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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

VI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 9 luglio 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Capezzone Daniele , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUGLI STRUMENTI FISCALI E FINANZIARI A SOSTEGNO DELLA CRESCITA, ANCHE ALLA LUCE DELLE PIÙ RECENTI ESPERIENZE INTERNAZIONALI

Audizione del professor Innocenzo Cipolletta, Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI).
Capezzone Daniele , Presidente ... 3 
Cipolletta Innocenzo  ... 3 
Capezzone Daniele , Presidente ... 6 
Gutgeld Itzhak Yoram (PD)  ... 6 
Colaninno Matteo (PD)  ... 6 
Causi Marco (PD)  ... 7 
Capezzone Daniele , Presidente ... 7 
Cipolletta Innocenzo  ... 7 
Gervasoni Anna , Direttore generale dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI) ... 8 
Capezzone Daniele , Presidente ... 9 

Audizione del dottor Gian Luca Santi, Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA:
Capezzone Daniele , Presidente ... 9 
Santi Gian Luca , Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA ... 9 
Capezzone Daniele , Presidente ... 12 
Gutgeld Itzhak Yoram (PD)  ... 12 
Paglia Giovanni (SEL)  ... 12 
Sottanelli Giulio Cesare (SCPI)  ... 12 
Capezzone Daniele , Presidente ... 13 
Santi Gian Luca , Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA ... 13 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 13 
Santi Gian Luca , Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA ... 14 
Capezzone Daniele , Presidente ... 14 

ALLEGATI:

ALLEGATO 1: Documentazione consegnata dal professor Innocenzo Cipolletta ... 15 

ALLEGATO 2: Documentazione consegnata dal dottor Gian Luca Santi ... 27

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DANIELE CAPEZZONE

  La seduta comincia alle 11.10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del professor Innocenzo Cipolletta, Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali, l'audizione del professor Innocenzo Cipolletta, Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI).
  Do la parola al professor Cipolletta, che saluto e ringrazio, al quale chiedo di delineare un quadro della situazione attuale e anche di fornirci alcune linee di riflessione e di possibili iniziative.

