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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Martedì 15 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL SISTEMA DEI SERVIZI DI MEDIA AUDIOVISIVI E RADIOFONICI

Audizione di rappresentanti di Mediaset SpA.
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 3 
Confalonieri Fedele , Presidente di Mediaset SpA ... 3 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 12 
Bruno Bossio Vincenza (PD)  ... 12 
Confalonieri Fedele , Presidente di Mediaset SpA ... 13 
Bergamini Deborah (FI-PdL)  ... 14 
Confalonieri Fedele , Presidente di Mediaset SpA ... 15 
Liuzzi Mirella (M5S)  ... 16 
Confalonieri Fedele , Presidente di Mediaset SpA ... 16 
Piepoli Gaetano (PI)  ... 17 
Confalonieri Fedele , Presidente di Mediaset SpA ... 17 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

  La seduta comincia alle 13.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-TV della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Mediaset SpA.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul sistema dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, l'audizione di rappresentanti di Mediaset SpA.
  È la terza audizione che svolgiamo. Ancora una volta, da una realtà importante come Mediaset noi ci attendiamo un contributo corposo nel merito dei lavori che la Commissione sta facendo. Ringrazio il presidente, dottor Confalonieri, per aver accolto l'invito e ringrazio anche la dottoressa Nieri e gli altri componenti della delegazione.
  Per ragioni legate anche al calendario dei lavori e ai contenuti della nostra riunione, darei subito la parola al Presidente Confalonieri per la relazione introduttiva.

  FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset SpA. Illustre presidente, onorevoli deputati, innanzitutto vi porgo il mio ringraziamento per l'occasione concessa a Mediaset di essere audita dalla Commissione trasporti nel corso dell'indagine conoscitiva sui media, che giunge quanto mai opportuna e tempestiva a chiusura di un decennio che ha sconvolto assetti ed equilibri, realtà e diritto, la geografia stessa dell'audiovisivo mondiale.
  Tutto ha inizio con l'ingresso nell'era del digitale, con la diffusione di Internet, con la discontinuità tecnologica che essa ha imposto, con la capacità della rete telefonica di trasportare video e il conseguente annullamento degli steccati che fino ad oggi avevano tenuto ben separati il mondo dei contenuti video dalle infrastrutture di rete e conservato la diffusione dei segnali televisivi in ambiti al massimo continentali.
  È andato in onda uno scenario globale, che ha reso obsoleto il modo classico di organizzare i contenuti video e anche l'ambito di riferimento sia della competizione che delle regole che vi presiedono.
  Il cambiamento è epocale ed è necessario da parte dei regolatori avere conoscenza profonda dei fenomeni e coscienza dei valori in gioco, al fine di disegnare il «nuovo» diritto per il «nuovo» mondo.
  L'attività dei media – e la televisione è riconosciuta come uno dei più rilevanti – si è sempre intersecata con i diritti fondamentali della persona e le norme, spesso cogenti, hanno avuto sempre riguardo a garantire che i diritti stessi fossero rispettati e anzi esaltati dai media. Oggi che alcuni dei competitor hanno dimensioni globali è molto più difficile costringere entità sovranazionali in griglie regolamentari puntuali così come si fa tuttora per i media tradizionali, segnatamente la televisione.
  Non per questo si è attenuato il valore fondante dei diritti della persona, che Pag. 4trovano robusta affermazione in tutte le Carte costitutive delle organizzazioni internazionali. Se è evidente la necessità di ripensare alla declinazione normativa della difesa dei diritti costituzionali, questi rimangono intatti nel loro valore e nella loro permanenza nei presupposti della convivenza civile e democratica, e anche nell'era di Internet e in Internet devono essere rispettati.
  Veniamo a Mediaset nei suoi numeri. Mediaset è quotata alla Borsa di Milano dal 1996 ed è socio di riferimento della Fininvest, con una quota del 41,3 per cento del capitale, ricavi consolidati del Gruppo a 3.414,7 milioni, un risultato operativo di 246 milioni e netto di 8,9 milioni. In Italia i valori del consolidato sono di 2.588,5 milioni per i ricavi netti e del risultato netto di 7,3 milioni.
  Nel Gruppo Mediaset lavorano 5.693 persone. In Italia siamo 4.400, di cui 1.908 donne, pari al 44 per cento sul totale, di cui 66 dirigenti, 146 giornaliste e 400 quadri.
  Mediaset opera con tre reti generaliste (Canale 5, Italia 1 e Rete 4), otto reti tematiche, di cui una, Tgcom24, dedicata all'informazione, e l'offerta pay Premium, dedicata a sport, cinema, serie e bambini, con un servizio gratuito on demand e tre offerte non lineari online.
  Premium play, incluso nell'abbonamento Premium, contiene circa 3.000 contenuti tra cinema, serie, documentari, bambini e calcio. È disponibile su decoder, televisori connessi, consolle, tablet e PC.
  Infinity, innovativo servizio di contenuti a pagamento, offre ai clienti un accesso in streaming a un catalogo di più di 5.000 titoli tra film, fiction e programmi TV in abbonamento a 9,99 euro al mese.
  Rewind, un servizio gratuito di offerta dei migliori contenuti dell'ultima settimana di programmazione delle reti Mediaset, è accessibile direttamente dal televisore in modalità streaming video.
  Mediaset è editor anche del canale pay Mediaset Italia, dedicato alla fruizione dall'estero.
  Il Gruppo ha declinato in tutti i modi possibili la propria natura digitale: è presente su Internet con Tgcom24, terzo sito nazionale dell'informazione online, VideoMediaset, SportMediaset e il portale Mediaset.it. Di grande successo sono le applicazioni su telefoni e tablet e la presenza sui social network.
  L'ascolto medio nel prime time delle reti generaliste è del 27,6 per cento, di poco inferiore al 30 per cento, se si considera il target commerciale 15-64 anni. L'ascolto, sempre in prime time, delle reti tematiche è del 6,2 per cento e del 6,8 per cento nel target commerciale. Il totale ascolto medio nelle ventiquattro ore nel 2013 è stato pari a 10,5 milioni di individui. Nei primi cinque mesi del 2014 l'ascolto medio totale nelle ventiquattro ore riferito al target 15-64 anni ha raggiunto il 36,5 per cento.
  Tutto il sistema multimediale Mediaset realizza 56 milioni di contatti al mese e, al ritmo di 2,3 milioni di video visti al giorno e una stima di oltre 700 milioni di video a fine anno, si posiziona in testa alla classifica degli editori di video, prima degli Over the Top. E, ancora una volta, tutti i nostri video assicurano il rispetto del copyright.
  Le carte prepagate di Mediaset Premium sono 2,2 milioni, gli abbonamenti circa 2 milioni. I ricavi da abbonamenti e pacchetti nel 2013 sono stati di 552 milioni, i ricavi totali di 652 milioni.
  Le ore di trasmissione delle tre reti generaliste sono state 26.280, il 46,2 per cento delle quali costituite da programmi originali autoprodotti. Le ore di informazione autoprodotte hanno superato le 9.300 e quelle di sport hanno raggiunto quota 4.200.
  Ogni anno il Gruppo investe la metà dei ricavi pubblicitari in produzione e acquisto di prodotti audiovisivi europei e rispetta alla lettera le quote di programmazione e le quote di investimento in produzione indipendente. Negli ultimi dieci anni abbiamo investito 20 miliardi di euro nell'industria dei contenuti, confermando così il ruolo insostituibile dei broadcaster nel sostegno alla produzione di contenuti originali e all'alimentazione di un'industria audiovisiva italiana ed europea.Pag. 5
  Tutti, in modo intensivo, gli Internet provider offrono contenuti video. I broadcaster sono coloro che a livello europeo producono l'80 per cento del totale prodotto originale e, a differenza di altre piattaforme, tutto il contenuto degli stessi trasmesso è licenziato legalmente. Solo a titolo di riconoscimento di diritti d'autore a SIAE e IMAIE – per musica ed equo compenso relativo a opere audiovisive – Mediaset versa oltre 60 milioni all'anno.
