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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Mercoledì 10 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione della Ministra della salute, Beatrice Lorenzin.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Lorenzin Beatrice (AP) , Ministra della salute ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11 
Valiante Simone (PD)  ... 11 
Ruta Roberto  ... 12 
Lorenzin Beatrice (AP) , Ministra della salute ... 12 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14 
Lorenzin Beatrice (AP) , Ministra della salute ... 14 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 14.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione della Ministra della salute, Beatrice Lorenzin.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione della Ministra della salute Beatrice Lorenzin, che salutiamo e ringraziamo per la disponibilità.
  Diamo subito la parola alla ministra. Ovviamente, oltre che rispondere ai quesiti che abbiamo già trasmesso per tempo, la ministra interverrà anche sulla parte di interesse della Commissione, che riguarda uno degli aspetti più importanti, se non il più importante, del rapporto Stato-Regioni e del «sistema delle conferenze», proprio legato alla salute.
  Abbiamo chiesto alla ministra di intervenire su queste questioni, perché fanno parte dell'oggetto della nostra indagine conoscitiva e siamo molto interessati a capire come funziona, per la parte di sua competenza, il sistema di raccordo attuale e come dovrebbe funzionare con la nuova Costituzione.

  BEATRICE LORENZIN, Ministra della salute. Grazie presidente. Le esprimo tutto il mio apprezzamento per aver avviato questa indagine conoscitiva e anche per aver posto uno dei temi più importanti, che forse è stato anche tra i meno esplorati durante la fase delle argomentazioni e nel corso del dibattito sulla riforma del Senato, ossia il rapporto nuovo che si viene a creare tra la nuova camera del Senato, la Conferenza Stato-Regioni e il sistema sanitario nazionale.
  Dal punto di vista dell'interazione tra la Conferenza Stato-Regioni e il nuovo Senato pochissimo è stato detto. Probabilmente molto dovrà essere ancora detto e costruito, con gli atti legislativi che verranno dopo l'istituzione del nuovo assetto costituzionale e del nuovo Senato.
  Credo che questo sia uno dei temi più importanti, perché riguarda un settore che assorbe una parte preponderante della spesa pubblica italiana, connessa alla nostra gestione del fondo sanitario nazionale. È un tema che ci dà anche la possibilità di implementare e migliorare il sistema nato dopo il titolo V, alla luce dei cambiamenti che ci sono stati e delle trasformazioni nella gestione dell'amministrazione sanitaria nei vari territori.
  Sappiamo delle grandi luci del nostro sistema sanitario e sappiamo anche quali sono le ombre, molte delle quali sono state da noi stessi evidenziate sia nelle due indagini conoscitive, tenutesi alla Camera e al Senato durante questa legislatura sul funzionamento del sistema sanitario nazionale, sia da rapporti di organizzazioni terze che hanno fatto la fotografia del sistema italiano.
  Tra queste, vi è quella di Bloomberg, che colloca il sistema sanitario italiano, nel rapporto tra costo e beneficio, al terzo posto nel mondo, dopo Hong Kong e Singapore; l'altra è quella più dettagliata Pag. 4dell'OCSE, che ci pone tra i primissimi posti, dal punto di vista della qualità e dell'erogazione di assistenza, ma che trova anche una delle ombre del sistema italiano proprio nella frammentarietà del sistema regionale, verificatosi all'indomani della riforma del Titolo V, quindi nella realizzazione di due sanità, a due velocità, che di fatto sussistono nel nostro territorio; vi è dunque la necessità di riportare questo sistema a una armonizzazione.
  Su questo ovviamente pesano moltissimo i livelli decisionali. L'organo che ha rappresentato il tentativo di concertazione, di attuazione del federalismo e dei rapporti tra Stato e Regioni è proprio stata la Conferenza, con le sue luci e le sue ombre.
  Oggi leggerò una relazione. Non è mia abitudine farlo e infatti avevo già iniziato a darvi qualche elemento, ma ci sono molti aspetti, anche tecnici, che voglio lasciare agli atti. Se strada facendo me lo permetterete, poi, farò qualche commento, perché è importante anche l'esperienza vissuta quotidianamente nel confronto con la Conferenza e con i problemi pratici da affrontare sia come Stato, sia come singola Regione nel rapporto con lo Stato e sia come singola Regione nel rapporto con la Conferenza.
  Immaginiamo cosa accadrà quando ci sarà il Senato, quindi dobbiamo cominciare a ragionare su dove vogliamo andare all'indomani della riforma.
  Tenterò di evidenziare i principali aspetti problematici e le criticità che nel settore sanitario, e nei settori ad esso connessi, sono derivati dall'attuale assetto costituzionale, in materia di riparto di competenze tra livelli di governo, aspetti problematici e criticità, per le soluzioni dei quali, come dicevo, si è fatto un massiccio ricorso al «sistema delle conferenze». Del resto, abbiamo avuto, e abbiamo, un ricorso alla Conferenza che di fatto è molto forte. È un momento che viene utilizzato per risolvere una nutrita serie di questioni pratiche e per l'attuazione delle norme.
  Quando parlo di questioni pratiche non intendo solo nel rapporto tra il legislatore statale e le Regioni, ma anche tra Regione e Regione, per cercare di ovviare al problema della frammentarietà che vi ho detto e per provare a riportare ad unità o ad armonizzare al massimo le decisioni che vengono assunte.
  Per ognuno di tali aspetti formulerò qualche considerazione, in ordine alle novità apportate dalla riforma costituzionale, il cui iter di approvazione parlamentare sta per concludersi, al fine di verificare se e in che misura quest'ultima possa attenuare le criticità evidenziate e di conseguenza limitare il ricorso alle predette conferenze, eventualmente determinando anche un mutamento delle funzioni di queste ultime.
