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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Mercoledì 19 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Damiano Cesare , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MISURE PER FRONTEGGIARE L'EMERGENZA OCCUPAZIONALE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Audizione di rappresentanti dell'ISFOL.
Damiano Cesare , Presidente ... 3 
Varesi Pietro Antonio , Presidente dell'ISFOL ... 4 
Damiano Cesare , Presidente ... 8 
Polverini Renata (PdL)  ... 8 
Maestri Patrizia (PD)  ... 8 
Simoni Elisa (PD)  ... 9 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 9 
Miccoli Marco (PD)  ... 9 
Damiano Cesare , Presidente ... 10 
Centra Marco , Responsabile ufficio statistico dell'ISFOL ... 10 
Varesi Pietro Antonio , Presidente dell'ISFOL ... 11 
Damiano Cesare , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti dell'ISFOL ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE CESARE DAMIANO

  La seduta comincia alle 9.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISFOL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, l'audizione di rappresentanti dell'ISFOL.
  Innanzitutto ringrazio per la loro presenza il dottor Pietro Antonio Varesi, presidente dell'ISFOL, e il dottor Marco Centra, responsabile dell'ufficio statistico. Avverto che hanno messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Come sapete, abbiamo inteso deliberare questa indagine anche perché fra poco saremo «messi alla prova» da una proposta del Governo su questo tema. Evidentemente si tratta di un tema cruciale, non solo per la nostra Commissione, ma per tutto il Paese.
  L'indagine ha come obiettivo quello di audire istituti importanti, come l'ISFOL, e persone che hanno una grande competenza di carattere politico e anche universitario sui temi dell'occupazione.
  In particolare, noi avvertiamo che il Governo, nella proposta che dovrebbe essere avanzata nei prossimi giorni al Consiglio dei ministri, dovrebbe affrontare in primo luogo il tema cruciale del cosiddetto «sconto» del costo del lavoro, e in secondo luogo l'argomento relativo al mercato del lavoro, vale a dire ad una correzione della riforma dell'ex Ministro Fornero.
  Si era parlato anche di staffetta generazionale: in seguito ai colloqui che ho avuto con il ministro, mi pare che questo argomento dovrebbe essere più collegato con le tematiche di carattere previdenziale.
  L'indagine si svolge in due tempi: un primo tempo dedicato ad acquisire tutte le informazioni utili per una lettura del provvedimento del Governo, e un secondo tempo di approfondimento che, secondo le previsioni, si concluderà entro il mese di luglio.
  Con questa indagine noi vorremmo comprendere da un punto di vista politico, culturale e statistico qual è l'andamento della situazione, ma avremo anche modo di esaminare quello che è successo nelle passate legislature su alcuni di questi argomenti. Penso al tema del costo del lavoro, che nel passato è stato oggetto di interventi, come è avvenuto nel 2007 con il Governo Prodi, nell'ambito del protocollo del welfare di quell'anno. Ricordo anche una serie di interventi prodotti su questo tema dal successivo Governo Berlusconi. Pag. 4Lo stesso discorso vale sicuramente sia per la staffetta generazionale che per il mercato del lavoro.
  In sostanza, il nostro intendimento è avere a disposizione tutti gli strumenti per sviluppare una discussione di merito.
  Do quindi la parola al dottor Pietro Antonio Varesi, presidente dell'ISFOL.

  PIETRO ANTONIO VARESI, Presidente dell'ISFOL. Signor presidente, grazie per l'invito. Ringrazio la Commissione per l'attenzione nei confronti dell'istituto e della sua attività.
  Ho portato con me della documentazione, che lascio al presidente per testimonianza dei ragionamenti su cui svolgerò il mio intervento.
  Nell'introdurre il tema, seguirò lo schema che è stato proposto dalla Commissione, cercando quindi di distinguere l'intervento in due parti. Intendo mettere in rilievo soprattutto quelle questioni su cui l'istituto, per tradizione, ha una sua competenza specifica, svolgendo da tempo attività di studio, di ricerca e di analisi, e su cui ha forse – non voglio essere temerario – qualcosa in più da dire rispetto ad altri argomenti. È stata dunque fatta una scelta rispetto al tema. È con me il dottor Centra, responsabile del servizio statistica dell'ISFOL, che integrerà il mio intervento su alcuni punti.
  Per quanto riguarda la prima questione, relativa alle misure di incentivazione dell'occupazione, mi limito a dire che la riduzione del carico contributivo e fiscale sul lavoro, specie se diretta a ridurre il cuneo tra costo del lavoro e reddito netto percepito dal lavoratore, a noi sembra in grado per un verso di migliorare la competitività complessiva del sistema produttivo, e per altro verso di aumentare la propensione al consumo dei lavoratori a più basso reddito, generando quindi effetti positivi per lo sviluppo del Paese e per l'occupazione.
