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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Venerdì 26 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Audizione di rappresentanti di Fabbrica digitale.
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Meneghetti Francesco , amministratore delegato di Fabbrica Digitale ... 3 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 7 ,
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 7 ,
Meneghetti Francesco , amministratore delegato di Fabbrica Digitale ... 7 ,
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 7 ,
Meneghetti Francesco , amministratore delegato di Fabbrica Digitale ... 7 ,
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 7 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 8 ,
Meneghetti Francesco , amministratore delegato di Fabbrica Digitale ... 8 ,
Da Villa Marco (M5S)  ... 9 ,
Meneghetti Francesco , amministratore delegato di Fabbrica Digitale ... 9 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 10 

Audizione di rappresentanti di Porsche Consulting Srl:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 10 ,
Nierling Josef , amministratore delegato di Porsche Consulting ... 10 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 15 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 15 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 15 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 15 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 15 ,
Tentori Veronica (PD)  ... 15 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 15 ,
Nierling Josef , amministratore delegato di Porsche Consulting ... 15 ,
Tentori Veronica (PD)  ... 17 ,
Nierling Josef , amministratore delegato di Porsche Consulting ... 17 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 17 ,
Nierling Josef , amministratore delegato di Porsche Consulting ... 17 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 17 ,
Nierling Josef , amministratore delegato di Porsche Consulting ... 17 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 18 ,
Nierling Josef , amministratore delegato di Porsche Consulting ... 18 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 18 

Audizione di rappresentanti di Italian Business Angels Network:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 18 ,
Anselmo Paolo , presidente di Italian Business Angels Network ... 18 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 22 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 22 ,
Tentori Veronica (PD)  ... 22 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 23 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 23 ,
Anselmo Paolo , presidente di Italian Business Angels Network ... 23 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 24 ,
Anselmo Paolo , presidente di Italian Business Angels Network ... 24 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 24 

Audizione di rappresentanti di Fonderie digitali:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 24 ,
Gabriele Pietro , presidente di Fonderie digitali ... 25 29 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 30 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 30 ,
Gabriele Pietro , presidente di Fonderie digitali ... 30 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 30 ,
Gabriele Pietro , presidente di Fonderie digitali ... 30 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 30 ,
Gabriele Pietro , presidente di Fonderie digitali ... 30 ,
Fancelli Stefano , responsabile progetto «Centro servizi manifattura digitale» ... 31 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 31 ,
Gabriele Pietro , presidente di Fonderie digitali ... 31 ,
Moroni Filippo , vicepresidente di Fonderie digitali ... 31 ,
Fancelli Stefano , responsabile progetto «Centro servizi manifattura digitale» ... 32 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 32 

Audizione di rappresentanti di Avio Aero:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 32 ,
Procacci Riccardo , presidente e amministratore delegato di Avio Aero ... 32 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 36 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 37 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 37 ,
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 37 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 37 ,
Procacci Riccardo , presidente e amministratore delegato di Avio Aero ... 37 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 39 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti di Fabbrica digitale ... 40 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti di Porsche Consulting Srl ... 56 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti di Italian Business Angels Network ... 66 

Allegato 4: Documentazione depositata dai rappresentanti di Italian Business Angels Network ... 86 

Allegato 5: Documentazione depositata dai rappresentanti di Fonderie digitali ... 96 

Allegato 6: Documentazione depositata dai rappresentanti di Avio Aero ... 101 

Allegato 7: Documentazione depositata dai rappresentanti di Avio Aero ... 109

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 10.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Fabbrica digitale.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti di Fabbrica digitale.
  Do subito la parola al dott. Francesco Meneghetti amministratore delegato di Fabbrica digitale, che ringrazio della presenza e della disponibilità.

  FRANCESCO MENEGHETTI, amministratore delegato di Fabbrica Digitale. Grazie, presidente, e grazie a tutti voi della Commissione.
  Mi farò guidare da alcune slide che ho preparato, che hanno il solo compito di fissare alcuni concetti anche in forma visiva, oltre a quello che vi dirò.
  Come dicevo poco fa al presidente, cercherò un approccio diverso rispetto a quello al quale siete stati abituati fino ad oggi. Ho visto diverse audizioni, ma noi cercheremo, come vedrete, di approcciare il tema in un modo diverso. Intanto non faremo autopromozione, cioè io non vi dirò, in questo momento, che cosa facciamo, che cosa siamo. Se siamo qui è perché qualcuno ha ritenuto la nostra azienda, e chi vi parla in particolare, capace di dire qualcosa di interessante. Ma non è il mio scopo quello di autopromuoverci.
  Cercherò di parlare di quel cambiamento che ogni giorno noi contribuiamo a creare e cercherò, ovviamente, di esporvi la nostra visione. Quello che secondo me è necessario fare è parlare di fatti e di numeri.
  Siamo in una Commissione del Parlamento della Repubblica italiana. Non penso di avere davanti degli studenti di ingegneria o dei potenziali clienti dei nostri prodotti. Ho davanti dei parlamentari, delle persone che devono capire per cercare di indirizzare il Paese. Quindi, non userò un approccio tecnico, non parlerò di tecnicalità, ma cercherò di analizzare il tema dell'Industria 4.0 in una visione d'insieme, cercando di darvi una big picture di ciò a cui ci stiamo avvicinando.
  Intanto che cos'è realmente l'Industria 4.0? L'Industria 4.0 dal mio punto di vista non è semplicemente una collezione di tecnologie. È vero tutto quello che è stato detto fino a oggi in questa Commissione; è vero tutto quello che verrà detto in futuro, perché quelli che avete interpellato sono sicuramente persone, strutture, istituti di ricerca degni di esporre in dettaglio aspetti della ricerca. Ma vorrei cercare di trasferirvi questo punto di vista: siamo di fronte a una vera rivoluzione. Tutte queste tecnologie messe insieme, tutti questi aspetti tecnici, come mai prima ci porteranno di fronte a una rivoluzione. Pag. 4
  Siamo alle porte di una trasformazione radicale delle modalità di produzione. Siamo in una trasformazione radicale dell'economia, della società e dell'intero modo di vivere al quale noi siamo abituati. È una rivoluzione nella quale noi non dobbiamo entrare, perché è una rivoluzione nella quale siamo già entrati. Se l'Industria 4.0 la possiamo definire lo strumento, essa è forse la causa, ma non è di certo l'effetto. Quindi, vorrei spiegarvi, dal mio punto di vista, quali possono essere gli effetti e le conseguenze di questa rivoluzione.
  Sappiamo che la prima rivoluzione industriale è quella che è stata condotta dall'introduzione del vapore, della macchina a vapore. Sappiamo che la seconda rivoluzione industriale è quella che è seguita all'introduzione dell'elettricità nei processi produttivi. Tutti sono concordi nel definire che la terza rivoluzione industriale è stata quella delle tecnologie dell'information technology, della comunicazione, quella che potremmo chiamare la rivoluzione industriale del digitale.
  Noi stiamo dicendo che siamo nella quarta rivoluzione industriale. Quindi, la quarta che cos'è? Qual è la definizione che possiamo trovare della quarta rivoluzione industriale? Torniamo un attimo indietro. È corretto dire che la terza rivoluzione industriale è stata l'introduzione del digitale. È correttissimo, ma dobbiamo dire qualcosa in più: era il digitale integrativo, era il digitale, quella tecnologia, che andava a integrare il lavoro umano, che si poneva come un esoscheletro delle nostre capacità, ma al centro c'era ancora l'uomo, al centro c'era il lavoratore. Il digitale integrativo andava quindi a essere un potenziamento delle capacità dell'uomo.
  La quarta rivoluzione industriale, quella nella quale noi siamo, è quella del digitale sostitutivo. Le tecnologie nella quali noi ci adoperiamo tutti i giorni sono sostitutive dell'attività dell'uomo. Questa è una portata di dimensioni probabilmente ancora non percepite. Cercherò, dunque, di dirvi molto velocemente cosa ci aspetta e quali saranno le conseguenze.
  Molte professioni saranno sostituite dall'intelligenza artificiale. Molte, peraltro, lo sono già. Interi ambiti saranno coperti da attività svolte da robot. Saranno colpiti i blue collar worker (gli operai), ma la cosa che forse nessuno si aspetta o non capisce nella sua dimensione reale è che saranno colpiti forse proporzionalmente di più i white collar, quelli ai quali tutti noi apparteniamo.
  Quella dalla quale siamo usciti o stiamo uscendo non era una crisi congiunturale – più o meno tutti lo stanno capendo – ma strutturale. Molti dei posti di lavoro che sono andati persi durante la crisi non saranno più recuperati perché erano lavori già superati, che le tecnologie avevano già sostituito. Ci sono già state, quindi, le vittime dell'Industria 4.0. Non stiamo parlando di orizzonti di decenni perché siamo già dentro a questo processo.
  Adesso cercherò di darvi alcuni spunti, ma non ho voluto fare cose troppo tecniche, quindi ho ripreso delle informazioni che tutti voi potete aver letto, limitandomi a collegarle tra loro.
  Come leggiamo tutti i giorni, la tecnologia aiutava l'uomo a guidare l'autovettura, quindi era integrativa delle attività dell'uomo. Torniamo, pertanto, al concetto di digitale integrativo. Tuttavia, fra pochissimo la tecnologia sarà sostitutiva del guidatore dell'automobile.
  Google e Ford hanno già annunciato che nel 2020 entreranno in commercio le auto senza guidatore. I droni da ricognizione già oggi sono aerei senza piloti; decollano, volano e atterrano senza l'aiuto dell'uomo. Gli aerei di linea civili, sui quali tutti voliamo, sono già completamente in grado di volare in autonomia, ovvero di decollare, volare e atterrare. L'uomo è presente semplicemente perché deve garantire la gestione delle emergenze. Ho amici piloti e vi garantisco che è assolutamente così.
  Credo voi tutti ormai abbiate letto che i robot sono già in grado di operare chirurgicamente, di fare i baristi o i giornalisti.
  Noi collaboriamo con un'azienda in Italia che è un'eccellenza a livello mondiale di motori semantici. Mi hanno fatto vedere come i loro motori semantici siano già in grado di fare di un testo una riduzione completamente logica in base a quello che Pag. 5noi chiediamo loro di fare. In sostanza, se prendiamo un libro e gli chiediamo di ridurlo in dieci pagine, un motore semantico lo riduce; fa la sintesi di quel libro, che probabilmente non sarebbe scritta meglio nemmeno dallo scrittore dell'intera opera.
  Oggi abbiamo robot in grado di fare diagnosi, di insegnare, di gestire alberghi e di usare e capire perfettamente linguaggio naturale.
  Amazon ha già iniziato a sperimentare le consegne tramite droni e non diciamo quanta robotizzazione abbia già nei suoi stabilimenti.
  Walmart, secondo una stima fatta poco tempo fa, dice che se adottasse le tecnologie di automazione oggi esistenti i suoi dipendenti, che sono poco più di 2 milioni, scenderebbero a circa 100 mila. Ovviamente, questo non viene fatto perché Walmart rappresenta una parte del PIL degli Stati Uniti, quindi viene fermata politicamente nell'effettuare questo passo.
  Un robot della Berkeley University, BRETT, grazie all'uso di tecnologie avanzate di deep learning, è in grado di autoapprendere le attività di una linea di una catena di montaggio, quindi non ha più bisogno dell'uomo che gli insegni a fare, ma copia. In pratica, guarda un operaio fare delle attività e dopo una forma di addestramento avanzato automatico è in grado, da solo, di replicare le attività di quell'operaio.
  Credo che la vostra Commissione debba tenere presente che gli Stati Uniti hanno lanciato un progetto di reshoring, ovvero stanno riportando negli Stati Uniti delle aziende che erano uscite. Ecco, lo hanno potuto fare non solo perché danno degli incentivi (gli amministratori di quelle aziende non sono pazzi; sanno che gli incentivi poi finiscono), ma perché le robotizzazioni e le innovazioni tecnologiche permettono ai robot di essere più competitivi della manodopera più economica presente al mondo.
  Oggi i robot lavorano con costi minori della manodopera cinese, se vogliamo citare quella più a basso costo. Questi processi di insourcing stanno, comunque, generando nuova occupazione che recupera almeno in parte quella persa durante il processo di offshoring.
  Vi sono altri esempi altrettanto eclatanti. Foxconn è la più grande azienda manifatturiera della Cina, che produce praticamente tutta o buona parte dell'elettronica che usiamo. Ebbene, oggi ha più di 1,5 milioni di dipendenti in Cina, ma ha già iniziato un'attività di robotizzazione pesante dei suoi stabilimenti. Ciò significa che anche ai cinesi costa meno produrre con il robot che con i loro attuali operai.
  Il computer dell'IBM, Watson, che è una delle più potenti macchine di intelligenza artificiale oggi esistenti, sta già collaborando con i dottori del Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York per stabilire le cure dei pazienti malati di cancro ai polmoni. Insieme ai medici, c'è, dunque, un computer che stabilisce la validità o meno di una cura effettuata sui pazienti.
  Con un progetto chiamato Vital, una società di Hong Kong ha sostituito un membro del suo Consiglio di amministrazione con un sistema di intelligenza artificiale, che ha diritto di voto.
  Noi stiamo realizzando un software che genera software. Quindi, stiamo costruendo un robot software che già oggi è in grado di sostituire molti programmatori. Stiamo parlando di una di quelle professioni che riteniamo essere il futuro: ebbene, oggi esistono macchine che sono in grado di sostituire anche quei tipi di professione.
  Stiamo entrando in un consorzio che ha l'obiettivo di realizzare un nuovo modello costruttivo di casa tecnologica ad altissima efficienza energetica che sarà configurabile con un software e sarà realizzata in uno stabilimento completamente automatizzato e consegnata in scatola di montaggio per poter essere montata da pochissime persone di manodopera non specializzata.
  Il contour crafting è una tecnologia studiata negli Stati Uniti che permette di automatizzare completamente un cantiere edile. Insomma, un cantiere tradizionale, come quelli a cui siamo abituati, è oggi completamente automatizzabile.
  Le ultime fabbriche di Elon Musk – peraltro, pagata dallo Stato della California Pag. 6– è totalmente robotizzata ed è completamente riconvertibile. Ciò vuol dire che oggi produce auto della Tesla, ma è predisposta per potersi risettare e trasformarsi in una linea di produzione di qualunque oggetto manifatturiero. Ora vi faccio vedere un breve video, che sicuramente avrete già visto (come ho detto, non ho voluto prendere cose strane, ma solo contenuti disponibili all'attenzione di tutti sui media digitali).
  Questo è un laboratorio della Boston Dynamic, una società del gruppo Google, che fa vedere l'ultima evoluzione ATLAS, che è un loro robot antropomorfo. Ecco, guardate questo video perché credo sia emblematico per capire il punto in cui siamo effettivamente arrivati
  Queste attività che vedete sono estremamente complesse. L'apertura di quella porta, cioè di una porta spinta, è una delle attività più complesse che possono essere fatte. Guardate su quali superfici sta camminando, in modo completamente automatico, e guardate il movimento che effettua. Non siamo in un film di fantascienza e non stiamo guardando RoboCop, ma stiamo guardando un oggetto presente attualmente in California e funzionante. Guardate a quali accidenti è in grado di far fronte in modo completamente automatico. Guardate quali attività è in grado di fare e con quale movimento; è impressionante la somiglianza con i movimenti di un essere umano. Guardate anche le difficoltà alle quali è in grado di far fronte.
  Io credo che qualcuno di noi, quando ha visto questo video, ha cercato di capire se era un rendering, cioè se era una produzione, anche perché, come sapete, un'altra delle cose alle quali ci stiamo preparando è che l'industria cinematografica probabilmente verrà fra poco sostituita quasi completamente dalle tecnologie digitali.
  Guardate le difficoltà alle quali è sottoposto e la capacità di reazione. Guardate cosa fa: viene fatto cadere, come cadrebbe qualunque essere umano, ma guardate come si rialza. In questo caso, ovviamente stiamo parlando dell'ultimo ritrovato della tecnologia, ma questo è quello che oggi già c'è, quindi già oggi questo è disponibile.
  Procedendo velocemente, guardiamo alcune affermazioni recenti.
  Voi sapete che a gennaio c'è stato, a Davos, il World Economic Forum e finalmente qualcuno ha cominciato a capire la portata generale di quello che stiamo dicendo. Il presidente ha detto: «senza azioni urgenti e indirizzate per gestire questa transizione e costruire una forza lavoro capace di affrontare le nuove competenze, i Governi dovranno affrontare disoccupazione, disuguaglianza e riduzione dei consumi, senza precedenti». Inoltre, il presidente ha detto: «in questo momento sta prendendo piede una quarta rivoluzione industriale che trova le sue fondamenta nella terza rivoluzione» che è quello che dicevamo prima, cioè che la rivoluzione digitale è nata dalle ceneri della precedente. Lo ricordate?
  Essa si caratterizza per una commistione di tecnologie che rende labili i confini tra le sfere fisiche, digitali e biologiche. Due ricercatori dell'Università di Oxford hanno fatto uno studio e stimano che a circa il 45 per cento la capacità delle tecnologie di sostituire attuali posti di lavoro negli Stati Uniti. Stiamo parlando di decine e decine di milioni di posti di lavoro, oggi, sostituibili dalle tecnologie.
  Kurzweil, un esperto di intelligenza artificiale (a noi che facciamo questo mestiere molto noto), sostiene – finora non ne ha sbagliata una – che, entro il 2029, l'intelligenza delle macchine sarà all'altezza di quella umana e che, nel 2045, la nostra forma di intelligenza alla quale noi oggi siamo abituati sarà sostanzialmente obsoleta. Per questo, vi prego di non fermare i processi di mutamento dell'atteggiamento intellettivo dei nostri bambini e dei nostri figli che non possono e non devono assomigliare alle nostre intelligenze.
  La Oxford Martin School ha fatto uno studio, analizzando 702 tipi di impieghi, di cui 141 sono ormai impieghi completamente automatizzabili.
  Sapete chi è Elon Musk? Elon Musk è il patron della Tesla ed è un altro di quelli che non ne sta sbagliando una. Qualche giorno fa, Elon Musk ha condiviso un articolo Pag. 7 che parla di intelligenza artificiale, in cui c'era un'affermazione di Vernor Vinge, uno scrittore degli Stati Uniti, peraltro di fantascienza, che è stato citato da Musk e che dice che siamo sull'orlo di un cambiamento paragonabile alla nascita della vita umana sulla terra.
  Concludiamo: che cosa ci dobbiamo preparare ad affrontare? Dobbiamo prepararci ad affrontare, dal nostro punto di vista, un futuro dove sicuramente in pochi dovranno produrre per molti, dove a lavorare saranno sempre più le macchine e dove la ricchezza sarà generata in un modo completamente diverso da quello cui siamo abituati. Inoltre, riguardo la quantità di capitale impiegata per unità di prodotto – lo dico per gli economisti, qui, presenti che sanno cos'è – sarà infinitamente più bassa quella necessaria per unità di prodotto. Certo, capite cosa vuol dire questo, cioè vuol dire anche che ci saranno tantissimi capitali disponibili.
  Grandi quantità di inoccupati – credo che già lo si apprenda e lo si capisca quotidianamente – dovranno essere socialmente sostenuti. Pochi dovranno generare le risorse per molti. Saranno necessari evidentemente nuovi equilibri sociali e dovranno essere ripensate le politiche demografiche.
  Certo, capisco la portata di quello che sto dicendo. Tuttavia, saranno necessari anche nuovi modelli di istruzioni e di mobilità, non fisica ma intesa come mobilità di lavoro. Saranno necessarie occupazioni sociali e dovremo tenere occupate le persone.
  In merito, che cosa possiamo fare? Intanto, dobbiamo comprendere la dimensione di questo cambiamento. Tutti voi – vi prego, da cittadino italiano – sforzatevi di capire la portata del cambiamento nel quale ormai siamo. Dobbiamo – dovete o dobbiamo? – studiare nuovi modelli economici e ripensare il mondo dell'istruzione e della formazione, ma radicalmente.
  Dobbiamo immaginare nuovi modelli sociali e nuovi modelli di welfare, non piccole modifiche agli attuali, ma radicali cambi dei modelli di welfare.
  Dobbiamo iniziare quella che possiamo definire la migrazione verso un nuovo modello di società. Dobbiamo attivare quella che possiamo definire una riconversione culturale del Paese. Dobbiamo coltivare tutto ciò che abbiamo e che la tecnologia non può sostituire. Qui, noi, come Italia, siamo molto fortunati, per cui noi, in Italia, forse dobbiamo farlo più di chiunque altro. Capiamo questo e concentriamoci su questo; è sul comprendere a fondo questo cambiamento che dobbiamo concentrare tutte le nostre energie e tutte le vostre energie. Il nostro Paese, per fortuna, ha tutte le caratteristiche e tutte le capacità per essere, secondo me, guida di questa rivoluzione. Io direi che è ora di partire e vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Meneghetti. Devo dire che il quadro che ci ha prospettato ha anche toni profetico-futuristici.
  Cedo la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ALBERTO BOMBASSEI. Per gran parte condivido, anche se è un po' scioccante, quello che abbiamo sentito e che adesso mi sembra un po'...

