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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Giovedì 11 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione del professor Franco Bassanini, presidente della Fondazione Astrid.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Bassanini Franco , Presidente della Fondazione Astrid ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 9 
Borioli Daniele Gaetano  ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10 
Bassanini Franco , Presidente della Fondazione Astrid ... 11 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 13 
Bassanini Franco , Presidente della Fondazione Astrid ... 13 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 08,05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Franco Bassanini, presidente della Fondazione Astrid.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del professor Franco Bassanini, presidente della Fondazione Astrid.
  Nel ringraziare il professor Bassanini per la sua disponibilità, gli do la parola per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCO BASSANINI, Presidente della Fondazione Astrid. Forse la parola «relazione» è un po’ eccessiva. A differenza delle personalità audite dalla Commissione finora nell'ambito di quest'indagine conoscitiva, che, se non vado errato, sono stati tutti membri del Governo, ministri o sottosegretari, la mia esperienza al riguardo è molto lontana nel tempo. Finora avete ascoltato ministri e sottosegretari che nel corso di questi anni hanno partecipato al lavoro del «sistema delle conferenze» e che vi partecipano tuttora.
  Come forse qualcuno di voi sa, io ho presieduto la Conferenza Stato-Regioni e ho fatto parte della Conferenza unificata e della Conferenza Stato-città negli anni del primo Governo Prodi, dei Governi D'Alema e del secondo Governo Amato, che risalgono a circa vent'anni fa.
  Ho, però, partecipato alla riforma della disciplina della Conferenza Stato-Regioni e all'istituzione e regolamentazione della Conferenza Stato-città e della Conferenza unificata, che furono due innovazioni introdotte in quel periodo. Credo che sia in relazione a questa esperienza, sia pure lontana nel tempo, che il presidente D'Alia mi ha fatto l'onore di chiedermi di partecipare a quest'indagine conoscitiva.
  Si trattava – vorrei dirlo subito – di un periodo abbastanza diverso, non soltanto perché non era in corso e vicina alla sua approvazione parlamentare – poi ci sarà il passaggio del referendum – una riforma costituzionale importante, che indubbiamente, come le precedenti personalità audite hanno sottolineato, non può non incidere sul «sistema delle conferenze», sulla definizione del loro ruolo e della loro missione e anche sul loro funzionamento concreto, ma anche perché era molto differente il contesto politico istituzionale.
  In quell'epoca era in corso di definizione una riforma importante, che è quella che poi è andata sotto il nome di «federalismo amministrativo» e che spesso viene confusa con la riforma del Titolo V del 2001. Questa confusione molto diffusa nella pubblicistica finisce per non dare un quadro preciso di quello che effettivamente era avvenuto in quel periodo.
  A metà degli anni novanta, in una stagione che seguiva direttamente l'adozione di leggi istituzionali importanti (la Pag. 4riforma del sistema degli enti locali del 1990 e la riforma del sistema elettorale per i comuni e le province, che ha introdotto l'elezione diretta dei sindaci), molte speranze erano riposte sulla possibilità, non solo di efficientamento del sistema istituzionale, ma anche di rinnovamento della politica, che l'elezione diretta dei sindaci aveva introdotto.
  In tale stagione era fortemente diffusa l'idea, anche nell'opinione pubblica, che una riforma del sistema che si ispirava al principio di sussidiarietà – questa espressione non era ancora utilizzata – potesse avvicinare le istituzioni ai cittadini e migliorare i livelli di capacità di risposta del sistema istituzionale ai bisogni e alle esigenze dei cittadini.
  Questo spinse verso l'adozione di una riforma che trasferiva una serie di funzioni e di compiti amministrativi dall'amministrazione dello Stato alle amministrazioni regionali e locali.
  Le riforme di quegli anni, che furono riforme legislative a Costituzione vigente e, quindi, non modificarono il Titolo V della Costituzione repubblicana del 1947, entrata in vigore il primo gennaio del 1948, si basavano, come ricorderete, sul principio di una revisione dell'architettura della distribuzione delle funzioni amministrative, fermo restando che il riparto di funzioni legislative era quello stabilito dalla Costituzione del 1948.
  Si rivisitò completamente il quadro delle funzioni amministrative, applicando due princìpi che per la prima volta vennero scritti in un atto normativo, ovvero nella cosiddetta «legge-delega sulla riforma dell'amministrazione», che poi, con questa mania di personalizzare le leggi, è stata conosciuta come «legge Bassanini».
  In questa legge si scrisse espressamente che il principio fondamentale di riordinamento del sistema era il principio di sussidiarietà orizzontale e verticale.
  In primo luogo, si tratta di identificare quelle funzioni che devono essere in qualche modo dismesse, perché possono essere svolte direttamente dalla società civile o dal mercato, e di rivedere il perimetro delle funzioni pubbliche, individuando quelle che effettivamente devono essere svolte da istituzioni pubbliche. In quest'ambito, si applica poi il principio di sussidiarietà verticale, attribuendo innanzitutto ai comuni, alle forme associative dei Comuni, alle Province e alle Regioni le funzioni che meglio possono essere svolte secondo il principio di sussidiarietà e il principio di adeguatezza. Infatti, il principio non può essere quello di trasferire tutte le funzioni anche a istituzioni troppo piccole per dimensione territoriale o per capacità organizzativa; ci deve essere una distribuzione razionale.
