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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Giovedì 25 febbraio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione dei professori Raffaele Bifulco e Guido Rivosecchi.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Bifulco Raffaele , professore ordinario di diritto costituzionale dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma ... 2 
Rivosecchi Guido , professore ordinario di diritto costituzionale e di istituzioni di diritto pubblico dell'Università LUMSA di Palermo ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Cotti Roberto  ... 9 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10 
Rivosecchi Guido , professore ordinario di diritto costituzionale e di istituzioni di diritto pubblico dell'Università LUMSA di Palermo ... 11 
Bifulco Raffaele , professore ordinario di diritto costituzionale dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma ... 12 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Raffaele Bifulco e Guido Rivosecchi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Raffaele Bifulco, professore ordinario di diritto costituzionale dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma, e di Guido Rivosecchi, professore ordinario di diritto costituzionale e di istituzioni di diritto pubblico dell'Università LUMSA di Palermo.
  Nel ringraziare i presenti per la loro disponibilità, darei la parola al professor Bifulco per lo svolgimento della sua relazione.

  RAFFAELE BIFULCO, professore ordinario di diritto costituzionale dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma. Grazie, presidente, buongiorno a tutti. Innanzitutto grazie per questo invito, so che avete una folta lista di persone da audire, ma, tranne l'intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gianclaudio Bressa, e del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, non so quanti altri mi abbiano preceduto, quindi non so in quale contesto inciderà il mio intervento.
  Cercherò di parlare non più di quindici minuti, ho tenuto ovviamente presente il questionario che mi è stato sottoposto e penso di intervenire per rispondere a tutte le domande, anche se non precisamente nell'ordine del questionario.
  Vorrei procedere partendo da una questione preliminare, vale a dire che alle domande poste da questa Commissione, secondo me, è possibile rispondere tenendo presente contemporaneamente due scenari: uno scenario, che possiamo definire macro, vale a dire il rapporto Regioni/enti territoriali all'interno dello Stato, e uno scenario, che, per contrapposizione, definirei micro, che guarda al futuro delle Regioni nell'ambito dell'ordinamento costituzionale italiano, a seguito della riforma costituzionale in corso di approvazione.
  Il ruolo delle Conferenze, a mio avviso, dipenderà dall'incrocio di questi due scenari. È quindi importantissimo il ruolo del Senato, su cui vi sono molte domande nel questionario, però, come vedrete, io cercherò di spostare l'attenzione più sul futuro delle Regioni a seguito della riforma, tema ovviamente presente nella terza domanda.
  Sul nuovo Senato non dirò ovviamente nulla di nuovo. Il questionario richiama l'attenzione sulle nuove funzioni dal punto di vista della struttura del futuro Senato. Segnalo, secondo il nuovo testo costituzionale in corso di approvazione che abbiamo in rappresentanza delle istituzioni territoriali più funzioni di raccordo tra Stato ed enti costitutivi della Repubblica.
  Qui dovremo lavorare per individuare la distinzione precisa tra istituzioni territoriali ed enti costitutivi, per capire le ricadute pratiche di questa distinzione, mentre, Pag. 3dal punto di vista delle funzioni, il testo è preciso e evidenzia che le funzioni del futuro Senato non sono poche. La principale sembrerebbe la partecipazione alla funzione legislativa (il testo dice che il Senato «concorre»), mentre, dal punto di vista dei rapporti multilivello, il Senato viene chiamato ad esercitare funzioni di raccordo all'interno della Repubblica, ma anche all'esterno, con l'Unione europea. Al Senato, inoltre, è riconosciuta la funzione di valutazione, una funzione del tutto nuova; infine concorre all'espressione di pareri.
  Il nuovo testo costituzionale sembra specificare concretamente solo la partecipazione del Senato alla funzione legislativa. Sul resto sospenderei il giudizio, perché molto dipenderà dall'implementazione della riforma attraverso le leggi e i regolamenti parlamentari.
  Cosa emerge focalizzando l'attenzione sulla funzione legislativa, di cui all'articolo 70 della Costituzione? Direi subito che, se ci aspettiamo un Senato che rappresenti le Regioni, non lo troviamo. Troviamo, invece, un Senato in posizione di sostanziale debolezza.
  Dico questo perché, in base all'ultima versione dell'articolo 70 della Costituzione, nel procedimento di approvazione delle leggi in cui Camera e Senato hanno un ruolo paritario, il Senato interviene in un ruolo di rappresentanza, non tanto delle Regioni, con l'eccezione, forse, degli interventi del Senato nelle materie di cui agli articoli 119, comma sesto, e 120, comma secondo, quanto, al contrario, l'intervento delle Regioni è indirizzato proprio alla rappresentanza del sistema territoriale nel suo complesso. Questo per quanto riguarda le leggi «bicamerali», paritarie.
  Sui procedimenti legislativi, invece, che riguardano le Regioni, la successione delle modifiche mi permette di dire che il Senato è sicuramente in una posizione subordinata, secondaria, sia con riferimento alle leggi di potestà esclusiva dello Stato, sia con riferimento alle leggi rientranti nella potestà residuale espressa, sulla base dell'articolo 117, comma terzo.