  FRANCESCO MENEGHETTI, amministratore delegato di Fabbrica Digitale. Un po' apocalittico.

  ALBERTO BOMBASSEI. Sì, un po' apocalittico.

  FRANCESCO MENEGHETTI, amministratore delegato di Fabbrica Digitale. Era il mio intento...

  ALBERTO BOMBASSEI. Francamente, almeno il nostro intento, il nostro sforzo è quello di evitare le cose che abbiamo detto, anche perché qualche studio parla di un cambiamento nel quale ci sarebbero addirittura opportunità di lavoro maggiori. Personalmente, non ne sono così convinto, però ci sono autorevoli esperti che affermano questo. Pag. 8
  Se mi posso permettere, credo che la nostra interpretazione sia quella di cogliere tutto ciò che di positivo potremmo apprendere e, di conseguenza, agire velocemente. Io lo sottolineerei in maniera molto forte, ricordando che non abbiamo tanto tempo, anche se quelle che abbiamo visto sono tutte proiezioni a 10-15-20 anni (hanno parlato addirittura del 2030 o del 2040). Credo che tutto ciò non sarà vissuto dalla nostra generazione.
  Tuttavia, proprio perché c'è questo cambiamento, soprattutto per noi che abbiamo questo tipo di responsabilità, credo che ci sia la necessità di partire al più presto, per renderci conto di quali potrebbero essere le misure che almeno il Paese dovrebbe prendere.
  A questo proposito, mi sentirei di fare un'osservazione. Abbiamo sempre parlato di Paese (il nostro Paese). Io credo che più avanti si andrà negli anni e meno il Paese avrà un interesse; ci sarà più che altro una comunità, che a mio avviso sarà come minimo quella europea. Penso che una portata di questo tipo sarà addirittura più grande; è un fenomeno che ricoprirà un territorio estremamente più ampio.
  Ritengo che il fatto di aver audito una serie di persone informate su questi temi sia proprio l'espressione della nostra volontà di approfondire maggiormente, per essere portatori di idee e di progetti e per cercare di muoverci in questa direzione.

  ADRIANA GALGANO. Grazie per la sua relazione, che ci farà riflettere. Mentre lei parlava, io pensavo ai luddisti a cavallo tra la fine del 1700 e l'inizio del 1800, che distruggevano le macchine, credendo che avrebbero comportato disoccupazione.
  Io credo che la prima rivoluzione non sia stata meno significativa di quella che noi stiamo vivendo, perché quelle erano persone non alfabetizzate, che non sapevano lavorare in organizzazione e che arrivavano dal settore dell'agricoltura. Semmai oggi, rispetto alla trasformazione della fine del 1700, considerando che abbiamo a che fare con persone che hanno un'istruzione scolastica, mi sembra tutto più semplice.
  Sull'occupazione la riflessione che faccio è che la nazione più avanzata in Europa rispetto all'Industria 4.0, che è la Germania, è praticamente alla piena occupazione. Pertanto, da questo punto di vista, forse essere più avanzati garantisce più occupazione.
  Posto che certamente questa grande trasformazione distruggerà occupazione da una parte e ne creerà dall'altra, quali saranno i settori che, secondo la sua opinione, saranno incentivati da questa rivoluzione e continueranno a necessitare di intelligenza umana?

  FRANCESCO MENEGHETTI, amministratore delegato di Fabbrica Digitale. Ha toccato tanti tasti. In primo luogo, mi preme sottolineare che la storia dell'umanità e addirittura la storia del mondo si possono guardare a vari livelli di zoom. È vero che, se noi oggi guardiamo con il livello di zoom al quale siamo abituati, vediamo che alcuni Paesi che sono partiti prima, e forse proprio per questo, stanno ancora godendo di piena occupazione.
  È chiaro che queste tecnologie genereranno nuovi posti di lavoro per produrre le tecnologie stesse. Anche noi siamo un'azienda che continua ad assumere. Nonostante si stia creando macchine per cambiare l'abitudine con la quale si produce il software, noi oggi produciamo software. Noi oggi continuiamo ad assumere come azienda, pur lavorando per far sì che in un futuro molto vicino tante delle persone che oggi assumiamo in quella forma non abbiano più lavoro.
  Questa è una delle contraddizioni della tecnologia, ma spiega perché alcuni Paesi oggi siano a piena occupazione: stanno preparando delle tecnologie, molte delle quali sostituiranno anche chi le ha create. Se vuole, dopo possiamo fare un approfondimento su questo.
  Guardi la slide che le ho mostrato. Potete vedere il sito dal quale è stata presa. È una slide che spiega quello che stava dicendo lei: la crescita esponenziale del progresso umano. Vedete dov'è l'omino? Lì è dove siamo noi.
  Noi arriviamo da una storia dell'umanità in cui il progresso è avvenuto in forma Pag. 9abbastanza lineare. Le distanze tra le rivoluzioni che citavamo poc'anzi erano distanze lunghe, capaci di ammortizzare gli effetti.
  Oggi, proprio per le tecnologie – conoscete la legge di Moore e tutte quelle cose – e per la velocità con la quale queste crescono, noi ci troviamo di fronte a una rampa di salita del progresso tecnologico che non ha nulla di paragonabile con ciò che abbiamo vissuto fino a oggi. Noi siamo lì, davanti a qualcosa che fra poco esploderà e che probabilmente genererà molti degli effetti che oggi magari vediamo solo come piccoli embrioni.
  Comunque, sul tema della piena occupazione in Germania dovremmo ragionare considerando anche le riconversioni e le tipologie di lavoro.
  Prima parlavo della necessità di rivedere il sistema scolastico eccetera. Questo è molto importante per l'Italia – attenzione – perché c'è una specificità. Rispondo anche a quello che affermava il dottore. È vero che viviamo in un mondo globalizzato – ci mancherebbe – e il lavoro che faccio io è proprio l'esempio del lavoro globalizzato, ma ci sono delle cose che l'Italia ha, che sono in gran parte eredità del passato, che per fortuna non sono globalizzabili.
  Noi oggi siamo dentro a un palazzo e fuori di qui tutti noi viviamo tranquillamente in qualcosa che non è globalizzabile. Questo è ciò su cui noi dobbiamo puntare. Questa è una specificità italiana, come sapete. A quanto ammonta il patrimonio artistico e architettonico mondiale presente in Italia? Alcune stime dicono l'80 per cento, altre l'85 per cento. Stiamo parlando dell'Italia, che è detentrice di una ricchezza infinita non globalizzabile.
  Hai voglia Google a fare le rilevazioni col progetto Google Earth! Noi lavoriamo anche in quel settore e stiamo collaborando con Google nella rilevazione dei beni architettonici e dei musei ad altissima risoluzione. Non è la stessa cosa, per fortuna.
  Oggi questo è un aspetto, ma l'Italia ha anche altre specificità, come la nostra capacità e l'italiano. L'italiano è un patrimonio che nella vita e nella storia ha dimostrato di fare quello di cui tutti noi oggi godiamo. Dobbiamo ritrovare quello. Ne parlavamo poc'anzi col presidente. Il grande problema dell'italiano è che non sa fare squadra, come sappiamo, a differenza dei tedeschi.
  Io lavoro in un settore in cui ovviamente è l'italiano a essere cercato, non l'azienda italiana, salvo alcune grandi eccezioni, che per fortuna ci sono. L'italiano è cercato perché ha delle capacità che sono uniche.
  Pertanto, io dico: se abbiamo perso alcuni treni – qualche treno ormai l'abbiamo perso – cerchiamo di recuperare laddove è recuperabile, puntando sulla nostra capacità principale, che è il nostro intelletto, il nostro cervello, la nostra capacità intellettuale e intellettiva. Puntiamo su questo.
  Questa rivoluzione industriale, la 4.0, per tanto tempo avrà bisogno di nuove professioni, avrà bisogno di capacità, avrà bisogno di fantasia, fantasia che noi sappiamo esprimere, quindi studiamo, lavoriamo a dei modelli di riconversione della nostra società, perché l'italiano riprenda quel ruolo che aveva nel Rinascimento e che – vi garantisco, vedendolo tutti i giorni – può tornare tranquillamente ad avere nelle tecnologie, anche nel famoso digitale sostitutivo.

  MARCO DA VILLA. Sarò telegrafico. Abbiamo parlato di singole esperienze, la vostra o anche Google che, per quanto grande, è comunque un'entità che sta andando in questa direzione. A livello infrastrutturale, a livello anche di pubblica amministrazione italiana, cosa si può fare per aiutare questo processo e quanta energia serve per questo? Quanta energia consuma quel robot rispetto all'energia che consuma un essere umano, che è inserito in un ecosistema biologico fatto per alimentarlo?

  FRANCESCO MENEGHETTI, amministratore delegato di Fabbrica Digitale. Sono domande molto interessanti che richiederebbero più tempo, ma sarò telegrafico anche io. La pubblica amministrazione italiana: bella domanda, molto interessante, ma la risposta è molto semplice. Bisogna innovarla (questo lo sappiamo), io ho una mia particolare visione telegrafica di come Pag. 10si possa con un articolo in una legge risolvere il problema e semplicemente obbligare la pubblica amministrazione italiana a interoperare. Come? Con i sistemi tecnologici.
  Oggi basta volerlo, basta stabilire una certa data dalla quale qualunque sistema informatico della pubblica amministrazione di nuovo acquisto debba rispondere a degli standard internazionali di interoperabilità e un'altra data entro la quale chiedere alla pubblica amministrazione di sostituire tutti i suoi sistemi informatici perché diventino interoperabili.
  Nell'interoperabilità ci sono anche gli open data, ma innanzitutto interoperabili e aperti, quindi in grado di dialogare tra loro (oggi la pubblica amministrazione non è nemmeno in grado di dialogare con se stessa) ma anche con il cittadino e con le aziende. Non serve molto: servono due semplici date, una dalla quale la pubblica amministrazione non può più comprare nulla che non sia interoperabile, un'altra entro la quale tutti i sistemi devono diventare interoperabili.
  Rispondo alla domanda sull'energia e l'ecosistema energetico necessario: le macchine consumano tanto, ma la tecnologia lavora da un lato per aumentare la potenza e dall'altro per diminuire i consumi. Oggi gli ultimi microprocessori, che sono alcune decine di volte più potenti di quelli di qualche hanno fa, consumano qualche decina di volte meno di quei processori che facevano decine di volte meno operazioni di quelli attuali.
  La ricerca tecnologica quindi va anche in quella direzione e in quella direzione va anche tutta la ricerca delle energie alternative, nelle quali alcuni robot recuperano la loro energia. Lo vedete nelle automobili elettriche, anche nella Formula 1. Qui è presente anche il dottor Bombassei, che sicuramente nella Formula 1 qualcosa fa; lui lo fa più per fermare le macchine, infatti non ci vado l'accordo perché mi ferma le macchine, mentre invece io voglio che vadano.
  Questa è la risposta.

  PRESIDENTE. Grazie, dottor Meneghetti, e buon lavoro.
  Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Porsche Consulting Srl.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti di Porsche Consulting Srl.
  Do subito la parola all'ingegner Josef Nierling, amministratore delegato di Porsche Consulting Srl.

