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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 1 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Audizione di rappresentanti di CNA.
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Pagani Mario , responsabile del Dipartimento politiche industriali di CNA ... 3 ,
Iaia Luca , responsabile di CNA digitale ... 5 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 6 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 6 ,
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 7 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 7 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 7 ,
Pagani Mario , responsabile del Dipartimento politiche industriali di CNA ... 7 ,
Iaia Luca , responsabile di CNA digitale ... 8 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 9 

Audizione di rappresentanti di Confartigianato:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 9 ,
Fumagalli Cesare , segretario generale di Confartigianato ... 9 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 12 ,
Becattini Lorenzo (PD)  ... 12 ,
Bombassei Alberto (SCpI)  ... 13 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 13 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 14 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 14 ,
Fumagalli Cesare , segretario generale Confartigianato Imprese ... 14 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 16 

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL UIL e UGL:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 16 ,
Strazzullo Rosario , coordinatore area contrattazione CGIL ... 16 ,
Farina Giuseppe , segretario confederale CISL ... 19 ,
Bentivogli Marco , segretario generale Fim-CISL ... 20 ,
Scarpari Romeo , funzionario UIL ... 22 ,
Bitti Fiovo , segretario confederale UGL ... 24 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 25 

Allegato 1: Documentazione depositata da CNA ... 27 

Allegato 2: Documentazione depositata da Confartigianato ... 54 

Allegato 3: Documentazione depositata dalle organizzazioni sindacali CGIL, CISL e UGL ... 65

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale - Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 10.40.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di CNA.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti di CNA.
  Do la parola al dottor Pagani per lo svolgimento della sua relazione.

  MARIO PAGANI, responsabile del Dipartimento politiche industriali di CNA. Esprimo un ringraziamento non formale in primo luogo per aver promosso questo ciclo di audizioni su un tema tanto importante, sul quale il nostro Paese sconta purtroppo notevoli ritardi. Ricordo a tutti, anche a me stesso, che il primo piano tedesco è del 2011. Sono passati ormai quasi cinque anni e, quindi, siamo notevolmente in ritardo, forse troppo.
  Il secondo aspetto è relativo all'audizione di CNA, come di altre rappresentanze del mondo della micro e della piccola impresa, perché queste sono tematiche solitamente appannaggio della rappresentanza delle grandi imprese. Non me ne voglia l'onorevole Bombassei, però, quando si parla di politica industriale in questo Paese, solitamente si ha come faro Confindustria, scordandosi che il 95 per cento delle imprese italiane non arriva a dieci addetti. Stante quel contesto, forse sarebbe opportuno riuscire a focalizzare meglio indirizzi coerenti con quel tipo di impresa.
  Noi vi abbiamo consegnato un documento, in cui illustriamo le nostre riflessioni in merito al tema, che è costituito da una breve premessa, dalla presentazione di alcune iniziative che CNA ha promosso nella speranza di provare a incidere sul tema, cercando di recuperare interventi che consentano anche al mondo delle piccole imprese di stare dentro a questo tema, e da qualche proposta.
  Mi focalizzerò in particolare su qualche riflessione. Anche grazie al vostro contributo, speriamo che si possa recuperare una maggiore attenzione al mondo della micro e piccola impresa su questo tema, consapevoli del fatto che alcune riflessioni ormai comuni rispetto all'esigenza di lavorare su filiere e cluster siano elementi fondanti per costruire, non solo politiche relative a Industria 4.0, ma anche politiche industriali in senso lato.
  Dobbiamo tener presente, però, per quel che ci riguarda, che occorre uscire da una logica che continua a pensare a cluster e filiere come a momenti organizzativi di carattere verticale. Come dicevo poc'anzi, bisogna ricordare qual è la struttura del nostro Paese, copiando al meglio esperienze di altri Paesi.
  Il riferimento in questo caso è all'esperienza tedesca, in cui però – occorre ricordarlo – le grandi imprese sono quasi 10 mila, mentre da noi sono meno di 3 mila, e le medie imprese sono oltre 55 mila, Pag. 4mentre da noi non arrivano neanche a 20 mila. C'è una presenza di medie e grandi imprese decisamente diversa, peraltro con consuetudini, anche comportamentali, in termini di capacità di traino del resto del mondo imprenditoriale, che da noi oggettivamente non esistono.
  Per questo, riteniamo importante riuscire a coinvolgere il mondo della piccola e micro impresa, processo ostacolato anche dal fatto che le indagini statistiche di riferimento – penso alle indagini annuali dell'ISTAT – arrivano a indagare solo imprese con più di dieci addetti, vale a dire un campione che fa riferimento al 5 per cento delle imprese italiane. Su quelle analisi noi costruiamo ipotesi di lavoro.
  Questo è il primo aspetto sul quale CNA si è focalizzata in questi anni rispetto a questo tema come ad altri, per cercare di capire come riusciamo a recuperare elementi analitici che abbiano un riferimento coerente con il resto del mondo delle imprese.
  Da qui è nata un'indagine condotta pochi mesi fa proprio sul tema del rapporto tra micro e piccola impresa e digitalizzazione in senso lato, anche per cercare di capire quale sia lo stato dell'arte del rapporto, all'interno delle micro e piccole imprese, con questo nuovo mondo che avanza.
  Quest'indagine, della quale avete qualche grafico all'interno del documento consegnato, ha visto coinvolte oltre 3 mila imprese, delle quali più dell'85 per cento ha meno di dieci addetti. Si tratta, quindi, di un focus oggettivamente coerente con il tessuto produttivo italiano.
  Da quest'indagine emergono alcune evidenze estremamente significative. In primo luogo, oltre il 95 per cento di questo campione utilizza in modo costante il web come strumento di lavoro. Questo va controcorrente rispetto ad alcuni luoghi comuni che spesso si sentono. Si afferma spesso che a frenare i processi d'innovazione è la stratificazione del tessuto produttivo italiano. Evidentemente non è proprio così, se ci sono questa sensibilità e questo tipo di rapporto.
  Peraltro, oltre il 60 per cento di queste microimprese ha un suo proprio sito, quindi ha individuato il web, non solo come strumento di lavoro, ma anche strumento come di presenza sui mercati.
  Un quarto delle microimprese, ovvero delle imprese con meno di dieci addetti, del settore manifatturiero ha utilizzato e utilizza strumenti di fabbricazione digitale. Qui entriamo nel pieno del tema di Industria 4.0. Tale percentuale sale al 44 per cento, se consideriamo imprese tra i venti e i cinquanta addetti. Siamo in presenza di buone percentuali in termini di frequentazione di questi strumenti di lavoro.
  Invece, un quinto (il 20 per cento) ha frequentato e frequenta FabLab e Makerspace, strumenti e spazi decisamente innovativi.
  Un ultimo aspetto evidenziato da quest'indagine è che oltre il 50 per cento del campione ritiene inadeguato il livello d'informatizzazione della pubblica amministrazione. Questo è un tema che riteniamo decisamente importante, poiché innovazioni reali ed effettive delle pubbliche amministrazioni recano oggettivamente un'importanza strategica nella crescita culturale del digitale nel nostro Paese.
  Dentro a questo quadro, noi abbiamo individuato alcune direttrici d'intervento, che fanno riferimento sostanzialmente alla necessità di avere finalmente un quadro organico d'intervento.
  Soprattutto in questi ultimi anni ci sono stati alcuni interventi lodevoli. Penso al credito d'imposta per interventi in ricerca e sviluppo, al Patent box, al rifinanziamento di interventi a difesa e consolidamento della proprietà intellettuale.
  Tuttavia, abbiamo la sensazione che siano interventi sporadici, poco coordinati e ancora poco incisivi. C'è necessità di un quadro più completo e più ordinato, che provi anche a rendere complementari e sinergici gli interventi che derivano da iniziative nazionali e quelli che derivano da iniziative regionali, soprattutto a fronte del nuovo ciclo di programmazione 2014-2020, dove sono ingenti le risorse per interventi di questo tipo, che, come l'esperienza ci Pag. 5dimostra, corrono il rischio di essere eccessivamente frammentati e dispersi.
  Sottolineiamo altresì la necessità di valorizzare università e centri di ricerca più avanzati. In Italia ci sono centri avanzati; il problema è valorizzarli al meglio, cercando di individuare percorsi che facilitino, però, l'attivazione di processi di collaborazione vera tra università, centri di ricerca e mondo delle piccole imprese. Occorre una sensibilizzazione forte, sapendo che sono due mondi che faticano a parlarsi. Bisogna trovare modalità attraverso le quali si possa facilitare questo rapporto.
  Un elemento per noi fondamentale è l'attivazione di iniziative atte a modernizzare il sistema finanziario italiano. Non credo sia necessario tornare sulla «bancocentricità» del nostro sistema. Anche in quest'ambito qualcosa si è fatto, ma siamo oggettivamente ancora lontani dall'avere strumenti che sappiano essere complementari, se non addirittura alternativi, al credito bancario. Tali strumenti sono assolutamente necessari; basta vedere quali sono i dati riferiti ad altri Paesi.
  Credo che non sia necessario tornare neanche sull'infrastrutturazione della banda ultralarga.
  Un elemento per noi fondamentale è l'attivazione di iniziative sulle competenze e, quindi, sulla valorizzazione del capitale umano, rispetto al quale sempre più opportuno, a nostro avviso, è l'avvio di prassi che riescano a integrare meglio percorsi formativi e inserimento nel mondo del lavoro.
  Complessivamente, se dovessimo riassumere tutto in una battuta, a nostro avviso vi sarebbe la necessità di riuscire a modulare un programma d'intervento sull'Industria 4.0 che sia coerente e su misura del nostro tessuto produttivo e, quindi, delle piccole imprese.
  Lascio la parola al collega Luca Iaia rispetto a due iniziative specifiche che abbiamo promosso come CNA, affinché possiate anche essere consapevoli di ciò che si muove e di ciò che stiamo provando a fare con le nostre imprese di riferimento.