  Ritengo importante evidenziare sin da subito come, nonostante si debba certamente riconoscere che il «sistema delle conferenze» abbia giocato un ruolo fondamentale nell'attuazione del Titolo V della Costituzione, tuttavia esso ha dimostrato e dimostra inevitabili limiti, consistenti soprattutto nell'appesantimento dei processi decisionali, anche nei casi in cui invece sarebbe necessaria una maggiore celerità e immediatezza nell'assunzione delle decisioni; limiti questi, beninteso, che non sono imputabili al «sistema delle conferenze» in sé considerato, bensì proprio all'attuale disciplina costituzionale, in tema di rapporti tra livelli di governo.
  Vi faccio l'esempio del Patto della salute, siglato nel luglio del 2014. I punti del Patto della salute sono stringenti. Molti di questi li abbiamo recuperati nelle leggi di stabilità che si sono susseguite per renderli operativi, molti di questi sono punti stringenti che servono per l'attuazione di programmi e dei livelli essenziali di assistenza (LEA) e altri invece giacciono nella Conferenza, nonostante ci sia stata una volontà forte al riguardo, sancita nel Patto.
  Uno di questi è l'articolo 22 sull'accesso alle professioni, su cui c’è stato un grosso dibattito, ma che per il momento è fermo. Un altro è il Patto della salute digitale, che riguarda tutta la digitalizzazione del sistema, nonostante sia stato approvato e nonostante siamo anche già intervenuti con varie disposizioni.
  Quindi, quando si fanno riforme che devono agganciare ad esempio lo sviluppo Pag. 5tecnico-scientifico, diventa un problema di funzionalità, per cui si ha la necessità di agganciare una nuova scoperta scientifica, di innovare, ma si dispone di un modello organizzativo che non riesce a stare dietro alla novità. Se la Conferenza, o i momenti decisionali, diventano eccessivamente lunghi, si rischia che quando si è operato dal punto di vista della Conferenza, e quindi si è operativi, si va a normare qualcosa che è già vecchio e che necessiterebbe di un nuovo passaggio.
  Ritengo che i principali motivi che hanno determinato l'ampio ricorso al «sistema delle conferenze», soprattutto nel settore della salute, siano sinteticamente individuabili nei seguenti: ampliamento delle funzioni legislative attribuite alle regioni e difficoltà di distinguere, nell'ambito della potestà legislativa cosiddetta concorrente, i princìpi fondamentali riservati alla competenza legislativa statale dalle norme di dettaglio, di competenza invece delle Regioni; impossibilità per lo Stato di adottare regolamenti in materie diverse da quelle attribuite alla sua potestà legislativa esclusiva, che, in caso di sanità, può essere un problema. In virtù di tale divieto, infatti, lo Stato non può emanare regolamenti nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni, come è appunto il caso della tutela della salute. Immaginiamo la materia alimentare e alcuni temi riferiti ad asset legati a un virus, alle vaccinazioni o ad altre questioni che possono richiedere un approccio nazionale e non un approccio puramente regionalistico. Infine: impossibilità per lo Stato di adottare atti di indirizzo e coordinamento nelle materie riservate alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni.
  Quanto al primo aspetto, è noto che la riforma del Titolo V ha notevolmente rafforzato e ampliato la potestà legislativa delle Regioni, in primo luogo enumerando le materie espressamente riservate allo Stato e lasciando alle Regioni tutte le altre, in tal modo invertendo radicalmente il criterio di cui al testo previgente, che invece elencava le materie attribuite alle Regioni, lasciando tutte le altre allo Stato, che restava dunque l'ente a competenza legislativa generale.
  Inoltre, in molti casi è cambiato qualitativamente il titolo di legittimazione degli interventi legislativi regionali. Per quanto riguarda il settore della sanità, si pensi che il previgente testo del Titolo V attribuiva alla potestà concorrente delle Regioni la materia alquanto circoscritta dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, mentre il nuovo Titolo V fa riferimento a quella ben più ampia della tutela della salute, che riguarda una varietà di situazioni enorme: dalla salute degli animali alla salute delle persone, alla sicurezza agroalimentare, con questioni che ci vengono poste dalla contingenza. Come dico sempre io, i virus non riconoscono i confini delle Regioni. Non riconoscono quelli degli Stati e dei continenti, immaginatevi quelli delle Regioni.
  D'altra parte, già le precedenti riforme del servizio sanitario introdotte con il disegno di legge del 1992, la cosiddetta riforma-bis, e con la successiva riforma del 1999, la cosiddetta riforma-ter, avevano fortemente enfatizzato la regionalizzazione del servizio sanitario nazionale, il cui aspetto più vistoso è stata la configurazione delle ASL quali enti strumentali delle Regioni.
  In tale contesto, man mano che la legislazione nel settore sanitario è aumentata, determinando una stratificazione normativa sempre più complessa a livello regionale, ci si è resi conto che i princìpi fondamentali della materia che lo Stato è abilitato ad emanare non erano sufficienti per garantire quelle esigenze di uniformità e unitarietà che venivano fortemente avvertite anche dalle stesse Regioni; non era cioè immaginabile che lo Stato si limitasse a dettare tali princìpi lasciando tutto il resto alla discrezionalità delle singole Regioni, con i connessi rischi di eccessiva frammentazione e differenziazione sul territorio nazionale.
  È infatti da considerare che, in materia di tutela della salute, appare particolarmente forte il rischio che la differenziazione territoriale delle politiche e delle Pag. 6soluzioni organizzative possa determinare forme di discriminazione tra i cittadini in relazione al godimento dei diritti. Questo vale per molte cose. Un esempio tipico è quello dell'accesso ai farmaci. La realizzazione di singoli prontuari regionali dà accesso ad alcune tipologie di farmaci in alcune Regioni e in altre no.
