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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Mercoledì 2 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione del professor Luca Castelli.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Castelli Luca , professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 6 
Kronbichler Florian (SI-SEL)  ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Castelli Luca , professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

(Così rimane stabilito).

Audizione del professor Luca Castelli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al sistema delle Conferenze, l'audizione del professor Luca Castelli, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia. Avrebbe dovuto essere audito anche il professor Massimo Luciani, professore ordinario di Diritto costituzionale presso l'università degli studi di Roma «La Sapienza», che risulta però impossibilitato a partecipare all'audizione di oggi e verrà quindi audito in una delle prossime sedute.
  Do quindi la parola al professor Luca Castelli.

  LUCA CASTELLI, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia. Grazie, presidente. Buongiorno e grazie per l'invito. Proverò a sviluppare il mio intervento lungo il solco tracciato dai quesiti predisposti per l'audizione.
  Il punto di partenza ovviamente è la nuova configurazione del Senato come seconda Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, che deve esercitare tra le altre anche funzioni di raccordo tra Stato e altri enti costitutivi della Repubblica. Finora questo raccordo era stato essenzialmente rimesso al «sistema delle conferenze», che la Corte ha peraltro ritenuto una delle sedi più qualificate per l'elaborazione delle regole della leale collaborazione.
  Il primo problema che si pone è, se così posso dire, quello di raccordare i raccordi, evitando duplicazioni di ruoli. In che modo? Mi pare che indicazioni utili in tal senso si possano ricavare dalla giurisprudenza costituzionale, perché la Corte, in questi anni di giurisprudenza sul Titolo V, ha affermato sostanzialmente due cose: che quello della leale collaborazione è un parametro particolarmente generico, che richiede continue concretizzazioni sia sul piano legislativo che su quello amministrativo, e che l'esercizio dell'attività legislativa sfugge alle procedure di leale collaborazione, per cui, fintanto che non si realizzerà la trasformazione delle istituzioni parlamentari, non resta che l'intesa in sede di Conferenza.
  Allora qual è stato fin qui il problema? Il problema è stato che, attraverso l'intesa, l'oggetto della paritaria codeterminazione tra lo Stato e le regioni non è il contenuto della legge, ma sono le sue modalità di esecuzione. Questo significa che la legge arriva in Conferenza esibendo ormai un indelebile contenuto centralistico, perché ovviamente è il prodotto di un processo decisionale che resta riservato allo Stato, mentre le regioni sono chiamate a parteciparvi solo ex post.
  Qui sta a mio parere la principale criticità dell'attuale «sistema delle conferenze Pag. 4». Questa situazione è ora in via di superamento, si sta realizzando la tanto attesa trasformazione delle istituzioni parlamentari. Il Senato dovrebbe diventare, nella nuova prospettiva, la sede privilegiata della leale collaborazione legislativa, mentre il «sistema delle conferenze» dovrebbe essere il luogo della leale collaborazione amministrativa, quindi dovrebbe avere un ruolo più circoscritto a questo specifico versante.
  Si tratta dunque di una più netta e chiara ripartizione dei compiti tra le due istituzioni della leale collaborazione, in modo che il Senato possa configurarsi come il dominus della codecisione nel procedimento di formazione della legge, la Conferenza il dominus della codecisione nella sua attuazione.
  Provo a fare due esempi per chiarire meglio questa ipotesi. La legge dello Stato attribuisce al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti la redazione del piano di ammodernamento delle ferrovie senza coinvolgere le regioni. La Corte ha dichiarato questa legge incostituzionale nella parte in cui non prevede che il piano sia redatto d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. Questa è una tipica questione che non dovrebbe più passare in Conferenza, perché il coinvolgimento regionale sarà d'ora in avanti assicurato dall'approvazione della legge da parte del nuovo Senato che rappresenta le regioni.
