.
  La tempistica prevista dalla proposta di legge – secondo cui il 12 ottobre il Documento dianzi citato viene approvato dal Consiglio dei ministri e il 15 ottobre viene inviato – rappresenta chiaramente un progresso rispetto alla situazione attuale, in cui il 15 ottobre accadeva tutto perché veniva deliberato dal Consiglio dei ministri ed inviato.
  Tuttavia, ciò sarà compatibile se l'approvazione del disegno di legge di bilancio, il 12 ottobre nel Consiglio dei ministri, riguarderà un testo già definito nei suoi dettagli o comunque definibile entro il 15 ottobre, cioè entro tre giorni e non entro i successivi 12 giorni. In altre parole, a prescindere dalla data di presentazione alle Camere del disegno di legge di bilancio, che la proposta di legge fissa nel termine massimo del 24 ottobre, il contenuto dettagliato della prima sezione, cioè le novità ovvero il contenuto dell'attuale legge di stabilità, deve essere definito e noto entro il 15 ottobre: definito, ma anche noto, a prescindere dalla presentazione alle Camere, perché sarà incluso in un documento pubblico.
  Naturalmente, tutto – ma questa è una petizione di principio – sarebbe più semplice se già nella Nota di aggiornamento del DEF ci fosse un dettaglio sufficiente dell'articolazione della manovra. Uno può andare anche oltre e ricordare che, secondo il dettato della legge n. 196 del 2009, si dovrebbe già nel DEF avere un'articolazione degli obiettivi programmatici per sottosettore, l'evoluzione programmatica dei principali aggregati delle amministrazioni pubbliche e via dicendo. Tuttavia, sappiamo che di queste indicazioni vi è una traccia solo molto parziale nel DEF, mentre nella Nota di aggiornamento del DEF non erano richieste queste indicazioni. Adesso, c'è una qualche richiesta informativa, per cui vedremo.
  Il secondo tema riguarda la clausola di salvaguardia. Su questa, visto che ho ancora a disposizione 5 o 10 minuti, parlerò in termini molto sintetici.
  Innanzitutto, la clausola di salvaguardia di cui si parla qui non è quella di cui stiamo parlando in questi anni. Questo è il primo elemento. La clausola di salvaguardia di cui stiamo parlando negli anni recenti è semplicemente una clausola che stabilisce, per legge già fissata, come per esempio per l'IVA, un'entrata che scatterà fra un anno e che serve, in qualche modo, per consentire l'equilibrio complessivo dei conti. Qui, invece, parliamo di una clausola di salvaguardia che riguarda la copertura di una singola legge che, per semplificare, possiamo chiamare «legge di spesa». Questa è una fattispecie completamente diversa.
  Vale la pena di ricordare che la clausola di salvaguardia attuale per la copertura di singole leggi di spesa risale a un intervento normativo che fu effettuato nel 2002 con il provvedimento cosiddetto «taglia-spese» e che sostanzialmente prevede un meccanismo del seguente tipo: c'è un intervento il cui onere finanziario deve essere previsto e la previsione è soggetta a incertezza, per cui voglio garantirmi in qualche modo che questo non violi – consentitemi un'imprecisione – a posteriori il quarto comma dell'articolo 81 della Costituzione concernente la copertura finanziaria, e quindi, se le cose vanno male, cioè se a un certo punto mi accorgo col monitoraggio degli effetti di quell'intervento che si sta spendendo più di quello che avevo previsto, scatta un meccanismo di compensazione in base al quale, ad esempio, si aumenterà di un centesimo l'accisa sulla benzina oppure si taglierà corrispondentemente qualche altra spesa. Questo meccanismo è automatico, cioè non c'è bisogno di ritornare in Parlamento per chiederne l'attivazione. Questa era l'idea.
  La soluzione suggerita in questa proposta di legge cambia questo meccanismo e assomiglia, più che al meccanismo testé descritto, alla versione originariamente proposta nel provvedimento cosiddetto «taglia-spese», in cui si stabiliva che, per tutte le nuove o maggiori spese, la previsione indicata in legge valesse come limite, condizionando l'efficacia delle singole misure a tale vincolo.
  Per quel che riguarda il monitoraggio degli effetti, tra l'altro, c'è anche uno spazio di ragionamento astratto, per cui forse bisognerebbe ritornare con i piedi per terra, giacché molte volte questo tipo di monitoraggio, ad un livello così micro, non è così semplice da effettuare anche a posteriori.
  Faccio un esempio. Ci siamo chiesti, lo scorso anno, se era possibile valutare l'effetto dello split payment per l'IVA delle pubbliche amministrazioni anche a posteriori. Non è semplice fare valutazioni micro di questo tipo. Comunque, ammesso che ciò sia possibile, il monitoraggio, una volta raggiunto il limite, comportava automaticamente la sospensione dell'efficacia, non con un meccanismo compensativo su altre voci, ma della norma di spesa.
