Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Giovedì 27 giugno 2013

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Polverini Renata , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE MISURE PER FRONTEGGIARE L'EMERGENZA OCCUPAZIONALE, CON PARTICOLARE RIGUARDO ALLA DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
Polverini Renata , Presidente ... 3 
Sabbadini Linda Laura , Direttore del dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT ... 3 
Baldacci Emanuele , Direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT ... 5 
Polverini Renata , Presidente ... 7 
Piccolo Giorgio (PD)  ... 7 
Tinagli Irene (SCPI)  ... 8 
Baruffi Davide (PD)  ... 8 
Cominardi Claudio (M5S)  ... 8 
Polverini Renata , Presidente ... 8 
Sabbadini Linda Laura , Direttore del dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali ... 9 
Baldacci Emanuele , Direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT ... 10 
Polverini Renata , Presidente ... 11 
Giammanco Gabriella (PdL)  ... 11 
Tinagli Irene (SCPI)  ... 11 
Baldacci Emanuele , Direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT ... 12 
Sabbadini Linda Laura , Direttore del dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT ... 12 
Polverini Renata , Presidente ... 12 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti dell'ISTAT ... 13

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Fratelli d'Italia: FdI;
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero: Misto-MAIE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE RENATA POLVERINI

  La seduta comincia alle 14,10.

  (La Commissione approva il processo verbale della seduta precedente).

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISTAT.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle misure per fronteggiare l'emergenza occupazionale, con particolare riguardo alla disoccupazione giovanile, l'audizione di rappresentanti dell'ISTAT.
  Sono presenti il dottor Emanuele Baldacci, Direttore del Dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzioni e di ricerca, la dottoressa Linda Laura Sabbadini, Direttore del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali, la dottoressa Patrizia Cacioli, Direttore della Direzione centrale per la diffusione e la comunicazione dell'informazione statistica, la dottoressa Daniela Marchesi, dell'Ufficio di Presidenza per le attività tecnico-scientifiche, la dottoressa Mariella Cozzolino del Dipartimento per le statistiche sociali e ambientali e la dottoressa Federica Pintaldi responsabile dell'Unità operativa «Forze di lavoro: analisi, diffusione e indagini ad hoc del mercato del lavoro».
  Avverto che gli auditi hanno messo a disposizione della Commissione una documentazione, di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Nel ringraziarli ancora una volta per la loro presenza, do loro la parola.