  Facciamo invece un altro esempio: una legge che stabilisce ulteriori oneri a carico delle regioni ai fini del loro concorso al risanamento della finanza pubblica e, ad esempio, fissa l'ammontare del risparmio da conseguire in 100 milioni di euro per il 2016, lasciando però le regioni libere di decidere le misure necessarie per raggiungere questo risparmio. Qui mi pare che uno spazio per la Conferenza resti, perché la determinazione delle concrete modalità con cui ottenere questo risparmio aggiuntivo è una delle classiche questioni da rimettere alla Conferenza.
  Penso anche all'ipotesi dell'accordo che c'è stato in sede di Conferenza sull'individuazione delle funzioni non fondamentali delle province, che andavano trasferite agli altri livelli di Governo in base all'attuazione della «legge Delrio». Questi sono tutti ambiti nei quali la Conferenza deve mantenere un suo specifico ruolo.
  Quali potrebbero essere le ricadute di questo nuovo assetto sul piano delle funzioni affidate alla Conferenza, in particolare dal decreto legislativo n. 281 del 1997? Questo decreto attribuisce una vasta gamma di funzioni. Ci sono innanzitutto funzioni di tipo deliberativo, come la determinazione dei criteri di ripartizione delle risorse. Queste sembrerebbero senz'altro da mantenere, così come andrebbero mantenute anche tutte le nomine che per legge sono assegnate alla Conferenza.
  Vi è poi tutta l'ampia gamma delle funzioni consultive, in particolare i pareri sugli schemi di disegni di legge e di decreto legislativo nelle materie di interesse delle regioni. Questi probabilmente diventano superflui, perché su queste materie c'è la competenza bicamerale paritaria del Senato.
  Per ciò che attiene ai pareri sui regolamenti del Governo, a mio avviso la relativa previsione del decreto legislativo del 1997 è affetta da incostituzionalità sopravvenuta già alla luce dell'attuale articolo 117, sesto comma, della Costituzione, che attribuisce alle regioni la potestà regolamentare nelle materie regionali; sono quindi le regioni che devono fare i regolamenti nelle materie regionali, non il Governo. Siccome il nuovo articolo 117 conferma questa impostazione, mi pare che a maggior ragione anche questa potrebbe essere una funzione in prospettiva da superare.
  C'è poi il parere sui disegni di legge di stabilità e sui collegati. Questo forse è bene che rimanga perché l'approvazione della legge di stabilità, nella riforma in itinere, non è rimessa al procedimento bicamerale, ma è affidata al procedimento monocamerale ordinario, ancorché a necessaria partecipazione del Senato, e, siccome gran parte del contenzioso costituzionale tra lo Stato e le regioni è provocata proprio da disposizioni contenute nelle leggi di stabilità, avere una voce in più che proviene dal sistema delle autonomie potrebbe rivelarsi particolarmente utile, specie in una prospettiva Pag. 5 di deflazione del contenzioso costituzionale.
  Vi sono poi le leggi di attuazione della «clausola di supremazia», ipotesi del tutto nuova, prevista dalla riforma in itinere. Anche queste sono rimesse al procedimento monocamerale: il Senato ha dieci giorni per esaminarle, altri trenta per avanzare proposte di modifica e, se il Senato approva queste modifiche a maggioranza assoluta, la Camera, se vuole prescindere da tali modifiche, deve approvare definitivamente la legge a maggioranza assoluta.
  Vi è quindi da parte del Senato un potere di intervento e di determinare un aggravio procedurale, anche se con la nuova legge elettorale la maggioranza assoluta è facilmente raggiungibile. Qui però il punto è se per questo tipo di leggi sia necessario prevedere il parere della Conferenza, e la risposta dipende dal fatto se in Senato ci saranno o meno i Presidenti di Regione. Su questo specifico aspetto tornerò al termine del mio intervento. Se non ci saranno i Presidenti di Regione, credo che sarebbe opportuno che la Conferenza si pronunci anche su questo specifico tema.