  Vi sono poi evidenze che suggeriscono l'attivazione di politiche per l'occupazione integrate con politiche industriali e di sviluppo, al fine di rendere ancor più efficace quest'azione. Su quest'aspetto chiederò in seguito al dottor Centra di intervenire per spiegare meglio il concetto.
  Quello che mi interessa mettere in evidenza è che non altrettanta efficacia può essere attribuita alle misure che si limitano alla nuova regolazione dei contratti di lavoro, e che non sono accompagnate da interventi, come quelli che ho descritto, che, ad esempio, riducono il divario tra il costo del lavoro e il reddito netto del lavoratore.
  L'esempio più vicino a noi di un intervento di questo secondo tipo può essere rinvenuto nella legge n. 92 del 2012, la cosiddetta «legge Fornero». In questo caso il legislatore si è limitato a modificare la convenienza dell'imprenditore che intendeva avvalersi di un nuovo dipendente, collaboratore o prestatore d'opera ad utilizzare una forma contrattuale piuttosto che un'altra. In altri termini, il tipo di intervento contenuto nella legge n. 92 del 2012 ha inciso sul funzionamento del mercato del lavoro solo sul versante della modifica della composizione degli avviamenti secondo la diversa forma contrattuale prescelta.
  L'ISFOL è stato incaricato di svolgere un monitoraggio proprio sugli effetti della legge n. 92 del 2012 relativamente agli avviamenti al lavoro che sono intervenuti dopo l'entrata in vigore della legge fino al dicembre del 2012, messi a confronto con gli avviamenti registrati nella prima parte del 2012 e negli anni precedenti. Questo ha consentito, sulla base delle risultanze empiriche, cioè dei dati che ci è stato concesso di elaborare sulla base delle comunicazioni obbligatorie ai centri per l'impiego, di porre in evidenza alcuni fenomeni, da valutare con la necessaria cautela.
  Sottolineo la necessità di cautela perché, come ricorderete, la legge n. 92 del 2012 prevedeva un monitoraggio annuale. Noi non siamo ancora alla scadenza annuale, e quindi stiamo prendendo in considerazione solo un periodo dell'anno, cioè quello per cui abbiamo a disposizione i dati. Queste risultanze sono da considerare con cautela anche perché non abbiamo i dati sulle partite IVA, che vengono Pag. 5da altra fonte, cioè dall'INPS, e saranno disponibili prossimamente; così come ci mancano i dati relativi ai tirocini formativi di orientamento. Riguardo a questi ultimi, si potrebbe obiettare che non si tratta di contratti di lavoro. Tuttavia, ad esempio, in un'azione che voglia spingere il contratto di apprendistato come contratto principale di inserimento al lavoro dei giovani, sarebbe quanto mai utile conoscere anche l'andamento del tirocinio formativo di orientamento, per capire se fa concorrenza o meno e in che modo.
  In definitiva, con tutte queste cautele, noi abbiamo elaborato un primo rapporto di monitoraggio, che abbiamo messo a vostra disposizione, e che ci fornisce alcune evidenze. La prima evidenza è che abbiamo registrato una caduta sensibile dell'utilizzo del lavoro intermittente e del lavoro mediante collaborazione coordinata e continuativa. Mi dispiace non potervi mostrare una tabella che illustra questi dati. Il lavoro intermittente ha subito una caduta molto drastica. Il lavoro mediante collaborazione coordinata e continuativa ha avuto una caduta sensibile, seppure non altrettanto rovinosa.
  Questo vuol dire che la legge n. 92 del 2012 ha introdotto delle regole che hanno indotto i datori di lavoro ad un ricorso meno accentuato a questi tipi di contratto. Una prima considerazione banale, di tipo quantitativo, è dunque che questi due tipi di contratto sono stati meno utilizzati.
  Aggiungerei però un'ulteriore osservazione, che mi sembra interessante: questi due contratti scendono significativamente nell'utilizzo, ma non spariscono. Verso ottobre-novembre raggiungono una sorta di stabilizzazione, e nei mesi successivi continuano sempre su quel livello. Questo ci può far pensare che la legge n. 92 del 2012 ha introdotto dei meccanismi – consentitemi di chiamarli così – di pulizia del mercato del lavoro, riportando l'utilizzo di queste forme flessibili ad un livello fisiologico.
  Questa legge non ha dunque impedito ai datori di lavoro di utilizzare le forme di lavoro flessibile di cui stiamo parlando (lavoro intermittente e contratti di collaborazione a progetto), ma ne ha riportato l'utilizzo ad un livello fisiologico, corrispondente al rispetto di determinate regole.
  Voi sapete tutti che con la legge n. 92 del 2012 il lavoro intermittente ha subito un'essenziale modifica, in seguito alla quale di ogni richiesta di prestazione doveva essere data comunicazione obbligatoria al centro per l'impiego. È questa banale regola che ha determinato la caduta di cui stiamo parlando.
