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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

IX Commissione

Resoconto stenografico



Seduta pomeridiana n. 19 di Giovedì 21 novembre 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SUL TRASPORTO PUBBLICO LOCALE

Audizione di rappresentanti di Arriva Italia srl.
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 3 
Piuri Marco , Amministratore delegato di Arriva Italia Srl ... 3 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 6 
Mauri Matteo (PD)  ... 7 
Dell'Orco Michele (M5S)  ... 8 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 8 
Piuri Marco , Amministratore delegato di Arriva Italia Srl ... 8 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 9 
Dell'Orco Michele (M5S)  ... 9 
Meta Michele Pompeo , Presidente ... 10 

ALLEGATO – Documentazione depositata dai rappresentanti di Arriva Italia srl ... 11

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE MICHELE POMPEO META

  La seduta comincia alle 15.35.
  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Arriva Italia srl.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul trasporto pubblico locale, l'audizione di rappresentanti di Arriva Italia srl.
  Do la parola al dottor Marco Piuri, amministratore delegato di Arriva Italia srl.

  MARCO PIURI, Amministratore delegato di Arriva Italia Srl. Presidente, grazie dell'invito. Siccome sono certo che questa Commissione ha già avuto modo di acquisire una serie di elementi di base che riguardano il settore, eviterei di ripetere cose di cui siete già a conoscenza e proverei a dare alcuni spunti di riflessione che noi riteniamo essere importanti.
  Innanzitutto noi siamo un pezzo di sistema del TPL che funziona. Rispetto a un quadro del trasporto pubblico locale che viene descritto, giustamente, con una serie di connotati di difficoltà, noi siamo un pezzo di sistema che funziona: dieci aziende, che offrono servizi di qualità riconosciuta e che presentano conti assolutamente in ordine. In questo settore normalmente si parla di servizi di bassa qualità e di problemi di risorse. Questo non è il nostro caso.
  Chi siamo ? Arriva Italia è la parte italiana del gruppo Deutsche Bahn – Arriva. Noi siamo quindi parte del gruppo tedesco Deutsche Bahn, il più grande gruppo dal punto vista globale, che conta circa 40 miliardi di euro di fatturato e 300.000 dipendenti.
  Arriva è una società di diritto inglese. Fino al 2010 era una società totalmente privata quotata alla Borsa di Londra, con 3,5 miliardi di fatturato e 40.000 dipendenti, presente in 15 Paesi europei, compresa l'Italia. Nel 2010 è stata acquistata dal gruppo Deutsche Bahn al 100 per cento con un'OPA, e quindi siamo diventati parte del gruppo tedesco. La presenza da 15 Paesi si è estesa a 18, e, come dicevo, l'Italia è uno di questi.
  Siamo arrivati in Italia dal 2002 acquistando alcune aziende. Oggi in Italia il gruppo Arriva è composto da dieci aziende, alcune delle quali sono joint venture con nostra partecipazione di minoranza. Crediamo che siano degli esempi virtuosi interessanti, che inviterei ad osservare e a analizzare con attenzione, dove un socio industriale, prima privato e oggi pubblico ma industriale (è il nostro mestiere), combinato con azionisti pubblici (tipicamente le province, i comuni e gli enti locali) gestisce aziende che, come dicevo, sono un pezzo del sistema che funziona.
  Noi siamo presenti in Piemonte, in Liguria, in Lombardia e in Friuli Venezia Giulia. All'incirca 3.500 persone lavorano Pag. 4con noi e abbiamo una flotta di 2.500 autobus. Se escludiamo Atac Roma e Atm Milano, in termini di produzione di servizi su gomma, siamo la terza realtà presente in Italia.
  Non abbiamo attività nel ferroviario, perché in Italia è difficile farlo, ma ci piacerebbe molto. Ovviamente ci sono servizi di Deutsche Bahn di tipo internazionale, come, ad esempio, le linee che scendono dal Brennero. Invece con Arriva, come trasporto regionale, non siamo ancora riusciti, ma siamo molto interessati, ad entrare nel settore ferroviario, convinti che con le risorse attualmente disponibili e pagate per i contratti di servizio di Trenitalia si possa fare di più e meglio.
