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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 28 aprile 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione di rappresentanti di Anci, Upi e Uncem.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Ricci Matteo , vicepresidente dell'Anci ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 5 
Rinaldi Giuseppe , presidente dell'UPI Lazio ... 5 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Borghi Enrico (PD) , Presidente dell'UNCEM ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Ricci Matteo , vicepresidente dell'Anci ... 9 
Rinaldi Giuseppe , presidente dell'Upi Lazio ... 10 
Nicotra Veronica , segretaria generale dell'Anci ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti di Anci, Upi e Uncem.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze», l'audizione di rappresentanti di ANCI, UPI e UNCEM.
  Do, quindi, la parola al vicepresidente dell'ANCI, Matteo Ricci, per lo svolgimento della relazione.

  MATTEO RICCI, vicepresidente dell'Anci. Buongiorno a tutti. Grazie, presidente, per questa convocazione che ci dà l'opportunità di ribadire il nostro appoggio a una fase importante di riforme del Paese e alla trasformazione, nel caso specifico, del Senato della Repubblica in Senato delle autonomie. Riteniamo, infatti, che si tratti di un passaggio fondamentale, che cambierà profondamente l'assetto istituzionale del nostro Paese, rendendolo più moderno ed efficiente.
  Ci saremmo aspettati una rappresentanza un po’ differente nel Senato delle autonomie, poiché avremmo preferito molti più sindaci e meno consiglieri regionali, non solo per una questione di parte, ma di rappresentanza del Paese. Anche rispetto al tema dell'elettività avremmo recuperato molti degli spazi e del dibattito politico che si è sviluppato e si svilupperà, perché la nostra proposta, come sapete, prevedeva l'elezione dei sindaci delle città capoluogo di provincia, in modo tale che al momento delle elezioni i cittadini sarebbero stati consapevoli della contemporanea elezione di questi soggetti a senatori della Repubblica nel Senato delle autonomie locali.
  Fatta questa precisazione, ribadiamo che si tratta di una riforma molto importante, che cambierà l'assetto e il rapporto di enti locali (Comuni e ciò che diventeranno le Province) e Regioni con lo Stato, non ponendosi comunque, a nostro parere, in alternativa al «sistema delle conferenze».
  Ci sarà sicuramente un cambiamento nel procedimento legislativo e nel confronto tra Parlamento ed enti locali, ma il «sistema delle conferenze» non è alternativo, poiché è un sistema di rapporto istituzionale tra esecutivi, mentre il Senato delle autonomie tenderà, giustamente, a rappresentare i territori e le parti politiche in essi presenti.
  Il Senato delle autonomie non avrà poteri e competenze su tutte le materie che riguarderanno direttamente e indirettamente gli enti locali. Per esempio, il tavolo principale delle trattative che svolgiamo con il Governo è riguarda la legge di stabilità, che sarà approvata dalla Camera, non dal Senato delle autonomie. Pag. 4Cito soltanto uno dei principali provvedimenti che durante l'anno ci vedono protagonisti di una trattativa.
  Riteniamo, tuttavia, che il ’sistema delle conferenze’, che ha dato un contributo molto importante e positivo, vada riformato e ulteriormente snellito. La mia opinione da sindaco è che si partecipa a un sistema a volte troppo pesante. Siamo nell'era delle nuove tecnologie, quindi molte conferenze potrebbero essere fatte in videoconferenza, visto che c’è un lavoro preparatorio da parte degli uffici dell'ANCI, delle Regioni, dell'UPI e di elementi dei ministeri preposti che potrebbe rendere il procedimento molto più snello, anche con convocazioni più frequenti, se dovesse essere necessario.
  È, comunque, un luogo di confronto istituzionale tra esecutivi che riteniamo indispensabile, anche se, come accennavo, andrebbe riformato alla luce della nuova configurazione del Senato dalle autonomie. Non è, dunque, alternativo perché può integrare un sano rapporto tra esecutivi.
  A conferma di questo, vi ricordo che ci sono stati diversi Governi da quando c’è il «sistema delle conferenze», ma né la conferenza Stato-Regioni, né quella Stato-Città, né quella unificata sono mai diventate luogo di arena politica; sono sempre state, anzi, un luogo di confronto istituzionale tra esecutivi, cosa che ha dato un contributo molto importante al Paese. Il sistema è, quindi, sicuramente complementare, ma non alternativo. Questo è il nostro punto di vista.