  Mediaset ha acquisito i diritti d'uso per 5 multiplex digitali, con una copertura di oltre il 94 per cento della popolazione, diritti che scadranno nel 2032. Nella conversione delle frequenze da analogico a digitale il Gruppo ha perso il sesto multiplex, cioè la frequenza in uso a Rete 4, e le è stato impedito di partecipare all'asta per l'assegnazione delle frequenze del dividendo digitale.
  Tutte le reti Mediaset sono state pagate. È in totale malafede chi parla di regali. Tre reti sono state acquisite dal trading consentito dalla legge del 2001, approvata sotto il Governo Amato; due sono il risultato della conversione penalizzante (dicevamo sopra della perdita della frequenza di Rete 4) delle reti analogiche storiche: Canale 5, realizzata acquisendo emittenti regionali in tutta Italia, Italia 1, acquistata per 35 miliardi di lire nel 1982, e Rete 4, acquistata per 135 miliardi di lire nel 1984 dall'editore Mondadori. Per entrambi gli editori cedere la televisione fu la strada della salvezza dal fallimento per i salassi economici che la TV aveva procurato loro.
  Il passaggio dall'analogico al digitale in Italia è stato completamente finanziato dagli operatori privati. È stato l'unico caso di un media obbligato a cambiare tecnologia per legge e senza indennizzo. Il salto in avanti tecnologico del Paese verso il digitale è costato a Mediaset 1,3 miliardi di euro, di cui 700 milioni solo per acquisire e digitalizzare le reti.
  Per le frequenze in uso, Mediaset ha sempre pagato i relativi canoni di concessione, per una media di poco meno di 20 milioni di euro all'anno. Attualmente, è in discussione presso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni il nuovo criterio di pagamento dei canoni sulle frequenze, che, in ossequio alla legge, non sarà più in capo agli editori e commisurato ai loro fatturati, bensì in capo agli operatori di rete in base all'utilizzo.
  Dal momento della sua quotazione, nel luglio 1996, Mediaset ha contribuito alla fiscalità dello Stato italiano con 9,5 miliardi di euro.
  EI Towers, società quotata alla Borsa di Milano e partecipata al 40 per cento da Mediaset, garantisce al Gruppo il servizio di tower company (postazioni e impianti) e svolge attività di service anche per altri operatori di rete, in ambito nazionale e locale. Nel 2013 EI Towers ha registrato ricavi per 233,2 milioni di euro, con un risultato operativo di 58,4 milioni.
  La raccolta pubblicitaria del Gruppo Mediaset è affidata a Publitalia per le reti free, generaliste e tematiche, a Digitalia per l'offerta a pagamento e a Mediamond, società partecipata al 50 per cento da Mediaset e Mondadori, per la raccolta su Internet.
  Per quanto attiene alla produzione originale di fiction e film, Mediaset opera direttamente attraverso le sue società Taodue per la fiction e Medusa per il cinema, commissionando, altresì, fiction e cinema a produttori indipendenti.
  Il 2013 è stato veramente l’annus mirabilis per l'impegno di Mediaset nel cinema italiano. Il film La grande bellezza di Sorrentino ha portato l'Italia all'Oscar per il miglior film straniero. È la prima volta che un film, saltata la finestra pay, è andato direttamente dall'Oscar alla prima serata su Canale 5: un'azione generosa, ma rischiosa, che ha regalato a Mediaset la soddisfazione di 9 milioni di persone che hanno seguito il film premio Oscar gratuitamente, dimostrando grande apprezzamento per un'opera sicuramente non commerciale, ma elevata.
  Sole a catinelle di Zalone è stato il campione di incassi da sempre tra i film italiani e ha raggiunto quasi i 52 milioni al botteghino. Questo ha significato, al di là dell'orgoglio e del prestigio, anche lavoro per tanti italiani e ossigeno per la nostra industria audiovisiva.Pag. 6
  Quanto alla produzione in studio, nel 2013 Mediaset ha prodotto 307 programmi tra intrattenimento, informazione, sport, infotainment e musica, per più di 17.000 ore di prodotto finito.
  Mediaset è finanziatore irrinunciabile dello sport italiano ed europeo, del calcio segnatamente, con un'offerta qualificata sia gratuita sulle reti generaliste, sia a pagamento su Premium. Gli acquisti più recenti e significativi sono stati in febbraio l'esclusiva dalla Champions League per le stagioni dal 2015 al 2018 e a fine giugno i diritti sul digitale terrestre delle più importanti squadre del campionato di serie A per le stagioni dal 2015 al 2018.
  Infine, Mediaset è uno strumento irrinunciabile per la comunicazione d'impresa. La nostra TV è necessaria e sempre apprezzata sia per il lancio e la promozione di prodotti a target ampio, sia per prodotti di nicchia o rivolti a target maggiormente profilati. I plus del nostro servizio agli investitori sono: valorizzazione delle audience, capacità di sfruttare la flessibilità del digitale per l'incrocio virtuoso con la rete, innovazione (nuovi linguaggi e nuove formule di comunicazione) e crossmedialità.
  Passiamo ai caratteri distintivi della TV terrestre. Fin qui abbiamo illustrato la nostra carta di identità. Altrettanto importante è la descrizione delle peculiarità della televisione digitale terrestre e delle dinamiche competitive in cui si muove anche in raffronto agli altri operatori televisivi, di TLC e di Internet.
  Partiamo dalle dimensioni. Il dato relativo alla misurazione delle risorse del SIC (Sistema integrato delle comunicazioni) per il 2012 era di 19,63 miliardi, contro 20,323 miliardi nel 2011. Per il settore servizi media audiovisivi e radio, anche su Internet, il dato 2012 è di 9,022 miliardi, in contrazione robusta, di meno 7,2 per cento, rispetto al 2011 (9.719). Il dato relativo alla perdita di fatturato della televisione in chiaro è ancora più evidente, con un meno 9,4 per cento sull'anno precedente.
  La pesante crisi, tuttora in essere, del mercato pubblicitario ha penalizzato soprattutto Mediaset, che ha nella pubblicità la risorsa largamente maggioritaria. Con i suoi oltre 8,4 miliardi di euro di fatturato il settore televisivo si conferma come la più grande industria editoriale e culturale per il Paese.
  Per quanto riguarda i maggiori protagonisti, nel 2012 Agcom assegna a Sky il 13,96 per cento delle risorse dei servizi audiovisivi, alla Rai il 13,20 per cento e a Mediaset il 13,16 per cento.
  La televisione digitale terrestre è una piattaforma aperta in grado di svolgere un servizio universale per 18 milioni di famiglie, su 25 milioni presenti in Italia, ed è l'unica offerta di intrattenimento, informazione e formazione e, nel caso dell'offerta free di Mediaset, completamente gratuita.
  Con il 95 per cento di copertura della popolazione, l'84 per cento dell'ascolto televisivo, il 70 per cento del totale del tempo speso dal pubblico nella fruizione dei media, distribuendo il servizio pubblico radiotelevisivo, l'offerta nazionale e locale di TV e 15 radio nazionali, il digitale terrestre è senza dubbio la principale piattaforma televisiva del Paese. Si tratta di un caso di eccezionale successo a livello comunitario in termini di apertura del mercato e pluralismo editoriale, informativo, concorrenziale.
  Come in Francia e nel Regno Unito, il digitale terrestre ha attratto nuovi entranti anche in Italia, dove, in più, ha consentito loro di contribuire significativamente alla più rilevante platea di telespettatori. Si pensi alla performance del Gruppo Discovery, che in poco più di cinque anni ha superato il 6 per cento di ascolto con la sua offerta free. Ormai l'ascolto dei canali free offerti dai nuovi entranti si è attestato sul 10 per cento complessivo.