  INNOCENZO CIPOLLETTA, Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI). Vi ringrazio per questa audizione, alla quale partecipo insieme alla professoressa Anna Gervasoni, Direttore dell'AIFI, l'associazione che raggruppa gli operatori del private equity e venture capital. Abbiamo preparato una breve relazione, che è in distribuzione. Cercherò di non dilungarmi sul documento, rimanendo invece a disposizione per le vostre domande.
  Il private equity ha subìto una forte evoluzione nel corso degli anni, modificando la sua stessa natura, in Italia e negli altri Paesi. Dopo i primi anni, caratterizzati da una espansione molto forte, soprattutto in attività di turnaround e di grandi investimenti, il private equity, negli ultimi anni, si è dedicato ad attività più contenute, ossia ad interventi su imprese più piccole rispetto a quanto avvenuto in precedenza. Inoltre, ha teso a mantenere il possesso delle imprese più a lungo e, soprattutto, a ridurre la leva finanziaria, ossia il debito che era stato contratto, correggendo alcuni eccessi che avevano caratterizzato tale istituto nei primi anni.
  La funzione del private equity è, in questo momento, particolarmente importante per un Paese come l'Italia, in cui le imprese incontrano forti difficoltà a reperire capitale e, soprattutto, debito e, quindi, si trovano in una situazione di credit crunch forte. Il private equity è lo strumento attraverso il quale è possibile apportare capitali nelle imprese, in particolare in quelle che si pongono obiettivi di crescita, di ristrutturazione e di investimento all'estero.
  I risultati del private equity, in Italia, sono stati positivi anche nel corso degli ultimi anni. Abbiamo svolto alcune analisi, sintetizzate nella relazione, sull'andamento delle imprese possedute da fondi di private equity rispetto a un campione di Pag. 4imprese similari, ma non possedute dal private equity, e abbiamo riscontrato che i risultati, in termini di crescita, sia dei ricavi, sia dei dipendenti, sono stati positivi.
  Questo significa che esiste una capacità di selezione da parte di questi strumenti, ma anche che l'iniezione di capitale e di competenze risulta essere molto efficace. I fondi di private equity, infatti, non apportano soltanto capitale nelle aziende, ma anche conoscenze manageriali e gestionali, nonché una rete di relazioni.
  Occorre tenere conto del fatto che molti di questi fondi hanno carattere internazionale, conoscono il mercato, anche internazionale, e favoriscono processi di acquisizione di imprese all'estero, proprio perché dispongono di una rete di conoscenze. Un'impresa supportata da un fondo di private equity spesso ottiene possibilità maggiori di crescita.
  Nel corso degli anni il private equity ha affrontato i problemi che sono stati riscontrati in tutto il sistema economico. Innanzitutto, si è assistito al ridursi delle fonti di finanziamento. Premetto che le due fonti di finanziamento principali per l'Italia erano, essenzialmente, le banche, da un lato, e il mercato internazionale dei capitali, dall'altro.
  Le banche hanno avuto i problemi che tutti conosciamo ed hanno ridotto il loro interesse verso questo settore, mentre il sistema internazionale mantiene un forte interesse sul private equity italiano. Tuttavia, come sapete, la crisi dell'euro, nel corso degli ultimi anni, ha, di fatto, frantumato il mercato monetario europeo: si sono ridotti i flussi di investimento tra un Paese e l'altro, al punto tale che anche il nostro settore ha finito per subire una riduzione.
  Nella relazione sono fornite alcune informazioni circa il peso degli investitori esteri in Italia, che nel 2010 erano praticamente assenti. Ora si assiste ad una ripresa della loro presenza e possiamo testimoniare l'attuale esistenza di un interesse da parte degli investitori internazionali. Come AIFI, abbiamo tenuto, alla fine di maggio, un incontro a Londra, nel quale l'industria del private equity italiano si è confrontata con una trentina di investitori istituzionali internazionali. L'incontro è stato molto positivo ed abbiamo riscontrato un ritorno di interesse, soprattutto da parte dei fondi pensione internazionali.
  Evidentemente, però, tale interesse resta sempre condizionato dalle vicende relative all'Euro. Infatti, davanti al rischio di un Euro che si spacca, il sistema entra in crisi, poiché nessuno investe in un Paese che, in tale ipotesi, finirebbe fra quelli soggetti a una svalutazione, in quanto l'investitore finirebbe per perdere il capitale investito.
  Questa è la remora principale che ci è stata rappresentata a livello internazionale. Devo dire, però, che il parere degli investitori istituzionali, anche nei confronti della stabilità dell'Italia, è migliorato notevolmente nel corso degli ultimi diciotto mesi. Da questo punto di vista, quindi, speriamo che vi saranno evoluzioni positive.
  Nella relazione che ho fornito, vi sono alcune informazioni sul private equity, settore che conta 160 operatori. Occorre sottolineare che, nel corso degli ultimi anni, sono intervenuti due operatori particolari nel private equity: il Fondo strategico italiano e il Fondo italiano d'investimento. I due fondi citati hanno vivacizzato il mercato e svolto una funzione che deve ritenersi positiva, proprio perché il mercato, negli anni più bui della recessione, si è trovato in una situazione particolarmente difficile.
  Mi soffermo ora brevemente sul settore del venture capital, che in Italia è particolarmente contenuto, mentre, in altri Paesi, svolge un ruolo molto importante, soprattutto in una fase, come quella attuale, dominata da innovazioni tecnologiche molto diffuse e che vede la nascita di imprese basate su nuove tecnologie. I fondi di venture capital sono quelli che, negli Stati Uniti d'America, ma anche in Francia, in Spagna, in Germania e in Inghilterra, hanno consentito a molte iniziative di crescere e di affermarsi.Pag. 5
  In Italia, invece, il venture capital è piuttosto trascurato. Esiste, ma in dimensioni molto ridotte, ed è frastagliato nel Paese, con fondi che spesso hanno origine dalle finanze locali. Il motivo è che in Italia non esiste una vera politica a favore di tale settore. Nonostante il provvedimento emanato dal Governo Monti volto ad incentivare le start-up e una parte del venture capital, credo che vi sia ancora molto da fare in questo campo.
  Occorre sottolineare che, in tutti i Paesi, il venture capital è una forma di investimento utilizzata dai fondi pensione. Questi ultimi, infatti, operano secondo logiche di medio-lungo termine e, quindi, sono i più adatti ad investire nel venture capital, essendo uno strumento finanziario di medio-lungo termine, in grado di dare buoni risultati, ma non a breve termine. I fondi pensione sono, dunque, quelli che, negli altri Paesi, investono di più in questo settore.
  In Italia, invece, questa forma di investimento è molto ridotta e tale aspetto deve essere considerato anche in relazione alla configurazione dei fondi pensione italiani, che sono molto piccoli e frastagliati. Non ci sono fondi pensione di grandi dimensioni. Alcuni stanno assumendo dimensioni maggiori, ma sono ancora relativamente piccoli.
  La legislazione impone, giustamente, anche a questi fondi, di possedere una capacità di conoscenza e di valutazione degli strumenti finanziari in cui investono. Tuttavia, i fondi relativamente piccoli non hanno una simile capacità di analisi e finiscono per trascurare questo settore, con un reciproco danno: potrebbero, infatti, apportare un buon rendimento ai fondi pensione e, al tempo stesso, fornire al nostro Paese una maggiore capacità di investimento nel venture capital.
  Vorrei porgervi, molto brevemente, tre riflessioni sulle possibili misure per migliorare la situazione dell'industria del private equity e del venture capital nel nostro Paese, affinché la sua azione possa essere di maggior stimolo alla crescita economica, in una fase delicata, come quella presente, in cui, come dicevo, scarseggiano molto il credito e la finanza d'impresa.
  Una prima riflessione riguarda il quadro regolamentare sulle Società di gestione del risparmio italiane, le SGR. Inizio dalla considerazione che i nostri fondi hanno dimensioni relativamente piccole, ma sono sottoposti ad una regolamentazione pensata per i fondi di gestione di rilevanti dimensioni, i quali si possono permettere anche i costi fissi, molto elevati, richiesti per il rispetto dei criteri imposti dalla regolamentazione.
  Questo fatto sta spingendo alcuni dei nostri fondi ad assumere forme diverse, come le investment company, che sono sottoposte ad una minore regolazione, ma, al tempo stesso, offrono minori garanzie per gli investitori. I fondi si difendono, dunque, dalla regolamentazione, orientandosi verso queste tipologie, ma finiscono per non avere la capacità di attrarre capitali, perché chi investe deve avere garanzie.
  Esiste una via di mezzo, che si ispira al principio della proporzionalità, e che dovrebbe consentire, ai fondi che hanno dimensioni più piccole, il rispetto di regole per rassicurare il mercato e permettere, al contempo, una semplificazione delle procedure. Si potrebbe ottenere questo risultato cogliendo l'opportunità dell'applicazione del Regolamento europeo n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital. Si potrebbe semplificare la normativa, attraverso l'applicazione diretta della normativa europea e senza aggiungere altro, come già avvenuto in casi analoghi nel nostro Paese.
  La seconda considerazione è un auspicio che l'AIFI ha espresso da molto tempo ed è contenuta anche nel documento redatto dalla Commissione dei «saggi» istituita dal Presidente della Repubblica nel marzo di quest'anno. Si tratta della creazione di un fondo di venture capital. Come dicevo prima, tale settore, in Italia, presenta dimensioni relativamente contenute, mentre in altri Paesi l'operatore pubblico Pag. 6mette a disposizione di tale settore fondi pubblici che possono servire da volano per attrarre anche fondi privati.
  Come è possibile realizzare un simile obiettivo ? Se si mettono all'asta fondi pubblici allo scopo di intervenire in fondi di venture capital, ovviamente attraverso una selezione che garantisca la qualità di tali fondi, la parte del fondo pubblico coinvolta potrebbe avere una remunerazione contenuta e posticipata, e consentire una maggiore remunerazione da parte dei privati che investono. Senza aggravare il fondo di oneri maggiori, questa operazione consentirebbe una maggiore attrattività per il capitale privato.
  Questa potrebbe essere una via per favorire il dimensionamento dei fondi di venture capital, i quali, come accennavo prima, rappresentano un elemento importante nella strategia della crescita industriale del Paese in una fase, come quella attuale, attraversata da profonde innovazioni tecnologiche.
  Inoltre, l'AIFI ha partecipato al tavolo della Consob per gli incentivi alla quotazione. Come sapete, la quotazione è uno degli strumenti di way out per i fondi, forse il più nobile: un fondo investe in un'impresa non quotata, la fa crescere, e poi, per disinvestire, la quota in Borsa e cerca nuovi azionisti, che determinano, per tale via, il prezzo dell'azienda. Questa è la modalità ordinaria.
  È ovvio che le imprese che vengono quotate in Borsa non saranno mai di dimensioni particolarmente rilevanti, ma si tratta di imprese relativamente piccole. Anche in questo caso, quindi, occorre un processo di semplificazione e di riduzione dei costi per la quotazione. Anche attraverso questa via si può favorire il capitale d'impresa.
  Con questa considerazione concludo la mia introduzione, chiedendo alla professoressa Anna Gervasoni, se ritiene, di aggiungere ulteriori riflessioni. In caso contrario, rimaniamo a disposizione per rispondere alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ITZHAK YORAM GUTGELD. Grazie per la presentazione. Ho una domanda sul tema dei distressed fund, ossia sui fondi che si specializzano in aziende in difficoltà e che hanno bisogno di una ristrutturazione. In Italia, come ben sappiamo, ci sono ormai centinaia di aziende, anche di dimensioni rilevanti, che consentirebbero il ricorso al private equity, ma, per quanto mi risulta, ci sono pochi fondi che hanno questa specializzazione, che richiede effettivamente alcune caratteristiche precise. Volevo sapere la vostra posizione a tale riguardo e se si può fare qualcosa per favorire la formazione di questi fondi.