  LINDA LAURA SABBADINI, Direttore del dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT. Introduco la prima parte, che riguarda in particolare gli aspetti del mercato del lavoro disciplinati dalla legge n. 92 del 2012. A una parte nella quale rispondiamo ai vostri quesiti, ne segue una seconda, relativa ai possibili effetti sull'occupazione di un'eventuale riduzione del carico fiscale sul lavoro, sulla quale interverrà il dottor Baldacci.
  Comincio con una breve considerazione che riguarda la situazione del nostro mercato del lavoro. Nel 2012 lo stato di progressivo peggioramento che stiamo registrando si è accentuato anche nei primi mesi del 2013. Siamo arrivati a un tasso di occupazione minimo del 58 per cento nel nostro Paese, a un tasso di disoccupazione massimo del 12 per cento e a un tasso di disoccupazione giovanile del 40,6 per cento.
  Il calo dell'occupazione che si è registrato dall'inizio della crisi del 2008 è stato di 500 mila unità; in particolare, si è concentrato nella componente giovanile, che ha visto un crollo di 727 mila unità, con sette punti percentuali di calo del tasso di occupazione giovanile fino a 29 anni, che è arrivato al 32,5 per cento. Questo ha fatto sì che è aumentata negli anni la distanza, che già era elevata, nei confronti del resto della media europea.Pag. 4
  A ciò va aggiunto che dalla seconda metà del 2011 abbiamo assistito a una ripresa sostenuta della disoccupazione. La crescita è stata molto accentuata; nell'ultimo anno c’è stato un incremento del 30 per cento dei disoccupati. Accanto alla crescita della disoccupazione, è anche aumentata la durata della disoccupazione stessa: oltre il 50 per cento dei disoccupati è disoccupato da più di un anno.
  Va sottolineato che a fianco della crescita della disoccupazione, al contrario di quello che è successo in passato, cresce contemporaneamente un segmento dell'inattività, ossia persone che non cercano lavoro ma che vorrebbero lavorare. In molti casi sono scoraggiati. In sostanza, ambedue i segmenti stanno crescendo nel nostro Paese: circa 3 milioni i disoccupati e altrettanti compresi in questo segmento, quindi, 6 milioni di persone che premono nei confronti del nostro mercato del lavoro e che vorrebbero lavorare.
  Finisco questo primo accenno di quadro per evidenziare che se è vero che la disoccupazione giovanile è un problema molto grosso per il nostro Paese, visto anche il calo dell'occupazione che si è verificato, va sottolineato che comincia a emergere un problema di disoccupazione adulta. In sostanza, se guardiamo il collettivo dei disoccupati, notiamo che fino a 29 anni sono disoccupati il 38 per cento; oltre i 39 anni, abbiamo un altro 35 per cento; il resto si trova fra i 30 e i 39 anni. Comunque, i giovani non sono la maggioranza del collettivo dei disoccupati attuali. Questo significa che sta crescendo il problema della disoccupazione giovanile, ma sta crescendo anche quello della disoccupazione adulta, che anzi si è intensificato nell'ultimo periodo.
  Un primo quesito che voi ponevate riguardava il ruolo dei centri dell'impiego come un elemento importante su cui vorreste operare. Da questo punto di vista, vi riportiamo alcuni dati di evidenza che emergono dall'indagine campionaria sulle forze di lavoro. Emerge che in Italia il lavoro si cerca moltissimo tramite canali informali: il 77 per cento dei disoccupati lo cerca tramite reti di amici, di parenti e di conoscenti, e questa quota è cresciuta di quattro punti percentuali. Questo non vuol dire necessariamente che si tratta di «raccomandazioni»; è un sistema di reti informali, cioè di conoscenze, legato anche al tipo di struttura produttiva di piccole imprese presente all'interno del nostro Paese.
  Un altro 70 per cento dei disoccupati invia curriculum; un 62 per cento usa internet, in crescita elevatissima, di venti punti percentuali nel giro di pochissimo tempo. Va detto, però, che l'utilizzo dei centri per l'impiego è molto scarso rispetto agli altri Paesi europei. Il 33 per cento dei disoccupati si rivolge ai centri dell'impiego, ma in Germania lo fa l'80 per cento e in Francia il 57 per cento.
  L'aspetto più grave è che tra quelli che hanno trovato lavoro nell'ultimo anno solo l'1,4 per cento dei giovani si era rivolto al centro per l'impiego e lo ha trovato tramite lo stesso, e il 2 per cento del complessivo segmento dei disoccupati. Questo vuol dire che non è efficace rivolgersi al centro per l'impiego per trovare lavoro. Al primo posto è sempre la rete informale che ha aiutato nel trovare lavoro, anche in questo periodo di crisi, oppure il rapporto diretto con gli imprenditori. Questo problema dunque si pone – per rispondere a uno dei quesiti che ponevate – sia per i centri per l'impiego che, più in generale, per la parte privata.
  Un altro quesito riguardava il tempo determinato. Il quadro ci dice che i tempi determinati in Italia sono 2.375.000 nel 2012, il 13,8 per cento dei dipendenti, più o meno come nella media europea. È un livello molto più basso della Spagna che, come sapete, ha livelli altissimi – prima li aveva ancora più alti, ma con la crisi il dato si è fortemente ridimensionato – che arrivano al 23,7 per cento.
  La forma contrattuale a tempo determinato nel nostro Paese è fortemente usata come forma di entrata, quindi è più diffusa soprattutto per la componente giovanile. Vediamo che più del 50 per cento ha fino a 34 anni, ma bisogna fare attenzione perché esiste una componente Pag. 5adulta che lavora a tempo determinato del 39,5 per cento fra 35 e 54 anni e del 10 per cento oltre i 54 anni. Vi è dunque una connotazione fortemente giovanile, ma emerge una componente adulta assunta a tempo determinato.
  In tutti i Paesi, durante la crisi si è assistito a una prima riduzione dei tempi determinati, soprattutto all'inizio della crisi, tra il 2008 e il 2009, perché sono i primi contratti a essere saltati, e poi un aumento. Questo è successo anche in Italia, sebbene dobbiamo sottolineare che l'ultimo trimestre del 2012 e il primo trimestre del 2013 segnalano di nuovo una sofferenza per quanto riguarda i tempi determinati, che cominciano a calare anche nel nostro Paese.
  I tempi determinati sono più diffusi fra le donne e i giovani, in particolare nel Sud del nostro Paese. La caratteristica fondamentale è che sono in gran parte contratti di breve durata: il 50 per cento è al di sotto dei dodici mesi e si arriva al 71 per cento se consideriamo anche l'anno. A livello europeo si arriva al 57 per cento, se consideriamo anche l'anno, il che vuol dire che la nostra caratteristica è di contratti a tempo determinato molto brevi.
  Va detto che una forma che si è sviluppata nell'ultimo periodo è la combinazione tra i tempi determinati e il part time, in particolare il part time involontario. Sono 675 mila i lavoratori che hanno contestualmente ambedue queste forme contrattuali. Questa, ad esempio, è la forma che si è molto diffusa in particolare nella grande distribuzione, dove per garantire l'apertura in lunghi orari si punta alla combinazione di queste due modalità. Si tratta, quindi, di una crescita di part time che si sta verificando nel nostro Paese, anche in questi momenti di crisi, soprattutto come elemento dal lato delle imprese e non di conciliazione dei tempi di vita; è un part time non voluto dalle persone che lo praticano.
  Inoltre, va detto che l'entrata nel mercato del lavoro in questa fase, che ovviamente è difficile, avviene molto attraverso i tempi determinati. Nell'ultimo anno il 53 per cento di coloro che sono entrati, lo hanno fatto attraverso contratti a tempo determinato.
  L'ultimo elemento cui accenno – quanto ho detto è ampiamente trattato sia nella relazione che nell'appendice statistica che vi abbiamo fornito – riguarda gli indipendenti, un tema che voi collegavate in particolare al problema delle partite IVA. Vi segnaliamo un dato importante: in Italia è in diminuzione il collettivo degli indipendenti, che adesso sono 5,6 milioni complessivamente. Questa diminuzione, però, non è solo effetto della crisi, ma è iniziata già prima, dalla seconda metà degli anni Novanta.
  Ciò che può essere utile ai vostri fini è che abbiamo disaggregato il collettivo degli indipendenti in indipendenti che non hanno dipendenti e che sono a loro volta mono-committenti, cioè hanno un solo committente o hanno vincoli stringenti di organizzazione o di orario o di luogo di lavoro, e indipendenti che possono avere più committenti e non hanno vincoli. Questo identifica un collettivo, soprattutto degli indipendenti senza dipendenti con mono-committenza, di 797 mila unità, al cui interno il 35 per cento ha vincoli stretti anche di orario, di luogo di lavoro, di organizzazione del lavoro nei confronti del proprio committente. Questo è per voi un elemento prezioso perché questo segmento è quello che più si avvicina non tanto a caratteristiche di lavoro indipendente, quanto a caratteristiche di lavoro dipendente mascherato.