  La digitalizzazione della TV terrestre ha abbassato le barriere all'ingresso nel settore televisivo e oggi l'Italia può vantare il panorama concorrenziale più ricco d'Europa. Sono 80 i canali free sul digitale terrestre, oltre 100 comprese le offerte a pagamento, e grazie al digitale terrestre si è potuta sviluppare una concorrenza anche nella pay-TV, caso unico in Europa.Pag. 7
  L'offerta di Mediaset Premium, più flessibile con la sua possibilità di pacchetti e di abbonamenti, non solo ha attratto una maggior fascia di pubblico alla fruizione dei contenuti a pagamento, anche quella con una minore propensione alla spesa, ma in più ha consentito una competizione sui prezzi con la piattaforma satellitare a tutto vantaggio del consumatore, che ha goduto di maggiore libertà di scelta sia editoriale, sia di prezzo.
  In Italia la piattaforma terrestre non è solo quella che ha una copertura universale della popolazione, ma è anche quella che occupa lo spazio maggiore nella dieta mediatica, anche del pubblico giovane, più esposto a Internet (260 minuti al giorno pro capite nel 2013 contro 31 minuti dedicati al consumo online di video sul PC). L'80 per cento dei giovani vede la TV free e l'83 per cento degli italiani la usa per informarsi. I Telegiornali sono il metodo di informazione preferito per il 75 per cento dei giovani tra i 14 e i 29 anni e la prima fonte di informazione per il 96 per cento degli studenti delle scuole superiori.
  Riguardo a Internet, aggiungo un'ulteriore osservazione. La maggior parte del tempo dedicato alla visione di contenuti sulla rete va a contenuti professionali prodotti da editori e broadcaster, contenuti di qualità che fanno crescere i consumi non lineari. Si può dire senza tema di smentita che la TV terrestre è il principale driver per il consumo di contenuti di qualità sulle diverse piattaforme non lineari e traino insostituibile della diffusione crescente delle connessioni alla rete e degli acquisti di prodotti dell'elettronica di consumo, con 5 miliardi di euro generati nel 2012.
  L'elevata qualità e ricchezza dell'offerta editoriale della TV terrestre hanno garantito uno sviluppo qualificante dell'intero sistema digitale e un contributo essenziale allo sviluppo economico e sociale del Paese. Il settore dei contenuti in Italia nel 2012 ha generato 26 miliardi di euro di fatturato. Di questi 11,2 sono dell'industria audiovisiva (cinema, TV e home video) e 6,5 della free TV.
  La TV free ha una funzione unica di moltiplicatore economico delle vendite attivate dagli investimenti in pubblicità. I circa 4 miliardi di euro spesi nel 2012 da investitori sulla TV free hanno generato dai 20 ai 36 miliardi di vendite aggiuntive. Per ogni euro investito sulla pubblicità delle TV almeno tra 5 e 9 euro sono stati generati nell'economia generale.
  L'istituto di ricerca eMedia ha prodotto un dato specifico per gli investimenti pubblicitari nei nuovi business digitali (e-commerce, servizi online), secondo cui questi ricevono dalla pubblicità televisiva un ritorno sugli investimenti pari a un moltiplicatore tra 18 e 26 volte l'investimento.
  Un dato complessivo: si stima che in totale la televisione terrestre abbia contribuito direttamente a generare tra 31 e 47 miliardi in vendite, cioè tra il 2 e il 3 per cento del PIL italiano.
  Quando si parla di crescita del PIL e di obiettivi irrinunciabili dell'Agenda digitale, si dimentica sempre il ruolo dei contenuti e di chi questi contenuti produce. Nell'Agenda digitale europea la parola «contenuti» non è neppure citata, ma questo è un abbaglio pericoloso, che rischia di favorire forme moderne di colonizzazione culturale.
  L'ambizione di Mediaset e l'impegno quotidiano in tutte le sedi consentite sono tesi a rimettere i contenuti al centro del dibattito sull'industria digitale. Insieme all'obiettivo necessario di «connettere tutto il continente» e, quindi, di sviluppare le reti a larga banda, i contenuti saranno sempre più necessari a soddisfare la crescente domanda delle diverse piattaforme e, cosa ancora più importante, saranno insostituibili nel loro ruolo di vestali dell'identità culturale europea. In un mondo sempre più globale quanto a infrastrutture e tecnologia è proprio alla produzione di contenuti originali che è affidata la garanzia di un'Europa vitale dal punto di vista culturale, concorrenziale e imprenditoriale.
  La televisione digitale terrestre è stata poi il driver nell'innovazione: ha sposato appieno la discontinuità tecnologica dal Pag. 8sistema analogico, ha ottimizzato le capacità di banda delle frequenze ex analogiche, introducendo nuovi standard di compressione del segnale, e ancora così farà nel prossimo futuro con il passaggio agli standard più efficienti (DVBT2 e HEDC).
  La TV digitale terrestre rivendica con forza, anche in rispetto al principio della neutralità tecnologica preso a base dall'Europa digitale, il diritto di svilupparsi e di rimanere competitiva nella quantità e qualità di offerta con le altre piattaforme. Per questo ha bisogno delle frequenze in uso per offrire i propri contenuti negli standard più avanzati (HD, UltraHD, 4K).
  La capacità del digitale terrestre di reggere la sfida con l'innovazione è confermata dall'attitudine dimostrata nel coniugarsi con la rete, nel mixare offerte lineari e non lineari e nell'incrocio virtuoso con i social network.
  A Mediaset abbiano «contaminato» la TV di sempre con il web: la nostra TV è entrata nel web e il web è entrato nella nostra TV. Un esempio sull'informazione: da un sito Internet come Tgcom è nato il sistema di news Mediaset, frutto di una riorganizzazione profonda, che parte dalla costruzione dell'agenzia multimediale Videonews e – passando da sito e rete all news, telegiornali, approfondimenti, sport e infotainment - crea un moderno ambito crossmediale.
  La TV terrestre garantisce: pluralismo; libertà editoriale; rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti, dei diritti dei più deboli, minori in testa, dei diritti della persona; difesa della proprietà intellettuale; assunzione di responsabilità editoriale; professionalità e deontologia dei professionisti che ci lavorano.
  Nel rumore di fondo della rete, in cui l'attendibilità delle fonti è incerta, in cui è assente, per espressa ammissione dei responsabili e degli Over the Top, qualsiasi responsabilità da editori, la credibilità dei marchi dell'informazione e la consuetudine di veridicità che sta insieme alle testate giornalistiche televisive garantiscono quello che gli anglosassoni chiamano trust, che è al tempo stesso fiducia, credibilità delle fonti, presenza di professionisti responsabili.
  In sostanza, in TV «ci si mette la faccia» e si viaggia nel rispetto di leggi e codici deontologici: la diffamazione è punita, la rettifica è obbligatoria, i minori devono essere preservati da utilizzi strumentali e la molteplicità delle voci è garantita per legge.
  C’è qualche aspetto antistorico, come la par condicio, legge che insiste solo sulla TV e lascia, ovviamente, libera la rete di essere parziale e «irresponsabile». Mentre in TV si contano i secondi, sul web si fanno le primarie per i candidati al Parlamento.
  La televisione è sicuramente il media maggiormente regolato nelle dimensioni (il 20 per cento del SIC), nella quantità e qualità della pubblicità (limiti di affollamento e categorie merceologiche vietate o vietate in fascia oraria protetta), nei contenuti (20 per cento al massimo di canali trasmissibili), nella programmazione e nella produzione (quote di programmazione europea e di investimenti in produzione indipendente), nelle risorse infrastrutturali (frequenze), nell'informazione (obbligo di notiziari, par condicio, rispetto dalla privacy) e nel diritto d'autore. Ovviamente, è tenuta al rispetto delle leggi generali dello Stato, quelle della fiscalità in testa.
  Tutto ciò fa essere la nostra TV un mezzo sicuro e affidabile, ma come la mettiamo con la concorrenza ? Come si fa a fare i delfini nella vasca degli squali ? Come si fa a competere equamente, se tutto quello che è Internet è sregolato e non ci sono gli strumenti per garantire un confronto competitivo equilibrato in cui tutto quello che è uguale sia disciplinato nello stesso modo ? Come si fa a difendere e sviluppare il proprio modello di business, se gli operatori globali rosicchiano i pilastri che reggono l'industria audiovisiva ?