  Non lo dico tanto per dire. Abbiamo fatto un'analisi in quattro regioni, Campania, Emilia-Romagna e Piemonte, e in misura minore della Lombardia, analizzando pezzi di rete, utilizzando le regole d'ingaggio reali, ossia le attuali regole di circolazione su RFI e gli attuali contratti di lavoro dei dipendenti Trenitalia. Abbiamo mostrato agli assessori di quelle regioni che, con le risorse a catalogo (visto l'incremento del 30 per cento dei costi per le regioni dal 2009 ad oggi, in termini di corrispettivi per i servizi ferroviari), è possibile fare più servizi e acquistare, con i soldi dei sussidi, treni nuovi, senza necessità di finanziamenti ulteriori.
  Dal punto vista del settore, nel quadro che vi è stato già sufficientemente rappresentato, anche dall'ultima analisi della Cassa depositi e prestiti, io mi permetto di porre alla vostra attenzione alcuni elementi.
  In primo luogo, noi crediamo che il tema non sia avere più risorse. Le risorse attuali, se stabilizzate, bastano e avanzano. Quando parlo di risorse attuali, intendo 4,9 miliardi del Fondo Nazionale più 1,5 miliardi del Fondo di perequazione. Il primo invito è stabilizzare queste risorse, perché c’è necessità di certezza dal punto di vista delle disponibilità finanziarie. Con queste risorse, se vengono stabilizzate, si può fare moltissimo, molto di più di quello che si fa oggi.
  Il tema quindi non è quello di aumentare le risorse disponibili, ma è quello di capire cosa ne facciamo. Si tratta di ripensare e utilizzare meglio queste risorse. Qui c’è uno spazio enorme, tanto nei servizi su gomma quanto nei servizi ferroviari, di cui parlavo prima.
  Da questo punto di vista, io sono assolutamente convinto che, siccome la situazione di questo settore è come una matassa ormai molto aggrovigliata – so di usare un termine ormai abusato – bisogna tentare di capire da dove si può prendere il capo e cominciare a districarla.
  Personalmente, credo che l'opportunità dei costi standard sia il capo da cui districare la matassa. È chiaro che bisogna intendersi su quale contenuto mettere sotto questa definizione. Noi sentiamo dire molte cose sul tema dei costi standard. Abbiamo visto alcune applicazioni regionali molto discutibili.
  Il costo standard, è il mio parere personale, contiene due principi fondamentali. Il primo è che ciascuno fa il suo mestiere, per cui l'ente regolatore (Stato, regione, provincia o comune) non si deve preoccupare dei bilanci delle aziende. Quando è azionista deve farlo, ma questo è un tema che toccherò dopo. In quanto regolatore, l'ente non deve preoccuparsi dei bilanci delle aziende, ma piuttosto di capire se sta pagando un prezzo congruo per il servizio che sta chiedendo, che ovviamente ha caratteri di universalità e socialità.
  Una volta che il prezzo è definito come congruo, e quindi c’è un prezzo di riferimento, che l'operatore sia molto bravo o molto cattivo e che, con quel prezzo pagato, l'operatore faccia tanti utili o generi perdite è un problema dell'azienda e del suo azionista. Non dovrebbe essere un problema del regolatore, che per quel servizio sta pagando un prezzo congruo.
  La seconda cosa collegata al tema dei costi standard è che, se applicati correttamente, introducono il principio di responsabilità, che forse è un concetto che si è perso. Intendo dire che se c’è un prezzo congruo e definito e un monte risorse chiaro e stabile, le stazioni appaltanti, Pag. 5ossia gli enti regolatori, pagano quello che devono pagare sulla base di questi elementi.
  Se un'azienda produce quel servizio a costi superiori a quelli definiti dal costo standard, ne sopporta gli oneri, senza andare più a pescare nell'ambito delle risorse rese disponibili per il settore. Se un'azienda fa un contratto integrativo aziendale, per cui alla fine il costo di produzione del servizio è più alto di quello previsto dal costo standard, non può andare a pescare risorse dal fondo, ma deve pagarselo in un altro modo.
  Allo stesso modo, se l'ente locale non adotta le misure necessarie per favorire il trasporto pubblico locale collettivo e per cercare di disincentivare la mobilità individuale privata, ne paga le conseguenze, e quindi dovrà pagare quell'extra costo con risorse proprie.
  È molto più semplice di quello che sembra. È molto più semplice di quanto ne dicano molti studi, anche universitari. Non bisogna costruire algoritmi particolarmente sofisticati. Basta mettere insieme tre numeri. Non c’è tempo di illustrarli oggi, ma abbiamo depositato alcuni documenti, dai quali spero che si possa capire quello cui sto facendo cenno.