  Oggi i datori di lavoro possono ancora utilizzare il lavoro intermittente, e lo utilizzano (come dimostra la linea che si è assestata, proseguendo con continuità), ma certamente in misura inferiore rispetto all'evidente gonfiatura che l'istituto aveva conosciuto nel periodo immediatamente precedente all'introduzione della riforma. Nell'utilizzo dell'istituto siamo ritornati ai livelli del 2009, che potremmo considerare più fisiologici.
  Il secondo contratto che possiamo prendere in considerazione è il contratto a termine. Nel periodo considerato, cioè fino al dicembre del 2012, il contratto a termine ha conosciuto un incremento sensibile, soprattutto nella parte finale dell'anno. Vi segnalo due possibili cause di questo aumento. Innanzitutto possiamo pensare che l'aumento derivi in parte dall'incertezza generale della situazione economica, che spinge i datori di lavoro ad assumere con rapporti di lavoro di breve durata.
  Oltre a questo, ci sono due elementi specifici che mi preme sottolineare. Abbiamo la sensazione che vi sia stato un travaso da contratti intermittenti e collaborazioni coordinate e continuative a lavoro a tempo determinato, e abbiamo qualche elemento empirico che ci supporta in questa indicazione. Infatti, ci sono molti contratti a termine di breve durata (da uno a quattro mesi). Questo fa pensare che si tratti di contratti a termine che hanno ricondotto ad una diversa forma contrattuale quelle esperienze lavorative che prima venivano presentate sotto la veste di contratto di lavoro intermittente o contratto di lavoro a progetto.Pag. 6
  La seconda osservazione che mi sembra interessante rispetto al tema del contratto di lavoro a termine è che quest'innalzamento sembra attribuibile anche all'introduzione dell'elemento di acausalità nel primo contratto tra un datore di lavoro e un lavoratore con durata massima di dodici mesi. Questo aumento significativo dei contratti di durata tra quattro e dodici mesi fa pensare che questa nuova misura dell'acausalità che è stata adottata sia stata in qualche modo apprezzata dal mercato e sia una delle cause di quest'innalzamento che noi registriamo.
  Sotto questo profilo ci sono elementi che consegniamo alla vostra attenzione, al fine di valutare le proposte che sono al centro del dibattito sulla riforma della legge Fornero.
  I contratti di lavoro a tempo indeterminato non sono diminuiti in quantità assoluta. Infatti, da settembre a dicembre del 2012 sono diminuite l'occupazione e le assunzioni nel loro complesso. Come avete visto, noi cerchiamo di parlare di riposizionamento dei contratti l'uno rispetto all'altro, e quindi di quote di mercato che ciascun contratto riesce a acquisire, dato un determinato quadro economico e di assunzioni.
  Fatta questa premessa, noi vediamo che i contratti a tempo indeterminato sono gradualmente diminuiti, probabilmente perché sono più sensibili all'andamento economico che all'intervento di provvedimenti legislativi.
  Certamente, se la legge n. 92 del 2012 aveva tra le sue ambizioni – voi sapete meglio di me se l'aveva o meno – lo scambio tra una maggiore flessibilità in termini di uscita e una maggiore disponibilità dei datori di lavoro in termini di assunzioni a tempo indeterminato, questo effetto non si è registrato. Direi che l'effetto principale che si registra è la prudenza dei datori di lavoro, a fronte della crisi che tutti conosciamo, e quindi il loro spostamento verso forme contrattuali meno impegnative rispetto a quella del contratto a tempo indeterminato.
  Un'ultima osservazione riguarda l'apprendistato. Sull'apprendistato il Paese ha investito molto negli ultimi anni. Dall'accordo tra Stato, regioni e parti sociali del 2010 si è arrivati al decreto legislativo n. 167 del 2011, e alcune modifiche sono state in seguito inserite anche nella legge n. 92 del 2012. Con l'accordo, con il decreto legislativo e con la legge, si è sempre detto di voler fare dell'apprendistato il principale contratto di inserimento al lavoro dei giovani.
  Le evidenze empiriche ci dicono che il contratto di apprendistato non è quel fallimento di cui si parla, però non è nemmeno quella punta di diamante su cui noi speravamo.
  Dopo il decreto legislativo n. 167 del 2011, e in particolare nella primavera dell'anno scorso, il contratto di apprendistato ha vissuto una fase particolarmente critica, legata all'incertezza normativa. Voi sapete che il 25 aprile 2012 ha rappresentato un po’ la fine di un mondo. Da lì in avanti si applicava unicamente la nuova normativa. Questa nuova normativa però, per quanto riguardava l'apprendistato professionalizzante, faceva riferimento a discipline contrattuali che non erano ancora state definite. Questo ha creato una notevole incertezza nei datori di lavoro.
  Il risultato è che nella primavera dell'anno scorso, e quindi prima della legge Fornero, abbiamo avuto una caduta delle assunzioni con contratto di apprendistato. In quei mesi l'apprendistato è sceso in continuazione.