  Anche sull'uso da parte del Governo e del Parlamento della clausola di supremazia le modifiche intervenute (articolo 117, comma quarto) non mi sembrano porre un ostacolo insormontabile alla prevalenza della Camera. Come è noto, infatti, con il nuovo sistema elettorale, il cosiddetto «Italicum», si può prevedere che la maggioranza assoluta non sarà un obiettivo difficile da raggiungere e che, quindi, non sarà difficile per la Camera superare l'eventuale maggioranza assoluta del Senato.
  Dal punto di vista della funzione legislativa, quindi, il contributo del Senato in funzione di rappresentanza delle Regioni non mi pare decisivo. Questa limitata incidenza sulla funzione legislativa mette in secondo piano tutte le questioni sulla composizione del futuro Senato. Se, infatti, dovessi dare un giudizio sul futuro Senato, mi soffermerei sulla funzione che esso svolgerà piuttosto che sui molteplici problemi legati alla sua composizione. Su questo mi pare che il Ministro Boschi, in questa sede abbia detto delle cose precise in una prospettiva futura a proposito dell'intervento in Senato dei Presidenti delle Giunte regionali.
  Ritornando alla questione della potestà legislativa – secondo me questo è il punto – in piena coerenza con quanto abbiamo appena detto, emerge cioè che la nuova disciplina del riparto della funzione legislativa e quella della funzione del Senato si tengono bene insieme. Il punto qual è? La «cura dimagrante» forte a cui sono state sottoposte le Regioni, che mi pare un elemento di tutta evidenza. L'articolo 117, comma terzo, non lascia dubbi in proposito.
  Su questo potremmo eventualmente discutere, ma quello che emerge dall'analisi del testo dell'articolo 117, che ho rapidamente svolto in questi giorni, è che alle Regioni rimane una legislazione di carattere prettamente organizzativo, se volete pianificatorio, comunque attuativo, in alcuni casi, di quanto stabilito dalle leggi dello Stato in via esclusiva.
  Certo i costituzionalisti (il Professor Rivosecchi si è occupato del punto) stanno discutendo su quali saranno le conseguenze del modo in cui è costruita la nuova funzione legislativa esclusiva, laddove si Pag. 4dice che lo Stato adotta le «disposizioni generali e comuni». Molti costituzionalisti ritengono che, alla fine, non sia cambiato niente, configurandosi di nuovo la potestà legislativa concorrente, perché lo Stato, legiferando in via esclusiva, sarà soggetto, comunque, a importanti limitazioni.
  Il «governo del territorio» è una delle materie classiche di competenza legislativa delle Regioni. Il nuovo testo dell'articolo 117, comma secondo, dice che lo Stato, in tale ambito, esclusiva, ma limitatamente alle «disposizioni generali comuni». È proprio così, non è cambiato niente, cioè la potestà concorrente, cacciata dalla porta, ritorna dalla finestra? Su questo naturalmente dovremo aspettare, prima di esprimere giudizi perentori, ma a me non sembra che sia così, nel senso che le «disposizioni generali e comuni sul governo del territorio» sono espressione di legislazione esclusiva e questo, a mio avviso, lascerà più spazio alla discrezionalità dello Stato.
  Guardando anche a quanto è accaduto fino ad oggi, chi potrà impedire alla Camera di stabilire cosa è generale? Credo che la Corte Costituzionale, per quanto integrata con due membri di nomina senatoriale, eserciterà un opportuno self-restraint sul punto, soprattutto visto che la legge viene approvata con una partecipazione del Senato e dunque degli enti territoriali.
  Qual è il modello che si prefigura? Io sospendo ogni giudizio in questa sede sul merito della riforma, che può piacere o no, ma ha una sua coerenza interna. La coerenza sta nel ridurre fortemente i poteri legislativi delle Regioni e nell'attribuire allo Stato maggiore efficacia ed efficienza.
  Non escluderei uno scenario di tipo tedesco. Come sapete (ho visto che il Sottosegretario Bressa è intervenuto sul punto), in Germania, la Costituzione disegni un impianto diverso, di fatto, dal 1948 ad oggi, si è attuata quella che definirei una «polarizzazione» delle funzioni, in quanto la Federazione si è appropriata della funzione legislativa, lasciando alla competenza legislativa dei Länder tre materie, perché la forza dei Länder non è nella legislazione, ma è nella amministrazione.
  Questo scenario si basa, dunque, sullo spostamento di molte materie verso la potestà legislativa esclusiva dello Stato, su una posizione di debolezza del Senato nella funzione legislativa, ma anche sulla sostanziale riduzione dei poteri legislativi delle Regioni.
  Se questa previsione dovesse prendere forma effettiva, il ruolo delle conferenze diventerebbe decisivo. Questo diventerà il tema dei prossimi anni, quando ci sarà bisogno di uno o più organismi che svolgano un ruolo effettivo di cinghia di trasmissione tra fase di formazione delle politiche pubbliche e fase implementativa. Non credo che questo ruolo possa essere svolto appieno dal Senato per i motivi di cui abbiamo appena parlato, un Senato, tra l'altro, composto da consiglieri regionali che ricordano la mitica figura di Aleksej Stachanov, in quanto iper-carichi di lavoro.
  Il fatto che la riforma non prenda in considerazione il ’sistema delle conferenze’ non incide in alcun modo sul ruolo futuro delle conferenze. Anzi, a mio avviso, la mancata previsione in Costituzione di un riferimento alle conferenze è un elemento di forza, perché rafforza (scusate il bisticcio) il loro carattere essenziale, rappresentato in tutti i sistemi federali dalla flessibilità di questi organismi, dalla loro informalità.