  Questa era la soluzione originaria che poi non è stata attuata perché si scelse allora la strada più blanda, quella cui accennavo prima, ovvero un meccanismo compensativo con qualcos'altro.
  Cosa suggerisce ora questa proposta di legge? Innanzitutto, stiamo parlando sempre della stessa fattispecie: monitoriamo l'effetto di una singola legge. Nel caso in cui ci sia un andamento divergente rispetto alle previsioni, ci sono due possibilità.
  La prima alternativa è quella di compensare l'eccesso di spesa mediante una riduzione di pari importo delle dotazioni finanziarie iscritte nel bilancio dello stesso Ministero, vale a dire lo stesso Ministero che gestisce quel programma di spesa. In questo caso, lo strumento consiste in un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, sentito il Ministro competente. Il provvedimento è inviato alle Camere, corredato da una relazione sulle cause degli scostamenti, e dovrebbe rendere possibile la revisione dei dati e dei metodi utilizzati per quantificare l'onere ex ante.
  La seconda alternativa assomiglia molto alla versione originaria, ossia alla prima versione del provvedimento cosiddetto «taglia-spese», quella che non è stata mai realizzata. Cosa succede, quando non è possibile operare la riduzione nello stato di previsione dello stesso Ministero? A quel punto, interviene direttamente il Ministro dell'economia e delle finanze che, sempre per decreto, sospende per l'esercizio in corso l'efficacia delle disposizioni recanti le previsioni di spesa che hanno originato lo scostamento. Insomma, si tratta di una cosa abbastanza delicata perché si deve intervenire con un atto amministrativo, qual è un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, per sospendere l'efficacia di una legge.
  A ben vedere, anche la prima soluzione ha qualche difetto. Mi riferisco a quella della compensazione all'interno dello stesso Ministero e lo dico perché consente di compensare un'eccedenza di spesa con la riduzione di altre leggi di spesa all'interno del medesimo stato di previsione, ma queste altre leggi di spesa possono afferire a diverse missioni/programmi, così attenuando la significatività del voto parlamentare sulle priorità politiche effettuate nell'ambito della decisione annuale di bilancio. Nel caso del decreto sospensivo dell'efficacia, quello che dicevo prima, si tratterebbe invece di sospendere, seppure temporaneamente, la vigenza di disposizioni di rango primario.
  Un'ultima annotazione di carattere, se volete, tecnico è che, se abbiamo letto bene la proposta di legge, questa modifica riguarda il comma 12 dell'articolo 17, però sembrerebbe rimanere vigente il comma 13. Tale ultima disposizione prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze, allorché riscontri che l'attuazione di leggi rechi pregiudizio al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica – quindi non si tratta di una cosa micro, cioè su una singola voce, ma di una cosa che sembrerebbe un po’ più ampia – assume tempestivamente le conseguenti iniziative legislative, al fine di assicurare il rispetto dell'articolo 81, quarto comma, della Costituzione. Questo è quanto prevede il testo dell'articolo 17, comma 13, della legge n. 196 del 2009 che, per quello che capiamo, rimarrebbe in vigore.
  Forse questa è la strada maestra anche nel caso dello scostamento su una singola voce, a livello micro.
  Vorrei aggiungere un'ultima cosa – poi, sull'altro aspetto dirò solo due parole – circa l'unificazione degli attuali disegni di legge di bilancio e di stabilità. Naturalmente, riguardo al fatto di presentare in due sezioni quelli che prima erano due distinti disegni di legge e di avere così due sezioni unificate in un solo disegno di legge, è chiaro a tutti che la portata dell'innovazione è limitata, però ci sono alcuni aspetti interessanti.
  Ve ne dico solo uno, ma vi ripeto che se ne può parlare anche più a lungo. Poi, se ci sono domande, ci possiamo tornare.
  Nella situazione attuale, tutto il coacervo di finanziamenti, rifinanziamenti, definanziamenti e rimodulazioni avviene, oggi, attraverso due canali: da un lato, attraverso le famose tabelle della legge di stabilità che recano rifinanziamenti, definanziamenti e rimodulazioni, dall'altro, direttamente in bilancio, se si tratta di proposte delle amministrazioni, sebbene, da un punto di vista sostanziale, essi, in realtà, possono avere la stessa natura. In questo nuovo quadro, questi due interventi vengono unificati e portati entrambi nella seconda sezione del disegno di legge, quella del bilancio.