  Dopo la legge n. 92 del 2012, e in particolare dopo che le parti sociali hanno disciplinato compiutamente la materia, ritornata la certezza del diritto, i datori di lavoro hanno cominciato a riprendere in considerazione quest'istituto, che gradualmente vediamo salire fino a raggiungere i livelli precedenti.
  Questo significa che, grosso modo, l'apprendistato è tornato, sia in termini quantitativi che in termini di quota di mercato, ai numeri che conosceva prima di quella caduta drammatica che vi ho segnalato. Ci sono circa 20.000-25.000 apprendisti assunti ogni mese. L'apprendistato ha ora Pag. 7una quota di mercato leggermente superiore a quella che aveva in precedenza. Dunque, si sta riprendendo.
  Tuttavia, nessuno di noi potrebbe dire che questa ripresa ci consente di sperare che l'apprendistato diventi in breve tempo il contratto prevalente di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Non è così. Nel nostro Paese, anche dopo la riforma su cui molto si era investito e a cui molti hanno creduto – io ero fra questi – contenuta nel decreto legislativo n. 167 del 2011, l'apprendistato rimane un istituto che porta i giovani verso il lavoro, ma in una quota limitata.
  Nel programma della vostra indagine conoscitiva ci si chiede perché in altri Paesi l'apprendistato ha un ruolo dominante, mentre nel nostro non ce l'ha. La risposta che mi sento di dare è che gli altri Paesi che prendiamo in considerazione, in cui l'apprendistato ha un ruolo dominante, hanno un sistema formativo diverso. Non è una questione di regolazione del contratto, bensì di impostazione del sistema formativo.
  Il sistema formativo austriaco, quello tedesco, o quello danese sono sistemi duali, in cui il ragazzo dopo la scuola dell'obbligo può scegliere tra due percorsi di pari dignità: uno simile a quello che possono scegliere i giovani italiani, cioè studiare dalla mattina alla sera nelle aule scolastiche; e l'altro che è invece l'alternanza tra scuola e lavoro, e in cui il lavoro è svolto in apprendistato.
  Avrete visto che in questi giorni i giornali si sono sbizzarriti a spiegare che cos’è il sistema duale. Credo che la cosa più efficace che è stata pubblicata sia stata la foto di questi cinque alti dirigenti di industrie tedesche che vengono tutti dall'apprendistato. Queste persone sono diventate alti dirigenti non frequentando il tradizionale percorso scolastico, ma frequentando fin da piccoli il percorso in alternanza da apprendista. Hanno seguito tutto il percorso di apprendistato, attraverso cui si arriva fino alla laurea di primo livello.
  Pensare che il nostro Paese possa modellarsi in breve tempo su un sistema duale a me sembra davvero impossibile. Il modello duale non si assume dalla sera alla mattina come una medicina. Si tratta di un modello che è nato in particolare in Austria e in Germania per ragioni storiche. Dopo la Seconda guerra mondiale c'era una carenza di manodopera maschile, perché, come è noto, i maschi erano morti sui campi di battaglia, e la Germania doveva decidere se avere le fabbriche piene solo di immigrati, con giovani che stavano a scuola ad acculturarsi, oppure mandare nelle fabbriche i giovani e diventare un Paese di ignoranti. Hanno trovato questa soluzione di mediazione, assai dignitosa. In apprendistato si consente davvero di studiare.
  Io credo che l'importazione del sistema duale sia una questione molto complessa, perché vuol dire cambiare il nostro sistema formativo e non semplicemente cambiare un contratto di lavoro. È una cosa molto complicata. Quello che forse si potrebbe fare – magari ci tornerò dopo, se ne avrò il tempo – è cercare di imparare qualcosa dal duale, «condendolo in salsa italiana».
  Ad esempio, nessuno ci vieta di pensare che gli ultimi anni dei percorsi a carattere più professionalizzante o più tecnico possano essere costruiti sulla base di un'alternanza studio-lavoro, mediante l'apprendistato. Pensate a un Istituto Professionale Statale che opera in una zona circondata da aziende dello stesso settore per cui prepara la manodopera. Io mi sono sempre chiesto perché i giovani del quinto anno di quell'IPS frequentano tutti i cinque anni da bravi ragazzini che stanno a scuola, in seguito fanno lo stage, e poi aspettano di essere assunti dalle aziende del territorio con un contratto di apprendistato. Si potrebbe cercare di strutturare un rapporto più organico e solido tra quell'IPS e le aziende del territorio, in modo tale che il quinto anno preveda già una forma di inserimento al lavoro mediante apprendistato.
  Secondo me, noi possiamo fare questo: sperimentare pezzi di modello duale compatibili con il nostro sistema, senza rivoltare tutto.Pag. 8
  Mi fermo qui e lascio a voi la parola.