  MATTEO COLANINNO. Ringrazio e saluto Enzo Cipolletta e Anna Gervasoni per la loro audizione. Condividendo in toto l'impianto della relazione del professor Cipolletta, volevo porre due quesiti, che di fatto si riducono a uno, perché il collega Gutgeld ha già anticipato la domanda che avrei posto anch'io sui distressed fund.
  Oggi il professor Cipolletta, di fatto, rappresenta, per la sua duplice veste di presidente dell'AIFI, ma anche del Fondo italiano, la finanza di impresa italiana, o larga parte di essa. Una prima domanda è stata, quindi, già posta dal collega. La seconda è forse in parte esterna alla focalizzazione della relazione che il professore ha svolto.
  Oggi, in Italia, siamo in presenza di un sistema di impresa altamente sottocapitalizzato, come, d'altronde, era nelle premesse del professor Cipolletta, con tutte le conseguenze che derivano da questa sottocapitalizzazione in termini di struttura proprietaria, finanziaria, organizzativa e manageriale. In questa fase, tra crisi e nuova era globale, stiamo soffrendo in modo pesante questo problema.
  Esistono, in Italia, alcuni strumenti fiscali, previsti in altre fasi – ricordo, da una parte, alla fine degli anni Novanta, la Dual Income Tax e, dall'altra, più di recente, l’Allowance for Corporate EquityPag. 7promossa dal Governo Monti – che cercavano di risolvere, da un punto di vista fiscale, il problema della sottocapitalizzazione, stimolando la crescita delle imprese.
  Oggi, in presenza di un sistema, purtroppo, ampiamente colpito dalla crisi e, quindi, caratterizzato da forti perdite diffuse, in mancanza di strumenti efficaci in grado di stimolare la capitalizzazione, e in presenza ancora di masse finanziarie molto rilevanti sul private banking, sui fondi gestiti, a vostro giudizio, possono esistere strumenti fiscali in grado, anche in presenza di forti perdite diffuse nel sistema delle imprese aziendali, di stimolare il passaggio di risorse dal capitale privato e personale ai patrimoni netti delle imprese ?