  Questo meccanismo di trasferimento di funzioni passò sotto il nome di «federalismo amministrativo» e impose una riforma del sistema delle conferenze e anche l'istituzione di conferenze nuove, come la Conferenza Stato-città e poi la Conferenza unificata.
  Infatti, è evidente che questo processo comportava un forte trasferimento, che obiettivamente ci fu, di funzioni amministrative dal centro alle istituzioni territoriali. Ovviamente una forte funzione di raccordo restava in capo al Parlamento, perché la distribuzione delle funzioni legislative non veniva cambiata rispetto a quella della Costituzione del 1948.
  Tuttavia, nell'attuazione, questa riorganizzazione delle funzioni amministrative comportava la necessità di sedi nelle quali avvenisse il raccordo tra le funzioni amministrative molto più importanti del sistema delle autonomie e le funzioni amministrative che restavano in capo al Governo.
  Questo spinse anche ad attribuire alle conferenze funzioni di raccordo e di confronto tra il Governo e le istituzioni territoriali, nella fase dell'iniziativa legislativa del Governo e della formazione degli atti normativi di competenza di quest'ultimo: decreti legislativi, decreti-legge e normativa secondaria.
  La prima funzione derivava dalla necessità di raccordare una strutturazione di funzioni amministrative che era diventata molto più articolata in relazione all'applicazione del principio di sussidiarietà.Pag. 5
  La seconda funzione derivava dal fatto che naturalmente, regolando la legge ma anche l'esercizio delle funzioni amministrative, nella fase dell'iniziativa legislativa o della formazione delle proposte legislative e dei provvedimenti legislativi di competenza del Governo, era necessario un confronto anche ai fini informativi tra chi ormai aveva l'esercizio di una parte importante delle funzioni amministrative e chi doveva regolarne con legge il loro svolgimento, i loro obiettivi, le loro regole e così via.
  Il quadro probabilmente avrebbe già dovuto subire dei cambiamenti quando intervenne una diversa riforma. Voglio subito sottolineare che mentre nella prima ho avuto inevitabilmente, per il mio ruolo nei Governi dell'epoca, una diretta e principale responsabilità, la seconda, ovvero la riforma del Titolo V, non era affidata alla mia responsabilità; c'erano appositi ministri per le riforme costituzionali sia nei Governi D'Alema che nel secondo Governo Amato.
  La logica della riforma del Titolo V era diversa dal cosiddetto «federalismo amministrativo» della riforma basata sulla legge-delega del 1990. Infatti, la prima si basava su un modello più simile a quello tedesco o austriaco, dove è soprattutto nell'esercizio delle funzioni amministrative che si attuano il principio di sussidiarietà e la valorizzazione delle autonomie, che hanno, per esempio a livello dei Länder in Germania, delle funzioni legislative, che non costituiscono peraltro il fulcro principale della loro attività.
  Invece, con la riforma del Titolo V si interveniva attraverso un orientamento che era ispirato più che altro a una forma di Stato di tipo federale, anche se poi, come sapete, nella dottrina si è discusso a lungo sul fatto se essa realizzasse effettivamente la forma di Stato che si definisce normalmente federale oppure una forma di Stato regionale con autonomie regionali molto estese. La riforma del Titolo V è intervenuta sul riparto delle funzioni legislative e a quel punto cambiava il quadro rispetto alla riforma precedente, che era a legislazione invariata.
  Si era ancora nella fase nella quale gli orientamenti dell'opinione pubblica spingevano fortemente a ritenere che un forte accrescimento – nella testa di molti un accrescimento quasi senza limite – delle competenze dell'autonomia regionale e locale avrebbe potuto risolvere i problemi di risposta del sistema istituzionale ai bisogni e alle domande dei cittadini e, in questo modo, porre rimedio alla crisi di rappresentatività del sistema istituzionale e alla legittimazione della politica.
  È appena il caso di ricordarvi che siamo oggi in una fase diversa, che ha molte motivazioni che vi sono probabilmente note. Siamo in una fase nella quale vi sono cambiamenti di scenario molto importanti. La globalizzazione e l'inevitabile forte rafforzamento del ruolo delle istituzioni europee spingono inesorabilmente a porre l'accento sulla necessità di decisioni e risposte rapide da parte del sistema istituzionale al cambiamento degli scenari e della realtà che ci circonda, che interagisce con l'attività delle imprese, con i problemi delle famiglie e così via.
  Tutto questo sta alla base della richiesta di procedimenti di decisione e di implementazione delle decisioni molto più rapidi e meno complessi rispetto al passato.
  Di qui sorge la riforma del bicameralismo, attraverso l'adozione di un modello di bicameralismo differenziato, che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe rendere molto più rapida la risposta legislativa ai problemi che impongono modifiche nelle politiche pubbliche.
  Di qui sorge anche un orientamento della pubblica opinione che è sicuramente in generale meno favorevole alla differenziazione. Mentre 20-25 anni fa nel sistema delle imprese non si poneva l'accento sul fatto che aumentare l'autonomia regionale potesse significare, per esempio, che gli stessi procedimenti sarebbero stati differenziati da Regione a Regione, poiché prevaleva l'idea che così ci si sarebbe potuti adattare alla specificità delle situazioni, delle realtà e anche delle diversità culturali e di storia politica e amministrativa, oggi, nell'era della globalizzazione, è Pag. 6molto più forte la richiesta, da parte del sistema delle imprese, di avere procedimenti unificati, di non dover avere di fronte regole fortemente differenziate nelle diverse parti del Paese, che impongono di adottare comportamenti differenti.