  LUCA IAIA, responsabile di CNA digitale. Buongiorno a tutti. Grazie dell'invito.
  Faccio alcune brevissime riflessioni, in merito soprattutto a cosa stiamo provando a fare per cercare di «matchciare» al meglio le nostre attività migliori con il nuovo mondo, il cosiddetto «sesto continente». Ormai è chiaro a tutti che è una leva di sviluppo fondamentale e non si può prescindere da questo.
  La parola chiave per il futuro, dal nostro punto di vista, è certamente «ibridazione»: riuscire a contaminare al meglio le nostre tradizioni, per andare a conquistare delle nicchie di mercato sempre più importanti anche in Paesi in via di sviluppo.
  Per arrivare a un livello di ibridazione, che le nuove imprese ovviamente già stanno attuando – ma noi abbiamo un nucleo molto importante di imprese di microdimensioni che vanno supportate in un processo di digitalizzazione – abbiamo cercato di mettere insieme due grandi piattaforme abilitanti, Amazon e Google, con le nostre piccole imprese, anche con l'aiuto di altri partner, tra i quali il CNR.
  Abbiamo avviato questo grande processo di contaminazione, facendo scattare la leva di incontro tra imprese. Questo progetto si chiama «Digitaly» ed è attivo da otto mesi. Abbiamo sviluppato 27 tappe, l'ultima a Imola qualche settimana fa, durante le quali si incontrano le imprese digitali, quelle che del digitale hanno fatto un mestiere, con le imprese più tradizionali. Ci sono oltre 3 mila imprese coinvolte in attività di business to business, ovvero di business match, sotto l'egida di partner che hanno avviato un percorso formativo che è disponibile anche on line. Pertanto, le aziende possono fare anche da casa un piccolo percorso formativo, per poi incontrare altre imprese che come loro stanno cercando di emergere e di sfruttare al meglio le nuove tecnologie.
  Il progetto ha dato ottimi risultati, con tutto il territorio coinvolto. Sono state interessate 26 territorialità, che aumenteranno, con la missione di arrivare a 50 entro la fine dell'anno. Abbiamo anche valutato che 900 di queste imprese hanno effettivamente trovato alcuni elementi di crescita e alcuni rapporti con altre imprese più digital oriented. Pag. 6
  Un altro progetto che stiamo cercando di sfruttare è quello che lodevolmente il Ministero del lavoro, insieme a Unioncamere e a Google, ha messo in piedi, che si chiama «Crescere in digitale». Si tratta di sfruttare Garanzia Giovani per cercare di inviare nell'impresa, dopo un percorso formativo, dei digitalizzatori.
  Noi stiamo diffondendo nelle nostre imprese questo progetto e come CNA ci stiamo dotando di un digitalizzatore in ogni sede territoriale. Siamo già a 28 sedi territoriali che stanno per concludere il processo e, quindi, acquisire un digitalizzatore, per continuare ad avere un riferimento e dare la possibilità a un giovane digitalizzatore di aiutare il nostro processo e le imprese del nostro focus.
  L'importante è riuscire a comprendere che il futuro passa attraverso questo concetto chiave di ibridazione. Le nuove imprese che vengono create stanno già lavorando su questo; dobbiamo riuscire a migrare le imprese più tradizionali, cercando di supportare questo processo.
  Per fare questo, si ha bisogno di capitali pazienti. Tornando al discorso sul credito, non si ha bisogno di exit velocissime. È un concetto completamente diverso; non abbiamo bisogno di un credito come sta avvenendo nei Paesi più sviluppati. Il nostro Paese è completamente diverso e, quindi, bisogna fare attenzione anche a questo.
  Noi proviamo a fare due piccole proposte, che vi abbiamo citato nel rapporto che abbiamo presentato e che proveremo a sviluppare nel futuro. Una riguarda gli investimenti in digitalizzazione delle imprese, con delle agevolazioni fiscali legate in maniera particolare alla produttività di quell'investimento, anche in termini di lavoro.
  Con l'altra proposta, che noi abbiamo chiamato hybridization fund o contamination fund, per non essere troppo lontani dagli inglesismi, proviamo a far collaborare pubblico e privato in un fondo, che può anche essere declinato a livello locale con interventi delle istituzioni locali, per lo sviluppo tecnologico delle filiere produttive. Abbiamo provato a portare alcuni esempi.
  Crediamo fortemente che la valorizzazione delle filiere e dei territori ove le stesse si sviluppano con l'innesto di nuove tecnologie e lo sfruttamento degli spazi esistenti, soprattutto delle università e delle scuole, sia fondamentale. Riuscire a cortocircuitare questo sistema con nuove tecnologie e a creare emulazione tra le imprese può certamente fare la differenza ed essere una leva di sviluppo estremamente importante.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  GIANLUCA BENAMATI. Ho alcune domande molto brevi. È stato menzionato il ruolo dei centri o degli enti di ricerca. Siccome il problema delle piccole e medie aziende, soprattutto delle aziende associate alla vostra confederazione, naturalmente è un tema essenziale per la partecipazione dell'Italia all'industria digitale, l'Industria 4.0, vorrei capire qual è il ruolo che voi vi aspettereste dall'intervento pubblico nel settore dei centri o degli enti di ricerca come supporto.
  Scusate, ma il tema che io vi pongo è il contrario di quello che voi avete scritto a pagina 12: «la vera sfida per il Paese è quella di realizzare l'Industria 4.0 a misura di piccole imprese». Scusatemi, ma non sono d'accordo, è esattamente il contrario: è mettere le piccole imprese in condizione di partecipare con successo all'Industria 4.0.
  Sembra un sofisma, ma, siccome l'Industria 4.0 non è una realtà che gestiamo, ma è una realtà europea e mondiale, è chiaro che non possiamo pensare di declinare quella situazione in modo che ci si adatti. Dobbiamo noi mettere in campo tutte le condizioni affinché il nostro tessuto si adatti a quella realtà.
  In questo, per esempio, il tema della rete fra le aziende – non parlo del sistema delle fusioni e delle aggregazioni societarie, per far crescere anche dimensionalmente le aziende – può essere già una risposta importante. Infatti, quando ci si muove su filiere di attività, su filiere di prodotti e su filiere di processi, la rete è un sistema che può dare quella consistenza e quelle competenze Pag. 7 che magari alla singola piccola impresa mancano.
  Voi, da questo punto di vista, cosa pensate di questi strumenti che possono essere messi in campo? Sono utili? Non sono utili? Vanno rafforzati? Mi riferisco ai processi per accrescere la dimensione delle aziende e ai sistemi di rete per aiutarle, che non sono in alternativa ovviamente, ma sono sinergici.

  ALBERTO BOMBASSEI. Condivido in gran parte quello che è stato detto dal collega Benamati, perché anch'io non intendo Industria 4.0 come un fine, ma come un mezzo.
  L'importante – questa è la mia domanda – è come pensate di adattare questo cambiamento a favore delle piccole aziende, affinché non sia un handicap o un qualcosa riservato alle medie o medio-grandi imprese. Secondo il mio modesto parere, è invece una grande opportunità affinché una piccola impresa possa innanzitutto diventar più grande, perché dobbiamo smontare un po' questo ideologismo.
  Il secondo vantaggio, che credo valga ancora di più, è il valore che le piccole imprese possono creare (detto in parole più semplici, il valore aggiunto). Voi sapete benissimo che, per esempio, il 90 per cento della struttura industriale della Germania è fatto da piccole e medie aziende, che però hanno un valore aggiunto sensibilmente più alto rispetto alle nostre.
  Questo, secondo il mio modo di vedere, è un mezzo che, se introdotto e sfruttato bene, magari con una serie di aiuti che possiamo evidentemente analizzare, può accelerare questo processo di crescita di valore e, nello stesso tempo, di crescita di dimensione.
  Vorrei che questo fosse condiviso oppure capire meglio quale programma specifico avete per le vostre associate e se va in questa direzione.

  LORENZO BASSO. Ho una domanda specifica. Poc'anzi veniva ricordato un progetto per l'accrescimento delle competenze digitali, «Crescere in digitale», che ha avuto un buon riscontro nel Paese e che, però, è indirizzato, come prevede Garanzia giovani, soltanto a una determinata fascia di persone.
  Dalla vostra esperienza, vedete la possibilità di creare un percorso similare dal punto di vista della crescita delle competenze digitali diffuse tra chi già opera nelle piccole e microimprese, per permettere di avere quelle competenze e quella consapevolezza che servono a prendere delle decisioni, anche in termini di crescita dimensionale, come i colleghi richiamavano? C'è la possibilità di farlo? Se c'è, in quale modo?
  Premetto che ritengo inopportuna l'idea di inserire un vincolo per avere un'ennesima figura che verrebbe vissuta come l'ennesimo vincolo burocratico. Escludendo quel percorso, che è quello di pensare a livello legislativo a una figura che abbia quel compito, esistono e possono esistere, secondo voi, dei percorsi di crescita di competenze anche tra chi già oggi è all'interno del settore della micro e piccola impresa?

  PRESIDENTE. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MARIO PAGANI, responsabile del Dipartimento politiche industriali di CNA. Partiamo dalla questione posta dall'onorevole Benamati. Quell'affermazione è voluta, pur sapendo che le letture possono essere distorte.
  Come dicevo poc'anzi, noi abbiamo la sensazione che su alcuni temi ci sia sostanzialmente l'attitudine ad avere come riferimento il mondo della grande industria. Noi riteniamo che occorra superare questo strabismo, non tanto per il fatto che siamo portatori di interessi particolari, quanto nell'interesse del Paese, sapendo che questa è la composizione. Dopodiché, siamo assolutamente consapevoli che questa può essere una delle occasioni che, se sfruttata al meglio, mette in condizioni il nostro Paese di crescere facendo crescere le proprie imprese.
  Siamo assolutamente convinti che rispetto alla strutturazione del nostro tessuto imprenditoriale la vera battaglia da compiere Pag. 8 e il percorso da percorrere siano portare sempre più microimprese a diventare piccole e sempre più piccole imprese a diventare medie (da medie a grandi il passaggio mi sembra complicato). La scommessa vera è oggettivamente questa e in questo senso condividiamo assolutamente l'osservazione.
  Per fare questo, anche noi dobbiamo fare la nostra parte, che è quella di riuscire a favorire forme di aggregazione tra imprese. Sicuramente il contratto di rete è una delle forme più semplici; ve ne sono altre un po' più complesse.
  È un percorso sul quale anche noi stiamo rinnovando l'interesse, perché ne va sostanzialmente della crescita competitiva di queste imprese. Se vogliono rimanere su alcuni mercati, altra strada non vi è che quella di trovare forme di aggregazione. Questa è un'altra di quelle scommesse in cui occorre giocare in questo modo.
  Per quanto riguarda gli interventi possibili per riuscire a incrociare al meglio piccole imprese e ricerca, io credo che possa e debba essere riconosciuto un ruolo di tutoraggio anche alle associazioni di categoria. Lo dico in modo molto franco.
  Noi riteniamo che per far dialogare quei due mondi occorra una sorta di facilitatore. Da una parte c'è il mondo della ricerca, troppo spesso abituato a pensare di essere il detentore di verità. Dall'altra abbiamo gli imprenditori, che giustamente sono gelosi della propria esperienza e delle proprie competenze.
  Ogni tanto uso fare un riferimento a ciò che è successo nei cantieri edili quando al posto del geometra è arrivato l'architetto. Le maestranze edili si chiedevano chi fosse quella persona che andava lì a insegnare loro come si fa a realizzare un manufatto edile, quando non sapeva neanche come fosse composta la malta. Siamo in questa situazione.
  Credo che occorra davvero fare uno sforzo per trovare soluzioni che consentano di facilitare l'incrocio, perché c'è anche un problema di condivisione di alfabeto, si parlano due lingue diverse. Ritengo che in questo senso associazioni come la nostra possano e debbano trovare un ruolo, che consenta a questi due mondi di dialogare.
  Peraltro, è un'attività che già facciamo. Porto come esempio tutte le iniziative di frequentazione e di collaborazione che abbiamo, a partire dal CNR, che ci consentono di riuscire a svolgere questo ruolo.
  Sulla crescita delle competenze, faccio solo una battuta. Poc'anzi facevo riferimento al nuovo ciclo di programmazione; lì dentro, nel Fondo sociale europeo, ci sono tante risorse che, se declinate al meglio, potrebbero essere utilizzate per facilitare percorsi di crescita di competenze di maestranze già inserite nel mondo del lavoro.
  Molto spesso tutta questa attività è sostanzialmente volta a sostenere più i centri di formazione che la crescita di processi formativi. Capisco che forse può non essere questa la sede opportuna, però, se proviamo a condividere tutti insieme la necessità di promuovere la qualificazione di interventi che incontrino anche queste esigenze, riusciremo a spendere meglio risorse che comunque sono ingenti.

  LUCA IAIA, responsabile di CNA digitale. Rispondo sempre all'onorevole Basso. «Crescere in digitale» ha già all'interno uno strumento di decontribuzione nel caso di assunzione.
  Per sviluppare invece le competenze di coloro che sono all'interno del sistema delle imprese, ci sarebbe la necessità, per esempio, di portare a compimento il voucher per la digitalizzazione, al cui interno c'era una parte che riguardava la formazione. Anche dei piccoli incentivi su questo possono certamente aiutare.
  La cosa importante, comunque, è che le imprese sono pronte e in questo momento vedono fortemente la necessità di attivare dei processi di digitalizzazione. La crescita a doppia cifra del commercio elettronico in Italia è davvero impressionante e le imprese lo stanno percependo.
  Questo può certamente attivare delle modalità, anche di autoformazione e in fondo di mercato, per cercare di accelerare il più possibile questi processi. Elaborare degli strumenti finanziari intelligenti e facilmente fruibili potrebbe certamente aiutare questo processo. Pag. 9
  Faccio un piccolo accenno alla dimensione. Certamente c'è la necessità di provare a portare le imprese, non a una dimensione più elevata, quanto a una cultura dimensionale differente, cioè alla famosa middle class. Non abbiamo bisogno di avere un'impresa particolarmente strutturata, ma un'impresa che sia culturalmente pronta ad affrontare i mercati.
  L'Italia, per come è strutturata a livello produttivo, ha la necessità di individuare per il made in Italy delle nicchie di mercato che non prevedono per forza necessità dimensionali per le nostre imprese.
  Certo è che Industria 4.0 può supportare un processo di crescita produttiva di questo Paese, anche perché degli elementi di prototipazione e degli elementi di ibridazione accelerano la produzione e migliorano forse anche la qualità.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 1).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti di Confartigianato.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti Confartigianato.
  Sono presenti il segretario generale, Cesare Fumagalli, la direttrice delle relazioni istituzionali, Stefania Multari, e il consulente per le strategie digitali di Confartigianato imprese, Paolo Manfredi.
  Do subito la parola al segretario generale di Confartigianato, il dottor Cesare Fumagalli, per lo svolgimento della sua relazione.