  MARCO CAUSI. Anch'io ringrazio il professor Cipolletta e vorrei esprimere una curiosità: fra i fondi potenzialmente interessati a investire in Italia e in Europa, come vede, dal suo osservatorio, l'interesse dei fondi sovrani ? È necessario attrarli un po’ di più ? In Francia è in corso una profonda discussione su questo tema, per quanto riguarda numerose posizioni che il fondo sovrano del Qatar ha assunto presso i nostri vicini francesi. Che rapporto c’è fra i fondi italiani che lei rappresenta e i fondi sovrani ?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  INNOCENZO CIPOLLETTA, Presidente dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI). Comincio a rispondere, chiedendo sin da ora alla professoressa Gervasoni di integrare il mio intervento. Quanto ai distressed fund, in Italia non esiste un fondo veramente dedicato a queste operazioni, anche se noi ci occupiamo di fondi di turnaround, ossia di fondi che intervengono all'interno delle imprese per rilanciarle e, quindi, per cambiarne totalmente la gestione. È un'operazione che si avvicina a quella dei distressed fund, ma non abbiamo, almeno che io sappia, operatori specializzati in questo settore.
  Credo che, da questo punto di vista, uno degli ostacoli principali sia stata la legge fallimentare, recentemente oggetto di modifica. Come sapete, essa presenta ancora alcune criticità, ma, a mio avviso, è stata modificata nella giusta direzione, anche se ciò non toglie che essa possa essere ulteriormente migliorata.
  Se diamo alle imprese la possibilità di essere rilanciate e di non essere sottoposte alla tradizionale procedura fallimentare, che dura anni e che viene bloccata dai creditori, possono anche nascere distressed fund in grado di intervenire e cambiare la situazione. A me sembra che le modifiche della legge sul fallimento siano tali da non alterarla in maniera sostanziale e, quindi, potrebbero essere utili anche a tale fine.
  Inoltre, vorrei sottolineare che stanno nascendo in Italia fondi (che non sono i distressed fund) rivolti alla finanza d'impresa, alle obbligazioni e al debito, più che al capitale. Anche questi sono strumenti alternativi che possono essere utilizzati nel campo delle imprese.
  Quali strumenti fiscali esistono per le imprese sottocapitalizzate ? Effettivamente, credo che, sia la Dual Income Tax, sia la successiva misura disposta dal Ministro Tremonti, siano due strumenti volti a favorire fiscalmente l'investimento dell'azionista nella propria azienda. Una simile operazione è stata utile, anche se limitata nel tempo, ma probabilmente, in una fase recessiva forte come quella attuale, risulta più velleitaria, anche se potrebbe rimanere in piedi, perché tutti aspettiamo che questa fase finisca. Se, una volta terminata, si dovesse attendere ancora per decidere quale tipo di provvedimento attuare, si perderebbe tempo. Non escluderei che una formula di Dual Income Tax possa essere disposta anche in questa fase, non perché utile nell'immediato, ma in una prospettiva futura.
  L'aspetto che dovrebbe essere valutato, come abbiamo avuto modo di constatare nella nostra attività, come fondi, è invece quello di una legislazione più favorevole, dal punto di vista fiscale, per le fusioni e per le acquisizioni, posto che in una fase di recessione si innesca un processo di Pag. 8aggregazione forzata. Ci sono, infatti, imprese che vanno male e che, in ultima analisi, sono più facili da acquisire da parte di altre imprese, con la creazione, in tal modo, di imprese in grado di tenere meglio il mercato. Si assiste, quindi, ad una selezione del mercato, fenomeno, purtroppo, proprio di una fase di recessione.
  Se si favoriscono i processi di aggregazione e si evitano i fallimenti, si può consentire alle imprese di crescere come dimensione e, quindi, di diventare più capaci di attirare i capitali, di contrarre debito e di superare, in prospettiva futura, le difficoltà. Da questo punto di vista, credo che si potrebbe individuare una misura che favorisca i processi di acquisizione e di fusione, ovviamente a condizione che non siano operazioni fiscalmente elusive, anche se esistono gli strumenti per verificare che tali operazioni abbiano un carattere industriale.
  Per i fondi sovrani l'interesse esiste. Come sapete, il Qatar si è appoggiato al Fondo strategico, che verosimilmente ha un eccesso di patrimonio da spendere, ed ha formato con esso un fondo dedicato proprio all'Italia, attraverso un co-investimento.
  A livello di co-investimenti, anche il Fondo italiano d'investimento riceve alcune sollecitazioni, non tanto dai fondi sovrani, quanto dai fondi esteri interessati a investire in Italia. Qual è il problema dei fondi esteri e dei fondi sovrani ? Per investire in un Paese come l'Italia, che non ha imprese di grandi dimensioni sul mercato, ma una miriade di buone piccole e medie imprese, occorre un’expertise locale molto forte.
  Questi fondi non se la sentono di crearsela da soli, né di andare «alla ventura» con gli acquisti, a meno di acquisizioni rilevanti, come avvenuto con la Valentino, che è un marchio conosciuto, sul quale era possibile un'efficace due diligence. Quando si tratta, invece, di investire in piccole e medie imprese, è necessaria la conoscenza diretta delle stesse. L'interesse, pertanto, esiste sicuramente e credo possa essere sollecitato da politiche anche di carattere internazionale, poiché sono proprio queste ultime a poter attrarre tali fondi.