  JOSEF NIERLING, amministratore delegato di Porsche Consulting. La ringrazio, presidente, e ringrazio tutti gli onorevoli membri della Commissione per averci invitato. Per noi è un grande piacere poter esprimere la nostra visione per contribuire alla transizione verso il digitale delle aziende business to business italiane.
  Vorrei improntare il mio discorso soprattutto dando concretezza e realizzabilità a questa trasformazione e per questo sfrutterò il mio duplice ruolo come manager di Porsche, una delle aziende tedesche leader in questo percorso di trasformazione, e contemporaneamente il mio ruolo di amministratore delegato in una società di consulenza che sta aiutando altre aziende.
  Il 70 per cento delle nostre attività è, infatti, fuori dal mondo automotive per poter aiutare altre aziende in questa transizione, sia in Germania, sia in Italia, sia nel resto del mondo.
  Per dare degli esempi concreti di come poter affrontare questo argomento, utilizzerò come prima base il nostro percorso di trasformazione, ovvero cosa sta facendo e cosa ha realizzato finora la Porsche. Ritengo, infatti, che questo possa essere usato come base per non inventare di nuovo tutto nei settori che non hanno ancora raggiunto questo grado di maturazione. Pag. 11
  La prima cosa di cui vi parlerò è Porsche. Tra l'altro, presidente, vi invito, se vi fa piacere, a venire a visitarci nei nostri stabilimenti a Stoccarda.
  In Porsche abbiamo avuto una crisi abbastanza forte vent'anni fa, quindi quello che abbiamo realizzato deriva dalla necessità di ripensare il sistema produttivo, cercando di personalizzare al massimo il nostro prodotto. A ogni modo, abbiamo costruito un sistema di produzione che è basato su una lisca di pesce, come vedete nell'animazione che vi mostro nella parte video.
  Tutto il sistema produttivo di Porsche è internamente ed esternamente sincronizzato attraverso il sistema informativo. Questo ci permette di individualizzare e far sì che ogni prodotto per ogni nostro cliente sia unico. Infatti, chi ordina una Porsche – magari on line attraverso il nostro configuratore e poi chiude l'ordine presso il nostro concessionario – avvia un processo informatizzato che permette una sincronia di tutti gli attori interni ed esterni. Parlo di esterni intendendo i fornitori, anche in Italia. Quindi, la transizione, soprattutto sull'aspetto di networking della supply chain, è attiva e viva.
  Da quel momento, nascono fenomeni che portano a una sincronizzazione anche all'interno dell'azienda. Se vedete la nostra fabbrica, al momento in cui l'auto è riconosciuta – c'è un codice, un tag elettronico che le permette di essere riconosciuta e legata al suo cliente – si avvia un sistema logistico che è molto simile a quello che forse è più noto con i video di Amazon su YouTube.
  Ci sono degli AGV, dei minirobot, che girano per la fabbrica in maniera autonoma e vanno a recuperare i componenti della singola vettura. Come vedete, c'è un operatore che viene aiutato, attraverso il sistema informativo, a scegliere il componente giusto per poterlo disporre nell'AGV. Stiamo anche sperimentando degli occhiali a realtà aumentata. Devo dire, però, che attualmente questo sistema è già più che sufficiente per ottenere i risultati che vogliamo.
  Ogni operatore, nella sua postazione di lavoro, si trova davanti un pannello touch screen che gli permette di comunicare e avere informazioni sul prodotto che ha di fronte, quindi riceve informazioni su qual è il cliente, sulla specificità del mercato e così via, ma può anche dare delle informazioni su problemi di qualità o altre indicazioni del prodotto, che fanno sì che questa informazione diventi patrimonio aziendale.
  La transizione è già fortemente in atto nelle nostre fabbriche. Come vi dicevo, essa coinvolge tante delle nostre aziende e in maniera particolare i nostri operatori.
  C'è un grado di maturità abbastanza spinto, ma come passo successivo ci aspettiamo di rendere ancora più intelligenti i processi, quindi utilizzando questa massa di dati con l'intelligenza artificiale, ovvero con il self improvement, l'auto-miglioramento dei robot, che già oggi sono attivi e connessi in rete per poter interagire con il nostro operatore, che, a sua volta, è supportato dalle macchine in maniera collaborativa. Per esempio, le macchine gli dicono se ha fatto l'operazione giusta o in maniera corretta.
  In Porsche in questo momento abbiamo identificato 27 casi su 25, portandoli avanti in maniera abbastanza decisa, ma non partendo dalla tecnologia. Questo è il suggerimento che do alle aziende: non partire da un forte focus sulla tecnologia, ma dai vantaggi che essa ci permette. Insomma, bisogna individuare quali sono i vantaggi per gli stakeholder (clienti, fornitori di impianti e così via) e da questi costruire gli use case, cioè i casi di utilizzo della tecnologia che permettono un valore aggiunto per gli stakeholder.
  Si tratta di un approccio completamente diverso da quello tradizionale, che parte da che cosa c'è nel mercato come tecnologia e poi crea degli esempi (show case) che servono piuttosto a incantare, ma non costituiscono veramente valore aggiunto.
  A ogni modo, distribuiamo questo modello su tutta la catena logistica, cosa che ci permette un vantaggio competitivo in termini generali. Quello che, però, vi voglio Pag. 12dire è che quello che stiamo realizzando non è solo efficienza del sistema produttivo, ma crescita perché ci permette, per esempio, di fare delle cose molto particolari.
  La nostra visione è che l'operatore poco prima di avere in produzione la sua auto – sapete che c'è un certo tempo di attesa, 3 o 6 mesi, per ricevere un'auto, ma in quel tempo non la si produce perché la produzione è ridotta a pochi giorni – si può andare ad informare, in relazione alla profilatura del cliente, se è interessato a un'eccellenza italiana, che in questo caso che potrebbe essere un freno carboceramico, per far sì che possiamo metterlo in produzione nell'ultimo istante.
  Per far questo è fondamentale quello che ho raccontato, ovvero una rete informativa che ha già una base e che magari avrà ancora ulteriori passaggi, come la collaborazione nella gestione della capacità. Quindi, la crescita, oltre all'efficienza, è uno degli elementi dell'Industria 4.0.
  In questa transizione ci sono fenomeni legati alla produzione, ma anche al prodotto. Se vi spostate a Weinstadt, a 40 chilometri da Stoccarda, dove abbiamo il nostro centro di ricerca, vedete che abbiamo realizzato simulazioni di sistemi che ci permettono di utilizzare tecnologie digitali per facilitare il percorso di progettazione e per ridurre significativamente i test (stiamo parlando, dunque, di riduzioni molto molto importanti nei costi).
  È rimasto, però, anche qualcosa di artigianale. Se venite a Weinstadt, vedete che, per esempio, la realizzazione dei prototipi delle auto viene fatta ancora in argilla, in maniera, appunto, artigianale. Questo, forse, è più per tradizione che per problemi di tecnologia, perché, per la verità, le stampe 3D sono ormai molto consolidate.
  Pertanto, il fenomeno sta riguardando in maniera molto forte anche lo sviluppo del prodotto. La permeazione della tecnologia sul prodotto porta sicuramente a una maggiore flessibilità. Per esempio, la settimana scorsa Andrea Illy, un nostro caro partner, ha detto che ha la visione di costruire un blend, ovvero una miscela del caffè, personalizzata per la singola persona. Quindi, oggi le tecnologie ci permettono di avere un sistema logistico complessivo che, partendo dal consumatore finale, rimette al centro la singola persona.
  Abbiamo, dunque, una visione molto positiva di quello che sta accadendo, che è concreto e realizzabile perché la macchina è già in movimento. In questa fase, però, è importante sfruttare quello che è già a disposizione per iniziare o continuare – ci sono aziende italiane che già hanno iniziato questo percorso – la transizione verso il digitale.
  In sintesi, ci sono due aspetti che dobbiamo considerare nella transizione al digitale. Uno è di tipo evolutivo, l'altro di tipo rivoluzionario. Si parla, infatti, di «rivoluzione industriale», ma secondo la nostra prospettiva il primo passo è di natura evolutiva, cioè è la permeazione di alcune tecnologie dentro le fabbriche, che è già in atto e che porterà una serie di efficienze che possiamo sfruttare fin da subito.
  Successivamente, questa permeazione permette una comunicazione tra filiere diverse, il che porta anche a possibilità più disruptive, ovvero di trasformazione, quindi si può cambiare la distribuzione del valore o creare nuovi modelli di business. Questa, però, è una fase che è figlia di questo percorso evolutivo che dobbiamo iniziare oggi.
  La terza fase, che sembra quella più spaventosa, ma che vediamo molto più semplice, è quella dell'intelligenza artificiale, che non è altro che l'utilizzo in maniera più concreta di dati che man mano stiamo accumulando. Questo è molto positivo. Io lo vorrei rendere molto semplice: l'intelligenza artificiale non ci deve preoccupare perché non è nient'altro che un sistema che apprende regolarmente quello che accade e in maniera autonoma si autoregola. Tutto questo ci permetterà semplicemente una ulteriore evoluzione semplificativa di efficientazione di quelle che saranno effettivamente le tecnologie che nei prossimi dieci anni dovrebbero permeare le nostre aziende.
  Io voglio essere di nuovo concreto perché, secondo me, molte volte si parla di scenari di Industria 4.0 e spesso non si Pag. 13ritorna con i piedi per terra. Concretamente, quello che sta accadendo è la messa in rete di singoli macchinari e di singoli impianti. Questo già è fondamentalmente un percorso in evoluzione che si sta pienamente compiendo.
  Quello che vi ho mostrato poco fa è, invece, l'interazione tra reti. Oggi, fondamentalmente queste reti dentro le singole filiere, cioè le più evolute come quelle dell'automotive, sono già in atto. Quello che succederà un domani è far sì che più reti tra di loro comunichino.
  Vi faccio un esempio dell'auto connessa, cioè la connected car. Oggi, una Porsche è già connessa e permette dei servizi specifici per il nostro cliente, ma domani, quando noi potremo far parlare questa rete con, per esempio, la rete dei parcheggi, permetterà di dare un servizio superiore al nostro cliente e fondamentalmente magari offrire a noi nuovi modelli di business, per cui forniremo un servizio di mobilità più esteso.
  Il terzo passo, come vi accennavo, è quello dell'intelligenza artificiale che ho concretizzato con l'utilizzo dei big data che già oggi si stanno costituendo e creando.
  Su questo tema, io vorrei ancora indicare che sulla fase evolutiva, cioè quella di questi giorni e non di scenari possibili tra dieci anni o vent'anni, noi abbiamo delle potenzialità di efficienza per i nostri sistemi manifatturieri che ci portano, partendo fondamentalmente anche delle nostre fabbriche – dovete pensare che nel nostro gruppo ne abbiamo 120 in giro per il mondo – e secondo le nostre stime, a un'efficienza che varia dal 10 al 20 per cento.
  Questo naturalmente, poi, si distribuisce su costi di diversa natura che possono essere del working capital, quindi della riduzione dentro l'intera value chain degli stock, ma effettivamente efficienze del lavoro delle persone.
  Sicuramente verrà la domanda: questo tipo di approccio porterà un impatto di tipo occupazionale? Naturalmente, ci sarà un incremento dell'efficienza. Certo, questi sono i numeri. In Germania, si parla comunque di investimento da parte delle aziende di diversi miliardi per ottenere minimo un 3 per cento in efficienza.
  Tuttavia, la questione è: il bilancio tra efficienza e crescita è positivo o è negativo? La nostra visione è sicuramente positiva, quindi sicuramente, se noi in Italia riusciamo a sfruttare correttamente questo momento, oltre a beneficiare dell'affetto dell'efficienza, utilizzeremo questa capacità in più e queste risorse in più che otterremo dall'efficienza per essere più competitivi, quindi per generare un fenomeno di crescita, anche occupazionale.
  Vi do semplicemente alcuni spunti su come noi stimoliamo i nostri clienti, nel mondo della consulenza, ad affrontare questo tema.
  Come vi accennavo già all'inizio, secondo me è importante che si parta non tanto dalla tecnologia, ma da quello che è il beneficio per il cliente. Su questo punto, la prima cosa che noi suggeriamo è di pensare a una strategia digitale molto focalizzata e molto concreta. Molte volte, quando si parla di strategia, ci sembra qualcosa di astratto e di relativo a uno scenario futuristico, invece noi lo riteniamo come un passo dopo l'altro concreto per ottenere questa Agenda digitale per la singola azienda. Questo deve essere focalizzato sicuramente sul core business dell'azienda stessa. Inoltre, su questo, fondamentalmente si deve lavorare all'abilitazione dell'organizzazione, cioè a tutte quelle sono le competenze interne, per poter affrontare questa Agenda.
  Un'altra esperienza che noi vi portiamo e che suggeriamo alle aziende è quella di iniziare in piccolo e pensare in grande, cioè di iniziare con dei casi pilota che permettano di imparare cosa significhi mettere in un sistema più ampio e digitale una porzione del sistema produttivo e fare, quindi, una scalabilità verso tutto quello che rappresenta la catena logistica complessiva. Questo approccio, tra l'altro, aiuta molto perché toglie la paura e aiuta il cambiamento. Aiuta il cambiamento perché aiuta a digerire più facilmente questa transizione.
  I tre passi fondamentali che suggeriamo sono: costruire una visione chiara, lavorare Pag. 14sull'organizzazione e sulle persone e rapidamente iniziare. Per me, quando parlo di persone, è molto importante capire che questa transizione porta a dei cambiamenti radicali anche sul ruolo del singolo individuo all'interno dell'organizzazione.
  Già oggi, la tecnologia ha rotto alcune barriere, quindi la comunicazione tra il cliente e il personale dell'azienda è sempre più forte perché la presenza del cliente è sempre più dentro l'azienda stessa. Oggi, in un cambiamento così forte, molto probabilmente i talenti, più che essere posizionati nelle risoluzioni dei problemi, dovrebbero essere posizionati lì dove si identificano le potenzialità di crescita per l'azienda stessa. Bisogna puntare, in un momento di transizione e in un momento turbolento come questo, i talenti a dimensionare le opportunità conseguenti a Industria 4.0.
  Anche per le aziende nel percorso di selezione, è sempre più importante riuscire a ottenere delle persone che abbiano la capacità di apprendimento e un'agilità nell'apprendimento molto elevate. Questo forse pesa ancora di più rispetto all'esperienza consolidata, appunto per l'evoluzione in cui stiamo affrontando la situazione.
  L'ultimo punto – lo citerò di nuovo, quando parleremo di intervento da parte delle istituzioni – è il nuovo modo di lavorare. Quello che si chiama «bilanciamento tra lavoro e vita» oggi è più complesso ed è veramente molto più promiscuo il tempo dedicato all'azienda rispetto al tempo dedicato alla vita privata. Su questo, dobbiamo riflettere e aiutare l'azienda a far sì che ci sia un beneficio sia per il dipendente che per il sistema produttivo.
  Ultimo punto, come accennavo, è questo modo agile di sviluppare questi concetti. Sembra strano che in un'azienda tedesca, come la nostra, che è molto strutturata e che ha dei processi lunghi – immaginate che per produrre un prodotto ci vogliono almeno tre anni nel processo di sviluppo – oggi abbiamo appreso che è molto più importante essere più agili, cioè costruire dei prodotti e lanciarli molto presto sul mercato per comprenderne gli effetti.
  Guardando le nostre aziende, quindi Industria 4.0 dal punto di vista del business-to-business, abbiamo capito che un'azienda meccanica che produce un impianto e che contiene tecnologie di Industria 4.0 deve essere più propensa a utilizzare queste tecnologie sul mercato per imparare dalle stesse. Anche all'interno delle aziende, l'utilizzo delle tecnologie deve essere fatto con questo concetto pilota che noi abbiamo appreso internamente e che è molto efficace.
  Finisco con alcuni suggerimenti relativi a quello che potrebbe essere il contributo delle istituzioni e premetto che – almeno questa è la visione in Germania – per fare una rivoluzione di tipo industriale è necessario l'intervento delle aziende perché sono loro che lo realizzano ed è naturale che le istituzioni possano supportare questa rivoluzione. Non faccio cenno ai normali contributi che possono essere dati, come le infrastrutture, la banda larga e le standardizzazioni, ma vorrei focalizzarmi su due o tre punti che magari non sono stati finora abbastanza chiaramente messi in evidenza.
  Uno è il supporto legislativo, anche contrattuale, ai nuovi modelli di lavoro.
  Vi faccio un esempio. Ieri sera, sono arrivato da Stoccarda. Nell'aeroporto di Stoccarda, c'è un fabbisogno, come in tutti gli aeroporti – noi, come società di consulenza, lavoriamo anche con quelli –molto variabile durante l'arco della giornata. Tra le sei e le nove del mattino tante persone volano, il che si ripete nel pomeriggio.
  È interessante vedere che a Stoccarda hanno adottato un modello particolare di assegnazione del lavoro alle persone: hanno un'app e, attraverso questa, in maniera autonoma possono «bookare», cioè dare la loro disponibilità a lavorare in quel determinato turno. Questo è un modello molto interessante perché permette veramente di far sì che convergano gli interessi della singola persona con quelli l'azienda. Su questo dobbiamo lavorare per riuscire a ottenere dei nuovi modelli che ci permettano effettivamente di sfruttare appieno le nostre tecnologie.
  Un altro tema che è molto sensibile e che anche in Germania si sta spingendo Pag. 15molto è quello di stimolare i nostri studenti a prendere percorsi di tipo tecnico, scientifico. In Germania, li chiamiamo MINT: Mathematik, Informatik, Naturwissenschaft und Technik, ovvero la matematica, l'informatica, le scienze e la tecnologia.
  Questo è molto importante e, come ha detto la nostra Cancelliera Merkel, è molto importante anche spingere le donne in questa direzione, perché ci sono enormi opportunità in queste materie e dobbiamo evitare che vengano perse.
  L'ultimo punto che voglio evidenziare deriva direttamente dal modello industriale tedesco, ed è la collaborazione tra tutti gli attori: le aziende, i sindacati, il Governo e il mondo accademico. Questo in Germania è molto strutturato ed effettivamente è uno degli elementi che possiamo importare e che può dare un enorme beneficio al nostro Paese.
  Io ho concluso e sono disponibile alle vostre domande.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ADRIANA GALGANO. Buongiorno, grazie per l'interessante relazione. Ringrazi da parte mia Angela Merkel per quello che ha detto sulle donne, perché voglio far notare alla nostra Commissione che noi abbiamo avuto solo relatori maschi, quindi sicuramente c'è un grandissimo spazio per la crescita delle donne in questo settore. Vorrei porre due domande.

  PRESIDENTE. La Ministra Guidi sarà l'unica donna.

  ADRIANA GALGANO. Esatto. Nella vostra organizzazione questa rivoluzione dell'Industria 4.0 dove ha cancellato posti di lavoro e dove ne ha creati? Vorrei sapere, se ce lo può dire ovviamente, se ha avuto una somma positiva o una somma negativa e se magari ne ha creati altri nell'indotto.
  In secondo luogo, quali sono le competenze trasversali necessarie all'interno di un'organizzazione perché i lavoratori si integrino con questa trasformazione?

  LORENZO BASSO. Ringrazio anch'io per l'interessante esposizione. Vorrei sottoporre due quesiti. In primo luogo, vista la vostra conoscenza, non soltanto del mercato tedesco, ma anche di quello che avviene in Germania, quali sono state, secondo voi, le iniziative più efficienti proposte dal Governo tedesco per agevolare la transizione del sistema produttivo tedesco verso un modello di Industria 4.0? Fra le varie proposte contenute nel piano di azione che noi abbiamo già potuto studiare, quali sono state, secondo voi, quelle che hanno portato nel concreto i risultati più grandi e in tempi più rapidi?
  La seconda domanda riguarda il tema occupazionale. Al di là dei punti di vista e dell'impossibilità di valutare quelle che saranno le ricadute, soprattutto in termini geografici, del saldo occupazionale, quali sono i profili occupazionali che nel futuro verranno maggiormente richiesti dall'industria che si convertirà verso un modello Industria 4.0? Di conseguenza, quali dovrebbero essere le competenze che devono essere formate in maniera molto rapida per dare la possibilità alle aziende dei vari Paesi di poterne beneficiare?