  Ci sono poi funzioni di monitoraggio e di verifica affidate al «sistema delle conferenze». Anche qui vedo un rischio di possibile duplicazione con la funzione di valutazione delle politiche pubbliche e dell'attività delle pubbliche amministrazioni, che pure il nuovo articolo 55, quinto comma, rimette alla competenza del nuovo Senato.
  Quando ci sono queste sovrapposizioni mi pare che il «sistema delle conferenze» dovrebbe inevitabilmente retrocedere al cospetto delle attribuzioni del nuovo Senato, che sono attribuzioni costituzionalmente garantite e che quindi risultano inevitabilmente prevalenti.
  Lo stesso si dovrebbe dire per le funzioni della Conferenza che riguardano la partecipazione dell'Italia all'Unione europea, perché anche su queste il nuovo Senato ha inevitabilmente la primazia nel momento in cui, in base al nuovo articolo 55, quinto comma, concorre all'esercizio delle funzioni di raccordo tra Stato, altri enti della Repubblica e Unione europea, partecipa alle decisioni dirette alla formazione e all'attuazione degli atti normativi e delle politiche dell'Unione, verifica l'impatto delle politiche dell'Unione europea sui territori; si tratta di funzioni tutte specificamente ed espressamente assegnate al Senato dalla Costituzione.
  Il parere sulla legge europea e sulla legge di delegazione europea in questa prospettiva diventa forse superfluo, perché anche su questa materia c'è una competenza bicamerale paritaria del nuovo Senato. Si potrebbe anche discutere della perdurante utilità della sessione europea della Conferenza, che è prevista dalla legge n. 234 del 2012.
  Sarebbe forse utile procedere ad una puntuale ricognizione di tutti gli atti di competenza delle conferenze, per verificare, alla luce delle nuove funzioni del Senato, quali di questi atti mantengano una loro ragion d'essere e quali invece andrebbero o potrebbero essere eliminati o superati, perché in qualche modo doppiati dal nuovo Senato.
  Ci si potrebbe anche chiedere se da questa complessiva razionalizzazione delle funzioni del «sistema delle conferenze» non dovrebbe anche derivare un riassetto sul piano organizzativo, magari riprendendo le proposte fatte in passato di una Conferenza unica, però articolata in una sede plenaria e poi in due sezioni, quella regionale e quella locale.
  Non saprei dirvi invece se all'interno del «sistema delle conferenze», che è un raccordo tra esecutivi, sia utile coinvolgere anche la Conferenza delle Assemblee legislative, che invece è un raccordo tra legislativi. Il ruolo della Conferenza dei Consigli regionali andrebbe a mio parere certamente valorizzato, però forse più nel rapporto con il nuovo Senato, anch'esso espressione delle Assemblee legislative e dei Consigli regionali. Si potrebbe ad esempio pensare a un'attività di supporto sul piano legislativo nei confronti dei consiglieri senatori.
  Concludo il mio intervento con la prima questione posta dai quesiti predisposti per l'audizione, cioè l'impatto che la legge elettorale per il Senato e la presenza dei Presidenti di Regione potrebbe avere sul riordino Pag. 6 del «sistema delle conferenze». Qui parto da una tendenza che si è registrata in questi anni: il Governo ha spesso portato in Parlamento un disegno di legge che considerava blindato perché su questo aveva ricevuto il parere positivo delle conferenze, condizionando in qualche modo le prerogative delle Camere. In sostanza, come se dicesse: «non me lo toccate, non me lo modificate, perché su questo testo le autonomie sono d'accordo o modificatelo il meno possibile».
  Si è quindi registrato un certo slittamento del «sistema delle Conferenze» dal piano della forma di Stato al piano della forma di governo. Questo è potuto accadere tra le altre cose anche perché il punto di vista delle regioni in Conferenza viene espresso al massimo livello rappresentativo, che è quello dei Presidenti. Penso che per questa ragione sarebbe opportuno prevedere la presenza dei Presidenti anche in Senato, perché potrebbe essere il modo per accrescere il peso politico-istituzionale del nuovo organo, e poi a cascata anche per sgravare il sistema delle Conferenze di tutta una serie di compiti, perché, se i Presidenti già si occupano di questi atti in Senato, diventa meno rilevante che se ne occupino anche in Conferenza.