  Oppure, come si fa a competere limitati da vincoli, come siamo noi, operatori del digitale terrestre, con altri operatori televisivi che sono liberi di rimanere monopolisti della propria piattaforma e che si Pag. 9parano dietro a una presunta abbondanza di risorse infrastrutturali (parliamo del satellite), pretendendo di essere sciolti da qualsiasi limite concorrenziale, signori e padroni come sono della stramaggioranza delle frequenze satellitari ?
  Sono 26 i trasponder in uso a un solo operatore, oltre al triplo della banda effettiva dell'intero digitale terrestre e tanti da rendere impossibile a chiunque di replicare un'offerta di canali ugualmente ricca sulla medesima posizione geostazionaria. E pensare che sono gli stessi che non si sono vergognati di venire in queste sale a chiedere di distruggere la piattaforma concorrente, il digitale terrestre, dove non c’è un monopolista, bensì una numerosa e concorrente pluralità.
  Forse è un fallimento competitivo quello che porta il monopolista satellitare pay a chiedere di ridurre le risorse frequenziali alla TV terrestre. Il teorema è: troppe frequenze e troppi canali uguale troppa concorrenza. Se non si vince sul mercato concorrenziale, meglio rivolgersi a «papà legislatore» per risolvere il problema alla radice: «muoiano il digitale terrestre e tutti i canalini», e in fretta, prima che, con l'introduzione dei nuovi standard compressivi del DTT, la pressione concorrenziale sulle pay aumenti.
  È evidente che il sogno di un imprenditore è il monopolio, ma almeno non ci si nasconda spacciando affari di bottega per esigenze di sistema, sostenendo che il problema centrale da risolvere per lo sviluppo della TV italiana sia togliere frequenze a Mediaset e a RAI. Questione fuorviante nel merito e, in più, capace di spostare l'attenzione da ciò che rischia davvero di distruggere l'equilibrio competitivo, ossia la concorrenza sleale degli Over the Top con la televisione e la pressione degli operatori di telefonia mobile sulle frequenze UHF, quelle indispensabili per la sopravvivenza stessa della piattaforma terrestre.
  Quanto all'ambito concorrenziale, noi di Mediaset non siamo qui in Parlamento a chiedere vincoli alla concorrenza o barriere protezionistiche, ma certamente rivendichiamo il diritto a un ambito concorrenziale equo, il sempre citato e mai attuato level playing field nel mercato dei media.
  Non abbiamo alcun timore di un futuro digitale in cui Internet sia diffuso a tutti i cittadini del mondo e siamo pronti a competere con gli Over the Top. Siamo essenzialmente produttori e organizzatori di contenuti ed editori di offerte video. Tutte le piattaforme sono per noi mezzi per raggiungere il nostro pubblico, dove il pubblico vive e ci vuole presenti, ma vogliamo giocare tutti allo stesso gioco e con regole condivise.
  Siamo un soggetto attivo sul mercato: chi è più bravo vince, ma senza barare. Come ogni soggetto sul mercato, vorremmo norme poco intrusive, leggere, di principio, capaci di garantire il rispetto dei diritti fondamentali e dei princìpi generali dell'ordinamento. Ci andrebbe benissimo passare a un sistema con pochi punti fermi riconosciuti, un sistema a livello europeo, vista la presenza di operatori a livello globale.
  Quello che, invece, rifiutiamo, perché è contro la concorrenza, è rimanere l'unica attività rigorosamente regolata a confronto di una pirateria libera da vincoli, che è quella in cui prosperano gli operatori globali di Internet.
  In un mercato che si sta presentando come unico nella geografia e nella natura dei servizi offerti – i video – dove sempre più sarà indifferente, salvo per i costi, la tipologia di piattaforma che porta i contenuti, come si sostiene la discriminazione regolamentare tra le diverse offerte ? Un film, un cartone animato, un'informazione, uno spot perché dovrebbero avere trattamenti diversi se passano dal digitale terrestre, dal cavo, dal satellite o dall'algoritmo di Google ?
  Con i televisori connessi alla rete l'assurdo sarà palese: coesisteranno, cozzando tra loro in termini di disciplina, contenuti regolati e non. Dallo stesso televisore nell'offerta di TV terrestre il tale film lo potrai trovare solo dopo le 23, nell'offerta online a qualunque ora del giorno e, per di più, proprio quel televisore – che finora è stato sinonimo di broadcasting: accendevi Pag. 10e trovavi il tuo programma – oggi rischia di essere filtrato da homepage che danno ai costruttori di device un potere editoriale di disintermediazione tra offerta e pubblico, tramite posizionamenti predefiniti delle offerte stesse. Il pericolo da scongiurare è quello della creazione di veri e propri «colli di bottiglia» tecnologici.
  Tornando agli Over the Top, è la loro duplice natura che fa esplodere il problema concorrenziale: per un verso, la loro natura primigenia è quella di operatori tecnologici che abilitano l'accesso alla rete e ai suoi servizi; per l'altro, quello contundente, offrono servizi video e vendono i contatti ottenuti dalla visione dei video stessi al mercato pubblicitario, entrando così in competizione diretta con la TV, sia sul tempo dedicato alla visione di video, sia sulla raccolta pubblicitaria.
  Altro aspetto patologico, per il quale il caso di Google è emblematico, è che sono cresciuti e si sono affermati trasportando massicce quantità di contenuti illegali. Ormai questo è un dato acquisito e nessuno per il passato potrà porvi rimedio. Sarà debole consolazione ottenerne i danni in via giudiziaria.
  La risposta a quest'accusa è pronta: Google e quelli come Google non sono editori e non svolgono attività editoriale, bensì si limitano a ospitare contenuti postati sulla rete da altri. Non riconoscendo la natura di editori neppure per l'indicizzazione delle informazioni, rifiutano di essere ricompresi nelle norme europee che disciplinano i servizi media audiovisivi. Il riferimento è alla direttiva sui servizi di media audiovisivi, cosiddetta «direttiva AVMS» n. 13 del 2010, la stessa al cui rispetto integrale noi tutti titolari di offerte video, lineari e non lineari, siamo tenuti.
  Essi hanno buon gioco nel nascondersi dietro la direttiva europea sull’e-commerce, che disciplina gli host passivi, semplici abilitatori di accesso ai servizi della rete. Qui non ci sono privacy, diritto d'autore e regole di concorrenza da rispettare, ma unicamente un vincolo: in presenza di una notifica da parte di autorità amministrative o giudiziarie, il contenuto ritenuto illegale va rimosso.
  La disparità è marchiana, ma solo ora, quando tanto del danno è fatto, anche in sede europea ci si comincia a riprendere dall'incantamento succube che ha consentito la trasformazione dell'Europa in un mercato solo passivo per gli operatori globali.
  In Europa questi giganti si arricchiscono, danno pochissimo lavoro, non apportano finanze alla produzione di contenuti, alimentano la pirateria non rispettando il diritto d'autore e promuovono la cultura del «tutto gratis», asciugando le risorse che finanziano i contenuti, «succhiano» risorse dal mercato pubblicitario (ovviamente non dichiarate nel quanto e nel cosa), competono senza parità con gli operatori di contenuti editoriali e soprattutto non pagano le tasse.
  Quanto al business che viene presentato come uno dei driver futuri della crescita e del fatturato pubblicitario, quello dei cosiddetti big data, i big player hanno acquistato posizioni pressoché inarrivabili. Con specifiche configurazioni dei servizi all'utenza, volti a raccogliere il maggior numero di informazioni personali da individui spesso inconsapevoli, arrivano a identificare il singolo utente a cui inviare uno specifico messaggio pubblicitario, con buona pace di qualunque rispetto del diritto alla privacy o di trasparenza della pubblicità, cui, invece, i media sono obbligati.