  VERONICA TENTORI. Grazie agli auditi. Agganciandomi all'ultima domanda che è stata posta, vorrei aggiungere un quesito. Vorrei sapere come avete sviluppato queste competenze all'interno del vostro percorso aziendale.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  JOSEF NIERLING, amministratore delegato di Porsche Consulting. Innanzitutto ringrazio per le domande. Per quanto riguarda l'impatto occupazionale, in Porsche il saldo è nettamente positivo. Questo è dovuto al fatto che abbiamo ottenuto un'efficienza molto forte dal sistema produttivo, soprattutto nei primi anni di applicazione, e questo ha portato a un numero di ore per la realizzazione del prodotto sempre in riduzione. Stiamo parlando di una riduzione molto significativa: dal 30 fino al 70 Pag. 16per cento di riduzione del fabbisogno per realizzare un prodotto.
  Noi abbiamo investito questo in crescita, per far sì che l'azienda fosse più competitiva. Pertanto, in totale l'azienda Porsche ha oggi un numero di dipendenti molto più alto rispetto, ad esempio, a dieci anni fa.
  Secondo me, ciò che è importante sottolineare è che il saldo è sempre negativo in termini di efficienza, perché si va da un minimo del 3 per cento fino a un massimo del 30 per cento in occupazione, ma, se l'azienda, sfruttando queste tecnologie, risulta più competitiva – ed è su questo che dobbiamo lavorare – allora abbiamo sicuramente un saldo positivo.
  Negli ultimi tre anni, dato anche il lancio di nuovi prodotti, nella nostra azienda abbiamo un numero di assunti che varia dai 3 mila ai 4 mila in più.
  Passo al tema delle competenze trasversali. Sicuramente cambiano le competenze necessarie. Mi collego all'altra domanda su come abbiamo sviluppato queste competenze.
  È ovvio che alcune competenze si perdono, per esempio quelle di coordinazione e di scambio delle informazioni. Quando un sistema è in rete, non è più necessaria la «traduzione» da un reparto all'altro o da un'azienda all'altra delle informazioni, perché è automatizzata. Pertanto, questo tipo di figure professionali si perde. Le figure più trasversali, invece, sono quelle che derivano dal processo di innovazione.
  Sfrutto l'occasione anche per rispondere all'altra domanda relativa a quali profili occupazionali ci immaginiamo si sviluppino nei prossimi anni.
  Esistono, secondo il nostro punto di vista, due tipologie di profilo molto significative. Una è quella di natura più tecnica, dall'operatore che lavora in collaborazione con la macchina all'ingegnere che sviluppa un sistema produttivo sempre più flessibile. Un'altra area di forte sviluppo è quella dell'innovazione di business model, un'area più economica, che richiede una professionalità di sviluppo di business, che è sempre più al centro della nostra attenzione.
  Cito per concretezza sempre il caso della Porsche. Oggi, oltre ad avere i tecnici che sviluppano il prodotto, abbiamo una forte attenzione a quali modelli di business di mobilità saranno presenti nel futuro e, quindi, a come noi possiamo interagire con un sistema di mobilità molto più complesso. Questo non è un aspetto di tipo tecnico, ma riguarda il modello di business e, quindi, quel tipo di talenti.
  Su questo, quindi, c'è una competenza, che noi chiamiamo design thinking, che però non ha a che fare con il design di prodotto, bensì con la sperimentazione. Anche negli aspetti di sviluppo, di business e, quindi, di crescita, noi utilizziamo un approccio sperimentale: un continuo tentare di provare sul mercato, apprendere dal mercato e far sì che questa esperienza permetta un'ulteriore crescita.
  Come dicevo, oggi, in un momento turbolento, non esiste più la strategia di lungo termine stabile. Una volta si parlava di «vantaggio competitivo sostenibile a lungo termine». Le nostre aziende, anche in Italia, devono apprendere che il vantaggio competitivo oggi è dinamico e dobbiamo ricostruirlo costantemente. In quell'ambito dobbiamo inserire delle risorse speciali, quelle con il talento, che ci permettono la crescita.
  Mi si chiedeva come abbiamo sviluppato queste competenze. Voi sapete che in Germania esiste un sistema duale ormai consolidato da tantissimi anni. Quello che abbiamo fatto nella nostra azienda è stato collaborare in maniera molto spinta con gli istituti formativi.
  Noi abbiamo diversi auszubildender, persone che vengono da noi a fare la formazione e che in qualche maniera apprendono, ma ci danno anche del know-how nuovo, per far sì che queste competenze si installino all'interno della nostra organizzazione. Questo è l'approccio principale che noi stiamo adottando.
  C'era un'ultima domanda dell'onorevole Basso relativamente a quali iniziative più efficienti siano state fatte in Germania. Credo che almeno tre meritino di essere segnalate. Pag. 17
  La prima è la ricerca di standardizzazione di questo processo. Noi abbiamo costruito una sorta di aggregazione, quindi il Ministero ha spinto a un'aggregazione di aziende, perché la rivoluzione si fa con le aziende, che si chiama Platform Industrie 4.0, ci sono circa 150 organizzazioni che si sono aggregate e fanno sì che si sviluppino degli standard immediatamente utilizzabili.
  Per me è fondamentale che noi dobbiamo costruire sistemi di standard quanto più aperti possibile, dando un vantaggio competitivo a livello europeo. Il suggerimento per le istituzioni è quindi quello di collaborare in maniera intensiva perché questi standard siano quanto più transnazionali possibili.
  Il secondo punto è la collaborazione con le università a cui avevamo già accennato, il terzo è il tema della comunicazione. In Germania stiamo spingendo molto il tema Industria 4.0 per far sì che ci sia una consapevolezza sempre più spinta dell'urgenza della trasformazione, quindi una comunicazione che ha il fine di fare dei passi concreti.
  Questo rende la comunicazione più tangibile sui passi da fare, ci sono già i casi reali da poter visitare, c'è molto sharing tra aziende delle cose che si sono apprese, in maniera tale che ci sia una consapevolezza di sistema industriale su dove si è e dove si sta andando.

  VERONICA TENTORI. Mi ha stimolato sulla risposta in merito alle competenze. Vorrei un parere su quelle che potrebbero essere le prospettive di sviluppo occupazionale nell'ambito della formazione delle competenze, se avete già dei dati e si sta ampliando la prospettiva di sviluppare nuove forme occupazionali.

  JOSEF NIERLING, amministratore delegato di Porsche Consulting. Non abbiamo dati relativamente alla Germania, ma è una trasformazione molto forte e devo dire che come società di consulenza stiamo offrendo molti servizi formativi in questo senso, quindi è ovvio che sta nascendo anche nell'indotto formativo una spinta molto forte a far sì che queste competenze si sviluppino.
  Lo sviluppo di queste competenze può nascere da due elementi: la formazione e la collaborazione tra le aziende, che permettono il consolidamento di queste competenze e lo sviluppo delle stesse.

  ADRIANA GALGANO. State lavorando all'auto che si guida da sola?

  JOSEF NIERLING, amministratore delegato di Porsche Consulting. È una bellissima domanda, sicuramente è interessante e sarà sempre più vicina la prospettiva in cui le auto, comunicando con il mondo esterno, si autoregoleranno.
  Devo dire che guidare una Porsche è una passione e quindi sicuramente il momento in cui il nostro cliente si siede sopra la Porsche vuole avere ancora la sensazione di poterla guidare.
  Sebbene tecnicamente vi sia una maturità della tecnologia guardando l'intero gruppo Volkswagen, si realizzerà una svolta di questo genere e le tecnologie sono già mature, la Porsche secondo me si guiderà ancora con le proprie mani.

  PRESIDENTE. Questo sarà uno dei grandi interrogativi della rivoluzione, perché è evidente che ci sono dei beni di uso comune come questo o una Ferrari dove l'automazione totale della guida toglie quasi tutto il senso di stare su macchine come queste. Questo implica che anche rispetto alle profezie apocalittiche per molti anni saranno presenti le due soluzioni, così come nel passato e anche oggi avviene per tante altre cose: si potrà guidare in un modo o nell'altro modo.
  Se così non fosse, saremmo a un cambiamento davvero epocale, dove quello che viene messo in discussione è il senso di quello che produci, quindi è una delle grandi questioni che solo il tempo dirà come si realizzerà.

  JOSEF NIERLING, amministratore delegato di Porsche Consulting. Questo approccio evolutivo che vi ho suggerito è molto importante, perché c'è sicuramente Pag. 18un aspetto rivoluzionario sui modelli di business, ma le nostre aziende devono iniziare un percorso evolutivo e quindi essere tranquille in questa trasformazione. Questo vale anche per le piccole aziende, perché la cosa bella è che queste tecnologie oggi sono così semplici che permettono una diffusione capillare molto più forte rispetto al passato.
  Le nostre reti WAN, che ci permettono la sincronizzazione che vi ho raccontato, sono dedicate a una filiera molto consolidata con attori importanti, ma oggi le nuove tecnologie permettono una diffusione molto più capillare.
  Devo dire (sicuramente il Presidente di Confindustria Aldo Bonomi sarà felice di sentirlo) che le reti di impresa, che sono un interessante tassello in Italia, potranno beneficiare di queste tecnologie, perché hanno un accesso molto più facilitato all'aggregazione, alla creazione di un sistema virtuale più competitivo, mentre in passato le vecchie tecnologie non consentivano questa integrazione per motivi di costo.

  PRESIDENTE. Chiudiamo su una nota positiva. Ringrazio l'amministratore delegato di Porsche Consulting, verremo volentieri a visitare Stoccarda!

  JOSEF NIERLING, amministratore delegato di Porsche Consulting. È un invito ufficiale. Vi aspetto sicuramente.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2). Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Italian Business Angels Network.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti di Italian Business Angels Network.
  Do subito la parola al professor ingegner Paolo Anselmo, presidente di Italian Business Angels Network (IBAN), acronimo particolarmente importante. Il professore, che è accompagnato dal dottor Occhi, ci ha già consegnato il testo della sua relazione. Nel ringraziarlo anche per questo, gli cedo subito la parola.

  PAOLO ANSELMO, presidente di Italian Business Angels Network. Per agevolare il vostro lavoro e la vostra comprensione è stato predisposto un documento in Power Point, che è quello che utilizzo sinteticamente ora, nonché un documento Word che permette di esplicitare meglio i concetti che vengono qui rappresentati.
  Come dice il presidente, l'acronimo IBAN è strano, ma solo perché l'associazione è nata nel 1999, quindi prima che nascesse il codice IBAN. In pratica, il marchio registrato è nostro, ma l'ABI non lo ha mai voluto acquistare. Pertanto, lo usa impropriamente o propriamente, a seconda delle condizioni, ma non ha il dominio IBAN.it, che è nostro.
  Noi siamo nati prima dell'internet delle cose. Il business angel non è tradotto in italiano e non è normato nel Codice italiano, il che è un peccato. Si tratta sostanzialmente una persona fisica che investe in capitale di rischio, quindi, di fatto, come vedremo, non è normato in nessun testo unico sull'intermediazione finanziaria e non è, perciò, assoggettato al controllo di Consob o di Banca d'Italia.
  L'associazione è nata – ripeto – nel 1999 perché l'allora Commissione europea voleva portare in Europa delle competenze e delle specificità che erano già ben presenti negli Stati Uniti.
  Esiste un'associazione europea che si chiama Business Centre Europe, per cui alla fine della mia presentazione farò riferimento ad alcune indicazioni che abbiamo fatto alla DG FISMA, in particolare nel maggio dello scorso anno, relativamente alla consultazione pubblica sul Capital Markets Union per creare un mercato più ampio dei capitali a livello dei 28 Paesi.
  Per noi è importante sostenere e sviluppare le start-up, ma in modo indiretto, attraverso lo sviluppo del capitale di rischio Pag. 19da parte degli investitori business angel. All'uopo, periodicamente prepariamo dei documenti.
  Nel novembre 2014 abbiamo predisposto, con un importante studio legale fiscale nazionale, un Libro bianco sulle start-up, che è stato inviato anche a questa Commissione, come a tutte le Commissioni competenti di Camera e Senato e ai ministeri che hanno competenza in ambito di diritto tributario, societario e del lavoro, proprio perché l'ingaggio da parte del business angel non ha una valenza unicamente tributaria, ma deve avere anche una valenza societaria e di diritto del lavoro. Insomma, essendo trasversale rispetto a questo tipo di ambiti, non esiste, di fatto, un ministero di riferimento unico, ma sono coinvolti più ministeri.
  Parte delle misure di carattere societario sono state poi recepite nell'ambito dell'Investment Compact. Riteniamo che le altre possano rientrare nell'ambito delle future misure applicative relative a Industria 4.0. In particolare, due delle tre proposte che sottoponiamo alla vostra attenzione questa mattina possono, secondo noi, rientrare in questo tipo di ambito.
  In prima battuta, si parla sempre di misure di diritto fiscale o tributario a impatto zero. Ecco, in realtà il mondo delle start-up non genera numeri spaventosi in Italia. Infatti, i dati del 2014 portano a dire che in capitale di rischio, relativamente a start-up e a start-up innovative, l'ammontare investito è intorno ai 90 milioni. Periodicamente parliamo di cifre che stanno tra i 90 e i 150 milioni, quindi incrementare le misure fiscali a favore gli investitori è quasi a impatto zero perché non stiamo parlando di miliardi di euro.
  Tuttavia, è un mercato che cresce. Rispetto al 2013 era cresciuto del 12 per cento, ma l'aspetto interessante è che comincia a esserci sempre più una filiera a 360 gradi dell'intervento del capitale di rischio relativamente alle start-up. Non è più solo un mestiere di semplice venture capitalist o di business angel, ma comincia a essere un mestiere comune, in cui business angel e venture capitalist collaborano insieme.
  Questo è frutto del report fatto congiuntamente tra l'associazione IBAN, l'associazione AIFI e l'Osservatorio sul capitale di rischio dell'università di Castellanza nello scorso mese di ottobre. Anche quest'anno, a fine estate, avremo i dati relativi al 2015.
  Il dato importante è che c'è una sorta di tripartizione rispetto ai diversi soggetti, con un'interazione positiva fra soggetti normati, quindi assoggettati al controllo di Banca d'Italia o della Consob, e soggetti non normati. Il mercato si sta, dunque, avvicinando sempre più verso una necessaria definizione univoca della figura del business angel.
  Passo ora alle tre proposte che possono essere attuate dell'ambito di Industria 4.0.
  In prima battuta è fondamentale arrivare a un riconoscimento giuridico della professione di business angel. Questo è necessario attraverso una serie di passi informativi e formativi, per cui considero che il punto 4 dei 10 punti evidenziati nel vostro documento possa essere ben associato a questo primo suggerimento.
  Il secondo punto è che dobbiamo mettere in maggior connessione start-up, capitale di rischio e i player importanti ed essenziali del tessuto economico e produttivo dell'Italia, quindi il mondo delle PMI, delle imprese private e delle imprese pubbliche che stanno per diventare private. Mi riferisco, perciò, al punto 7 delle vostre indicazioni.
  Dopodiché, è necessario avere un mercato secondario. Oggi c'è una maggiore difficoltà a investire perché non è facile smobilizzare gli investimenti fatti negli anni precedenti. Non siamo assolutamente in presenza di critica aziendali perché, come sapete, oggi la start-up innovativa non può fallire. La storia sfortunata di una start-up innovativa si chiude con un concordato, quindi non ci sono danni collaterali particolarmente complicati in quanto vengono penalizzati coloro che hanno rischiato; d'altra parte, il capitale di rischio è a totale discrezionalità di coloro che hanno investito. Allora, da questo punto di vista, nei casi positivi è necessario creare, appunto, un mercato secondario. Pag. 20
  Inoltre, è importante avere un riconoscimento giuridico. Ci riferiamo a persone che hanno un'esperienza imprenditoriale manageriale, con un patrimonio finanziario disponibile, quindi potrebbero rientrare, secondo la normativa dei mini bond, tra gli investitori privati professionali non qualificati che investono a titolo individuale.
  Questo è un panorama particolarmente ampio perché abbiamo tanti imprenditori, che non necessariamente devono mettere in gioco il patrimonio dalla propria impresa, ma possono mettere in gioco parte del loro patrimonio personale; vi sono, poi, i liberi professionisti e i manager, siano essi in attività, siano coloro che, per motivi diversi, non hanno potuto concludere la propria attività lavorativa e non hanno ancora raggiunto l'età della quiescenza.
  Ad oggi non ci si può inventare imprenditori, né business angel, quindi riteniamo che debba esserci un'adeguata attività di formazione e informazione, almeno basica, che porti a raggiungere questo tipo di competenza.
  In genere, nei Paesi più evoluti – mi riferisco agli Stati Uniti o alla Gran Bretagna – nei casi positivi l'exit è nei 4-5 anni successivi all'investimento, ma deve esserci comunque un mercato secondario. Se questo non esiste diventa complicato, per cui rischia di essere un investimento che non si tramuta in una exit positiva e, di conseguenza, non può generare un reinvestimento in nuovi tipi di iniziative.
  Allora, dobbiamo far crescere il mercato dei business angel in Italia. Come dicevo, possono essere imprenditori che hanno ceduto a un grande competitor la propria azienda o manager che sono usciti dal sistema produttivo e sono in attesa di qualcosa, o comunque persone che vogliono trasformarsi non necessariamente in imprenditori, ma in investitori. È, quindi, fondamentale aiutare queste persone.
  Da tempo, c'è una interazione con il sistema delle associazioni professionali dei dirigenti, sia del comparto industriale, quindi Federmanager, sia del comparto dei servizi, quindi Manageritalia, ma dal nostro punto di vista si deve cominciare a interagire anche con gli enti previdenziali e con le casse di previdenza dei professionisti, nel senso che, poiché sempre di più la previdenza è anche assistenza, si deve cercare di porre un'attenzione a delle indubbie capacità imprenditoriali e ministeriali che devono servire di aiuto a quelli che, poi, sono i giovani proponenti d'impresa.
  Esiste di fatto anche ricorso alle economie disponibili, nel senso che alcune regioni stanno utilizzando il package previsto dal Fondo sociale europeo, quindi si può avere un mix di minimo di formazione con un apporto di tipo economico, in quello che normalmente per esempio avviene nelle misure di microcredito. In realtà, oggi, una qualunque misura regionale di microcredito, moltiplicata per tre o per quattro, permette di fare una prima micro-operazione.
  L'informazione strutturata e la formazione sono necessarie perché comunque, come ho detto prima, come non ci si inventa imprenditori, così non ci si inventa investitori business angel, quindi è necessario presentare velocemente i casi di successo, invece che i casi di insuccesso. Non si vuole mandare sostanzialmente allo sbaraglio nessuno, quindi l'esperienza attuale porta a dire che, con un paio di giornate, quadri aziendali o dirigenti o ex imprenditori siano perfettamente in grado di fare investimenti con un atteggiamento meno compulsivo e più meditato, pur sempre in capitale di rischio.
  Spesso e volentieri, vedendo comunque decine e decine di start-up, ci rendiamo conto che c'è una certa disconnessione tra quello che la start-up sta facendo e il mercato.
  D'altra parte, noi abbiamo il tessuto connettivo delle piccole e medie imprese italiane o le grandi imprese che, per motivi diversi, ha in questo momento una certa difficoltà a continuare a destinare rilevanti risorse finanziarie alle attività di ricerca e sviluppo.
  Oggi, noi vediamo molto positivamente questo tipo di connessione e di interconnessione. Di fatto, si tratta di una sorta di esternalizzzazione di micro-reparti di ricerca e sviluppo in conto terzi, dopodiché, Pag. 21che la start-up vada avanti di vita propria o venga inglobata all'interno dalla piccola corazzata, diventa strategia congiunta del giovane fondatore con l'esperienza del manager già esistente sul tipo di mercato.
  Tuttavia, altrove questo ha funzionato benissimo. Spesso e volentieri, ci vengono presentati casi americani o israeliani dove c'è una forte connotazione nel mondo della sicurezza e della difesa. Noi, viceversa, abbiamo una forte connotazione, in Italia, nel saper fare le cose e nel saperle fare bene e con fantasia, ma, spesso e volentieri, ci manca un certo tipo di technicality. I giovani startuppari hanno queste capacità di technicality, ma non hanno la fantasia e non hanno la capacità di stare singolarmente sul mercato. Il Business Angel (che è stato imprenditore, che è stato dirigente d'azienda e che è stato quadro d'impresa) è, in questo caso, un ottimo traduttore di quelle che sono competenze e situazioni diverse.
  Mi piacerebbe cominciare a insistere su due concetti.
  Il concetto dell'open innovation è particolarmente noto a voi. Il concetto dell'open innovation a matrice privata è particolarmente noto a tutti in Italia. In genere, si pensa sempre a un open innovation di grandi imprese, cioè di imprese che fanno 300 o 400 milioni di fatturato all'anno e che hanno la possibilità di sistemare importanti risorse. Tuttavia, bisogna trovare il sistema di favorire anche un open innovation a matrice privata su imprese più piccole. C'è un grande tessuto di piccole e medie imprese che fanno dai 30 milioni di fatturato l'anno in su e che non sono sicuramente delle micro-corazzate multinazionali, ma hanno comunque bisogno di acquisire conoscenza dal mondo delle start-up, quindi l'open innovation a matrice privata, riferendoci alle piccole e medie imprese, è sicuramente importante.
  Dobbiamo, dal nostro punto di vista, cominciare a porre molta attenzione anche all'open innovation a matrice pubblica. Noi abbiamo tutta una serie di aziende che storicamente appartenevano allo Stato e che verranno messe sul mercato, ma una quota parte di maggioranza importante rimarrà comunque dello Stato, per cui è importante – non necessariamente spostandoci nell'ambito della sicurezza o dell'area della difesa – favorire questo tipo di interazione. Oggi, tale interazione esiste, anche se marginalmente, ma nella logica di sostenere soprattutto start-up competition, non in un commitment più business oriented.
  Certo, ci sono i recenti casi di Enel o di Telecom o di Poste italiane, ma sarebbe opportuno rendere questo open innovation a matrice pubblica più istituzionalizzato.
  Sostanzialmente, noi abbiamo – chiudendo e dandovi una serie di dati – un primo round che è coperto da Business Angels, un secondo round di finanziamento che è coperto da un mix di business angels con venture capital, il terzo round è aprirsi a mercati internazionali.
  La finanza di filiera che è riportata anche nei documenti interni del Ministero dello sviluppo economico è assolutamente fondamentale. Riteniamo che debba esserci finanza di filiera non solo facendo interagire diverse forme di capitale di rischio, ma anche di capitale di debito. C'è una certa attenzione al capitale di debito convertibile, quindi, in caso di non successo dell'azienda, il capitale di debito si trasforma in capitale di rischio ovvero in capitale di debito in parte garantito da istituzioni pubbliche. Il Fondo di garanzia è un ottimo strumento per le piccole e medie imprese ed è un ottimo strumento anche per le start-up innovative, quindi sicuramente queste sono misure che devono essere sostenute.
  D'altra parte, noi pensiamo che, se un'azienda è partecipata dai fondatori ed è partecipata da player di capitale di rischio, questo possa garantire una buona reputation anche a sistema del debito sostenuto dal pubblico.
  Dobbiamo, comunque, far sì che nascano anche maggiori commitment da parte delle istituzioni italiane nei confronti degli investimenti in start-up. A oggi, se ne parla molto, ma ci sono pochi risultati tangibili. Per esempio, per i fondi pensioni, le casse di previdenza o le assicurazioni o i family office, le istituzioni italiane non pongono, Pag. 22per motivi diversi, la giusta attenzione alle start-up già finanziate dai business angels.
  La misura fiscale è fondamentale. Noi, oggi, abbiamo degli sgravi fiscali per persone fisiche pari al 19 per cento e per persone giuridiche pari al 20 per cento, mentre in Inghilterra siamo al 30 per cento e in Francia siamo al 29 per cento.
  È chiaro che, quando diciamo di aumentare di dieci punti lo sgravio fiscale, rispetto a investimenti di 100 milioni l'anno, non stiamo sicuramente chiedendo delle cose particolarmente costose. Certo, quando l'investimento in capitale di rischio in Italia sarà di un miliardo di euro, i dieci punti peseranno. Tuttavia, pur mantenendo il rispetto della normativa sugli aiuti di Stato, l'attuale 19 e l'attuale 20 scadranno con il 31 dicembre 2016, per cui sarebbe opportuno già da ora cominciare a chiedere di avere percentuali almeno vicine a quella della Gran Bretagna o della Francia.
  In chiusura, riguardo l'Europa, il business angel non necessariamente deve essere una persona fisica con passaporto italiano, infatti si sta cercando in tutti i modi di far nascere anche un'imprenditorialità diffusa e portata da stranieri in Italia. In merito, cito, per esempio, la misura Italia Startup Visa del Governo italiano, quindi si sta cercando di far stanziare stabilmente imprenditori internazionali non comunitari in Italia. È importante avere un riconoscimento europeo del business angel, in modo tale che un business angel di successo con una buona reputation nel Regno Unito possa essere attivo anche in Italia e viceversa.
  Devono esserci sistemi di riconoscimento delle start-up in tutta Europa. A oggi, la start-up innovativa è normata in Italia, ma non è normata altrove. Questo, secondo noi, è un punto sul quale l'Italia deve far valere la propria voce e le proprie opinioni a livello europeo. È importante cominciare ad avere sempre più strumenti di schemi di coinvestimento non solamente a livello nazionale, ma anche a livello europeo. Il mercato secondario, qualora nascesse in Italia è un qualche cosa che va esportato anche all'interno dell'Europa.
  Indubbiamente la quarta rivoluzione industriale, con i suoi dieci punti, è vincente per il mondo dei business angel. Come dicevo poc'anzi, soprattutto la misura 4 e la misura 7, secondo noi, hanno un rilievo assoluto.