  CESARE FUMAGALLI, segretario generale di Confartigianato. Grazie per l'occasione. Noi siamo particolarmente attenti a questa indagine conoscitiva che la Commissione sta facendo su un tema di rilevante interesse.
  Svolgerò alcune considerazioni attorno a una questione che è stata identificata sotto la sigla di «rivoluzione industriale 4.0». Noi riteniamo che il nostro contributo possa andare nella direzione di sollecitare alcuni alert e poi alcune nostre proposte.
  Il primo alert è attorno alla preoccupazione che nutriamo che la visione possa essere a senso unico. Considerare le tecnologie digitali come straordinario fattore abilitante della competitività globale delle imprese manifatturiere deve includere per noi l'avvertenza di tenere presente che si tratta proprio di un fattore abilitante, che non va confuso con l'obiettivo. In altre parole, l'occasione di introdurre nella nostra manifattura tutte le tecnologie che afferiscono al digitale non può essere confusa con l'obiettivo, ma deve essere appunto fattore abilitante che interagisce con altri fattori.
  Noi ne sottolineiamo alcuni: il sistema produttivo nazionale italiano con le sue caratteristiche, il capitale umano, che è parte decisiva di questo sistema produttivo, e il contesto nel quale le imprese operano.
  Temiamo che la comprensibile fascinazione che deriva dalle potenzialità di queste nuove tecnologie e il condivisibile ottimismo attorno alla loro narrazione possano ingenerare la percezione fuorviante che la digitalizzazione del sistema delle imprese manifatturiere possa diventare di per sé un obiettivo.
  Noi sottolineiamo che la locuzione «rivoluzione industriale 4.0» deve essere considerata con cautela, perché rischia di incentivare una lettura unidirezionale meccanicistica, per la quale esisterebbe un solo set di tecnologie date universalmente valido, attraverso il quale muoversi tutti verso sorti magnifiche e progressive.
  Noi sottolineiamo la necessità di valorizzare, invece, la biodiversità produttiva italiana, la pluralità delle sue istanze e le buone pratiche che sono già state realizzate.
  C'è chi vorrebbe magari espiantare le coltivazioni dello straordinario valore artigiano Pag. 10 che c'è nel nostro Paese per piantare start-up dell'app economy o fantomatiche grandi imprese, comprando i semi dalle Monsanto della tecnologia.
  Noi riteniamo che questa sia una possibile visione, che ci porterebbe ad andare contro un accrescimento di competitività del nostro sistema. Ce lo dicono le esperienze quotidiane delle imprese del nostro mondo, di quelle imprese a valore artigiano – lo sottolineo – che non sono solo quelle che rientrano nella definizione vigente di impresa artigiana.
  Io chiamo con la definizione «imprese di valore artigiano» anche imprese che hanno limiti dimensionali sicuramente diversi da quelli previsti nell'attuale legge quadro che regolamenta l'artigianato, imprese che – lo ripeto – a saldi di entusiasmo verso l'innovazione invariati, affrontano la rivoluzione digitale, la rivoluzione industriale 4.0, non in un'unica versione meccanicistica.
  Si tratta per noi di vedere le cose da un punto di vista un po' diverso dall'unica versione che oggi rischia di essere prevalente, cioè quella dell'Industria 4.0 alla tedesca, dove c'è una caratteristica data, ovvero un set di tecnologie di produzione, di controllo di qualità e di logistica, la cui adozione combinata dà risultati magnifici di aumento della produttività e della capacità delle imprese manifatturiere di generare valore.
  Noi, proprio perché riteniamo che il nostro sistema produttivo abbia caratteristiche diverse da quello tedesco, affermiamo che occorre percorrere la strada della rivoluzione industriale 4.0 in una modalità che sia adatta al nostro sistema.
  Illustro rapidamente alcune grandi diversità che ha il nostro sistema e, quindi, la visione che proponiamo dell'applicazione robusta del digitale alle imprese manifatturiere italiane.
  La versione dell'Industria 4.0 alla tedesca tende a superare il fattore umano nel processo produttivo. Nella sua versione finale, quella a cui sembra mirare, ne risulterebbe un'azienda che ha eliminato il fattore umano, come elemento che non sarebbe di valore ma di rallentamento del processo produttivo, sostituendolo con tecnologie come la robotica, i materiali intelligenti e l'automazione dalla produzione, sistemi che, grazie all'internet delle cose, si autocontrollano, si autoregolano e correggono le deviazioni dallo standard.
  Noi crediamo, invece, che le imprese di valore artigiano, come continuo a chiamarle, abbiano straordinari giacimenti di capacità nostre proprie, che, proprio grazie alle nuove tecnologie digitali, possono trovare ammodernamento e potenziamento; sarebbe davvero disastroso considerarle da sostituire e una zavorra alla competitività.
  In primo luogo, in tal modo perderemmo quello che è oggi il vantaggio competitivo del made in Italy. La softwarizzazione della manifattura e il superamento del fattore umano nei processi produttivi valgono per alcune tipologie di produzione, che sicuramente sono lontane da quelle che caratterizzano le peculiarità delle produzioni made in Italy, che fanno la straordinaria fortuna di molte aziende italiane sui mercati globali.
  Col superamento del fattore umano nel processo produttivo, la cui resilienza invece è stata alla base della tenuta del sistema Italia durante questi terribili anni di crisi e del fenomeno del back-shoring (il ritorno a produrre in Italia), se si andasse nella direzione che ho detto, cambierebbero le ragioni di vantaggio competitivo delle imprese manifatturiere.
  Noi siamo, per fortuna, ricchi di moltissimi esempi di piccola impresa, cioè di imprese del valore artigiano, che in questi anni hanno accresciuto le loro capacità anche attraverso il digitale e che, oggi, hanno più mercati del numero dei loro dipendenti. Questa è davvero una delle caratteristiche proprie del nostro sistema produttivo.
  Inoltre, riteniamo che una assicurazione sulla vita, per il sistema economico e per il sistema produttivo del nostro Paese, stia appunto nella valorizzazione, attraverso l'adozione del digitale per molte delle attività che crediamo continueranno a caratterizzare la peculiarità delle produzioni italiane. Pag. 11
  La caratteristica più riconosciuta al nostro sistema produttivo e distintiva rispetto agli altri è quella del saper fare diffuso che, a tutti i livelli, rappresenta il principale attrattore dell'Italia nel contesto globale. Ci sono recenti aperture di grandi aziende del mondo del digitale che appunto stanno aprendo unit recentemente in Italia, almeno in due casi noti, negli ultimi mesi.
  Terzo aspetto: bisogna prestare attenzione a una possibile sottovalutazione nell'adozione di un modello a taglia unica di Industria 4.0 perché mirerebbe a una standardizzazione che è il contrario dei nostri interessi nazionali e degli interessi del nostro sistema produttivo e che negherebbe quella diversità che fa distintività all'interno delle produzioni mondiali.
  La visione piramidale del processo di digitalizzazione del sistema manifatturiero, con l'individuazione di grandi imprese come capi-filiera, è sicuramente razionale nei settori capital intensive, dove le dimensioni d'impresa e la standardizzazione produttiva sono state obbligate. Tuttavia, questi settori non esauriscono, per fortuna, il panorama produttivo italiano che anzi continua a essere rappresentato da uno straordinario numero di piccole imprese.
  Non è vero – credo sia un luogo comune che ha tante dimostrazioni del contrario – che esista una corrispondenza necessaria fra dimensione d'impresa e arretratezza tecnologica o grado di avanzamento tecnologico. Ci sono – ripeto – straordinari casi di successo diffusi nel nostro sistema manifatturiero.
  Occorre, poi, considerare – l'invito è davvero a non prescindere mai da questa osservazione della realtà – che il settore delle imprese manifatturiere dell'Italia, che resta la seconda economia manifatturiera d'Europa, è costituito per il 99 per cento da imprese sotto i 50 addetti. Inoltre, l'Italia è il Paese all'interno dell'OCSE che, non solo per numero di addetti ma anche per quantità di valore aggiunto, ricava la maggior quota di valore aggiunto appunto dal sistema delle micro e piccole imprese; siamo quasi al 50 per cento del valore aggiunto del manifatturiero che deriva da questo tipo di impresa.
  Vogliamo anche evidenziare come l'attuale sistema delle micro e piccole imprese, per fortuna, già da tempo abbia ibridato i processi produttivi con il mondo del digitale e dei maker, il che ha avuto attenzioni dei media in altri continenti e, in realtà, ha sùbito trovato nel nostro Paese straordinaria diffusione.
  Oggi questa ibridazione fra il saper fare e le nuove tecnologie sta realizzando delle soluzioni assolutamente positive in molti settori merceologici. Sottolineiamo questo aspetto dell'incrocio fra le capacità delle persone, cioè il saper fare e la stratificazione che sta in capo alle persone, e la coniugazione con il digitale.
  Noi riteniamo che questo sia davvero lo straordinario possibile futuro che possa trarre vantaggio dall'adozione delle tecnologie del digitale, quindi la visione che noi proponiamo è non l'adozione di un modello di Industria 4.0 e di «Manifattura 4.0» ma, per il nostro Paese, è una pluralità di modelli che valorizzi quella straordinaria presenza che hanno le piccole imprese e che ha l'artigianato del nostro Paese, accanto a quella delle grandi imprese. Non riesco a far a meno di avere l'occhio rivolto alla mia destra per guardare l'onorevole Bombassei.
  Le proposte che noi facciamo sono appunto quelle di una serie di azioni di policy che sia articolata, che non abbia una visione unica e che riesca a far leva su quelli che sono nodi strategici fondamentali che indichiamo nel focus sulle competenze e sulla riqualificazione del capitale umano.
  A differenza del modello della fabbrica senza operai, la manifattura di cui parliamo noi trae la propria forza dalle persone e dalle competenze. Qui, occorrerà davvero mettere in campo azioni efficaci di accrescimento di queste capacità, rendendo queste piccole imprese fornitori insostituibili anche delle grandi imprese nazionali che continuano peraltro a guardare all'Italia, quindi alle sue piccole imprese e ai suoi artigiani, come provider di soluzioni non softwarizzabili nei settori che vanno dal fashion, alla meccanica, all'automotive e al biomedicale. Pag. 12
  La seconda indicazione riguarda il focus sull'innovazione incrementale e sull'applicazione creativa delle soluzioni tecnologiche. Anche qui, la sperimentazione creativa e l'innovazione continua e incrementale sono caratteristiche di questo sistema di piccola impresa diffusa. Abbiamo esempi di questa capacità straordinaria di innovazione della manifattura digitale nel settore orafo dove hanno «ibridato» applicazioni di tecnologie nate nel campo dentale e lo possiamo vedere anche con la trasformazione di aziende meccaniche in aziende del biomedicale nei distretti dell'Emilia-Romagna. Queste sono solo alcune delle verifiche già in atto sul campo.
  Pertanto, le policy per la digitalizzazione del sistema manifatturiero devono essere orientate a valorizzare, non a frenare, questo potenziale di creatività e di sperimentazione, attraverso piattaforme di open innovation che incoraggino il proprio in setting e il proprio in solving. Tale potenziale nasce dal confronto aperto e paritario fra produttori e provider di soluzioni e non attraverso set di standard chiusi da raggiungere.
  Terza indicazione di policy è il focus sulla produzione collaborativa. La rivoluzione digitale apre a nostro avviso alla possibilità dell'efficacia di un modello di produzione collaborativa e non al solo modello verticale con un capo-filiera e con il resto che si aggrega su quell'unica tecnologia selezionata dal capo-filiera.
  A questo riguardo sono paradigmatiche alcune esperienze già in campo. La modalità di operare è quella dei fabrication lab, nati all'MIT, che hanno trovato sùbito diffusione anche nel nostro Paese.
  Cito un caso che noi seguiamo, come Confartigianato, e che riteniamo di assoluto interesse. Si tratta di un FabLab cui abbiamo dato origine in provincia di Varese, dove ci sono concentrazioni di settori diversi, dall'aeronautico al fashion eccetera. In questo caso, tutti gli utenti dello stesso FabLab riescono a mettere in campo davvero una produzione collaborativa che si estende anche fuori dall'ambito direttamente di impresa per coinvolgere il mondo dei giovani.
  Quarto elemento che noi indichiamo è il focus sui sistemi di intermediazione tecnologica. In considerazione della numerosità e dell'eterogeneità dei sistemi di imprese di cui sto parlando, vi è la necessità della creazione e, dove già esistono, del potenziamento di soggetti, di piattaforme e di luoghi di intermediazione delle tecnologie. Il perseguire una politica di questo tipo può portare alla valorizzazione del nostro straordinario mondo esistente che appunto troverebbe valorizzazione nonché straordinarie occasioni di futuro ulteriore e non la negazione che deriverebbe dall'adozione di quel modello unico che ho più volte richiamato.
  Si tratta, quindi, di dar vita a un modello di sviluppo originale, sostenibile e legato al territorio, in grado di coniugare generazione di valore e responsabilità sociale ed esportabile in molti Paesi avanzati che guardano alla capacità innovativa delle nostre imprese con rispetto e ammirazione.
  Chiudo ricordando come il nostro Paese sia un formidabile detentore di conoscenza. Il nostro è un Paese laborioso, creativo e innovativo, che ha dato molto alla storia della scienza e della tecnologia, compreso, nel 1964, il primo personal computer, cioè l'Olivetti P101.
  Sottolineo la necessità di avere aderenza a un'innovazione di un nostro modello di sviluppo, chiudendo con una piccola polemica attorno a un eccesso di concentrazione e di attenzione sulle mitiche start-up o sulla mistica delle start-up che sono diventate 5.045 in tre anni, cioè da quando è stata introdotta la legislazione sulle start-up, accanto alle quali, per fortuna, continuano a nascere più aziende in una sola delle 52 settimane, di ognuno di questi anni, di quante appunto ne nascano nel mondo dell'artigianato. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  LORENZO BECATTINI. Io ho da fare due domande riferite ad uno specifico comparto. Pag. 13
  Le chiedo quali effetti vi potranno essere per Industria 4.0 su un settore strategico per il nostro Paese dal punto di vista della creatività che è quello della moda. In questo settore, convivono due cose molto diverse. Ci sono grandi marche che hanno una produzione anche a livello internazionale, ma, negli ultimi tempi, stanno emergendo anche dei giovani che si orientano nel settore della moda, in ragione anche del fatto che quel mercato offre possibilità e delle scuole di formazione che esistono.
  Voi, nella vostra associazione, avrete molti associati che immagino siano legati anche al comparto moda, per cui vi chiedo come vedete il tema di Industria 4.0. Ci sono già processi in corso interessanti che danno l'idea di una trasformazione e di un assorbimento di queste cose nuove oppure no? Penso, anche sotto questo profilo, che, indipendentemente dal fatto che domani esisterà magari un'impresa che fa questo microfono in maniera tutta automatizzata, nel settore della moda questo non sarà mai possibile, quindi la componente della creatività del saper fare esisterà ancora.
  Passo alla seconda domanda. Possiamo chiamarla Industria 4.0 o in altro modo, comunque c'è bisogno di finanza, cioè di credito, a qualsiasi livello. Molto spesso ci lamentiamo che non abbiamo gli strumenti adeguati per sostenere soprattutto la piccola e media impresa. Vorrei da voi un giudizio sulla realtà dell'Artigiancassa che è il riferimento per la vostra attività, dal punto di vista soprattutto degli strumenti che l'Artigiancassa manovra (liquidità a breve termine e microcredito), delle strategie finanziarie per le imprese più grandi e di tutte le misure agevolative che fanno riferimento a questo istituto.