  ANNA GERVASONI, Direttore generale dell'Associazione italiana del private equity e venture capital (AIFI). Aggiungo soltanto due considerazioni. Come diceva il presidente, non vi sono veri e propri fondi distressed e, nell'ambito dei fondi di turnaround, ce ne sono solamente due, un numero molto basso. Questa è una gravissima carenza dell'Italia, se solo si guarda ad agli altri Paesi dell'Europa continentale e dell'Inghilterra, dove tali fondi sono di gran lunga più numerosi.
  Ci sono stati alcuni fondi internazionali che, in passato, sono venuti a lavorare in Italia ed hanno compiuto alcune operazioni di turnaround. Oggi il quadro normativo è decisamente cambiato a favore di queste operazioni, anche a seguito della modifica della legge fallimentare prima ricordata dal presidente e a tutto ciò che ad essa è collegato.
  Il vero problema è che questi fondi turnaround o distressed fanno una gran fatica a raccogliere capitali. Il tema del fund raising per questi ultimi, a maggior ragione, è veramente difficile. Se si propone un fondo distressed, con un team indipendente, ai fondi pensione e alle assicurazioni, non si ricava nulla. Ci sono numerose esperienze che, purtroppo, non hanno potuto proseguire, pur avendo un team di grande qualità e dalle notevoli competenze professionali.
  Noi stiamo lavorando su questo fronte, cercando di convincere gli investitori a considerare ogni tipologia di fondi e di strumenti che possono nascere. Non si tratta tanto della presenza di vincoli normativi, quanto di azioni di stimolo del mercato che, in Italia, sono completamente assenti.
  Per quanto riguarda, invece, il tema della capitalizzazione delle imprese e del collegamento con il private banking, stiamo lavorando moltissimo anche con l'Associazione italiana private banking proprio per cercare di canalizzare – anche con strumenti ad hoc, che oggi non sono Pag. 9previsti, ma che sono in fase di studio, con la collaborazione di Banca d'Italia – i capitali del private banking verso fondi di private equity, magari piccoli, che facciano aumenti di capitale molto specializzati sulle imprese (non necessariamente le stesse) di imprenditori che hanno capitali sul private banking. Stiamo cercando di attivare questi circuiti, che ritengo siano preziosi.
  Mentre nel primo caso, quello dei fondi distressed, è importante, a giudizio dell'AIFI, che queste strutture nascano in modo indipendente dal mondo bancario per evitare conflitti di interesse piuttosto evidenti, nel secondo caso la collaborazione con il mondo bancario è, invece, molto preziosa, poiché vi è un'importante attività nel settore del private banking e nel corporate finance, che viene svolta con il supporto alla finanza aziendale. In tale contesto collaboriamo anche con l'Associazione bancaria italiana.

  PRESIDENTE. Grazie davvero al professor Cipolletta e alla professoressa Gervasoni. Faremo tesoro degli stimoli proposti.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal professor Cipolletta (vedi allegato 1) e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione del dottor Gian Luca Santi, Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, anche alla luce delle più recenti esperienze internazionali, l'audizione del dottor Gian Luca Santi, Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA, che abbiamo il piacere di avere qui presente insieme al dottor Genovese, responsabile delle relazioni istituzionali.
  Do la parola al dottor Santi.