  PRESIDENTE. Grazie, ingegnere. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  CHIARA SCUVERA. Ringrazio per la relazione. È chiaro che questo processo di Industria 4.0 richiede governance e investimento. L'investimento è la parola chiave.
  Io ho trovato molto interessante la vostra proposta di regolare questa professionalità. Il percorso ci chiede di potenziare nuove professionalità. Mi chiedo se voi immaginate questa professionalità come sussidiaria anche rispetto al sistema pubblico. Penso, per esempio, al mondo delle camere di commercio. Si potrebbe pensare a una figura che non agisce soltanto su un sistema privatistico e di mercato, ma in sinergia con le istituzioni che ci sono già e che si occupano di promozione.
  La seconda domanda è relativa alla sopravvivenza sul mercato delle start-up innovative. Noi abbiamo dei buoni risultati nella prima fase applicativa dell'investment compact. Mi riferisco anche ai primi risultati della sezione che viene dedicata adesso alle start-up innovative. Sappiamo che poi la difficoltà è nel trovare un mercato e nel sopravvivere sul mercato stesso come impresa innovativa.
  Vorrei sapere se questo dipende solo da una carenza di investimenti, anche nella fase in cui si esce dallo start-up, oppure – ha già risposto in qualche modo parlando delle technicality – c'è anche un problema specifico di filiera. Come possiamo stimolare l'integrazione delle filiere e le reti d'impresa affinché non rimangano marginali?

  VERONICA TENTORI. Ringrazio gli auditi per l'interessante relazione. Questo tema mi stimola una domanda. Vorrei sapere se, secondo voi, non vi sia anche un problema di tipo culturale nel nostro Paese Pag. 23per quanto riguarda lo sviluppo pieno del finanziamento delle start-up da parte dei business angel.
  Mi sembra che nel nostro Paese il fatto che la maggior parte delle start-up non abbia successo entro il primo anno di vita faccia prevalere l'idea del fallimento come definitiva. Io ritengo che probabilmente a livello culturale ci sia bisogno di credere che comunque più si investe in start-up e, dunque, si dà l'opportunità di sviluppare idee nuove ed esperienze nuove, più vi saranno possibilità di successo anche in questo ambito.
  Le chiedo se non ritenga che vi sia anche un problema di carattere culturale, che influenza il finanziamento e l'investimento delle start-up.

  LORENZO BASSO. Rispetto alle normative sulle start-up innovative e a quelle più recenti sull'investment compact delle PMI innovative, che anche lei richiamava, vorrei conoscere la vostra opinione sui criteri che sono stati inseriti per poter accedere a queste due casistiche.
  Vorrei sapere se, secondo voi, per favorire il processo, è necessario modificare questi criteri, nel senso di allargare ulteriormente la possibilità di accedere oppure di specificare in maniera più puntuale alcuni passaggi all'interno della discussione sul provvedimento che è stata fatta dalle Commissioni congiunte X e VI. Per esempio, c'è stata una discussione che riguardava la registrazione del software attraverso la SIAE, che ha coinvolto il dibattito parlamentare. Vorremmo sapere se, anche per quanto riguarda i criteri di accesso, secondo voi, vanno fatte delle modifiche e, se sì, in quale direzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  PAOLO ANSELMO, presidente di Italian Business Angels Network. Partirei dall'ultima domanda. Io in genere cerco di fare il manager e l'ingegnere; non sono né avvocato né dottore commercialista.
  Oggi, di fatto, se una start-up innovativa si costituisce come PMI e il legale rappresentante fa una dichiarazione presso la camera di commercio, ottiene l'inserimento in un certo tipo di registro. Sul fatto che il conservatore della camera di commercio oppure il presidente della camera di commercio facciano una verifica puntuale non è mia intenzione esprimere un parere né positivo né negativo.
  Io ritengo che, prima o poi, la prima a fare un controllo puntuale sulla corrispondenza o meno dei requisiti sarà l'Agenzia delle entrate. Infatti, se beneficio del 19 per cento o del 20 per cento investendo in una start-up innovativa e tre anni dopo si verifica che la start-up non è innovativa, probabilmente l'Agenzia delle entrate o Equitalia porranno una domanda topica.
  In realtà, i requisiti sono coerenti, nel senso che devono esserci della proprietà intellettuale e del capitale umano. Pertanto, i presupposti per avere un'attività che nel mondo anglosassone si chiamerebbe knowledge-based ci sono. Si tratta di capire se la dichiarazione è veritiera al 100 per cento o all'un per cento.
  Anche in base all'esperienza di membro di diverse commissioni di valutazione, sia a livello nazionale che regionale, direi che oggi di fatto il sistema camerale non fa questo tipo di verifica. Probabilmente non è detto che da un'analisi puntuale delle 5.500 start-up innovative emergerebbe che tutte lo sono realmente, però non saprei chi deve fare questo tipo di verifica. Io direi che i criteri ci sono, ma è probabile che nel tempo vadano modificati.
  D'altra parte, come dicevo, l'Italia è stata la prima che ha normato nel diritto societario il concetto di start-up innovativa. Si è utilizzato un termine italiano, «innovativa», e un termine anglosassone, «start-up». Anche questo è abbastanza anomalo sotto tutti i punti di vista. Noi abbiamo la start-up innovativa, mentre nel Regno Unito non c'è.
  Loro, però, hanno un vantaggio fiscale nell'investire nelle start-up knowledge-based del 30 per cento e noi l'abbiamo solamente del 19 per cento, e l'enterprise investment scheme che c'è nel Regno Unito è molto più rapido di quello che abbiamo noi. Pag. 24
  Probabilmente un incontro tra il legislatore, il sistema camerale e colui che alla fine decide se c'è o non c'è realmente il beneficio fiscale andrebbe fatto. Tuttavia, io direi che da questo punto di vista i requisiti sono positivi.
  Rispondo sulla cultura. Oggi lo «startupparo» italiano è relativamente giovane, per cui non è una persona che fa della proprietà un valore assoluto. Oggi parlare a un giovane «startupparo» di cedere una minoranza qualificata della propria impresa non è così complicato. È chiaro che lo «startupparo» vuole mantenere il 50-51 per cento dalla propria impresa, però a cedere il 10-20-30 per cento non ha assolutamente riluttanza.
  Direi che l'impresa condivisa tra diversi azionisti oggi è un tema perfettamente noto alla generazione degli «startuppari» che hanno meno di 30 anni. Il sottoscritto, che ne ha più di 50, quando aveva 30 anni la pensava in un modo diverso. Il mondo è cambiato: siamo all'Industria 4.0, non all'industria «0 meno». Questa è una considerazione che farei.
  Il business angel deve vedere l'investimento come una nuova opportunità; non è un hobby, ma è un rischio imprenditoriale. A oggi ha senso investire in un fondo di investimento, in una proprietà immobiliare, in una macchina di lusso o in una start-up? Generalmente il business angel investe un 5-10 per cento del proprio patrimonio, non vende la casa di famiglia per diventare business angel.
  Pertanto, la formazione in realtà è legata al fatto di spiegare le regole fondamentali. Che questo 5 per cento sia reddituale o meno sinceramente non lo sa nessuno, ma, d'altra parte, noi vediamo quotidianamente in borsa delle imprese che crescono molto e che poi, sei mesi dopo, nove mesi dopo o un anno dopo, viceversa scendono, quindi direi che oggi, più che un aspetto culturale, è di informazione, di formazione e di voglia di conoscere.
  Il riconoscimento: non lo vedrei passare attraverso il sistema camerale. Oggi i liberi professionisti non sono neanche un soggetto REA, quindi noi abbiamo in Italia 250.mila ingegneri, 300.mila architetti, 400 mila avvocati, ma la camera di commercio non sa nemmeno che esistono!

  CHIARA SCUVERA. Il punto è se poi nell'operatività questa figura fa sinergia con istituzioni pubbliche, in una sorta di cabina di regia, quando nasce una nuova impresa, quindi business angels accanto a Camera di Commercio, non parlavo del fatto che il business angels si dovesse iscrivere a qualche Albo e imbrigliare...

  PAOLO ANSELMO, presidente di Italian Business Angels Network. Premesso che c'è una grande riforma sul sistema camerale e una sempre maggiore aggregazione di cui dovremmo parlare delle settimane, stiamo comunque parlando di un contesto di imprenditori o di manager che hanno già delle loro figure di riferimento, che non hanno vent'anni e quindi hanno un regime previdenziale più o meno definito, quindi una Cassa previdenziale privata, professionale piuttosto che pubblica.
  È vero che poi le Casse dei dirigenti non sono andate bene, per cui sono state poi rifuse all'interno dell'INPS, quindi indubbiamente l'INPS ha i dati di tutti coloro che sono comunque coinvolti piuttosto che le Casse previdenziali autonome. Ad oggi, il soggetto più vicino a un eventuale accreditamento di fatto è Consob. Come esiste un registro del Portale di crowdfunding presso Consob, che è molto light come registro, presso Consob potrebbe esistere questo tipo di registro. Che poi abbia una specifica interazione con il sistema camerale assolutamente sì, oggi comunque l'economia è fortemente interconnessa.

  PRESIDENTE. Ringrazio l'ingegnere Anselmo. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati 3 e 4).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Fonderie digitali.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su Pag. 25«Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti di Fonderie digitali.
  Do subito la parola al presidente di Fonderie digitali Pietro Gabriele.

