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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

X Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Mercoledì 15 giugno 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SU «INDUSTRIA 4.0»: QUALE MODELLO APPLICARE AL TESSUTO INDUSTRIALE ITALIANO. STRUMENTI PER FAVORIRE LA DIGITALIZZAZIONE DELLE FILIERE INDUSTRIALI NAZIONALI

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda.
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Calenda Carlo , Ministro dello sviluppo economico ... 3 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 3 ,
Calenda Carlo , Ministro dello sviluppo economico ... 4 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 10 ,
Coppola Paolo (PD)  ... 10 ,
Bargero Cristina (PD)  ... 11 ,
Vallascas Andrea (M5S)  ... 11 ,
Galgano Adriana (SCpI)  ... 11 ,
Basso Lorenzo (PD)  ... 12 ,
Fantinati Mattia (M5S)  ... 13 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 13 ,
Benamati Gianluca (PD)  ... 13 ,
Scuvera Chiara (PD)  ... 15 ,
Becattini Lorenzo (PD)  ... 15 ,
Da Villa Marco (M5S)  ... 16 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 17 ,
Calenda Carlo , Ministro dello sviluppo economico ... 17 ,
Epifani Guglielmo , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Alleanza Liberalpopolare Autonomie ALA-MAIE-Movimento Associativo italiani all'Estero: Misto-ALA-MAIE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GUGLIELMO EPIFANI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva su «Industria 4.0»: quale modello applicare al tessuto industriale italiano. Strumenti per favorire la digitalizzazione delle filiere industriali nazionali, l'audizione del Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, che abbiamo già conosciuto in diverse occasioni, anche in Commissione, per la sua responsabilità passata. Adesso ha assunto una responsabilità più ampia.
  A nome di tutta la Commissione, formuliamo al Ministro gli auguri di buon lavoro, anche perché i problemi che già si è accinto ad affrontare e affronterà in prospettiva non sono semplicissimi. Mi viene in mente, innanzitutto, che oggi avviamo l'esame del decimo provvedimento sull'ILVA. Avremo probabilmente un'audizione anche con i rappresentanti del suo Ministero.
  Al Senato si avvia a conclusione l'iter del disegno di legge sulla concorrenza, il cui esame è stato molto complesso sia qui alla Camera sia al Senato, mentre sul versante internazionale, ricordo che il Ministro ha seguito tutta la vicenda relativa agli accordi commerciali di libero scambio, con tutti i problemi che questi presentano.
  Ho citato solo questi tre punti, che sono quelli...

  CARLO CALENDA, Ministro dello sviluppo economico. Presidente è stato magnanimo!

  PRESIDENTE. Sono stato magnanimo, ma oltre questo poi ci sono tante altre questioni rilevanti.
  L'occasione di oggi, e con questa terminiamo il ciclo delle audizioni previste, è relativa al tema che abbiamo intitolato «Industria 4.0», nell'ambito del quale abbiamo tracciato un quadro delineato in maniera molto approfondita delle trasformazioni in atto nel mondo manifatturiero a partire dalla digitalizzazione dei suoi processi.
  Ricordo al Ministro che in questa analisi siamo partiti vedendo qualche ritardo del sistema Paese attorno a queste questioni. Abbiamo verificato che in Germania dal 2011 hanno cominciato a lavorare come fanno loro, cioè con grande sistematicità, attorno a questa nuova frontiera. Abbiamo avuto modo anche recentemente di fare una visita a Stoccarda, per vedere proprio sul luogo come funziona il loro meccanismo di governance di questo processo di trasformazione. Abbiamo ascoltato tanti interlocutori per la parte politica, aziendale, di rappresentanza di interessi. Abbiamo guardato anche all'esperienza fuori dai confini nazionali. Ho citato la Germania, ma c'è il Giappone. Abbiamo cercato di capire come si comportano gli altri Paesi.
  Perché tutto questo? Essendo l'Italia, come giustamente rivendichiamo sempre, Pag. 4la seconda manifattura in Europa, che malgrado la crisi, mantiene un export di tutto rispetto, addirittura cresciuto durante gli anni della crisi a un ritmo esattamente uguale in percentuale a quello dell'industria tedesca, se questa non riesce ad attrezzarsi per tempo a queste novità, corriamo il rischio di fare più che qualche passo indietro. Tutto questo ha motivato il lavoro della Commissione.
  Concluderemo, spero, rapidamente l'indagine conoscitiva e presenteremo il documento conclusivo – speriamo ovviamente anche alla sua presenza Ministro – il prossimo 6 luglio.
  Cedo a questo punto la parola al Ministro per il suo intervento introduttivo, rinnovandogli la mia stima, l'amicizia e gli auguri di buon lavoro da parte di tutta la Commissione.