  Abbiamo parlato di risorse stabili e del tema dei costi standard. Per quanto riguarda invece l'impianto normativo, c’è stata negli ultimi anni una sorta di bulimia legislativa un po’ ondeggiante. Io credo che con le leggi attuali si possa fare tutto quello che è necessario, anche se evidentemente mettere un po’ d'ordine non farebbe male, per evitare continue interpretazioni diverse. Comunque, c’è un impianto normativo che, una volta che è allineato alle direttive europee e al contesto europeo, permette di operare.
  Io credo che uno dei mali di cui soffre il mondo del trasporto pubblico italiano sia il seguente. A parole si è sempre dichiarato un certo modello e cioè che il settore del trasporto pubblico è un settore di rilevanza industriale e di rilevanza economica con le conseguenze del caso. Nella realtà invece, i comportamenti di tutti gli attori e i provvedimenti legislativi hanno sempre rappresentato un settore concepito esclusivamente come un pezzo di welfare, che deve essere garantito a tutti che ha anche un valore sociale.
  Non sta a me dire se questo è giusto o sbagliato. Quello che io vorrei mettere in evidenza è che, fatta una scelta, bisogna essere coerenti col modello. Credo che lo sappiate, ma vi invito a riflettere su quanto sia paradossale che il Paese nel quale il trasporto pubblico è più chiaramente un pezzo di welfare, pagato con significative risorse pubbliche, sono gli Stati Uniti.
  Ci sono altri Paesi che hanno scelto altri sistemi. Io credo che il punto è la coerenza fra modello e comportamenti. Se è un settore industriale, con tutto quello che implica, e le imprese sono imprese di capitali, che rispondono alla logica del Codice civile, operando in un mercato regolato, che evidentemente prevede prevalentemente, anche se non esclusivamente, la concorrenza per il mercato e non nel mercato, bisogna essere conseguenti in tema di modelli di gestione. Questo forse è qualcosa su cui bisogna cercare di riflettere.
  Dal punto di vista ferroviario, a me preme sottolineare che noi crediamo che ci sia una carenza in termini di competenze e conoscenze, in particolare da parte delle regioni, che sono chiamate a gestire e a regolare questo sistema. Infatti, il trasferimento delle competenze dello Stato alle regioni non è stato accompagnato da un effettivo trasferimento di conoscenze. Avere la responsabilità della regolazione del trasporto regionale e, a maggior ragione, gestire eventuali processi di gara sono cose molto complicate.
  In più occasioni io ho avuto modo di interloquire con rappresentanti del settore, a partire dal gruppo FS, proponendo come interessante il modello tedesco, non perché sono tedeschi gli azionisti del gruppo per il quale lavoro, ma perché io credo che, con l'eccezione del modello anglosassone, che è molto particolare, nell'ambito continentale, quello tedesco è il modello più interessante.Pag. 6
  In Germania hanno ritenuto che non la privatizzazione, ma la liberalizzazione, ossia il far venir meno le rendite di posizione, fosse un bene, e stanno governando questo processo. Nel settore ferroviario Deutsche Bahn ha perso il 30 per cento dei servizi che faceva in Germania a favore di nuovi entranti, uno dei quali è il gruppo FS. Arriva era molto presente in Germania prima dell'acquisizione. Infatti il gruppo FS è in Germania perché ha acquistato le attività di Arriva, che quest'ultima aveva conquistato facendo gare.
  Il fatto che Deutsche Bahn abbia perso il 30 per cento dei servizi ha portato diverse conseguenze: è cresciuta la «torta» complessiva del settore (più servizi, più risorse), che è diventato più efficiente e quindi c'erano risorse per fare più servizi; i conti di Deutsche Bahn sono molto positivi; e ci sono almeno una decina di aziende ferroviarie che operano in Germania e che permettono di verificare e di confrontare la qualità dei servizi.
  Come è stato possibile tutto questo ? È stato possibile scegliendo un approccio che, a mio parere, è l'unico ragionevole: anziché avere un'unica data di scadenza che dovrebbe porre fine a un termine transitorio che dura da 15 anni e ogni volta viene procrastinato, si è previsto un orizzonte temporale di 10-15 anni con la messa a gara progressiva di pezzi di sistema (30 per cento, 40 per cento), partendo da quelli più marginali. In questo modo si è permesso a chi bandiva la gara e a chi diventava operatore di fare errori, imparare e progressivamente crescere.
  In Italia si fa esattamente il contrario. Per esempio, l'Emilia Romagna ha messo a gara tutto il servizio regionale per 22 anni. È esattamente il meccanismo opposto a quello tedesco, che richiede che ci sia qualcuno in grado di investire 600 milioni di euro nei prossimi due anni. È evidente che questi sono dimensioni e numeri che rendono difficile un percorso di liberalizzazione.