  PIETRO GABRIELE, presidente di Fonderie digitali. La quarta rivoluzione industriale è già cominciata. La forza del cambiamento e delle novità introdotte dalle nuove tecnologie dell'internet delle cose e della fabbricazione digitale è semplicemente rivoluzionaria e inarrestabile. Per definirla in una sola parola, potremmo chiamarla «disruptiva». Le innovazioni disruptive sono quelle che introducono un insieme di nuove funzionalità completamente distaccate e spesso lontane dalle aspettative del mercato corrente.
  Una start-up, quando è veramente in grado di rivoluzionare il mercato, viene definita «unicorno». Oggi gli unicorni stanno aumentando sempre di più. Questo significa avere delle innovazioni così potenti che portano a una ridefinizione totale e radicale del modo di produrre, sia nelle gerarchie economiche e della ricchezza sia nella geografia globale del mercato e producono una semplificazione e una democratizzazione dell'innovazione, che si traduce nell'accessibilità in termini tecnici (quindi la barriera di skill e di competenza) e nella riduzione del costo di accesso alla tecnologia.
  Questo tipo di innovazione non necessita unicamente di investimenti pubblici o privati in ricerca e sviluppo, ma è fondamentale che sia alimentata da una comunità libera e diffusa di innovatori creativi che, allo stesso tempo, sono produttori e consumatori dell'innovazione tecnologica. Per darvi un ventaglio, parliamo di figure come programmatori informatici, designer industriali, artigiani digitali, gestori di comunicazione social, intellettuali, scrittori, makers (questo è il termine più speso ultimamente).
  La maker economy, quindi l'economia che viene dal basso, è l'orizzonte naturale di riferimento per gli artigiani che si stanno evolvendo in artigiani digitali in Italia e in Europa. Rappresenta un mercato in continua espansione a livello globale ed è un mercato aperto all'innovazione e attento alle realtà emergenti. Non parliamo, però, solo di innovazione tecnologica; l'innovazione digitale ha prodotto un cambiamento profondo sia nella cultura sia nello stile della nostra vita. L'internet le cose, i cellulari, la fabbricazione digitale, le stampanti 3D, la sharing economy, la condivisione del sapere e l'open source hanno cambiato radicalmente il nostro modo di studiare, comunicare, lavorare, produrre e, di fatto, vivere.
  I parametri di vita delle comunità in cui nascono le nuove forme di organizzazione dal basso sono profondamente influenzati dalla sharing economy. Questa economia circolare modifica le forme di relazioni e ibrida i ruoli della produzione e del consumo. È un processo rapido e veloce, che travolge qualsiasi tipo di resistenza e resilienza del capitalismo tradizionale, che non solo non si sta adattando a queste novità, ma è in corso di estinzione.
  Vivremo in un mondo che non sarà necessariamente un posto migliore, più libero e più felice perché in questa stagione di caos creativo non tutto sta andando nella direzione del progresso democratico, economico e sociale. Vediamo una diseguaglianza che aumenta ogni giorno di più. Il lavoro creativo è, peraltro, quello che molto spesso è più fragile e sfruttato.
  Di fronte a tutti questi rischi, le ricchezze sono spesso irresponsabili. Soprattutto verso la fiscalità generale, c'è un lassismo e una scarsa attenzione. La nostra privacy, i nostri diritti di cittadini e consumatori sono la preda più ambita in questa economia che definiamo «dell'assopigliatutto». Insomma, quando non riuscite a rendervi conto in due secondi di chi sta pagando il servizio che state fruendo, lo state pagando voi in termini economici e sociali.
  A fronte di tutti questi rischi, come cifra fondamentale di questo nuovo tempo che abbiamo la fortuna o sfortuna di vivere, c'è una libertà creativa e un orizzonte di opportunità che valgono il prezzo del biglietto. Pag. 26 È un rischio necessario, che va assolutamente affrontato.
  La nostra priorità è quella di trasportare in questo mondo di opportunità il genio e la qualità della nostra manifattura tradizionale. Noi siamo technology, ma anche artigiani. In fondo, in un mondo più lento e più grande, per secoli l'Italia ha prodotto innovazioni e idee geniali, capaci di creare una nuova visione e un nuovo paradigma del gusto, della produzione, del consumo, degli stili di vita e del design.
  Abbiamo una comunità dinamica e interconnessa, in cui le opportunità delle aziende italiane piccole, medie e micro sono altamente significative, a patto che riescano a dimostrare la capacità di fare rete. Questo significa condividere non solo skill, competenze e asset, ma soprattutto un progetto di internazionalizzazione comune, in cui la condivisione delle competenze colmi il gap delle piccole aziende rispetto alle grandi multinazionali o ai grandi concentramenti di potere che siamo stati abituati a vedere in questi ultimi anni.
  Unire la potenza culturale dello stile del made in Italy – il nostro artigianato, la capacità di flessibilità e di creatività delle nostre piccole e medie imprese – con questo nuovo orizzonte di opportunità esplosive sarebbe un traguardo decisivo per fare dell'Italia una protagonista di primo piano della nuova rivoluzione industriale, la quarta.
  Fonderie digitali è una rete di micro aziende che nasce dalla naturale unione delle più intraprendenti e innovative digital factory italiane. Cito, fra i fondatori, Solido 3D, D-Shape e Wasp, che sono le tre aziende forse più note al momento nel mondo della stampa 3D e della fabbricazione digitale, fiore all'occhiello della nostra innovazione.
  Intorno a queste aziende, che rappresentano un naturale punto di riferimento del panorama dell'artigianato digitale, si aggrega un modello di ecosistema imprenditoriale che sperimenta forme della condivisione, della costruzione e dell'innovazione dal basso.
  La nostra carta vincente è costruire un ecosistema di giovani creativi, programmatori, creativi digitali, aziende, start-up e piccole e medie imprese che, con dei piccoli investimenti mirati in tecnologia e in attività non convenzionali, di condivisione, di progettazione e di ricerca sul campo, possano produrre idee, progetti o prodotti radicalmente innovativi in tempi brevi.
  Per alimentare e far crescere questo ecosistema è necessario offrire uno strumento che dia sostegno alle realtà oggi esistenti (fablab, comunità creative, coworking e start-up) che si vogliono misurare con questo mondo e con questo cambiamento.
  Occorre, in particolare, sostenere la collaborazione tra le piccole e medie imprese con questa comunità di creativi, produttori e professionisti, che sono l'ambito socio-produttivo che negli ultimi vent'anni è stato totalmente lasciato a se stesso. Esiste un rapporto consolidato e continuo tra l'industria e il trasferimento tecnologico, sia dei centri di ricerca pubblici che privati, ma purtroppo la piccola e media impresa tende a considerare questo tipo di investimenti, quando onerosi nel mondo del privato, come non alla propria portata, mentre quando si rivolge ai centri ricerca statali, alle università, al CNR o all'ENEA trova un percorso farraginoso e lungo, per cui molto spesso desiste dall'innovare.
  Noi ci proponiamo di ricombinare un nuovo modello di sviluppo economico, che sia totalmente staccato rispetto alle forme tradizionali di fare impresa, produrre e organizzare il lavoro, un'innovazione «ricombinante» che permetta l'effettiva trasmissione tecnologica dei risultati della ricerca, la diffusione della conoscenza e la democratizzazione dell'economia, la nascita di nuove realtà imprenditoriali dotate di una forte identità sociale, ma soprattutto possa permettere alle nostre comunità di attrarre capitali, competenze e di produrre valore aggiunto.
  La connessione tra i venture capital e le nuove aziende di manifattura digitale necessita di una strumentazione nuova, di azioni per l'incubazione e l'accelerazione di progetti imprenditoriali.
  Questo progetto trova fisicità nel Centro servizi della manifattura digitale, che costruiremo Pag. 27 grazie a un progetto sostenuto dal Ministero dello sviluppo economico sulla base di un bando che abbiamo contribuito a ideare e sperimentare. Sarà uno spazio inedito dove si uniranno e si completeranno le attività che caratterizzano i coworking; i fablab; gli incubatori e gli acceleratori per start-up; i parchi scientifici e tecnologici sul territorio nazionale; i campus aziendali; i centri di ricerca; le comunità creative e culturali più dinamiche e avanzate del mondo.
  Quando parliamo di strumenti necessari per lo sviluppo, dal basso, delle reti d'impresa e degli ecosistemi innovativi capaci di sedimentare l'innovazione ricombinante delle città smart, che cosa significa? Significa che, nello spirito di questa audizione, proporremo alcuni strumenti che, secondo noi, potrebbero essere fattivi o comunque una buona base su cui cominciare a ragionare.
  Entriamo nel dettaglio. Il primo è il voucher per l'artigianato digitale che per semplicità possiamo chiamare «fondo dei maker». Si tratta di uno strumento di disseminazione di innovazione digitale e soprattutto di animazione. Lo strumento è un voucher che ha un importo non superiore ai 10 mila euro, con contributo in conto capitale del 70 per cento a rimborso delle spese rendicontate.
  I destinatari di questa misura, nella nostra visione, sono le piccole e medie imprese, i fablab o realtà alta simili, che possano essere censite in maniera puntuale.
  Quali sono le attività? Le attività sono quelle del mettere a disposizione di queste piccole realtà il colmo del gap di cui parlavamo prima, cioè l'opportunità di spendere questi denari in maniera semplice e nell'acquisto diretto, presso i Centri accreditati dallo Stato, di consulenze, di beni o di servizi relativi a manifattura digitale, a implementazione di nuove tecnologie digitali nei processi di produzione e manifattura dell'artigianato o delle piccole realtà di cui stiamo parlando.
  Questo necessita ovviamente anche della costituzione di un albo dei fablab, in quanto la misura che abbiamo previsto contempla l'istituzione di questo albo e delle esperienze analoghe ai fablab, cui permettere l'adesione allo strumento dei voucher, con studi di progettazione e studi di realizzazione dei prototipi; laboratori universitari; fablab; maker space; hacker space; repair cafè; coworking; laboratori di do it yourself, cioè impara a fare le cose da solo.
  Certo, sono un'enormità le realtà bottom-up che oggi sono disseminate sul territorio. Tuttavia, secondo noi è importante metterle in rete e in comunicazione, senza un cappello che decida e che voglia imbrigliare l'operatività di queste realtà. Quest'albo ad adesione volontaria deve essere costituito, a nostro avviso presso, una struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri che sia dedicata al digitale e che possa prendere vita sul modello dell'analisi già effettuata dalla fondazione Make in Italy nell'anno passato.
  I fablab censiti potranno essere sia fruitori del bando che fornitori stessi di beni e servizi in esso previsti per le aziende. Queste realtà sono importantissime per diffondere la cultura digitale e per far crescere il movimento che alimenta l'ecosistema creativo e imprenditoriale della rivoluzione digitale.
  In ultimo, riguardo il Centro servizi di manifattura digitale, speriamo che il frutto sarà l'implementazione della misura che il Ministero dello sviluppo economico ci ha permesso di contribuire a creare, cioè un canale privilegiato di utilizzo del voucher che vanno previsti per aziende e fablab censiti e che siano spesi presso i Centri servizi di manifattura digitale, così come costituiti sulla base del bando il Ministero dello sviluppo economico che è rivolto, infatti, alle reti d'impresa, le cui domande di costituzione in questo momento sono in corso di valutazione al Ministero.
  Una quota del 20 per cento, quindi, del fondo per i maker andrebbe riservata all'utilizzo di questi voucher presso le strutture dei Centri servizi di manifattura digitale, con un rimborso dell'80 per cento delle spese sostenute dalle aziende presso i Centri censiti. Pag. 28
  Questa misura è particolarmente necessaria per colmare la difficoltà che i fablab o le giovani aziende fatte da maker e creativi hanno oggi nel finanziare i primi passi, nella loro attività imprenditoriale e creativa.
  Il matching che potrebbe scaturire tra investitori e portatori di idee è spesso complesso da implementare e c'è necessità di comprendere le differenze culturali, fra l'Italia, l'Europa e il resto del mondo, che sono una barriera all'implementazione di processi di internazionalizzazione molto importante.
  Allo stesso tempo, per gran parte di queste piccole e medie imprese è proibitivo qualsiasi tipo di investimento in tecnologia e competenze innovative, come vi dicevo prima, e tanto potrebbe essere, invece, il potenziale sviluppo che ne potrebbe scaturire. Si tratta di un voucher, quindi, che può portare ad accorciare la distanza tra i centri di ricerca e le piccole e medie imprese, democratizzando e diffondendo le innovazioni tecnologiche. È una formidabile innovazione che potrebbe permettere a queste piccole aziende di cominciare a proiettarsi nel nuovo mercato.
  Condividere le macchine e unire le intelligenze è una naturale conseguenza della sharing economy e della condivisione delle idee ed è una forma di attività di ricerca e sviluppo non convenzionale che vorremmo introdurre con questo Fondo, condividendo, quindi, le macchine e il processo creativo che porta all'utilizzo di queste macchine. Tra le attività previste vanno inserite le spese sostenute per l'acquisto di pacchetti di ore di utilizzo dei macchinari di fabbricazione digitale e di tutoraggio.
  Questo significa che eliminiamo, per le piccole e medie imprese, l'onere di costituirsi in consorzi per centralizzare gli investimenti nell'acquisto di queste macchine oppure di poter semplicemente comprare quel pacchetto di tempo che gli è unicamente necessario, cioè non c'è necessità di investire in una macchina che magari ha un costo di accesso di diverse centinaia di migliaia di euro e un costo di ammortamento che è impossibile o anche semplicemente l'impossibilità di mettere a terra una macchina di queste dimensioni e di strutturarsi e di mettere a norma i propri laboratori.
  Di fatto, proponiamo, inoltre, una selezione e un utilizzo del made in Italy. L'artigianato digitale nasce dall'incontro tra made in Italy tradizionale e nuove opportunità rese possibili dalle tecnologie di produzione digitale.
  Certo, è una transizione che rappresenta una sfida che possiamo vincere solo se la manifattura tradizionale sarà capace di ripensare il proprio processo progettuale creativo e produttivo, utilizzando tutte queste potenzialità e queste tecnologie.
  Dalle centinaia di migliaia di soggetti che partecipano a «Garanzia giovani», possiamo selezionare le migliori risorse che siano orientate a divenire una nuova generazione di artigiani digitali, capaci di fondare nuove esperienze imprenditoriali o di fertilizzare, con un contributo strategico, le aziende manifatturiere tradizionali, con un'iniezione di innovazione e di sana follia.
  In ogni azienda artigiana di qualità che intenda aggredire il mercato con nuovi prodotti a alto contenuto tecnologico, è necessario introdurre competenze e capacità che siano frutto di una visione completamente nuova e di una dotazione tecnologica che sia all'altezza della concorrenza, su base internazionale.
  La selezione di questi giovani sarà progressiva e fondata sulle competenze acquisite dai partecipanti di «Garanzia giovani», ma soprattutto dall'azione di formazione mirata a fare emergere le potenzialità di innovazione e di creatività di questi nuovi talenti digitali.
  Il movimento dei maker, dei creativi e dei moderni inventori è il bacino in cui fare emergere e selezionare questi mille talenti che ci poniamo l'obiettivo di trasformare in mille posti di lavoro.
  Lo sbocco dell'assunzione sarà in primo luogo determinato ovviamente da una stringente selezione e dalla capacità ricettiva delle imprese che si candideranno a ospitarli e sarà operato sulla base di una valutazione sana della solidità e della determinazione a costruire una nuova strategia produttiva dell'azienda. Pag. 29
  Non vogliamo mille stagisti sfruttati e sottopagati, ma vogliamo mille persone che possano animare una rivoluzione industriale nel tessuto delle piccole e medie imprese italiane.
  La nostra esperienza ci permette di suggerire strumenti di semplificazione estrema, pensati per le città smart e per un vero ecosistema di innovazione.
  Le reti d'impresa dovrebbero essere connesse a un'anagrafe digitale universale che unifichi il rapporto delle aziende con la pubblica amministrazione, in tutte le sue articolazioni, cioè una sorta di cloud in cui sia conservata l'identità completa e unica dell'azienda, valida per ogni modello o modulo che certifichi identità e dati dimensionali nonché correttezza e congruità degli adempimenti previdenziali e normativi che sono la barriera principale nell'accesso di queste realtà a misure di fondi europei o di partecipazioni a grandi gare o basi di finanziamento.
  Più semplicemente, questo potrà essere un primo segno di concreto sostegno alle reti d'impresa, per cui, secondo noi, sarebbe necessario procedere alla predisposizione dei decreti attuativi, in materia di semplificazione burocratica, dell'accesso alla rete, eliminando il ricorso agli atti notarili. Questo potrebbe essere un fortissimo segnale d'inizio per arrivare a rendere più semplici la creazione e la fruizione del potente strumento del contratto di rete, che permette a piccole realtà di rimanere indipendenti, pur avendo la possibilità, quando serve, di far valere il consolidato bilancio di tutte le aziende di rete e di mettersi in concorrenza con i grandi nomi che hanno il monopolio della maggior parte del mercato.
  Colmare il divario tra semplicità di forme di crowdfunding, networking, matching e accesso a venture capital e di tempi e procedure della pubblica amministrazione tra l'Italia e le realtà più dinamiche e creative del mondo globale è una necessità impellente per un Paese che voglia uscire dalla crisi e dalla spirale di declino.
  La nostra non è una raffinata forma di storytelling – lo sottolineo – quello di cui parliamo è il nostro agire quotidiano. Oggi purtroppo siamo costretti a esprimere la nostra creatività imprenditoriale e innovazione culturale con il coltello fra i denti. Il nostro Paese si sta specializzando nel racconto di queste innovazioni degli altri. Troppo spesso la migliore creatività italiana ha pochissime ragioni, di affetto e di amore quasi irrazionale, per rimanere ancorata a un Paese che, ahimè, non è un buon posto per vivere, fare business, esprimere la propria capacità e innovare.
  Noi non commentiamo questo nuovo mondo, noi lo costruiamo, lo viviamo, lo incarniamo giorno dopo giorno. Per questo, vogliamo produrre un cambio di paradigma nelle politiche culturali e di sostegno allo sviluppo dell'Italia. La nostra è una sfida: per una volta non raccontiamo l'innovazione, per una volta proviamo a farla vivere fuori dagli schemi tradizionali e dalle vecchie incrostazioni di potere, sempre più logore e asserragliate in difesa di privilegi antichi che sono fuori dai fortilizi delle corporazioni e dai rituali di un Paese che non sta invecchiando per niente bene.
  Oltre lo storytelling, c'è il mondo reale, un posto bellissimo e tremendo. Nei nostri venti minuti vorremmo portare la nostra esperienza e vedere se tutti insieme siamo pronti a passare dalle parole ai fatti.
  Vorrei concludere il nostro intervento mostrandovi questo piccolo video di tre minuti, che incarna quello che in sette mesi i temi che vi ho appena raccontato hanno portato, da un'idea delle due persone che sono qui sedute, a un prodotto che sta per essere lanciato a livello mondiale. Questa è Olo, la prima stampante al mondo per telefoni cellulari.

  (Segue proiezione video)

  PIETRO GABRIELE, presidente di Fonderie digitali. Dico solo una parola per chiudere. Quello che ci piacerebbe che voi comprendeste di questo oggetto è che si tratta di un prodotto che è nato ed è stato sviluppato, a partire dal seme fino alla fine, totalmente in Italia. È un prodotto che siamo riusciti a finanziare sulle nostre spalle, senza accesso a qualsivoglia tipo di finanziamento, né pubblico né privato, e Pag. 30che abbiamo deciso di mettere in produzione con lo strumento del crowdfunding.
  Purtroppo, qui arriva la nota dolente: questo è un prodotto brevettato in Italia, perché Solido 3D, l'azienda che l'ha realizzato, è italiana, ma, per i paletti forti e vetusti che sono stati messi sul crowdfunding italiano, siamo stati costretti a costituire una società in America e purtroppo questo progetto verrà commercializzato con un'azienda americana.
  Vorremmo che questo fosse l'ultimo di questi spin-off. La ragione per cui siamo molto contenti di poter parlare oggi qui è la possibilità di lanciarvi un allarme: sono sempre di più i prodotti che stanno prendendo questa strada. Noi vorremmo invece poter raccontare il 100 per cento del prodotto italiano. Aiutateci ad aiutare le nuove future generazioni di imprenditori ad andare su questa strada.