  Si diceva che qualcosa sta cambiando, è vero: non è più vietato, neppure in sede europea, parlare di regolamentazione in Internet e si può parlare di competizione equa senza scatenare la reazione di chi grida alla lesa libertà dalla rete. Stati membri e Commissione aprono istruttorie e producono analisi e progetti di normativa. C’è chi dice che il fatto fiscale va risolto a livello europeo, chi si muove a livello nazionale, ma la cultura del safe Internet, cioè di una rete in cui i diritti fondamentali, copyright e concorrenza Pag. 11siano valori condivisi, sta attecchendo e noi ne siamo anticipatori e convinti assertori.
  Trattandosi di fenomeni internazionali, per noi l'azione sarà incisiva se sarà l'Europa a guidare non solo la difesa dell'economia dei campioni dell'Unione, ma soprattutto i contenuti necessari alla conservazione di un'identità culturale europea.
  Veniamo alla questione delle frequenze terrestri. Si è detto sopra dell'unicità della televisione terrestre come piattaforma universale e del ruolo insostituibile che svolge nella produzione originale italiana ed europea e nella difesa del pluralismo informativo e culturale, come garante di un'offerta televisiva comune a tutte le famiglie italiane, senza costi aggiuntivi di connessione. Trasporta, tra l'altro, i canali del servizio pubblico Rai.
  La sua esistenza e il suo sviluppo sono ancora più necessari in un Paese come l'Italia, dove non esiste la TV via cavo, dove l'offerta satellitare è a pagamento, a parte TivùSat, piattaforma free nata per portare l'offerta TV presente sul digitale terrestre agli abitanti che, per ragioni orografiche, non potevano essere raggiunti dal segnale terrestre.
  Sul ruolo del digitale terrestre citiamo, a supporto di una posizione che è comune a tutti i broadcaster europei, una dichiarazione dell'Ofcom, l'autorità inglese della comunicazione. In un recente rapporto sulla gestione del radiospettro ha chiarito che il DTT rimarrà piattaforma centrale di diffusione dei servizi lineari almeno fino al 2030 e che non sono prevedibili a breve altre piattaforme che sostituiscano il ruolo delle TV digitale terrestre nel consentire l'accesso universale alla visione libera dei contenuti lineari.
  Il DTT per esistere, innovarsi e crescere ha bisogno delle frequenze terrestri. Fino a cinque anni fa la porzione banda UHF, quella che va da 470 a 894 megahertz, era totalmente riservata alla televisione. Poi, per rispondere alle richieste degli operatori di telefonia mobile di poter costruire offerte LTE, in grado cioè di portare video, la parte di spettro degli 800 megahertz è stata riservata a loro e messa all'asta.
  La Conferenza delle radiocomunicazioni di Ginevra del 2012 ha previsto che dal 2015 sull'ulteriore parte di spettro dei 700 megahertz vi sia un utilizzo co-primario di televisione e servizi mobili in tecnologia LTE. Quando e quanto di questa banda andrà agli operatori mobili è ancora ragione del contendere a livello dell'Unione europea.
  A parte le fughe in avanti demagogiche assunte durante il Governo Monti dal Ministro Passera ad oggi non esiste a Bruxelles alcuna posizione condivisa sulla questione. Ne è testimonianza la costituzione in Commissione di un high level group per trovare una mediazione tra gli stakeholders coinvolti.
  Tutta la TV italiana occupa 300 megahertz di banda, mentre gli operatori telefonici arriveranno presto a 2.000. Ogni volta che hanno lanciato un nuovo servizio hanno chiesto nuove porzioni di spettro. Loro non fanno ottimizzazioni, mentre la TV terrestre, per introdurre il DTT, ha dovuto procedere con lo switch-off delle trasmissioni analogiche.
  Previsioni accreditate dal mondo della telefonia parlano della possibilità che dal 2020 sia disponibile la tecnologia 5G, molto più avanzata e potente del 4G e della LTE. Si parla di un aumento di 1.000 volte l'attuale. Questo standard viaggia su frequenze lontanissime della banda Tv e ci lascerebbe liberi di svilupparci.
  Altre e importanti sono le controindicazioni a procedere con il rilascio dei 700 megahertz ai Telcos: la tecnologia digitale terrestre è la più efficiente per portare il segnale broadcast (tipicamente, uno verso molti), mentre l'LTE, per avere una diffusione assimilabile, avrebbe bisogno di moltiplicare per otto volte la banda necessaria, con un inquinamento elettromagnetico non consentito in Italia.
  I tempi per la liberazione delle frequenze a 700 megahertz sarebbero lunghi almeno dieci anni e non comprimibili. Per evitare la distruzione del digitale terrestre si dovrà attendere l'introduzione dei nuovi standard di compressione e trasmissione, Pag. 12che, per essere efficace e non punitiva per i cittadini, dovrebbe essere accompagnata dalla naturale sostituzione degli apparecchi riceventi attrezzati per i nuovi standard. Senza contare che nell'Europa a 28 ci sono 28 diverse situazioni.
  Ci limitiamo ad aggiungere che, se tutta la banda 700 megahertz fosse riservata agli operatori mobili, il DTT perderebbe il 30 per cento delle frequenze in uso e risulterebbe fortemente discriminato rispetto alle altre piattaforme.
  Alla fine, la televisione terrestre sarebbe condannata alla marginalizzazione, con tutti gli impatti negativi per i consumatori, l'occupazione, le aziende, il pluralismo e l'industria italiana dei contenuti, con l'ulteriore beffa degli operatori di telefonia mobile insoddisfatti, visto che dei 700 megahertz non si accontentano e che hanno chiesto in sede europea di poter usare l'intero spettro UHF, confermando quello che si è capito da tempo. L'idea è che, se non si leva di mezzo la televisione terrestre, non riesce il tentativo di far circolare i contenuti TV solo sulla broadband, cosa che, secondo i più velleitari, è l'unica ipotesi per poter innalzare la domanda di connessione mobile e giustificare così gli alti costi pubblici per la diffusione della broadband mobile.
  Veniamo alle richieste al legislatore. Nello svolgimento di questo contributo abbiamo via via messo in evidenza i bisogni per un agone competitivo concorrenziale: una visione del mercato che tenga conto dei nuovi attori in campo e delle loro dimensioni; un level playing field dal lato regolamentare e delle opportunità imprenditoriali che elimini ogni ingiustificata asimmetria tra le varie piattaforme, ormai odioso e ingiustificato retaggio del passato; un allargamento dei dettami fondamentali di sistema alla platea completa degli operatori.
  Più in particolare, aggiungiamo: interventi sulle frequenze solo se necessitati per conservare alla TV terrestre tutta la banda necessaria al suo sviluppo, nel rispetto della neutralità tecnologica e della concorrenza tra piattaforme; rimozione di vincoli ormai superati di tetti e limiti alle dimensioni dei campioni nazionali; obblighi di trasparenza e di certificazione per gli Over the Top e loro inclusione nella fiscalità generale.
  Se dovessimo racchiudere in una frase le nostre necessità, potremmo semplicemente chiedere di essere tutti noi, che lavoriamo a Mediaset, liberi di esistere, crescere e continuare a fare bene il mestiere che sappiamo fare, quello di assicurare agli italiani un'offerta di televisione di qualità, moderna e innovativa, e di continuare a farlo in un ambito concorrenziale equo, in cui ogni piattaforma esalti le proprie peculiarità nel rispetto delle altre, tutti tesi a fornire il miglior servizio possibile ai cittadini, a rispettarli nei loro diritti fondamentali e a garantire al nostro Paese e al nostro continente quella rilevanza culturale e quel ruolo nella grandezza e nella bellezza che l'hanno fatto grande.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente, per l'ampia e corposa relazione. Oggettivamente, c’è materiale abbondante per iniziare la discussione.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  VINCENZA BRUNO BOSSIO. Ringrazio il Presidente Confalonieri. Condivido molte delle cose che ha detto, soprattutto perché credo che ci sia un problema, che abbiamo obiettivamente – se ne è discusso anche l'altro giorno a un convegno su Costituzione e diritto sulla rete – che riguarda il tema dei diversi modelli di business, la piattaforma terrestre, gli operatori telefonici e gli Over the Top.