  Naturalmente questo è un moto del pendolo, che accentua un indirizzo o l'altro, ma è anche una conseguenza del fatto che il sistema economico-finanziario è globale e che le nostre imprese sono immerse in una competizione globale che richiede risposte rapide. L'accento viene posto di più sull'esigenza di reazioni veloci rispetto alla scommessa sulla capacità di adeguarsi alle differenti realtà. Di qui nasce questa riforma.
  Questa riforma, che affida al Senato il compito di raccordo tra lo Stato e gli enti costitutivi della Repubblica, ovvero il sistema delle autonomie regionali e territoriali, travolge il sistema delle conferenze o chiede di cambiarlo.
  Io sono decisamente dell'idea che la risposta giusta sia la seconda, innanzitutto per una ragione di carattere istituzionale e in secondo luogo per una di carattere pratico-operativo. La ragione di carattere istituzionale è che, seppur configurato secondo i princìpi di un bicameralismo abbastanza significativamente differenziato, il Senato che esce dalla riforma non è sicuramente la Camera dei Lords, ma non è neanche il Senato francese né il Bundesrat tedesco. Rispetto ai modelli di bicameralismo differenziato che abbiamo davanti agli occhi, la differenziazione è a un livello intermedio tra i casi nei quali la seconda Camera ha funzioni poco più che consultive e i casi nei quali la seconda Camera ha delle funzioni diverse da quelle della prima ma sostanzialmente quasi altrettanto incidenti sulla formazione delle decisioni di politiche pubbliche.
  In questo livello intermedio, sicuramente l'attribuzione di due ruoli, quello di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica e quello di valutazione delle politiche pubbliche, incidono indubbiamente sul ruolo delle conferenze.
  Tuttavia, se vogliamo inquadrarlo nella classica summa divisio tra potere legislativo e potere esecutivo, siamo nell'ambito del potere legislativo, che non ha soltanto un ruolo di legislazione, ma ha anche un ruolo di controllo, un ruolo di indirizzo e un ruolo di valutazione delle politiche in relazione alla formazione di nuove scelte di politiche pubbliche o di correzione delle scelte di politiche pubbliche già effettuate. Questo ruolo è diverso da quello dell'esecuzione, gestione, attuazione e implementazione delle politiche pubbliche. Credo che questa sia la distinzione fondamentale che ci può aiutare a capire come rivedere o ripensare il sistema delle conferenze.
  Finora il sistema delle conferenze aveva una sua forte connotazione sul versante dell'esecuzione, gestione e attuazione delle politiche pubbliche. Ci sono molti compiti in concreto affidati alle conferenze. Ragiono anche sulla base delle esigenze operative concrete affidate al sistema delle conferenze, che non potrebbero mai essere trasferite a un'assemblea parlamentare, perché riguardano essenzialmente il raccordo tra esecutivi. Uso apposta la parola «esecutivi», invece che «Governi», che è più ampio.
  Nell'attuazione delle leggi e anche degli indirizzi politici del Parlamento e, al loro livello, delle assemblee o dei consigli regionali e locali, gli esecutivi hanno un ruolo che può essere controllato dal Parlamento e dalle assemblee legislative regionali e locali, ma non certamente assorbito in un sistema ben funzionante.
  Di questo si ha un'espressione evidente nel complesso dei compiti e delle funzioni che il legislatore in questi anni ha man mano attribuito alle conferenze.
  Non so se gli uffici parlamentari, la cui efficienza è a tutti noi ben nota, hanno già fatto una ricognizione di questo.
  Aldilà dei provvedimenti che, negli anni novanta, hanno definito o, nel caso della Conferenza Stato-Regioni ridefinito, i compiti delle conferenze, il legislatore, in una numerosissima serie di altre occasioni, ha ritenuto opportuno o si è visto perfino costretto ad affidare specifici compiti alle conferenze, per esempio nel riparto Pag. 7delle risorse in attuazione di scelte di politiche pubbliche che il legislatore, magari su proposta del Governo o su iniziativa parlamentare, aveva compiuto, oppure nella definizione di programmi e piani comuni tra Governo e Regioni, tra Governo, Regioni ed enti locali e così via.
  Si può pensare che questa tipica funzione di raccordo, di concertazione e di coordinamento, in alcuni casi paritario, tra Stato e istituzioni territoriali possa essere assorbita nel ruolo di raccordo del Senato ?
  A mio avviso non può esserlo, perché in primo luogo si finirebbe con l'aggravare ma anche con il degradare il ruolo proprio del Senato a una funzione di negoziazione, contrattazione e coordinamento a livello amministrativo.
  In secondo luogo, ciò sarebbe contrario alla summa divisio, ovvero alla distinzione fondamentale tra ruolo proprio del Parlamento e ruolo proprio degli esecutivi, ossia del Governo nazionale e dei governi regionali e locali, in quanto vertici delle amministrazioni chiamate ad attuare e a implementare le decisioni e le scelte di politiche pubbliche, tradotte negli atti legislativi e in qualche caso anche in specifici atti di indirizzo delle assemblee legislative.
  Ovviamente questo non significa che non intervengano e che non debbano intervenire necessariamente una rivisitazione e una revisione del perimetro dei compiti delle conferenze, perché è evidente che in questi venti anni le dette conferenze sono state caricate anche di compiti e di funzioni che derivavano dall'assenza di un organo preposto al raccordo a livello delle scelte di politiche pubbliche e a livello della legislazione.