  Mi permetto di fare un'ultima annotazione, tornando sul tema liberalizzazione e privatizzazione. Lo dico nell'ottica di chi lavorava per un gruppo privato, quotato alla Borsa di Londra, senza azionisti di riferimento, e che oggi si trova ad operare per il più grosso operatore pubblico europeo, e che quindi ha vissuto le due dimensioni.
  La questione non è scegliere tra pubblico e privato. Questa questione non ha senso, peggio ancora se è concepita in termini esclusivamente ideologici. Il tema è liberalizzare davvero, per cui ciascuno faccia il suo mestiere. Il regolatore faccia il regolatore. Se il regolatore fa il regolatore, l'arbitro e il giocatore, cosa che in Italia vale per il 90 per cento del sistema, evidentemente la cosa non funziona.
  Quando sento dire che le gare in Italia non hanno funzionato non mi stupisce, perché non hanno mai fatto una gara vera in Italia. In queste gare chi ha fatto l'arbitro faceva anche il giocatore. Credo che qui ci sia uno dei vulnus del sistema che andrebbe assolutamente rimosso, se vogliamo davvero liberalizzare, o meglio se pensiamo che la liberalizzazione, cioè il far venir meno le rendite di posizione, possa servire per elevare la qualità della vita del servizio e utilizzare in maniera più efficiente le risorse.
  Noi crediamo che sia possibile. Lo diciamo in quanto azienda che è pronta a continuare a investire risorse in questo Paese. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei. Autorizzo la pubblicazione in allegato del resoconto stenografico della seduta odierna della documentazione da voi depositata (vedi allegato). Adesso passeremo alle domande dei commissari, che potranno approfittarne, avendo di fronte un interlocutore davvero esperto. Lo abbiamo invitato in audizione, e credo che abbiamo fatto bene, perché l'esperienza maturata sul campo può aiutarci, insieme a altri contributi, a produrre, alla fine delle audizioni, una sintesi di cui abbiamo bisogno.
  Come lei sa, a conclusione di queste audizioni, su alcuni punti che lei oggi ha richiamato, noi vorremmo tentare qualche azione di discontinuità legislativa, ma anche metodologica.Pag. 7
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  MATTEO MAURI. A me sono sembrate particolarmente interessanti le cose che ci ha detto il dottor Piuri, che riportano all'attenzione un tema che abbiamo discusso in più occasioni, ma che varrebbe la pena rimettere al centro del dibattito pubblico: il tema delle liberalizzazioni.
  Tutti voi sapete che questo Paese aveva preso una strada molto precisa, quella dell'obbligatorietà delle gare, che poi è stata abbandonata, a seguito dell'esito referendario. Benché l'opinione pubblica fosse molto concentrata sul tema dell'acqua, in realtà il referendum era ben più ampio e coinvolgeva settori molto diversi da quelli su cui si è sviluppato il dibattito.
  Io sono tra quelli che da tempo sostengono che si debbano introdurre degli elementi che sblocchino questo sistema. Io condivido alcune delle cose che sono state dette. Non sono ideologicamente favorevole né a una via privata come soluzione di tutti i mali, né al tutto pubblico, sempre e in ogni caso. L'esperienza ci dimostra che non è vera né la prima né la seconda affermazione. Basti pensare a quello che è successo nel sistema inglese, dove poi si è fatta una marcia indietro, anche consistente, su alcune scelte.
  Non si dovrebbero affrontare in termini ideologici tale questioni, come ad esempio quella che c’è in Italia sul conferimento della rete. Io credo che in questo Paese ci sia un settore pubblico che in alcuni casi ha dimostrato di essere effettivamente in grado di fornire un servizio adeguato e all'altezza, ma in più di un'occasione ha dimostrato di non esserne in grado.
  L'esperienza di Arriva e di Deutsche Bahn è curiosa, perché in realtà, dentro la logica delle liberalizzazioni, il più grande operatore privato europeo anziché fare shopping sul mercato e comprare pezzi in giro, viene comprato dal più grande operatore pubblico. Per cui quando riflettiamo sul tema delle liberalizzazioni, dobbiamo tenere presente che il quadro è molto più mosso di quanto possa sembrare.