  EMANUELE BALDACCI, Direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT. Rispondo brevemente alla domanda che ci è stata posta sugli effetti in termini occupazionali di possibili modifiche del quadro normativo, in particolare di una riduzione del carico fiscale a carico dei lavoratori o dei datori di lavoro.
  Per far questo non utilizziamo statistiche che riguardano il passato, ma modelli di simulazione che fanno analisi di scenario, cioè ci dicono quali sono gli effetti Pag. 6attesi di provvedimenti normativi, e in questo caso l'effetto atteso in termini di occupazione (nel testo trovate la documentazione anche sugli strumenti che sono stati utilizzati, nel caso siate interessati).
  Vi dico solo che l'ISTAT nel tempo ha costruito una batteria di questi modelli econometrici che servono a dare questo tipo di risposte. Mi accingo a riferirvi molto sinteticamente i risultati di alcune simulazioni che mostrano ciò che si può provare a fare con questi tipi di strumenti. Ovviamente l'articolazione degli scenari può essere modificata a piacere, quindi abbiamo fatto degli esempi parziali in questo senso.
  Il primo scenario di simulazione è stato effettuato con un modello di tipo macroeconometrico, cioè aggregato per tutta l'economia. Questo modello ci consente di cogliere tutte le reazioni tra le variabili economiche presenti all'interno del sistema. La domanda che abbiamo posto al modello è che cosa succede all'occupazione, nei prossimi tre anni, se riduciamo il carico fiscale e contributivo da parte del datore di lavoro di un punto percentuale di PIL, 15 miliardi circa di euro all'anno. Gli effetti, in termini di occupazione, sono quantificabili in circa 220 mila occupati in più alla fine del periodo di simulazione, cioè al 2015. Dunque, ridurre il carico fiscale e contributivo di un punto percentuale di PIL, circa due punti di aliquota contributiva sui datori di lavoro, genera occupazione aggiuntiva, rispetto a uno scenario in cui questo non avviene, possiamo dire a legislazione invariata, di 200 mila unità.
  Questo effetto si concretizza solo dopo tre anni di simulazione; mentre l'effetto iniziale è più debole, dopo dodici mesi dall'entrata in vigore del provvedimento l'effetto aggiuntivo di occupazione è di 160 mila unità. Questo effetto deriva dal fatto che il modello coglie l'effetto benefico della riduzione del carico fiscale sulle imprese che dovrebbe stimolare soprattutto investimenti e in parte, anche attraverso l'aumento della domanda, generare un aumento del reddito disponibile delle famiglie.
  Un secondo scenario analogo effettua la simulazione della riduzione del carico contributivo sul fronte delle famiglie, quindi ipotizza che quella stessa somma di riduzione del carico fiscale e contributivo sia a beneficio dei lavoratori, materialmente attraverso una riduzione dell'aliquota a carico del lavoratore equivalente sempre a un punto percentuale di PIL, 15 miliardi, che quindi si trasforma in una busta paga più pesante, una retribuzione netta più alta. L'effetto, in termini di occupazione, di questo provvedimento di uguale entità è molto diverso dallo scenario precedente.
  In questo caso, l'effetto a regime in termini di occupazione aggiuntiva è di sole 30 mila unità rispetto alle 200 mila che ci sono nello scenario in cui a beneficiare della riduzione del costo del lavoro sia il datore di lavoro. La differenza deriva dal fatto che l'effetto principale che viene colto dal modello è di un aumento dei consumi, cioè una busta paga più pesante dovuta alla riduzione delle aliquote contributive a carico dei lavoratori genera un aumento del reddito disponibile, quindi un aumento dei consumi.
  In questo scenario, infatti, i consumi privati aumenterebbero di circa un punto percentuale in più rispetto allo scenario normativo invariato. Questo è un incremento molto superiore rispetto a quello che si osservava nello scenario precedente.
  Per sintetizzare molto brevemente questi due scenari alternativi, in un caso la riduzione degli oneri a carico dei datori di lavoro genera effetti positivi sugli investimenti e sull'occupazione in modo consistente, e con un periodo di due anni perché abbia pienamente effetto; nell'altro caso, cioè nel caso in cui il beneficio vada a favore dei lavoratori, l'effetto è consistente soprattutto sul fronte dei consumi, cioè aumenterebbero di più i consumi privati, chiaramente per l'effetto stimolo sul reddito disponibile, ma l'effetto in termini di occupazione sarebbe molto ridotto, in una scala più o meno di uno a dieci.
  Devo dirvi come caveat che queste analisi tengono conto di una serie di fattori, Pag. 7ma devono fare alcune ipotesi. Quali sono le ipotesi critiche perché questi numeri si possano concretizzare nella realtà, cioè che se il legislatore decide di ridurre effettivamente gli oneri contributivi si abbia, dopo due anni, l'effetto che i modelli fotografano ? Due fattori sono molto importanti. Il primo è una liquidità del sistema finanziario tale per cui le imprese hanno accesso al credito più di quanto attualmente possano avere. Il secondo riguarda le aspettative degli imprenditori: se gli imprenditori sanno che la riduzione dell'onere contributivo e fiscale è permanente, quindi possono pianificare avendo questa certezza di orizzonte temporale, fanno scelte anch'esse permanenti, come ad esempio assumere persone a tempo indeterminato; se, invece, ci fosse l'aspettativa che questa scelta fosse, ad esempio, per motivi di instabilità di finanza pubblica, convertita in una scelta diversa, ovvero modificata a breve distanza, le reazioni e i comportamenti degli imprenditori in termini di occupazione sarebbero molto diversi.
  Questi numeri ipotizzano dunque che la manovra sia convincente, che sia finanziata e che abbia un impatto in un contesto in cui il sistema creditizio non è bloccato. Se queste condizioni valgono, c’è da attendersi che gli effetti sull'occupazione siano della quantità, della dimensione e delle modalità che vi ho accennato.
  Prendo solo un minuto per accennarvi un altro interessante spunto di analisi effettuata con un modello diverso, che guarda non ai dati aggregati, ma ai dati disaggregati sul fronte delle imprese. Posto che la prima delle due simulazioni, quella di riduzione dell'onere contributivo a carico delle imprese, è molto consistente dal punto di vista dell'impatto che avrebbe sull'occupazione, quali sono le imprese che avrebbero la gran parte dei benefici ? C’è molto dettaglio nel testo, quindi non vi cito tutti i numeri, ma nella sostanza i beneficiari maggiori, in termini di imprese, di questo provvedimento sarebbero le imprese di media e grande dimensione, le imprese localizzate nel nord-ovest del Paese e le imprese industriali in particolare. Quindi, le imprese più piccole, quelle localizzate nel sud del Paese e quelle che si occupano di servizi o di altri settori come le costruzioni avrebbero una quota di beneficio di riduzione dell'imposta molto minore.
  Per darvi un esempio, fatto 100 il totale di riduzione di imposta della manovra, il 62 per cento verrebbe catturato dalle imprese più grandi, quelle che hanno un fatturato superiore ai 7,5 milioni di euro. Similmente si possono fare altri esami sulle caratteristiche dei beneficiari di questo provvedimento.