  Proprio per questo motivo, la legislazione ordinaria statale ha fatto sempre più spesso rinvio ad intese o accordi da stipulare in Conferenza Stato-Regioni per l'emanazione dei dispositivi attuativi delle leggi statali. Ciò al fine di garantire ragionevoli livelli di uniformità anche per la disciplina di quegli aspetti che, o perché di natura tecnica, o perché aventi riflessi sui profili organizzativi, da un lato non possono configurarsi come princìpi fondamentali, e pertanto non possono essere determinati unilateralmente dallo Stato, dall'altro, rivestendo una grandissima importanza per i riflessi che potrebbero avere nell'assicurare determinate prestazioni, o comunque nelle modalità di godimento dei diritti da parte dei cittadini, non è opportuno che siano rimessi alla totale discrezionalità delle singole Regioni.
  A questo fattore di criticità bisogna aggiungere la circostanza che, in base all'attuale Titolo V della Costituzione, lo Stato non dispone di competenze regolamentari nelle materie attribuite alla potestà legislativa concorrente o residuale delle Regioni; ciò tenuto conto della predetta natura prevalentemente tecnica del settore di riferimento e dei settori connessi – si pensi alla sicurezza degli alimenti o alle professioni sanitarie – i quali richiederebbero pertanto l'emanazione di norme di dettaglio, necessariamente di rango sub-legislativo. Ciò rende ancor più difficile e complessa la regolamentazione, proprio perché costringe ad una continua e difficile ricerca di consenso con gli enti territoriali di governo, attraverso la stipula di accordi, intese e tutta una serie di atti dall'incerta natura giuridica, anche e soprattutto con riguardo alla loro efficacia.
  Questo incide – lo dico per esperienza – non solo dal punto di vista dell'erogazione del servizio sanitario, ma anche nel campo della sicurezza agroalimentare, della sicurezza sul tema della farmaceutica, dell'industria dei device. Siamo più competitivi per l’export a livello internazionale quanto più abbiamo un'uniformità di sistema di controlli e di misurazione e tanto più questo è potente, forte, accreditato e certificabile non soltanto in Italia, ma anche da enti terzi; tant’è vero che abbiamo dovuto lavorare in modo spesso fantasioso negli ultimi anni, per superare le criticità che ci venivano poste dalla differenziazione delle varie azioni regionali.
  Infine, l'ulteriore aspetto che ha imposto il ricorso costante al «sistema delle conferenze» è rappresentato, come anticipato, dalla circostanza che, nell'attuazione normativa che è stata data alla riforma del Titolo V, è venuta meno la possibilità, per le amministrazioni centrali, di adottare, con le previgenti procedure, atti statali di indirizzo e coordinamento. In tal senso, si esprime testualmente la cosiddetta «legge La Loggia».
  Come si può immaginare, questo costituisce un elemento di grande difficoltà per il Ministero della salute, atteso che tra le sue funzioni istituzionali rientra proprio quella di indirizzo e coordinamento del servizio sanitario nazionale. Anche sotto questo profilo, dunque, si è manifestata la necessità di ricorrere sempre più frequentemente, al fine di garantire comunque il necessario coordinamento, nell'ambito di un servizio sanitario ormai fortemente regionalizzato, alla stipulazione di accordi in Conferenza Stato-Regioni, ovvero alla previsione, in sede di emanazione di norme statali nelle materie in questione, di rinvii ad intese da stipularsi sempre nella medesima Conferenza. Come dire ? La pratica supera la teoria. Quindi, si pone direttamente il ricorso alla Conferenza, per poi avere la possibilità di rendere attuativa la norma.
  Ritengo che la riforma costituzionale attualmente all'esame del Parlamento potrà determinare un minor ricorso al «sistema delle conferenze», quanto meno nella fase della produzione normativa.Pag. 7
  Come è noto, infatti, sotto il profilo del riparto di competenze, la principale modifica apportata dalla riforma consiste nella eliminazione della potestà legislativa concorrente e del relativo elenco di materie. In conseguenza di tale eliminazione, permangono solo due tipologie di potestà legislativa: quella esclusiva dello Stato e quella esclusiva delle Regioni, cui corrispondono due elenchi di materie, tra i quali sono state distribuite alcune delle materie attualmente rientranti nella potestà legislativa concorrente. Ciò dovrebbe risolvere in radice la difficoltà di distinguere, nell'ambito della potestà legislativa concorrente, i princìpi fondamentali riservati alla legislazione statale dagli aspetti di dettaglio di competenza regionale.
  Con riferimento alla potestà legislativa esclusiva delle Regioni, si deve evidenziare come, proprio per le citate ragioni di chiarezza, il disegno di legge costituzionale non si limiti a delimitare tali potestà, ricorrendo unicamente al criterio della residualità, cioè facendovi rientrare tutte le materie non riservate alla potestà legislativa statale, come nel testo attualmente vigente, ma indichi espressamente alcuni specifici ambiti, considerati propri delle Regioni, tra cui, per quanto di interesse del mio ministero, l'organizzazione dei servizi sociali e sanitari.
  Tuttavia, dal testo della proposta di riforma costituzionale, emerge chiaramente la consapevolezza della necessità di assicurare in alcuni settori uniformità di trattamento sull'intero territorio nazionale. A corollario delle potestà esclusive, è infatti prevista la possibilità per il legislatore statale di emanare disposizioni generali e comuni. Ad esempio, sempre per quanto di interesse del Ministero della salute, disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare, mediante le quali si intende garantire la soddisfazione di quelle istanze unitarie, connaturate ad alcuni qualificati e specifici obiettivi di carattere generale, come appunto la tutela della salute, che giustificano l'intervento legislativo dello Stato in via esclusiva.
  Analoghe esigenze di accentramento sono alla base dello spostamento di talune materie dalla potestà legislativa concorrente a quella esclusiva dello Stato. È questo il caso, ad esempio, dell'ordinamento delle professioni, tra cui rientrano anche le professioni sanitarie, e della tutela e sicurezza del lavoro.