  Io credo che la questione riguardi molto i cittadini: chi è in grado di garantire il servizio migliore ai cittadini ? Torniamo sempre a quello che diceva Deng Xiaoping: non importa se un gatto è bianco o nero, purché acchiappi i topi. In questo caso, la questione è se sono in grado di garantire un servizio che sia all'altezza per i cittadini. Questo vale anche per il sistema del trasporto pubblico, a maggior ragione se noi riteniamo che debba avere una valenza addirittura costituzionale, cioè di diritto inalienabile da garantire. In questa società deve essere necessariamente così, al di là del fatto che lo scriviamo o meno in Costituzione.
  A questo proposito, io credo che il sistema italiano debba aprirsi alla liberalizzazione, che è diversa dalla privatizzazione, però deve farlo prendendo la strada giusta dell'efficientamento. Io credo che la questione dei costi standard sia l'obiettivo e il termine ultimo del percorso, perché, oggi come oggi, noi abbiamo una situazione troppo differenziata sul quadro nazionale.
  Secondo me, il punto è inserire da oggi in chiave legislativa elementi di premialità per chi rende il servizio più efficiente. Questo è uno dei punti sui quali abbiamo discusso anche in questa Commissione. È evidente che questa cosa deve essere molto bilanciata, perché da una parte dobbiamo spingere alcuni a fare efficienza, e lo si fa solo premiandoli in qualche modo, ma dall'altra parte non si può solo misurare il miglioramento, in quanto ci sono alcune aree del Paese o alcune realtà che sono già molto efficienti, per cui non hanno grandi margini di miglioramento.
  Dunque bisogna introdurre elementi di premialità, introdurre disincentivi e efficientare il sistema, ma anche aprirlo. Evidentemente aprirlo alla logica per il mercato nel mercato è una questione che ha una grande rilevanza. Non si possono lasciare ai privati solamente i pezzi più redditizi. I privati devono farsi carico di un sistema più complesso.Pag. 8
  Il dottor Piuri sottolineava una questione certamente centrale: la garanzia e la continuità delle risorse nell'arco del tempo. È chiaro che se ogni anno a giugno le amministrazioni locali e le regioni non sanno nemmeno quanti soldi avranno da lì a dicembre è difficile fare le gare e garantire il servizio. Non sto citando un caso accademico, ma una situazione che si è venuta a creare negli scorsi anni, con dei tagli fatti a settembre.
  Mi sembra che le cose che stanno succedendo a Genova siano significative. Genova, tra l'altro, è una delle realtà dove si era fatta una gara ed è entrato un privato. Dunque non è una questione di pubblico o privato. È una questione di concorrenza e di efficientamento. Inoltre, se c’è la gara, il pubblico deve fare esclusivamente il regolatore, e non deve introdurre delle dinamiche politiche nella gestione dell'azienda. L'azienda deve essere l'azienda e il pubblico deve fare il regolatore, non per forza con aziende private, ma anche con aziende pubbliche che funzionino.
  Le gare, però, devono essere vere. Su questo sono d'accordo. L'ultima gara non vera che ho visto è stata quella di Milano, vinta da ATM. È evidente che se si mette a gara un boccone troppo grande per tutti, l’incumbent se lo riprende. Se si scrive che i tram devono essere arancioni, devono essere di una certa lunghezza e devono essere stati costruiti negli anni 1930, è ovvio che ATM si riprende il servizio per gli anni successivi.
  Chiudo, per non farla troppo lunga. Io penso che, sgombrando il campo dalla discussione ideologica, la strada sia quella giusta. Il tema non è pubblico o privato, perché ci sono tanti operatori, anche pubblici e stranieri, come in questo caso, che possono fornire un servizio.
  La questione è apertura vera e reciprocità internazionale. Non è il caso della Germania, però è il caso, per esempio, in buona parte della Francia. Se non c’è reciprocità, non ci può essere un'apertura vera. La dinamica deve essere europea. Anche da questo punto di vista, ci devono essere delle garanzie europee che se qualcuno può entrare nel mercato italiano, le aziende italiane devono essere messe nelle condizioni di entrare nei mercati stranieri. La vicenda della Germania è un pezzettino molto piccolo ed è stato in qualche modo uno scambio, comunque significativo.
  Ci sarebbe poi un altro tema, che adesso non affrontiamo, altrimenti mi dilungo troppo, che è quello del trasporto merci. In questo campo sarebbe interessante che un operatore italiano si mettesse a fare seriamente l'operatore merci, o se deve dismettere, lasciasse lo spazio d'ingresso ad altri, altrimenti il servizio non lo fornisce nessuno.