  C'è un'ultima questione che, però, in qualche modo sta dietro a tutta questa discussione e un po’ anche a quello che dicevo adesso. Il nuovo bilancio unificato, come dicevo prima, migliora nella seconda sezione la decisione sul finanziamento e sul definanziamento delle leggi di spesa. Ciò migliora l'unitarietà di visione della decisione finanziaria, tuttavia non affronta il tema fondamentale concernente la questione che complessivamente riguarda le unità di voto del bilancio, i programmi, le autorizzazioni legislative e via dicendo, vale a dire il rapporto tra l'unità di voto del bilancio e il fattore legislativo sottostante. Questo tema non viene toccato dall'unificazione del bilancio. Una riflessione su questo tema forse non è più rinviabile.
  Ho un'ultimissima notazione sugli indicatori di benessere. L'inserimento degli indicatori di benessere o, in altre parole, l'inserimento di obiettivi che siano diversi dalla crescita del PIL e così via e che hanno a che fare con altre dimensioni della qualità di un'economia o di una società è sicuramente, in linea di principio, un'iniziativa interessante e importante. Dico solo una cosa: starei attento a non farlo diventare un qualcosa che assomiglia un po’ a quello che si fa oggi col PIL. Anche lì è discutibile che lo si faccia.
  Mi riferisco al fatto che si possa pensare di misurare l'effetto della manovra e dei dettagli di una manovra annuale su questi indicatori, che tra l'altro poi arrivano spesso con ritardi ancora maggiori rispetto a quelli del PIL. Mi sembra abbastanza eroico immaginare di fare un'operazione di questo tipo appunto perché credo che questa sia una strumentazione estremamente importante. Per esempio, se consumassimo tutto il suolo italiano costruendo, aumenteremmo moltissimo il PIL.
  Questo inserimento, quindi, è sicuramente importante. Dunque, immaginare che in ogni legge di bilancio o, al limite, in un allegato 3 ci sia la quarta colonnina che, dopo gli effetti sui saldi e l'effetto sul PIL, indica anche l'effetto sugli indicatori di benessere, credo che poi faccia correre il rischio di far naufragare tutta l'operazione. Guarderei le cose più in una prospettiva ex post sicuramente, quindi come valutazione delle politiche che vengono poste in essere, e lo guarderei più in una prospettiva di medio termine, senza inseguire gli interventi del singolo anno. Questa è, però, un'opinione spassionata.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO GUERRIERI PALEOTTI. Vorrei fare alcune domande innanzitutto sulla parte relativa al ciclo della programmazione di bilancio e alla novità sostanziale dell'unificazione dei due provvedimenti. Ne abbiamo parlato, tra l'altro, anche con il Ministro dell'economia e delle finanze Padoan. Il carattere di ridefinizione di questa legge di bilancio potrebbe assumere un aspetto di radicale innovazione, qualora effettivamente si riuscisse a seguire, nella definizione della legge di bilancio stessa, quelle fasi che vengono disegnate sulla carta.
  Infatti, qui si immagina di modificare radicalmente la formazione del bilancio, non più partendo dalla raccolta di informazioni provenienti dai vari ministeri, con una logica dal basso verso l'alto, ma si ipotizza la possibilità di partire da una visione che dall'alto definisce i saldi e li cala nell'ambito di un rapporto con i ministeri. Se tutto questo fosse attuato avrebbe un carattere di radicale innovazione perché si potrebbe cominciare a fare la politica economica attraverso la legge di bilancio, cosa che, come sappiamo, nel tempo è stata molto difficile da realizzare, dal momento che si sono potuti fare solo interventi a margine.
  Questo non significa che le politiche economiche non si fanno, tuttavia non si riesce a elaborare una strategia di politica economica. Allora, il punto centrale, che peraltro voi richiamate nella relazione, è se, per esempio, si riuscisse a modificare il modo di fare il DEF, ottemperando di più a quello che è già scritto, ovvero cosa il DEF dovrebbe contenere e non ha mai contenuto.
  Nella vostra relazione mettete addirittura in discussione la possibilità che si possa arrivare alla presentazione della Nota, ovvero che si continui ad arrivare all'ultimo momento dell'ultimo giorno. Allora, la domanda che vi faccio è se questi dubbi sono fondati.
  Insomma, non solo non si parla minimamente di poter rivedere il DEF, ma non si può rimettere in discussione nemmeno il fatto che non ci sia il tempo tra il 30 settembre e il termine successivo. Allora, questa strategia di politica economica su cosa sarà basata? Ai ministeri cosa viene chiesto? Che senso ha parlare di una contrattazione tra Governo e ministeri, quando non sappiamo neanche che cosa succederà tra qualche mese?
  Ecco, tutto questo rischia di finire in una assoluta finzione a livello di strategia di politica economica. Si fingerà di avere la possibilità di definire dei saldi settoriali, invece si rimarrà nell'alveo della solita non-programmazione. Questo è uno scenario pessimistico o in realtà, a oggi, è quello che si potrebbe ipotizzare leggendo queste cose?
  Del resto, se non ci sono queste modifiche non si riuscirà, anche nelle migliori intenzioni, a realizzare queste fasi e a disegnarle in una sequenza. Questo è un timore che condividete?
