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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 9 marzo 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione dei professori Guido Carpani e Massimo Carli.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Carli Massimo , Professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Carpani Guido  ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Carli Massimo , Professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11 
Carpani Guido  ... 11 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 11 
Gatti Maria Grazia  ... 11 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12 
Nardi Martina (PD)  ... 12 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12 
Carpani Guido  ... 12 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 13 
Carli Massimo , Professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano ... 13 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Guido Carpani e Massimo Carli.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Guido Carpani, consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, esperto della materia, e di Massimo Carli, professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano. Invece, il professor D'Atena sarà audito in un'altra seduta perché oggi non può essere presente per motivi personali.
  Nel ringraziare i presenti per la loro disponibilità, do subito la parola al professor Carli.

  MASSIMO CARLI, Professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano. Grazie, presidente. Prima di tutto, vorrei rivolgervi un sentito ringraziamento per questo invito, che mi consente di manifestare, all'interno del Parlamento, le riflessioni e le proposte derivanti dallo studio della riforma costituzionale, alla luce di una ormai lunga esperienza all'interno delle istituzioni.
  Comincio con due problemi che sono stati affrontati nei precedenti interventi dei ministri, del sottosegretario e del professor Franco Bassanini e che, a mio avviso, sono di facile soluzione.
  Il primo problema è se le conferenze devono restare. Per me, la risposta è senz'altro sì. Il Senato è una delle due Camere del Parlamento che concorre all'esercizio della funzione legislativa. Non avrebbe senso passargli quella miriade di funzioni amministrative svolte dalle conferenze, come nomine, ripartizione di finanziamenti tra le regioni, pareri all'interno dei procedimenti amministrativi atti statali, intese, accordi e così via.
  Devono, invece, essere cancellate le competenze delle conferenze sui disegni di legge del Governo e sui decreti delegati, dato che è il Senato che concorre all'esercizio dalla funzione legislativa. Quindi, tranne i pareri sui disegni di legge e sui decreti delegati, le conferenze devono continuare a funzionare.
  Qualche dubbio potrebbe nascere con riferimento agli atti regolamentari perché i regolamenti del Governo sono atti normativi, ma si tratta di normazione secondaria. A mio avviso, non è opportuno che un'assemblea legislativa si occupi della normativa secondaria.
  A tale proposito, vi ricordo l'esperienza regionale. Prima della modifica del Titolo V il consiglio regionale aveva competenze per fare le leggi e i regolamenti. Di regolamenti, però, ne ha fatti pochissimi perché, potendo fare le leggi, adoperava lo strumento più forte rispetto a quello più debole.
  Soprattutto, i regolamenti sono legati agli esecutivi, cioè a chi deve applicare le leggi. Insomma, i governi sono in grado di valutare la necessità della normativa secondaria e i suoi contenuti, quindi mi pare Pag. 4opportuno che restino alle conferenze le competenze relative ai regolamenti del Governo.
  Il secondo problema riguarda la composizione delle conferenze. Attualmente, la Conferenza Stato-città è così composta (l'ho imparato da quella bella pubblicazione che ci avete fornito): quattro ministri (interni, economia e finanze, infrastrutture e trasporti, salute), i presidenti dell'ANCI e dell'UPI, 14 sindaci designati dall'ANCI, di cui 5 rappresentanti delle aree metropolitane, 6 presidenti di provincia designati dall'UPI.
  È evidente che il presidente dell'UPI e i 6 presidenti di provincia devono essere sostituiti. Tuttavia, anche la designazione dei sindaci da un'associazione di diritto privato quale l'ANCI merita, a mio avviso, di essere ripensata. Peraltro, il problema è già stato sollevato dal presidente in una precedente audizione.
  La mia proposta è 21 sindaci nominati da 21 consigli delle autonomie locali, che sono previsti in tutte le regioni a statuto ordinario e anche nelle regioni ad autonomia speciale. Non mi soffermo su questo punto perché occorre sentire l'opinione dei protagonisti, che conoscono il concreto funzionamento della conferenza Stato-città.
  Adesso entro più nel merito, affrontando due problemi che ritengo siano quelli decisivi all'interno dei tanti argomenti che ci avete indicato. Sono due questioni preliminari per importanza, su cui mi soffermo sperando di dire qualcosa che possa essere utile.
  Il tema dell'indagine conoscitiva è il raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali. Ci si pone il problema perché la riforma prevede il Senato come rappresentante delle istituzioni territoriali. Tuttavia, non è affatto scontato che il Senato rappresenti davvero le istituzioni territoriali. Occorre, cioè, essere consapevoli che il Senato, come organo che porta al centro le esigenze delle autonomie, è possibile, ma non è garantito.
  Contro questa configurazione del Senato come l'organo che esamina e porta al centro le esigenze delle autonomie stanno i seguenti fatti.