  Per esempio, per ciò che concerne tutta la fase di interlocuzione e concertazione tra Governo e istituzioni territoriali ai fini della presentazione di disegni di legge del Governo, si può legittimamente ritenere che questa funzione trasmigri necessariamente dal «sistema delle conferenze» al nuovo Senato della Repubblica.
  Naturalmente parlo dell'ipotesi in cui la riforma sia completata e venga approvata con referendum, ma credo che questa sia l'ipotesi a cui dobbiamo prepararci. Se si verificherà o no dipenderà dalle decisioni del Parlamento in questa fase finale dell’iter parlamentare della riforma e dal corpo elettorale.
  Naturalmente c’è qualche punto critico. Non c’è dubbio che la fase nella quale il sistema delle autonomie interloquisce nella formazione delle leggi dovrebbe trasferirsi integralmente al Senato.
  La domanda è: che cosa succede nel caso – che, come sapete benissimo, non è meno importante – della normazione primaria governativa, ossia dei decreti legislativi ? Sui decreti-legge sarei più favorevole a dire che si trasferisce al Senato, perché sul decreto-legge c’è un immediato controllo parlamentare nel procedimento di conversione. Noi possiamo pensare che la possibile interlocuzione si trasferisca tutta nel parere parlamentare sugli schemi di decreto legislativo ? Secondo me, questo è un elemento critico di riflessione. Non sempre il contenuto dei decreti legislativi è propriamente di normazione legislativa nel senso sostanziale della parola; spesso è un contenuto che li avvicina molto alla regolazione secondaria.
  Il sistema si può configurare molto più chiaramente, invece, per quanto riguarda l'attività normativa secondaria del Governo. La riforma incide anche su questo, perché, non soltanto ridefinisce il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni, ma supera quel limite alla competenza regolamentare del Governo che era molto incisivo nella riforma del Titolo V del 2001.
  È pensabile che sotto questo profilo un'interlocuzione tra Governo e sistema delle autonomie nella predisposizione degli atti di normazione secondaria continui a restare in capo alla conferenza. Mi riferisco alla regolamentazione attuativa e alla regolamentazione tecnica.
  Vorrei sottolineare a questo riguardo che, almeno sulla base della mia esperienza, solo formalmente la rappresentanza del sistema delle autonomie nelle conferenze è data dai presidenti e dai sindaci nella Conferenza Stato-città o Pag. 8nella Conferenza unificata insieme ai Presidenti delle Regioni. In realtà, funzionando come strumento di raccordo tra gli esecutivi, di fatto spesso al posto dei presidenti e al posto dei sindaci ci sono gli assessori competenti, o comunque è decisivo il ruolo di un sindaco che è delegato nell'ambito dell'ANCI a occuparsi di una determinata materia, per esempio della sanità o della finanza locale. Molto importante in concreto è sempre stato il ruolo di istruttoria delle decisioni delle conferenze che viene adottato a monte dalle segreterie delle conferenze con i tecnici delle Regioni e degli enti locali.
  Riferisco un aneddoto. Tra il maggio 1996 e la fine del 1998 io sono stato Ministro della funzione pubblica e degli affari regionali. La Conferenza Stato-città era presieduta da Giorgio Napolitano, in quanto Ministro dell'interno, ma la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza unificata erano presiedute da me.
  Io rimasi molto positivamente impressionato dal fatto che nell'ordine del giorno di queste conferenze – inizialmente esisteva solo la Conferenza Stato-Regioni, ma rapidamente il sistema si è esteso anche alle altre – la grandissima maggioranza (80-85 per cento) delle decisioni erano state completamente istruite, negoziate, concertate e concordate, per cui venivano approvate all'unanimità nel giro di qualche secondo.
  Ciò rendeva possibile far funzionare un organismo che altrimenti non avrebbe potuto funzionare, perché mettere insieme presidenti di Regione e sindaci di grandi città, che sostanzialmente potevano dedicare al lavoro della conferenza il giovedì pomeriggio una settimana sì e una settimana no, per prendere una gran massa di decisioni concrete, di provvedimenti, di atti d'intesa e così via sarebbe stato impossibile senza questo lavoro a monte.
  In realtà, in queste sedute vi erano una o due questioni su cui occorreva discutere e su cui magari non si giungeva a una decisione e si rinviava alla successiva, ma ce n'erano per ognuna di queste dieci, quindici o venti su cui l'approvazione era rapidissima, perché era già avvenuto questo lavoro di concertazione.
  È chiaro che questo è un tipo di lavoro del tutto diverso da quello che può fare un'assemblea di tipo parlamentare, come è e resta il Senato, sia pure nel quadro del bicameralismo differenziato.
  A quelle sedute i tecnici o i funzionari che avevano partecipato al lavoro di concertazione erano presenti, sia pure alle nostre spalle, e in caso di necessità intervenivano e spiegavano, perché lo schema istituzionale della conferenza rendeva questo possibile.
  È vero che noi abbiamo esperienze di questo tipo anche in assemblee parlamentari. È noto, per esempio, che nelle sedute del Senato americano alle spalle dei senatori ci sono in genere i capi dello staff di ciascun senatore. Normalmente il modo di funzionare delle assemblee legislative renderebbe difficile un lavoro del tipo che vi ho descritto.