  Sulla questione delle professioni sanitarie c’è tutto il tema della formazione – parliamo dei medici e non solo – che ovviamente richiede un approccio che garantisca una qualità del servizio e del professionista in tutto il territorio, quindi un accesso. Negli anni sono stati costruiti dei momenti volti a garantire questo. Credo che un potenziamento da questo punto di vista non possa che essere positivo.
  La volontà di garantire maggiormente le predette istanze unitarie emerge altresì dalla previsione, pure contenuta nel disegno di legge costituzionale, secondo cui, su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla sua legislazione esclusiva, quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o dell'unità economica della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi e di riforme economico-sociali di interesse nazionale, la cosiddetta «clausola di supremazia».
  A tal riguardo, considerato che il fondamento giuridico del potere di indirizzo e coordinamento dello Stato nelle materie di competenza regionale era fatto risalire, prima della riforma del Titolo V del 2001, alla espressa previsione a livello costituzionale della nozione di interesse nazionale, poi espunto dalla predetta riforma, non sembra da escludersi che la sua reintroduzione possa aprire la strada ad una più agevole emanazione di tali atti di indirizzo e di coordinamento.
  Occorre ancora segnalare che, sebbene il riparto di competenza regolamentare continui ad essere basato, anche nella riforma Boschi, sul principio del parallelismo tra potestà regolamentare e potestà legislativa, la segnalata attribuzione alla potestà legislativa statale per taluni specifici settori, come la tutela della salute, Pag. 8della possibilità di dettare le citate disposizioni generali comuni, nonché la possibilità per lo Stato di dettare norme anche in materie non riservate alla sua potestà legislativa esclusiva a fronte di qualificate istanze unitarie, sembrerebbe consentire allo Stato di recuperare una parte della propria potestà regolamentare, anche in settori come quello della salute che prima gli erano preclusi.
  Già questa nuova allocazione e distribuzione delle competenze legislative tra Stato e Regioni dovrebbe pertanto condurre alla risoluzione di molte delle criticità prima segnalate, soprattutto se letta in combinato con l'altra novità di fondamentale importanza prevista dalla riforma: il superamento del bicameralismo perfetto, con la radicale riforma del Senato, che viene espressamente configurato come assemblea rappresentativa delle istituzioni territoriali. In tal modo, si garantisce la partecipazione di queste ultime all'elaborazione delle politiche nazionali, attraverso la loro formale inclusione nel circuito decisionale e nella cornice degli organi costituzionali. Viene sanata, di conseguenza, una delle principali lacune insite nella precedente riforma del Titolo V.
  Si deve peraltro evidenziare come, nonostante il superamento del bicameralismo paritario, al nuovo Senato è comunque attribuita la funzione di concorso alla funzione legislativa. Tale aspetto, unitamente al nuovo riparto di competenze tra Stato e Regioni a cui ho fatto prima cenno, è da ritenere possa determinare una forte attenuazione del ricorso al «sistema delle conferenze», quanto meno nella fase della produzione normativa. Sarà a questo punto estremamente importante la legge ordinaria e le sua modalità. Dovremo verificare cioè che la legge ordinaria ci permetta di superare le criticità che abbiamo avuto, di rallentamento o di eccessiva farraginosità del meccanismo decisionale, per rendere quest'ultimo più rapido e rendere più decisivo il momento del confronto.
  Le Regioni e gli enti locali, mediante i propri rappresentanti al Senato, potranno infatti partecipare a monte al procedimento legislativo e ciò dovrebbe ridurre la necessità di un loro coinvolgimento a valle dello stesso. È quindi verosimile, oltre che auspicabile, che la legislazione ordinaria riduca al minimo gli eventuali rinvii e successive intese o accordi per l'attuazione normativa delle disposizioni di rango primario e secondario. Le conferenze potrebbero invece conservare lo status di luogo di concertazione a livello tecnico-amministrativo, ai fini dell'attuazione delle disposizioni definite a livello primario.
  Tanto premesso dal punto di vista generale, vorrei ora soffermarmi brevemente su tre settori che sono fondamentali nell'ambito della governance del servizio sanitario nazionale ed in ordine ai quali, nel corso di tutti questi anni, è stato determinante, per i motivi sopra evidenziati, il ruolo della Conferenza Stato-Regioni: il primo è la definizione dei livelli essenziali di assistenza (LEA); il secondo è la determinazione del fabbisogno sanitario nazionale, il relativo riparto tra le Regioni, nonché l'approntamento di strumenti e procedure per il ripiano dei disavanzi sanitari, attraverso i cosiddetti piani di rientro, a cui ricordo che è sottoposta mezza Italia; il terzo è la stipulazione dei cosiddetti Patti per la salute.
  Il tema della definizione dei livelli essenziali di assistenza appare particolarmente emblematico della complessità del settore sanitario. Vi ricordo che abbiamo fatto quest'anno la riforma dei LEA, prevista dal Patto della salute del luglio 2014. Era già andata in Conferenza lo scorso anno e la vediamo oggi con la legge di stabilità varata con uno stanziamento ad hoc, ma era più di un decennio che stavamo aspettando un aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza. Quindi, si rende evidente come le cose possano diventare complesse. Ricordo che abbiamo cambiato la norma, per cui l'aggiornamento viene fatto in modo costante ogni anno.