  PRESIDENTE. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ADRIANA GALGANO. Grazie per la vostra relazione e complimenti per il prodotto che lanciate sul mercato americano. Voi qui parlate di un fondo. Com'è costituito questo fondo? Da quello che avete detto e da quello che ho letto qui, non l'ho chiaro.
  In secondo luogo, lei ha affermato che ci sono stati dei paletti sul crowdfunding che vi hanno spinto ad andare negli Stati Uniti. Quali sono?

  PIETRO GABRIELE, presidente di Fonderie digitali. Nella prima domanda sostanzialmente lei mi sta chiedendo perché abbiamo deciso di andare all'estero e perché il prodotto verrà commercializzato all'estero, se ho ben capito.

  ADRIANA GALGANO. Le chiedevo quali sono i paletti. Come legislatore...

  PIETRO GABRIELE, presidente di Fonderie digitali. Oggi un investitore – così viene definito in Italia colui che finanzia un'idea su un progetto di crowdfunding – viene considerato alla stregua di un investitore sul mercato finanziario, quindi gli viene chiesto di compilare una MIFID (Market in financial instruments directive). Se gli investimenti nell'arco dell'anno sono superiori a qualche migliaio di euro (se non vado errato, la barriera è fra i 5.000 e gli 8.000 euro), a quel punto si diventa un investitore da profilare e noi dobbiamo cedere le quote della nostra società. Nel resto del mondo questo non esiste.
  La ragione per cui abbiamo scelto di costituire quest'azienda in America, che ovviamente avrà il brevetto licenziato dall'Italia, secondo la nostra operatività, è che, anche se l'oggetto verrà venduto in tutto il mondo, sul mercato americano noi abbiamo la possibilità di chiedere al grande pubblico di aiutarci a mettere sul mercato un oggetto, senza dover alienare parte dei nostri investimenti. Questo significa sharing economy. Questo per noi è il primo stacco che dovrebbe avere il crowdfunding dall'economia antica.
  Noi, come privati cittadini e imprenditori che sono qui a raccontare la propria esperienza, vi stimoliamo, come nostro Governo, a reperire e a valutare la quantità di danaro che siete disposti o siete in condizione di veicolare su questo fondo, e vi stiamo dando...

  ADRIANA GALGANO. Mi scusi, vorrei capire se pensavate a un fondo privato o a un fondo pubblico.

  PIETRO GABRIELE, presidente di Fonderie digitali. Assolutamente pubblico e vorremmo che questi danari potessero essere spesi dalle piccole e medie imprese con procedure di rendicontazione più semplici o addirittura veicolati in maniera tale che fosse trasparente per l'utente il danaro, cioè permettere alle aziende, ove siano in grado e soddisfino i requisiti del fondo, di prendere questo credito di 10 mila euro da spendere nei centri di servizi accreditati e comprare il servizio e pagare.
  Lo Stato paga direttamente, quindi eliminiamo il problema delle truffe, eliminiamo il problema dei consulenti che ci hanno bombardato di telefonate quando Pag. 31abbiamo vinto il primo voucher per l'internazionalizzazione. Credo di essere stato abbastanza preciso, forse anche troppo.

  STEFANO FANCELLI, responsabile progetto «Centro servizi manifattura digitale». Vorrei aggiungere un'informazione tecnica: c'è un fondo previsto sull'animazione dell'artigianato che credo fosse di due leggi finanziarie fa, ma non ha mai avuto l'implementazione dei decreti attuativi; è un fondo presso il MiSE per l'animazione delle imprese artigiane sull'innovazione digitale o comunque su varie forme di innovazione.
  Proporremmo di verticalizzare una parte di quel fondo su questo tipo di animazione come elemento sperimentale, e se, come noi crediamo, dovesse avere un potenziale di leva enorme, farne anche una misura generale. C'è bisogno anche di utilizzare alcuni elementi di accelerazione sugli strumenti di animazione e di intervento diretto sulle esigenze bottom-up delle reti di imprese.

  CHIARA SCUVERA. Anch'io ringrazio per questa relazione e per la visione di ispirazione che condivido. Sono convinta anch'io che Industria 4.0 rappresenti un'occasione di democratizzazione dell'economia sia per l'opportunità di superamento del lavoro usurante che di sostenibilità.
  Adesso abbiamo pochissimo tempo e magari ci saranno altre occasioni di confronto. La prima domanda è proprio sulle prospettive di impatto occupazionale, che naturalmente preoccupano, e quindi se vi siate posti questo tema del decremento dell'occupazione, se pensiate di avvalervi, oltre che di «Garanzia giovani», anche del sistema nazionale di certificazione delle competenze, perché mi sembra che da questa audizione sia emersa particolarmente la difficoltà nel nostro Paese di mettere a sistema quello che c'è, quindi di far funzionare il sistema camerale in sinergia con il mondo dell'impresa e dell'università, di dare slancio alle reti di impresa e di semplificare l'accessibilità al contratto di rete, perché mi sembra che il tema sia proprio questo.
  Il secondo punto è sull'artigianato, perché finalmente torniamo a parlare di artigianato in una chiave nuova. Nel parere che abbiamo espresso sulla tessera professionale europea, quindi anche le semplificazioni sui riconoscimenti automatici in Europa di alcune professioni e anche di qualificazioni artigiane, come Partito Democratico abbiamo chiesto di farci promotori in Europa di un'iniziativa di modernizzazione dell'elenco delle qualifiche artigiane per cui è richiesto il riconoscimento automatico.
  Credo che in questo l'artigianato digitale debba avere una voce, un ruolo preminente e che si possa effettivamente parlare di mobilità europea degli artigiani e di nuovo artigianato europeo. Sempre in quel parere abbiamo chiesto di dare particolare spazio e riconoscimento all'artigianato che sia espressione di un'identità culturale collettiva.
  Ritengo che anche su Industria 4.0 e artigianato digitale possiamo trovare ed esprimere una via italiana.

  PIETRO GABRIELE, presidente di Fonderie digitali. Credo che possa darvi questa risposta meglio di me Filippo Moroni, vicepresidente di Fonderie digitali e nostro responsabile tecnico.

  FILIPPO MORONI, vicepresidente di Fonderie digitali. Provo a partire dalla fine. Credo ci abbiate capiti, ma ricordatevi che gli artigiani sono soggetti piccoli, imprenditori autonomi; se pensate di dare l'ennesima card siete fuori rotta: gli artigiani non vi seguiranno, gli artigiani non si muoveranno, non andranno in Lussemburgo, in Belgio, ad esportare con i loro piedi. Il tema è portare l'artigianato italiano nel mondo, in una parola internazionalizzare l'artigianato. I numeri dell'artigiano sono numeri piccolissimi, ma diffusissimi.
  Attenzione, quindi, a che lo strumento non stravolga la finalità dello strumento, a che il numero di consulenti per girare 10 mila euro non assorba l'80 per cento di quei 10 mila euro, a che l'onere amministrativo, già mediamente folle, non arrivi a rendere la cosa talmente indigesta da vederla Pag. 32 rifiutata, un po' come i ragazzi che smettono di cercare lavoro perché il costo del cercarlo è superiore alla speranza di trovarlo.
  Per quanto riguarda, invece, la tessera delle competenze, il mercato sono le capacità che lo fanno. Se faccio l'idraulico, quel tesserino non farà di me un buon idraulico, non impedirà al rubinetto di perdere, ma è la mia competenza. Lo farà il mercato, lo farà un sistema di relazioni prossime. Quindi, riguardo all'artigianato europeo, è difficile pensare a un tema che è molto locale, perché un artigiano per definizione lavora in termini cittadini, comunali, provinciali; si parla sempre di numeri molto piccoli.
  Amazon sta facendo una grossa operazione: sta creando la piattaforma dell'artigianato, in particolare sull'alimentare, sulle tecnologie di produzione tradizionale, per esportare queste grandi eccellenze italiane nel mondo.

  STEFANO FANCELLI, responsabile progetto «Centro servizi manifattura digitale». Il sito Craigslist fa la certificazione delle competenze degli artigiani e degli imprenditori che hanno attività. Noi stiamo accompagnando una start-up che si propone di fare un sistema di certificazione privato su privato, ente su ente, con l'efficacia dei percorsi formativi. È un sistema europeo che vorrebbe ottimizzare un asset condiviso con le migliori esperienze tedesche e le migliori esperienze inglesi per dare una accountability privato su privato, con l'efficacia del percorso formativo.
  Noi tendenzialmente viviamo un'ottica di sussidiarietà orizzontale rispetto a un mercato che si autorganizza. Se la politica pone degli elementi istituzionali di rapporto, noi abbiamo però la necessità di una capacità di time to market molto veloce. Se il sistema delle competenze, certificato in termini pubblici, ci renderà in grado di poter essere affidabili come il sito di Craigslist, che è sostanzialmente un Tripadvisor delle competenze, sarà competitivo, altrimenti i tempi di risposta per le nostre esigenze sono necessariamente più brevi e più social, più accessibili.
  La verifica in rete diventa più credibile – so di usare un termine estremo – della certificazione ministeriale.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 5). Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Avio Aero.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti di Avio Aero.
  Do subito la parola al presidente ed amministratore delegato di Avio Aero, Riccardo Procacci.

  RICCARDO PROCACCI, presidente e amministratore delegato di Avio Aero. Signor presidente, onorevoli deputati, vi ringrazio per l'invito e per l'onore accordato a me e alla mia azienda.
  Cominciamo a raccontare chi siamo, giusto per fare una breve presentazione. Avio Aero è un'azienda italiana che opera nel settore della progettazione, produzione e manutenzione di componenti e sistemi per l'aeronautica civile e militare. Dal 2013 è parte di General Electric (GE), gruppo multinazionale che è presente in Italia con 12.400 dipendenti diretti e nove divisioni di business attive in diversi settori tecnologici strategici per lo sviluppo del Paese, dall'energia alla cura della salute.
  Con 25 sedi distribuite su tutto il territorio nazionale, tre centri di ricerca e sviluppo e un centro di formazione manageriale, GE Italia ha integrato e valorizzato a livello internazionale la tradizione e l'esperienza di importanti realtà che hanno fatto storia dell'industria italiana, quali Nuovo Pignone e Avio Aero.
  Avio Aero opera nel settore dell'aviazione civile e militare a propulsione marina tramite turbine a gas. I prodotti principali Pag. 33di Avio Aero sono trasmissioni a ingranaggi, turbine e combustori per motori aeronautici. Ci pregiamo anche di essere partner di riferimento per l'Aeronautica e la Marina militare italiana per la manutenzione e fornitura di motori a turbina a gas.
  La sede principale è a Rivalta di Torino, con il più grande insediamento produttivo e con circa 2.200 impiegati. Altri importanti stabilimenti sono a Brindisi, con circa 700 persone, e a Pomigliano d'Arco, in provincia di Napoli, con circa 1.100, per un totale di oltre 4 mila dipendenti impiegati in Italia. All'estero Avio Aero è presente con uno stabilimento produttivo in Polonia, che occupa circa 600 persone.
  Attraverso continui investimenti in ricerca e sviluppo e grazie a una consolidata rete di relazioni con le principali università, tra cui i politecnici di Torino e di Bari e UniSalento, e centri di ricerca internazionali, Avio Aero ha sviluppato un'eccellenza tecnologico-manifatturiera riconosciuta a livello globale, un traguardo testimoniato dalle partnership siglate con tutti i principali operatori mondiali del settore aeronautico.
  Avio Aero è tra i soggetti industriali più attivi nei programmi di ricerca europei, come Clean Sky, impegnati nello sviluppo di nuove tecnologie per applicazioni su architetture in grado di ridurre i consumi e le emissioni di anidride carbonica, rendendo i motori aerei sempre più leggeri e consentendo allo stesso tempo performance migliori.
  Avio Aereo è in grado di gestire l'intera catena del valore della produzione, dallo sviluppo di base di tecnologie abilitanti, effettuato per lo più in collaborazione con le università, come accennavo, allo sviluppo del prodotto, eseguito in partnership con i clienti, fino alle varie fasi di validazione tecnologica.
  La capacità di produrre grezzi o da fusione o tramite stampa tridimensionale, le lavorazioni meccaniche di altissima precisione, i test sui componenti, l'assemblaggio dell'intero prodotto e infine le prove motore nelle nostre celle di prova completano l'offerta produttiva di Avio Aero, insieme alla capacità di seguire i prodotti in tutte le loro fasi della vita operativa e di fornire manutenzione.
  Conclusa la presentazione, ho pensato di utilizzare il tempo messo a mia disposizione, non per parlare in modo più o meno generico di Industria 4.0, ma per illustrare come General Electric e Avio Areo stanno sviluppando il tema.
  Andando subito alle conclusioni, in uno stile un po' anglosassone che ho dovuto far mio nel corso degli anni, il tema dell'Industria 4.0 per GE e Avio Aero è quello della generazione di produttività industriale per l'azienda e per i clienti, tramite l'utilizzo di enormi quantità di dati, spesso chiamate big data, e tecnologie informatiche di analisi e gestione dei dati.
  In breve, scrivi Industria 4.0 e leggi «produttività». La produttiva è fondamentale per il futuro delle imprese, insieme alla velocità, ovvero alla capacità di evolvere e adattarsi sempre più rapidamente, per difendersi dalle nuove minacce e cogliere le nuove opportunità, in un mondo che cambia a velocità esponenziale.
  Dal 1990 al 2010 la produttività interna delle imprese industriali nel mondo occidentale è stata in media del 4 per cento all'anno; nel periodo 2011-2015 essa è scesa all'un per cento.
  I grandi driver della produttività dei decenni passati, per General Electric come per moltissime altre aziende (il lean production system inventato in Giappone e l'informatizzazione dei processi, dalla comparsa delle e-mail all'utilizzo dei sistemi di gestione tipo SAP), hanno, se non esaurito, grandemente ridotto la loro spinta e il loro potenziale residuo.
  L'opportunità per le imprese industriali oggi è quella di cogliere la prossima onda in termini di generazione di produttività.
  Nel prossimo futuro, ogni prodotto industriale, ogni turbina, ogni motore sarà connesso, scambierà informazioni sul suo funzionamento con chi lo opera, ma anche con chi lo ha prodotto. Tutti questi beni potranno essere continuamente sintonizzati e migliorati, grazie alle continue informazioni ricevute sul proprio funzionamento. Pag. 34
  Di ogni prodotto potranno essere creati dei digital twin (gemelli digitali) sui quali fare simulazioni continue, per migliorare l'efficienza e il funzionamento, ma anche per dare feedback continui alle linee di produzione.
  La tecnologia che guida tutto questo oggi già esiste. È ovvio come le possibilità di generare produttività, per le aziende produttrici di beni industriali così come per le aziende utilizzatrici, siano enormi, così come le possibilità di ridurre enormemente costi e tempi di sviluppo dei prodotti, proprio perché le interazioni tra disegno, industrializzazione, utilizzo e feedback sul disegno potranno essere più rapide e sempre a più basso costo.
  General Electric e il suo chief executive officer (CEO) Jeff Immelt hanno inevitabilmente dato l'obiettivo a tutte le aziende operative del gruppo di diventare aziende industriali digitali.
  «Industriali digitali» non significa aziende di software. Le aziende di software, come notavo poc'anzi, possono intervenire principalmente sui processi sui quali un'azienda opera; hanno invece poche possibilità di intervenire sui prodotti, proprio perché non ne hanno l'intrinseca e profonda conoscenza di chi li ha disegnati, li produce o li utilizza.
  Questo è ciò che mette al centro di questa rivoluzione digitale, non più le aziende produttrici di software, dominatrici indiscusse dell'IT revolution dei due decenni precedenti, ma quelle industriali.
  Nel fare tutto questo, ci siamo resi conti che a oggi non esiste una piattaforma software, un sistema operativo sul quale costruire applicazioni (simile alla iOS dell'iPhone, per esempio), specificamente designato per gestire i big data e la massa di informazioni collegata.
  Per dare un'idea, un solo motore di un aereo – su un aereo ce ne sono due o quattro – durante un volo genera un terabyte di dati, una quantità sufficiente a riempire un tipico hard disk per uso domestico.
  Per questa ragione, il gruppo ha aperto circa cinque anni fa un centro di ricerca software a San Francisco, nella Silicon Valley, con lo scopo di generare questo sistema operativo, che abbiamo chiamato «Predix», che oggi General Electric pone al centro della sua rivoluzione digitale, ma che mette anche a disposizione di chi vuole creare applicativi indipendenti (le app). La nostra aspirazione è che questo sistema operativo diventi l'iOS o l'Android dell'industrial internet.
  Un altro dato importante nell'esperienza General Electric è la raggiunta consapevolezza che il ruolo del chief information officer (CIO) o responsabile dei sistemi informativi dell'azienda era diventato inadeguato in questo nuovo mondo.
  Se il CIO degli anni 1990 e 2000 era un esperto di software, infrastrutture e processi, il CIO dell'Industria 4.0 deve essere un esperto di operation. Si tratta di una convergenza tra information technology (IT) e operation (OT) su cui stiamo ridisegnando i ruoli dei nostri manager IT.
  Vediamo ora come tutto questo prende forma e diventa rilevante nella nostra realtà di Avio Aero.
  Nel nostro quotidiano la quarta rivoluzione industriale comincerà o sta cominciando nelle operation, attraverso quella che è stata chiamata brilliant factory (la fabbrica intelligente), una fabbrica che può continuamente automigliorare i propri prodotti e processi, tramite la raccolta, la trasmissione e l'analisi di dati in tempo reale. La brilliant factory è caratterizzata, quindi, da un ciclo di sviluppo prodotto più veloce e dal miglioramento dell'efficienza produttiva.
  Perché questa visione diventi realtà è necessario mettere a punto un ecosistema di progettisti di prodotto, ingegneri di produzione e operatori di stabilimento che dialoghino costantemente e collaborino su piattaforme in grado di simulare virtualmente il processo produttivo senza toccare materiale o macchinari.
  Questo digital twin della fabbrica, una volta messo a punto il prodotto e la sua industrializzazione, avrà un ruolo fondamentale per continuare a monitorare e ad analizzare le performance della fabbrica reale e a correggerle continuamente. Pag. 35
  L'ultima fase sarà l'aggiunta del loop di feedback dal prodotto utilizzato sul campo, quindi dall'esperienza dei clienti, alla linea di progettazione e produzione.
  Abbiamo cominciato a lavorare alla creazione di quattro pilastri fondamentali perché questa visione possa diventare una realtà: la simulazione della produzione, le macchine utensili intelligenti, la fabbrica flessibile e la supply chain riconfigurabile.
  La simulazione della produzione. Dobbiamo arrivare a progettare virtualmente un prodotto o un componente e simularne la produzione prima che esso raggiunga la fabbrica. Oggi abbiamo a disposizione in alcuni casi tools che risolvono singole parti del problema soprattutto in ambito progettazione, molto meno in ambito simulazione della produzione, ma questi tools non sono connessi tra loro e rendono pertanto impossibile la generazione di feedback LUT automatici. Stiamo quindi lavorando a colmare il gap di simulazione e a creare queste connessioni.
  Le macchine intelligenti oggi sono solo una piccola porzione dei nostri macchinari, quella che è dotata di sensori in grado di raccogliere dati di funzionamento e la qualità del prodotto. Nel caso in cui i dati siano disponibili peraltro non esiste comunque una vera rete di stabilimento, che consenta l'elaborazione a livello dell'intero processo produttivo. Questo è un viaggio abbastanza lungo e complesso.
  Il primo obiettivo che ci siamo dati (abbiamo già iniziato) è quello di dotare i nostri macchinari di sensori, farli operare al punto di prestazione migliore e metterli quindi in connessione tra loro, evitando che si arrestino senza preavviso.
  Gli stabilimenti flessibili. Ciò che desidera più di qualunque cosa ogni direttore di stabilimento è la capacità di cambiare le operazioni in tempo reale, per massimizzare l'efficienza della produzione. Per far questo bisogna rompere alcuni paradigmi del passato: l'automazione non è appannaggio delle produzioni in grandi volumi, l'utilizzo di macchine e robot di movimentazione in grado di riconfigurare la produzione rapidissimamente e automaticamente in base alla necessità di piccoli lotti è vincente.
  Da questo punto di vista abbiamo cominciato a prediligere l'acquisto di macchine utensili polivalenti e connesse tra loro rispetto a quello di macchine altamente specializzate, così da poter ridirigere i flussi di produzione come necessario, e arrivare in questo campo a un esempio di assoluta eccellenza, di cui parlerò in chiusura.
  Supply chain riconfigurabili. È ovvio che una fabbrica non vive da sola senza una catena di fornitori alle proprie spalle, la supply chain, quindi è quanto mai necessario che, mentre le grandi aziende si trasformano, assolvano anche a un ruolo di capofila con i propri fornitori più piccoli, così che essi possano mantenere il passo in termini di flessibilità operativa e competitività.
  In chiusura di questa sezione dell'intervento desidero parlare di Additive Manifacturing, che è il nostro fiore all'occhiello per quanto riguarda l'esempio della flessibilità della produzione. Un ottimo esempio di flessibilità e riconfigurabilità e sicuramente il nostro fiore all'occhiello a livello sia nazionale che internazionale è il nostro stabilimento di Cameri, centro di eccellenza per l'additive manifacturing, ovvero la stampa tridimensionale di componenti di motori aeronautici.
  Cameri, nata anche grazie alla collaborazione con il Politecnico di Torino, è l'unico centro al mondo che unisce alla stampa tridimensionale la produzione delle polveri con cui le macchine, queste stampanti tridimensionali, sono alimentare. Essa produrrà le pale turbina per il motore più avanzato e potente al mondo, il GE9X, per il nuovo velivolo Boeing 777.
  Questo processo consente di ottenere prodotti con prestazioni superiori rispetto alle tecnologie manifatturiere tradizionali, migliori proprietà del materiale, riduzione del peso e del consumo, ma ancora di più i nostri ingegneri non sono più soggetti ai limiti tradizionali della progettazione, essi possono pensare ai componenti in un modo nuovo. Pag. 36
  In precedenza, quando si doveva creare l'iniettore di combustione per un motore aeronautico tramite processo di fusione, era necessario lanciare la fabbricazione e la fusione di dodici pezzi fusi separati e poi saldarli insieme, ora possono progettarlo in un unico pezzo e fabbricarlo con un solo passaggio tramite il processo additivo.
  I costi di realizzazione inoltre sono inferiori. Non servono infatti attrezzature a formatura, i tempi di sviluppo si comprimono, la resa del processo produttivo è più elevata, le giacenze di magazzino sono più basse. L'unico magazzino che abbiamo a Cameri è quello della polvere.
  Tutto il know how è racchiuso nei codici software, che istruiscono le macchine su come lavorare; la produzione può essere riconfigurata a ogni singolo pezzo prodotto, basta cambiare il codice software e casomai il materiale. La manodopera impiegata è esclusivamente altamente qualificata.
  Mi preme però sfatare il mito che basti acquistare una macchina di stampa dimensionale per produrre qualunque cosa. Perché il nostro sogno 3D diventasse realtà abbiamo dovuto coinvolgere i nostri migliori metallurgisti, ingegneri di designer, ingegneri di produzione esperti in lavorazione e taglio dei metalli. Vi assicuro che, nonostante tutto questo, la strada è ogni giorno costellata di nuove difficoltà e problemi da risolvere. Stiamo costruendo un nuovo tipo di know how industriale del tutto insistente fino a cinque anni fa, stiamo cercando di applicare tutto quello che si è imparato nei passati 2500 anni, da quando si è cominciato a fondere il ferro, e applicarlo a una tecnologia del tutto nuova.
  Ritengo che nessuno al mondo conosca la stampa 3D di lega di titanio meglio di noi. Nulla di più lontano, quindi, dal mito dello studente che costruisce un'astronave nel garage di casa, usando la stampa 3D.
  In conclusione, Avio è pronto ad accelerare il processo e il percorso di innovazione in ambito Industria 4.0, siamo anche desiderosi di fornire il nostro contributo e cooperare con le istituzioni e i gruppi di lavoro, a livello sia nazionale che europeo, in un piano che coinvolga anche le piccole e medie imprese, l'università, i grandi centri di ricerca, ben coscienti del fatto che l'industria digitale DG Avio Aero non può nascere isolata, ma necessita di un sistema Paese e di una catena di fornitori che la segua e la spinga evolvendo con lei.
  La politica può aiutare in diversi modi: incentivando le università a creare un nuovo modello di sapere ingegneristico interdisciplinare, dove meccanica ed elettronica, fisica ed informatica sappiano fondersi in specifici progetti in un modello quasi rinascimentale. Ricordiamoci che, quando chi si sta laureando oggi in ingegneria si è iscritto al suo primo anno del corso di laurea, il nome stesso di Industria 4.0 non era stato ancora creato, in quanto esso risale all'aprile 2011.
  Il mondo evolve ad una velocità impensata e i nostri modelli educativi devono essere in grado di mediare tra specializzazione e pensiero poliedrico. L'università deve poter preparare gli studenti a risolvere sfide non ancora note, utilizzando tecnologie che non sono ancora state inventate, accelerando le trasformazioni necessarie nelle funzioni amministrate dallo Stato, inclusa la scuola, perché possano stare al passo, al ritmo, alla velocità di una realtà industriale in rapida evoluzione, sostenendo ogni tipo di investimento di ricerca e di capitale necessario ad attuare la trasformazione, infine creando un'infrastruttura nazionale in grado di attuare la rivoluzione digitale sia in termini di quantità di dati, di velocità, ma anche di sicurezza cibernetica, che diventerà il vero tallone d'Achille di qualunque Paese improntato sul 4.0. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringraziamo l'ingegner Procacci per l'illustrazione. Mi pare che emerga un quadro che completa il ragionamento che Porsche Consulting questa mattina ci ha fornito sull'utilizzo delle nuove tecnologie a livello di imprese e poi di sistema.
  Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