  CARLO CALENDA, Ministro dello sviluppo economico. Vi ringrazio per gli auguri e per quest'indagine. In realtà, avete ragione, questo è un tema fondamentale su cui scontiamo un ritardo, più nella costruzione delle politiche che nell'imprenditoria, che in molti casi si è già mossa. È un tema scivoloso. Perché lo è? Perché può essere preso e visto da tantissimi lati diversi. È una rivoluzione in corso, e quindi non ha un paradigma già costruito, ma che si sta costruendo.
  Quello che farò oggi è darvi la nostra comprensione, la mia comprensione, la comprensione del Ministero della questione, e le linee guida su cui ci muoveremo. Ho detto già nelle mie prime uscite pubbliche che conto di arrivare a un piano compiuto di dettaglio che poi possa trovare pratica applicazione per le misure di competenza all'interno della legge di stabilità prima dell'estate. Su questo molto utile sarà la presentazione che farete voi del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva.
  Prima di tutto, quindi, è essenziale capire, poi governare e, infine, sfruttare il cambiamento che sta avvenendo. Ciò è particolarmente importante in un Paese che, come ricordava il presidente, ha nel suo settore manifatturiero uno dei più importanti driver di crescita, di competitività e di occupazione.
  In questo senso, parlare di «Industria 4.0» significa mettere a sistema, amplificandole e integrandole, una serie di misure e di linee politiche che abbiamo identificato come qualificanti: la promozione e il sostegno delle imprese che innovano, che si internazionalizzano, che trovano nella flessibilità e nella reattività la propria cifra produttiva.
  In primo luogo, allora, è necessario chiarire qual è il fenomeno, per la nostra percezione, al quale stiamo assistendo e del quale possiamo e vogliamo essere protagonisti. Le rivoluzioni industriali hanno comportato effetti enormi sull'incremento della produttività e sul benessere della società, quindi dobbiamo vederle come un'occasione.
  Se posso schematizzare, con la Prima rivoluzione industriale la tecnologia ha moltiplicato la forza, la produzione si è sganciata dalla forza fisica, umana o animale. Con la Seconda rivoluzione industriale la tecnologia ha moltiplicato la scala, l'energia elettrica ha allargato le dimensioni dei mercati e ha messo a disposizione un'energia, appunto, che può essere facilmente trasportata, connettere unità produttive collocate in luoghi distanti. La Terza rivoluzione industriale è dovuta a tecnologie che hanno moltiplicato la velocità, le informazioni hanno potuto essere processate e gestite in modo più rapido.
  Ciascuno di questi step evolutivi ha prodotto e richiesto precisi cambiamenti organizzativi. Questo è un punto su cui vorrei focalizzare la vostra attenzione, perché è proprio l'organizzazione, più ancora che la tecnologia in sé e per sé, ad aver determinato gli immensi guadagni di produttività, e quindi di efficienza e di ricchezza a cui abbiamo assistito.
  La Quarta rivoluzione industriale è resa possibile dalla crescente connessione tra calcolatori, attuatori e sensori disponibili a costo sempre più contenuto, ed è associata a un impiego sempre più pervasivo di dati e informazioni, di tecnologie computazionali, di nuovi materiali, componenti e sistemi intelligenti di produzione totalmente Pag. 5digitalizzati e interconnessi. Come sapete, questo viene chiamato Internet of things and machines.
  Una nuova industria del futuro, l'analitica dei big data, trasformerà non solo la manifattura, ma i più svariati settori di attività, dall'agricoltura al turismo, dall'energia alla moda, dalla mobilità alla sanità. La sanità, per esempio, sarà profondamente, e lo è già, influenzata. Sono stato, nella mia precedente veste di viceministro, a San Francisco, alla grande conferenza che si fa sul biotech sulla sanità, e c'è questa saldatura tra la tecnologia informatica e la capacità non solo di costruire farmaci, ma anche per esempio delle pubbliche amministrazioni di allocare la spesa sanitaria, uno degli aspetti più interessanti in assoluto.
  I confini tra manifattura, servizi e settori, si faranno sempre più rarefatti in un processo di cosiddetta «servitizzazione» del manifatturiero. Da «Industria 4.0» deriveranno innovazioni non solo tecnologiche, ma anche e soprattutto organizzative e di approccio al cliente e ai mercati. Se nel passato le rivoluzioni industriali hanno valorizzato le economie di scala, oggi attraverso una fase in cui diventa cruciale l'intensità di conoscenza c'è una possibilità per le PMI fortissima. Io non sono uno di quelli che vede l’«Industria 4.0» come penalizzante per le PMI. A mio avviso, sarà il contrario.
  Quali sono i driver e i vantaggi, dunque, di «Industria 4.0»? Le implicazioni della digitalizzazione del manifatturiero sono molteplici, ma sintetizzandoli in quattro ambiti: la disponibilità di dati digitali e analitica dei big data, di cui abbiamo detto; la robotica e l'automazione avanzata; le nuove possibilità di interazione complessa uomo-macchina; l'intelligenza artificiale per la riduzione degli errori.
  Il terzo punto è la connettività spinta. Lo avete già analizzato, ed era peraltro nell'ottimo documento di partenza di questa Commissione, che ho avuto modo di leggere. Il quarto è il contatto digitale con il cliente e l'economia della condivisione. Questo è molto importante, molto delicato per l'Italia. Spinge, infatti, ad esempio, un rapporto completamente differente di filiera, dove c'è un lavoro molto più cooperativo, che spesso in Italia manca. Il nostro è, infatti, un Paese industrialmente forte, ma spesso industrialmente individualista.
  Attualmente, l'applicazione delle tecnologie digitali è concentrata sul controllo di processo industriale destinato alla produzione massiva dei componenti, macchine a controllo numerico, integrato con la robotica solo in determinati ambienti, con applicazioni limitate alla ripetizione della stessa azione o mansione, separata dall'uomo, e al controllo in remoto dei macchinari.
  Con l'introduzione dei concetti di Internet delle cose e delle macchine e lo spostamento verso «Industria 4.0» sarà possibile gestire reti globali che incorporano e integrano macchinari, sistemi di logistica e strutture produttive sotto forma di cyber-physical system of production o CPS, ovvero sistemi intelligenti che integrando tecnologie cibernetiche consentono un'interazione immediata e flessibile con gli elementi della realtà fisica in cui sono immersi.
  Attraverso il CPS sarà possibile sviluppare una nuova automazione produttiva modulare, dove i sistemi di controllo saranno composti da elementi più intelligenti, capaci di adattarsi in tempo reale al contesto, in un sistema dove il robot si è integrato con la forza lavoro umana in modo completo sicuro, dando vita a processi produttivi ancora più snelli ed efficienti.
  L'ambito di applicazione di «Industria 4.0» travalica la singola impresa. Vengono interconnesse e digitalizzate intere catene del valore, come dicevo, creando una forte integrazione delle catene di fornitura e subfornitura. Sarà così possibile raggiungere una maggiore efficienza in termini di riduzione dei rifiuti, spreco di acque reflue industriali e riduzione dei consumi energetici, secondo un'ottica sempre più diffusa di produzione sostenibile circolare.
  Quali sono le ricadute potenziali sul sistema manifatturiero italiano? Le sollecitazioni derivanti dalla digitalizzazione del manifatturiero costituiscono un'occasione per rilanciare la competitività della nostra Pag. 6industria, a cominciare da quella parte organizzata in filiere produttive basate sull'agilità e sul dinamismo delle PMI.
  Naturalmente, come per ogni rivoluzione, avrà la peggio chi non saprà innovare e adattarsi. In questo senso, la Quarta rivoluzione industriale costituisce sia una minaccia sia un'opportunità tanto per le imprese quanto per l'economia dei Paesi europei. Se l'Europa non riuscirà a sfruttare la trasformazione digitale a proprio vantaggio, le perdite potenziali della non digitalizzazione per i Paesi dell'Unione europea a 17 potranno superare i 600 miliardi di euro entro il 2020, un valore equivalente alla perdita di oltre il 10 per cento della base industriale del continente.
  I settori che primi saranno interessati dall'evoluzione in chiave «Industria 4.0» saranno quelli dei macchinari e dell'automazione industriale, la componentistica, in particolare la componentistica dell’automotive, già profondamente coinvolta, l'aeronautica, la cantieristica, il settore dell'elettronica e degli apparati elettrici, la logistica.
  Tuttavia, come già ricordato, i setting applicativi delle tecnologie abilitanti «Industria 4.0» scavalcheranno la mera manifattura per toccare l'agricoltura, i servizi, la logistica, la mobilità, la salute, l'intrattenimento, gli stili di vita.
  La sfida fa, dunque, riferimento a soluzioni tecnologiche destinate a ottimizzare i processi produttivi, a supportare i processi di automazione industriale, a favorire la collaborazione tra imprese, e gioca un ruolo cruciale l'adozione di tecniche avanzate di pianificazione distribuita e di gestione integrata della logistica in rete.
  La rivoluzione industriale digitale è un'opportunità imperdibile per riposizionare e rendere più sostenibili i fattori competitivi del nostro Paese, soprattutto in favore del nostro tessuto di PMI, e in particolare fa leva sulle straordinarie competenze del nostro sistema produttivo nel campo dell'automazione industriale e della produzione di beni strumentali. Su questo vorrei soffermarmi.
  Noi cercheremo di avere politiche sempre molto orizzontali, cioè che siano abilitanti indipendentemente dal settore di appartenenza, proprio perché «Industria 4.0» incide, come ho detto, su moltissimi settori. C'è, però, un'eccezione, ed è quella delle macchine chiamate cosiddette macchine utenze.
  Non solo perché rappresenta un'eccellenza della manifattura italiana in se stessa, e dobbiamo ricordare tutti spesso, perché la percezione non è questa all'estero, che rappresenta by far la più importante voce di export del Paese. Se la consideriamo in forma aggregata, stiamo parlando di 111 miliardi di euro su 414, per darvi una dimensione. Soprattutto, ci sono gli spillover di quest'industria.
  Il rapporto tra leadership nelle macchine e leadership nell'industria è strettissimo. Se è vero che in molti casi gli stessi operai sono diventati imprenditori capendo come realizzare meglio un prodotto, quindi una macchina, è tanto vero il contrario: il fatto che abbiamo un'industria di macchinari rafforza la capacità manifatturiera. Su questo avremo politiche settoriali dedicate.
  Il secondo elemento è la valorizzazione dei big data quale fattore di produzione a sé stante e fondamento di un nuovo valore competitivo, evitando che la digitalizzazione sia perseguita come mera elettrificazione di alcuni processi, ma diventi un fattore abilitante per utilizzare la grande disponibilità di dati per migliorare i processi.
  Qui siamo particolarmente indietro. Su questo tema il lavoro importante è in primo luogo di specializzazione e competenze su questo settore, che oggi manca al Paese, un lavoro che stiamo impostando con i politecnici in particolare. A cascata, però, il lavoro è sull'utilizzo dei big data. Oggi – lo citerò tra poco – in realtà le aziende utilizzano l'1 per cento dei dati di cui dispongono. Questo è un problema culturale gigantesco.
  Capire come il dato può essere utilizzato è un rovesciamento di paradigma per un imprenditore. Promuovere una manifattura «customizzata», a misura del cliente, capace di coniugare produzioni in larga scala con capacità di risposta ai bisogni di nicchia è particolarmente importante Pag. 7 per noi. Idealmente, domani potremmo avere grandi hub di produzione, dove però c'è la possibilità per le piccole e medie imprese di inserirsi e godere di economie di scala, senza essere loro stesse grandi. Parliamo, quindi, di una grande flessibilità per le PMI italiane, favorendone le interconnessioni e le «clusterizzazioni» distrettuali. C'è poi una più stretta integrazione di filiera, di cui ho già parlato.
  C'è un dato importante che va anche tenuto particolarmente controllo per il profilo regolamentare. Favorisce la diffusione dell'innovazione delle nuove tecnologie digitali e non attraverso l'adozione di forme di open innovation, con le start up e l'ecosistema dell'innovazione. Da questo punto di vista, molto rilevanti sono gli standard. Credo sia un tema che avete affrontato e sentito. Oggi quella sugli standard è una discussione in Europa su cui non siamo stati abbastanza presenti. C'è un grave rischio di adozione di standard chiusi, che dunque definiscono la possibilità di un fornitore di entrare in una catena di fornitura. Nell'elenco delle priorità che mi sono dato come Ministero c'è quello di fare un rapido catch up di questo processo.
  Sarò a Berlino all'inizio di luglio, avremo un incontro con la Merkel a fine agosto che avrà come centro le partnership possibili. Uno dei lavori che dobbiamo fare con i tedeschi è cercare di portarli su uno schema di forte condivisione, anche perché loro hanno tantissima fornitura italiana.
  In conclusione, non si tratta meramente di fare cose vecchie in modo innovativo, ma di fare cose nuove in modi nuovi. Emerge con chiarezza la portata dei cambiamenti organizzativi a cui le imprese italiane sono chiamate.
  Emerge anche la necessità di una cosa diversa, cioè di uno sforzo pubblico/privato. Le istituzioni devono mettere al centro della propria azione ciò che in altre occasioni ho definito politiche per la produttività totale dei fattori. Dobbiamo creare le condizioni abilitanti perché le imprese possano lavorare, sperimentare e svilupparsi. Dobbiamo anche dotarci di adeguate politiche industriali, che, anziché cercare giustificazione nella promozione di filiere verticali, valorizzino quelle caratteristiche su cui oggi si gioca la partita della competitività, innovazione, internazionalizzazione e apertura al mercato dei capitali.
  Vengo ad alcune implicazione di policy: maturità digitale e utilizzo dei big data. Citavo l'1 per cento, il business model delle aziende che oggi non prevede come parte integrante del processo produttivo, quindi non, come direbbero gli inglesi, qualcosa nice to have, di carino da avere, ma come parte integrante del processo di concezione del prodotto, di rapporto con la clientela e di gestione del processo produttivo l'analisi di dati.