  MICHELE DELL'ORCO. Io vedo che si va spesso in una certa direzione, anche se questo è un dibattito che forse faremo in un'altra sede. Mi riferisco all'idea di tagliare i fondi dove le linee sono meno utilizzate, sia a livello ferroviario che a livello di trasporto su gomma. Bisogna ricordare che l'utenza usa una determinata linea se il servizio è efficiente. Non si possono legare i fondi solamente all'utenza. Anche rispetto a quello che diceva oggi il mio collega in risposta alla sua interrogazione avente ad oggetto l'Atac, in alcuni enti locali ci possono essere problemi di errata bigliettazione. Di conseguenza, legare gli introiti ai fondi che si riversano su determinate tratte può essere errato, appunto perché non sempre le black list coincidono con le white list. Come diceva il collega Mauri, bisogna sicuramente incentivare l'efficientamento, e quindi le linee che offrono un servizio adeguato.

  PRESIDENTE. Do la parola al dottor Piuri per la replica.

  MARCO PIURI, Amministratore delegato di Arriva Italia Srl. Faccio solo due commenti. Sul tema delle liberalizzazioni e privatizzazioni, io personalmente e noi come gruppo siamo convinti che ci deve essere un'impostazione molto chiara: la rete è un asset pubblico per definizione, perché deve rispondere all'universalità del servizio e deve permettere, se si apre alla Pag. 9liberalizzazione, l'effettiva simmetria fra gli operatori; il servizio può essere affidato a soggetti diversi.
  Da questo punto di vista, il caso inglese è molto interessante, al di là di quello che si racconta, in particolare in Italia. Gli inglesi hanno fatto una scelta che si è rivelata tragica privatizzando la rete. Oggi la rete è una not for profit, perché loro imparano dagli errori. Oggi in Inghilterra l'assetto della rete è il più interessante, perché la rete è gestita da una not for profit. Vi inviterei a osservare questi passaggi.
  Sul tema dei costi standard, mi permetterei un suggerimento. È chiaro che il costo standard va applicato gradualmente. Non è pensabile che domani mattina qualcuno giri la chiave e di colpo si passi da un contesto storico, con tutto quello che vuol dire, a un nuovo contesto.
  Bisogna darsi il tempo necessario, ma bisogna partire correttamente. Bisogna stabilire il prezzo congruo, e poi capire come allineare il sistema rispetto quel prezzo. Ci mettiamo cinque anni ? Ce ne mettiamo sette ? Vediamo. È un processo che va accompagnato.
  A Genova produrre un bus-chilometro costa 6,5 euro. A Trieste costa meno di 4 euro. Si spiega tutto col fatto che a Genova c’è qualche salita in più ? Non credo che 2,5 euro di differenza si spieghino così. È evidente che c’è un sistema sul quale bisogna intervenire, con un'accortezza: la questione, per un servizio di questo tipo, è innanzitutto, come diceva l'onorevole Mauri, se il gatto prende il topo.
  Oggi il sistema è profondamente iniquo e distribuisce risorse non in base ai bisogni. Di conseguenza c’è ridondanza di offerta in alcuni territori e carenza di offerta in altri. Da qui emerge la necessità del costo standard, che serve a distribuire in modo più congruo le risorse.
  Dall'altra parte, il sistema è iniquo perché c’è uno schema tariffario troppo rigido e compresso verso il basso. Oggi il signor Piuri, che guadagna bene, paga il biglietto quanto un precario. Oggi è così. Dovremmo fare un sistema tariffario dove il signor Piuri paga un po’ di più e il precario paga un po’ di meno, perché ci sono delle politiche agevolative chiare e trasparenti, per cui alcuni settori e alcune categorie sono realmente agevolati.
  Io credo che ci sia la possibilità di rendere il sistema più trasparente e meno iniquo rispetto a come è organizzato oggi. Però, siccome è un elefante e mio nonno mi ha insegnato che l'elefante si mangia a fette e non è possibile mangiarlo tutto intero, mi permetto di proporre che la prima fetta da attaccare sia la creazione di un sistema condiviso con il riferimento a un prezzo congruo. Da qui proviamo a mettere in ordine il sistema. Non partirei da altre questioni, perché gli ultimi 15 anni dimostrano che, quando si è provato a iniziare da altre parti, non si è andati molto lontano.
  Le gare servono se effettivamente si rende il sistema più efficiente. Il cittadino non vuole solo un servizio di qualità più elevata. Oggi quello che si dimentica, facendo la polemica sulle tariffe, è che in realtà il sistema lo paga la fiscalità generale e quindi, comunque, le mani nelle tasche ce le mettiamo non da viaggiatori ma da cittadini.
  Io credo che dovrebbe esserci un sistema più trasparente, dove paga un po’ di più colui che davvero utilizza il servizio, dove c’è uno schema tariffario più equo e reali politiche agevolative, e dove la fiscalità generale contribuisce, ma solo per i servizi minimi sociali necessari.
  Oggi noi siamo in una condizione in cui bisogna decidere con quello che abbiamo cosa possiamo fare e quali sono i servizi che devono essere garantiti. Non possiamo più fare quello che facevamo negli anni Ottanta. A mio avviso, o c’è questa consapevolezza, innanzitutto da parte degli operatori, e quindi da parte del sistema, oppure è difficile che noi riusciamo a raddrizzare questo piano inclinato.