  Sono d'accordo sul fatto che difendere il digitale terrestre significa oggi difendere soprattutto aziende italiane. Purtroppo, nonostante sia stata fatta una battaglia sul discorso delle tasse rispetto a Google, favorire gli Over the Top significa favorire soprattutto aziende non italiane.
  Tuttavia – e qui viene la mia parte innovatrice e, quindi, le pongo la domanda – è difficile fermare questo processo. Non Pag. 13possiamo pensare di fermare il processo che la rete Internet sta portando nel mondo e in Italia.
  Lei non pensa che bisognerebbe forse mettere intorno a uno stesso tavolo gli operatori di contenuti ? La differenza qui non è sulla produzione dei contenuti o, meglio, lo è anche perché nei fatti Google non si definisce editore, ma utilizza a scopi pubblicitari l'utente finale, che fa l'editore.
  Forse, quindi, è necessario mettere intorno allo stesso tavolo i diversi operatori, queste tre categorie fondamentali, per vedere se è possibile trovare delle soluzioni in maniera tale che non siano mortificati la produzione e i contenuti, che, se non sbaglio, e la pregherei di confermarmelo, negli ultimi anni, rispetto agli ultimi dieci anni precedenti, hanno subìto un calo, un crollo.
  Questa è un'altra situazione incredibile: come è possibile che il mercato degli audiovisivi rispetto al periodo 2001-2010 sia crollato, quando invece, teoricamente, c’è una maggiore diffusione di reti trasmissive ? Bisogna sicuramente regolamentare. Io sono convinta che la produzione dei contenuti possa essere il futuro anche per l'occupazione dei giovani nei prossimi anni. Bisognerà allora inventare modelli di business in cui il prezzo non sia più sulla trasmissione, ma sui contenuti.

  FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset SpA. Io ai tavoli credo poco. Per darsi delle regole, credo all'autoregolamentazione, che è stata efficace tante volte con i pubblicitari, per i minori.
  Ricordo quando Veltroni sosteneva che non bisognava «interrompere le emozioni». Forse più che seduti intorno a un tavolo abbiamo parlato per vedere che cosa andasse bene, perché molto spesso quello che va bene commercialmente va bene anche in generale. Se si fanno troppe interruzioni pubblicitarie, infatti, si allontana lo spettatore. Alcune cose, quindi, sono anche molto semplici da regolamentare.
  L'aspetto difficile riguarda le dimensioni, perché c’è disparità. Quello che io ho detto nella relazione è che vogliamo un campo uguale, che vogliamo regole uguali, che vogliamo – uso la lingua inglese, dato che ormai siamo diventati tutti anglofoni – il level playing field, lo stesso terreno di gioco.
  Avere lo stesso terreno di gioco vuol dire che, se noi abbiamo, e io li ho elencati, un SIC che ha una quota del 20 per cento, limiti pubblicitari del 18 per cento, tutte cose che sapete, essendo del mestiere, e arriva uno che ha totale libertà, anche di piratare, non c’è concorrenza.
  Quando noi siamo partiti come televisioni commerciali, a Napoli, dove sono inventivi e sono simpaticamente pirati, magari si faceva un film, loro lo registravano e lo diffondevano nel quartiere, ma era una cosa da poco. Qui, se io invio a lei un contenuto di Zelig, noi abbiamo postato un contenuto rispetto al quale Google si dichiara indifferente. Questo potrebbe andare se fosse così, ma su questo nostro scambio di post loro ci mettono la pubblicità.
  È questo il punto, per cui la nostra posizione è: intanto paga i contenuti, come noi li paghiamo ai nostri attori o altro, e poi – piccolo particolare – paga anche le tasse. Il fatto è che noi paghiamo tutto e loro, avendo la sede a Dublino, a Belfast o non so dove, non pagano le tasse come noi.
  Sono queste le condizioni. Noi non chiediamo altro. Peraltro, noi siamo nati come concorrenza al monopolista di turno. Figurarsi se non capiamo queste cose. Vogliamo parità di trattamento. Questo è il punto.
  Sul crollo dei contenuti non sono d'accordo. Abbiamo investito un po’ meno, perché abbiamo perso negli ultimi sei anni 700-800 milioni di euro di fatturato. Investiamo, però, ancora un miliardo e oltre nel nostro palinsesto.
  Ritornando un po’ ai contenuti e alla rete, i broadcaster europei rappresentano l'80 per cento dei contenuti prodotti nel nostro continente. Questi signori, al di là della prosopopea che hanno nel dire «Noi siamo questo, quest'altro e quest'altro ancora», Pag. 14investono pochissimo, cifre ridicole. Hanno investito 100 milioni di euro e l'hanno presentata l'anno scorso come una grande cosa. Cento milioni li investe Valter La Tona in LT Multimedia, forse un po’ meno, ma noi 100 milioni li investiamo in un trimestre in fiction.

  DEBORAH BERGAMINI. Avendo ascoltato la relazione del presidente di Mediaset, abbiamo veramente certezza dell'utilità del lavoro che stiamo facendo con questa indagine conoscitiva, perché tutti coloro che vengono qui in audizione alla fine ci descrivono un quadro che è cambiato in maniera drammatica. Lo dico in senso positivo rispetto a come siamo abituati a pensare noi la televisione e il business televisivo.
  Io credo che, come legislatori, noi dobbiamo prendere atto che, in mancanza di una visione strategica per quello che riguarda l'industria dei contenuti del nostro Paese, ci troviamo oggi – e non è un fenomeno solo italiano – a constatare una serie di distorsioni che ci vengono qui dettagliate.
  Mi ha colpito particolarmente, essendomi occupata di copyright digitale nella Commissione parlamentare d'inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, proprio il suggerimento di tornare a focalizzarci sui contenuti.
  Dico questo perché nel continente europeo c’è sempre stato un andamento un po’ di stop-and-go rispetto a questo tema. Anche i legislatori si sono sempre concentrati sulle piattaforme e sulle frequenze, mentre il tema dei contenuti, dello sviluppo e della tutela dei contenuti europei, e quindi anche italiani, è sempre rimasto un po’ in seconda linea, come se fosse un «di cui».
  Invece, io sostengo che non sia un caso se tutti i grandi Over the Top che oggi si arricchiscono sul web vengono da un Paese, gli Stati Uniti, che – guarda caso – sui contenuti ha fatto politiche, oppure ha permesso che si determinassero politiche radicalmente diverse da quelle che abbiamo in Europa.
  Oggi l'Europa è un produttore di contenuti residuale nel mondo, nonostante i tentativi anche un po’ disperati dei francesi, ma non è certo un produttore di cultura residuale. Pertanto, dobbiamo chiederci che cosa abbiamo sbagliato.
  Sicuramente la diagnosi di una mancanza di concorrenza equa è una diagnosi corretta. L'abbiamo visto molto bene. Mentre il settore televisivo è andato progressivamente verso una iper regolazione – il Presidente Confalonieri faceva cenno anche alla par condicio, che è un elemento simbolico di questo – per tante ragioni che non sto qui a ripercorrere e che non costituiscono solo un fenomeno italiano, dall'altra parte c’è stata una progressiva anarchizzazione del web. Si ha paura di normare sul web, perché, non appena si prova a dire che si norma sul web, scatta la reazione, quella sì estremamente virale, del «state violando la democrazia».
  Così ci troviamo in una situazione che non credo faccia bene né al settore televisivo, né al settore del web, perché il settore televisivo è iper regolamentato e, dunque, fa fatica, con perdite di fatturato che non sono soltanto di Mediaset, ma anche di tutti gli operatori, e si muove con mille legacci; dall'altra parte, invece, c’è questa vera e propria assenza di regole nel web, che nel breve ha sicuramente pagato – infatti, abbiamo visto enormi ricchezze crescere; mi riferisco agli Over the Top, ma non solo – ma che non so quanto nel lungo periodo pagherà.