  ALBERTO BOMBASSEI. Condivido gran parte di questa analisi.
  Chiaramente tutti noi sappiamo che la parte dell'artigianato è uno dei valori da preservare e da conservare nel nostro Paese. Credo che, comunque, questo sia qualcosa di assolutamente condiviso.
  Mi permetterei, se il Presidente me lo consente, di precisare una cosa: non è che noi stiamo cercando di trovare uno standard di Industria 4.0 per poi applicarlo a 360 gradi. Il fatto stesso che facciamo queste audizioni su tante problematiche diverse dimostra che il nostro intento è quello di cercare di capire e di interpretare al meglio quello di cui il nostro Paese avrebbe bisogno in questo tipo di evoluzione, in modo da non subire, ma gestire la situazione.
  Le chiederei una maggiore specificazione per sapere come nel settore dell'artigianato questa applicazione può essere interpretata in maniera costruttiva, quindi la risposta che mi aspetterei è: per riuscire a conservare e per preservare o addirittura a far crescere quello che tutti noi riconosciamo come un grande valore del nostro Paese, Industria 4.0 può essere applicata – almeno per vostra interpretazione – in questo modo.
  Penso di aver capito alcuni accenni, ma per altre considerazioni svolte mi sembra ci sia il timore che si faccia un qualcosa per le grandi aziende più che una proposta che consenta non solo di crescere, ma anche di conservare quello che è un valore importante del nostro Paese. Grazie.

  LORENZO BASSO. Io vorrei riproporre, come ho fatto prima per i vostri colleghi, una domanda che voi fra l'altro riprendete nel vostro intervento, cioè quella sulla formazione delle competenze.
  Anche voi sottolineate quello che più volte, in queste audizioni, abbiamo rimarcato, ossia la necessità di una formazione di competenze, tanto sulle nuove generazioni e i nativi digitali quanto sulle persone che già attualmente hanno un ruolo imprenditoriale.
  Per i nativi digitali, quindi per le persone che devono entrare mercato del lavoro, esistono già vari progetti («Crescere in digitale», progetti di formazione), per cui vi chiedo cosa, secondo voi, potrebbe essere utile da parte dello Stato fornire per accrescere le competenze già all'interno del sistema, in particolare di quello delle micro e piccole imprese, senza sistemi coercitivi che obblighino ad avere delle figure specifiche, ma con dei sistemi agevolanti che forniscano l'opportunità di costruire all'interno delle imprese anche molto piccole, quindi che hanno pochi dipendenti, quelle Pag. 14competenze che gli permettano non solo di prendere le opportunità che oggi queste tecnologie offrono, ma anche quello di poter accrescere in una cultura dell'innovazione tecnologica per fare anche quell'aggancio rispetto alle sfide del futuro.
  Vorrei appunto un parere da parte vostra su quali programmi ritenete utile inserire per facilitare, anche alle organizzazioni come le vostre, questo percorso di crescita delle competenze interne.

  GIANLUCA BENAMATI. Intanto, voglio ringraziare il dottor Fumagalli perché ha posto – secondo me, naturalmente – l'attenzione, come già anche la CNA, su un tema che altrimenti rimarrebbe piuttosto in penombra che è quello della specificità dell'artigianato in questo passaggio industriale.
  Noi, quando parliamo di piccole e medie aziende che sono un numero incredibile di aziende in Italia e quando parliamo di quelle a ricchezza nazionale eccetera, pensiamo che i problemi per queste aziende siano gli stessi perché pensiamo che queste aziende vivano la stessa vita.
  Questo non è affatto vero perché, fra un'azienda che è inserita – piccola o media – all'interno della catena del valore di un grande produttore internazionale di componenti e l'azienda piccola che produce gioielli in maniera artigianale, c'è una profondissima differenza, nelle metodologie di lavoro, nelle richieste eccetera.
  Un conto è effettivamente la digitalizzazione associata a Industria 4.0 nella manifattura di un certo tipo di produzione dove c'è una catena del valore del quale molto spesso le aziende italiane, anche piccole e medie, fanno parte e non è un caso che queste piattaforme stanno nascendo a livello europeo e vogliono integrare le nostre aziende. Altra questione è, invece, quella che faceva presente il dottor Fumagalli di aziende che molto spesso, integrate o in gruppi, producono con una loro specificità. In questo caso, non viene meno la necessità di affrontare il tema della digitalizzazione dei sistemi ed è questo il punto che credo si debba evidenziare. Noi focalizziamo molto la nostra attenzione, giustamente, sulla prima parte, ma la realtà italiana ha anche queste eccellenze.
  Da questo punto di vista, dopo aver colto stamattina questa specificazione che confesso a volte per me rimaneva in penombra, voglio chiedere alcune cose sulle questioni che voi avete posto.
  Parlando di artigianato digitale, così siamo più in tema, vorrei capire quali sono – voi le avete annunciate – le misure che ritenete cruciali. Ho visto, nel punto 4 del documento (e vorrei capire qualcosa in più), che fra i diversi temi, come diceva il collega Basso, dell'accesso alle tecnologie, quali l'alfabetizzazione ma anche l'acquisizione di tecnologie, voi pensate che ci sia un problema anche di formazioni professionali e di figure professionali all'interno di queste aziende? Noi per esempio, come Governo, abbiamo individuato alcune misure, come i voucher per la digitalizzazione, ma forse qui servono delle ulteriori misure, tra cui la capacità anche all'interno di queste aziende di avere figure che siano competenti e capaci di portare l'azienda in questo mondo.
  Certo, quella del credito è un'altra questione, ma forse la qualificazione del personale o anche la presenza di figure dedicate, in tutto o in parte, diventa una cosa centrale. Vorrei capire, anche su questo aspetto, qual è la vostra opinione.

  PRESIDENTE. Do la parola al nostro ospite per la replica.