  PRESIDENTE. Dopo questa illustrazione del professor Varesi, lascerei la parola agli onorevoli colleghi. Il dottor Marco Centra eventualmente interloquirà in seguito.
  Faccio solo una breve osservazione. Innanzitutto la ringrazio per il modo con il quale è stata affrontata questa audizione, che ha risposto alle nostre domande. Da questa lettura emergono conferme, ma anche una riconsiderazione di alcuni punti che davamo per scontati. Anche per quanto riguarda la lettura della legge n. 92 del 2012 dell'ex Ministro Fornero, mi pare che abbiamo degli spunti interpretativi nuovi, che fanno un po’ giustizia di luoghi comuni che in precedenza avevamo forse un po’ tutti utilizzato. Non aggiungo altro.
  Do la parola ai deputati che intendano porre domande o formulare osservazioni.

  RENATA POLVERINI. Signor presidente, ringrazio il presidente dell'ISFOL perché, anche per quanto mi riguarda, alcune grandi questioni sulle quali ci siamo concentrati in questi mesi vengono rimesse in discussione dal suo intervento.
  Sostanzialmente lei ci sta dicendo che la prima riforma che noi dovremmo mettere in campo è quella del sistema formativo, e quindi della scuola. Di questo sono convinta da diverso tempo e naturalmente rafforzo la mia convinzione.
  Credo anche che la battaglia che alcuni di noi stanno facendo, in particolare sugli istituti tecnici professionali, sia sacrosanta. Forse ci siamo concentrati troppo nell'immaginare dei giovani necessariamente laureati, e non abbiamo invece investito sulla manualità, che a mio avviso è sempre ingegno e per questo andava valorizzata.
  Vorrei soltanto chiederle se è possibile avere le statistiche per regione, rispetto ai dati che lei oggi ci ha presentato. Siccome anche le regioni intervengono su alcuni strumenti, quali l'apprendistato, ma non solo, sarebbe interessante per noi capire, al di là del tessuto industriale di ciascuna regione, se rispetto alla variazione dei dati ci sono degli interventi regionali che possono aver segnato la differenza. Se lei ci fornisse anche questi dati noi avremmo sicuramente materiale in più per affrontare questo percorso di riforma, insieme al Ministro Giovannini, ma non solo.

  PATRIZIA MAESTRI. Innanzitutto ringrazio il presidente dell'ISFOL. In effetti, le cose che ci ha raccontato sono molto interessanti. Al di là di quello che ognuno di noi può aver raccontato sulla legge Fornero, quando abbiamo i dati la discussione diventa molto più concreta.
  Credo che sarà interessante anche avere i dati rispetto alle partite IVA. Infatti, almeno in alcuni territori si riscontra una riduzione dei contratti a progetto, diventati costosi e vincolanti per le imprese, a fronte di un forte aumento di partite IVA, magari non tutte effettivamente vere.
  L'altra questione su cui secondo me si può ragionare riguarda i contratti a progetto, che credo abbiano ancora un ruolo, perché ci sono alcune attività che in effetti trovano risposta in questa forma di contratto. Ricordo che nel 2008 l'allora Ministro Damiano scrisse una circolare che elencava le attività per le quali si poteva sottoscrivere questo tipo di contratti. Sarebbe utile anche in questo senso avere un elenco delle attività possibili.
  Quello che si riscontra oggi è che per le imprese tutto quello che rientra nel contratto di lavoro subordinato ha un costo molto alto e che la ricerca di una flessibilità a costo inferiore può portare anche a delle derive, cioè a quelle forme di contratto grigie, che non sono né regolari né irregolari. Avere una maggiore chiarezza in questo senso sarebbe sicuramente utile.
  Naturalmente quella che dico è un'ovvietà: il problema della crescita c’è tutto. Una flessibilità maggiore può aiutare le imprese, ma se non c’è occupazione, non c’è crescita e non c’è sviluppo, diventa tutto molto complicato. Ho appena guardato i dati che mostrano un aumento delle cessazioni non volontarie, cioè dei licenziamenti. Credo che nel fare questo tipo di Pag. 9ragionamento occorra tenere molto legata la ricerca di una flessibilità positiva al rispetto dei diritti dei lavoratori.
  Sul sistema formativo sicuramente il nostro Paese ha un grosso ritardo. Anche se il sistema duale in altri Paesi europei ha avuto un'evoluzione di un certo tipo, credo che nel nostro Paese si debba andare alla ricerca di una valorizzazione della formazione tecnica, senza ridurre il valore della scuola e della cultura. Abbiamo visto che a volte le esperienze lavoro-scuola non hanno dato sempre buoni risultati, perché si traducevano nel mettere l'alunno direttamente al lavoro senza un'effettiva formazione.
  Credo che avere i dati ci aiuterà sicuramente in un lavoro che dovrebbe portare a qualcosa di positivo.