  Oggi le imprese di successo, specie quelle di piccole dimensioni, hanno un vantaggio competitivo derivante dalla propria conoscenza informale. La scommessa di «Industria 4.0» consiste in tale prospettiva nella formalizzazione della conoscenza attraverso la sua traduzione in dati e il suo sfruttamento attraverso adeguati modelli di analisi.
  Standardizzazione e interoperabilità – l'ho citato prima sul piano europeo – servono a creare piattaforme adatte per le condivisioni di idee, conoscenze ed esperienze. È necessario adottare regole comuni a livello internazionale per abilitare l'interoperabilità dei sistemi e dei linguaggi che governano l’«Industria 4.0».
  La manifattura moderna richiede fabbriche, ambienti e ICT profondamente connessi. In molti impianti industriali questo collegamento si basa ancora su sistemi proprietari e realizzati per un solo cliente, ma questi ambiti protetti sono già di fatto aggrediti dalle tecnologie Internet.
  L'industria meccanica europea, e questo è importante, sembra ancora fortemente basata su soluzioni chiuse, che concorrenti statunitensi stanno attaccando attraverso la standardizzazione aperta allo stesso modo in cui il protocollo Internet spazzò via gli altri protocolli di comunicazione negli anni Novanta. Il lancio dell'Industrial Internet Consortium all'inizio del 2014, in gran parte promosso da imprese americane, è un chiaro segnale in questo senso. Pag. 8
  Quanto a solide infrastrutture di connessione, il volume globale di dati sull'infrastruttura di rete posata a terra raddoppia ogni tre anni e sulla rete mobile addirittura ogni diciotto mesi. Il successo della trasformazione digitale dipende da solide e diffuse reti di interconnessione a banda ultralarga, reti satellitari, diffusione del 5G, infrastrutture di connessione che garantiscono un'elevata qualità del servizio per un crescente numero di applicazioni, e che prevedono un uso estensivo dei cloud e dei software interconnessi, e necessitano di un servizio di trasmissione dati estremamente veloce e resiliente.
  Ci sono poi le innovazioni nelle relazioni industriali. Un simile cambiamento di orizzonte non può che mettere sotto pressione il nostro modello di relazioni industriali. Già sono stati introdotti su questo fronte grandi cambiamenti, ma resta da risolvere il tema della contrattazione decentrata, da un lato, e dello scambio produttività-salario, dall'altro.
  Occorre, dunque, un grande sforzo da parte sia delle istituzioni sia delle imprese e del sindacato. Credo che sia essenziale definire un adeguato trattamento fiscale per spingere le imprese a ricorrere sempre più alle opportunità offerte dal salario di produttività, ma tale impegno rischia di rimanere monco se non è accompagnato da un'analoga determinazione dal lato delle imprese stesse.
  A completamento di questo disegno occorre investire sempre più e anche orientare il nostro sistema educativo verso lo skill empowerment dei lavoratori, con particolare riguardo alle discipline STEM, Science, Technology Engineering, and Mathematics, e alla formazione tecnica e professionalizzante.
  Il piano del Governo per tradurre in pratica questa lettura dei fenomeni in atto ha ripreso il lavoro di inquadramento portato avanti dalla Ministra Guidi. Non appena insediato, ho istituito un gruppo di lavoro operativo che potesse aiutarci a redigere un documento di posizionamento strategico su «Industria 4.0», con qualche prima indicazione di policy.
  L'obiettivo è quello non solo di sviluppare un framework di azione per favorire gli investimenti 4.0, ma anche di individuare un primo pacchetto di misure da inserire già nella prossima legge di stabilità, ovvero la prossima legge di bilancio, come si chiamerà a partire da quest'anno.
  Sono state definite cinque aree su cui concentrare le azioni di policy del Governo: investimenti in innovazione, fattori abilitanti, standard di interoperabilità, sicurezza e comunicazione, Internet of things, rapporti di lavoro, salario e produttività, finanza d'impresa.
  Occorre spingere gli investimenti innovativi in chiave 4.0 adottando non tanto la logica tech-push, ma solution-driven, che porti le aziende a investire nell'analitica dei big data e nelle informazioni che producono e che possono produrre per costruire nuovi modelli di business. Il gap di investimenti è stimato in circa 8 miliardi di euro annui per i prossimi cinque anni. Alcuni sforzi sono stati fatti dal Governo per incrementare gli investimenti in innovazione.
  Pensiamo, ad esempio, alla legge Sabatini e al super-ammortamento, al credito d'imposta ricerca sviluppo, al patent box. Quello che faremo è continuare su questa strada, concentrando le risorse sulle misure che hanno avuto più successo, indirizzando gli strumenti di incentivazione verso le tecnologie abilitanti «Industria 4.0». Occorre sviluppare, poi, la nuova imprenditorialità innovativa in una logica di neutralità settoriale, la nascita di start up e il loro scale up, l'accesso al venture capital e la collaborazione tra nuove imprese innovative e imprese già consolidate.
  Il secondo punto è quello dei fattori abilitanti. È necessario potenziare le infrastrutture di connettività. È il momento di guardare alla domanda di connettività non solo di cittadini e consumatori, ma soprattutto a quelle di imprese e distretti industriali, portando una copertura a 100 mega attraverso il piano banda ultralarga, e misura di sostegno alla domanda di connettività.
  Si deve ridurre il digital divide delle PMI e creare ambienti di contaminazione e trasferimento di conoscenze e cross fertilization, Pag. 9 valorizzando i centri di eccellenza esistenti per costituire la rete di digital innovation hubs, specializzata nel trasferimento di tecnologie e applicazioni per la maturazione digitale del nostro tessuto di PMI e la costruzione di nuovi modelli di business.
  È il momento di investire, come dicevo, nelle competenze STEM, con particolare attenzione alle computer sciences, gestione di dati di grandi dimensioni e loro modellazione matematica, e all'incrocio di queste nuove discipline con l'ingegneria in una chiave di contaminazione e multidisciplinarietà. Su questo stiamo lavorando col Ministro Giannini e con la rete dei politecnici.
  Occorre, più in generale, rivedere l'attuale modello di formazione per assicurare la disponibilità di competenze non solo digitali, ma coerenti con il nuovo contesto sia nelle scuole, sia nella formazione tecnica, sia nell'università, sia nei processi di qualificazione professionale e manageriale all'interno delle imprese.
  Vengo agli standard di interoperabilità, sicurezza e comunicazione degli OT. Tra i fattori abilitanti vanno anche annoverati gli standard di interoperabilità e di sicurezza e comunicazione, che potrebbero essere definiti, come dicevo, in sede nazionale, ma soprattutto internazionale, per facilitare l'adozione di processi produttivi e modelli di business basati sull’Internet of things e un'analitica dei dati capace di assicurare sicurezza, resilienza e flessibilità. È vitale monitorare, essere presenti e indirizzare le decisioni dei tavoli di confronto internazionale per tutelare le caratteristiche del contesto italiano in una prospettiva di ideazione di standard aperti, ma guidati dai bisogni industriali.
  Di rapporti di lavoro, salario e produttività ho già detto. Quanto alla finanza d'impresa, diventa prioritario costruirne una capace di sostenere lo sforzo di investimenti necessari a cogliere l'opportunità di «Industria 4.0». Considerando le difficoltà del sistema bancario di espandere il moltiplicatore creditizio, occorre lavorare per una maggiore canalizzazione del risparmio nazionale verso gli impieghi nell'economia reale e attivare il mercato internazionale dei capitali dando visibilità a emissioni di carta italiana, private equity, development bond, Fondo centrale di garanzia.
  Sul Fondo centrale di garanzia stiamo operando una profonda ristrutturazione, che andrà a spostare significativamente le coperture dal lato del circolante a quello degli investimenti. Questo è in sintesi il fil rouge che porteremo avanti all'interno dei provvedimenti del Ministero dello sviluppo economico: investimenti e produttività, investimenti sul lato dell'offerta.
  In conclusione, onorevoli deputati, credo sia importante prendere atto che ci troviamo in un momento storico nel quale le decisioni che prenderemo sono destinate a determinare effetti di lunghissimo termine. Nel pronunciare queste parole, sono consapevole dell'ambiguità che ne può sortire. Ci tengo, quindi, a fare assoluta chiarezza sul tema.
  Non penso che il Governo possa decidere il sentiero futuro dell'evoluzione delle nostre economie. Non credo, in realtà, che una rivoluzione industriale possa essere pianificata top down. Una rivoluzione semplicemente è per sua stessa natura un processo bottom up.
  Quello che il Governo può fare è rimuovere gli ostacoli e sostenere le imprese che sono più innovative, più coraggiose e più lungimiranti. Il Governo può anche fare molto per creare problemi, e non di rado ciò è accaduto in passato. Questa volta non accadrà. Il nostro Governo si è impegnato fortemente nel fare dell'Italia un Paese a misura d'impresa, e quest'impegno assume un significato ancora più centrale se letto nel contesto di «Industria 4.0».
  Il piano che il mio ministero sta elaborando per accompagnare questa rivoluzione fornirà la cornice per conseguire gli obiettivi di policy che ho citato, attraverso interventi orizzontali, mirati ai fattori abilitanti, e non verticali, cioè tali da far cherry picking tra filiere industriali.
  Aggiungo che anche sulle tecnologie bisogna andare estremamente cauti. Oggi siamo in un momento in cui è molto difficile decidere quale delle varie tecnologie Pag. 10emergerà come più forte. Potrebbe essere la stampante 3D, o come già è la manifattura additiva. Allora, la neutralità dal punto di vista tecnologico è un aspetto importantissimo per evitare di sovrainvestire in aree che poi si dimostrano o si potrebbero dimostrare obsolete.
  Fatemi solo aggiungere che occorre mettere un po’ di intelligenza collettiva su questo, sulla scorta degli esempi seguiti in Paesi come la Germania e altre nazioni a forte tradizione manifatturiera. Se in Italia si vuole creare quella necessaria coesione di sistema su obiettivi e strumenti facendo scalare e rendendo sistemiche le tante esperienze positive e buone pratiche oggi presenti, in modo purtroppo ancora troppo frammentato, vi è la necessità di imbastire un'architettura di governance pubblico-privata sul tema «Industria 4.0».
  Sono, per questo, estremamente grato al presidente Epifani, al relatore onorevole Basso e a tutta la Commissione per l'attenzione che avete dedicato a questa missione, che rappresenta per me uno dei test più impegnativi che dovrò affrontare nella mia veste di ministro. Spero con queste considerazioni di avervi fornito spunti utili e di aver dato a voi, alle imprese e agli imprenditori italiani un segnale di attenzione e anche di passione e fiducia, il segnale che finalmente le istituzioni italiane vogliono prendere delle decisioni importanti nella consapevolezza che, prima di deliberare – questo è quello che ha mosso anche voi – bisogna conoscere e studiare.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro. Quello che ha delineato è un quadro di grande interesse.
  Invito i commissari che chiedono la parola, a porre domande che vadano direttamente al cuore dei problemi. Credo che in questo modo renderemo anche molto fruttuoso lo scambio di opinioni tra il ministro e la Commissione.
  Do quindi la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  PAOLO COPPOLA. Anch'io ringrazio il ministro per la sua relazione. Cercherò di andare velocemente al punto.
  Rispetto alle politiche di settore, il ministro ha detto che non ce ne saranno, tranne che in un caso. Io credo che ci sia un'altra politica di settore che probabilmente dovrebbe essere sviluppata nel nostro Paese, che è quella relativa al software. Non credo che il nostro Paese debba decidere a priori che dobbiamo importare tutta la parte relativa al software. In un'ottica di «servitizzazione», di spostamento verso la parte appunto di servizi dell'industria, ritengo assolutamente che quello sia un settore importantissimo da sviluppare per il nostro Paese.
  Il secondo punto è relativo ai big data e al loro utilizzo. Sono assolutamente d'accordo. Nel nostro Paese c'è un grandissimo problema di mancanza di cultura del dato, ma mi domando se questo non sia fortemente legato e correlato a una carenza molto forte di managerialità nel nostro settore produttivo. Probabilmente, quello è semplicemente un sintomo di qualcosa di molto più importante, la scarsa managerialità, e quindi il modo con cui vengono prese le decisioni in azienda.
  Proprio relativamente ai dati, rivolgerei al ministro una preghiera rispetto alle politiche e alle azioni che intendete portare avanti: quest'anno, negli allegati di bilancio per gli obiettivi strategici del suo ministero, scegliamo degli indicatori di outcome seri, con dei target seri. Purtroppo, nel suo ministero non è di solito un'analisi che viene fatta, ma non solo nel suo. Iniziamo a dare il buon esempio sulla cultura del dato, iniziamo a dire come misureremo l’outcome di queste politiche e quali sono gli obiettivi numerici che ci diamo. La legge lo prevede, e purtroppo non viene mai fatto.
  Concludo sulla formazione. A mio parere, manca l'aspetto della formazione per i lavoratori che verranno espulsi dal mercato del lavoro a causa della continua automazione che nei prossimi anni, in modo estremamente veloce, vedremo. Assolutamente, va bene, è chiaro che dobbiamo avere una strategia a livello di formazione terziaria, di formazione per i nuovi lavoratori, ma c'è tutto l'enorme comparto dei lavoratori che attualmente verranno completamente presi da questa trasformazione Pag. 11velocissima. Bisogna mettere velocemente delle strategie in campo per evitare che loro subiscano tutta la parte negativa di questa trasformazione.
  Mi permetta qui – sono assolutamente in conflitto d'interesse – di dire che non esistono solo i politecnici. Di università ce ne sono tante, magari più piccole, ma anche in queste si trovano delle eccellenze. Vi prego, non fermatevi solo ai politecnici, che sicuramente vanno valorizzati, ma esistono tante altre realtà.