  CESARE FUMAGALLI, segretario generale Confartigianato Imprese. Credo che, avendo altro tempo a disposizione, sarebbe stato bello mostrarvi gli esempi perché anche solo paradigmaticamente sono straordinari.
  In effetti, non stiamo parlando di qualcosa che dovrà succedere, ma stiamo, per fortuna, parlando di una casistica molto vasta e molto significativa di questa avvenuta compenetrazione fra il digitale e gli artigiani che va contro la vulgata corrente che vorrebbe che questi due ingredienti non funzionino combinati insieme perché il digitale è troppo complesso per gli artigiani e, nel complesso, gli artigiani sono Pag. 15troppo piccoli e arretrati. Questo davvero non fa giustizia a tanti casi straordinari che ci sono e che sono ricchi e sono diffusi in moltissimi comparti, quindi non ho necessità di dimostrare quello che, per fortuna, già esiste.
  Quello della moda è uno dei mondi dove la bandiera è retta dai marchi, ma, come ci dicono anche i numeri legati all'esportazione, dove c'è anche un complesso di interazione che è fatta moltissimo dal mondo artigiano. Capita, ormai con continuità, di leggere gli emblemi di questi marchi che dicono «attenzione, non prendiamoci e continuiamo a crescere e ad avere attenzione al mondo che consente ai grandi marchi di essere presenti sui mercati internazionali» che è appunto rappresentato dalla distintività, cioè dalle capacità che risiedono in capo a questo artigianato nel settore della moda.
  Credo che, anche qui, l'immagine di Chris Anderson che dice «mondi e mercati fatti da un corpo molto verticalizzato, ma con una coda straordinariamente lunga», cioè la teoria delle code, quindi delle nicchie, si applichi forse in nessun altro Paese come nel nostro. Noi troviamo nei mercati globali quantità tali per cui le singole nicchie rappresenterebbero straordinari mercati per le nostre produzioni, cioè quelle che facciamo in Italia.
  Il tema del credito è sicuramente ancillare a tutti gli altri, anche se tocca il mondo digitale, forse questa volta non in modo decisivo perché la componente più decisiva non è quella di quanta finanza applicare a iniziative imprenditoriali in questo campo. In parte, si tratta della polemica che ho introdotto sulle start-up, cioè su soggetti che hanno bisogno di grandi quantità di capitali per sviluppare. Qui, invece, occorrono modeste quantità di capitali e grandi investimenti di tecnologie disponibili.
  Uno degli accenti che noi poniamo non è sulle tecnologie esclusivamente proprietarie e sulle tecnologie open source, ma ancora di più sulla formazione delle competenze che – lo dico, attraversando diverse delle domande che ci avete fatto – è la parte decisiva.
  Ho esaltato l'accento della necessità di distinguerci da un possibile modello unico perché la prima condizione è puntare su questi elementi distintivi, per valorizzarli, non per superarli. Certo, se il tema è superarli e questo rappresenterebbe un qualcosa che tende a sopravvivere, ma che, per andar bene, deve essere superato e spazzato via, non si faranno gli investimenti per accrescere le competenze. Tuttavia, se è accettata la prima condizione, sicuramente ci saranno. Sottolineo che è uno degli aspetti decisivi è quello della diffusione di queste competenze che non possono essere individualizzate azienda per azienda.
  Certo, alcuni errori sono stati fatti anche nel recente passato o sono in corso e sono quelli relativi al tema, per esempio, di favorire l'internazionalizzazione e la presenza sui mercati globali, tentando di mettere degli export manager all'interno delle aziende artigiane. Questi sono innesti violenti che non funzionano. Noi riteniamo che, qui, possano funzionare molto di più i punti territoriali e le reti di soggetti in possesso di queste competenze cui poter accedere.
  Noi stiamo, come Confartigianato, dando vita a una rete dei FabLab e lo stiamo facendo fuori dal quell'atteggiamento facile di essere il punto dove il Comune, per essere alla moda, istituisce un FabLab. Noi parliamo di FabLab che nascano su iniziativa del mondo dell'impresa e che siano innanzitutto rivolte agli imprenditori e a consentire sperimentazione.
  Basterebbe uno degli strumenti che oggi sono più decisivi, come quello della stampa tridimensionale. Questo è uno degli aspetti dove si può davvero fare accrescimento di competenze.
  Ne indico un secondo, connesso con la rivoluzione digitale, che è il mondo dell'e-commerce. Noi stiamo provando, da alcuni anni, a portare sui mercati di quello che viene chiamato il «sesto continente» le piccole imprese. Certo, si fa una fatica immane, ma, se si riesce a superare quelli che oggi rappresentano ostacoli, si apriranno, per il mondo dei prodotti personalizzati di cui sono straordinariamente capaci Pag. 16 di artigiani italiani, mercati davvero quasi senza più limite.
  Il punto è come, partendo dalle tecnologie tradizionali, si possano introdurre e applicarvi le tecnologie digitali nella produzione, ma anche nella commercializzazione.
  Ci sono anche su questo – torno a dire – esempi straordinari. Il mondo della bicicletta ha visto un ritorno straordinario nel nostro Paese. Le eccellenze del mondo della bicicletta son tornate a essere italiane. Queste eccellenze producono con applicazioni di tecnologie digitali avanzatissime e stanno tutte in capo a imprese di piccole e piccolissime dimensione.
  Il mondo dell'auto elettrica non è solo quello di Tesla e della California, ma ha punte straordinarie nel nostro Paese. Abbiamo un'azienda nostra, a Imola, con 300 dipendenti che fa auto elettriche e sul fronte delle batterie al litio si muove, testa a testa, con i grandi mostri internazionali, come quelli che ho citato.
  Questo mondo è fatto anche dall'applicazione, per un altro progetto che coinvolge un consorzio nostro del mondo dell'autoriparazioni, della sostituzione del motore a scoppio con il propulsore elettrico su auto tradizionali.
  Questi sono tutti i mondi dove l'impiego della tecnologia digitale è presente in dosi massicce.
  Tutto ciò – torno a dire – è profondamente diverso da altri obiettivi cui tendono altri.
  Noi siamo stati, due anni fa, nella Silicon Valley appunto per vedere quanta paura dovessimo avere e siamo ritornati con un certo conforto. Abbiamo visitato la Singularity University che sta in una ex base dell'ente spaziale americano e che si occupa di ricerca e poi sviluppo di progetti per applicazioni che interessino da un miliardo di persone in su.
  Noi siamo fuori da quel mondo.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 2).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

Audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL UIL e UGL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione di rappresentanti delle organizzazioni sindacali CGIL, CISL, UIL e UGL.
  Sono presenti Rosario Strazzullo per la CGIL, Marco Bentivogli che è il segretario Fim CISL, Giuseppe Farina e Cosmo Colonna della CISL, Romeo Scarpari per la UIL e Fiovo Bitti per l'UGL, quindi ci sono i rappresentanti di quattro organizzazioni sindacali.
  Chiederei a ciascuno di voi di fare un intervento introduttivo dell'ordine di una decina di minuti. Seguiranno le domande dei Commissari cui poi risponderete, a seconda del rappresentante cui sono rivolte o di chi ritenga di voler rispondere. Seguendo, l'ordine che ho segnato, cominciamo con Rosario Strazzullo e poi passiamo a Giuseppe Farina.

  ROSARIO STRAZZULLO, coordinatore area contrattazione CGIL. Grazie, presidente. Abbiamo letto con attenzione il documento che ci avete inviato.
  La prima osservazione che facciamo è che l'iniziativa della X Commissione, a nostro avviso, stia provando a colmare un vuoto di strategia, di obiettivi e di strumenti sulla politica industriale che purtroppo dobbiamo registrare e segnalare per il nostro Paese.
  Del resto, nello stesso documento della Commissione c'è una ricostruzione dell'esperienza in Germania. Citate, per esempio, i dati della società Fraunhofer che fanno riflettere perché ci sono 66 istituti al servizio dei settori e 24 mila dipendenti e che, ovviamente, sono dati importanti. C'è un fatturato, per questa società, di 2 miliardi di euro. Il 30 per cento è a carico del Governo federale e dei länder. Inoltre, 300 milioni vengono messi a disposizione per promuovere soprattutto ricerca e sviluppo. Pag. 17Trattandosi di dati impressionanti, c'è da chiedersi se è giusto fare un percorso del genere e, qualora fosse giusto, se siamo in grado di farlo.
  Nel documento, voi avete ricostruito anche le vicende americane. In merito, la cosa che colpisce per una delle due realtà che citate, cioè quella dell'Industrial Internet Consortium, è la partecipazione di aziende come Intel, Cisco, IBM, General Electric e AT XXXX T e che alcune di queste aziende siano presenti nel nostro Paese. Il riferimento non è casuale, per questo ho voluto riprenderlo. Dite che questo è un primo strumento per favorire lo sviluppo di applicazioni, l'architettura di riferimento, la best practice e gli standard tecnologici che facilitano la diffusione di Internet delle cose.
  Certo, Industria 4.0 è un modo per occuparsi di politica industriale tout court, non solo di politica industriale del futuro, per questo va a colmare un vuoto.
  L'altro strumento dell'esperienza americana che citate e che ci colpisce è quello di Smart manufacturing leadership coalition (General Motors, General Electric, Rockwell Automation, University of California e West Virginia University) che lavora sul Cloud manufacturing.
  Entrambi gli strumenti americani sono grandi player privati, per cui non c'è un ruolo del pubblico, ma il ruolo storicamente presente in America degli strumenti finanziari a sostegno del venture capital.
  Tutto questo è interessante e non lo dico perché vi devo spiegare il documento che voi stessi ci avete mandato, ma perché serve poi a fare quelle brevi considerazioni conclusive che mi pare giusto portare alla vostra attenzione.
  Nel documento, citate i passaggi della strategia europea. Anche qui, sarebbe interessante capire in sostanza, nel vedere le cose che dobbiamo fare, la distanza che c'è tra le politiche e l'indicazione della Commissione europea del 2012 e del 2014.
  Mi sembra giusto ripetere che nel 2012, come voi ricordate, si metteva l'accento sull'accesso ai mercati di capitali e sul capitale umano che è punto dirimente per affrontare le questioni di Industria 4.0.
  Per il documento del 2014, parlate di mercato interno, di infrastrutture europee, di reti energetiche, di trasporto e di comunicazione, cioè degli elementi trasversali della politica industriale. La politica industriale si riduce agli incentivi da un lato e dall'altro a questi grandi programmi europei trasversali che cercano di creare l'ambiente perché fanno investimenti pubblici e creano domanda, cosa di cui c'è bisogno per il nostro Paese in termini di competitività e di produttività.
  Citate un vostro documento di giugno 2015 sulla digitalizzazione delle filiere e dei servizi complementari che è un lavoro sul paradigma Industria 4.0. Si tratta di un passaggio importante che condividiamo, in riferimento al documento del mercato unico digitale, ai nuovi settori che vanno a segnare lo sviluppo d'impresa e il business d'impresa e ovviamente al tema degli standard e dell'intera operabilità.
  Riguardo la similitudine e le differenze dei modelli europei rispetto a quello americano, indicate l'integrazione perché l'Europa lavora più sul manifatturiero e l'America più sui servizi e perché l'Europa lavora più gli standard, mentre gli americani più sui sistemi aperti. Inoltre, richiamate i passaggi del Governo con il documento di novembre nei dieci punti segnalati dalla Commissione.
  Prima di concludere la parte delle strategie, vorrei riportarvi alcuni dati sul digitale che sono di una ricerca – credo per voi conosciuta – dell'autunno scorso, fatta dalla Prometeia e dalla Fondazione Nord Est.
  In sostanza, se guardiamo il manifatturiero, contiamo circa 375 mila imprese, 3 milioni e 500 mila occupati, una produzione industriale del valore di 800 miliardi di euro. Il made in Italy di questa parte rappresenta 264 mila imprese, 2 milioni e mezzo di addetti e circa 560 mila miliardi di valore della produzione.
  Questa ricerca divide il made in Italy di consumo dal made in Italy tecnologico. Siamo più avanti sul made in Italy tecnologico in termini di numero di imprese e in termini di numero di addetti perché complessivamente il made in Italy occupa 2 Pag. 18milioni e mezzo di addetti – 1,6 sul made in Italy tecnologico, 900 mila sul made in Italy di consumo – con valori della produzione, come si diceva, di circa 560 miliardi di euro.
  Questi settori come utilizzano le tecnologie digitali? Il 25,8 per cento – parliamo di un campione analizzato di imprese con un valore di produzione del fatturato di un milione di euro – utilizza le stampanti 3D, il 36 per cento la robotica, il 66,7 per cento le macchine a controllo numerico, il 48,3 per cento tecnologie laser e sistemi di taglio supportati da computer.
  Se si guardano le analisi aggregate, di questo mondo solo il 18 per cento non fa utilizzo di nessuna delle quattro tecnologie richiamate. Il restante, l'80 per cento, o fa un utilizzo combinato delle diverse tecnologie o ne utilizza una soltanto.
  La cosa interessante di questa ricerca è che hanno analizzato anche la disponibilità a utilizzare le tecnologie Internet delle cose, IOT, e solo circa il 13 per cento le sta utilizzando. Vi manderemo altri dati – voglio concludere, perché è quasi finito il tempo – in forma più analitica.
  Da qui si capisce che il salto da fare è quello dalle tecnologie avanzate che già si utilizzano a un paradigma superiore, a cui anche la Commissione accenna, il paradigma cosiddetto 4.0, l'Internet delle cose. In sostanza, l'obiettivo che dovrebbe darsi il nostro Paese è quello di contribuire alla nascita di un nuovo made in Italy, ovvero di un sistema che sappia far proprie non solo le nuove tecnologie digitali, ma anche più in generale la cultura che il digitale apporta.
  Le tecnologie di punta di cui stiamo parlando stanno contribuendo a ridisegnare i modelli di business delle imprese. Chi utilizza le stampanti 3D sta cambiando il suo rapporto, la sua relazione con il cliente finale. Ciò che, invece, le imprese stentano a mettere a fuoco è la scommessa sul paradigma dell'Internet delle cose, pur avendo quella base innovativa molto importante. La difficoltà è ancora maggiore per le piccole e medie imprese. Bisogna creare un ecosistema di riferimento.
  Sono interessanti anche i dati della ricerca di cui vi si diceva. Se facciamo fare un salto di qualità al nostro sistema produttivo, partendo non da zero, ma dai dati che questa ricerca segnala, potremmo avere in sostanza un aumento del valore della produzione annua di 8 miliardi, un aumento annuo del valore aggiunto di 4 miliardi, e potremmo mettere sul terreno circa 40 mila nuovi addetti. Sono cifre che sulla quantità forse dicono poco, ma sulla qualità dicono molto. Avete assistito a tutta la polemica sui posti che si distruggono e i posti che si creano.
  Concludo sulla strategia. Voi indicate dieci punti. Per andare veloci, quelli più problematici sono il punto n. 6 e il punto n. 9, quelli che rimandano in sostanza a elementi di coordinamento della politica industriale, di scelta della politica industriale. Si tratta del punto degli incentivi e di quello della cabina di regia.
  Abbiamo un vuoto di lezione di politica industriale, che non è colmabile da un pool di esperti che a nostro avviso non rispondono a criteri di carattere professionale. C'è il vuoto del Ministero dello sviluppo economico, che fa un lavoro enorme sulle vertenze, ma non riesce a fare il lavoro che voi chiedete e che noi stiamo cercando di sostenere con gli argomenti e le cose che conosciamo.
  Altri punti di lavoro, solo per titoli, sono l'industria e i servizi: modello americano o modello europeo? Possiamo avere una nostra caratterizzazione su questo versante. Questo significa ragionare delle reti, di trasporto, di energia, di comunicazione. Sull'efficienza energetica c'è una proposta unitaria di CGIL, CISL e di Confindustria, che non abbiamo mai avuto l'onore di discutere con nessun Governo, né con questo né con i due precedenti, che data dicembre 2011 e che, se volete, metteremo alla vostra attenzione.
  L'obiettivo sarebbe quello di cercare quelle filiere dei servizi che hanno dietro l'industria manifatturiera, ciò di cui parlavamo prima, tutti i dati che si riportavano. C'è il tema dell'agenda digitale, caro presidente, che non incorpora, ed è strano, obiettivi lavoristici sulle competenze, se Pag. 19non generici, e obiettivi di politica industriale. Pensiamo a tutte quelle imprese che fanno i consorzi americani: una parte in Italia l'abbiamo al MISE con problemi di carattere occupazionale. Vi sono norme secondo le quali il MISE può fare bandi per trattenere competenze industriali in Italia, e non vengono fatti, non vengono utilizzati.
  C'è poi il tema richiamato del ruolo dei grandi operatori infrastrutturali, quelli che si mettono insieme in America e fanno innovazione. Qui ci sono Enel, Telecom. Abbiamo contributi specifici. C'è la vicenda famosa dei contatori elettronici, tecnologia nostra. Esempi di innovazione di quel tipo, guardando in avanti – siamo anche in grado di mettere a disposizione contributi specialistici da questo versante, che vengono dalle nostre fila – possono essere individuati e indirizzati già da oggi.
  Secondo un documento di cui si sono perse le tracce, citato nell'ultimo documento CGIL, CISL, UIL e Confindustria sul Mezzogiorno, la «Strategia nazionale di specializzazioni intelligenti», le regioni individuano dieci settori da una ricognizione sul campo, vengono individuate cinque aree strategiche di carattere nazionale si cercano gli incroci e la matrice di intersezione tra i diversi punti. Non ne parla nessuno. È citato in quel documento e noi lo riproponiamo.
  Infine, c'è la domanda pubblica, e concludo, e una vicenda proprio di queste ore. Le nuove regole degli appalti dicono che si fa politica industriale con la domanda pubblica. Ci sono le risorse. Lo Stato può fare innovazione con gli appalti pre-commerciali. Purtroppo, ci troviamo nella situazione in cui il Governo non solo, come al solito, non tiene conto delle valutazioni delle Commissioni parlamentari sugli schemi dei decreti legislativi emanati in attuazione delle varie leggi delega, ma in questo caso lavora a un decreto legislativo che peggiora la delega a cui meritoriamente le Commissioni parlamentari avevano lavorato.
  Ci riferiamo alla vicenda dei subappalti, ma a tanti altri punti di nostra attenzione e che oggi potete trovare sulla stampa. Poiché questa è politica industriale, vi chiediamo un'attenzione e una sensibilizzazione anche su questo punto.