  Ce lo dobbiamo chiedere, perché, se poi il web deve diventare un luogo nel quale non esistono regole, io mi domando anche come queste grandissime fortune che sono nate in questi anni potranno immaginare di andare avanti.
  Oggi usufruiscono anche di regimi di fiscalità estremamente vantaggiosi, lo ricordavamo prima. Se voltiamo lo sguardo rispetto a questo, rendiamo un pessimo servizio anche al web. Certamente stiamo rendendo un pessimo servizio al nostro Paese.
  Noi dobbiamo, da un lato, chiederci, come legislatori, raccogliendo le testimonianze di tutti coloro che operano nel Pag. 15settore dei contenuti audiovisivi in generale, se siamo in grado – ripeto, le due cose sono legate – di riconnetterci verso una visione strategica del ruolo che hanno i contenuti all'interno dello sviluppo di questo settore. Dall'altro lato, però, dobbiamo mettere i nostri operatori in condizione di agire, altrimenti continueremo a dover pagare tasse su tasse, che tolgono ovviamente la nostra capacità di investire sui contenuti. Avremo così dall'altra parte chi non investe sui contenuti, ma fa grandi guadagni e grandi ricchezze e non lasceremo nulla nel nostro Paese.
  Io mi domando se esista un organismo che potrà prima o poi con coraggio – non ho molta fiducia, perché di coraggio su questo aspetto non ne ho visto molto, nemmeno a livello comunitario – prendere atto che in questo momento noi, non facendo nulla, stiamo esclusivamente consentendo a una distorsione che sta impoverendo il nostro Paese di andare avanti.
  Volevo sentire su questo tema l'opinione del presidente Confalonieri.

  FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset SpA. Lei ha ragione. C’è anche un fatto psicologico. Sono nuovi, sono belli, sono attraenti, sono giovani, piacciono ai giovani, e questo conta, anche in Europa.
  Lei dice: dove possiamo trovare un luogo in cui si regoli questo ? Sarebbe l'Europa. Se, però, l'Europa passa attraverso la Commissione, e noi ci siamo stati spesso, l'Agenda digitale è in mano alla Kroes, tanto per fare i nomi e i cognomi. La Kroes pensa soltanto alle telecomunicazioni e ai contenuti come mezzo per attirare i clienti.
  Perché uno deve pagare una fee, una tariffa sulla banda larga ? Per parlare al telefono ? Non più. Per fare altri servizi ? Sì, ci sono servizi burocratici e altre cose di questo genere, ma non lo fa per questi servizi, lo fa unicamente per avere dei contenuti. Le uniche cose che attirano l'utente sono i contenuti che si possono avere in un determinato modo, attraverso una determinata piattaforma. Per questo le società di telecomunicazioni spingono su quello ma, se vogliono avere successo, lo devono avere attraverso noi.
  I preti dicono de mortuis nihil nisi bonum, però quando apparve in conference call Steve Jobs davanti alla Kroes e a tutti noi che facciamo i contenuti – c'eravamo noi, la BBC e c'erano in prevalenza gli operatori delle telecomunicazioni – la Kroes era in estasi. Steve Jobs merita questo, perché appartiene a quella categoria di persone che ha fatto fare un salto incredibile all'umanità. Tuttavia, se noi poveretti facciamo la fiction e poi arriva qualcuno che dice che in America le fiction sono più belle delle nostre, magari ci infastidiamo un po’, perché i nostri sceneggiatori, registi e via elencando non sono meno bravi degli altri. Da sempre, da quando c’è il cinema, abbiamo sempre fatto bel cinema, abbiamo raccontato bene le storie. Quello, però, è il nuovo. È questa la differenza, purtroppo.
  Inoltre, c’è una parola chiave che è fuorviante per quelli della mia generazione. La parola free, gratis, o come si dice volgarmente «a gratis», non c'era. Se volevamo comprare un libro o un disco, dovevamo pagare. Qui si può scaricare tutta la musica del mondo.
  Questi sono vantaggi. Ecco perché bisogna fronteggiare queste cose, altrimenti i contenuti non li farà più nessuno. Se tutto è gratis, nessuno più si metterà a fare questo lavoro.
  Abbiamo avuto un incontro recentemente con Gino Paoli, che è presidente della SIAE. Come noi italiani diamo 60 milioni di euro tra SIAE e IMAIE, l'Italia dà all'America 60 milioni per diritti di autore per canzonette, video e contenuti messi sul web. Gli Stati Uniti non mi danno niente qui. Gli Stati Uniti erano quelli a cui, a suo tempo, quando noi siamo partiti con la televisione, davamo magari poco, ma erano 100.000 euro magari per un'ora, quando compravano Dallas o altri loro contenuti.
  Io ricordo cos'era la MCA, l'associazione dei produttori americani, di cui Jack Valenti era presidente. Bisogna parlare degli Stati Uniti, che hanno una forza di lobbing che si muove nel mondo per gli Pag. 16interessi del suo Paese. Per Google si muove l'ambasciatore degli Stati Uniti, non solo in Italia, ma in tutto il mondo. Questo va riconosciuto. Hanno una forza che sappiamo. Poiché questi sono governanti che vanno in giro con il dossier sottobraccio e non vanno a parlare dei massimi sistemi, ma vanno a difendere gli interessi del loro Paese, sappiamo che forza di persuasione hanno. Quindi, cerchiamo di difenderci.
  L'Europa, tuttavia, può avere un ruolo, perché le regole ci sono, le direttive europee ci sono. La direttiva europea della famosa «exception culturelle» ha protetto il cinema europeo. Il cinema francese è ancora un cinema vitale perché in Francia hanno fatto queste politiche.
  Certo, se questi signori sottostanno al regime della sola direttiva e-commerce, per cui c’è soltanto un fatto commerciale e non, invece, anche un fatto culturale, si crea una disparità. Bisogna invece fare rispettare loro anche le altre regole.
  Pensiamo a un piccolo fatto: perché questi signori non danno il bilancio all'Agcom, che lo chiede a tutti gli operatori, piccoli o grandi ? Perché non lo devono dare ? Basta far rispettare loro una regola che è rispettata da tutti coloro che fanno business.

  MIRELLA LIUZZI. Io ho studiato scienza della comunicazione, ho fatto comunicazione politica, mi sono laureata e gran parte degli studi che sono stati fatti da me e dai miei colleghi anche in tutta Italia, riguardavano le televisioni e il caso Fininvest-Mediaset.
  Ora che mi trovo qui, a ventinove anni, mi sembra veramente curioso, dopo aver studiato e ristudiato in aule universitarie tutto quello che è successo da Craxi in poi, dal 1994, con la legge Tremonti, al Governo Dini, sentire dire da Mediaset che alcuni competitor ricorrono a «Papà legislatore». Mi ha veramente colpito.
  A parte il fatto che ognuno ha la facoltà di pensare e di avere le sue idee, e noi non condividiamo la maggior parte di quello che è stato detto, poiché questo, in realtà, in questo momento non conta, volevo sottolineare una considerazione: siamo arrivati nel 2014 in questa Commissione a sentire Mediaset ricorrere contro i concorrenti utilizzando in riferimento a loro la locuzione «papà legislatore», dopo tutto quello che è successo in questo ventennio, che non voglio riprendere in questo momento, perché chiunque può farlo e chiunque può vederlo.
  A parte questo, è interessante anche un altro aspetto, che è correlato alla domanda che volevo porle. Ultimamente Telefónica ha acquistato l'11 per cento di Mediaset Premium. Mi ha molto incuriosito la dichiarazione di Silvio Berlusconi, che cito testualmente: «Con Telecom avevamo studiato quattordici anni fa un accordo. Poi ci si è messo in mezzo il conflitto di interessi, la poca convinzione, e oggi la situazione è completamente cambiata».