  La mia valutazione finale è che, se noi teniamo presente la grande distinzione tra la formazione delle scelte di politiche pubbliche, la loro definizione normalmente attraverso norme primarie, il controllo e la valutazione da una parte, e l'esecuzione e gestione dall'altra, che richiede anche una funzione di definizione di scelte tecnico-amministrative secondarie, noi abbiamo le guideline per una ridefinizione del ruolo delle conferenze.
  Il ruolo delle conferenze resta a mio avviso fondamentale. Se guardiamo anche ad altri Paesi con forti autonomie, vediamo che anche lì ci sono organismi di questo genere.
  Non sarebbe utile, neppure nell'ottica di un forte rafforzamento dei ruoli del nuovo Senato, metterle in capo al Senato, perché ciò finirebbe per snaturarne il ruolo e per soffocarlo in funzioni che non può svolgere. Infatti, parliamo di una funzione di raccordo tra gli esecutivi. Il Senato casomai è chiamato a valutare e a controllare se gli esecutivi, anche nel raccordo fra loro, riescono ad attuare e a implementare le scelte politiche che il Pag. 9Parlamento, nello schema del nuovo bicameralismo differenziato, ha effettuato.
  L'ultima parte dell'intervento che qui ha svolto il Ministro della sanità, Beatrice Lorenzin, mi sembra particolarmente significativo, perché ha identificato, a mio avviso bene, nell'ambito della materia di sua competenza, che, come sapete, è molto importante soprattutto nel contesto delle Regioni, alcune decisioni che oggi sono principalmente in capo alle conferenze e che invece a questo punto possono essere intestate al Senato.
  Se guardate bene, quelle importanti decisioni che Beatrice Lorenzin ha identificato in termini quantitativi sono una minoranza delle decisioni in materia sanitaria che le conferenze sono chiamate a prendere, ma sono quelle qualitativamente più importanti, in cui si esprime un contenuto di scelta politica e non meramente di attuazione tecnico-amministrativa.
  A me pare che quella sia stata, da parte del Ministro della salute e dei suoi uffici, un'applicazione corretta dei principio che mi permetterei di indicare, che è quello di distinguere tra queste diverse funzioni che istituzionalmente, in un corretto rapporto tra potere legislativo (o meglio potere legislativo, di indirizzo e di controllo) e potere esecutivo, stanno dalla parte del potere legislativo.
  Da questo elenco emerge che ne restano molte dalla parte del potere esecutivo, ed è bene che stiano lì, anche per non finire con l'alterare il corretto rapporto tra chi, oltre ad assumere le decisioni fondamentali, deve anche controllarle e valutarle, e chi invece deve essere controllato e valutato.
  Se spostassimo funzioni esecutive-gestionali dal lato degli esecutivi al lato del Parlamento, ci troveremmo nella condizione in cui chi deve controllare e valutare è lo stesso che alla fine viene controllato e valutato, che non è evidentemente una buona soluzione dal punto di vista di un'efficiente architettura istituzionale.
  Vi ringrazio dell'attenzione.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto il professor Bassanini. L'esigenza della sua audizione nasce proprio da questo: la storia dell'organizzazione strutturata delle funzioni di raccordo fra Stato e Regioni ha interessato due fasi diverse, una precedente alla riforma del Titolo V della parte seconda della Costituzione e una successiva.
  Oggi, anche alla luce della nuova riforma costituzionale, chiaramente c’è la necessità che il nuovo Senato e il sistema delle conferenze siano tra di loro integrati e complementari, per evitare sovrapposizioni e per rendere più efficace e più trasparente l'azione che, nelle scelte di governance, lo Stato centrale compie d'intesa con le Regioni.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO RIBAUDO. Ringrazio il professore Bassanini. Credo che stamattina abbiamo avuto più chiarezza su tutto l’excursus che abbiamo fatto nelle altre sedute, anche perché lui è uno che si è inventato dagli inizi degli anni ottanta quest'idea della conferenza e di questo raccordo Stato-Regioni.
  Mi convince molto questa separazione fra la funzione del «sistema delle conferenze» nella gestione, che comunque sarà amministrativa, degli atti secondari della legislazione dell'esecutivo e quella relativa alla fase della legislazione primaria.
  Infatti, nella fase ascendente di formazione delle leggi oggi le conferenze sono chiamate a esprimere pareri che a volte non c’è neanche il tempo di esprimere. Questa funzione viene eliminata e passa al Senato, dove c’è la rappresentanza delle Regioni.
  C’è una separazione netta rispetto a quella fase di legislazione primaria che ormai rimane al Senato, come doveva essere con il Senato delle autonomie locali.
  A questo punto, occorre modificare il sistema delle autonomie in maniera più dettagliata. Rispetto ai pareri, alle competenze, alle funzioni che avrà nella gestione di atti amministrativi, mi chiedo se sia il caso di intervenire in maniera più precisa e determinata.Pag. 10
  Mi spiego meglio: attualmente è tutto fondato sul principio di leale collaborazione, perché si presume che questa collaborazione fra i vari livelli dello Stato alla fine porti a un miglior funzionamento. Mi chiedo se invece nella fase di trasformazione non sia necessario dettare norme più cogenti e più stringenti sul rapporto che ci sarà tra i vari enti, fermo restando il principio generale di leale collaborazione previsto dalla Costituzione. A questo proposito ci sono state diverse sentenze, che hanno stabilito che questo principio ci deve essere. Tuttavia, mi chiedo se anche negli atti amministrativi non sia necessario stabilire, per esempio, scadenze e tempi entro i quali devono essere espressi alcuni pareri.