  CRISTINA BARGERO. Condivido preliminarmente quanto affermato oggi dal Governo, per cui la rivoluzione industriale deve essere bottom up e non top down. Proprio considerando, però, la particolarità dell'Italia, caratterizzata da un rilevantissimo numero di PMI, ma più che da PMI, da microimprese, e siccome «Industria 4.0» è una rivoluzione industriale che per funzionare deve investire tutta la catena del valore, ho una preoccupazione sulla capacità di alcune piccole e medie imprese.
  Penso che sia necessario anche magari un intervento attraverso un fondo di garanzia per spingere a fare investimenti in innovazione. È già stato fatto con i decreti dello scorso anno, in cui abbiamo comunque dato un sostegno alle piccole e medie imprese innovative. Il mio timore è che il nanismo di alcune piccole e medie imprese italiane non aiuti «Industria 4.0», che si deve sviluppare per quanto riguarda la catena del valore.

  ANDREA VALLASCAS. Vorrei sapere se ha senso parlare di «Industria 4.0», dal momento che come Paese non abbiamo una direzione precisa su quale sarà il nostro futuro industriale. Cerco di spiegarmi meglio.
  Ipotizziamo che vi siano delle aree in cui non ci sia manifattura, industria: ha senso parlare di «Industria 4.0»? Non sarebbe meglio individuare dei settori su cui l'Italia dovrà puntare per il futuro, per meglio anche indirizzare le risorse stesse? Penso al caso della mia regione, la Sardegna, ma penso che come la mia ce ne siano altre, dove vi sono tante industrie che hanno nel frattempo chiuso la loro attività, e di conseguenza non vi sono più grandi attività produttive. Ci sono solo piccolissime imprese, senza che vi sia stata nel frattempo l'individuazione di soluzioni alternative.
  In questo caso, secondo me si creerebbe anche un divario tra industria e digitale: quali saranno le azioni del Ministero per evitare che si crei questo divario per queste zone che partono già svantaggiate?