  Il tema della definizione dei livelli essenziali di assistenza appare particolarmente emblematico della complessità del settore sanitario. Tale complessità deriva in particolare dal fatto che la garanzia Pag. 9dell'erogazione delle prestazioni sanitarie coinvolge contemporaneamente diversi profili, cioè: la concreta definizione del contenuto del diritto alla salute, per l'appunto l'individuazione delle prestazioni sanitarie che devono essere garantite dal servizio sanitario nazionale, affinché sia concretamente assicurata la fruizione di tale diritto; la valutazione dell'impatto che la definizione di tale contenuto ha sugli aspetti organizzativi dei servizi sanitari regionali e, viceversa, la valutazione dell'influenza che i diversi modelli organizzativi possono avere sulla qualità dell'erogazione dei servizi; gli oneri finanziari derivanti dalla definizione dei LEA.
  Proprio in tale ragione, per questa complessità, nonostante la definizione dei LEA rientri nell'ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato, il quale pertanto nel disciplinare la relativa procedura avrebbe anche potuto, almeno in astratto, non prevedere il coinvolgimento delle Regioni, la legge ordinaria, sin dalle primissime fasi di attuazione del Titolo V, ha previsto a tali fini la necessaria stipulazione dell'intesa in Conferenza Stato-Regioni e ciò è stato confermato anche dalla legislazione più recente.
  La Corte costituzionale ha più volte affermato la conformità di tale procedura ai princìpi costituzionali, evidenziando che la definizione dei LEA, pur essendo espressione della potestà legislativa esclusiva dello Stato, comporta un'indubitabile compressione della sfera di autonomia costituzionalmente riconosciuta dalle Regioni, anche rispetto alle scelte organizzative, e pertanto richiede l'approntamento di procedure in grado di garantire il loro coinvolgimento, che la Corte ha ritenuto doversi estrinsecare in un vero e proprio potere di codecisione su queste tematiche; per questa ragione ha ritenuto che il procedimento in argomento debba prevedere lo strumento dell'intesa, e non già del semplice parere, da parte della Conferenza Stato-regioni. Ciò al fine di salvaguardare il principio di leale collaborazione nell'ambito di un sistema costituzionale, quello dell'attuale Titolo V, che non prevede, nell'ambito delle procedure di definizione dell'indirizzo politico da parte degli organi costituzionali a ciò preposti, e in particolare in quelle rivolte alla procedura normativa, alcuna rappresentanza delle istanze territoriali.
  Dunque, in tale contesto, il passaggio per il «sistema delle conferenze» diventa di fatto necessitato al fine di assicurare il raccordo tra i diversi livelli di governo e, per tal via, il rispetto del principio di leale collaborazione. Considerazioni analoghe valgono con riguardo al tema del finanziamento e della programmazione del servizio sanitario nazionale.
  Come è noto, le prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale hanno un forte impatto finanziario e ciò richiede, specialmente nelle congiunture economiche come quelle che hanno caratterizzato l'ultimo decennio, continui interventi finalizzati alla razionalizzazione della spesa e in alcuni casi alla realizzazione di interventi di vero e proprio risanamento finanziario. Potremmo dire anche dei livelli essenziali di assistenza, perché le due cose vanno di pari passo.
  Senza entrare nel merito del dibattito circa la configurabilità o meno dei livelli essenziali come prestazioni finanziariamente condizionate, è comunque evidente che le prestazioni sanitarie e la spesa sanitaria sono due concetti indissolubilmente legati. Proprio per questi motivi, negli ultimi quindici anni, si è diffusa la prassi in base alla quale le principali decisioni in tema di programmazione di medio termine del servizio sanitario nazionale e di finanziamento dello stesso sono state sostanzialmente concertate tra lo Stato e le Regioni, mediante intese stipulate proprio in Conferenza Stato-Regioni, intese non a caso definite Patto della salute.
  Lo scopo principale di tali accordi è stato proprio quello di assicurare una effettiva programmazione degli interventi in un arco temporale triennale, di medio periodo, negoziando anche l'ammontare del finanziamento statale necessario per assicurare l'attuazione degli interventi così programmati.Pag. 10
  Da tali Patti per la salute derivano veri e propri impegni a carico sia dello Stato che delle Regioni, che devono essere attuati nell'ambito delle rispettive competenze. Per quanto concerne la parte statale, è importante osservare come gran parte delle disposizioni recate in tali accordi venga poi sostanzialmente trasfusa nelle leggi di stabilità, in quanto si tratta di previsioni che determinano inevitabilmente effetti finanziari.
  Proprio con riguardo al tema finanziario, occorre sottolineare inoltre che, negli ultimi anni, si è avuta una forte produzione normativa finalizzata a disciplinare le misure per il risanamento dei disavanzi sanitari, nelle Regioni nelle quali è stato accertato un disavanzo superiore a certi standard definiti normativamente.
  In base alla disciplina vigente, ove ciò si verifichi, le Regioni sono tenute ad elaborare un piano di rientro che contenga sia le misure di riequilibrio del profilo erogativo dei livelli essenziali di assistenza, per renderlo conforme a quanto previsto dal decreto di definizione degli stessi, sia le misure per garantire l'equilibrio di bilancio sanitario in ciascuno degli anni compresi nel piano stesso.
  In questo settore, la Conferenza Stato-Regioni svolge, in base alla normativa vigente, un importante ruolo per la valutazione anche politica dei piani in questione, unitamente alla valutazione tecnica operata dalla struttura di monitoraggio, istituita a supporto della Conferenza dall'intesa del 3 dicembre 2009. Funzioni analoghe sono esercitate da organi tecnici presenti presso i dicasteri competenti, cioè sia presso il Ministero della salute che presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
  Altro ruolo fondamentale attribuito dalla normativa vigente, e da quella più recente in particolare, alla Conferenza Stato-regioni attiene alla definizione sia del fabbisogno sanitario nazionale standard, sia dei costi e fabbisogni standard regionali, che ricordo essere definiti da una media fra le Regioni e il benchmark. In particolare, è previsto che tali fabbisogni e costi, di fondamentale importanza nel processo di attuazione del federalismo fiscale in campo sanitario, debbano essere definiti appunto mediante intesa sancita in Conferenza Stato-Regioni.