  DANIELE GAETANO BORIOLI. Mi collego a quanto diceva l'onorevole Ribaudo. Faccio una considerazione. Sono sostanzialmente d'accordo con le considerazioni svolte poc'anzi dal professor Bassanini rispetto al tipo di soluzione che è stato dato al superamento del bicameralismo paritario. Non so se fosse immaginabile una soluzione diversa, con un Senato nel quale sedessero gli esecutivi. Tuttavia, siccome non è quella la soluzione che abbiamo scelto, mi pare evidente che siano necessari una ridefinizione delle competenze, un'attribuzione molto più chiara al nuovo Senato delle funzioni di produzione normativa e una ridefinizione delle competenze della conferenza.
  Mi pare evidente, per le cose che diceva il professor Bassanini, che non si può immaginare di non avere più uno strumento come la Conferenza Stato-Regioni o come la Conferenza unificata, proprio perché l'attuazione delle norme e in modo particolare quel carburante fondamentale per l'attuazione delle norme a cui lei faceva riferimento, che è, ad esempio, il riparto delle risorse a disposizione, richiedono un organismo in cui ci siano gli esecutivi che dipanino questa materia.
  Lo dico a maggior ragione perché noi abbiamo pensato a un Senato che, anche con l'introduzione in extremis della previsione di tener conto del voto dei cittadini, nell'articolazione che gli si è voluta dare, sarà un Senato in cui ci saranno le rappresentanze regionali articolate per schieramenti politici. Inoltre, abbiamo scritto che ci sarà una rappresentanza proporzionale alla consistenza demografica delle Regioni, mentre io ricordo, per averne fatto parte nelle vesti di assessore regionale, che uno dei tratti delle conferenze era che ogni testa valeva un voto, ovvero ogni Regione aveva lo stesso peso.
  Da questo punto di vista, sono assolutamente d'accordo. Credo, come diceva il collega, che si tratterà piuttosto di individuare, nel funzionamento della Conferenza Stato-Regioni, alcuni meccanismi che evitino che le decisioni circa alcune questioni si blocchino.
  Io cito solo un esempio. Scusate se mi riferisco a un'esperienza concreta vissuta. Vi ricordo il tempo che ci volle, per esempio, per arrivare a definire il pacchetto complessivo nell'attribuzione di quelli che una volta si chiamavano i fondi per le aree sottoutilizzate (FAS), perché, fin quando non c'era un'intesa tra tutte le Regioni, non si riusciva a chiudere il pacchetto complessivo delle risorse assegnate.
  Bisognerà trovare dei meccanismi per cui a un certo punto siano previste delle scadenze, magari votando a maggioranza, ovviamente nel rispetto di alcuni princìpi nella ripartizione.
  Mi pare che questo sia il tema: come si riorganizza il lavoro della Conferenza Stato-Regioni e della Conferenza unificata per renderle più efficienti, ovviamente senza eliminarle. Questa è la mia opinione.

  PRESIDENTE. Io vorrei porre solo una domanda. Nell'impostazione dell'intervento del professor Bassanini ovviamente, come hanno ricordato i colleghi, vi è l'esigenza di mantenere l'attuale sistema di raccordo amministrativo tra esecutivi che sta dentro al circuito delle conferenze, che riguarda le Regioni e più in generale le autonomie locali.
  Ovviamente tale sistema va depurato di quella parte che riguarda il ruolo che fino Pag. 11ad oggi le conferenze hanno avuto nel procedimento legislativo, aldilà delle giuste osservazioni fatte sulla diversa tipologia di fonti di produzione normativa (il decreto-legge, il decreto legislativo e così via).
  Peraltro, ciò è coerente con il nuovo procedimento legislativo previsto dalla riforma costituzionale, in considerazione del fatto che vi sono una quantità e una qualità di procedimenti legati all'esecuzione di decisioni politiche che trovano un loro raccordo in sede di conferenza, dove si sviluppa il principio di leale collaborazione che è stato codificato anche meglio nelle decisioni della Corte costituzionale.
  Pertanto, c’è la necessità di fare in modo che l'attività del Senato sia un'attività importante, perché altrimenti non si comprenderebbe quale debba essere la funzione di raccordo che allo stesso viene assegnata dal nuovo testo costituzionale, in un quadro però integrato rispetto al ruolo delle conferenze.
  Ciò che mi chiedo, in base alla discussione che abbiamo fatto, è se non sia opportuno immaginare che il «sistema delle conferenze», con la ridefinizione delle loro competenze e delle loro funzioni, debba essere allocato al Senato. Non lo dico solo da un punto di vista fisico, il che comunque sarebbe di una grande utilità, ma proprio perché questo darebbe compiutezza piena e definirebbe un rapporto efficiente tra la funzione della nuova Camera delle Regioni e delle autonomie e il sistema di raccordo.
  È chiaro che si tratta di una valutazione che ha profili molto complessi, perché oggi il «sistema delle conferenze» è incardinato presso la Presidenza del Consiglio, ancorché al Dipartimento degli affari regionali, però il tema di un'integrazione tra il lavoro che fa il Senato e quello che fanno le conferenze secondo me dovrebbe essere oggetto di un approfondimento. Al riguardo mi interesserebbe conoscere l'opinione del professore.
  Do la parola al professor Bassanini per la replica.

  FRANCO BASSANINI, Presidente della Fondazione Astrid. Ha esattamente riassunto uno dei punti dell'impostazione che a me pare preferibile, dicendo che la fase ascendente delle decisioni legislative, che oggi ha un suo momento importante nel lavoro delle conferenze, emigra, ed è giusto che sia così.