  PRESIDENTE. Ringrazio i rappresentanti dell'ISTAT.
  Do la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare osservazioni.

  GIORGIO PICCOLO. Vorrei sapere se, in tutte le percentuali che ci avete riferito rispetto alla disoccupazione adulta, dal momento che molta disoccupazione è di lunga durata, è possibile includere anche chi non ha mai avuto un rapporto di lavoro.
  Noi parliamo di tetti fino a 24 o a 29 anni, ma ci sono generazioni che non si sono mai incontrate con il mondo del lavoro, non hanno avuto mai alcuna opportunità. Si parlava prima di disoccupati di lunga durata, ma nella mia città, a parte chi si organizza, ci sono generazioni che non hanno mai lavorato. Quando citiamo quelle percentuali, dunque, oltre a quelli che hanno perso il lavoro, anche ultracinquantenni, dovremmo specificare quanti non hanno mai avuto alcun rapporto di lavoro.
  Chiedo inoltre se avete posto al modello un'ulteriore domanda. Se immaginiamo l'incentivazione anche della mediazione pubblica – prima veniva detto che il 77 per cento di chi ha un lavoro lo ha trovato attraverso la rete informale, che siano amici, parenti, raccomandazioni e via dicendo – quindi i centri per l'impiego, salirebbe il dato dell'1,4, quindi si darebbe un'oggettività anche rispetto alle risposte di lavoro ?