  Anche con riguardo a questi aspetti, come è ovvio, il ricorso alla Conferenza si giustifica in ragione della necessità di garantire che le decisioni principali in materia di finanziamento del Servizio sanitario nazionale siano concertate tra il Governo centrale e i soggetti che sono istituzionalmente deputati all'erogazione delle prestazioni, ovvero le Regioni, come ad esempio avviene sui parametri che vengono definiti per il riparto sempre in Conferenza, dove, anche in presenza di posizioni diverse, deve prevalere una posizione comune.
  Anche in questo caso, la Conferenza Stato-Regioni rappresenta l'unico organismo, a Costituzione vigente, in grado di assicurare – questo non è un aspetto secondario, vorrei farlo presente a chi non ha pratica del momento del riparto – a livello istituzionale, il necessario raccordo e l'indispensabile negoziazione tra livelli di governo, in un settore peraltro di fondamentale importanza come quello della programmazione della spesa sanitaria. A valle di queste decisioni, la Conferenza Stato-Regioni interviene per il concreto riparto tra le Regioni medesime delle risorse stanziate.
  Ebbene, in tutti settori che ho sinteticamente illustrato, la riforma costituzionale attualmente all'esame del Parlamento potrà determinare un superamento delle funzioni oggi esercitate dalla Conferenza. Credo che l'aspetto più importante sarà proprio quello del riparto, per il quale si immagina che, non essendo più in Conferenza, ma ponendosi per esempio all'interno del Senato, diventerà un aspetto in cui elementi di compensazione, che ci sono stati in questi anni, non ci saranno più, o bisognerà trovare una formulazione diversa – dobbiamo immaginare come funzionerà il meccanismo dopo la riforma – rendendo, ed è questo l'auspicio, più veloce, celere e direi anche più trasparente il processo decisionale preposto all'assunzione delle determinazioni in questione.Pag. 11
  Come anticipato, infatti, il testo di riforma costituzionale attribuisce espressamente al Senato la funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Poiché tale funzione di raccordo finora esercitata dalle conferenze verrà ricondotta al vertice dell'organizzazione costituzionale, e più specificatamente al ramo del Parlamento che sarà rappresentativo delle istituzioni territoriali, è da ritenere che non sarà più necessario ricorrere, per l'assunzione delle macrodecisioni a cui ho fatto riferimento, al «sistema delle conferenze». Queste ultime potranno invece conservare un ruolo di attuazione tecnico-amministrativa delle deliberazioni del Senato.
  Più in particolare, i Patti per la salute potranno essere deliberati dallo stesso Senato, anche in considerazione del fatto che quest'ultimo sarà chiamato a partecipare al procedimento legislativo volto all'adozione delle leggi che poi dovranno recepire i contenuti dei patti. A tale riguardo, si deve invece segnalare che per l'adozione delle leggi di bilancio, il testo di riforma prevede l'intervento automatico del Senato, perciò, per l'approvazione di tali leggi, il Senato continuerà a svolgere un ruolo fondamentale.
  Vista così potrebbe sembrare quasi una norma di stabilità fatta al Senato sulle Regioni. Adesso sto esagerando dal punto di vista più immaginifico, però vi assicuro che l'ultima stesura del Patto della salute ha richiesto un dibattito molto forte, molto preciso dal punto di vista tecnico, poiché si è entrati nel merito di ogni singolo provvedimento nell'impostazione di fondo, con incontri con la Commissione salute della Conferenza Stato-Regioni che si sono tenuti quasi tutti i giorni per nove mesi. È stato quindi un lavoro non banale.
  Anche con riguardo alla funzione di valutazione dei Piani di rientro e di monitoraggio dei servizi sanitari regionali e della loro qualità, è verosimile e auspicabile che il nuovo Senato possa svolgere un ruolo importante, assorbendo parte delle funzioni attualmente svolte dalla Conferenza Stato-Regioni.
  In tal senso depone un'altra attribuzione che il testo di riforma costituzionale affida al nuovo Senato, che a mio avviso assume una particolare importanza. Mi riferisco alla funzione di valutazione delle politiche pubbliche e delle attività delle pubbliche amministrazioni. Tale compito, unitamente a quello di raccordo tra i diversi livelli di governo a cui ho fatto prima riferimento, dovrebbe infatti portare a configurare il nuovo Senato della Repubblica come luogo privilegiato per le funzioni valutative delle politiche di settore, compresa quella sanitaria, e fornire la base informativa più qualificata per l'assunzione delle decisioni necessarie ad assicurare la governance del sistema. Quindi, credo che ci sarà molto da lavorare.

  PRESIDENTE. Ringrazio la signora ministra. Do ora la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre delle domande.

  SIMONE VALIANTE. Ministra, apprezzo molto il suo lavoro e non lo dico per ragioni di circostanza. Tra l'altro credo che lei abbia uno dei settori più delicati e complessi, proprio perché tocca più da vicino il rapporto con i sistemi regionali.
  Ci sono due questioni veloci e di fondo che vorrei sottoporle, perché credo che, al di là degli sforzi che si fanno, ci sono questioni, come i criteri di ripartizione del fondo sanitario nazionale, come lei sa da molti anni dibattuti con vari governi nel rapporto con le Regioni, che continuano a mantenere delle difformità e delle distorsioni abbastanza palesi.
  È una questione vecchia – lei lo sa – che riguarda anche un meccanismo strano di alleanze trasversali di alcune Regioni, rispetto al quale però i Governi hanno avuto sempre un atteggiamento di timidezza, se vogliamo definirla così, che continua a penalizzare Regioni giovani, per il solo criterio dell'anzianità della popolazione.