  Primo, non è garantita la presenza in Senato dei presidenti delle regioni e delle province autonome. Il Senato non sa, dunque, cosa pensa la Lombardia, la Toscana o il Lazio: o ci sono i presidenti o i loro delegati, oppure è difficile dire che lì si rappresentano le idee delle istituzioni territoriali regionali.
  Secondo, la elezione dei senatori deve essere fatta in conformità alle scelte espresse dagli elettori. Questo è un criterio che non porta la rappresentanza dell'istituzione, ma quella del territorio, che è una cosa diversa. Come abbiamo visto, nella lotta tra elezione diretta ed elezione indiretta c'è rimasto questo aspetto, che non è decisivo perché la nomina è dei consigli regionali. Ora, sarà vincolata nel merito, ma resta sempre «un'individuazione» da parte dei consigli. Non c'è dubbio, però, che il fatto che ci debba essere conformità con il voto degli elettori non spinga verso una rappresentanza delle istituzioni territoriali nel Senato.
  Inoltre, c'è il divieto di vincolo di mandato che non ha senso, essendo stato inserito quando ancora si pensava a un Senato di garanzia. Insomma, i senatori devono rappresentare le istituzioni territoriali, ma c'è il divieto del vincolo di mandato.
  Ancora, non è esclusa la possibilità di fare gruppi in Senato con riferimento alle liste politiche perché se il Senato ragionerà sulla base degli input politici, abbiamo una seconda Camera governata dai partiti che non serve a nulla. Abbiamo, invece, una camera secondaria. Per questo dico che non è scontato. In definitiva, è possibile, ma non diamo per pacifico che il Senato rappresenti le istituzioni territoriali.
  Nei quesiti che ci sono stati posti si parla di «eventuale presenza dei presidenti delle regioni». Il riferimento è corretto perché la loro presenza necessaria era stata prevista, ma poi è stata cancellata. Tuttavia, i presidenti delle regioni sono, in tutte le regioni e province autonome, consiglieri regionali, quindi potranno essere nominati dai rispettivi consigli, anche nelle province autonome e in Valle d'Aosta, dove, invece, in dottrina si è considerata impossibile la nomina. Pag. 5
  Mi soffermo su questo perché ho fatto un balzo sulla seggiola quando ho letto, qualche giorno fa, che non è possibile la nomina dei presidenti delle due province e della Valle d'Aosta perché la nomina deve riguardare un consigliere regionale, mentre il presidente non sarebbe consigliere regionale. Ebbene, non è vero. Ho controllato; non è vero perché in tutte le regioni ordinarie e speciali i presidenti sono consiglieri regionali, quindi possono essere nominati.
  Ovviamente, non devono, ma possono. Pertanto, c'è la possibilità che ci sia in Senato chi rappresenta la regione, ma in prima battuta bisognerà che i consigli lo facciano volontariamente; in seconda battuta, mi pare si possa pensare a una legge statale che imponga la presenza dei presidenti.
  In dottrina c'è qualcuno che dubita, ma non vedo perché si debba, visto che la legge statale deve fissare i principi delle leggi regionali che nominano i senatori. Ora, se è vero come è vero che il presidente incide sulla capacità del Senato di essere rappresentante delle istituzioni territoriali, allora questo diventa un principio che si può imporre alle regioni, proprio perché la loro presenza è decisiva ai fini del ruolo del Senato.
  Ancora, quanta differenziazione siamo disposti ad accettare? Il problema del diritto regionale è questo: unità da un lato e differenziazione dall'altro. All'unità pensa la Camera; alla differenziazione il Senato. È, quindi, compito del Senato far pesare, nella scelta politica che si trasforma in legge, le esigenze della differenziazione, compito che presuppone che il Senato sia veramente rappresentativo delle istituzioni territoriali, non dei partiti o dei territori.
  Sarà decisivo nella configurazione del nuovo Senato il suo nuovo regolamento, che può colmare i vuoti che ci sono e aiutare a dare una configurazione del Senato nel senso che la legge costituzionale vuole.
  Infatti, è la legge costituzionale che parla del Senato rappresentativo delle istituzioni territoriali. Tuttavia, essa è contraddittoria perché non supporta questa idea in maniera adeguata. Nella legge sono rimaste, però, delle piccole cose che possono aiutare ad andare nella direzione che sto indicando. Per esempio, i senatori non rappresentano la nazione (articolo 55, terzo comma); in Senato non ci sono le opposizioni, ma le minoranze (articolo 64, comma primo, lettera a)).
  In Senato non ci sono le opposizioni perché le opposizioni sono quelle che non votano la fiducia. Siccome la fiducia al Senato non viene data, non ci sono opposizioni. Questo vuol dire che è una Camera particolare, dove non ci sono, appunto, le opposizioni, ma solo le minoranze.
  Inoltre, solo alla Camera le commissioni d'inchiesta sono formate in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. Quando questa riforma prevede le commissioni d'inchiesta non dice che al Senato devono essere in proporzione dei vari gruppi; lo dice soltanto per la Camera.
  Ecco, queste disposizioni fanno capire che il Senato è diverso dalla Camera. Altre diversità potranno essere previste nel suo regolamento, affinché il Senato rappresenti davvero le istituzioni territoriali.
  Se si ottiene questo risultato – ovvero il Senato rappresentante delle istituzioni territoriali – siamo a metà strada, ma non siamo ancora arrivati alla fine. Infatti, non basta che il Senato sia in grado di rappresentare le esigenze delle autonomie, se poi di queste esigenze la Camera, cui spetta l'ultima parola, non si fa carico. In tutti i procedimenti legislativi di leggi non bicamerali che fine fanno le proposte del Senato?