  Sulla base del nuovo articolo 57 della Costituzione, la presenza in Senato dei Presidenti non è affatto esclusa laddove siano anche consiglieri, e questo in base alla legislazione regionale avviene praticamente in tutte le regioni, tranne Valle d'Aosta e Province autonome di Trento e Bolzano. La presenza dei Presidenti in Senato dipenderà dalla legislazione regionale, laddove non sia previsto che i Presidenti siano anche consiglieri, e soprattutto dalle soluzioni che saranno individuate nella legge elettorale per il Senato.
  C'è un argomento testuale che depone in favore della presenza dei Presidenti, ossia che essi godono ampiamente di quella derivazione popolare che è richiesta dall'ultima versione dell'articolo 57: senatori eletti dai consigli regionali in conformità alle scelte espresse dagli elettori. Su questo punto mi pare che il vero nodo da sciogliere sia un altro: cosa significa questa formula. Significa che gli elettori decidono e i consigli regionali si limitano a ratificare queste scelte oppure significa che i consigli potrebbero anche mandare in Senato consiglieri che non sono stati prescelti dagli elettori e dunque l'indicazione popolare diventa una mera proposta non vincolante?
  La lettera della norma si presta in effetti a dubbi e ambiguità, che soltanto la legge elettorale potrà sciogliere. In questa sede ovviamente io non entro in questi dettagli, ma chiudo soltanto dicendo che a mio avviso dovrebbe essere prevalente in ultima analisi la volontà dei Consigli regionali, e questo sulla base di tre elementi e di tre fondamentali considerazioni.
  La prima è che l'elezione resta pur sempre un'elezione di tipo indiretto anche dopo la modifica introdotta nell'articolo 57, quindi con la mediazione riferita alla scelta diretta degli elettori. Il concetto stesso di elezione presuppone la possibilità di scegliere tra più candidati, altrimenti ci troveremmo di fronte ad un'acclamazione, e poi soprattutto, cosa a mio parere decisiva, il consiglio che agisca non in conformità alle scelte degli elettori non va incontro ad alcuna sanzione.
  Potremmo avere quindi l'ipotesi per assurdo che un candidato consigliere che era stato designato per andare in Senato non venga neppure eletto, non abbia neppure i voti per entrare in Consiglio regionale. Davanti a un'ipotesi del genere che cosa succede, la regione resta senza rappresentanza perché il Consiglio non può indicare il candidato espresso dagli elettori?
  Questi sono soltanto dei nodi problematici che mi limito a segnalare, ma che ovviamente dovranno essere tenuti in considerazione nel momento in cui si tratterà di disciplinare in concreto questi profili. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Grazie, professor Castelli.
  Lascio quindi la parola ai colleghi che vogliano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO RIBAUDO. Grazie, presidente. Grazie, professore. All'avvio di questa Pag. 7 serie di audizioni ero dell'opinione che i Presidenti delle giunte dovessero entrare in Senato, ma nel corso di questi lavori è emersa una cosa che mi pare ormai condivisa da tutti: il «sistema delle conferenze» rimarrà e su questo siamo tutti d'accordo.
  Dal momento che il «sistema delle conferenze» rimarrà – e deve rimanere per quel principio di leale collaborazione soprattutto nella partecipazione alla stesura degli atti del Governo, quindi gli atti normativi e amministrativi nella fase di attuazione delle norme – e considerando le funzioni del Senato, che ancora devono essere delineate del tutto – non sappiamo, ad esempio, se la pianificazione degli interventi sulle ferrovie debba essere di competenza del Senato oppure la legge debba essere richiamata da questo – è ovvio che se il Senato ha ancora una funzione legislativa e non ha una funzione esecutiva, i Presidenti di Regione non avrebbero motivo di prendervi parte.