Pag. 8

  IRENE TINAGLI. Poiché i modelli econometrici dipendono non solo dalle assunzioni sulla liquidità e sulle aspettative, ma da una serie di altre ipotesi – sullo scenario macroeconomico, che ogni due mesi cambia, sul PIL e via dicendo – mi chiedevo se, qualora siano disponibili, possiamo esaminare questi modelli macroeconomici ed eventualmente se si possano fare simulazioni. Potremmo darvi alcuni input e poi tenerci in contatto per avere dei riscontri da parte vostra. Non so se questo rapporto di feedback e di collaborazione sia inusuale oppure se abbiate dei paper dove potremmo apprendere i modelli usati e via dicendo.
  Per quanto riguarda i dati della disoccupazione, per me – e penso per tutti – sarebbe particolarmente interessante avere dei dati incrociati per capire, non solo a livello territoriale o dimensionale delle aziende, ma anche per tipo di ambiti e di settori, dove ci sono le maggiori difficoltà e dove invece i segnali positivi. La possibilità di avere semplici tabelle incrociate, che non credo sarebbe complicatissimo estrapolare dal database, sarebbe molto preziosa per valutare i trend.

  DAVIDE BARUFFI. Ci stiamo concentrando soprattutto sull'occupazione giovanile, anche per trovare le leve che possano incidere, a risorse scarse, in maniera più utile. Nei segmenti diversi che stiamo analizzando, voi avete giustamente raccolto la sollecitazione sui centri per l'impiego. Un'altra sollecitazione riguarda la formazione in generale e la formazione professionale: si dovrebbe provare a capire, anche su questo fronte, quali sono gli elementi che aiutano tendenze in atto, cioè la propensione all'occupazione di chi dispone di un certo tipo di formazione rispetto ad altri. Su questa prima questione vi chiedo se avete qualche dato o elemento aggiornato da poterci fornire.
  La seconda considerazione riguarda il modello che avete utilizzato. Voglio capire se è possibile fare questa induzione o se la forzatura è davvero eccessiva: lavorare sul fronte delle imposte, per quanto riguarda il costo del lavoro lato imprese risulta più funzionale all'occupazione, in generale, piuttosto che lavorare sul tema delle imposte per quanto riguarda redditi, patrimoni, imposte sui consumi per cittadini, lavoratori e famiglie ? Non è una domanda di poco conto. Tralasciando il nostro dibattito politico, mi interessa l'efficacia delle misure per capire quali possano essere, a risorse scarse, le finalizzazioni più utili, in questo caso, a generare occupazione.

  CLAUDIO COMINARDI. Relativamente al funzionamento dei centri per l'impiego, vorrei capire come l'introduzione delle agenzie interinali e delle agenzie di somministrazione di lavoro abbia inciso nel far perdere la centralità dell'incontro della domanda e dell'offerta. Ricordo che parecchi anni fa il servizio aveva un discreto grado di efficienza, che sicuramente è venuto meno a causa di questa concorrenza. Vorrei conoscere le vostre considerazioni in tal senso.
  In secondo luogo, avete fatto degli studi rispetto a quanto l'innalzamento dell'età pensionabile con la riforma Fornero abbia aggravato il problema dell'occupazione giovanile, in quanto si è limitato il ricambio generazionale ?

  PRESIDENTE. Prima di passare la parola ai rappresentanti dell'ISTAT vorrei porre anch'io alcune domande. Purtroppo prendiamo atto che queste audizioni ci stanno rappresentando un quadro che più o meno conosciamo, non soltanto sugli aspetti che riguardano i disoccupati, per fasce di età, per contesti sociali e territoriali, ma anche rispetto all'inefficacia di quello che dovrebbe essere lo strumento principale per chi cerca occupazione, ossia i centri per l'impiego. Mi pare che acquisiamo anche oggi la consapevolezza che una riforma è assolutamente necessaria.
  Con i rappresentanti di altri istituti abbiamo cercato di comprendere meglio – e lo domando anche a voi – quanto sia efficace un'integrazione più seria del sistema scuola-lavoro, ossia collegare i centri per l'impiego con le università, ma anche con istituti professionali, istituti tecnici eccetera.Pag. 9
  Inoltre, vorrei sapere se avete analizzato, rispetto ai modelli presenti nelle varie regioni, quali sono gli aspetti positivi e quali gli aspetti negativi, con riferimento ai dati che elaborate, in un sistema a prevalenza pubblica o misto. Mi riferisco ovviamente a regioni come l'Emilia-Romagna o la Lombardia, che hanno sistemi differenti, seppure efficaci. Vorrei capire quali sono gli aspetti da prendere in considerazione in senso positivo o negativo.
  In secondo luogo, vorrei sapere se c’è il dato scomposto per regioni, in particolare rispetto ad alcuni istituti per i quali la legislazione e l'intervento economico delle regioni hanno una rilevanza, per esempio il contratto di apprendistato o il sistema formativo. Abbiamo la necessità di capire se gli interventi che ciascuna regione ha messo in campo abbiano prodotto occupazione, e di che tipo.
  Questo è importante perché stiamo anche valutando se vengono compromessi dalla riforma delle pensioni non soltanto i dati che riguardano i giovani – è evidente che più lasciamo gli anziani al lavoro più creiamo difficoltà per i giovani – ma anche, dal punto di vista delle modifiche introdotte dalla legge Fornero, alcuni istituti come il contratto a tempo determinato o l'apprendistato. Peraltro, siamo in una fase in cui stiamo elaborando un ragionamento, anche d'intesa con il Governo, per capire se è il caso di introdurre dei correttivi.
  Vorremmo sapere se avete dei dati che ci evidenziano penalizzazioni oppure no, dal momento che su questo abbiamo avuto tesi discordanti da parte di altri istituti. Qualcuno ci dice che la legge ha penalizzato alcuni contratti, qualcun altro ci dice invece che questo era dovuto soltanto alla crisi e che quella norma sta funzionando.
  Ovviamente non vi chiediamo di risponderci adesso. Rispetto al dato che avete in istituto, vi domandiamo se è possibile integrare, qualora non fossero presenti nella documentazione che ci state lasciando, questi elementi che per noi sarebbero sicuramente preziosi.
  Do la parola agli auditi per la replica.