  Da quello che si legge vi preoccupate che non ci siano addirittura i 10 giorni, quindi figuriamoci la possibilità di intervenire sul DEF.
  Il secondo dato che mi sembra molto importante è la chiarificazione sulla clausola di salvaguardia. Abbiamo letto molto sui giornali e quant'altro. Si è fatta una confusione totale tra il tipo di intervento che, appunto, qui si mette in atto e che riguarda interventi micro e mirati e le clausole di salvaguardia.
  Voi mettete in luce che qui si sta parlando di clausole di salvaguardia che riguardano singoli provvedimenti. Infatti, quella dell'IVA non è una clausola di salvaguardia, ma è una copertura, ovvero una misura che definisce una copertura. Poi, che venga presentata in questo modo non c'entra nulla con la sua natura.
  Questo è il motivo per cui quello di cui stiamo discutendo non può essere minimamente applicato al caso IVA ed accise, essendo le due cose concettualmente e proceduralmente diverse.
  Questo è importante anche per poterne discutere. Mi sembra che sia giusto questo richiamo alle varie opzioni. Tuttavia, ancora una volta stiamo parlando di provvedimenti che hanno una natura micro e quindi mirata.
  Come ultimo dato, abbiamo parlato proprio con l'ISTAT dell'introduzione del BES. Mi sembra che vi sia un giudizio positivo da parte di tutti. Tuttavia, è molto importante la selezione di questi indicatori e soprattutto la possibilità di stabilire un rapporto e delle relazioni che abbiano un qualche significato economico tra la variabile policy, da un lato, e gli indicatori BES, dall'altro. Infatti, se questo rapporto dovesse essere ambiguo e incerto, rischieremmo di ridurre, nel suo significato e nella sua implicazione, un'innovazione di grande portata.

  PRESIDENTE. Se posso intromettermi, prima di lasciare la parola al collega Cariello, vorrei dire che noi non avevamo la possibilità di normare una cosa che non esiste. Infatti, quelle che vengono definite «clausole di salvaguardia» non sono codificate da nessuna parte, ma sono figlie di un'esperienza storica richiamata qui del 2002 e riesaltata all'epoca con i tagli lineari, le deduzioni e le detrazioni dal Ministro Tremonti. Dopodiché, quegli strumenti, che auspico non tornino mai più, sono passati di Governo in Governo e di eredità in eredità.
  Di conseguenza, quella che viene chiamata «clausola di salvaguardia» in realtà non c'è nella legge di contabilità. Vorrei chiarire questo punto, altrimenti facciamo passare quelle che non esistono come clausole di salvaguardia, senza considerare quelle che erano normate e che stiamo modificando, a mio avviso correttamente.
  Dopodiché, la discussione è in corso anche con la Corte dei conti. Si tratta, infatti, di capire se è meglio un fondo oppure l'intervento attraverso un decreto ministeriale, definito anche dalla Corte dei conti come un atto amministrativo di dubbia origine. Se non lo facessimo, ci sarebbero comunque decreti ministeriali – come accade anche oggi – che regolano l'intervento, là dove le previsioni non sono corrette.
  Ora, è evidente che qui il tentativo è, innanzitutto, di responsabilizzare chi fa delle previsioni, ovvero i ministri competenti, che sono chiamati a essere responsabili molto più di oggi delle previsioni che fanno perché, se sono sbagliate, rispondono direttamente attraverso una riduzione del budget per il rateo dell'anno in corso.
  L'impatto sul triennio, cioè quello pluriennale, viene comunque affrontato con la legge di bilancio successiva, quindi stiamo parlando di alcuni mesi – se non di alcune settimane, dipenderà dall'errore – per l'anno in corso; ovviamente, questo sempre ammesso che si riesca a monitorare e che il Ministero dell'economia e delle finanze riesca a fare quest'attività che, a mio avviso, è fattibile.
  Allora, la discussione che dovremmo fare anche nelle Commissioni è questa. Auspico che questo modello possa aiutare, anche sul piano culturale, i Governi che verranno nell'interlocuzione con il Parlamento per evitare previsioni errate. Del resto, se dovesse venire in mente a qualcuno, di qui a qualche decennio, di rifare quello che è accaduto nei lustri precedenti, ci penseranno due o tre volte. L'importante è non chiamarle clausole codificate dalla legge n. 196 del 2009 perché quelle del 2002 nacquero sulla base di un'emergenza e di una scelta autonoma – a mio avviso sbagliata – che fu fatta in quel momento storico.
  Do, quindi, la parola al collega Cariello.

  FRANCESCO CARIELLO. Ringrazio il presidente Pisauro per questa dettagliata audizione. Tuttavia, le prossime volte dovremmo invertire l'ordine, cioè sentire prima l'Ufficio parlamentare di bilancio e poi tutti gli altri soggetti, in modo da acquisire tutti gli elementi e le criticità con cui interpretare, appunto, tutte le altre audizioni. Riguardo, invece, alla nota che ci ha depositato, ho delle richieste di chiarimento da sollevare.