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  CHIARA SCUVERA. Rinviando alle sue conclusioni e alle sue proposte che condivido, volevo chiederle se secondo lei la recente riforma della scuola possa essere un passo avanti per promuovere l'alternanza scuola/lavoro e per creare nuove tecnicalità, quindi anche un passo avanti verso l'investimento in istituti tecnici altamente specializzati.
  Penso che il passo successivo dovrebbe essere un investimento più importante sulla ricerca pubblica ma anche sulla buona università.

  ADRIANA GALGANO. Grazie per la relazione. Io ho due domande da porre. La prima è relativa all'incremento di produttività di cui lei ha parlato: cosa è successo nella vostra azienda sull'occupazione? Questo incremento di produttività ha comportato fuoriuscite e riduzioni, e in che settori si è creato risparmio di manodopera e dove eventualmente l'Industria 4.0 ha comportato un aumento?
  La seconda domanda è relativa al passo della relazione in cui dichiarate di aver cominciato a prediligere l'acquisto di macchine utensili polivalenti e connesse rispetto a quelle altamente specializzate. I fornitori sono gli stessi o sono altre aziende?

  ALBERTO BOMBASSEI. Vorrei innanzitutto rallegrarmi per questa esposizione pratica, perché dopo tante audizioni su tematiche abbastanza teoriche mi sembra un'applicazione, oltretutto italiana, il che ci fa essere ancora più orgogliosi. Le cose che sono state dette sono assolutamente condivisibili e le domande poste sono le ovvie curiosità di approfondimento su un tema delicato che andrà approfondito per la necessità di capire bene quali sono le ricadute, oltre che per una maggiore produttività ed efficienza, anche da un punto di vista occupazionale, che è l'aspetto negativo di questo tipo di innovazione, quindi un'applicazione pratica ci sarebbe di grande aiuto.

  PRESIDENTE. Prima di lasciarle la parola vorrei porle un'ultima domanda. Nel corso delle audizioni che abbiamo fatto in queste settimane è venuta fuori la descrizione di una nuova possibilità che le nuove tecnologie (usiamo questo termine) possono determinare nelle caratteristiche di business di un'impresa.
  Ci veniva infatti evidenziato come queste macchine piene di sensori, questi motori anche di aereo piene di sensori potrebbero determinare una convenienza per il costruttore e per il vettore di non avere più la tradizionale catena per cui voi producete, poi vendette e il vettore manutiene il motore, ma potrebbe determinare il fatto che voi costruiate, lo affittiate, lo controlliate e lo manuteniate, cosa che questa tecnologia vi consente rispetto al modello tradizionale. Questa valutazione è fondata?
  Adesso parliamo di motori aerei, ma, come potete immaginare, può essere riferito a molti altri campi di attività, quindi questo finirebbe per separare il confine tra quello che è vendita e quello che è affitto, con una piccola rivoluzione culturale rispetto a un'idea di sharing economy diversa da quella fondata sulla proprietà dell'industria e della cultura tradizionale.

  RICCARDO PROCACCI, presidente e amministratore delegato di Avio Aero. Ho preso nota delle domande, ma, se dovessi dimenticare qualcosa, vi prego di farmelo notare.
  Per quanto riguarda la scuola, io personalmente ma in genere tutta la mia azienda vede con estremo favore tutto il programma di riforme che è stato avviato, che non sarà perfetto, non sarà definitivo, ma riteniamo (esprimo non un'opinione strettamente personale, ma l'opinione dell'azienda, che abbiamo avuto modo di esprimere in più occasioni) che sicuramente si stia muovendo nella direzione giusta.
  Fra l'altro, in Avio siamo fautori di un processo per gestire l'innovazione che si chiama FastWorks, che significa fai qualcosa, provi a portarla a conclusione il più rapidamente possibile, vedi se funziona, prendi i feedback, la migliori e riparti. Piuttosto che un processo di sei anni per tirar fuori un prodotto, se tiri fuori una Pag. 38prima versione di qualcosa in sei mesi, la migliori e riparti, hai molte più probabilità di muoverti nella direzione giusta, anche perché la direzione giusta nel frattempo cambia, non è giusta per sempre.
  Anche riforme parziali ma che si muovano nella direzione giusta, nel nostro vento, per noi quindi sono benvenute. La riforma della scuola in generale ci piace, si sta muovendo nella direzione giusta, noi siamo già da tempo fautori di stage e possibilità di condividere le nostre esperienze con studenti nei vari gradi di formazione, personalmente da padre mi augurerei che la scuola si modernizzasse anche nei modi di interagire, che poi si riflettono anche nel tipo di educazione che da. Se ancora non posso utilizzare l'e-mail (non dico la telepresence con il telefonino, che pure faccio tutti i giorni con chiunque nel mondo) per dialogare con i professori di mio figlio mentre vivo a Torino e lui si trova a Firenze, forse possiamo ancora fare un po' di strada.
  Le università devono (e questo è il senso del mio ultimo punto) «disingessarsi». L'ho usato come boutade ma ci sono dati che si possono tirare fuori: gli studenti di ingegneria che si laureano oggi hanno studiato per risolvere problemi che non esisteranno nel momento in cui cominceranno veramente a lavorare. Il 70-80 per cento dei lavori che oggi sono nella top 10 dei più richiesti non esistevano dieci anni fa, quindi chi ha cominciato a studiare dieci anni fa e con quello studio pensava di poter accedere a quei lavori è andato nella direzione sbagliata.
  Un'università che quindi favorisca la capacità di apprendere e di evolvere, di fare pivoting, altro termine che ci piace molto, da una specializzazione a un'altra funziona molto bene, tanto più se poi riesce a interfacciarsi (qui anche le aziende devono fare il loro sforzo) con delle aziende che siano detentrici del know how dello state of the art, quello più attuale, di certi temi.
  Nel nostro modo di pensare e nella nostra esperienza generare produttività è il contrario di ridurre la forza lavoro, è l'opportunità per far crescere il business. Forse ho il lusso di vivere in un'azienda che ha assunto 600 persone in tre anni e che in questo momento, se ha una difficoltà, è quella che non riusciamo a consegnare abbastanza per quanto il mercato ci chiede, quindi ovviamente non vivo altri tipi di problemi, però ho vissuto per tre anni in India, per quattro anni in Malesia e so quanto pagavo gli ingegneri in India, per non dire gli operai.
  Un'industria che si «commoditizza» – ci piaccia o no – finisce in India, un'industria che si «commoditizza» non può restare nel nostro Paese. Allo stesso tempo ho lavorato per vent'anni in aziende (prima a Nuovo Pignone di Firenze, adesso Avio Aero) che le produzioni all'estero, nonostante ci abbiano provato duramente, non sono riuscite a spostare, perché aver continuato ad investire in tecnologia e in produttività ci ha permesso di continuare ad essere – dall'acquisto del materiale fino alla produzione del pezzo – più competitivi dell'indiano di turno.
  Se vai in India, intanto non trovi la stessa supply chain, quindi la stessa catena di fornitori. Per questo è fondamentale che il Paese evolva tutto insieme, non ci possono essere solo Avio o Boeing che fanno delle cose, il sistema deve evolvere insieme. A quel punto hai una catena dei fornitori che non trovi in India, un sistema universitario centrato intorno a questo sistema, che in India sarà anche buono, ma non lo trovi. Quindi Industria 4.0 genera quella produttività che ci permette di mantenere la produzione nel nostro Paese. Noi qui sappiamo fare cose che in India (continuo a parlare dell'India perché ci ho vissuto) non sanno fare, non ci riescono proprio, come le lavorazioni meccaniche di altissima precisione.
  Se faccio una sorta di colapasta largo 1,5 metri e ho una deformazione di 2 micron, quel pezzo lo butto via: questo significa alta precisione nel mondo dell'aviazione. Avio è in Italia perché queste competenze di lavorazione di meccanica altissima precisione le abbiamo e su quello dobbiamo continuare a generare produttività in maniera da mantenere luce, come Pag. 39direbbe un canoista, rispetto all'imbarcazione che ci segue e ad essere competitivi.
  Abbiamo ridotto impiego a causa di questo? Noi no, e ho difficoltà ad immaginare un'azienda che debba ridurre il personale a causa di questo. Ho invece facilità ad immaginare un'azienda che, se non mantiene il passo, deve ridurre il personale perché perde mercato. Il punto è come creare mercato per mantenere l'occupazione.
  Nuovi modelli di business: assolutamente sì, chi vi ha fatto quell'esempio ha citato un esempio estremamente calzante. A parte che nel mondo dell'aviazione la proprietà e il leasing sono già fusi da tempo (da questo punto di vista General Electric è sicuramente un leader), oggi gestiamo direttamente la manutenzione di enorme flotte di motori, in alcuni casi in forma di leasing perché di fatto l'aereo è nostro in quanto abbiamo la società di leasing che lo affitta, ma anche quando il motore non è nostro operiamo da tempo su forme di contratti per cui l'aerolinea mi paga per ora di volo e quindi spetta solo a me trovare il modo di ottimizzare la manutenzione.
  Questo avviene da quando abbiamo cominciato a sviluppare questo tipo di applicazioni, quindi abbiamo i motori che sono completamente sensorizzati, che comunicano in tempo reale alcuni dati e poi il resto una volta a terra con le nostre centrali. Noi abbiamo il digital twin di questi motori e purtroppo per loro lo posso avere io e non IBM, per questo evidenziavo il ruolo delle aziende industriali piuttosto di quelle di software dove le posizioni sono invertite.
  Oggi riusciamo a ottimizzare la manutenzione e quindi a ridurre i costi in maniera sensibile. Ci sono in particolare situazioni di volo, quelle che chiamiamo hot and harsh, tutti questi aerei che decollano e atterrano ad Abu Dhabi, a Dubai, prendono un sacco di polvere e sabbia e hanno una vita operativa completamente differente da quelli che operano in ambienti artici, e ora abbiamo i dati per gestire tutto questo in maniera proattiva.
  Questo già sta succedendo e succederà sempre più. Quello che ancora non abbiamo fatto quanto vorremmo è attivare questo feedback loop verso la progettazione, in maniera che la progettazione diventi un meccanismo di learning continuo dai dati di campo.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati 6 e 7). Ringrazio tutti i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.25.

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