  LINDA LAURA SABBADINI, Direttore del dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali. Partiamo dalla disoccupazione, in particolare dalla domanda relativa alla parte della disoccupazione che non è legata a precedenti esperienze lavorative. Al momento attuale risulta che, su un totale di circa 3 milioni di disoccupati, abbiamo 833 mila disoccupati in cerca di prima occupazione, però normalmente questo è il segmento soprattutto giovanile, quindi non dovrebbe essere una disoccupazione di lunghissima durata, seppure comincia a essere lunga perché con il protrarsi della crisi anche per i giovani è difficile entrare nel mercato del lavoro; 647 mila sono ex inattivi, che vuol dire che nel periodo precedente alla ricerca non avevano lavorato, ma potevano magari aver lavorato molto più in passato. Nel complesso, se sommiamo le due voci, siamo a 1,5 milioni circa, ossia al 50 per cento, pur considerando l'esistenza di questo segmento che non si può dire che non abbia mai avuto esperienza con il mercato del lavoro, poiché magari ce l'ha avuta più indietro nel tempo.
  Il secondo livello riguarda l'incrocio dei dati dei disoccupati rispetto ai vari settori. Questi incroci ovviamente ci sono, ma in questo momento particolare è emerso che il grosso di questa disoccupazione è stato prodotto soprattutto dai settori dell'industria e delle costruzioni, che sono stati il cuore della crisi, più che dal settore dei servizi. Questo ha spiegato anche perché gran parte di questa disoccupazione aggiuntiva, in particolare quella di persone che hanno perso il lavoro, è stata più maschile che femminile. Comunque, l'incrocio di questi dati si può ritrovare sul sito dell'ISTAT, su I.Stat. Possiamo anche rispondere a vostre eventuali richieste specifiche, tuttavia sulla homepage dell'ISTAT, nella sezione I.Stat, potrete agevolmente navigare e trovare risposte a quesiti specifici.
  Sui temi dell'occupazione e della disoccupazione giovanile, del legame con i diplomi e via dicendo, un dato che è emerso abbastanza nettamente è che il punto critico, dal punto di vista dei giovani, è Pag. 10stato rappresentato dalla parte che non aveva la laurea. I laureati hanno retto molto meglio degli altri l'impatto della crisi. Questo è il contrario del senso comune e lo sottolineo appositamente perché si è sempre detto che la laurea non serve. In realtà, la laurea è stato un elemento di protezione per i giovani, anche se non necessariamente in termini del tipo di lavoro che si svolge, perché è aumentata la quota dei sovraistruiti. I giovani con la laurea, però, hanno perso un po’ meno occupazione di quanto sia accaduto per i giovani diplomati. Ovviamente all'interno dei diplomati ci sono delle differenze; ci sono dei settori tecnici che vanno molto meglio rispetto ad altri. Abbiamo svolto un'indagine sugli sbocchi professionali dei diplomati, che possiamo consegnarvi in modo tale che possiate utilizzarla, perché è stata fatta proprio nel periodo della crisi.
  Ci è stato chiesto quanto l'innalzamento dell'età pensionabile possa aver inciso per quanto riguarda gli aspetti relativi all'occupazione. Il quadro complessivo che emerge è abbastanza chiaro. I tassi di occupazione sono calati di molto per la componente giovanile, per la componente adulta abbastanza, mentre per la componente sopra i 54 anni in realtà sono aumentati. Questo spiega perché l'occupazione femminile non ha risentito quanto quella maschile della crisi, o meglio ne ha risentito, ma in un modo molto diverso, essendo meno concentrata nell'industria e soprattutto perché l'innalzamento dell'età pensionabile, avvenuto in particolare per la componente delle donne, ha fatto sì che il tasso di occupazione delle ultracinquantenni crescesse, e pure di vari punti, mentre in parallelo diminuiva e continuava a diminuire, anche tra le donne, il tasso di occupazione giovanile.
  In sostanza, abbiamo avuto un aumento della permanenza degli ultracinquantenni, sia uomini che donne, ma soprattutto donne, una diminuzione del tasso di occupazione giovanile sia degli uomini che delle donne, e una diminuzione del tasso di occupazione delle fasce adulte, seppure meno intensa di quella giovanile.
  Passando ai centri per l'impiego, va detto che il dato che emerge, per esempio rispetto alle agenzie interinali, è che nell'arco degli anni della crisi non c’è stata una modifica del loro utilizzo. Nelle azioni di ricerca di lavoro, i disoccupati le utilizzano circa nel 20 per cento dei casi, mentre c’è stato un incremento nel rivolgersi ai centri per l'impiego. Noi abbiamo un'incidenza dell'utilizzo dei centri per l'impiego che è più alta del passato, ma il problema è che tale utilizzo non è efficace. Peraltro, esso è più alto che nel passato, ma non è mai alto come in Germania, dove questo strumento è stato profondamente riformato, o in Inghilterra o in altri Paesi. Comunque sia, magari si arriva al 33 per cento, però concretamente si trova lavoro attraverso il centro per l'impiego nell'1 per cento dei casi. L'utilizzo dunque è cresciuto, ma nello stesso tempo continua a non essere efficace.
  Per quanto riguarda la domanda sulla possibilità di conoscere i dati suddivisi per regione, soprattutto sulle diverse tipologie di contratti, non sono tanto i dati nostri che andrebbero sfruttati in questo senso, ma quelli delle comunicazioni obbligatorie del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, che costituiscono una miniera che andrebbe assolutamente approfondita. L'approfondimento andrebbe fatto soprattutto attraverso agganci longitudinali di quei dati, che è bene analizzare non soltanto in termini di flussi, ma cercando di riagganciare i percorsi delle persone per riuscire a capire quello che veniva richiesto.
  Da un punto di vista del territorio, per confrontare gli elementi richiesti, secondo me è opportuno prevedere un approfondimento di analisi dei dati delle comunicazioni obbligatorie.