  Innanzitutto, il riferimento alla questione degli investimenti, intesa come una delle criticità dettate dall'applicazione della legge n. 243 del 2012, ci trova perfettamente d'accordo. Questa è stata una delle criticità che noi, come gruppo parlamentare, abbiamo sempre evidenziato. È ormai un dato di fatto che l'introduzione del pareggio strutturale di bilancio ha limitato gli investimenti, quindi ci fa piacere che tale problematica venga ora riconosciuta.
  In un certo senso, la valutazione dell'Ufficio parlamentare di bilancio va nella direzione di porre ad essa rimedio con la soluzione proposta dal Governo. Francamente noi auspicheremmo, però, una soluzione più drastica, che ci consenta di svincolarci completamente dal vincolo del pareggio strutturale. A quel punto, gli investimenti potrebbero davvero liberarsi, tanto a livello locale quanto a livello centrale.
  Questa è la nostra proposta. Peraltro, si è parlato e si parlerà molto, anche durante la discussione della proposta di legge a prima firma Boccia, di questo approccio che vorremmo implementare.
  Per quanto riguarda, invece, il calendario rivisitato con la riforma della legge n. 196 del 2009, lei ha fatto notare che la tempistica sarebbe troppo ridotta, nel senso che tra la presentazione della manovra in Consiglio dei ministri e la trasmissione alla Commissione europea ci sarebbero solo tre giorni, mentre l'arco temporale di trasmissione alle Camere va oltre quei tre giorni. Di conseguenza, potrebbe ipotizzarsi uno scenario secondo cui il Consiglio dei ministri delibera la manovra, la trasmette alla Commissione europea e il Parlamento la riceve qualche giorno dopo, o comunque entro il termine di 12 giorni di flessibilità temporale previsto dalla norma.
  Ora, sono d'accordissimo nell'anticipare nella Nota di aggiornamento del DEF qualche dettaglio in più circa le reali intenzioni del Governo, ovvero sul fatto che essa indichi quali sono gli elementi di dettaglio della manovra che il Governo intende approntare, proprio per aumentare il rispetto delle Camere e dei parlamentari, che hanno la necessità di conoscere le intenzioni del Governo prima ancora che le conosca la Commissione europea.
  Questo, a mio avviso, è il punto centrale: prima ancora che la Commissione europea conosca i dettagli che il Governo vuole inserire nella manovra di bilancio, è bene che li conosca il Parlamento, ovvero l'Ufficio parlamentare di bilancio, sia per fare delle previsioni più dettagliate, sia per farli conoscere a tutto l'arco parlamentare.
  Venendo, invece, alla clausola di salvaguardia, il presidente Boccia ha svolto le sue considerazioni, ma non può passare inosservata la valutazione dell'Ufficio parlamentare di bilancio, che evidenzia il rischio giuridico connesso alle modalità per cui questa nuova impostazione comporta un eventuale atto ministeriale che va a correggere un'errata previsione di una legge.
  A nostro avviso, il Governo, nel caso in cui una legge non dovesse portare i risultati previsti, dovrebbe risponderne in toto. In sostanza, se un ministro ha sbagliato previsione nell'ambito di una norma è il Governo in toto che dovrebbe risponderne, e quindi rimodulare tutte le altre poste in gioco per far fronte a un errore di un singolo ministero, a meno che non metta quel ministro fuori dalla porta.
  In ogni caso, quel ministro non può deliberare una sospensione della norma e aprire il rischio di eventuali impugnazioni giuridiche da parte di cittadini che abbiano visto riconosciuto quel determinato diritto. A questo punto, dovremmo fare un fondo rischi per ogni norma, che ci costerà, però, quanto la previsione di spesa recata dalla norma medesima. Ecco, non mi metterei in una situazione del genere. Sarebbe meglio che il ministero faccia ricadere quelle errate valutazioni su tutti gli altri ministeri, e quindi che il Governo ne risponda in toto, altrimenti dovrebbero andare tutti a casa.
  Sugli indicatori di benessere, francamente ci colpisce la vostra valutazione sul fatto che un indicatore di benessere equo e sostenibile non sia un ottimo parametro di valutazione. Ci possiamo intendere sull'orizzonte temporale entro cui occorra valutare questi indicatori, perché è chiaro che un orizzonte temporale di tre anni può essere limitante per la valutazione di un indicatore di benessere. Possiamo, quindi, ampliare l'orizzonte temporale e inserire degli obiettivi a lungo termine, sui quali poi parametrare anche l'azione dei diversi Governi che si sono succeduti.