  È un'antica questione, che però credo prima o poi vada affrontata in maniera Pag. 12risolutiva, perché questa vicenda non è fine a se stessa. Non è soltanto un fatto di giustizia sociale, ma è legata anche al fatto che ormai appare abbastanza evidente – al di là dei problemi di disfunzione e organizzazione regionale, che pure ci sono, però è inutile che ce li raccontiamo sempre, ci sono sforzi anche dei piani di rientro che lei ricordava – che ci sono meccanismi sanitari, in alcune regioni, che vivono di mobilità passiva. Quindi, c’è una spirale perversa che si ripete.
  I criteri non si modificano, perché un genio nel 2001, in un governo centrosinistra – giusto per rendere giustizia a tutti – si inventò questo criterio dell'anzianità della popolazione. Quindi, i criteri non si riescono a modificare perché c’è questo blocco politico istituzionale che mantiene questo assetto e poi c’è una spirale perversa che vi si aggiunge, per cui ovviamente, non modificando i criteri, ci sono Regioni che finanziano il proprio sistema sanitario regionale con la mobilità passiva di altre Regioni.
  Poi c’è una seconda questione e chiudo veramente: un rapporto nuovo, diverso e più trasparente tra sanità pubblica e privata. Sottolineo una pratica ormai molto diffusa su tanti territori, soprattutto al sud, per essere pratico. Vi sono dirigenti di aziende sanitarie che hanno svolto ruoli apicali, e soprattutto di controllo, che una volta andati in pensione da funzionari pubblici vanno a lavorare in quelle stesse strutture private che avrebbero dovuto controllare nella precedente professione. Questa ormai è una pratica costante e diffusa, che riguarda soprattutto alcuni assetti locali, rispetto alla quale bisognerebbe fare una norma semplice e di chiarezza, come si fa con altre professioni. Per esempio, nel caso di magistrati che intendono lasciare il settore pubblico, oppure andare in pensione per poi lavorare nel settore privato, il tutto è legittimo, ma sono tenuti ad andare in un territorio estraneo rispetto a quello nel quale hanno esercitato la precedente professione di controllo, su quelle stesse strutture.
  Credo che un minimo di trasparenza e di correttezza su questi aspetti vada considerata con maggiore attenzione, perché è una pratica ormai sempre più diffusa, soprattutto al sud.
  Nel momento in cui chiediamo sacrifici ai nostri cittadini e piani di rientro per le nostre strutture pubbliche, credo che un po’ più di attenzione su questi aspetti, che prescindono dalla competenza diretta del Ministero, ma che riguardano invece l'attività di molte Regioni e aziende sanitarie, andrebbe fatta. Siccome ci dovrebbe essere, secondo me, qualche norma di chiarezza da questo punto di vista, credo che sia opportuno fare un approfondimento.

  ROBERTO RUTA. Sarò addirittura telegrafico. La Ministra, nella sua relazione, ha voluto specificare come in Italia c’è una sanità a due velocità. Il riferimento era chiaro anche in termini geografici, in qualche misura. Rispetto a questo dato, siccome esiste una Costituzione formale e una Costituzione sostanziale, come hanno studiato tutti coloro che come me hanno fatto giurisprudenza, appassionandosi a questo argomento, nella nuova riforma costituzionale, rispetto al nodo che è stato ben evidenziato nella sua relazione del rapporto tra Conferenza Stato-Regioni oggi e Senato domani, pur non avendo eliminato la Conferenza Stato-regioni, rimane il problema di disciplinare i ruoli e le funzioni, avendo però definito, e in qualche misura evitato, un contenzioso davanti alla Corte costituzionale sulle competenze tra Stato e Regioni che attualmente pure esiste.
  Posto ciò – lo chiedo non sul profilo strettamente giuridico – prima che entri in vigore la riforma, quali sono le iniziative che la Ministra intende porre in essere per far sì che la riforma provi a entrare in vigore a parità di condizioni per tutte le Regioni ? Dico questo perché sarebbe un modo per partire bene e fare in modo che ci siano parità di condizioni per ciascuna Regione e quindi un'uniformità per tutti i cittadini.

  BEATRICE LORENZIN, Ministra della salute. Potremmo aprire una conferenza. Mi invitate a nozze. Potrei parlare per ore, ma cercherò di essere telegrafica.Pag. 13
  Partiamo dalla prima domanda sul tema del riparto, che è annoso. A proposito della differenza tra Costituzione formale e quella sostanziale, nella prassi è accaduto fino a oggi, anzi fino a ieri, che la compensazione, il gap che era dato dal riparto iniziale, era fatto su popolazione pesata. Peraltro, la scelta della popolazione pesata si attesta sui Paesi occidentali. È abbastanza deduttivo che in una Regione in cui vi è una componente anziana più alta, si abbia una maggiore domanda sanitaria, però in alcune regioni di questo Paese l'azione deduttiva viene in parte falsata dal fatto che la popolazione giovane ha forme di deprivazione. Vi è una forma di disagio sociale che comporta una richiesta di maggiore domanda sanitaria, sia per la parte gestazionale, con l'accompagnamento al parto e nei primi giorni di nascita del bambino, sia per quanto riguarda le patologie legate all'adolescenza, tra cui quelle neuropsichiatriche.
  Questa parte è stata compensata negli anni con quello che era il famoso «lapis», una cosa non scritta da nessuna parte, per cui con una matita si cercava di compensare con una specie di fondo di garanzia.