  Certo, ci complica la vita il fatto che la norma elettorale possa prevedere che alcuni Presidenti possano essere eletti ancorché consiglieri e altri no, quindi dovremmo essere più precisi in questo, ma soprattutto dovremmo essere più precisi nel determinare le competenze specifiche che deve avere questo Senato.
  Durante i lavori il Presidente ha fatto una proposta in seguito approfondita dai professori che sono stati auditi: questo Senato, visto che ha una funzione legislativa che riguarda le autonomie locali, può avere a consulto anche la Conferenza Stato-Regioni, che può essere di supporto per la formazione delle norme che riguardano gli enti locali, e questo rapporto deve essere continuo, più strutturato e organico, soprattutto per le norme nella fase ascendente.
  Detto questo, mi limiterei a dare un profilo legislativo e non esecutivo al Senato, quindi non metterei i Presidenti, che sono organi esecutivi, nell'assemblea. Grazie.

  FLORIAN KRONBICHLER. Grazie, professore. Vorrei tornare su quello che ha detto in audizione il sottosegretario Bressa. Qui lei è stato più chiaro, evidenziando un problema di competenze di tutti questi organi e istituzioni. Partiamo dal fatto che queste istituzioni esistono e dobbiamo dar loro qualche funzione, perché il fatto che si sovrappongano è evidente.
  Con questa riforma costituzionale abbiamo esautorato le regioni di tante competenze, quindi sempre più istituzioni coordinano sempre meno competenze. Questa è la realtà.
  Lei ha fatto fatica delineando un Senato che si occupa delle leggi e le conferenze che si occupano degli atti amministrativi, auspicando di ridurre la presenza dei Presidenti delle Regioni nel futuro Senato. Se è così, se tutti questi organi rimangono, i Presidenti delle Regioni si devono trasferire a Roma lasciando le loro regioni, quindi vedo un problema di un numero eccessivo di istituzioni (il Senato, la Conferenza delle regioni e le Commissioni paritetiche), che non so come si dividano i compiti.

  PRESIDENTE. Grazie. Se non ci sono altri interventi, lascerei la parola al professore Castelli per la replica.

  LUCA CASTELLI, professore associato di Istituzioni di diritto pubblico presso l'Università degli studi di Perugia. Tutte preoccupazioni condivisibili: la scelta di inserire o no i Presidenti è una scelta squisitamente politica, io alzo le mani, dico solo che ci sono ragioni a favore e ragioni contro, ragioni anche dotate di un fondamento testuale, come ho provato a segnalare.
  Il fatto che i Presidenti ci siano o non ci siano incide a cascata sulle funzioni della Conferenza, perché, se i Presidenti non ci sono, è bene che la Conferenza mantenga un maggior numero di funzioni che riguardano soprattutto i pareri sugli atti legislativi, se i Presidenti ci sono, vedo il rischio di duplicazioni ulteriori, quindi lo segnalo.
  La mia ipotesi di una netta divisione dei compiti non significa che le due istituzioni non debbano assolutamente essere coordinate tra loro e collaborare ai fini di un raccordo complessivo, però una più chiara delimitazione dei compiti consentirebbe di eliminare o alleggerire alcune funzioni, perché è soprattutto il Senato che diventa il Pag. 8dominus della formazione della legge e quindi si può pensare di riconsiderare tutte le questioni che riguardano l'attività consultiva sulla legislazione.
  Sulle sovrapposizioni sono d'accordo: si dovrebbe provare a fare un’actio finium regundorum e a procedere ad una delimitazione. Ad oggi, le incognite sono ancora tante sia perché il ruolo del nuovo Senato non è ancora compiutamente delineato e dipenderà da tante variabili, sia perché non sappiamo quali saranno le scelte concrete che saranno adottate nella legislazione elettorale.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Luca Castelli e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.40.