  Mi permetterei di suggerire anche una valutazione sull'impatto del rapporto debito-PIL di ogni singola norma, perché bisogna capire se una norma suscita un incremento o un decremento di tale rapporto, ma ciò in termini di sostenibilità più ampi, e quindi nell'ambito del triennio previsto dalla manovra di bilancio ed anche oltre.
  Non ho altre valutazioni e la ringrazio nuovamente per questa audizione.

  GIULIO MARCON. Ringrazio il professor Pisauro e tutto l'Ufficio parlamentare di bilancio. Devo dire che le vostre relazioni e la documentazione che ci portate sono sempre molto stimolanti, quindi avrei molte domande da fare, ma dovrò limitarmi a una sola questione, quella che più mi sta a cuore, per non abusare della vostra pazienza e del vostro tempo.
  Peraltro, vi ringrazio anche perché nella parte sugli indicatori di benessere, oltre ad avermi citato, avete richiamato anche la campagna Sbilanciamoci che su questi temi ha prodotto delle proposte nel corso degli anni, ma soprattutto ha sedimentato un'analisi realizzata e portata avanti in collaborazione con l'ISTAT e con altre istituzioni, che penso abbia dato un suo contributo.
  Vi ringrazio altresì perché nella parte sugli indicatori di benessere avete citato due temi che ho sollevato prima con l'ISTAT e che non erano stati richiamati.
  In primo luogo, faccio riferimento all'esperienza internazionale dell'OCSE, alla quale possiamo guardare e alla quale si è riagganciata anche l'ISTAT nell'avviare il lavoro sugli indicatori di benessere (BES). La seconda citazione importante concerne la Strategia Europa 2020, che è nel DEF e riguarda una serie di obiettivi che fanno riferimento a indicatori di benessere tra i più importanti, che quindi possono essere presi in considerazione.
  Tra l'altro, vorrei suggerire di approfondire, nel prosieguo del lavoro sulla proposta di legge Boccia, anche quello che è successo in Francia, dove un anno fa, nell'aprile 2015, è stata approvata una legge del Parlamento francese che va nella stessa direzione e impegna il Governo a presentare, il primo martedì di ottobre, una relazione sugli indicatori di benessere.
  È stato prescelto il primo martedì di ottobre perché questa data, teoricamente, permette di utilizzare quegli indicatori o di tenerne conto quando si vara la legge di stabilità, appunto per inserirvi le misure che dovrebbero sostenere, favorire e implementare quegli indicatori di benessere. È una legge composta di un solo articolo, ma sarebbe interessante capire come è stata realizzata. Peraltro, essa ha un solo anno di applicazione, ma potrebbe esserci di aiuto per capire come procedere anche qui in Italia.
  Su questo tema, in generale, voi fate due obiezioni. La prima riguarda l'individuazione degli indicatori stessi. Giustamente, dite che c'è un quadro eterogeneo, con esperienze internazionali, ma anche nazionali. Al riguardo, ritengo che il riferimento dell'OCSE, a livello internazionale, sia importante perché attraverso l'incontro tra il lavoro compiuto dall'OCSE e quello svolto in Italia dall'ISTAT e dal CNEL si potrebbe arrivare alla definizione di un quadro, ossia di un set selezionato e ragionato di indicatori che ci permetta di fare un lavoro concreto e realistico.
  Allo stesso tempo, proporrei di partire proprio dalla Strategia Europa 2020, che già c'è. Purtroppo, nel corso degli anni il numero di pagine ad essa dedicate si è sempre più ristretto all'interno del DEF, ma questo può essere un punto di partenza. A questo proposito, posso dire che già esiste un quadro di obiettivi sui quali si possono misurare gli indicatori, che, tra l'altro, riguarda l'insieme dei Paesi dell'Unione europea. Su questo, dunque, potremmo cominciare ad avere una base a partire dalla quale incrementare eventuali altre considerazioni. Questa è, pertanto, una sollecitazione che vi pongo.
  La seconda questione è che, secondo voi, è difficile elaborare delle previsioni. A questo riguardo, raccolgo la considerazione del deputato Cariello, che, del resto, è stata anche oggetto di confronto con il Ministro Padoan. In sostanza, si può prevedere l'effetto di questi indicatori nel quadro pluriennale.
  Tuttavia, senza spirito polemico, mi pongo una domanda per capire. Un provvedimento come la «Buona Scuola» contiene una previsione di impatto sul PIL, là dove si dice che nel 2020 ci sarà un certo impatto, nel 2015 un altro ancora e via dicendo. Allora, se si riesce a calcolare l'impatto macroeconomico di un provvedimento come la «Buona Scuola», perché non si può prendere la «Buona Scuola» e valutarne l'impatto, per esempio, sulla lotta all'abbandono scolastico, che è uno degli obiettivi della Strategia Europa 2020?