  ELISA SIMONI. Signor presidente, ringrazio anch'io il presidente dell'ISFOL. Condivido pienamente la sua analisi sulla necessità di cambiamento del sistema educativo. Effettivamente c’è stata una licealizzazione, che tra l'altro non ha sempre portato degli esiti in termini di accrescimento culturale del Paese. Purtroppo non si riscontra neanche questo. Banalizzando, anche qualora il mercato «tirasse», oggi avremmo comunque una grande difficoltà a fare incontrare domanda e offerta.
  Abbiamo tentato di supplire a questa carenza di investimento in capitale umano e tecnico con la formazione, che spesso però non riesce a creare un sistema di alternanza. Infatti, nel nostro Paese, la formazione, anche quando è spesa bene, spesso è molto teorizzata. Quasi mai si ha un contatto con le imprese, mentre le volte in cui si tentano inserimenti nelle imprese con forme del tutto sperimentali il risultato è del tutto differente.
  Condivido anche la sua osservazione rispetto ai tempi e ai modi del dovuto cambiamento. Evidentemente questi non possono essere repentini, non solo per ragioni di resistenza, ma anche per il bisogno di adeguare un sistema che ha comunque i suoi elementi di positività.
  Io penso che quello che lei propone è molto interessante e corrisponde ad una discussione che alcune volte abbiamo fatto. Penso però che in questo caso la formazione potrebbe servirci nel periodo di transizione. Impostato il sistema, la formazione potrebbe darci una mano per la transizione verso un sistema duale, con degli accorgimenti che dovremo fare.
  Condividendo appieno il suo intervento, penso che dovremmo incastrare anche il terzo elemento, che è quello della formazione e dei fondi europei, nella dinamica istruzione, formazione e lavoro.

  CLAUDIO COMINARDI. Signor presidente, ringrazio il presidente dell'ISFOL per le considerazioni e per la relazione. Vorrei sottoporgli un paio di domande e di osservazioni.
  In primo luogo, condivido quanto sostenuto sul sistema duale, che in Italia sicuramente manca, ed è anche di difficile applicazione.
  In Italia c’è però anche un problema di domanda. Abbiamo tanti giovani che sono molto formati e sono convinto che, anche se ci fosse una collaborazione più stretta tra istituti professionali, università e aziende, purtroppo molti rimarrebbero comunque senza occupazione.
  Oltre a questo, vorrei una sua opinione in merito alla Youth Guarantee, che immetterà 6 miliardi in ambito europeo. Vorrei sapere se pensa che possa essere realmente di aiuto per l'occupazione giovanile. Immettere dei soldi per la formazione, sarà sicuramente utile per i ragazzi, tuttavia, non ritiene che il limite dei 25 anni per poter rientrare in questa tranche sia forse un po’ riduttivo, visto che in Italia ci si laurea spesso a quell'età ?
  Forse gli investimenti devono mirare a creare veramente nuova occupazione attraverso nuovi modelli.

  MARCO MICCOLI. Oltre ad associarmi ai ringraziamenti, le porgo solo una domanda. Concordo con l'analisi fatta, secondo cui il tempo determinato è più sensibile all'andamento economico che alla messa in campo di normative, e quindi resiste rispetto alla crisi devastante e alle incertezze che questa produce.Pag. 10
  I numeri effettivi rispetto agli andamenti che ci avete consegnato possono essere considerati, a mio modo di vedere, non significativi. Faccio un esempio sugli avviamenti per quanto riguarda il contratto a tempo determinato. Se vedo bene i grafici, nel lasso di tempo che va da dicembre 2011 a novembre 2012, c’è un saldo attivo di circa 10.000 unità. Vedo invece che in periodi precedenti, dove non era in campo la legge Fornero, gli andamenti erano molto più elevati.
  Vorrei capire se da un punto vista statistico, secondo un quadro storico di visitazione degli andamenti e dei flussi, questi numeri possono essere indicati come significativi o assolutamente non significativi rispetto al tema complessivo del mercato del lavoro.

  PRESIDENTE. Ringrazio tutti gli onorevoli intervenuti e cedo la parola ai rappresentanti dell'ISFOL per la replica.

  MARCO CENTRA, Responsabile ufficio statistico dell'ISFOL. Comincio dalla richiesta di dati regionali. Proprio oggi andiamo a ritirare al Ministero del lavoro e delle politiche sociali i dati disaggregati per regione. Il problema è stato che, come ha ricordato il presidente, il Ministro Fornero ci chiese questo monitoraggio sulla propria legge in maniera molto estemporanea. Abbiamo messo in piedi un sistema di elaborazione dati basato su alcuni elementi, che in corso d'opera stiamo disaggregando sempre più.