  Questo vuol dire che va bene l'attuale sistema delle conferenze? Credo che qui ci sia bisogno di un ripensamento e, quindi, questa indagine conoscitiva mi sembra quanto mai opportuna. Vorrei semplicemente ricordare alcuni punti importanti. L'attuale sistema delle conferenze è un sistema vecchio: avendovi partecipato negli ultimi mesi, ho assistito a uno spettacolo interessante, ma imbarazzante rispetto alle aspettative, perché, pur partecipando centinaia di persone, tutto è già deciso, è un elenco, un confronto tra il rappresentante dello Stato e il rappresentante delle Regioni. Si procede celermente, sulla base di un'agenda in cui vengono chiamati i vari punti all'ordine del giorno, perché tutto è già stato deciso in altra sede.
  Teniamo conto che la materia è regolata dal decreto legislativo n. 281 del 1997 antecedente, Pag. 5 quindi, alla riforma del 2001 e, ovviamente, antecedente alla riforma in corso di approvazione, se andrà in porto. Questo ha creato delle discrasie, enfatizzate negli ultimi anni, lo scarso raccordo del sistema delle conferenze con il Parlamento.
  Le conferenze, ovviamente, hanno svolto un forte ruolo di collegamento con il Governo, ma non riescono a porre vincoli alla discrezionalità del Parlamento. La Corte costituzionale lo ha ricordato più volte con la formula «il mancato rispetto degli strumenti cooperativi può tradursi in vizi di costituzionalità solo nei casi in cui il ricorso a questi strumenti (conferenze) sia espressamente previsto in Costituzione» e, siccome tale ricorso non è espressamente previsto in Costituzione, non è affatto vincolante.
  Richiamo solo la mancata attuazione dell'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001, nella parte in cui prevede l'integrazione della Commissione parlamentare per le questioni regionali con rappresentanti delle Regioni, delle Province autonome e degli enti locali, problema collegato al tema di cui stiamo parlando.
  Il secondo aspetto è la cosiddetta «fuga dalle conferenze». Negli ultimi anni si riscontra la tendenza delle Regioni a ricercare in Parlamento con varie formule: audizioni presso le Commissioni parlamentari, incontri con singoli ministri e Presidenti del Consiglio per avere corsie preferenziali in Parlamento, atti di raccordo tra Conferenze e associazioni di rappresentanza territoriali, atti che vengono conclusi in Conferenza delle Regioni, ma formalizzati in Conferenza Stato-Regioni, secondo una prassi a cui ho assistito in questi mesi.
  Il terzo punto di debolezza è l'impatto sul sistema delle fonti. L'abuso della delega da parte dell'esecutivo è, in parte, riconducibile alla circostanza per cui il Governo, tramite il ’sistema delle conferenze’, è in grado di guadagnarsi il consenso delle autonomie territoriali sui provvedimenti normativi da adottare.
  È, infine, sintomatica delle difficoltà incontrate dall'attuale ’sistema delle conferenze’ la legge n. 42 del 2009, la delega sul federalismo fiscale, che sappiamo quale fine abbia fatto. Però è interessante notare in quella legge il proliferare di succedanei rispetto al sistema delle conferenze: la Commissione parlamentare per l'attuazione del federalismo fiscale, la Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale, la Commissione permanente per il coordinamento della finanza pubblica.
  Quale ruolo è quindi possibile immaginare per le conferenze? Qui è importante guardare a quanto è accaduto negli altri Stati composti, vicini al nostro dal punto di vista della forma di Governo. È punto fondamentale perché è inutile guardare a quanto accade negli Stati Uniti o in altri sistemi a forte separazione fra Stato centrale ed enti territoriali, mentre può essere utile guardare cosa accade nei sistemi federali a governo parlamentare, perché in questi il ruolo delle conferenze è centrale.
  Il Canada, l'Australia e la Germania sono tutti sistemi federali con forma di governo parlamentare, in cui il ruolo delle conferenze è fondamentale in particolare, in Germania contiamo centinaia di conferenze miste di tutti i livelli. Che tipo di conferenze? La particolarità (qui rispondo all'ultima domanda posta) è il contributo della Conferenza delle Assemblee legislative delle Regioni.
  Queste Conferenze nascono orizzontalmente, in quanto, in origine, non prevedono la partecipazione della Federazione, o di quello che noi chiamiamo Stato: sono conferenze che nascono spontaneamente, informalmente, a cui partecipano i capi di Governo degli Stati membri, dei Länder, per assumere determinate decisioni a supporto di quanto verrà deciso a livello federale con la partecipazione del Bundesrat. Quindi, in particolare in Germania vi è un fortissimo collegamento tra la Conferenza dei capi degli esecutivi dei Länder e il Senato.
  Questa Conferenza è diventata importantissima, tanto che spesso viene invitato a parteciparvi anche il Cancelliere.
  Anche in Italia il modello (su questo mi trovo in piena sintonia con quanto qui dichiarato dal Sottosegretario Bressa) potrebbe Pag. 6 essere quello di una Conferenza degli esecutivi, composta dal Presidente del Consiglio e dai Presidenti delle Giunte regionali, una Conferenza molto diversa da quella Stato-Regioni attuale, che si riunisca una o due volte l'anno con un'agenda politica ben precisa e in cui vengano decise le linee di fondo. Questo tipo di Conferenza ben si sposa con il futuro Senato, che è a composizione consiliare, e permetterebbe di bilanciare gli esecutivi con i legislativi e di rispondere alle accuse di mancanza di trasparenza e di deparlamentarizzazione mosse al sistema delle conferenze.