  ADRIANA GALGANO. Ringrazio il Ministro per la sua relazione, molto dettagliata e che crea per la prima volta uno scenario globale per quanto riguarda l’«Industria 4.0». Da questo punto di vista, sicuramente siamo rassicurati, nel senso che c'è comprensione del fenomeno e ci sono interventi e indicazioni molto importanti, quali sicuramente la questione degli standard. Siamo contenti del fatto che lei ne sia consapevole.
  Un punto è, secondo me, fondamentale, nella sua relazione, ossia l'investimento in innovazione. Dalle audizioni che abbiamo tenuto è emerso che le nuove aziende, quelle che lavorano nei nuovi settori, quelli che tirano, in Italia non riescono a svilupparsi – tra queste inseriamo anche le start up – perché la richiesta di innovazione è molto bassa. Il nostro è un tessuto imprenditoriale di tipo tradizionale.
  Di fronte a una domanda nazionale molto bassa di innovazione, ci sono due cose che possono essere fatte: naturalmente, esportare, come avviene; l'alternativa sono gli investimenti delle aziende pubbliche e della pubblica amministrazione.
  Ieri – faccio riferimento a quanto prima detto dal collega Paolo Coppola – mi sono tolta la grande soddisfazione in Aula di dire che investire 5 miliardi di euro all'anno in informatica per la pubblica amministrazione e non essere riusciti a eliminare la carta è un grandissimo insuccesso ed è speculare alla mancata domanda di innovazione.
  Io sono d'accordo con lei che la rivoluzione debba essere bottom up e non potrà essere altro che così, ma dobbiamo anche essere consapevoli che una parte della nostra Pag. 12 domanda è pubblica. Se la nostra domanda pubblica non fa richiesta di innovazione, è chiaro che quest'ultima è destinata a non svilupparsi.
  Da parte nostra, di Scelta Civica, c'è la richiesta proprio di farvi portatori di quest'ulteriore strategia. È quella che può fare la differenza, ossia una pubblica amministrazione che diventa 4.0 e che investe in tecnologie 4.0- Questa è sicuramente una strada molto importante.
  L'altro aspetto importante che è emerso dalle audizioni è che l’«Industria 4.0» è soprattutto una rivoluzione di processo. Il super-ammortamento dell'anno scorso in legge di stabilità, che riguardava solo le macchine, è assolutamente limitante. Se vogliamo sviluppare l'investimento in innovazione, è chiaro che dobbiamo pensare che l'ammortamento «super-accelerato» deve essere usato per innovazioni di processo e software per la produttività. È un elemento importantissimo. La legge di stabilità dell'anno scorso era di pieno Novecento. Anche il fatto di voler ridurre gli investimenti in informatizzazione della pubblica amministrazione era pieno Novecento.
  Da noi c'è una richiesta di presidiare la legge di stabilità e che la prossima sia una legge di stabilità del 2016.

  LORENZO BASSO. Anch'io ringrazio il ministro, perché abbiamo avuto davvero un quadro non solo completo, che affronta tutti gli aspetti che abbiamo incrociato durante le nostre audizioni, ma che dà anche una direzione di marcia, fondamentalmente quella del sostegno all'innovazione e di rimozione degli ostacoli. Secondo me, questa direzione è fondamentale, importantissima.
  Come ci ha ricordato il ministro, siamo nel pieno di una rivoluzione, della quale quindi non possiamo decidere quali saranno i fattori di successo. Dobbiamo rimuovere gli ostacoli, soprattutto per i nuovi modelli di business. Questa non è una rivoluzione solo tecnologica, ma anche del processo della produzione. Rimuovere gli ostacoli rispetto ai nuovi modelli di business è fondamentale.
  La prima domanda che vorrei rivolgere al ministro è questa: quali azioni potranno essere messe in campo in coerenza con quello che ha giustamente descritto, anche per rimuovere quegli ostacoli legati a una legislazione che era stata pensata per modelli di business superati. Penso al tema, appunto, dei consumatori che diventano produttori o a quello delle piattaforme tecnologiche che mettono in correlazione la domanda, l'offerta e il servizio. Tutti questi aspetti, che lei già ha ampiamente trattato nella relazione, si scontrano in parte anche con la legislazione vigente.
  Lei parla alla fine di rimozione degli ostacoli: come possiamo pensare di strutturarla anche dal punto di vista del Parlamento, e quindi legislativo, con le indicazioni che il Governo e il suo ministero hanno indicato per riuscire a tradurla in un fattore competitivo per essere i primi a realizzare dei nuovi modelli di business?
  Quanto agli standard aperti, ha ricordato come sia fondamentale che le nostre visite ci dicono che abbiamo di fronte un Paese molto avanti, la Germania, da cui vogliamo mutuare moltissime cose, ma che sta proponendo delle piattaforme chiuse. Abbiamo assolutamente, nell'interesse del Paese, la necessità invece di andare verso standard di interoperabilità.
  Quanto al tema del software già ricordato dal collega Coppola, non penso che debbano essere una politica di settore. Concordo con lei che l'unico settore sia davvero quello che lei ha ricordato, ma quello del software, come quello di Internet, deve essere invece un fattore abilitante comune.
  Credo che in questo debba essere fatto per le PMI quello che le grandi imprese hanno fatto con l'adozione degli ERP, gli enterprise resource planning, che hanno fatto davvero il passaggio di produttività delle medie e grandi imprese rispetto alle piccole. Oggi abbiamo bisogno, grazie alle nuove tecnologie, in quello sì pensando magari a dei canali, a delle incentivazioni per l'adozione, di software che mettano in rete e possano produrre.
  Vado molto veloce per rispettare i tempi. Sul punto dell'università, anch'io Pag. 13credo che non si debba certamente guardare solo ai politecnici, ma bisogna trovare un modo di premiare il merito, di cercare un sistema incentivante, un po’ sul modello che in Germania è quello delle università di eccellenza. La specializzazione di alcune università, di alcuni centri di ricerca su determinati profili, su determinati fattori abilitanti, sia fatta in maniera coraggiosa, sapendo che in parte ci si scontra col tema del consenso, ma che è fattore fondamentale per riuscire ad avere competenza.
  L'ultimo punto riguarda le infrastrutture. Oggi ci ha ricordato, ma l'avevamo chiesto anche al Ministro Padoan, come abbiamo l'assoluta necessità che le infrastrutture, a partire dal piano banda ultralarga a quelle legate al wireless, al 5G, siano non soltanto per le zone a marginalità di mercato – quello, sicuramente – ma anche per i grandi distretti industriali.
  Laddove non ci sono territori a marginalità di mercato, dobbiamo comunque inventare, stimolare, riuscire a far sì che le infrastrutture ci siano. Se non dobbiamo fare politiche di settore che scelgono alcuni settori, dobbiamo però far sì che non ci siano dei gap di competitività. La nuova rivoluzione sta cambiando in termini di competitività il costo del lavoro. Questo è un fattore importante, che sta portando anche un reshoring, a un ritorno della manifattura nei Paesi occidentali. Il costo dell'energia in parte si sta attenuando grazie ai nuovi sistemi di efficientamento energetico.
  Rimane il tema delle infrastrutture, e il tema delle infrastrutture abilitanti è fondamentale perché il nostro Paese possa competere con i Paesi più importanti.

  MATTIA FANTINATI. Intervengo molto rapidamente. Ringrazio il ministro di essere qui, io ho soltanto una considerazione da svolgere.
  Mi sarei aspettato che prima di quest'audizione ce ne fosse stata un'altra su come intende portare avanti il suo Ministero. La trasformazione verso «Industria 4.0», e mi riallaccio a quanto hanno detto anche i miei colleghi, può essere fatta in tanti modi. Io ho letto con molta attenzione la documentazione che ci ha lasciato, e la trovo molto interessante e in parte anche condivisibile, anzi in grande parte.
  L'unica mia perplessità è che rimanga un libro dei sogni. Come azione di Governo dobbiamo investire sulle infrastrutture, avere una pubblica amministrazione in grado di usare le nuove tecnologie, una banda larga sufficiente ed efficiente. Soprattutto, è vero che questo potrebbe essere il futuro, ma in tanti settori è già il presente, e noi siamo molto indietro come legislatori e con le normative su tantissime forme di economie, che però sono ormai reali. Penso a tutta quella forma di economia legata alla digitalizzazione, come la sharing economy.
  Effettivamente, uno sviluppo di questi temi porta, come ha già detto qualcuno che ha parlato prima di me, un cambio di lavoro, e quindi mi aspetto che non solo ci sia un’«Industria 4.0», ma un piano industriale lavorativo in materia di energia, di turismo, innovativo. Per quanto vedo e leggo da questo documento, mi immagino una certa realtà. Se guardo quello che ha fatto questo Governo per la sharing economy, per ricerca e sviluppo, per la digitalizzazione, per lo sviluppo della PA, davvero siamo molto indietro.

  PRESIDENTE. Chiuderei le iscrizioni a parlare, perché intorno alle 15 vorrei dare la parola al ministro, che poi, come sapete, è impegnato.