  La fase ascendente naturalmente è importante oggi ed è anche quella nella quale spesso ci sono i punti di maggiore conflittualità tra le rappresentanze locali e il Governo. Nella fase attuativa spesso ci sono problemi.
  Tutti noi ricordiamo probabilmente il decreto n. 112 del 1998, che è stato il provvedimento più importante di ridefinizione del sistema delle competenze amministrative e, quindi, anche di trasferimento di molte competenze a Regioni, Province e Comuni.
  Tale provvedimento fu segnato da un confronto durissimo tra i rappresentanti delle Province, i rappresentanti dei Comuni e i rappresentanti delle Regioni, perché c'era da allocare funzioni. Il Governo faceva l'arbitro.
  Singolarmente – lo voglio dire senza nessun intento polemico – alla fine venne fuori un ruolo dell'ente intermedio di area vasta fortemente potenziato, perché a un certo punto si riconobbe che c'era un blocco di funzioni che non potevano andare ai comuni medio-piccoli, che inopportunamente sarebbero state allocate nelle Regioni, soprattutto quelle grandi o medio-grandi, e che, quindi, richiedevano un'area vasta.
  Fu una decisione tecnico-politica che alla fine fu condivisa, ma dopo una fase di confronti molto consistenti.
  Il punto è che la fase ascendente dei provvedimenti legislativi certamente finisce al Senato. Ho citato l'esempio del decreto n. 112 perché lì si trattava della fase ascendente della formazione di un decreto legislativo. È vero che la delega della legge del 1997 era molto ampia. Tanto per fare un esempio, con questa delega, sulla base di un principio di due righe e mezzo, che sostanzialmente incardinava l'idea che si applicasse anche il principio di sussidiarietà orizzontale, il Ministro Bersani fece la liberalizzazione Pag. 12del commercio, cogliendo di sorpresa tutte le organizzazioni di categoria, le quali non avevano minimamente pensato che la legge di delega per la riforma dell'amministrazione riguardasse anche la liberalizzazione delle attività commerciali. Secondo me è un esempio significativo.
  Oggi avete i decreti legislativi di attuazione della riforma Madia. I primi sono stati recentemente approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Questi decreti adesso riceveranno il parere del Consiglio di Stato e delle conferenze, prima di quello delle Commissioni parlamentari. Questo è un punto critico su cui riflettere: sono ancora sottoposti al parere delle conferenze oppure a quel punto è il parere del Senato che assorbe questo ruolo ? Io rimetto questo punto alla vostra valutazione.
  Siamo nella fase ascendente di provvedimenti che sono basati su una delega parlamentare, il cui contenuto è assolutamente di legislazione primaria, non solo perché è così nel sistema delle fonti, ma perché alcune leggi di delega con princìpi e criteri direttivi molto ampi trasferiscono al Governo l'esercizio di una funzione anche sostanzialmente di legislazione primaria.
  Le scelte di politiche pubbliche fondamentali sono come cornice nella legge di delega, ma in questi casi sono come sostanza nel decreto legislativo. Questo, secondo me, è un punto da risolvere.
  Io credo che, se il Senato fosse consapevole dell'importanza di questa cosa, dovrebbe attrezzarsi per assorbire lui questa parte.
  Naturalmente questo significa che cose di questo genere non possono essere affidate a una Commissione parlamentare che se ne occupa nei ritagli di tempo, come non sempre ma spesso succede per i pareri sui decreti legislativi del Governo.
  Io penso che il principio di leale collaborazione non possa essere nelle sue attuazioni interamente normato; è un principio generale che deve ispirare i comportamenti. Tuttavia, ritengo che debba rientrare nella riflessione del Parlamento e di questa Commissione, in particolare in questa fase, il tema che ha posto l'onorevole Ribaudo: valutare se non sia necessario introdurre dei meccanismi che consentano di avere tempi certi di decisione.
  Questo è coerente con l'esigenza che ha ispirato tutte le riforme degli ultimi tempi: noi abbiamo bisogno di un sistema istituzionale in grado di dare risposte rapide a domande e problemi, che, per dirlo chiaramente tra di noi, 50 anni fa potevano consentire risposte più dilatate nel tempo.
  Io ricordo ancora che quando ero un giovane professore di diritto costituzionale mi trovai di fronte alla richiesta di scrivere un articolo per commentare la seguente situazione: che cosa succede se un presidente incaricato dal Presidente della Repubblica di formare un nuovo Governo non coltiva il suo incarico ?
  Infatti, un presidente incaricato, dopo due mesi che aveva ricevuto l'incarico, non aveva ancora formato il Governo. Era un uomo da tutti ammirato, ma noto per la sua tendenza ad aspettare che i problemi si risolvessero da soli. Ci furono una serie di articoli, scritti da me e da altri costituzionalisti dell'epoca, in cui ci si domandava: può in questi casi il Presidente della Repubblica richiamarlo ?
  Oggi sarebbe impensabile restare in una situazione di sostanziale assenza di un Governo in carica per dei mesi, perché succede che durante la notte c’è un crollo nelle borse asiatiche che impone di prendere dei provvedimenti la mattina dopo.
  Questo risponde anche alla questione posta dal senatore Borioli. Io credo che ci siano probabilmente alcuni interventi che potrebbero consentire di evitare quelle situazioni che hanno prodotto in certi momenti una paralisi decisionale delle conferenze. Si tratta di studiare meccanismi procedurali che consentano di arrivare alle decisioni entro tempi certi.