  GIUSEPPE FARINA, segretario confederale CISL. Ringrazio i componenti della Commissione e il presidente per quest'opportunità che ci dà come sindacato, che si occupa anche di industria naturalmente, di poter parlare di industria. Questa è un'opportunità importante, perché appunto facciamo qualche fatica a trovare delle sedi, degli spazi nei quali interloquire con il Governo. Dobbiamo cogliere tutte le opportunità e abbiamo onorato l'impegno con la presenza che oggi assicuriamo.
  Anzitutto, quello con cui è stata introdotta la discussione di oggi è un documento ben fatto, che introduce bene il tema. Vorrei, però, subito osservare che abbiamo certamente il problema di discutere, di capire bene gli impatti, le implementazioni dell'innovazione tecnologica, di Industria 4.0, ma credo che dobbiamo avere anche consapevolezza che questa è una delle attività, dei filoni cui dobbiamo interessarci, che però compongono un obiettivo più generale assunto come Governo e come Commissione europea, ossia quello di realizzare entro il 2020 una crescita della percentuale di PIL prodotta dal sistema industriale.
  Dobbiamo, quindi, avere chiari un primo problema e un primo obiettivo. L'Industria 4.0 è una componente che può consentirci di realizzare quest'obiettivo di recuperare quei 4 punti di PIL persi durante la crisi come contributo dell'industria alla ricchezza del Paese.
  Temiamo, infatti, che se viene a mancare, se non recuperiamo questo contributo, l'insieme dell'economia rischi di non farcela. L'Industria 4.0 è una delle leve importanti che può contribuire a una strategia del nostro Paese, essendo un'economia fortemente caratterizzata dalla manifattura, per recuperare. La domanda interessante, non tanto per la Commissione quanto per il Governo, sarebbe: che cosa pensa di fare il Governo per recuperare e realizzare gli obiettivi che pure in sede comunitaria abbiamo condiviso, e che impegna ogni Paese a recuperare quello che ha perduto per arrivare al 20 per cento del prodotto interno lordo prodotto dalle attività Pag. 20 industriali? Questa è la domanda che vorrei fare al Governo. All'interno di questa domanda discutiamo anche di quello che può significare Industria 4.0.
  Leggendo il documento, sul tema Industria 4.0 non mi sembra ci siano molte cose che dobbiamo inventarci. Altri Paesi le hanno già fatte. Leggo nel documento: «Industria 4.0 nasce nel 2012 come iniziativa strategica del mondo produttivo tedesco da associazioni di categoria, alcune grandi imprese, multinazionali, sindacati, università, fortemente sostenuta dal piano finanziario del Governo federale, che ha finora stanziato circa 300 milioni di euro tra i vari ministeri per promuovere ricerca e sviluppo. Il progetto riflette obiettivi e indirizzi della grande industria della Germania».
  Mi sembra che ci sia già un tracciato. Colgo una novità rispetto all'esperienza tedesca, che evidentemente è stata positiva. In Germania hanno messo insieme tutti i soggetti che possono contribuire a far crescere, a far nascere il progetto. Industria 4.0 è soprattutto un fatto, prima ancora che economico, culturale. Noi abbiamo bisogno di uno sforzo culturale del Paese per entrare in una dimensione di innovazione che cambia così le abitudini non solo dei lavoratori, ma anche dei cittadini, dei consumatori. È un primo elemento che colgo. Ho detto che stiamo discutendo in Commissione, che non abbiamo una sede in cui poter dare il nostro contributo nell'interlocuzione col Governo.
  Leggo poi, alla fine del documento, che c'è una cabina di regia proposta. Dirò qualcosa brevemente sugli indirizzi, e poi lascerò la parola a Bentivogli, che integrerà il mio intervento per alcuni aspetti. C'è una cabina di regia non meglio identificata. Non è meglio definito che cosa voglia dire. Mi sembra che le esperienze delle cabine di regia del Governo di cui si sta discutendo tendano a escludere un rapporto più strutturato con le parti sociali, con le imprese, i lavoratori, i sindacati, gli attori principali che devono poi procedere all'implementazione. Questa mi sembra la debolezza dell'impianto.
  I contenuti ci sono, ma dentro un impianto che non tiene conto che l'Industria 4.0 è una leva, ma l'obiettivo deve essere quello di far crescere il settore industriale nel nostro Paese. Nell'impostazione di questa grande innovazione soprattutto culturale mi sembra che ci sia un approccio che, secondo me, non sarà sufficiente. Il Governo potrà farlo, ma non ci riuscirà, non potrà riuscire a fare tutte le cose importanti da fare senza un certo contributo.
  Sul tema dell'Industria 4.0, poi lascio la parola a Marco Bentivogli, ho due osservazioni. Di fondo c'è un problema di hardware: senza una rete diffusa di banda larga e ultralarga, di che cosa parliamo? Questa è la prima condizione. Dobbiamo poter contare su un sistema diffuso di comunicazione in tutto il Paese. Da questo punto di vista, c'è l'urgenza di andare a un'implementazione più rapida e veloce, che è l'hardware. Poi c'è il software, dato dalle competenze e dalla cultura.
  Bisogna creare le condizioni per cui l'Industria 4.0 abbia le strutture infrastrutturali che consentano di svilupparsi, e pensare un grande investimento in formazione, in primo luogo degli imprenditori. Sono io stesso a dirlo. Avendo noi un sistema di piccola e media impresa, abbiamo una classe imprenditoriale che, come per i lavoratori, ha gli stessi problemi di adattamento. C'è, quindi, un tema hardware/software. Si investe nell'hardware, e si deve farlo con un grande progetto di sostegno all'attività formativa diffusa. Naturalmente, come ha fatto il Governo tedesco, si deve essere in grado di sostenere tutto questo con uno stanziamento in ricerca e innovazione.
  Mi sembra che le cose da fare ci siano. Venivano citati da Strazzullo tanti accordi fatti con la Confindustria, di cui non se ne ricordava neanche uno. Personalmente, non me li ricordavo. Il problema non è soltanto individuare, ma fare, riuscire a trovare le forme giuste per fare. Col permesso del presidente, cedo ora la parola a Marco Bentivogli.