  GIANLUCA BENAMATI. Colgo l'occasione dell'ultimo intervento per porre tre o quattro questioni, ma devo dire al signor ministro che, almeno per quanto riguarda il nostro gruppo, il tema complessivo a monte di quest'indagine conoscitiva, di cui poi dirò, è il tema importante della digitalizzazione dell'economia.
  Proprio facendo riferimento a quello che si diceva, è diverso tempo che apriamo una riflessione come Commissione, anche con il Governo, sugli effetti della digitalizzazione della cosiddetta «internettizzazione» dei sistemi economici, che ovviamente non sono solo la manifattura. Noi discutiamo spesso anche di questi importanti temi sul turismo. Stiamo affrontando Pag. 14i temi significativi – li abbiamo menzionati anche nell'audizione del Ministro Padoan – degli effetti dell'economia di condivisione, che trasformano il consumatore da semplice consumatore in consumatore e produttore.
  Da questo punto di vista, queste sono sfide e cambiamenti di paradigma a livello economico che non sono arrestabili, perché non riguardano solo il nostro Paese. Si tratta di creare le condizioni per viverli nella maniera migliore e, da questo punto di vista, la manifattura è uno dei problemi e delle questioni essenziali. Abbiamo avviato quest'indagine conoscitiva, quindi, non più sulla manifattura tradizionale, ma sulle questioni di cambiamento.
  Mi permetto, allora – lo dico perché molti di noi sono convinti che questa sia la vera sfida, e accogliamo con piacere, signor ministro, le sue parole chiare e nette su questo tema – di formulare alcune piccole domande relativamente alla sua presentazione molto ampia, che d'altronde apprezziamo in maniera generale.
  Relativamente all'introduzione della digitalizzazione nei sistemi di manifattura, l'Italia affronta, come diceva – cerco di esemplificare la questione – il tema dell'inserimento delle nostre aziende, soprattutto le piccole e medie, nelle catene del valore di dimensioni più ampie, spesso guidate anche da aziende appartenenti a Paesi esteri, e si è fatto riferimento la Germania. Poi c'è il grande tema, però, delle piccole e medie aziende italiane, che lavorano invece in campi e settori specifici, con produzioni spesso tipiche, non di rado di alto valore, quasi un artigianato industriale, che possono, nonostante quanto si dica, ricevere un grosso vantaggio dalla digitalizzazione della produzione.
  Essendo d'accordo con i colleghi che intervenivano sul tema delle piattaforme aperte o chiuse – che ovviamente devono essere aperte – faccio notare che per, quanto riguarda le grandi catene del valore, forse uno sforzo di informazione, di conduzione dell'azienda è importante. Proprio nel settore delle macchine che citava, un rapporto di UCIMU ci dice recentemente che il parco macchine utensili italiano è oggi più obsoleto di quanto sia mai stato negli anni passati, ed è calata in questa fase proprio l'acquisizione di macchine non a controllo numerico, non automatizzate, ma collegate con i sistemi della rete digitali. Questo ci dice che c'è una necessità anche di informazione su questo.
  Faccio allora due riflessioni e quindi delle domande. Un ruolo importante è delle grandi aziende italiane come capofila di catene del valore e bisogna promuoverlo, ma molte di queste aziende sono a controllo, o comunque partecipate dal pubblico. Penso alle grandi aziende che operano nel settore della difesa, per esempio, e dell'aerospazio, ma anche in altri settori: su questo c'è qualche indicazione specifica? Ha qualche misura specifica anche per le piccole e medie aziende che, invece, operano su prodotti più tradizionali, ma che sono il vanto del made in Italy?
  Lei ha parlato – questa è la seconda domanda – del tema della finanza d'impresa. Qui abbiamo un problema molto grande, ossia quello della dimensione media delle aziende, che ovviamente non è solo un problema di «Industria 4.0», ma di competitività globale del nostro sistema. Il Ministro Padoan annunciava delle misure prossime venture per la crescita dimensionale delle nostre piccole aziende per il sostegno alle reti.
  Queste sono politiche attive e trasversali, come si diceva prima, e rispetto a questo lei ha parlato anche di un uso più efficace di strumenti di finanziamento, per ricorrere ai fondi privati, ma anche al fondo di garanzia.
  Lei immagina per il fondo di garanzia una migliore allocazione delle risorse, ma anche un'apertura a tipologie di aziende che oggi sono escluse, per esempio le aziende al di sopra dei 250 dipendenti, ma inferiori ai 500, che sono comunque piccole e medie aziende in ambito europeo, oggi escluse? Questo richiederebbe – lo dico quasi subito – un allargamento di quel plafond, ma potrebbe essere nell'ambito dell’«Industria 4.0» un tipo di scelta molto interessante.
  Le pongo una terza questione, perché avrei sì altre considerazioni, ma che non Pag. 15credo ci sia il tempo di svolgere. Lei ha citato il ruolo dei politecnici, sicuramente importante nella fase di ricerca e sviluppo, e qui abbiamo il tema della ricerca e sviluppo, fondamentale in «Industria 4.0», ma c'è anche il tema della formazione e dell'informazione sia delle aziende sia delle risorse umane.
  Con la Ministro Giannini abbiamo affrontato anche il tema del ruolo degli enti di ricerca, ruolo che diventa importante sia nella fase di ricerca, come dice la parola, ma anche nella fase di informazione delle aziende, coi vari progetti: esiste una sua indicazione e visione specifica? Penso che sia all'interno di quanto diceva, ma mi piacerebbe capirlo meglio.
  Sul tema della formazione – questa è una cosa che mi sovviene adesso, ma è importante – forse sarebbe opportuno individuare anche misure indirizzate non solo ai nuovi tecnici, sia in alta formazione sia in formazione tecnico-professionale, ma anche del management delle aziende, particolarmente importante in questo caso. A volte il proprietario, a volte proprio il management esterno, hanno necessità di una formazione specialistica.
  Pongo l'ultima questione e concludo. Mi pare molto positivo che si pensi ad introdurre nel prossimo disegno di legge di stabilità, – o comunque in quello strumento che si chiamerà legge di bilancio – le prime misure che lei ha annunciato. Immagino, però – mi corregga se ho sbagliato – che questo sarà il primo passo di un più ampio piano che sarà sviluppato anche nei prossimi anni. È vero che non si impone la riforma del sistema, ma sono essenziali le misure per accompagnare quella riforma, che può crescere dal basso, ma senza le opportune misure non potrà svilupparsi adeguatamente.

  CHIARA SCUVERA. Ringrazio il signor ministro. Giustamente, ha fatto riferimento all'occasione della promozione di una nuova economia collaborativa, che dà la quarta rivoluzione industriale «Industria 4.0» e anche una collaborazione interdisciplinare.
  Vorrei rivolgerle una domanda molto precisa sulle relazioni industriali. Noi siamo convinti come forza progressista, come Partito Democratico, che questo processo debba avere un chiaro indirizzo politico, per esempio nel miglioramento anche delle condizioni delle persone, col superamento del lavoro usurante. È un tema importante, forte, è un obiettivo raggiungibile, ma che cosa si intende con impulso a delle relazioni industriali più flessibili e fortemente decentrate? Vorrei chiederle di approfondire questo tema.

  LORENZO BECATTINI. Mi unisco agli auguri al nuovo ministro, per il lavoro che deve svolgere, importante, impegnativo. Lo ringrazio anch'io per la visione relativamente a quello che ha esposto oggi, quindi la logica di Industria 4.0.
  Poiché la maggior parte dei miei colleghi ha centrato i propri interventi sul tema della digitalizzazione all'economia, mi concentrerò su altre due fronti.
  Ho apprezzato, intanto, la sua focalizzazione su un settore tipico dell'eccellenza italiana, che è quella della nostra capacità di realizzare delle macchine utensili. Questa è una cosa bella, che mi auguro trovi anche una corrispondenza in misure di sostegno per questi settori e queste iniziative.
  Tuttavia, ministro, lei ha fatto, almeno leggendo i giornali, un riferimento importante a un tema, che ha una qualche connessione con quello che stavamo dicendo, e cioè la necessità di dare ordine al sistema delle agevolazioni per le imprese. Questo è il fascicolo del suo Ministero, che appunto elenca in maniera dettagliata. Ve ne sono anche altre non previste da questo fascicolo.
  Io penso che sia saggio fare questo in modo da indirizzare le risorse che abbiamo su quei settori che consideriamo trainanti. E ci sono delle eccellenze. Quando pronunciamo il termine «Sabatini», in realtà il cognome di una persona, di un parlamentare, se andiamo da un artigiano gli si spalancano gli occhi, perché ritiene che questa sia una cosa buona. Oggi abbiamo la nuova Sabatini, ma la vecchia Sabatini della metà degli anni Sessanta ha sostenuto tanti imprenditori che hanno investito. Pag. 16
  Anche la considerazione che ha fatto a margine parlando del fondo centrale di garanzia per passare dal circolante agli investimenti, mi sembra già saggia: quello che abbiamo letto sui giornali troverà attuazione in tempi rapidi e con quale logica dal punto di vista delle agevolazioni per le imprese?
  Vorrei fare anche un'altra considerazione relativamente alla micro, piccola e media impresa. Noi abbiamo una legge, la n. 180 del 2011, che reca un titolo anche importante, enorme sulla libertà di impresa. Quella legge prevede, mi pare all'articolo 18, che ogni anno si faccia una legge su micro, piccola e media impresa. Lei intende dar corso a quest'impostazione, che prevede poi, come sa meglio di me, che vi sia ogni anno la relazione di un garante al Parlamento su queste tematiche? Vorrei capire il suo punto di vista su tali aspetti.
  L’«Industria 4.0», sulla base delle logiche che ha enunciato, si scontra con il 98 per cento di piccole imprese.
  Vengo a un ultimo flash. Lei ama molto la moda. Lei ha sostenuto molto bene il settore della moda. Io sono di Firenze, quindi queste cose un po’ anche per sentito dire le capisco. Ci sono, però, ministro, tanti giovani che si ingegnano a mettere in piedi piccole aziende artigiane anche nel settore della moda. Noi sappiamo farlo, magari altri da un'altra parte non sanno farlo.
  Queste aziende, al di là di tutto quello che è previsto in tema di agevolazioni, appena iniziano la loro attività si trovano un carico fiscale che ammazzerebbe un leone. Potremmo trovare un sistema per valorizzare la capacità artigiana delle nostre imprese di poter venire incontro a chi è bravo ed è capace, per realizzare anche cose non immediatamente ascrivibili all’«Industria 4.0», ma che rappresentano il connotato e il DNA della nostra capacità produttiva?