  Quest'anno è stato discusso il fatto di prevedere un piccolo fondo di premialità e un piccolo fondo di compensazione. Quindi siamo sempre lì. Si cerca di ricompensare questo elemento. A mio parere, entriamo in un margine di discrezionalità molto ampia e anche di artigianalità. Stiamo andando verso un meccanismo che si concentra – e quindi rispondo anche alla seconda domanda – sulla misurazione delle performance, sull'individuazione degli obiettivi, sulla trasparenza, sulla capacità di individuare elementi di produttività del sistema. Quest'ultima, per esempio nel pubblico, significa la qualità del servizio o la quantità delle prestazioni che vengono erogate, il lavoro della singola sala operatoria e delle piastre, cioè quella che viene chiamata appropriatezza organizzativa. Quello fa parte dell'organizzazione delle infrastrutture. Questo è il tema dei temi. Non risolveremo il punto semplicemente effettuando o meno uno spostamento di posta, anche perché i meccanismi cambiano. Spero che fra qualche anno le Regioni che hanno elementi di privazione non ce l'abbiano più. Oltre ad aiutare chi ne ha più bisogno, dobbiamo cercare dei meccanismi che ci permettano di garantire l'efficienza del sistema e arrivare all'appuntamento della riforma, facendo in modo che le Regioni in piano di rientro, ne escano.
  Abbiamo costruito il meccanismo nell'ultima stabilità, perché il piano di rientro era una specie di inferno dantesco in cui si entrava, ma non c'era Beatrice che ti portava fuori. Rimanevi lì. Quindi, bisogna costruire questo meccanismo e fare in modo che a un certo punto se ne possa uscire.
  La maggior parte delle Regioni in piano di rientro, ad eccezione di qualcuna, non lo sono più soltanto per motivi di equilibrio di bilancio, che è stato più o meno raggiunto da tutti, ma per gravi motivi di disfunzione organizzativa, che comporta una qualità dei livelli essenziali di assistenza non adeguata agli standard, e in merito parliamo di un minimo ovviamente.
  Quindi, bisogna lavorare sui livelli essenziali di assistenza, sulla qualità organizzativa, sulle centrali uniche d'acquisto, sulla digitalizzazione dei servizi, sulla governance. È un lavoro non complicatissimo, dal momento che di fatto le regole sono già state scritte tutte. Adesso dunque bisogna avere la volontà forte di applicarle in tempi certi. Su questo aiuterà anche, spero, la nuova norma sulla governance che prevede una capacità di selezione del management sanitario verso l'alto, cioè sempre migliore, con una capacità di valutazione delle performance e degli obiettivi tempestiva, con addirittura delle misure forti che non avevamo mai avuto in precedenza, per cui se un direttore generale non raggiunge gli obiettivi che gli sono affidati, decade automaticamente. Quindi, è una previsione molto forte.
  Per quanto riguarda il ruolo del management del pubblico, ritengo che già abbiamo un sistema che tende a non premiare l'entrata nel pubblico dei migliori, nel senso che abbiamo costruito Pag. 14oggi una legge – l'ho costruita io – per cercare di catturare nel pubblico le migliori risorse che ci sono sul mercato, formarle e poi misurarle con le regole del mercato, per cui se raggiungi l'obiettivo bene, altrimenti ti mando a casa. Manca però la parte della premialità.
  Spero che nel momento in cui la macchina andrà a regime si vedranno i risultati, perché questo significa far risparmiare miliardi di euro al fondo sanitario, cioè avere persone che sono in grado di raggiungere obiettivi in modo misurabile, e si possa parlare anche della premialità, in modo tale da attrarre i migliori affinché rimangano con noi.
  Penso che il meccanismo dovrebbe essere a sliding doors, cioè il privato può entrare nel pubblico e il pubblico può andare al privato, altrimenti il meccanismo non funziona, non è competitivo, tra persone, tra management che deve essere altamente qualificato. Ci sono le norme sui conflitti di interesse. Così come funziona per noi, se si è svolto un ruolo per cui si sono gestite alcune cose per un periodo di tempo, dopo non è possibile occuparsene. Non so se valga anche per i ruoli legislativi, ma per quelli di governo sicuramente.

  PRESIDENTE. Per i presidenti di Commissione no, come Ministro me ne sono accorto.

  BEATRICE LORENZIN, Ministra della salute. È così. C’è un periodo di decantazione e certamente dei meccanismi di questo tipo, anche di opportunità, si possono trovare.
  Ad ogni modo, bisogna stare attenti, perché lavorare nel pubblico non può essere una punizione; anzi, dovrebbe essere un elemento di prestigio. Abbiamo bisogno di essere attrattivi, almeno dal punto di vista del prestigio che vi sia nel lavorare per il pubblico e, nello stesso tempo, dobbiamo garantire che le persone possano rimanere attive il più a lungo possibile.
  Abbiamo una doppia linea, cioè il fatto che non possiamo far rimanere i dirigenti della pubblica amministrazione oltre l'età pensionabile, ma la vita si allunga e dobbiamo rimanere attivi il più a lungo possibile. Quindi, come avviene in molti Paesi, si finisce un ruolo e poi se ne svolge un altro anche da altre parti, si lavora nel privato. Si mantiene il proprio expertise e lo si mette a disposizione del mercato, della società o dell'accademia; dipende dalla propria indole.
  L'importante è che tutto ciò avvenga in modo trasparente, perché è quello che fa la differenza. Nelle democrazie mature, la differenza la fa la trasparenza. Occorre dichiarare apertamente quello che si fa, quello che si è fatto e quello che si farà, in modo tale che se ci sono possibilità di conflitti, questi possano essere superati.
  Avere un potenziale conflitto non vuol dire realizzare un conflitto, ma questo serve a tutela della persona che può svolgere una diversa professionalità. È un classico non solo nella cultura anglosassone, ma anche nella cultura occidentale in genere. Sono temi delicati. Poi c’è il tema dell'opportunità, che è un altro discorso ancora, ma attiene più al buon gusto che alla legge.

  PRESIDENTE. Colleghi, proseguiamo l'indagine conoscitiva domani mattina alle ore 8, con l'audizione del professor Franco Bassanini.
  Nel ringraziare ancora la Ministra per la disponibilità manifestata, dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.40.