  Visto che si prevede che nel 2020 la «Buona Scuola» farà aumentare il PIL dello 0,3 per cento – e sarei curioso di sapere con quale modello è stata fatta questa previsione nel DEF – si può pensare a dei modelli anche per questo? Forse qui serve l'incrocio di discipline diverse, tuttavia ci sono sperimentazioni fatte in altri Paesi europei, quindi nell'arco pluriennale si può ragionare dell'impatto di alcune misure su alcuni indicatori che ci interessano.
  Faccio un secondo esempio e chiudo. Sempre riguardo alla Strategia Europa 2020, quale impatto possono avere le norme di incentivazione fiscale per le energie rinnovabili, spesso contenute nella legge di stabilità, rispetto all'incremento della percentuale delle rinnovabili stesse nel corso degli anni?
  Su questo abbiamo dei risultati raggiunti, quindi partiamo bene per quanto riguarda la Strategia Europa 2020. Tuttavia, l'impatto di queste misure è un indicatore interessante che poi ci permette di capire, per esempio, l'impatto nella riduzione di CO2, che è uno degli indicatori di benessere.
  Ciò detto, lei ha ragione su un punto. Premesso che bisogna cercare di capire quali sono gli indicatori che dal punto di vista quantitativo ci aiutano a procedere nella realizzazione e nel rispetto di quanto previsto da questa proposta di legge, lei dice che, giustamente, non dobbiamo usare lo stesso metodo. Infatti, se critichiamo il criterio quantitativo del PIL, non possiamo utilizzare lo stesso criterio per valutare il benessere, visto che ci sono elementi di qualità che spesso non rispondono a una misurazione strettamente quantitativa.
  Sono d'accordo con lei, ma bisogna tener conto che su alcuni aspetti, la misurazione quantitativa del processo che porta al miglioramento di alcuni dati, contenuti per esempio negli obiettivi della Strategia Europa 2020, ci aiuta a capire effettivamente che il benessere sta migliorando.
  Su questo c'è una sperimentazione da fare e sicuramente ci darete una mano per procedere in questa direzione.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Pisauro per la replica.

  GIUSEPPE PISAURO, presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Seguo l'ordine delle domande.
  Senatore Guerrieri Paleotti, la questione del top-down è cruciale e, anche se forse non è esplicito, rappresenta come un filo rosso che lega molti dei temi che abbiamo toccato e che lei ha citato. Una considerazione iniziale è che i dubbi nascono dall'esperienza che viviamo quotidianamente. Infatti, questo tipo di richieste nei documenti programmatici erano presenti già nella legge n. 362 del 1988.
  Il filo rosso è che nel DEF dovrebbero essere indicati questi obiettivi. Chiaramente, se poi vogliamo fare il passaggio successivo di non chiedere ai ministeri cosa serve loro, ma di attribuire ai ministeri stessi un budget all'interno del quale devono trovare spazio le varie iniziative, bisogna che nel DEF non ci si limiti a dire quali sono gli obiettivi sul complesso delle pubbliche amministrazioni, bensì anche sul complesso dello Stato.
  Il discorso da cui siamo partiti è la difficoltà di programmazione degli enti territoriali, ma allora occorrerà prima dire qualcosa anche agli enti territoriali, una volta fissati gli obiettivi programmatici sul complesso delle entrate o delle spese.
  Questa discussione, potenzialmente, può portare a questo. Nel documento che abbiamo distribuito citiamo un esempio. Al di là del merito dell'iniziativa, la questione della «Buona Scuola» è stata trattata dalla scorsa legge di stabilità fissando un ammontare di risorse e dicendo come sarebbero state utilizzate. Le norme di dettaglio sono arrivate dopo, quindi si era aumentato il budget del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con una somma complessiva, ma si è stabilito solo dopo come doveva essere spesa.
  Sicuramente il top-down è un elemento cruciale. Sulla fiducia che questo possa realizzarsi, cominciamo a vedere dei segnali, non solo qui, ma anche rispetto al discorso che abbiamo affrontato qualche settimana fa riguardo ai decreti legislativi sulla questione dei contratti con i ministeri e via dicendo. Questo è un elemento che presuppone che da qualche parte sia stato detto prima quali sono i vincoli di carattere finanziario per ciascun ministero.
  Ovviamente, le cose si possono fare in modi molto diversi. Ritornando alla questione degli enti territoriali si possono anche immaginare percorsi anticipati per il complesso degli enti territoriali riguardo anche alla manovra, in maniera da dare il tempo agli enti territoriali di predisporre i propri bilanci.
  C'è, infatti, la questione che, comunque, anche nella migliore delle ipotesi, avranno la certezza sull'effetto del nuovo intervento sul bilancio sempre a fine anno, mentre dovrebbero poter fare i loro bilanci prima.