  EMANUELE BALDACCI, Direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT. Rispondo brevemente ai quesiti che riguardavano le simulazioni e Pag. 11l'uso dei modelli e parto dalla domanda dell'onorevole Tinagli sulla presenza di materiali di documentazione sul modello che ne spieghi anche la natura.
  In sintesi, è presente già in appendice una piccola spiegazione non tecnica e sul nostro sito ci sono già dei documenti, ma volendo possiamo far pervenire alla presidenza anche materiali più tecnici, compresi paper che spieghino le questioni nel dettaglio. Dico solo che il nostro modello econometrico è molto simile, come impianto, a quello della Banca d'Italia o del Ministero dell'economia e delle finanze. La differenza fondamentale rispetto a modelli di altre istituzioni è che il nostro è molto più intensivo di dati. Noi facciamo sì che le elasticità, che sono il cuore di questi modelli, vengano dettate non necessariamente dalla teoria economica o da vincoli teorici forti a priori, ma siano basate su lunghe serie storiche di indicatori. Il nostro, quindi, è un modello data-driven.
  Certamente siamo favorevoli a mettere a disposizione sia lo strumento che l’expertise presente nell'istituto dietro l'utilizzo dello strumento – che purtroppo è un po’ complesso, perché si tratta di più di cento equazioni di comportamento – per fare simulazioni ad hoc. Vi ho presentato due scenari per dare un senso del range di possibili risultati, ma ovviamente il modello è a disposizione se si volessero fare approfondimenti più specifici.
  Non voglio lasciare domande inevase, tuttavia risponderò con degli slogan, riservando ad altro momento eventuali approfondimenti. L'onorevole Baruffi ha chiesto se quindi si deve dedurre che interventi sul fronte degli oneri a carico dei datori di lavoro siano più efficaci, ai fini della generazione di nuova occupazione, rispetto a interventi su altre basi imponibili (per parlare franco, IVA, IMU o contributi sociali a carico dei lavoratori). La risposta breve è sì, la risposta più specifica è che, se volete, possiamo farvi vedere dei dati, perché queste simulazioni le abbiamo fatte, però il risultato è esattamente quello che lei interpretava: gli interventi sul fronte degli oneri a carico dei datori di lavoro sono più efficaci in termini di generazione di nuova occupazione.

  PRESIDENTE. Se lei continua, un giorno veniamo all'ISTAT e seguiamo una bella lezione di tecnica attuariale, di modelli econometrici e via dicendo.

  GABRIELLA GIAMMANCO. Non avevo posto prima questa domanda perché speravo di trovare la risposta all'interno degli appunti che ci avete lasciato, ma non l'ho trovata. Lei ha detto che lo sgravio fiscale sui datori di lavoro andrebbe più a beneficio delle aziende che si trovano al nord piuttosto che al sud e anche delle aziende medio-grandi piuttosto che di quelle piccole. Essendo io siciliana ed avendo a che fare con piccole imprese e piccole realtà, mi chiedevo come mai ci fosse questa differenza.