  Non direi che sia necessaria una formalizzazione normativa di questo evento istituzionale, in quanto nei sistemi federali questi organismi non sono regolati. Rimane naturalmente il tema più delicato, cioè il rapporto con le Conferenze vigenti. La natura prettamente politica di questa Conferenza interistituzionale non porterebbe tuttavia ad escludere l'esistenza delle altre Conferenze – ovviamente riviste e attualizzate – Stato-Regioni e Stato-città. Si potrebbe pensare a un'organizzazione di tipo, come afferma il sottosegretario Bressa, reticolare, stellare, con, al centro, questa Conferenza a carattere politico e, intorno, l'attuale sistema delle Conferenze. Vi ringrazio.

  GUIDO RIVOSECCHI, professore ordinario di diritto costituzionale e di istituzioni di diritto pubblico dell'Università LUMSA di Palermo. Grazie, signor presidente, vorrei innanzitutto esprimere a lei e ai membri della Commissione un sentito ringraziamento per l'opportunità di esprimere il mio punto di vista nell'ambito di questa significativa indagine conoscitiva. È per me un grande onore essere qui e un'opportunità confrontarmi in questa altissima sede.
  Inizierei con un breve cenno al vigente «sistema delle conferenze», per poi esaminare il possibile impatto della riforma costituzionale sul processo di riordino delle conferenze medesime, cercando di seguire l'ordine dei quesiti che ci sono stati sottoposti, riservando poi qualche considerazione conclusiva al quesito n. 3, con riguardo ai possibili effetti del rinnovato riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni e all'impatto dei nuovi procedimenti legislativi sul «sistema delle conferenze».
  Il tema oggetto della nostra riflessione si intreccia, ovviamente, con la riforma del bicameralismo, in fase di approvazione. Il riordino del sistema delle Conferenze dipenderà, in larga parte, dall'attuazione delle norme costituzionali, se il progetto di riforma sarà approvato (ovviamente il presupposto di metodo della mia riflessione è che il progetto di riforma debba trovare attuazione).
  Dall'attuazione delle norme costituzionali e, in particolare, di quelle che dovrebbero riguardare il Senato, dipenderà il riordino del «sistema delle conferenze», perché sinora, proprio a bilanciare la mancanza di una seconda Camera delle autonomie, la cooperazione tra Stato e Regioni si è sviluppata nel sistema delle Conferenze.
  È davvero difficile rintracciare nella legislazione vigente tutti i singoli ambiti materiali in cui il rapporto tra Stato e Regioni è declinato attraverso queste procedure di concertazione dell'attuale «sistema delle conferenze», che riguardano larga parte della funzione legislativa e della funzione amministrativa. Le conferenze intervengono sia nella fase del procedimento legislativo sia nella fase preparatoria, esercitando funzioni consultive sui disegni di legge, sugli schemi di decreto legislativo, sugli schemi di regolamento del Governo, sia nella fase di attuazione della legge (gli accordi e le intese in Conferenza). Mi riferisco, soprattutto, alle conferenze di raccordo in senso verticale, cioè la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza unificata.
  In più c'è il tema che riguarda il ruolo delle Conferenze sulla funzione amministrativa, che riguarda anche atti significativi di scelta strategica, implica atti di programmazione, quali i piani di sviluppo economico, i piani ambientali, i piani sanitari.
  Con riferimento al tema del funzionamento delle conferenze, occorre quindi interrogarsi su quale potrebbe essere l'impatto della riforma sull'articolata serie di funzioni che esse svolgono. Come detto poc'anzi e approfondito dal sottosegretario Pag. 7Bressa nella sua audizione, la prospettiva comparatistica è di ausilio fondamentale, perché in tutti gli Stati federali o regionali il «sistema delle conferenze» si è sviluppato a prescindere dalle scelte relative alla seconda Camera.
  Nel caso italiano nulla osterebbe, sulla base del diritto comparato, a perpetuare il «sistema delle conferenze», anche in caso di trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, tanto più che il progetto di riforma della Costituzione conferma i princìpi su cui è stata edificata, nel caso italiano, la cooperazione in sede di Conferenza. Penso, in particolare, alla leale collaborazione, al principio di sussidiarietà, tutti princìpi che implicano un'allocazione mobile delle funzioni amministrative e – come afferma la Corte costituzionale – anche legislative tra i diversi livelli territoriali di Governo.
  Oltre a questi princìpi, nel progetto di riforma (vengo, in particolare, ai temi posti dal quesito n. 2) rivestono un ruolo fondamentale il Senato e le sue nuove funzioni di raccordo, sia nei confronti degli enti territoriali che sia nei confronti dell'Unione europea. Il riordino delle conferenze dipende innanzitutto dalle modalità di attuazione delle norme costituzionali sul Senato, perché, se con il Senato si realizzerà effettivamente il principio cooperativo, garantendo cioè l'emersione e la rappresentanza dei territori, è chiaro che il ruolo delle conferenze rimarrà centrale.