  Avete visto il nuovo procedimento legislativo: la Camera decide, passa al Senato, che entro 10 giorni dice se vuole fare osservazioni; entro 30 giorni fa le osservazioni, dopodiché la Camera decide. Si tratta, quindi, di un parere obbligatorio, ma che peso ha?
  Conoscete la storia del Comitato della legislazione che dà pareri obbligatori. Ebbene, quale seguito hanno questi pareri obbligatori? È disarmante vedere il disinteresse per questi pareri obbligatori. Il Senato, anche se rappresenta le istituzioni, dà pareri obbligatori, ma questo, di per sé, non è un granché. Pag. 6
  Faccio mia una proposta, contenuta nel programma di questa indagine conoscitiva. La Commissione per le questioni regionali non dovrebbe essere soppressa, come recita la rubrica dell'articolo 36 del disegno di legge costituzionale (peraltro, in maniera inappropriata perché il comma non fa altro che togliere il parere alla Commissione per le questioni regionali per darlo al Senato, il che non vuol dire che sopprime la Commissione, ma solo che viene meno quella sua competenza).
  A mio avviso, ci deve essere questa Commissione presso la Camera, con deputati e senatori, perché finalmente deputati, rappresentanti dell'unità nazionale, e senatori, rappresentanti della differenziazione, facciano l'esame delle proposte del Senato alle Commissioni di merito che dovranno istruire l'affare.
  In sostanza, bisogna che le proposte del Senato vengano rafforzate perché è troppo poco dire che il Senato manda le proposte e la Camera decide. Va benissimo che la Camera decida; deve essere così perché si deve chiudere. Tuttavia, prima di decidere, bisogna fare in modo che la Camera senta qual è l'opinione di una commissione in cui si possono confrontare le esigenze dell'unità e della differenziazione; 20 deputati e 20 senatori dicono il loro punto di vista sulle proposte che il Senato ha fatto. Di conseguenza, la Commissione agricoltura o lavori pubblici sa che nella commissione che studia i rapporti tra Stato e regioni si dà seguito alle proposte del Senato, dicendo che sono da accogliere, da respingere o da accogliere in parte.
  Ci vuole, però, una sede in cui si possa esaminare a ragione. Al Senato, infatti, il Governo partecipa, ma non vota e non ha nessuno strumento per spingere il Senato stesso. Il Governo in Senato non ha strumenti perché non può porre la questione di fiducia e non vota, quindi la proposta viene fuori dal Senato in maniera unilaterale. C'è stato un confronto con il Governo, ma non un esame congiunto in una sede dove si possa decidere sul merito.
  Le commissioni di merito non hanno, peraltro, molta conoscenza dei rapporti Stato-regione, quindi è utile che ci sia una commissione presso la Camera, che esamini le proposte del Senato e faccia il parere alla commissione di merito.
  Si potrebbe anche pensare di più, ovvero rafforzare questo parere come quello della Commissione bilancio, ma sono dettagli. Quello che mi interessa è sottolineare che il parere del Senato, anche se questo rappresenta le istituzioni territoriali, è troppo debole nel senso che la Camera non è costretta a fare i conti con esso perché, appunto, è previsto soltanto il parere obbligatorio.
  Tocco un ultimo punto velocissimo prima di chiudere. Tutti noi auspichiamo un forte raccordo tra autonomie territoriali e Governo, con rapporti improntati a leale collaborazione. Non dobbiamo, però, dimenticare che gli strumenti di leale cooperazione presuppongono una chiara suddivisione delle competenze dei soggetti cooperanti. Se non c'è questa chiara suddivisione, la cooperazione contribuisce a rendere opache le rispettive responsabilità, determinando, quindi, una perdita di democrazia.
  È bello coordinarsi e cooperare, ma devono cooperare due soggetti dei quali si sa quali sono le competenze. Infatti, se non è chiaro quali sono le rispettive competenze, cooperare vuol dire fare qualcosa di cui poi nessuno risponde. È inutile, pertanto, pensare a definizioni legislative delle materie che facciano chiarezza. Questo è un obiettivo impossibile perché è noto a tutti che le materie sono fonte di grande discussione. Non è possibile trovare una formulazione che non dia vita a problemi. Allora, mi pare non resti che puntare su un accordo fra regioni e Stato in materia di competenze, cioè prevedere uno strumento convenzionale come l'accordo, approvato in conferenza Stato-regioni perché in quella sede è richiesto il consenso di tutti i partecipanti.
  Abbiamo un riparto delle competenze per materia che ha molte zone grigie, che non si possono eliminare scrivendo le norme in maniera più chiara perché in questo modo non si può raggiungere un obiettivo di chiarezza, che si raggiunge, invece, mettendosi Pag. 7 intorno a un tavolo e stabilendo cosa fa l'uno e cosa l'altro.
  Guardiamo a quello che succede in un settore di enorme importanza per le regioni come la sanità. Come sono ripartite le competenze fra Stato e regioni? Pensate ci siano i principi fondamentali e i dettagli perché la sanità è materia di competenza ripartita? Nemmeno per sogno. Il Patto per la salute è composto di 80 pagine in cui c'è scritto cosa fa lo Stato e cosa fanno le regioni. Lì c'è un accordo fra Stato e regioni, come ha dimostrato il Ministro Lorenzin quando è venuto in Commissione, dove si stabiliscono i rispettivi compiti. Allora, è bello e giusto cooperare perché si sa cosa deve fare l'uno e cosa l'altro.
  Ecco, quest'opera di verifica è necessaria se vogliamo puntare a una forte cooperazione fra Stato e regioni. Grazie.