  MARCO BENTIVOGLI, segretario generale Fim-CISL. Intervengo brevemente. Anch'io colgo positivamente che si parta da Pag. 21un'indagine conoscitiva, anche se ovviamente bisognerà immediatamente a tutti i livelli, compreso il sindacato, recuperare sul terreno principale di questa vicenda, che è appunto il ritardo rispetto a tutto ciò che si muove intorno a questi temi.
  Innanzitutto, come già veniva detto, «Industry 4.0» è l'integrazione di nuove tecnologie. Non voglio ricordarlo a scopo didattico, ma perché il nostro Paese è fortissimo su quelle nuove tecnologie. Purtroppo, se pensiamo alla robotistica di Comau, alla sensoristica dell'avionica, a tantissimi aspetti che sono gioielli della nostra industria, l'Italia dispone di tutte e nove le tecnologie. L'Italia è assolutamente debole nella capacità di integrazione delle nuove tecnologie. Non credo che questo sia risolvibile con una cabina di regia solo politica. C'è la necessità, appunto, di compiere uno sforzo comune e di mettere insieme veramente tutti i soggetti.
  Nel nostro Paese, noi, che come Fim abbiamo iniziato a lavorare da tempo su un progetto di ricerca anche insieme alle imprese proprio su «Industry 4.0», ci siamo accorti che c'è un grosso problema di consapevolezza. Purtroppo, il dibattito su questo tema viene relegato dai più, come roba da futurologi, alla digitalizzazione della fabbrica, come sentivo anche prima: non c'entra assolutamente nulla.
  «Industry 4.0» è una vera e propria rivoluzione, e sarà in totale discontinuità con il manifatturiero, che già vediamo oggi. Se vogliamo vedere un punto intermedio, andiamo a Pomigliano d'Arco, dove qualcuno dice ancora che c'è la schiavitù. In realtà, lì c'è l'esempio modello, la tappa intermedia tra la terza e la quarta rivoluzione industriale. Se vediamo la costruzione della scocca dell'auto di Pomigliano, non c'è nulla di così avanzato come la butterfly per mettere insieme le saldature della carrozzeria. Come c'è lì non c'è in nessuna fabbrica di auto in tutto il mondo, neanche nei mitici tedeschi.
  Non è semplicemente la digitalizzazione della fabbrica, non è l'applicazione a internet. Il cambiamento nel modo di fare manifattura integrerà il cambiamento del modello sociale del Paese, perché cambierà la produzione, il lavoro, la città attorno alla produzione. Relativamente al dibattito in corso sullo smart working, dalla verifica dei primi casi, non in Italia, di applicazione di «Industry 4.0», si vede che la nuova dimensione spazio-temporale e che il rapporto del lavoratore con la vecchia macchina è assolutamente scollegato. C'è la possibilità di collegamento da remoto anche in un'industria manifatturiera. Credo che questo sia un aspetto molto interessante.
  Il rischio grosso è che la quarta rivoluzione industriale rischia di essere confinata in un dibattito economico o sulle tecnologie. Quello è assolutamente un pezzo residuale di questo dibattito. Dobbiamo avere la capacità di costruire anche la dimensione del sociale attorno alla manifattura che cambia in questo modo. Che cosa fare?
  Scorrevo velocemente i dieci punti. Quello più rilevante di tutti è sicuramente la cabina di regia, che una volta tanto nella storia di questo Paese metta tutti insieme. Non c'è il dubbio di decidere se stare in una manifattura o meno. Il modo di produrre sarà quello. Se non sarò dentro quella manifattura, perderò la mia vocazione industriale. Bisogna avere questa consapevolezza.
  Noi siamo in un ritardo clamoroso, per cui servono non in generale investimenti pubblici, ma capacità di governo e di anticipo di governo di questo processo. Accanto alle cose americane che venivano citate, il programma più preoccupante e più forte in questo momento è made in China 2025, cioè il programma che mette insieme un asse di cooperazione industriale su «Industry 4.0» proprio tra cinesi e tedeschi, sbaragliando anche le chiacchiere che si fanno su questi temi. È chiaro che la potenza di fuoco di quella capacità di investimento sarà molto più forte di qualsiasi altra in tutto il mondo.
  Credo che anche le imprese italiane non possano limitarsi a qualche indagine, a partecipare ai ricevimenti dell'ambasciatore tedesco. Credo che serva uno sforzo maggiore, più forte. Non c'è solo l'obiettivo del 2020 del 20 per cento di contributo del PIL. Se fosse così, sarebbe semplice. Siamo Pag. 22attorno al 18,5 come Paese. Non c'è molto. In realtà, il tasso di sostituzione della manifattura nei prossimi anni sarà talmente forte che anche rimanendo entro il 18 dovremo cambiare tantissimo e con grande forza.
  Roland Berger dice che per quindici anni serviranno in Europa 90 miliardi di euro all'anno di investimento su queste cose. In Italia abbiamo il problema più grosso di competenze. Non ci sarà più l'operaio a catena, che c'è sempre meno già adesso, servirà un lavoratore progettista, capace di settaggi intelligenti, analizzatore dei big data, i mega dati che arrivano dalla rete commerciale, dalle macchine stesse, dunque una qualità del lavoro migliore, e noi siamo il Paese col più grosso gap di competenze in senso negativo.
  È molto importante, quindi, il punto 4. Abbiamo chiesto nei contratti il diritto soggettivo alla formazione. Con una scarsa formazione della manodopera italiana rischiamo veramente di perdere il treno. Mi fa sorridere che il Governo tedesco non ha fatto chiacchiere, a proposito di austerity, ha stanziato 5 milioni di euro solo per la formazione ai delegati di fabbrica delle industrie. Se parliamo di questo in Italia ...
  Vengo all'ultimo aspetto in termini di visione. Se questa deve diventare una sfida collettiva, comune di istituzioni, imprese, Governi, credo che serva assolutamente una visione positiva. Non c'è la possibilità di scegliere se aderire a un sistema di produzione a minore innovazione. Quello sarà il sistema. Può esserci maggiore gradualità, ma l'aspetto interessante è che una smart factory ha sicuramente un livello di produttività molto più alto di una fabbrica tradizionale.
  Certo, va mixata con l'organizzazione del lavoro, con la competenza delle persone. Ci sarà sì un taglio di posti di lavoro, ma bisogna lavorare sul bilanciamento, su quella che sarà la riduzione dei posti di lavoro per l'inserimento di maggiori tecnologie dal possibile back-reshoring, rientro di produzioni, che in questi anni sono andate via. Penso a tanti settori della mia categoria, all'elettrodomestico, dove l'innovazione è arrivata pressoché quasi a zero. La delocalizzazione, invece, è stata fortissima. Sarà la possibilità per ritornare, investendoci, ad avere lavoro nel nostro Paese.
  Credo che la visione positiva serva non a essere ingenui rispetto al cambiamento, ma a cercarne proprio la possibilità di trarne i maggiori benefìci, che a mio avviso ci sono tutti.

  ROMEO SCARPARI, funzionario UIL. Per una serie di declinazioni di quello che è oggi inteso come «rivoluzione industriale 4.0», faccio rinvio nel dettaglio e nello specifico sia alla relazione più complessiva che abbiamo consegnato sia allo stesso abstract.
  Voglio ringraziare la Commissione perché, rispetto a questo problema, finalmente si mette sul tavolo l'esigenza reale del sistema Italia di misurarsi e di cogliere le sfide del mercato globale, che significano competitività, crescita economica e rimessa in moto del ciclo economico e di tutti i fattori che nella loro interdipendenza lo alimentano.
  È stata già detta una serie di cose, che condividiamo complessivamente, anche su alcune questioni particolari. Un nodo va affrontato e sciolto, di carattere politico, istituzionale, ma anche di carattere culturale: rivoluzione industriale 4.0 non può essere concepito come un punto di partenza di cui oggi rileviamo la qualità. La rivoluzione industriale, tecnologica e digitale permanente è cominciata nel 1965, quando hanno previsto l'evoluzione esponenziale del calcolo informatico.
  È da allora che facciamo i conti con una rivoluzione permanente, che ha battuto cicli temporali in funzione dei quali oggi un anno, con tutte le connessioni positive e negative che ne derivano, è considerato e sarà sempre più considerato un'era geologia.
  Rivoluzione industriale 4.0 concepita come un processo, come una unicità complessa interconnesse parte dalla mutazione dei vecchi paradigmi e dei punti di riferimento che avevamo tutti, imprese, lavoro, paradigmi che si chiamano velocità, complessità, interdipendenza, che impattano e hanno già cominciato a impattare brutalmente Pag. 23 sui due asset primari non solo del sistema globale, ma in particolar modo del nostro sistema nazionale: impresa e lavoro.
  I modelli di impresa dentro al villaggio globale, non certo ancora in Italia, come è stato sottolineato, si stanno evolvendo buttando a mare – uso una semplificazione – i vecchi modelli della gerarchia piramidale. Si stanno trasformando in modelli di natura orizzontale e interconnessa, e operanti in termini di flessibilità e competitività sul mercato globale.
  L'imprenditoria cosiddetta illuminata sta sviluppando un'orizzontalità della stessa gestione manageriale. Avvenendo questo, la struttura organizzativa del lavoro, la struttura e i sistemi delle sue competenze professionali mutano, fino ad arrivare – queste sono le tendenze di chi sostiene i modelli esasperati, come fa una parte del mondo accademico e scientifico, come quello dell'automazione esasperata – agli elementi fondamentali che sostengono quella che è fino a oggi l'essenza del lavoro subordinato.
  Non a caso, tenendo conto di tutte queste interconnessioni, che io ho semplificato e riassunto, il World Economic Forum ha prefigurato i differenziali occupazionali sul 2020, cioè dietro l'angolo, ovviamente alla luce di quelli che prefigurano come i lavori che scompaiono, i lavori innovativi e nuovi, ma con un differenziale occupazionale assolutamente negativo.
  Serve poco portare dati e numeri, perché già domani o dopodomani saranno cambiati. Il dato vero è che la rivoluzione industriale 4.0, se non gestita e governata in termini di visione strategica e di condivisione e partecipazione di tutti i soggetti primari, produce criticità occupazionali gravissime. Questo è uno dei dati fondamentali che stanno sul tavolo quando parliamo di rivoluzione industriale 4.0.
  È vero, infatti, che c'è una componente tecnologica e digitale fondamentale, ma l'esigenza di confronto, di riflessione e di dibattito allargato, diffuso e condiviso su questo futuro non può limitarsi al dato scientifico e tecnologico, altrimenti c'è lo spazio strumentale per l'esasperazione di tutti i modelli possibili. L'esigenza, però, è quella di un futuro, se la rivoluzione industriale 4.0 lo è effettivamente, come siamo convinti, che va governato nella sua fase di transizione e.
  In questa fase, avere una visione tangibile da parte di tutti i soggetti che concorrono al funzionamento del sistema in termini di progetto organico strategico di politica industriale – qui ne sono stati riassunti alcuni elementi – è fondamentale e discriminante rispetto all'aggancio effettivo delle sfide sul futuro, a partire dalla valorizzazione e dall'investimento sulle eccellenze del sistema Italia. Qui ne sono state ricordate alcune, e sono quelle vere, comprese le eccellenze che l'Italia ha su ricerca e sviluppo.
  Si parte anche dal recupero di quei ritardi, di quei limiti propri dell'impresa italiana, modelli di impresa arretrati nonostante le dichiarazioni, sottocapitalizzazioni, un'imprenditoria che fatica a trasformare i modelli di impresa, perché nel farlo, e a partire dall'investimento sulle competenze, la scelta dell'imprenditoria italiana è quella di valutare il valore del fattore costo e non i risultati e i valori della capacità e della scelta strategica di investimento. Il problema, altro limite, è il dato infrastrutturale complessivo, fisico e tecnologico-digitale. Partendo da questo, vanno selezionate e fatte le scelte sulle priorità di settore e di territorio, da incrociare con l'investimento sui fattori trasversali che sostengono lo sviluppo.
  In questo contesto, riteniamo che i dieci punti indicati dal Governo in materia di innovazione tecnologica e digitale a supporto dello sviluppo nel loro insieme possano essere considerati una risposta efficace e finalizzata, anche se di fronte a un'esigenza più complessiva di politica industriale è una risposta obiettivamente ancora parziale.
  Dentro questo contesto, come è stato già detto ma è opportuno ribadire, il confronto con i soggetti collettivi rappresentativi primari, che si chiamano imprese e sindacati, è fondamentale per l'equilibrio degli interessi e degli obiettivi reciproci dentro quella visione orizzontale e interconnessa reale di un'interpretazione reale e possibile Pag. 24di rivoluzione industriale 4.0. Qui CGIL, CISL e UIL non soltanto sono in grado di porre sul tavolo la loro volontà di dare un contributo a uno sviluppo sostenibile sotto tutti i profili, ma hanno anche le proposte specifiche, già rilevate in altri casi ma anche più complessive e più recenti, di un nuovo modello di relazioni industriali, una centralità della contrattazione collettiva a tutti i livelli e l'asse della partecipazione allo sviluppo d'impresa, che dentro un processo reale di innovazione tecnologica all'interno di una visione di rivoluzione industriale 4.0 assumono un ruolo e un'importanza.
  È in questo ambito, allora, che si recupera il valore reale di un dibattito e di un confronto su uno scenario futuro che è dietro l'angolo, che è già cominciato e che avrà una velocità sempre più forte.