  Questo potrebbe però comportare un ridimensionamento del «sistema delle conferenze», quantomeno nella fase che precede l'avvio del procedimento legislativo, con riferimento, cioè, alle funzioni consultive delle conferenze sui disegni di legge, sugli schemi di decreto legislativo quelle cioè che riguardano la fase preventiva, alle quali peraltro la Corte costituzionale ha negato, come ricordato dal professor Bifulco, efficacia giuridica vincolante. Probabilmente quel tipo di funzioni consultive, con l'avvio del Senato delle autonomie, potrebbero venire meno.
  Dipenderà, in larga parte, (qui posso fare solo un cenno, rinviando eventuali approfondimenti sia al testo scritto che depositerò sia ad eventuali domande) dalla legge elettorale e dal regolamento del Senato la possibilità di favorire un'evoluzione dell'organizzazione e del funzionamento del nuovo Senato nel senso di garantire la rappresentanza dei territori.
  Da queste scelte dipenderà il riordino delle conferenze. Segnalo solo due nodi, rinviando anche qui al testo scritto. Il primo nodo centrale sul riordino delle conferenze è la presenza o meno dei Presidenti di Regione nel Senato. Se i Consigli regionali eleggeranno i Presidenti di Regione, si potrà in larga parte realizzare la cooperazione tra Stato e Regioni a monte, nel procedimento di formazione della legge, e si potrà conseguire più agevolmente uno degli obiettivi maggiormente qualificanti e condivisi del progetto di riforma, cioè quello di ridurre il contenzioso costituzionale davanti alla Corte.
  Quanto più, infatti, la funzione legislativa statale sarà partecipata dai rappresentanti degli esecutivi regionali, essendo il nuovo Senato prevalentemente espressione dei legislativi regionali, tanto più sì realizzerà il principio cooperativo e si ridurrà il contenzioso davanti alla Corte costituzionale, per la semplice considerazione che partecipa a monte della formazione della legge chi ha il potere (cioè il Presidente e la Giunta regionale) di impugnare le leggi davanti alla Corte.
  Qui potrebbe essere di aiuto l'unica potestà legislativa concorrente che rimane nel progetto di riforma, relativa al sistema delle ineleggibilità e delle incompatibilità, che è rimesso dal nuovo articolo 122, come peraltro da quello vigente, alla legge regionale nei limiti della legge di principio statale. Questo sistema di ineleggibilità e di incompatibilità dovrebbe favorire e non precludere la presenza dei Presidenti di Giunta regionale in Senato.
  In alternativa, è ipotizzabile un sistema di raccordo tra il Senato e le conferenze intergovernative che, attualmente, assicurano il raccordo in senso verticale, cioè la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza unificata, consentendo la rappresentanza di membri degli esecutivi regionali nel Senato tramite le conferenze. Questa è una Pag. 8via possibile di riordino, che consentirebbe, mediante la legislazione di riordino del «sistema delle conferenze» e le potenzialità del regolamento del Senato, di prevedere sessioni di lavoro integrate del Senato con i rappresentanti delle conferenze intergovernative, in qualità di rappresentanti degli esecutivi regionali.
  Il secondo punto riguarda i possibili criteri di riparto delle competenze, perché non può rimanere tutto uguale con il Senato delle autonomie. Sarà necessario, quindi, che la legislazione di riordino del «sistema delle conferenze» stabilisca un criterio di riparto di competenze tra il Senato delle autonomie e le conferenze, che dovrebbero essere mantenute in quanto fondamentali per realizzare il principio cooperativo in un sistema policentrico.
  Il criterio più utile potrebbe essere quello di un riparto per funzioni, lasciando la cooperazione sulla funzione legislativa al Senato e la cooperazione sulla funzione amministrativa alle conferenze, anche qui considerando che larga parte degli atti strategici di programmazione passa per questo secondo canale della cooperazione sulla funzione amministrativa, che non potrà essere tuttavia del tutto precluso al Senato.
  Faccio solo un esempio, perché prima si richiamava il tema centrale della finanza regionale e locale. Sugli accordi di riparto delle risorse degli enti territoriali, decisi in Conferenza o, negli ultimi anni più frequentemente, sugli accordi di riparto degli oneri finanziari che gli enti territoriali devono assumersi per conseguire gli obiettivi di finanza pubblica, è, ovviamente, impensabile tenere fuori il Senato delle autonomie.
  Anche qui bisognerà quindi studiare un meccanismo di recupero mediante il quale le Conferenze intergovernative, sia quelle di raccordo verticale sia quelle di raccordo orizzontale, si riposizioneranno rispetto al Senato. Per quelle di raccordo orizzontale, la prospettiva più plausibile è quella che possano svolgere funzioni istruttorie preliminari, preordinate allo svolgimento delle funzioni del Senato.
  In questo modo, il Senato potrebbe recuperare anche l'esercizio di funzioni che non gli sono completamente attribuite in base ai nuovi procedimenti legislativi, perché, per esempio, la legislazione bicamerale paritaria sulla finanza regionale e locale, salvo quanto disposto dal sesto comma dell'articolo 119 prima ricordato, non è attribuita al Senato, in quanto sulla finanza regionale e locale non è prevista la legge bicamerale paritaria. Il Senato, quindi, con queste scelte di programmazione, raccordandosi con le Conferenze, potrebbe recuperare, in parte, competenza sulle scelte strategiche.
  Un cenno conclusivo, se mi è consentito, al quesito n. 3, che affronta il nodo centrale, stando al diritto costituzionale vigente e alla giurisprudenza della Corte costituzionale, degli effetti sul riordino delle conferenze del rinnovato riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni e dei nuovi procedimenti legislativi previsti dalla riforma.