  PRESIDENTE. Siamo noi che ringraziamo lei, professore. Darei ora la parola al consigliere Guido Carpani.

  GUIDO CARPANI, Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, esperto della materia. Ringrazio anch'io la Commissione dell'occasione che mi ha dato di venire a raccontare delle esperienze che ho maturato anche con il professor Carli, che a quel tempo era capo dell'ufficio legislativo per gli affari regionali, in cui abbiamo lavorato assieme per tanti anni.
  Partirei da una considerazione. Vorrei rileggere con voi due righe dell'articolo 55, che dice che il Senato della Repubblica rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita le funzioni di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
  Per fare un raccordo bisogna essere in due. Le conferenze si caratterizzano per essere organismi dove sono presenti lo Stato e le regioni (conferenza Stato-regioni); lo Stato e gli enti territoriali non regionali; lo Stato, le regioni, i comuni e le province. Nel Senato questo non c'è.
  La mancata presenza dell'altro soggetto con cui dovrebbe raccordarsi pone una serie di problemi ed è da questo che dobbiamo partire proprio per trovare quegli organismi che in questi anni hanno assicurato il raccordo tra Stato e regioni, anche senza la presenza dello Stato.
  Il parallelo più vicino a questo tipo di Senato non è la conferenza Stato-regioni, ma la conferenza dei presidenti perché qui ci sono solo i presidenti delle regioni, mancando l'altra parte. Questo non vuol dire che l'attività della conferenza delle regioni non abbia un ruolo importante nelle sedi di raccordo «duale» (uso questo termine per capirci), che sono quelle di cui al decreto legislativo n. 281 del 1997 o all'articolo 12 della legge n. 400 del 1988.
  Questo è un aspetto essenziale, anche per fare una verifica di quali organismi e competenze di altri soggetti presenti nell'ordinamento possano venire meno in presenza di un Senato che effettivamente assicura il raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
  Il secondo aspetto – poi arriverò a rispondere ai singoli quesiti, sulla falsariga di ciò che ha fatto il professor Carli – è che, se vado a vedere come questo tipo di raccordo è stato perseguito sia in conferenza delle regioni, sia in conferenza Stato-regioni, noto un'altra cosa. Effettivamente, in questi anni siamo riusciti a mettere assieme un raccordo dei territori, ovvero una rappresentanza dei territori, che ha saputo superare le appartenenze politiche di coloro che quei territori rappresentavano. Non vi è dubbio, infatti, che in conferenza Stato-regioni viene prima la rappresentazione degli interessi territoriali rispetto all'appartenenza.
  Vi sono moltissimi casi, nell'ordinarietà, in cui vi sono degli interessi delle regioni del nord, a prescindere della colorazione politica dei presidenti o dei sindaci che lo rappresentano.
  Credo, quindi, che uno dei gli aspetti positivi del lavoro di questi sistemi di raccordo sia stato proprio quello di aver cercato di superare le colorazioni politiche dei rappresentanti, a favore dell'effettiva emersione degli interessi dei territori. Questo è avvenuto forse grazie a un'altra vicenda, che può essere una critica messa in evidenza anche in dottrina, che è l'opacità dei lavori delle conferenze. Pag. 8
  Come sapete, non esiste una pubblicità o un verbale. Il verbale della conferenza è burocratico, come quello di un organo collegiale che fa tipicamente attività amministrativa. Questo ha aiutato molto a raggiungere questo risultato.
  Tenendo presente queste due considerazioni, vorrei affrontare i temi e le domande che avete posto.
  La presenza e l'operatività di un Senato che rappresenta le istituzioni territoriali ed esercita quel raccordo che abbiamo detto, può incidere per rivisitare le competenze delle conferenze? Direi senz'altro di sì – sono d'accordo con quello che diceva il professor Carli – su tutti i pareri relativi all'attività legislativa.
  Questo non è in antitesi con le premesse che ho fatto perché in conferenza Stato-regioni o in conferenza unificata, anche quando la legge dice «sentita la conferenza», non dobbiamo credere che si sentano Stato e regioni, come dice l'intitolazione dell'organismo o la sua composizione. In realtà, è il parere delle regioni o delle autonomie al Governo in sede di conferenza.
  Dobbiamo capire bene questa dinamica il Governo non può esprimere un parere su un provvedimento che porta; non potrebbe che dire che il provvedimento va bene. Il parere in conferenza serve al Governo per verificare qual è l'opinione del sistema delle autonomie su quel provvedimento che intende portare avanti, quindi è il sistema delle autonomie che dà un giudizio, una valutazione e un arricchimento nel decidere del Governo, non già lui stesso che si spoglia della casacca di colui che ha preparato il provvedimento per poi concorre alla definizione del contenuto del parere.
  In questo senso, non sono incongruo quando dico che la conferenza a cui si fa riferimento non è la Stato-regioni, ma la conferenza dei presidenti perché è questa che cerca di preparare il parere uniforme e unitario delle regioni da portare in conferenza.
  Nell'attività consultiva le conferenze sono il luogo in cui accettare e poter rappresentare il parere al Governo, non già il luogo in cui questo parere si forma. La volontà delle regioni si forma, invece, nella conferenza dei presidenti. Ecco, credo che questo parallelismo sia abbastanza simile a quello che accade nella riforma costituzionale.
  È nel Senato che dovranno formarsi le valutazioni e i pareri del sistema delle autonomie, che dovranno essere portati a conoscenza dell'altra Camera, che paradossalmente – passatemi l'espressione – rappresenta lo Stato. In questa dinamica il Senato, mancandovi la presenza dello Stato, gioca sul sistema di rappresentanza verso l'altra Camera. Di fatti, si prevede di mandare la legge al Senato, che nei 10 giorni può richiedere di intervenire: questa è la dinamica, non quella della conferenza Stato-regioni. In sostanza, si tratta della dinamica conferenza delle regioni-Governo. Il sistema è diverso, quindi è soltanto questo aspetto che potrebbe essere portato via.
  La conferenza Stato-regioni, oltre a questa attività consultiva, svolge un ruolo che potrebbe essere ascritto alla categoria del raccordo, in cui vi sono due profili: c'è un raccordo nell'ambito di un procedimento amministrativo, ovvero le intese dell'articolo 3 della legge n. 281 del 1997 e un raccordo fuori di un procedimento amministrativo, vale a dire gli accordi dell'articolo successivo (articolo 4 della legge n. 281), che hanno visto un'evoluzione, nel senso che all'interno di questa categoria si è sviluppato un accordo che non ha tanto come scopo il raggiungimento di obiettivi comuni o raccordo delle rispettive competenze, ma quello di predeterminare il contenuto anche di atti legislativi.
  Mi spiego. Il professor Carli ha citato poc'anzi il Patto per la salute. Ora, in questo ambito vi sono una serie di impegni che Governo e regioni prendono, molti dei quali attengono non già alla sfera del Governo, ma a quella del Parlamento. In questi anni, soprattutto in materia di salute abbiamo assistito a un Parlamento che ha fatto propri – letteralmente copiato – intese e accordi di questo tipo fatti in conferenza, anche ponendo alla Corte costituzionale il problema di come questi tipi di raccordi possano trovare in quello costituzionale Pag. 9 il giudice della tutela del principio di leale collaborazione.
  Credo che in quest'altro aspetto – gli accordi che chiamo politici o le intese dell'ultimo comma dell'articolo 8 della legge La Loggia, la n. 131 del 2003 – possa esserci un altro spazio per il Senato, ovvero quello di predeterminare e concertare il contenuto di norme che poi la Camera fa proprie come atto unilaterale. Mi è più complicato vedere come questo sistema possa operare, però qui ci può essere uno spazio.
  Oltre all'aspetto di far venire meno i pareri sull'attività normativa (disegni di legge e decreti legislativi), vorrei evidenziare come la nascita di questo Senato possa ritoccare la normazione riguardante le conferenze. Come diceva il professor Carli, se il Senato sarà capace di rappresentare effettivamente tutto il sistema delle autonomie, potrebbe essere l'occasione per una semplificazione di questi sistemi di raccordo, anche nella loro attuale forma «trilobata». Si potrebbe, dunque, arrivare a due conferenze, quella cosiddetta «unificata» e quella Stato-regioni proprio per significare che il Senato non solo ha portato via un pezzo del sistema delle competenze, ma può rappresentare un luogo effettivo di raccordo.
  Direi che mi posso fermare qui. Aspetto qualche domanda.