  Vorrei chiedere se la situazione è completamente cambiata perché il conflitto d'interessi non sussiste più, in quanto il senatore Berlusconi non è più un senatore o se non sussiste più per altre ragioni, che le chiederei di spiegarci. Sarebbe interessante capire anche gli sviluppi tra Mediaset e Telecom nel futuro, sempre nella strategia che l'azienda può avere in questo momento, perché magari sono anche strategie di mercato che non possono essere rivelate in questo momento.

  FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset SpA. Io ho letto il vostro programma per quello che riguarda l'audiovisivo. Se passa il vostro programma e voi vincete le elezioni, credo che noi non verremo mai qui, perché, con il 20 per cento di Canale 5, altro che fare accordi con Alierta, Telefónica e via elencando. Saremmo spazzati via.
  Quanto alle allusioni alla storia, lei era appena nata nel 1984, quando noi abbiamo avuto la nostra prima legittimazione. La storia è quella lì. Peraltro, lei parte dal presupposto che noi si sia sbagliato tutto, che sia tutto illegale, che sia tutto regalato dal padre regolatore.
  Noi chiediamo che si rispettino le regole, perché, se debbono farci fuori per legge, è un problema. Abbiamo dipendenti, Pag. 17abbiamo fatto un'attività legittima, ma non sto a polemizzare su queste cose. Lei è membro del Parlamento e io sono il signor nessuno.
  Per quello che riguarda, invece, le nostre strategie per il futuro, il nostro business plan, è chiaro che, seguendo lo sviluppo della tecnologia, ha senso avere rapporti con le società telefoniche. Che cosa ne possa sortire, non è dato saperlo ora. Infinity, per esempio, è un'attività che sconfina in quel settore lì. Che ci sia la possibilità di fare alleanze fra Telecom e broadcaster è nelle cose.
  Passando al conflitto di interessi, è vero, è esistito per un certo periodo il conflitto di interessi, il che non era né un bene, né un male. Noi non ne abbiamo avuto vantaggio. Abbiamo avuto qualche volta, al limite, degli svantaggi per cose che avremmo potuto fare, per esempio questo, anticipare, non lo abbiamo potuto fare. Tuttavia, uno fa la storia nel momento in cui la vive e attua le attività di business che può fare in quel momento.
  Oggi Berlusconi non è più neanche senatore e, quindi, la sua capacità politica è molto diminuita. Non so cosa risponderle. A noi fa comodo che sia dentro quel 10 per cento di Alierta e che possa esserci un'alleanza. Nella nostra strategia c’è l'intenzione di rivolgerci sempre più all'esterno e, sia per la tecnologia, sia per il carattere geografico, espandere il nostro raggio d'azione. Poi vedremo quello che si potrà fare.
  Certo, deve cambiare anche un po’ il periodo economico, perché, se l'economia resta quella attuale, se i consumi sono quelli che sono e, quindi, gli incassi pubblicitari restano così depressi, non si hanno grandi possibilità di investire in contenuti, ma si fa attività di normale amministrazione, non certamente di ampie visioni per il futuro. Speriamo che la situazione cambi, insomma.

  GAETANO PIEPOLI. Presidente, nel ringraziarla per la sua esauriente relazione, vorrei porle una domanda apparentemente un po’ eccentrica. Vorrei sentire la sua opinione sul nesso esistente tra le dinamiche che vedono sviluppo tecnologico e, quindi, anche presenza di soggetti nuovi sul mercato e una realtà che sembra sempre più residuale, ovverosia l'area della crisi della carta stampata. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensa lei e se c’è una connessione, in fondo, tra le sue preoccupazioni e il venir meno di un baluardo che è stato il pilastro tradizionale di un'idea di eccezione culturale dell'Europa rispetto alle dinamiche tecnologiche.
  La seconda domanda, connessa a questa, è proprio a margine di quello che dicevo prima è la seguente: voi che contributo pensate di poter fornire per riprendere un'idea di eccezione culturale dell'Europa che comunque definisca non un'autarchia culturale, ma un'identità capace anche di dialogare su posizione paritaria con questi nuovi processi ?

  FEDELE CONFALONIERI, Presidente di Mediaset SpA. Partiamo dal fondo. Un'eccezione culturale è nelle cose. Voi siete tutta gente giovane, ormai la vostra generazione almeno due o tre continenti li ha visitati. La mia generazione ha fatto il primo viaggio aereo quando aveva vent'anni, adesso a venti giorni si prende già l'aereo.
  Guardandosi intorno, si capisce molto di più l'eccezione culturale. Non è casuale il successo del food, di certe cose che sono tipicamente locali. Ormai è diventato un luogo comune dire glocal, ma è quello che succede.
  Questo è il punto, sotto il profilo strettamente culturale. Se tu racconti bene la tua storia, che sia la storia del commissario x o y, del distretto di polizia o del Commissario Montalbano, hai successo perché sono storie che diventano poi universali. Questo vale anche per il grande romanzo dell'Ottocento, per i russi. Il nostro apporto può consistere nel farlo bene, nel farlo in un modo professionale al massimo, e lo sappiamo fare, senza lasciarci irretire.
  L'altro giorno il mio amico Freccero prendeva in giro la fiction italiana, sbagliando. Io ho visto Kevin Spacey al teatro Old Vic a Londra e ho visto un Richard IIPag. 18strepitoso, una delle performance shakespeariane più belle che abbia visto. Quando, invece, lo vedo fare il politico nel suo House of Cards, non mi impressiona. Ciascuno deve stare nel suo. Un telefilm è un telefilm, Shakespeare è Shakespeare.
  C’è la voglia di mettere cultura su tutto. Cultura è anche il campionato delle bocce, volendo. Certo, sotto un certo profilo è un'eccezione culturale, ma è diverso. Noi sappiamo, quando diciamo cultura, che cosa intendiamo e sappiamo che cosa intendiamo per difesa della cultura. Facendo bene il nostro mestiere e investendo, siamo sicuri di fare una buona operazione, come hanno fatto i francesi.
  Gli anglosassoni hanno un vantaggio incommensurabile: la lingua. Anche se fanno prodotti non eccezionali, riescono ad avere successo. Happy Days non era una cosa formidabile, però l'abbiamo visto tutti, così come Dallas. Erano fatti professionalmente in modo ineccepibile, con bravi attori, bravi sceneggiatori, e tutto quello che vogliamo, ma non erano certamente meglio di Don Matteo, del Commissario Montalbano e via elencando. Se, però, tu hai un miliardo di persone e oltre che parlano la tua lingua, vendi subito. Diversamente, fai una fatica incredibile.
  Anche i nostri grandi film del passato, come Ladri di biciclette o i film di Fellini, non facevano grandi successi di là. Poi, però, avevano un riconoscimento di critica.
  Quanto alla stampa, il nesso comune è la pubblicità, la raccolta pubblicitaria. È chiaro che, se va in crisi uno, va in crisi l'altro, però la tecnologia sulla stampa può contare.
  Noi siamo il terzo sito con Tgcom24, ma i primi due siti sono i primi due quotidiani italiani. Se la tecnologia viene usata a proposito, con intelligenza e creatività, consente il futuro a un'attività.
  Lei ha visto: era stato annunciato che era morto Newsweek, il New York Times aveva detto che non sarebbe stato più in edicola. Ebbene, Newsweek è tornato a essere cartaceo e ha le stesse tirature di prima. Certo, è sempre un prodotto diverso, si dovrà studiarlo in modo diverso, e noi facciamo questo.
  Noi oggi mescoliamo il classico televisore con Internet. Mia nipote vede la televisione e con il suo computer dialoga e commenta. Queste sono le nuove generazioni. Fortunatamente è così: mettiamo insieme le due cose.
  Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente. Con questa sua risposta noi concludiamo l'audizione, che, lo ripeto, in un passaggio così importante, arricchisce il panorama delle informazioni e del materiale che dovrebbero portarci a settembre a riflettere su un documento conclusivo, sia in ordine alla libertà del regolatore di possibili iniziative, sia per fornire questi nostri materiali a chi poi, anche dal fronte del Governo, dovrà decidere.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.50.