  D'altra parte, l'ultimo decreto che esaminerete tra poco, per esempio, sulla riforma della conferenza dei servizi ha la stessa logica.
  La questione posta dal presidente D'Alia è importante e, a mio avviso, richiede una riflessione. Io non penso che la collocazione istituzionale fondamentale delle Pag. 13conferenze non possa non essere la Presidenza del Consiglio. Tuttavia, la questione che ha posto il presidente potrebbe anche essere declinata diversamente: c’è un'interlocuzione tra il sistema delle conferenze e il Parlamento ? Qual è la sede privilegiata di questa interlocuzione ? Questo tema esiste. Chi valuta ? Chi controlla ?
  Il Senato rappresenta il sistema delle Regioni. I decreti legislativi della Madia sono di grande interesse per il sistema delle autonomie. Tra questi ci sono quello sulle società partecipate dalla Regione e dagli enti locali e quello sui servizi pubblici locali. Cito solo i due decreti che sono stati già approvati in via preliminare dal Consiglio dei ministri. Io penso che su questi potrebbe aprirsi un dibattito nelle conferenze, visto dal lato del lavoro degli esecutivi.
  Le conferenze possono cercare un'interlocuzione, ma con chi ? Sarebbe giusto che la cercassero con il Senato. Potrebbe essere lo stesso Senato a dire: «Voglio ascoltare il parere delle conferenze, perché in questo caso mi serve a completare la mia istruttoria».
  Questo naturalmente potrebbe avvenire a maggior ragione se nella composizione del Senato non fosse garantita la presenza dei Presidenti delle Regioni. Teniamo conto che oltre ai Presidenti delle Regioni in certi casi c’è anche il sistema delle autonomie. Certamente non possiamo garantire la presenza dei sindaci o dei sindaci delle grandi città, oltre che dei Presidenti delle Regioni, nella composizione del Senato.
  Peraltro, l'ultima scelta fatta fa sì che, dovendosi tener conto del parere degli elettori, questa seconda cosa sia già automaticamente esclusa. La prima non lo è, perché in fondo i Presidenti delle Regioni, nel nostro sistema attuale, sono espressi dal corpo elettorale; mentre la seconda lo è, perché i sindaci non sono eletti dal corpo elettorale, che elegge i Consigli regionali e i Presidenti delle Regioni.
  Io penso che il problema posto dal presidente D'Alia possa essere approfondito. La presidenza, a mio avviso, deve restare in capo al Presidente del Consiglio o al suo delegato e al Ministro dell'interno per quanto riguarda la Conferenza Stato-città, però l'interlocuzione col Parlamento potrebbe esserci e potrebbe avere un suo riferimento nel Senato.
  Se poi, esistendo al Senato delle strutture, sia logistiche che organizzative di competenze, che a questo punto potrebbero avere delle valenze libere, si vuol pensare di collocare fisicamente nelle strutture del vecchio Senato il ’sistema delle conferenze’, questo andrebbe valutato, ma comunque è una scelta di cui sono abbastanza facilmente analizzabili i pro e i contro.

  PRESIDENTE. Io penso che questa riflessione sia importante per una ragione: come noi sappiamo, il ruolo del Senato, anche nel procedimento legislativo, è collegato al cosiddetto «potere di richiamo» di alcuni disegni di legge che dovessero comportare una competenza del sistema delle autonomie territoriali o comunque avere un'incidenza su di esso. Peraltro, questo potere di richiamo si esercita in termini molto stretti.
  La possibilità di un lavoro complementare e congiunto tra il «sistema delle conferenze» e il Senato farebbe in modo di sciogliere quei nodi relativi alla natura della rappresentanza del Senato, oltre che delle funzioni, e consentirebbe di svolgere in maniera efficiente quel lavoro di consultazione politica – lo dico in termini molto atecnici – che riguarda il sistema delle autonomie e che sta dentro alla funzione costituzionale di raccordo del Senato, e quel ruolo di attuazione amministrativa e di concertazione politica che riguarda i vertici degli esecutivi regionali, che si fa con la Presidenza del Consiglio e con il Governo centrale, che comunque è complementare.
  Questo consente di evitare sovrapposizioni e conflitti e anche di svolgere un lavoro che metta nella condizione i senatori di poter essere collegati anche alla rappresentanza politica dei governi regionali.

  FRANCO BASSANINI, Presidente della Fondazione Astrid. Presidente, io non avevo ragionato su questo punto che lei sottolinea molto opportunamente. È vero: visto Pag. 14che la fase ascendente dei provvedimenti d'iniziativa del Governo non sta più nelle conferenze e visto anche che il Senato ha dei tempi molto compressi, su quelli bisogna assolutamente assicurare un raccordo quotidiano e molto efficiente.
  Questo potrebbe incardinare l'idea che lì si mette la sede, in modo da avere un raccordo continuo. Infatti, oggi i presidenti delle Regioni e i sindaci dell'ANCI sono preavvertiti su quello che il Governo sta facendo, perché avviene una consultazione preventiva. Se domani vedono una cosa e hanno delle reazioni, devono immediatamente trasferirle in un potere di richiamo del Senato, che va attivato in tempi molto stretti. Ha perfettamente ragione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Bassanini per il tempo che ci ha dedicato e soprattutto per il contributo, che è utile ai fini del nostro lavoro.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9,10.