  PRESIDENTE. Grazie, consigliere Carpani. Prima di dare la parola ai colleghi, vorrei farvi io qualche brevissima domanda.
  Dalle vostre relazioni si evince con chiarezza – almeno stando a quanto abbiamo compreso – che il sistema delle conferenze va mantenuto anche a seguito della riforma costituzionale. Anzi, andrebbe riformato a prescindere, anche a Costituzione vigente, per le considerazioni che avete fatto e che per brevità non ripeto.
  Comunque, anche alla luce del nuovo Senato, vi è la necessità di riforma del sistema che ha rappresentato dal punto di vista istituzionale – non solo amministrativo, ma anche legislativo – una sorta di sede di ripiego del principio di leale collaborazione, sede naturale che secondo la riforma del Titolo V doveva essere questa Commissione, ma per ragioni politiche ormai datate e storiche non è stato così.
  Oggi il tema è come possono lavorare insieme, senza sovrapporsi e producendo il risultato migliore dal punto di vista dello spirito della riforma e della funzione del nuovo Senato, questo e il sistema delle conferenze, innanzitutto con riguardo al procedimento legislativo.
  Va da sé che nella fase di avvio del nuovo procedimento legislativo e delle nuove e molteplici forme attraverso cui si formeranno le leggi statali, è chiaro che il ruolo del Senato, ma anche quello delle conferenze è fondamentale.
  Infatti, non essendo chiara quale sarà la sede istituzionale depositaria della volontà politica dei territori – se il Senato, perché vi sarà la presenza dei presidenti di regione, o il sistema delle conferenze, che comunque rischia di «delegittimare» il Senato, se questo non avrà la capacità di esprimere la volontà dei territori dal punto di vista politico e istituzionale – l'unica cosa che possiamo fare è evitare che dopo la riforma ci siano ulteriori complicazioni, confusioni e contenziosi in questo sistema articolato, anche perché cambia il sistema delle competenze, per cui ci sarà da rivisitare tutto.
  La domanda è se sia il caso che Senato e sistema delle conferenze – anche nella formula di una rivisitazione sostanziale della loro organizzazione, di cui parlava, peraltro, il consigliere Carpani – debbano stare insieme anzitutto fisicamente e logisticamente al Senato e, in secondo luogo, possano prevedere, anche in sede di regolamenti parlamentari, una forma di istruttoria preventiva condivisa che faccia sì che la parte legislativa stia, ovviamente, in capo al Senato e quella di raccordo amministrativa al sistema delle conferenze semplificato.
  Questo consentirebbe di avere un'unità di opinione e di manifestazione di volontà del sistema delle regioni, quando questo si sviluppa sia nella discussione e nel dibattito parlamentare in Senato, sia nella sede di raccordo amministrativo e nel rapporto con l'esecutivo, ferma restando la dipendenza Pag. 10 funzionale del sistema delle conferenze dalla Presidenza del Consiglio.
  Tuttavia, mi chiedo se questo non possa servire a facilitare il compito e a rendere più trasparente e anche più efficiente il sistema di raccordo che, nella nuova formulazione, è tutto da sperimentare.
  Da ultimo, il professor Carli faceva una proposta sulla quale mi astengo, essendoci un piccolo conflitto di interessi in quanto presidente della Commissione bicamerale.
  Al di là delle battute, concordo sul fatto che ci sia questa necessità. Consideriamo che il Senato dovrebbe svolgere anche un'attività importante come la valutazione delle politiche pubbliche, che sta dentro alla funzione di raccordo amministrativo, nonché la funzione di raccordo tra lo Stato, l'Unione europea e il sistema delle regioni.
  Di conseguenza, credo che sia positiva l'idea che vi possa essere una sede che, per conto della sintesi fra i territori e lo Stato, sviluppi, affini e proponga alla Camera, che comunque è l'unica dotata di indirizzo politico, quali siano le cose che si possono modificare e correggere per venire incontro a esigenze territoriali da un punto di vista più specifico.
  In questo contesto, vorrei chiedere al professor Carli se, oltre alle cose che abbiamo già detto, questo debba avvenire in sede di previsione dei regolamenti parlamentari o quale debba essere il percorso per precisare meglio queste competenze.