  Sulla clausola di salvaguardia continuo a pensare che dipende da che cosa parliamo. Faccio un esempio. Ci sono degli interventi di spesa la cui previsione è eroica. Consideriamo una misura dello scorso anno come la decontribuzione. Ebbene, prevedere quanto sarebbe costata è un esercizio quasi impossibile. Si possono indicare dei tetti massimi, dei range e così via, quindi c'è sicuramente questa dimensione. Lo stesso vale per misure come quelle di cui si discute – da quello che capisco, per il momento non in Parlamento – sulla flessibilità in uscita per le pensioni.
  In quel caso, la valutazione è complicatissima perché bisognerebbe valutare quanti soggetti se ne avvarrebbero, nonostante la penalizzazione. Onestamente, gli elementi per fare una valutazione precisa e affidabile di questo tipo non ci sono tutti, quindi dobbiamo scontare che per quel tipo di interventi la previsione sarà, con molta probabilità, quasi certamente sbagliata. Visto che ci sarà un numero secco, sarà – ripeto – quasi certamente un numero sbagliato. Insomma, se dovessi scommettere, direi che sarà un numero sbagliato.
  Se parliamo di questo, allora vincolare l'efficacia di norme che hanno una portata di carattere generale, ovvero attribuiscono diritti, a un monitoraggio di difficile realizzabilità, mi sembra un'operazione dubbia. Mi sembrerebbe molto più ragionevole avere un fondo, semmai incrementato, per le spese impreviste o qualcosa del genere. L'intervento sulla singola misura, voce per voce, mi sembra difficile anche dal punto di vista della realizzabilità pratica. Bisognerebbe stabilire, per ciascuna di esse, di quanto si è fuori.
  Onorevole Cariello, per quanto concerne le criticità riguardo gli investimenti e la necessità di svincolarsi dal pareggio strutturale, su questo alzo le mani, ma stiamo ragionando all'interno di quel quadro di regole. Personalmente nutro simpatia per la tesi della golden rule, come ho scritto in precedenza, però da presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio non posso entrare su questo terreno.
  Sulla questione del calendario, anticipare nella Nota di aggiornamento del DEF gli elementi di dettaglio sarebbe la soluzione più opportuna e più efficace rispetto ai problemi di cui parliamo. Poi, che il Parlamento debba saperlo prima della Commissione europea non è un tema che riguarda la mia sensibilità di economista, ma come cittadino direi senz'altro di sì.
  La soluzione per cui il disegno di legge di bilancio viene approvato nella prima sezione dal Consiglio dei Ministri il 12 di ottobre, dopodiché rimane in un cassetto fino al 24 dello stesso mese per essere poi presentato al Parlamento, crea qualche dubbio. Non so se sia possibile presentare un disegno di legge in due sezioni, rinviandone l'integrazione a un momento successivo, cioè entro i 12 giorni successivi. In ogni caso, gli elementi per la somma sono già tutti presenti nelle due sezioni. Mi dicono, però, che si tratta di un unico atto. Su questo non voglio discutere.
  Riguardo al rischio giuridico della clausola di salvaguardia, che a me interessa fino a un certo punto, vorrei dire che c'è anche un rischio di affidabilità della valutazione.
  Lei vorrebbe, inoltre, vedere misura per misura qual è l'effetto sul rapporto debito-PIL? Nella legge di stabilità, l'effetto sul rapporto debito-PIL è espresso. Comunque, in linea di principio bisognerebbe vedere l'effetto sul PIL e quello sul disavanzo, se c'è, e poi la retroazione e via dicendo. Ovviamente, se lo facciamo su un complesso di misure di una certa portata quantitativa ha senso; se, invece, immaginiamo di farlo su singole misure è un esercizio poco affidabile.
  Passando alle domande dell'onorevole Marcon sugli indicatori di benessere, condivido quello che ha detto. L'esempio delle energie rinnovabili è ottimo – poi tornerò sulla questione del debito. Tuttavia, questo vuol dire che a seconda del tipo di intervento che prevede quel particolare provvedimento sono interessanti certi indicatori anziché altri. Bisognerebbe chiarire questo aspetto.
  Il mio timore è che si faccia la fine di misure come l'analisi dell'impatto della regolazione, in cui allegata alla legge c'è una relazione che dice quale sarà l'effetto su 30 indicatori. Eviterei, pertanto, di essere rigidi nell'indicazione. Soprattutto, occorrerebbe prevedere una fase sperimentale in cui la valutazione di quegli indicatori sia riservata a misure che hanno una certa massa critica, per cui ha senso compiere la valutazione.
  Questo vale pure per il debito perché spesso si pretende di misurare cose che generalmente non sono misurabili, soprattutto nel caso di singole leggi. Ciò significa svuotare completamente la credibilità dell'utilizzo di quello strumento. Questo, almeno, è il mio punto di vista. Credo di aver risposto a tutti.

  PRESIDENTE. La ringraziamo per la sua esaustiva relazione. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 19.50.