  Torno a dire che, in un sistema in cui il Senato è chiamato a rappresentare le autonomie, nel corso del procedimento legislativo potrebbe determinarsi un minor ricorso alle conferenze per quanto riguarda la funzione consultiva preliminare, mentre a conclusioni ben diverse dovremmo arrivare (questo è un punto delicato) in riferimento al potere regolamentare dello Stato, perché larga parte della cooperazione in conferenza sulla legislazione è stata valorizzata dalla giurisprudenza costituzionale con riguardo alle fonti secondarie, perché non può essere riconosciuto un valore costituzionalmente vincolante, quindi giuridicamente vincolante, alla cooperazione delle conferenze non previste nella Costituzione.
  La Corte ha quindi attribuito un valore giuridicamente vincolante alle fonti secondarie o, meglio, alle intese in Conferenza, come strumento privilegiato per garantire l'interpretazione delle leggi, costituzionalmente orientata alla leale cooperazione. In sostanza, quindi, il legislatore statale non può adottare fonti secondarie attuative delle leggi che hanno una particolare ricaduta sulle competenze regionali, anche soltanto sulle funzioni amministrative regionali, se non rispettando le intese sottoscritte in Conferenza. Pag. 9
  Pensate soltanto alla determinazione dei livelli essenziali di assistenza in materia sanitaria o dei livelli delle prestazioni: la legge statale in quegli ambiti spesso rimette alla fonte secondaria la determinazione del livello essenziale e le leggi statali che, ai fini di questa determinazione, non prevedono un passaggio in conferenza sono incostituzionali. A mio parere, la funzione che le conferenze svolgono per assicurare la cooperazione sulle fonti secondarie potrebbe essere perpetuata anche nel nuovo quadro costituzionale e, in larga parte, in relazione al nuovo riparto delle competenze legislative.
  Prima è stato richiamato il caso delle disposizioni generali e comuni, che mi sembra significativo: la potestà concorrente viene soppressa, larga parte delle materie oggi di potestà concorrente (governo del territorio o tutela della salute) diventano materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato, ma tale potestà è limitata, in certi casi, alle disposizioni generali comuni. Corrispondentemente, le Regioni avranno competenza, in materia di tutela della salute, sull'organizzazione dei servizi sanitari.
  Qui ci sarà bisogno di assicurare la cooperazione anche nella fase di attuazione della legge e quindi tornerà centrale il ruolo delle conferenze, anche in presenza di un Senato che realizza, in parte, a monte il principio cooperativo sulla legislazione.
  Il ruolo di cooperazione delle conferenze potrebbe venir meno nel particolare settore dell'allocazione mobile delle funzioni legislative: se, ad esempio, a diritto costituzionale vigente, con la chiamata in sussidiarietà, il legislatore statale ritiene che l'esercizio delle funzioni amministrative debba essere attratto a livello statale, è necessario che siano attratte anche le funzioni legislative, però a patto che ci sia l'intesa in conferenza sulle modalità di attuazione della legge.
  La condizione minima posta dalla giurisprudenza costituzionale è la perdurante mancanza della trasformazione delle istituzioni rappresentative, cioè del Parlamento, ai fini di garantire la rappresentanza delle autonomie, anche – dice la Corte costituzionale – nella forma minima dell'integrazione della Commissione per le questioni regionali, come previsto dall'articolo 11 della legge costituzionale n. 3 del 2001.
  La condizione minima per non ritenere necessaria l'intesa, ai sensi di questa giurisprudenza, sarebbe stata l'integrazione di questa Commissione. È possibile immaginare che il Senato delle autonomie possa soddisfare questa condizione. Verrebbe meno però solo la funzione delle conferenze intergovernative legata alla chiamata in sussidiarietà, che non avrebbe più ragione di essere nel nuovo quadro costituzionale, perché tutte le materie di potestà concorrente su cui la Corte costituzionale ha dichiarato necessaria la chiamata in sussidiarietà nel progetto di riforma diventano di potestà legislativa esclusiva dello Stato.
  Da questo punto di vista, vedo la possibilità di mantenere tutte le procedure collaborative incentrate sul «sistema delle conferenze», che assicurano il coinvolgimento dei territori, soprattutto sulle modalità di attuazione delle leggi, quando queste abbiano una forte ricaduta sulle funzioni che rimangono attribuite alle Regioni, sia sul piano della legislazione sia sul piano dell'amministrazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Rivosecchi. Lascio la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni, ringraziando comunque gli auditi sia per il contributo scritto sia per la disponibilità a fornirci ulteriori, eventuali integrazioni.

  ROBERTO COTTI. Avete parlato della eventuale presenza di Presidenti delle Regioni nel nuovo Senato come un elemento che potrebbe incidere anche sul ’sistema delle conferenze’, ma sono molto perplesso perché sia che l'elezione del nuovo Senato avvenga dando la parola ai cittadini sia che avvenga dandola ai Consigli regionali, questo significa spostare le scelte più sui partiti politici o sui cittadini, mentre gli esecutivi avrebbero poca influenza.