  MASSIMO CARLI, Professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano. Non c'è dubbio che basti il regolamento parlamentare. La riforma prevede che sia disciplinato il nuovo procedimento legislativo, quindi non vedo perché non possa prevedere un parere obbligatorio di una Commissione in cui ci sono deputati e senatori. È un problema di funzionamento delle Camere, che è l'oggetto specifico dei regolamenti parlamentari.
  Riguardo a quanto diceva, Presidente, bisogna tener conto che il procedimento legislativo è molto cambiato rispetto a prima. Anzitutto, ci sono delle leggi sulle quali il Senato può darsi che non dica nulla, cioè non richieda di dare il suo parere, quindi il testo approvato dalla Camera va in Gazzetta Ufficiale. Ci sono dei testi sui quali, invece, il Senato vuole intervenire e dire la sua.
  Ecco, nel momento in cui si consente al Senato di dire il suo punto di vista, bisogna per forza dare valore a questo punto di vista, che non può essere un valore di blocco, perché deve decidere la Camera; tuttavia, occorre un esame serio. Non è pensabile che si arrivi alla Camera con l'osservazione del Senato, poi si va in Commissione, che conferma proprio il testo, dopodiché si va in Assemblea e idem.
  Allora a che servirebbe? Ci vuole una sede in cui chi ha fatto le proposte – quasi unilateralmente come ci diceva Carpani, perché il Governo è lì che assiste come uno spettatore – possa far presenti le sue obiezioni. Dall'altra parte, i senatori possano difendere la proposta che viene fatta.
  Teniamo presente che è pacifico che questo disegno di riforma della Costituzione riporti tantissime competenze allo Stato. Molti se ne lamentano, dicendo che è un passo indietro drammatico perché si ritorna allo Stato centralizzato. Tuttavia, questi discorsi ignorano che una volta entrata in vigore la riforma sulle leggi dello Stato, le regioni avranno avuto la possibilità di dire il loro punto di vista. In sostanza, avremo una normativa che non è fatta più da due Camere che guardano solo alle esigenze dell'unità, ma da una Camera che si confronta con un'altra, dunque unità e differenziazione.
  Allora, il contenuto delle leggi non può non tener conto delle esigenze territoriali e se questo succede non si va alla Corte Costituzionale a farle fare un mestiere che non è il suo. Stabilire quanta differenziazione accettiamo non è un problema giuridico, ma una scelta politica. Cosa deve essere uguale per tutti e cosa può essere differenziato è una decisione che viene presa da due Camere che guardano una all'unità e l'altra alla differenziazione. Se il prodotto non viene preso in esame in maniera seria, limitandosi a essere un parere che può essere disatteso unilateralmente dalla Camera, il meccanismo salta e avremo soltanto un ritorno al centro. Pag. 11
  Per esempio, non esiste uno stato sociale in cui le competenze preminenti sono solo dello Stato. Lo Stato liberale si può fare con uno Stato accentrato, ma non lo stato sociale. Lo Stato da solo non può occuparsi di sanità, di ambiente, di casa e così via. Occorrono poteri periferici che decidono, non prescindendo dall'interesse nazionale, ma al suo interno, di modo che dal confronto vengano fuori le soluzioni politicamente equilibrate, prese da un organo fatto per fare scelte politiche e non più dalla Corte costituzionale, che è un giudice, per cui è bene che faccia quello e non assuma scelte politiche.
  Non so se ho risposto.

  PRESIDENTE. Grazie, ha risposto in maniera esaustiva. Passo ora la parola al consigliere Carpani.

  GUIDO CARPANI, Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, esperto della materia. Vorrei riprendere l'idea che il Presidente ha avanzato di un raccordo maggiore o un'unificazione delle due strutture, ovvero Senato e sistema delle conferenze.
  Se non ricordo male, sia l'articolo 12 della legge n. 400, sia le norme riguardanti l'ufficio di segreteria si pongono già oggi il problema di dove sta il sistema delle conferenze, ovvero se è un pezzo della Presidenza del Consiglio dei Ministri o qualcosa che sta fuori e che cerca un radicamento che non sia a casa né dell'uno (il Governo), né dell'altro (le regioni).
  Le norme – ricordo l'articolo 12 – dicono che la conferenza sta presso la Presidenza, ma nessuno oggi si sogna di dire che è un pezzo di amministrazione centrale di Governo al fine del raccordo. Peraltro, se ci pensate, il Dipartimento per gli affari regionali non avrebbe ragione di esistere, se la conferenza realizzasse pienamente quel sistema di raccordo del Governo con le autonomie. Si è sempre detto che il Dipartimento è lo strumento del Governo che guarda al sistema delle autonomie; le conferenze, invece, sono quelle che, in modo diverso e in una certa posizione di terzietà, assicurano questo raccordo.
  Peraltro, la legge n. 400 aveva già previsto che presso la Segreteria ci fossero funzionari regionali e statali. Inoltre, il segretario della conferenza, che nella versione assestata è un dirigente dalla presidenza, per le attività di segretario della conferenza non prende indicazioni dal segretario generale di Palazzo Chigi, ma dal presidente della conferenza.
  Insomma, si tratta di un ufficio servente di un organismo misto. Non è un pezzo o uno strumento del Governo che assicura il suo raccordo con il sistema delle autonomie. Quindi, in tutti questi elementi ricavabili dalla legislazione in essere si evince un problema a cui questa proposta andrebbe finalmente a dare una soluzione.