  GIAN LUCA SANTI, Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA. Signor Presidente, ringrazio la Commissione per l'opportunità fornita dall'odierna audizione. Sono Gian Luca Santi, Direttore generale per la pianificazione immobiliare e le società diversificate del Gruppo Unipol.
  Nell'odierna relazione è mia intenzione inquadrare, in modo sintetico, il tema degli strumenti a sostegno della crescita, scendendo nel dettaglio, con particolare riferimento ai mini bond, al fine di far comprendere le possibili criticità che le compagnie assicurative incontrano nelle operazioni di investimento che utilizzano tali strumenti.
  Oltre a ciò, con l'ausilio di una presentazione, indicherò alcune possibili proposte operative per favorire ed utilizzare queste nuove strutture finanziarie. Qual è il ruolo delle assicurazioni italiane, nel loro ruolo di investitori ? Per darvi molto rapidamente un'idea, le assicurazioni italiane hanno al loro attivo, come investimenti, oltre 500 miliardi di euro di asset, che sono distribuiti, per poco più dell'80 per cento (451 miliardi), nel ramo vita e, per 76 miliardi, nel ramo danni. Al passivo, in relazione agli impegni nei confronti degli assicurati, vi sono oltre 500 miliardi anche in quest'ambito, di cui l'80 per cento è rappresentato dal ramo vita. Sia gli attivi, sia i passivi, rispetto al 2011, risultano essere in crescita, nel 2012, nell'ordine del 2-3 per cento.
  Per capire meglio che cosa rappresentino questi investimenti, come si vede nella slide, dei 400 miliardi degli attivi a copertura, ossia degli investimenti, oltre il 60 per cento è rappresentato da titoli di Stato. Oltre il 60 per cento degli investimenti delle compagnie assicurative è, dunque, composto da titoli di Stato e oltre il 21 per cento da obbligazioni. Complessivamente, l'80 per cento degli investimenti è costituito da titoli di Stato e da titoli obbligazionari, sia corporate, sia finanziari.
  Concentro l'attenzione su questo punto, poiché, come mostrato nella slide, tutti gli altri investimenti sono residuali. Come dirò più avanti, i limiti che l'Autorità di vigilanza impone alle compagnie assicurative Pag. 10sugli investimenti in altri titoli sono molto stringenti, sicché questi devono avere caratteristiche, in particolare di liquidabilità, che sono specifiche dell'attività assicurativa. Pagare i sinistri nel ramo danni, o far fronte, per quanto riguarda il ramo vita, agli impegni nei confronti dei clienti, richiede ai portafogli di avere il massimo livello di liquidabilità.
  In ordine all'attività delle assicurazioni italiane, per quanto riguarda il contributo alla situazione del Paese, occorre considerare che il mercato delle compagnie assicurative investe il 50 per cento dei propri titoli governativi in titoli governativi italiani, che rappresentano l'11 per cento del debito pubblico. L'11 per cento del debito è gestito, dunque, dalle compagnie assicurative.
  Per quanto riguarda, invece, il Gruppo Unipol, esso ha 30 miliardi di investimenti, con il 66 per cento su questo tipo di titoli, ossia con un peso superiore rispetto al sistema, perché è una compagnia italiana che lavora solo in Italia, a differenza delle altre grandi compagnie che hanno interessi in diversi Paesi e, pertanto, sovrappesa il suo intervento per quel che riguarda l'investimento in titoli di Stato.
  I mini bond sono disciplinati da una normativa che favorisce l'emissione di titoli di debito da parte di società non quotate anche di piccola e media dimensione. La finalità del cosiddetto «decreto sviluppo» (decreto – legge n. 83 del 2012) era quella di favorire il ricorso al mercato del debito per le società italiane non quotate, di piccola e media dimensione. È stato creato anche un mercato per poter gestire queste emissioni, l'ExtraMOT PRO, gestito dalla Borsa italiana.
  Abbiamo condotto una sintetica analisi per capire quali sono le tipologie di investitori. Gli investitori professionali e qualificati possono essere le banche, le assicurazioni, le gestioni patrimoniali, i fondi pensione e via elencando. Ognuno di questi investitori ha un interesse in questi strumenti finanziari a seconda della dimensione dell'ammontare dell'emissione, del suo rendimento e delle garanzie del settore. Ognuno approccerà, dunque, questi strumenti con ottiche differenti.
  Ad oggi sono classificati come mini bond e, quindi, quotati all'ExtraMOT PRO, circa 1,5 miliardi di emissioni, che però sono concentrati soprattutto in due o tre emissioni. Ne abbiamo una, per esempio, la Cerved Technologies, che ammonta a circa 800 milioni di euro. Non si tratta, quindi, di piccole e medie imprese.
  Probabilmente i tagli dedicati alle piccole e medie imprese sono i primi tre che vedete nella slide, rispettivamente di 10 milioni, 3 milioni e 3 milioni di euro. Si tratta di dimensioni molto piccole. Anche la dimensione è un fattore importante per le compagnie assicurative, come vedremo in un secondo momento.
  Quali sono i vincoli di investimento delle assicurazioni ? Prima di ragionare sulla possibilità di investimento delle compagnie assicurative, occorre capire come esse vengono regolamentate. Il Regolamento dell'Autorità di vigilanza impone vincoli molto stringenti per quanto riguarda gli investimenti a copertura delle riserve, in particolare sui titoli azionari e sui titoli non quotati.
  In più, vi sono alcune delibere quadro sugli investimenti, nelle quali il regolatore impone limiti molto specifici agli attivi caratterizzati da scarsa liquidità. Soprattutto su questi ultimi l'Autorità chiede un rigoroso controllo dei rischi. Questo è molto importante per capire che non vi è piena libertà in ordine a questi strumenti, proprio perché le caratteristiche di illiquidità e/o di impossibilità di misurare i rischi vengono fissati dal regolatore.
  Analizzando le possibili criticità che incontra una compagnia assicurativa nell'investire in mini bond, occorre sicuramente tenere conto dell'analisi del rischio/rendimento. La valutazione della rischiosità di una piccola o media impresa è un'attività svolta tipicamente delle banche, perché esse sono dotate di strutture decentrate sul territorio, conoscono la clientela e possono analizzare le dinamiche industriali delle aziende.Pag. 11