  FIOVO BITTI, segretario confederale UGL. Noi crediamo che la crescita e l'innovazione tecnologica siano delle opportunità, ma devono essere messi in campo degli strumenti. Parliamo di formazione, di riqualificazione, di risorse per le infrastrutture, e anche, come ha già accennato il collega della UIL, dell'attuazione dell'articolo 46 della Costituzione, di nuove relazioni industriali più efficaci ed efficienti, di riqualificazione dei dipendenti pubblici, di rinnovamento della pubblica amministrazione. Servono questi elementi per guidare e monitorare il cambiamento. Se ciò non avviene, vediamo in Industria 4.0 un grande rischio per il sistema Paese e per le sue aziende. Rischiamo la marginalizzazione e un aumento della disoccupazione strutturale.
  Crediamo, quindi, che sia una partita da giocare su più campi. Il primo di questi è quello su cui si gioca a Bruxelles. Purtroppo, l'Unione europea sconta attualmente un grave momento di rilevante crisi di identità politica. Ci arrivano le comunicazioni da parte della Commissione, ma poi vediamo che ognuno dei partner europei agisce in maniera difforme dall'altro e spesso in competizione. Il risultato, come è già stato accennato, è che la quota di manifattura in Italia cala, mentre in Germania cresce in maniera sensibile.
  Il secondo campo è quello dell'Italia, il sistema Paese, anche noi abbiamo letto il documento del Governo. In realtà, questo documento è appena abbozzato, va riempito di contenuti, di atti di Governo. Vediamo un'assenza di investimenti, mancando i quali molte aziende e intere filiere rischiano di scomparire, di essere tagliate fuori dai mercati.
  A margine di questo discorso, vediamo sicuramente un'intempestività per esempio nella decisione che ENI sta prendendo di uscire da Versalis, e quindi dal settore della chimica. Questa decisione sorprende, in quanto la chimica assumerà un'importanza sempre più grande, sempre più centrale proprio in uno degli ambiti di Industria 4.0. Pensiamo ai filamenti utilizzati per le stampanti 3D.
  Vediamo anche un'assenza del soggetto pubblico in alcuni passaggi importanti che riguardano la privatizzazione di alcune nostre aziende, alcuni nostri asset, strategici proprio per il futuro del sistema Paese. Pensiamo a Poste Italiane, a ENAV, a Ferrovie dello Stato.
  Si sta facendo anche poco, sempre a livello di campo di gioco Paese, per la pubblica amministrazione. Ancora una volta sembra che stiamo cadendo nel solido vortice di polemica sterile sulla licenziabilità dei fannulloni. In realtà, le norme già esistono per i licenziare i dipendenti pubblici che non si comportano bene. Quello che manca, però, è un investimento serio in termini di infrastrutture e di formazione per i dipendenti pubblici e per la pubblica amministrazione.
  Il terzo campo di gioco riguarda i lavoratori. Qualche anno fa Rifkin scrisse un libro in cui parlava della fine del lavoro manuale. Forse non sarà una prospettiva di adesso, ma il rischio forte che effettivamente ci sia una marginalizzazione dell'elemento umano del lavoratore c'è. Crediamo, quindi, ancora una volta che serva formazione, riqualificazione. Non ci stancheremo mai di dire che nel nostro Paese la percentuale di popolazione adulta che fa formazione è assolutamente irrisoria, molto meno rispetto alle medie europee. Pag. 25
  Che cosa fa il Governo su questo versante? Ha messo in campo l'ANPAL. Domani ci sarà un'audizione su un atto di Governo relativo all'Agenzia nazionale per le politiche attive sul lavoro, ma chiaramente l'ANPAL da sola non è sufficiente. Il Governo mira anche allo 0,3 per cento del contributo destinato ai fondi interprofessionali che si occupano di finanziare la formazione. Il Governo mira a questi soldi non per fare formazione, ma probabilmente per indirizzare queste risorse da altre parti.
  Il quarto campo di gioco è occupato dalle imprese. Purtroppo, lamentiamo una carenza di consapevolezza. Un certo numero di imprese ha affrontato questo tema, ma evidenziamo anche un ritardo culturale, come è già stato detto da qualche collega. Io vi porto una voce raccolta a margine delle trattative per il rinnovo del contratto collettivo dei metalmeccanici, uno dei contratti collettivi più importanti. Si parlava degli aspetti connessi a Industria 4.0 e qualcuno della delegazione datoriale ha detto che a loro interessa poco, perché è di prospettiva, che a loro interessa l'immediato, cercare di capire come essere competitivi adesso.
  È chiaro che non è oggi la questione, ma abbiamo visto come FIAT, nel momento in cui ha cambiato certi parametri, sia riuscita a rimettersi in maniera competitiva sul mercato. Non sarà di oggi, ma sicuramente è nell'immediato, domani. Serve consapevolezza, un cambio di paradigma culturale.
  Un ulteriore campo di gioco è quello dei consumatori. Chi sostiene Industria 4.0 esalta l'aspetto che il consumatore dentro la propria casa potrà costruirsi direttamente il pezzo mancante attraverso una stampante 3D. Non dimentichiamo, però, che il consumatore è anche cittadino, lavoratore, disoccupato, pensionato. Potrebbe esserci il paradosso per cui il consumatore può costruirsi le cose, ma non ha i soldi per comprarsi la stampante 3D. Se questo passaggio non è governato, il rischio vero e concreto è che si amplificherà ancora di più quello che già succede, cioè una distinzione netta tra i pochissimi che avranno tutto e la moltitudine che non avrà assolutamente nulla.
  L'ultimo campo di gioco è quello relativo alla sicurezza individuale e collettiva. Già oggi è possibile guidare da remoto un drone, guidare un aero, domani potrebbe esserci una macchina che gestisce una serie di servizi da remoto. Entra in gioco anche la sicurezza individuale, oltre che quella collettiva, il furto di dati personali e così via. È un'opportunità Industria 4.0, ma è chiaro che ci sono anche dei timori. Quello che continuiamo a dire e a chiedere è che ci sia un governo del cambiamento e, automaticamente, un impegno del Governo e delle istituzioni su quest'aspetto.

  PRESIDENTE. Prima di passare alle domande, che però chiedo di contenere una per gruppo, perché abbiamo da concludere i lavori della Commissione, vorrei solo dirvi come abbiamo pensato di procedere, in modo che abbiate un quadro complessivo dell'indagine conoscitiva in corso.
  Alla fine, faremo circa una cinquantina di audizioni, limitando anche la richiesta di accedere alle audizioni. Soprattutto la parte del mondo confindustriale è molto frantumata e avrebbe bisogno di essere raggruppata. Interverranno i tre ministri direttamente coinvolti nel tema, la Ministra Guidi, la Ministra Giannini e il Ministro Padoan, cosa tra l'altro particolarmente interessante per il rapporto anche tra investimento pubblico, ricerca, innovazione e trasferimento tecnologico. Ascolteremo un rappresentante del Governo tedesco – anche questo è interessante – nelle prossime settimane. L'ambasciata giapponese interverrà, come il Sottosegretario Gozi, responsabile dei rapporti con le politiche dell'Unione europea. In questo modo, si avrà un quadro particolarmente ampio delle tematiche.
  Devo anche dirvi che già dalle prime audizioni tenute, in modo particolare del mondo universitario, Politecnico di Milano, Bocconi, Politecnico di Torino, università di Pavia, solo per citar i primi che abbiamo ascoltato, e delle imprese già ascoltate, Avio Aero di General Electric e Porsche, stanno emergendo effettivamente tematiche sulle quali bisognerà decidere come individuare Pag. 26delle priorità. In modo particolare, il rapporto tra evoluzione e rivoluzione è stato uno dei temi più affrontati. Non vi nascondo che le imprese, che hanno chiaro anche il quadro rivoluzionario delle nuove trasformazione, preferiscono un approccio in cui lavorano sull'evoluzione dei processi tecnologici esistenti sapendo che la tappa successiva sarà di carattere ancora più forte.
  Non c'è dubbio che un tema del tutto inedito che viene posto, e che vediamo anche nel resto dei settori della nostra Commissione – oltre a industria, abbiamo anche commercio e turismo – è che questa digitalizzazione, queste piattaforme digitali stanno cambiando ad esempio il rapporto tra produzione, servizi e consumo. In modo particolare, crescerà l'economia dell'affitto e del leasing rispetto a quello del possesso, non solo nel campo dei servizi, come stiamo vedendo, ma anche in quello dei prodotti manifatturieri. Naturalmente, con le nuove tecnologie dei sensori, l'abbassamento del costo, la loro potenza, la possibilità di interconnessione, sarà molto più probabile affittare un bene, controllarlo e manutenerlo da parte del produttore che venderlo. Questo implica una rivoluzione anche culturale, com'è evidente. Noi siamo abituati a un rapporto in cui c'è chi produce, c'è chi vende e c'è chi acquista, e ci troveremo di fronte a un mondo molto più complesso.
  Ho voluto solo fare solo alcune considerazioni per anticipare come il tema si stia sviluppando sotto i nostri occhi e come vi sia un interesse forte in tutti i settori finora coinvolti. Siccome abbiamo chiaro il ritardo con cui il Paese sta arrivando a queste trasformazioni, vogliamo lavorare per pungolare tutti, Governo, Parlamento, imprese, mondo del lavoro, perché si affronti in una maniera più di sistema questa trasformazione epocale.
  Quello che più ci ha colpito del modello tedesco, al di là della forza del loro manifatturiero, è la logica di sistema che sta orientando quelle scelte. Si decide e si parte, ognuno sa quello che deve fare. C'è un modello interessante in cui le risorse pubbliche vengono date ai centri di ricerca perché a loro volta poi sollecitano lo spin off con il sistema delle imprese. Da questo punto di vista, è un modello interessante su come lavorare per la gestione delle nuove sfide. Oggi, ascoltando il mondo dell'artigianato emerge un'altra problematica: il mondo dell'artigianato ritiene comunque di aver una specificità propria, anche utilizzando le nuove tecnologie, che ritiene debba essere salvaguardata.
  Questo è il senso del nostro lavoro, e io non escludo che alla fine e dopo l'approvazione del documento conclusivo dell'indagine che la Commissione adotterà, ci sia anche la necessità di avere dei provvedimenti e delle proposte di legge, che possono anche partire nell'ambito della nostra Commissione, perché tutto questo si trasferisca in qualche orientamento concreto e definito per stimolare e aiutare gli indirizzi di politica industriale e di Governo di questa fase di trasformazione tecnologica.
  In tutto questo poi una particolare attenzione bisogna porre al tema della formazione, della componente lavoro, risorsa umana, che non riguarda soltanto il lavoro manuale o intellettuale, ma anche i quadri intermedi. C'è uno straordinario problema, ad esempio, sul management rispetto a queste trasformazioni, di dirigenti, delle funzioni apicali del mondo del lavoro, e anche di una parte del sistema imprenditoriale. Concludo, ma ho ritenuto fosse utile intervenire visto che anche voi avete posto il problema in questi termini. Il documento iniziale serve esattamente a costruire questo percorso di consultazione e poi il documento finale.
  Non essendoci altri interventi, ringraziamo le organizzazioni sindacali e procediamo con il nostro lavoro. Autorizzo la pubblicazione della documentazione consegnata in calce al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato 3).
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 12.50.

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