  PRESIDENTE. Do la parola ad altri colleghi che desiderino intervenire.

  MARIA GRAZIA GATTI. Più che una domanda, mi viene una perplessità di fondo. C'è un problema di rappresentanza territoriale rispetto alla nuova riforma, dopodiché si propone di inserire nella legge la presenza dei presidenti. Ecco, mi sembra un bel vincolo. In fondo, nella riforma costituzionale c'era il Presidente ed è stato tolto. Il problema è che il Senato non è rappresentante dei governi regionali. Per essere rappresentante delle istituzioni occorre essere rappresentante dei governi.
  I modelli erano molto diversi. In sostanza, abbiamo questo vincolo sulla legge che mi sembra pesante. Il problema è relativamente a quale parere e come renderlo significativo quando viene espresso per diverse leggi, nonché l'organo a cui riferirsi.
  Mi spiego. È come se si stesse costruendo una sorta di percorso parallelo nella riforma costituzionale appena disegnata. La mia è solo una perplessità, ma temo che abbiamo inserito una sorta di percorso parallelo che poteva essere esplicitato da un disegno costituzionale più pulito.
  In sostanza, individuare attraverso una legge qual è il luogo dove il parere espresso dal Senato possa avere un peso e qual è l'organismo che, in caso questo non avvenga, intervenga per legittimarlo (che non può essere la Corte, sono d'accordo) è come se interrompesse un disegno completo, che Pag. 12doveva stabilire questi aspetti all'interno della norma costituzionale.

  PRESIDENTE. Peccato che sia già stata approvata.

  MARTINA NARDI. Vorrei fare una considerazione che mi ha sollecitato la collega. Anche il professor Carli ha puntato l'accento su una questione molto rilevante in questa discussione, cioè la distinzione tra territorio e istituzione territoriale, che è un punto fondamentale. Infatti, vedo un rischio con un combinato disposto con la legge elettorale, che con le preferenze accentuerà il territorialismo per la ricerca del consenso.
  Sempre meno il deputato tenderà a rappresentare la Nazione, lo Stato e gli interessi generali perché l'introduzione delle preferenze, con listini corti e in collegi grandi (600.000 abitanti sono collegi grandi per il nostro Paese; tolte le città metropolitane, in tutto il resto dell'Italia questo vuol dire due o tre province), spingerà maggiormente verso una logica territoriale, che rischia di essere confliggente con quella del Senato, che dovrebbe rappresentare, appunto, le istituzioni territoriali e non il territorio tout court.
  Invece, con le mediazioni e le controindicazioni di tutto questo percorso costituzionale, abbiamo tolto costituzionalmente la figura del presidente che rappresentava di per sé l'istituzione territoriale. Mi auguro ci siano gli spazi per recuperarla nella legge che verrà e che comunque dovremmo scrivere per il Senato per indicare i principi con cui si andranno a eleggere i senatori.
  Spero che riusciremo a recuperare questo livello istituzionale, ma ho paura che, se questo non dovesse avvenire – quindi non dovesse essere maggiormente rappresentata l'istituzione territoriale, che, tra l'altro, la norma vede nel livello sia regionale sia comunale perché c'è anche la rappresentanza delle grandi città – nei prossimi anni potremmo incorrere in una fortissima conflittualità con chi fa l'interesse della Nazione.
  Insomma, vedo un rischio una conflittualità tra i due livelli che fondamentalmente rappresentano la stessa cosa, cioè esclusivamente delle rappresentanze molto legate al territorio, e non le istituzioni, semmai riservando un ruolo ancora maggiore alle conferenze, che, invece, dovremmo prosciugare.
  Paradossalmente, potremmo ottenere l'esatto contrario perché c'è bisogno di governare (le chiacchiere stanno a zero), quindi è del tutto evidente che le conferenze assumeranno ancora più rilevanza, mentre penso che avremmo dovuto fare il tentativo contrario.
  La mia è una domanda che rivela una riflessione e una preoccupazione in questa fase molto delicata in cui, appunto, dopo il referendum, dovremmo comunque definire la legge. Ecco, penso che questo sia uno dei temi centrali. La questione non è se c'è il presidente o meno, ma cosa si va a rappresentare e che tipo di legge occorre.

  PRESIDENTE. Do la parola agli auditi per una breve replica.

  GUIDO CARPANI, Consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri, esperto della materia. Quello che lei dice rafforza quello che diceva il professor Carli. Se le istituzioni territoriali non trovano nel Senato il loro luogo, resteranno dove sono. Insomma, bisogna evitare questa possibilità di avere due luoghi diversi.
  Peraltro, le conferenze hanno un'attività più che trentennale. La conferenza Stato-regioni fu istituita da Craxi il 12 ottobre 1983. Ecco, io mi sono sempre chiesto il perché della fortuna di questi strumenti di raccordo e della loro longevità.
  Le risposte che mi sono dato sono due. La prima – che consiglierei anche per il Senato – è che i sistemi di raccordo hanno bisogno di poche norme. Le norme sulle conferenze stanno sulle dita di due mani, mettendoci dentro tutto, ovvero quelle che sono intervenute dalla legge n. 400 del 1988 fino all'ultimo provvedimento, che mi pare possa essere il più rilevante (articolo 8, ultimo comma della cosiddetta legge La Loggia). Tutto ciò che non è normato da queste poche norme è prassi.
  L'altra grande fortuna è che in Italia, in questi trent'anni, c'è stato un rafforzamento Pag. 13 grandissimo dell'esecutivo. Le conferenze creano i raccordi tra esecutivi perché ci stanno i sindaci, i presidenti delle regioni e il Governo.
  A questo proposito, ricordo che se le regioni, alla fine degli anni Novanta, non avessero avuto, come già i comuni, l'elezione diretta del presidente – introdotta dal Parlamento nel 1999 – sarebbero morte come istituzioni. A quel tempo c'era Vannino Chiti come presidente della conferenza delle regioni. Si sentiva il bisogno che anche quest'ultima istituzione del territorio potesse accedere a questo sistema che inevitabilmente rafforza quel discorso.
  Ultimo punto, gli accordi di cui vi ho detto hanno un contenuto anche normativo. Il fatto che il Parlamento traduca gli accordi fatti dagli esecutivi, che hanno un contenuto esclusivamente normativo (come i Patti della salute, che viene tradotto in disposizioni della legge di stabilità), dimostra ancora una volta che gli esecutivi dettano l'agenda delle assemblee e forse anche il suo contenuto.
  Questa è un'altra realtà che ha fatto vivere queste tre conferenze in questi anni in modo inaspettato.