  La presenza dei Presidenti delle Regioni nel nuovo Senato creerebbe tanti «dottor Pag. 10Jekyll» e «mister Hyde», che agirebbero da «dottor Jekyll» come Presidenti della Regione all'esterno del Senato, per diventare «mister Hyde» al suo interno, perché sarebbero vincolati ai gruppi del Senato, che rimarranno gruppi di parlamentari (non mi sembra che altrove ci siano gruppi formati da un rappresentante per Regione, quindi ci saranno veri e propri gruppi politici). Quindi, dal momento che il Presidente della Regione nel Senato diventerà un qualunque parlamentare, non vedo come il nuovo sistema possa influire sul ’sistema delle conferenze’. Credo che la presenza del Presidente della Regione sarà quindi ininfluente.

  PRESIDENTE. È stato già detto, quindi vado per estrema sintesi. L'approfondimento del tema della riforma del ’sistema delle conferenze’ è obiettivamente necessario, sia a Costituzione vigente sia a Costituzione riformata, ma vogliamo indagare come si dovrebbe integrare questo sistema nella riforma costituzionale, in fase di approvazione da parte del Parlamento.
  Le funzioni del Senato sono prevalentemente funzioni di raccordo, che apparentemente possono non essere riconducibili all'esercizio di una funzione politica, ma in realtà lo sono, ancorché in maniera diversa da come la conosciamo, basata cioè sul rapporto fiduciario fra le due Camere con il Governo.
  Nello schema di riforma, però, il nuovo Senato ha una funzione di valutazione delle politiche pubbliche, ha una funzione di raccordo nella fase ascendente e discendente del diritto comunitario dell'Unione europea, che è positiva, perché consente una maggiore pervasività del sistema comunitario negli ordinamenti territoriali ai fini della loro attuazione e del concorso alla produzione della fonte normativa e alla sua successiva attuazione. Esso svolge anche la funzione di raccordo attualmente svolta dalla Commissione per le questioni regionali, che per questo dovrebbe essere soppressa, anche se probabilmente ci sarà la necessità di qualche organo parlamentare simile; tale funzione è complementare o rischia di sovrapporsi a quella oggi svolta dal «sistema delle conferenze».
  Vi è poi un tema strettamente correlato, laddove il professor Bifulco accennava, con una battuta molto efficace, ai consiglieri regionali stacanovisti: il Senato, al di là delle competenze legislative bicamerali, esercita, ai sensi della nuova formulazione dell'articolo 70 della Costituzione, il potere di richiamo su tutte le leggi che incidono su ambiti di competenza degli enti territoriali. L'esercizio di questo potere di richiamo è temporalmente molto circoscritto e sarà complesso capire come organizzare i lavori del Senato in contemporanea con i lavori dei Consigli regionali.
  Verificheremo tutto nella fase di attuazione, ma, posto che la composizione del Senato con la presenza dei Presidenti di Regione non è stata una scelta fatta dal legislatore costituente e potrebbe essere introdotta in sede di legge elettorale, con tutta una serie di criticità politiche e di sistema che in parte abbiamo approfondito in questa fase di audizioni, ma che avremo modo di sviluppare anche in seguito, il punto è come, si possa far sì che il Senato e il «sistema delle conferenze» esercitino due funzioni diverse tra loro, ma integrate e complementari, e diano compiutezza al disegno costituzionale.
  Mi chiedo se, come peraltro è emerso dalle vostre relazioni, non sia utile che la riforma del ’sistema delle conferenze’ preveda una stretta collaborazione, anche dal punto di vista organizzativo e amministrativo, con il Senato stesso, cioè la possibilità che sia allocato, non solo logisticamente, ma anche funzionalmente al Senato, fermo restando il rapporto funzionale del ’sistema delle conferenze’ con la Presidenza del Consiglio.
  Attraverso il regolamento del Senato si potrebbe quindi disciplinare non solo il sistema delle sessioni di lavoro, che personalmente ritengo utili, ma anche un'istruttoria comune, che consenta al Senato di svolgere le competenze assegnategli dalla Costituzione al ’sistema delle conferenze’ di svolgere le proprie, ma in un quadro unitario di valutazione, ancorché nella distinzione di ruoli e responsabilità. Mi interessava conoscere la vostra opinione su questo aspetto.

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  GUIDO RIVOSECCHI, professore ordinario di diritto costituzionale e di istituzioni di diritto pubblico dell'Università LUMSA di Palermo. Grazie, presidente. Partirei dalla questione della presenza o meno dei Presidenti di Regione in Senato, che è uno degli aspetti centrali.
  Nel passaggio dal disegno di legge costituzionale di riforma presentato dal Governo al testo successivamente approvato c'è stato un significativo cambiamento di impostazione: non è più prevista la presenza di diritto dei Presidenti della Giunta nel Senato e l'attuale formulazione dell'articolo 57, a mio parere, lascia un ridotto margine di intervento sulla legge elettorale, perché i senatori sono eletti dai consiglieri regionali tra i loro membri, sulla base delle indicazioni degli elettori.
  A mio parere, da questo punto di vista, i margini della legge elettorale sono consistenti, ma l'idea di prevedere la rappresentanza di diritto sarà difficilmente compatibile con il nuovo testo costituzionale (mi pare che sia stato oggetto dell'intervento in questa sede del Ministro Boschi). La presenza dei Presidenti di Giunta nel Senato si potrà conseguire solo per volontà spontanea degli attori istituzionali regionali, solo nel caso in cui i consiglieri regionali decidano di eleggere in Senato Presidenti che siano, nel contempo, consiglieri regionali, come presupposto, cosa che al momento si verifica in tutte le Regioni, tranne che nelle province autonome e in Valle d'Aosta.