  Il Ministro Giovannini ci ha chiesto dati regionali. Li stiamo preparando e credo che a giorni li fornirà. Per quanto riguarda invece i dati sulle partite IVA, approfitto per segnalare uno stato dell'informazione sul mercato del lavoro in Italia abbastanza carente. Noi abbiamo una serie di fonti informative di tipo statistico ottime, prodotte dall'Istat, e delle fonti di tipo amministrativo, che sono quelle più preziose, perché non hanno costi di produzione, non necessitano di interviste, e non hanno errori di tipo campionario o statistico.
  Noi abbiamo svolto questo lavoro sulle comunicazioni obbligatorie, un giacimento informativo che è previsto dall'attuazione di una legge, e che produce indirettamente anche una conoscenza sul mercato del lavoro. Altrettanto succede negli archivi INPS, nei centri per l'impiego e via dicendo. Queste fonti informative rimangono spezzettate, e probabilmente non sono neanche coerenti tra di loro come capacità informativa.
  Le partite IVA non rientrano tra le comunicazioni obbligatorie, e quindi non le abbiamo elaborate. Dobbiamo chiedere i dati all'INPS, che è l'unico ente che raccoglie queste informazioni. L'INPS ha politiche di diffusione dei dati completamente diverse. Questa è la motivazione per cui non li abbiamo elaborati.
  Comunque, l'impressione è che le partite IVA abbiano avuto un andamento molto simile a quello dei contratti a progetto, cioè che ci sia stata una quota di contratti utilizzati come lavoro subordinato – cosa che viene prevista dalla normativa vigente – che sono stati rimessi in carreggiata secondo un utilizzo più corretto.
  Continuo a parlare di dati, rispondendo all'ultimo intervento. Il dato è significativo perché parliamo di dato censuario e non campionario. Non siamo in presenza di un campione, come nel caso del tasso di occupazione o disoccupazione stimato dall'Istat, che è sottoposto a errore campionario. In questo caso siamo di fronte a tutte le comunicazioni obbligatorie inviate in un determinato tempo. Ovviamente il numero ha un senso per la grandezza che esprime. Quello che ci è stato chiesto di verificare è se dal luglio del 2012 in poi alcune forme di contratto abbiano avuto un crollo o una ricomposizione interna. La risposta alla domanda è dunque che il dato è significativo perché parliamo di dato censuario e non di dato statistico.
  L'intervento precedente riguardava la domanda di lavoro. In ISFOL noi stiamo seguendo due filoni di attività. Il primo riguarda lo studio del capitale umano, ossia come il capitale umano, che comprende l'istruzione, la formazione professionale, la formazione in azienda e via Pag. 11dicendo, riesce ad aumentare i livelli di produttività del sistema delle imprese e di competitività del sistema Italia.
  L'Italia fondamentalmente è un Paese che esporta manifattura. Il Paese che esporta più di noi in Europa è la Germania, che è dunque il nostro competitor come Paese esportatore nella manifattura. L'Italia investe poco in capitale umano. La Germania ha smesso di investire in manifattura e in tecnologia matura, perché altrimenti si metterebbe in concorrenza con la Cina, che sta investendo su questo. In Europa stanno rimanendo i centri dirigenziali, anche della manifattura. È un processo molto lungo, che riguarda pezzi di globalizzazione.
  Se vediamo molto brevemente quello che è accaduto in Italia negli ultimi dieci anni, emerge che la produttività del lavoro è rimasta stagnante, quando in tutti i Paesi d'Europa, e in particolare in Germania, è cresciuta. Ciò vuol dire che un operaio in Italia guadagna meno del suo omologo tedesco, costa di più e produce meno.
  Un altro filone di analisi è quello di pensare politiche di tipo integrato tra politiche per l'occupazione e politiche per lo sviluppo. Certamente diminuire il cuneo fiscale aumenta la domanda aggregata, perché dà più soldi ai lavoratori, che generano consumo; abbassa il costo del lavoro; e quindi aumenta i livelli di produttività e di profittabilità per l'impresa (i margini di profitto). Dall'altro lato, se non c’è domanda di lavoro, non si riesce ad aumentare l'occupazione.
  I NEET, cioè i giovani che non lavorano, non cercano lavoro e non sono inseriti in un percorso d'istruzione o formativo, sono in numero crescente e rimangono spesso in questa condizione. Se le imprese non aumentano la loro domanda di lavoro, questo segmento non riesce a essere riassorbito, esattamente come dice lei.
  La nostra non è ancora una proposta compiuta, ma è un filone di studi che ci mostra con evidenza che le politiche per l'occupazione sono efficienti, ma potrebbero esserlo ancor di più se integrate con politiche per lo sviluppo. Ad esempio, si potrebbe puntare su segmenti specifici di imprese particolarmente elastiche all'occupazione.
  Faccio un esempio banale, che emerge dalle nostre stime. Imprese con alta redditività e bassa produttività, come ad esempio le imprese edili, sono poco elastiche all'occupazione e non hanno un tipo di occupazione che aumenta la produttività. Invece, imprese che hanno bassa redditività, ma alta produttività, come ad esempio le imprese innovative, hanno molti vincoli, perché le banche non concedono loro il credito, essendo poco redditizie. Quelle imprese sono quelle più elastiche all'occupazione.