  IRENE TINAGLI. Intervengo solo per una precisazione. Sul tema del rapporto tra allungamento dell'età pensionabile e occupazione giovanile, questa correlazione chiaramente non ci dice moltissimo, perché questi due-tre anni sono stati anni di grande crisi, nei quali i primi ad essere licenziati sono i lavoratori assunti con contratti a tempo determinato, che per l'appunto sono i giovani e le donne. Sarebbe, secondo me, molto utile andare oltre la descrittiva, anche perché ci sono esperienze internazionali che vanno in senso opposto. I Paesi del nord Europa hanno fatto le riforme delle pensioni, negli anni Novanta, e non hanno avuto ripercussioni sulla disoccupazione giovanile. Al contrario, in Italia abbiamo avuto il boom dei prepensionamenti negli anni Novanta e la disoccupazione giovanile in quegli anni è schizzata, senza nessun minimo miglioramento.
  Si potrebbe fare un'analisi econometrica un po’ più elaborata, con un panel longitudinale che parta dagli inizi degli anni Novanta, da quando si è iniziato a fare le riforme, con qualche variabile di controllo sui settori, magari quelli che più hanno usufruito dei prepensionamenti. Pag. 12Poiché quella posta dal collega è una domanda che ricorre e mi sembra che i dati ci siano, si potrebbe seguire questa strada.

  EMANUELE BALDACCI, Direttore del dipartimento per l'integrazione, la qualità e lo sviluppo delle reti di produzione e di ricerca dell'ISTAT. Rispondendo alla domanda sul perché della localizzazione di questi guadagni in alcune aree e su alcune tipologie di impresa, il primo motivo è la dimensione di impresa – tanto più grande è la dimensione di impresa, tanto maggiore è il beneficio di uno sgravio che va a caricarsi sul costo del lavoro – quindi il settore, che privilegia il nord-ovest, infine la situazione debitoria nei confronti dell'imposta sui redditi e dell'IRAP relativa delle imprese. Ci sono più imprese al sud, detto ancora molto semplicisticamente, che non sono a debito d'imposta, cioè che hanno profitti negativi o comunque hanno un'imposta molto bassa, quindi beneficiano meno della riduzione simulata in questo esercizio.

  LINDA LAURA SABBADINI, Direttore del dipartimento per le statistiche sociali ed ambientali dell'ISTAT. Sono d'accordo sul fatto che ovviamente non si può rispondere automaticamente, aumentando una cosa o un'altra. Va detto che si possono fare approfondimenti in questo senso, però è anche vero che, essendo questa riforma avvenuta in un momento di non crescita, è chiaro che un effetto di spiazzamento sicuramente c’è stato. Essendo la riforma avvenuta in un momento particolarmente critico come questo, perlomeno nel breve periodo, non necessariamente nel medio o nel lungo, questo spiazzamento lo ritroviamo.
  Approfondimenti se ne possono assolutamente fare, però va anche detto che avendo noi fatto questa indagine in una fase di non crescita – altri non l'hanno fatta in una fase di questo tipo – abbiamo avuto ovviamente anche effetti diversi.

  PRESIDENTE. Ringraziamo i rappresentanti dell'ISTAT per il loro contributo e i componenti della Commissione per aver posto domande che hanno offerto un quadro più dettagliato.
  Se è possibile, aspettiamo i documenti con le implementazioni che abbiamo chiesto, perché ci saranno molto utili. Ci dispiace dover ancora una volta constatare che c’è uno scollamento tra le istituzioni, almeno rispetto alla raccolta e al censimento dei dati. Lei giustamente ci indirizzava verso il Ministero del lavoro per le comunicazioni obbligatorie, ma sappiamo bene che non troviamo, almeno in un unico centro, tutti i dati che invece sarebbero di grandissimo aiuto per chi come noi può, in una situazione così drammatica, dare una mano.
  Forse questo è un tema che la Commissione si dovrà porre. Siamo reduci da diverse sedute in cui ci viene sempre detto che il dato di un ente o di un istituto è censito in maniera diversa. Naturalmente faremo la nostra parte, nella consapevolezza che l'acquisizione dei dati in questo Paese è davvero difficile.
  Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.

Pag. 13

ALLEGATO

Pag. 14

Pag. 15

Pag. 16

Pag. 17

Pag. 18

Pag. 19

Pag. 20

Pag. 21

Pag. 22

Pag. 23

Pag. 24

Pag. 25

Pag. 26

Pag. 27

Pag. 28

Pag. 29

Pag. 30

Pag. 31

Pag. 32

Pag. 33

Pag. 34

Pag. 35

Pag. 36

Pag. 37

Pag. 38

Pag. 39

Pag. 40

Pag. 41

Pag. 42

Pag. 43

Pag. 44

Pag. 45

Pag. 46

Pag. 47

Pag. 48

Pag. 49

Pag. 50

Pag. 51

Pag. 52

Pag. 53

Pag. 54

Pag. 55

Pag. 56

Pag. 57

Pag. 58

Pag. 59

Pag. 60

Pag. 61

Pag. 62

Pag. 63

Pag. 64

Pag. 65

Pag. 66

Pag. 67

Pag. 68