  PRESIDENTE. Do la parola al collega Dell'Orco per un'ulteriore osservazione.

  MICHELE DELL'ORCO. Vorrei integrare il mio precedente intervento. Si diceva di stabilizzare i fondi che vengono Pag. 10investiti nel trasporto. Anche noi ipotizzavamo di prevedere alcune entrate certe, ad esempio attraverso la destinazione al trasporto pubblico di una certa aliquota Irpef o altre soluzioni.
  Attualmente alcune entrate per il trasporto pubblico sono legate, ad esempio, alle accise sulla benzina. C’è una cosa da dire: le accise sulla benzina danno la sicurezza di essere sempre in salita. Come idea è paradossale: più una regione è virtuosa, più sviluppa il trasporto pubblico e minore sarà la circolazione privata, e quindi presumibilmente calano le vendite di automobili e la vendita di benzina, e questo calo diminuisce drasticamente le accise restituite alle regioni. È un circolo vizioso che non ha senso. Stavo ipotizzando con i miei colleghi di non legare questi fondi alle accise sulla benzina, però, dato che queste sono sempre in salita, paradossalmente rappresentano uno dei pochi fondi certi per il trasporto pubblico.
  Ci veniva in mente che potremmo pagare tutti il trasporto pubblico, per esempio, attraverso l'Irpef – è ovvio che questo comporterebbe un piccolo aumento –, rendendolo un servizio universale, come veniva detto, magari legandolo ad altre cose che a livello costituzionale sono universali. Potremmo farlo pagare un po’ a tutti e dare delle agevolazioni a chi ne ha bisogno, per una questione di welfare.

  PRESIDENTE. Ringrazio il dottor Piuri e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 16.05.

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