  PIETRO ANTONIO VARESI, Presidente dell'ISFOL. Tenendo conto dei vincoli di tempo, e ringraziandovi per l'attenzione che ci avete dedicato, cercherò sinteticamente di toccare alcune questioni che voi avete segnalato e che meriterebbero maggiore tempo. Vi lasceremo anche un documento sulla garanzia per i giovani, proprio perché ciò che non posso dire sia documentato.
  Vorrei aggiungere una cautela ulteriore nel valutare questi dati, rispetto a quella che ho segnalato in precedenza. Alcuni ci chiedono se non sia aumentato il lavoro irregolare. Noi con questa indagine non siamo in grado di darvi una risposta. Speriamo, nel corso delle indagini che stiamo proseguendo, al termine di quell'anno previsto per il monitoraggio, di poter dire qualcosa anche in questa direzione, cioè di poter indirettamente misurare un eventuale difetto di scivolamento verso il lavoro irregolare.
  Passo ora alla seconda questione, che riguarda la valorizzazione del comparto tecnico professionale del sistema formativo italiano come una scelta vincente per migliorare il rapporto tra sistema formativo e mercato del lavoro. Credo che ormai il sogno della licealizzazione sia tramontato. Grazie a dio questo comparto riceve oggi maggiore attenzione di quanto non ne abbia ricevuta in passato.
  Io credo che, oltre alle modifiche legislative, sia necessaria anche un'operazione Pag. 12culturale, proprio per ridare dignità a questo tipo di percorso formativo, cioè alla formazione professionale. Gli IPS, gli istituti tecnici e gli istituti tecnici superiori devono avere nel nostro Paese la stessa considerazione che hanno in altri Paesi, perché solo attraverso questo meccanismo culturale è possibile convogliare felicemente tanti giovani in questi percorsi. Altrimenti i giovani, e specialmente le famiglie, pensano sempre ad altri percorsi che poi li portano su binari morti.
  In questo senso, è fondamentale l'orientamento. Purtroppo noi abbiamo un sistema di orientamento molto gracile, che manda decine di migliaia di giovani su quei binari morti di cui dicevo in precedenza. In particolare, vedo all'università giovani che scelgono i percorsi di laurea più strani, e poi si ritrovano disoccupati. Sarebbe bastato un po’ di buon orientamento del giovane e della famiglia all'inizio per evitare tragedie che poi dobbiamo scontare tutti nel tempo.
  L'ultima risposta riguarda la Youth Guarantee. Io direi che ovviamente è una buona cosa. Noi, per la verità, non dobbiamo imparare tanto. Voi sapete che il decreto legislativo n. 181 del 2000 garantiva lo stesso tipo di servizi sul piano formale. L'idea non è dunque così nuova per il nostro Paese. C’è di nuovo che l'Europa ci invita a dare effettività a queste promesse.
  Per dare effettività a queste promesse, c’è bisogno di un sistema di servizi per l'impiego che consenta di raggiungere i giovani destinatari di questa promessa, rafforzando i centri per l'impiego pubblici e utilizzando al meglio le strutture accreditate.
  Con le risorse a disposizione, non ce la facciamo a raggiungere i 2 milioni di giovani NEET tra i 15 e i 29 anni, o il milione e rotti tra i 14 e i 24 anni. Bisogna standardizzare il tipo di servizi, in modo che sia replicabile su tutto il territorio, selezionare i giovani, poiché non ce la facciamo ad arrivare a tutti; e aggiungere risorse nuove e diverse da quelle della Youth Guarantee. Bisogna probabilmente aggiungere soldi al Fondo sociale europeo.
  Oltre alla garanzia per i giovani, secondo me ci starebbe bene un piano per i giovani, dove aggiungere altri elementi, tra cui il tema che il presidente richiamava, ossia la trasmissione di competenze tra generazioni in uscita e generazioni in entrata. Forse anche il servizio civile potrebbe essere un tema interessante per completare la gamma degli strumenti a disposizione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il presidente Varesi e il dottor Marco Centra, e naturalmente tutti coloro che sono intervenuti.
  Come vedete, abbiamo bisogno di studiare molto. Non basta ascoltare o vivere di luoghi comuni. Bisogna entrare dentro i numeri, censuari o statistici che siano, per comprendere effettivamente la portata dei fenomeni.
  Leggeremo con attenzione i documenti dell'ISFOL. È di particolare interesse il fatto che gli interventi che abbiamo ascoltato hanno un'inerenza diretta con la proposta che il Governo avanzerà, sui contratti a termine, sull'apprendistato, sulle partite IVA e sui centri per l'impiego. Avremo quindi materia viva sulla quale trattare.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.

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