  PRESIDENTE. Da qui la necessità di un coordinamento.

  MASSIMO CARLI, Professore di diritto regionale presso l'Università Cattolica di Milano. Io confermerei il punto di vista che i presidenti delle regioni devono essere presenti nel nuovo Senato. Lo so che c'era ed è stato tolto, ma quando è stato fatto non è ancora chiaro se il Senato dovesse essere la Camera di garanzia o delle rappresentanze territoriali.
  Se è vero che deve rappresentare le istituzioni, non riesco a capire come possa rappresentare la Lombardia o la Toscana qualcuno che non sia il presidente o un suo delegato (magari un vice presidente). Insomma, occorre che ci sia l'esecutivo che viene dal presidente e che si impegna da quel punto di vista, altrimenti sono solo opinioni.
  Sono stato dirigente del consiglio regionale della Toscana, quindi non parlo male dei presidenti dei consigli. Tuttavia, un presidente del consiglio non può andare lì a dichiarare cosa dice la Toscana perché non ha questa legittimazione, per cui è necessario che vi sia qualcuno a cui poter ricondurre il punto di vista esaminato.
  Se, dunque, è così necessaria la presenza del presidente e se la legge elettorale deve fissare i principi, mi pare che questo possa rientrare tra i principi che la legge statale può prevedere.
  Da ultimo, non so se vi è chiaro com'è composto il nuovo Senato. Ho fatto alcuni conti, utilizzando anche la vostra pubblicazione. Vi sono 10 regioni con due senatori e metodo proporzionale.
  Ecco, scherziamo? Si tratta, peraltro, di due senatori, di cui uno è sindaco. Quindi, è la nomina di uno solo che si fa con voto proporzionale? Ebbene, questa è follia pura perché per il voto proporzionale bisogna almeno che siano tre: in proporzione, ciò vuol dire due alla maggioranza e uno alla minoranza, per cui se è uno o sono due non ha senso parlare di voto proporzionale.
  Valle d'Aosta, Bolzano, Trento, Friuli-Venezia Giulia, Liguria, Umbria, Marche, Abruzzo, Molise e Basilicata hanno due soli senatori. Poi ci sono due regioni con 3, ovvero Sardegna e Calabria; una con 5, Toscana; due con 6, Puglia ed Emilia-Romagna; 3 con 7, Sicilia, Veneto e Piemonte; una con 8, Lazio; una con 9, Campania; una con 14, Lombardia.
  Ecco, questa sarà la composizione del Senato. C'è, pertanto, un problema di regioni poco rappresentate; ci sono 21 sindaci, dunque avrebbe senso pensare a un gruppo al Senato che riunisca i sindaci e non ai gruppi di Forza Italia, del PD o di Sinistra e libertà. Infatti, se ci saranno i gruppi in relazione ai partiti, facciamo del Senato il doppione della Camera; a quel punto, però, è meglio una sola Camera. Infatti, questa Camera serve solo in quanto porta dentro esigenze diverse da quelle di cui tiene conto l'altra.
  Ora, siccome il popolo è il titolare della sovranità, è giusto che sia la Camera ad avere l'ultima parola perché rappresenta, appunto, il popolo sovrano. Tuttavia, deve dire l'ultima parola dopo aver pesato anche Pag. 14le esigenze delle autonomie territoriali, che, secondo l'articolo 5 della Costituzione, la Repubblica promuove e favorisce. In sostanza, attuiamo questo aspetto della nostra Costituzione, favorendo e promuovendo le autonomie territoriali, ovvero portandole dentro al Parlamento. Non è detto, però, che il Parlamento riesca a rappresentarle, quindi questa deve essere la battaglia.
  Infine, tenete presente che le prime elezioni non si faranno in base alla legge, ma in base all'articolo 39. È già scritto come si deve fare. Pertanto, la prima nomina avviene in questo modo. Ciò significa che per la legge elettorale non c'è urgenza perché sarà in una seconda battuta.
  Ciò nonostante, è decisivo vedere come funzionerà il Senato eletto in questo modo. Rimane, però, che i senatori «individuati» dai consigli regionali, che sono in parte condizionati dalle votazioni, ma il condizionamento riguarda la scelta della persona, mentre la legittimazione viene dalla nomina da parte dei consigli. Quindi c'è la possibilità di insistere sulla rappresentanza, anche in presenza di senatori che sono stati indicati dal corpo elettorale, ma evidentemente non è scontato che sia così.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Carli e il consigliere Carpani per le relazioni e per l'utile interlocuzione. Avremmo modo, comunque, di disturbarvi nuovamente.
  Nel ricordare che mercoledì prossimo 16 marzo alle ore 8.15 si svolgerà l'audizione dei professori Paolo Caretti e Marco Olivetti, nonché del professor D'Atena, che oggi non è potuto intervenire per via di un impedimento, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.