  MARCO DA VILLA. Cercherò anche io di essere telegrafico.
  Sottolineo quattro punti. Il primo è una richiesta di approfondimento sul tema della finanza d'impresa e dell'accesso al credito. Dagli auditi abbiamo sentito anche delle problematiche del passaggio dalla fase di business angel, quindi di aiuto iniziale alle start up, che però è difficile poi tradurre in una continuità e in uno sbocco verso il venture capital appunto per l'accompagnamento al credito di queste imprese.
  Noi cerchiamo sempre di evidenziare anche gli aspetti di criticità, cioè di non vedere solo tutto quanto vi sia di positivo all'interno di «Industria 4.0» e consideriamo che ve ne sia, ma che vi siano anche i punti critici, proprio perché la politica deve sapere come prevenirli e affrontarli. Abbiamo detto spesso che a nostro parere ci sarà un problema di occupazione, per cui quello del reddito di cittadinanza potrebbe essere uno strumento che affronterebbe bene il problema, ma anche qui c'è una domanda, ed è sulla formazione, come abbiamo chiesto alla stessa Ministra Giannini, in particolare dei nostri piccoli imprenditori. Altro è sviluppare delle professionalità a livello universitario per le medie e soprattutto grandi imprese, altro è formare i nostri piccoli imprenditori che vanno incontro a questa nuova rivoluzione.
  Ancora, lo spesso citato approccio bottom up è lo stesso che il rappresentante del Governo tedesco è venuto a esprimerci. Avevamo o abbiamo un sistema abbastanza diffuso sul territorio di supporto alle imprese, che sono le camere di commercio, e quindi la domanda è: quale ruolo, se avranno un ruolo, c'è per le camere di commercio all'interno di «Industria 4.0»?
  Infine, c'è un ulteriore aspetto critico. È stato affrontato il tema della salute in termini, appunto, di nuovi sviluppi. Abbiamo visto possibilità di protesi avanzate e così via, ma c'è anche un altro tema: lo sviluppo di materiali dei quali non conosciamo ancora chiaramente le implicazioni sulla salute. Un esempio su tutti è quello del grafene, su cui ci sono già degli studi che dicono che potrebbe presentare le stesse criticità dell'asbesto e dell'amianto.
  Anche relativamente a questo tema, che ruolo può avere l'Italia nello sviluppare strumenti di diagnosi, sempre sfruttando questa stessa rivoluzione industriale, Pag. 17quindi essere all'avanguardia anche su questo settore?

  PRESIDENTE. Do la parola al Ministro Calenda per la replica.