  È, invece, difficile, per una compagnia assicurativa, valutare questi rischi singolarmente. Ciò richiederebbe la creazione di strutture dedicate di analisi, che sarebbero molto costose e che renderebbero molto difficile, anche in relazione alla dimensione, l'intervento medio per singola azienda.
  Un altro tema, che ho sottolineato in precedenza, è quello della illiquidità. L'attività assicurativa richiede di avere titoli prontamente liquidabili. In un mercato come questo, nel quale le tensioni finanziarie sono all'ordine del giorno, e stante l'incapacità di valutare e di gestire il rischio di credito delle piccole e medie aziende, occorre considerare anche tali aspetti per potere rendere simili investimenti «appetibili» per una compagnia assicurativa.
  Vi è poi, il rating: per tutti gli strumenti obbligazionari nei quali le compagnie assicurative investono, esistono società specializzate che esprimono valutazioni, più o meno corrette. Chiaramente queste piccole e medie imprese potrebbero avere solo un rating di tipo qualitativo, e quindi ciò non consentirebbe una piena e completa valutazione del rischio.
  Si aggiunge poi il trattamento fiscale, che sicuramente è un elemento importante, soprattutto per il rendimento che viene offerto alla clientela. Avere un 20 per cento o un 12,50 per cento di tassazione su un titolo di Stato penalizza il cliente nel potenziale rendimento della sua polizza vita.
  Un altro tema chiave è l'assorbimento di capitale. Le banche hanno già affrontato il discorso relativo alle regole di Basilea 3 e le compagnie assicurative stanno per affrontare quello delle regole previste da Solvency II. Si tratta di una trasformazione importante dei requisiti di capitale, che probabilmente dovrebbe essere rimodulata, perché crea alcune penalizzazioni molto consistenti sull'utilizzo di questi strumenti. A tale proposito cercherò di fornire un esempio. Oggi il capitale è una risorsa scarsa e molto cara. Conseguentemente, si deve tenere conto di questo dato in una rimodulazione delle norme a cui saremo sottoposti.
  Abbiamo cercato, con un esempio, nel tentativo di essere chiari, di rappresentare il possibile rendimento di un titolo di Stato, in termini di assorbimento di capitale, come indicato nella prima colonna della slide, mentre nella colonna centrale si mostra quello di un eventuale mini bond. Se si investono 100 euro, il rendimento del mini bond sarebbe del 4 per cento.
  In base alle regole di Solvency II non c’è assorbimento di capitale per il titolo di Stato, che presenta una redditività lorda del 4 per cento. Un mini bond, anche questo con un rendimento del 4 per cento, richiede, in virtù delle regole di Solvency II, 15 euro di capitale. Il capitale, come dicevo, risorsa scarsa e cara, pagato al 10 per cento (indicando un costo medio), porta il rendimento del mini bond al 2,5 per cento. L'esempio rappresenta in modo chiaro come questo assorbimento di capitale penalizzi fortemente l'investimento in tali strumenti.
  Formulo ora alcune proposte. Considerate le criticità, è importante svolgere alcune considerazioni su come affrontarle. A tale riguardo è opportuno svolgere una prima riflessione sugli OICR specializzati in mini bond: avere fondi che investano nei mini bond potrebbe essere utile. Da un lato, il fondo si può strutturare, creando un team che analizzi queste emissioni, con le competenze per valutarle; dall'altro, si favorirebbero le compagnie, perché, acquistando una quota di questo fondo, potrebbero giovarsi di una diversificazione del rischio su tutte le piccole e medie imprese, e non sulla singola impresa. Naturalmente i mini bond, oltre al costo del rischio, avranno anche l'onere di remunerare questi fondi.
  Bisogna tenere conto di questi aspetti, perché il costo degli strumenti finanziari aumenterà con la copertura dei costi dei fondi. Sicuramente una garanzia dello Stato, anche solo parziale, potrebbe facilitare l'emissione di questi strumenti, proprio Pag. 12perché riuscirebbe ad allineare il rendimento o il costo di essi a quello di strumenti comparabili.
  Bisogna, inoltre, agire sulle regole di Solvency II. Abbiamo detto dell'assorbimento del 15 per cento per tipologie di titoli di questo genere, ma può essere fatto un discorso anche più allargato, per esempio, pensando al mercato azionario. Su tale mercato, ad oggi, le stime quantificano un assorbimento di capitale del 40-45 per cento a seguito delle regole di Solvency II. Ciò significa che, ogni 100 euro investiti, una compagnia assicurativa deve mantenere 40-45 euro di capitale, aspetto che «spegne» completamente il mercato dei capitali, tanto che le assicurazioni non potranno più essere investitori a medio-lungo termine in quel settore.
  Le regole di Solvency II, dunque, pongono alcuni problemi che devono essere affrontati in modo rigoroso per cercare di evitare di bloccare tutte le possibili potenzialità che il mondo assicurativo può esprimere in termini di investimento.
  Ho citato, in precedenza, il tema del trattamento fiscale, che rappresenta una penalizzazione per i clienti che dovrebbe essere affrontata. Come ultimo tema vorrei trattare quello della classificazione contabile, poiché anche le norme relative ai bilanci producono effetti rilevanti. Oggi le compagnie assicurative operano in un contesto molto complesso, con tre tipologie di bilanci: quello per le gestioni separate, il bilancio civilistico dell'azienda e il bilancio IAS consolidato. Si applicano, quindi, tre princìpi contabili, che comportano una complessità di gestione molto alta.
  Pertanto, per strumenti come i mini bond, occorrerebbe pensare a soluzioni, anche contabili, che consentano di classificarli al costo e non più al valore di mercato, in modo da evitare le volatilità che siamo costretti ad affrontare in questi periodi.
  Ho cercato di essere il più breve possibile. Se vi sono domande, sono a disposizione per fornire volentieri alcuni chiarimenti.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ITZHAK YORAM GUTGELD. Rivolgendo, inanzitutto, i miei ringraziamenti per la presentazione molto chiara ed utile, vorrei porre soltanto una domanda di chiarimento. Solvency II, di fatto, è una direttiva europea, quindi, si tratterebbe di cercare di negoziare la modifica di una disciplina comunitaria, il che mi pare un po’ più difficile, a meno che vi siano, all'interno di Solvency II, flessibilità che lo prevedano. Volevo capire quante sono operazioni azionabili da subito e quante, invece, richiedono negoziazioni in altre sedi.