  Può avere un senso come funzione di raccordo. Siccome il Senato, per le scelte del costituente, sarà prevalentemente espressione delle assemblee legislative, per l'esercizio di quelle delicate funzioni di raccordo che ricordava il presidente, sarà opportuno raccordare il Senato anche con gli esecutivi regionali, sia per conseguire l'obiettivo di ridurre il contenzioso davanti alla Corte costituzionale – perché le leggi statali sono impugnate dalle Giunte regionali –, quindi per favorire la cooperazione nel procedimento legislativo a monte, sia per conseguire l'obiettivo di garantire la presenza degli esecutivi, scelta alternativa che condivido assolutamente.
  Questa è una soluzione possibile, non costituzionalmente vincolata, rispetto alle scelte sulla legge elettorale, che potrà essere conseguita ma, in alternativa, è possibile ipotizzare, come ricordava il presidente, un raccordo del Senato con gli esecutivi regionali tramite le conferenze intergovernative. A questo riguardo, mi pare centrale l'idea di organizzare i lavori del Senato e la stessa presenza delle conferenze intergovernative in Senato, anche dal punto di vista dell'organizzazione.
  Ricordo fra l'altro (era uno dei temi che ci avete sottoposto nel questionario) che una delle critiche mosse all'attuale «sistema delle conferenze» deriva proprio dalla mancanza di autonomia e indipendenza delle stesse, che sono prevalentemente incardinate nell'organizzazione amministrativa centrale dello Stato, in particolare la Presidenza del Consiglio. L'ipotesi suggerita dal presidente verrebbe effettivamente a bilanciare in modo efficace e a valorizzare ulteriormente il ruolo delle conferenze, che io vedo assolutamente confermato e che sarebbe opportuno perpetuare sia nella legislazione che nell'amministrazione.
  Da questo punto di vista, sono dell'idea che il «sistema delle conferenze» sia fondamentale ai fini della realizzazione del principio cooperativo. Certo, va riposizionato rispetto all'organizzazione del nuovo Senato, soprattutto con riferimento alle funzioni di raccordo. A mio parere, le nuove funzioni di raccordo costituzionalmente attribuite al Senato, rispetto agli enti territoriali e all'Unione europea, riconoscono al Senato un ruolo che va ben al di là della funzione di mero collegamento tra i livelli istituzionali di Governo: gli riconoscono piuttosto una funzione di composizione e integrazione del disegno autonomistico, che chiama il Senato a realizzare il principio cooperativo tra Stato e Regioni in tutte le sue funzioni.
  Se è vero che, in larga parte, queste funzioni saranno attribuite al Senato, è fondamentale che il ’sistema delle conferenze’ si riposizioni in modo funzionale all'esercizio di questi compiti, assicurando, per le Conferenze intergovernative (Conferenza Stato-Regioni e Conferenza unificata), Pag. 12 un raccordo con gli esecutivi regionali, distinguendo le loro funzioni rispetto a quelle del Senato, che sarà espressione dell'assemblea legislativa, e, per le Conferenze che assicurano il raccordo in senso orizzontale (la Conferenza dei Presidenti di Regione e la Conferenza delle Assemblee legislative, che negli ultimi anni ha svolto una funzione centrale soprattutto nel raccordo con l'Unione europea – pensiamo soltanto alle procedure di controllo sull'applicazione del principio di sussidiarietà ai sensi del protocollo allegato al trattato di Lisbona), le funzioni di raccordo dovranno essere strumentali all'unificazione degli apparati amministrativi, dei servizi, degli uffici, che dovranno essere riorganizzati soprattutto in relazione agli uffici del Senato.
  Dal punto di vista organizzativo, quindi sottolineo l'importanza, da un lato, della legislazione di riordino, ma soprattutto, lo sottolineo di nuovo, quella delle estreme potenzialità che potrebbe avere il regolamento del Senato in questa attività di riorganizzazione.

  RAFFAELE BIFULCO, professore ordinario di diritto costituzionale dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma. Sapete quante sono le Regioni che eleggeranno due rappresentanti, due senatori? Mi pare nove, e questo la dice lunga su quanto abbiamo detto finora, cioè i consigli regionali delle nove Regioni che invieranno un consigliere regionale avranno la possibilità di scegliere il Presidente della Regione. La norma costituzionale dice «con metodo proporzionale», quindi di che stiamo parlando? Questa inserzione è micidiale, perché il Molise chi manda? Tutto quindi dipenderà dall'interpretazione dell'inciso «con metodo proporzionale».
  Come ho detto, il problema non è il Senato, ma è chi farà parte del Senato, il problema è l'articolo 117, ossia quello che faranno le Regioni.
  Rispondo, quindi, alla domanda del presidente: l'idea di un ripensamento del sistema in collegamento con il Senato è un suggerimento assolutamente da accogliere, è quello a cui pensavo parlando di un sistema reticolare, stellare, con al centro il Senato e intorno questo sistema di tavoli, di conferenze.
  Se le Regioni vorranno avere un futuro, spingeranno per una conferenza di livello orizzontale; se le Regioni si spegneranno gradualmente, verranno man mano assorbite in questa dimensione degli esecutivi, perderanno forza dal punto di vista politico. Quindi, tutto si giocherà sul rilancio di una Conferenza degli esecutivi regionali. Questa sarà la cartina di tornasole per vedere che fine faranno le Regioni.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.