  CARLO CALENDA, Ministro dello sviluppo economico. Risponderò molto rapidamente, perché il tempo è poco e le questioni sono molto di merito, poi ovviamente sono a vostra disposizione per approfondirle anche in un confronto bilaterale, come è capitato altre volte sulla questione relativa all'internazionalizzazione delle imprese.
  Su politiche di settore e software, penso il software sia un elemento abilitante. Condivido la visione che non si può oggi dire che tipo di software o sviluppo occorra scegliere. Il tema, su cui peraltro stiamo facendo un ragionamento, è il seguente: tra gli investimenti considerati ai fini fiscali o di incentivazioni, più favorevolmente ci sono quelli di natura «softwaristica», o che comunque contribuiscono alla parte digitale più che meccanica. Questo è un tema che, ovviamente, ha un effetto di sviluppo del software.
  Quanto ai big data, con il tema più generale della formazione, cioè la carenza di managerialità, dobbiamo fare una scelta, che io non ho ancora fatto perché non ho gli elementi per farla tutta. Per Expo abbiamo fatto una cosa che ha funzionato molto bene per le piccole e medie imprese, ovvero i temporary export manager, e cioè abbiamo detto: ci sono delle aziende che formano export manager, le aziende molto piccole che non possono prenderlo possono beneficiare di questo servizio. Ha funzionato molto bene. Abbiamo tantissime richieste, continueremo quest'anno, in particolare al sud.
  Si può fare la stessa cosa per un esperto tecnologico? Teoricamente, il modello potrebbe esserci; praticamente, c'è una difficoltà. La tecnologia, infatti, ha tante di quelle declinazioni che l'idea che tu riesca a formarne alcuni che facciamo tutto a 360 gradi è molto più complessa. Noi, però, abbiamo detto che la sfida è di natura organizzativa e manageriale, e quindi la valutazione che sto facendo è se riusciamo a formare non i tecnici, ma una competenza di abilitazione all'azienda digitale che possa essere prestata con un contributo statale alle piccole e medie imprese per dare loro una mano.
  Queste, naturalmente, sono cose che vanno viste nella fase implementativa, e faremo su questo evidentemente prima un test, perché possono rappresentare un disastro assoluto o funzionare. Dipende tutto da come vengono implementate.
  In molti avete toccato il tema delle PMI e del fondo di garanzia. La proposta di riforma è quasi pronta. Verremo anche a presentarla. L'idea è che oggi copriamo tutto con una percentuale molto elevata, tutti in merito di credito diverso, e non va bene, perché questo vuol dire che intanto se ne avvantaggiano le banche.
  Voglio coprire le banche, ma quelle dove hanno un rischio reale, e quindi non prestano il denaro. Se le Coop – passatemelo – sono triple A, con tutta franchezza a che servono? Il danaro glielo prestano lo stesso.
  In secondo luogo, si possono concepire categoria accelerate o con gradi di copertura maggiore per chi deve accedere alla Sabatini e fare un investimento in innovazione? Secondo noi, questo si può fare e ci stiamo ragionando. In questo senso, va anche ampliato, come diceva l'onorevole Benamati, il plafond. Dobbiamo guardare a quelle che per noi sono medie aziende, ma in realtà sono piccole aziende.
  Ovviamente, poi, bisogna trovare le risorse, ma se si fa questo ragionamento, meno sul circolante e più sull'investimento, meno sulle categorie già più forti e le si fa scendere, allora forse i conti tornano.
  Su pubblica amministrazione e aziende pubbliche, due cose appunto diverse, sono d'accordo. Come è noto, sono piuttosto di intento liberale, ma questo non vuol dire che i cambiamenti tecnologici non derivino anche dalla domanda pubblica, fondamentale componente, soprattutto quando è pionieristica.
  Io non sono mai, come sapete, rivendicativo di un risultato o meno – parlo non solo con l'onorevole Fantinati, ma anche Pag. 18con lei – se ritenete che il Governo su questo non abbia fatto a sufficienza, vuol dire che il Governo non ha fatto a sufficienza. Ci guarderemo dentro? Sì, ma non è il mio Ministero, per molta parte non è il mio Ministero.
  Un punto, però, è chiedersi perché tutti questi ragionamenti che stiamo facendo spesso nella pubblica amministrazione non hanno un punto di caduta: perché non si fa un lavoro sui processi. La digitalizzazione senza riguardare i singoli processi non esiste, esiste in maniera teorica.
  Vengo al mio Ministero, e non presento le linee programmatiche non perché non le voglia presentare, anzi credo che sia già fissata una data, e comunque sono a disposizione per farlo. Mi avete chiamato, però, prima per l'indagine conoscitiva che sulle linee guida.
  Ho detto che anzitutto avrei fatto nel Ministero una due diligence di tutto quello che c'è dentro. Si faceva prima l'esempio degli incentivi. Questa due diligence avrà l'obiettivo di cancellarne molti e concentrarli, e anche di cancellare delle cose che a occhio possono sembrare belle, ma magari non hanno quell'intensità che serve a cambiare qualcosa. Se non ho i soldi, vengo da voi, vado dal Ministro Padoan e gli dico che mi servono più soldi e si fa una valutazione.
  Quello che succede oggi è che un ministro, per poter dire che sta coprendo tutti i fronti, fa un piccolo incentivo per le smart cities, un piccolo incentivo per l'internazionalizzazione, e tutto questo non funziona. Su questo presenterò un piano industriale del Ministero, in cui dirò cosa c'è, cosa non c'è, e – lo diceva il primo intervenuto, l'onorevole Coppola – quali sono le metriche di risultato.
  Voi sapete che sul piano straordinario per il made in Italy l'ho fatto. Esistono i documenti. Ricordo di aver svolto in questa Commissione una presentazione in Power Point, in cui era scritto quali erano gli obiettivi sul numero di imprese esportatrici e così via. Farò lo stesso per il Ministero, ovviamente in un campo molto più ampio, con una risistemazione generale.
  L'altro mio obiettivo è quello di una totale trasparenza. Oggi i fondi tra perenti, fuori bilancio, dentro bilancio... Ho dovuto starci cinque ore per cominciare a orientarmi su quanti soldi avevo e dove stavano. Non è possibile. Se un ministro è nelle condizioni di dover spenderci cinque ore, un parlamentare dieci, un cittadino non ci arriverà mai. Il piano industriale avrà, quindi, anche quest'obiettivo, cioè un’accountability di quello che c'è, dove sta, come viene speso, che risultati ha ottenuto e quanto viene speso. Molto spesso, ci sono fondi perenti e io non penso che possano esistere, per decenni. A un certo punto, se sono perenti per decenni, vanno cancellati e li usiamo per fare un'altra cosa.
  Sulla richiesta di innovazione e supporto si citava l'esempio della Sabatini e altro. Le rafforzeremo, come dicevo, cioè per prima cosa rafforzeremo le cose che funzionano, poi se ne inventano di nuove. Noi sappiamo che ci sono cose che possono funzionare. Onestamente, il super-ammortamento secondo me è una cosa molto positiva. Bisogna cercare di dargli una curvatura sul cambiamento manageriale. Non so se sia lo strumento. Forse si può fare, forse no, ma è uno strumento semplice, le aziende possono attivarlo immediatamente e non necessita di intermediazione. Questo sarà un altro criterio: poca intermediazione.
  Quale legislazione va eliminata? Quale va introdotta? L'economia circolare? Attenzione, sono d'accordo, sono molto spinto sull'economia circolare, mi piace moltissimo, ha molto a che fare con la concorrenza: approviamo prima un disegno di legge sulla concorrenza, che è ora all'esame del Senato. Se, infatti, diciamo che vogliamo la concorrenza e poi durante l'esame parlamentare del provvedimento ognuno alza la mano per dire che non va bene... Dico: facciamo gli interventi di base, poi ci inventiamo tutta la sharing economy che vogliamo. Io sono il primo a esserne un convinto fautore.
  Università sì, università no, eccellenze o non eccellenze? Ci sono due aspetti: la localizzazione e l'eccellenza. Le scelte possono essere due. Possiamo dire che in ogni Pag. 19distretto industriale si crea una sinergia tra università, distretto industriale, ricerca e così via. Il grosso rischio è se è fatto dall'alto. Se non è nato, vuol dire che qualche ragione per non nascere c'è. Questo è il lavoro che faremo anche con le regioni, chiedendo loro se hanno soldi da investire in questo. Noi possiamo coprire la parte di competenza dello Stato, quindi prendere le parti di eccellenza nazionali e investirci. Anche in questo caso, l'ottica è che ognuno fa il proprio pezzo di lavoro.
  Ho citato la salute, che è un grande tema. È chiaro che tutte le rivoluzioni, tutto l'impiego di nuovi materiali implica opportunità per la salute e rischi per la salute connessi. Io non ho evidenze sul tema del grafene. Se ce ne sono, bisogna considerarle con grandissima attenzione. Tutti i territori ignoti hanno dei rischi, che vanno ponderati molto bene, ma va evitato dall'altro lato l'allarmismo se non ci sono cose molto serie e concrete. Oggi, come lei sa, il grafene è un elemento molto importante per i nuovi processi produttivi.
  Più in generale, vengo alla politica regolamentare, un aspetto fondamentale secondo me è la politica industriale, e cito un esempio. La politica industriale, se vogliamo dotare le macchine, per esempio, di una black box o semplicemente dell'attivazione di quello che oggi già c'è nelle macchine, cioè il punto di contatto dato dal navigatore, che poi si aggancia a un punto remoto. Dire che quello a un certo punto diventa obbligatorio come primo equipaggiamento e successivamente, lentamente, sul parco circolante, è un elemento di politica industriale, quindi spinge la gente a fare investimenti privati.
  Normalmente, come italiani, la sottovalutiamo, ma nei Paesi più avanzati moltissimi dei salti di accelerazioni di investimento si fanno attraverso questo, definendo una regola, dicendo al cittadino che deve investire in una determinata direzione, che migliora la vita a lui e fa diminuire i costi generali per il sistema, che viene reso più produttivo. Su questo stiamo provando ad immaginare una serie di interventi che possono funzionare, ovviamente senza distruggere la vita dei cittadini, già piuttosto complessa anche in conseguenza della pubblica amministrazione italiana.
  Certo che l'industria non è esaustiva. Qui oggi parliamo di industria. L'industria è una porzione relativamente piccola del nostro PIL, seppure molto importante. I servizi sono fondamentali in Sardegna, anche se lì continuiamo a combattere per alcune cause che non dobbiamo dare per perse dell'industrializzazione. Oggi siamo focalizzati su questo, perché è un pezzettino che viene colpito come primo impatto, ma è assolutamente vero quello che dice lei.
  Il settore dei servizi e del terziario è impattato ugualmente e crea opportunità molto significative, in particolare nei territori che hanno difficoltà di connessione, cioè rende più vicini posti che altrimenti sono un po’ perduti. Da questo punto di vista, una riflessione sul turismo, che non è di mia competenza, e quindi non ne parlo – ne ho già troppe – forse andrebbe fatta analogamente a questa che avete fatto qui.
  In conclusione, il modo per non far diventare tutto questo un libro dei sogni è partire con il principio che ho detto: abilitatori, quelli che hai già in piedi e che vuoi rafforzare, politiche regolatorie, non la previsione o l'idea che tu debba dire, per esempio, che le grandi aziende devono per forza fare qualcosa, giochiamo tutto sulle filiere. Signori, posso anche dirvelo, ma conosco l'azienda italiana da vent'anni, e che le aziende italiane tutte si mettano a fare questo lavoro sistematico o i fornitori e che noi dobbiamo aspettare che questo accada, francamente non ci credo, e non penso che vada fatto.
  Non è che questo forse è il ruolo dello Stato devono farlo loro. Per le aziende pubbliche è un po’ diverso. Finmeccanica è un po’ diversa, perché ha un impatto tecnologico molto rilevante, e quindi su questo colgo il punto, ed è un punto corretto.
  Per fare in modo che questo non diventi un libro di sogni non dobbiamo pensare a due estremi: che possiamo andare avanti così come sono le cose ovvero che dobbiamo rifondare tutto lo scibile umano, perché sta accadendo questo. Dobbiamo Pag. 20usare le cose che già abbiamo, avendo il pragmatismo, richiamato, dell'accompagnamento, non dell'indirizzo. Se, invece, l'idea è che indirizziamo il cambiamento, allora scriviamo un libro dei sogni e poi creiamo un disastro. Nessuno di noi, con tutto il rispetto, è in grado di fare questo lavoro, prima di tutto il sottoscritto.
  Questo è il modo in cui ci vogliamo muovere. Quando verrò a parlarvi delle linee guida del ministero – prima potete e meglio è, io sono pronto – lo inseriremo in quel contesto, e ne sarà grande parte. Credo, infatti, che il contributo che porterò nella prossima finanziaria – poi è un conto giusto all'interno della compagine di Governo – sia questo: questo deve essere il momento in cui facciamo investimenti.
  È sull'offerta che definiamo il futuro di lungo periodo del Paese. Sulla domanda possiamo, forse, avere un sollievo nel breve periodo; sull'offerta ci giochiamo una partita che vale la pena di essere giocata, su cui secondo me c'è un amplissimo consenso.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il ministro, che avremo occasione a breve di incontrare nuovamente.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.