  GIOVANNI PAGLIA. Approfitto della sua presenza per porre una domanda specifica. Torna, in modo costante, all'interno del ciclo di audizioni nell'ambito dell'indagine conoscitiva sugli strumenti fiscali e finanziari a sostegno della crescita, il tema della capacità di analisi del rischio, soprattutto per quanto riguarda le piccole e medie imprese. Pare che questo sia, almeno dal mio punto di vista, il primo tema che dovrebbe essere affrontato, perché, se vi fosse questo tipo di capacità, tutto il resto, credo, verrebbe di conseguenza.
  Approfitto del fatto di avere davanti un grande gruppo assicurativo e bancario per chiedere quale sia, dal vostro punto di vista, la situazione di partenza rispetto alla presenza in Italia di personale adeguatamente formato, ad oggi, rispetto alla capacità specifica di analisi del rischio del sistema delle piccole e medie imprese. Vorrei sapere come giudicate la situazione attuale, poiché credo che, anche attraverso il sistema universitario, dovremmo porci l'obiettivo di aumentare complessivamente la capacità di analisi disponibile all'interno del Paese.

  GIULIO CESARE SOTTANELLI. Preso atto delle criticità rilevate nella sua relazione per dare la possibilità alle compagnie di assicurazione di acquistare mini Pag. 13bond, e preso atto anche della sollecitazione del collega per quanto riguarda un'eventuale modifica di Solvency II, osservo che sarebbe come chiedere di modificare le regole di Basilea 3, quindi si tratterebbe di un'azione che ritengo piuttosto difficile.
  Aggiungo una riflessione: preso atto che le compagnie di assicurazione sono poco interessate, per via delle criticità illustrate, all'acquisto di mini bond, potrebbero invece portare un contributo importante nel diventare partner delle imprese e, quindi, affiancando o sostituendo i Confidi, avendo le compagnie un rating migliore ? Potrebbero fungere da co-garanzia, o da garanzia di secondo grado, per agevolare le imprese, attribuendo ai mini bond un rating migliore ?
  Si potrebbe pensare al gruppo assicurativo non come a un acquirente, stanti le criticità che lei evidenziava, ma in una veste diversa. Quando faceva riferimento a proposte operative e di garanzia dello Stato, immaginavo che le compagnie, anziché lo Stato, potessero trovare, esse stesse, un sistema per aiutare le imprese ad emettere tali obbligazioni.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  GIAN LUCA SANTI, Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA. Quanto alle regole di Solvency II, è chiaro che si tratta di una normativa europea, ma la sua applicazione si avrà a partire dal 2015 e, a mio avviso, la direttiva ha risentito di una gestione di tipo «tecnocratico». Pertanto, nell'eventualità che la politica possa intervenire, sarebbe auspicabile che lo facesse allo specifico scopo di evitare che determinate misure penalizzino lo sviluppo economico. Non so precisamente quale tipo di intervento sarebbe possibile, ma, se la politica potesse intervenire, a mio avviso, si tratterebbe di fare un ragionamento di politica economica importante.
  Per quanto riguarda la capacità di analisi del rischio delle piccole e medie imprese, essa è propria delle banche, che sono distribuite sul territorio. Noi siamo un grande gruppo assicurativo e una piccola banca, ma le capacità di analisi sono nelle banche, nei centri impresa, nei gestori corporate che stanno sul territorio e che visitano le aziende quotidianamente e conoscono l'imprenditore. La valutazione del singolo caso, come struttura, è attualmente una prerogativa delle banche.
  Se si vogliono proporre strumenti di questo tipo e, quindi, cartolarizzare i crediti e trasformarli in obbligazioni, nel caso in cui non lo facciano le banche, lo deve fare un'altra struttura, che potrebbe essere un fondo. Essa dovrà, però, acquisire tutte le conoscenze, le competenze e le persone in grado di svolgere questo tipo di lavoro.
  La terza domanda è molto interessante e riguarda un tema che si può cercare di analizzare, ossia quello per cui le compagnie assicurative potrebbero rappresentare una sorta di garanzia. Chiaramente, però, anche in questo caso, la garanzia deve essere valutata, ed occorrono determinate capacità per fare questo tipo di lavoro. Si tratta, tuttavia, di un'attività che costa, e la compagnia dovrebbe avere tutte le conoscenze e le capacità per poterla svolgere, perché offrire una garanzia consiste nel saper valutare il rischio, nel prezzarlo e naturalmente poi nel poterlo «presentare». Può essere un ragionamento da sviluppare nel prossimo futuro, per capire se sia fattibile.

  FRANCESCO RIBAUDO. Nel corso delle audizioni finora svolte, abbiamo compreso che, fra i fondi assicurativi e i fondi pensione, vi sono più di 1000 miliardi a disposizione. Il problema è che seguono altre vie, per tutta una serie di vincoli normativi, che non consentono di finanziare le piccole e medie imprese. Chiedo se possa essere una soluzione il prevedere alcuni strumenti. Il problema, infatti, è rappresentato dal rating, dall'affidabilità, e dal modo in cui si danno le garanzie ed occorre trovare un canale che privilegi la possibilità di finanziare le piccole e medie imprese attraverso i mini bond, ma occorrono garanzie, altrimenti il sistema non si svilupperà mai.Pag. 14
  Questa struttura, di cui lei propone la creazione, mi pare che dovrebbe essere formalizzata meglio e concretizzata. Si aggiunge poi anche l'aspetto fiscale, che non è indifferente, ed oscilla dal 20 al 12,50 per cento. Possiamo introdurre questo meccanismo – mi chiedo, e lo chiedo anche ai colleghi – tenendo conto che è finalizzato semplicemente alle piccole e medie imprese ? Lo Stato può fare questo ? Si può pensare ad una normativa che consenta di finanziare i mini bond con strutture assicurative, di garanzia e anche agevolazioni fiscali o a una misura simile ?
  Abbiamo capito che le risorse ci sono, ma le piccole e medie imprese non sono appetibili, a causa di un problema di rating, di garanzie e del fatto che, proprio per le loro dimensioni, non riescono ad essere valutate, se non dalla piccola banca, che potrà verificare sul territorio la capacità e il rating locale dell'azienda. Non si può trovare una soluzione che, a regime, possa finanziare le piccole e medie imprese ?
  Alcune di queste proposte, a mio avviso, se compatibili con le direttive europee, dovrebbero essere affrontate dalla Commissione Finanze e potrebbero essere formalizzate in una proposta di legge che non sia in contrasto con la normativa europea.

  GIAN LUCA SANTI, Direttore generale di Unipol Gruppo finanziario SpA. Assolutamente; questi sono spunti e stimoli che cercano di inquadrare le complessità che le compagnie affrontano in tali operazioni. La questione più importante per le compagnie assicurative è la liquidabilità dei titoli: per pagare i sinistri e le polizze vita, come si vede, l'80 per cento è investito come prima ho descritto. Per questo motivo, le altre categorie sono residuali. Pertanto, bisogna trovare lo spazio giusto, attraverso strumenti che presentino delle caratteristiche idonee.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il dottor Santi e, con lui, il dottor Genovese, per questi spunti forniti.
  Autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione consegnata dal dottor Santi (vedi allegato 2) e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.20.

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ALLEGATO 2

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