  In conclusione, approfitto della presenza di diversi parlamentari a questa audizione per dire che stiamo portando avanti un lavoro con i ministeri di competenza perché riteniamo che in questo processo di riforme ci siano le condizioni per intervenire subito sul tema dei Comuni.
  Per riassumere, abbiamo il Senato delle autonomie locali che cambia l'assetto e l'abolizione delle Province in Costituzione, dopo lo svuotamento e la trasformazione in aree vaste, ma mancano ancora due tasselli nella riforma istituzionale, di cui uno è sicuramente la riorganizzazione dei Comuni e l'altro la riforma delle Regioni.
  Siccome in Italia c’è il brutto vizio di indicare sempre agli altri in che modo devono cambiare, abbiamo deciso di iniziare da noi stessi, per cui nei mesi scorsi abbiamo avanzato una proposta di riorganizzazione dei Comuni che non riguarda soltanto i piccoli Comuni, come prevede la legge attuale, ma tutti i Comuni italiani. Infatti, l'esigenza di rafforzare i Comuni, in una trasformazione di governance territoriale, riguarda, appunto, tutti i Comuni italiani.
  Come sapete, la legge attuale prevede – quest'anno abbiamo avuto la proroga di un anno – l'obbligatorietà di associare per alcune funzioni i Comuni sotto i 5.000 abitanti. Noi riteniamo che questo sia sbagliato perché il criterio non deve essere demografico, ma deve riguardare tutti i comuni e deve essere quello del bacino omogeneo.
  In altri termini, crediamo che gli 8.000 Comuni italiani possano essere riorganizzati con il consenso dell'ANCI in unioni dei Comuni per bacini omogenei in tutta Italia, svolgendo in modo unitario alcune, ma non molte, funzioni, così da non correre il rischio di imbrigliare la partenza di questo processo di riorganizzazione. Riteniamo sia questo il salto di qualità da fare. In particolare, stiamo ragionando su tre funzioni obbligatorie, che cambierebbero notevolmente l'assetto istituzionale del Paese, obbligando gli 8.000 Comuni italiani a lavorare insieme per bacini omogenei, e creando quindi maggiore efficientamento e rafforzamento istituzionale nella programmazione e nella trattativa con i livelli di governo regionali e statali.
  A questo aggiungiamo una richiesta di ulteriore semplificazione e incentivo per le fusioni, che invece rimarranno volontarie, come prevede la legge, attraverso lo strumento del referendum consultivo e il ruolo delle Regioni.
  Approfitto di questa sede – andando un po’ fuori tema – perché riteniamo che ci siano le condizioni per provare ad allargare il dibattito, che fino ad oggi è stato prettamente ANCI-Governo, anche in Pag. 5sede parlamentare. Nelle prossime settimane ci faremo promotori di un'iniziativa perché sui principi generali c’è un larghissimo consenso e soprattutto c’è la volontà di tutti i comuni, iniziando da quelli più piccoli, di diventare protagonisti di un cambiamento.
  Ritengo che questo sia uno spazio politico importante da cogliere. A mio parere, sbaglieremmo, infatti, a continuare a rinviare questa tematica, magari arrivando ancora una volta all'ennesima proroga, senza entrare nel merito del problema.
  Se riorganizziamo i luoghi del confronto tra Comuni e Stato e tra Comuni, Governo e Parlamento, è importante che i Comuni riorganizzino se stessi per essere ancora più forti in questa trattativa.
  Desidero concludere il mio intervento con queste considerazioni, ribadendo la nostra posizione sul ’sistema delle conferenze’, che vanno sicuramente riformate e snellite, ma rimangono uno strumento fondamentale, integrativo e non alternativo al Senato delle autonomie.
  Questa è la nostra proposta.

  PRESIDENTE. Ringrazio il vicepresidente Ricci. Il suo intervento non è fuori tema perché una parte della nostra indagine conoscitiva riguarda le funzioni di raccordo, ma anche il sistema di riorganizzazione delle autonomie locali alla luce del testo costituzionale, con riferimento sia alle unioni dei comuni, che sono espressamente disciplinate nel nuovo testo costituzionale, sia alle Città metropolitane e alla soppressione delle Province. Pertanto, se avete delle proposte concrete da trasmettere alla Commissione, anche al di là di quello che lei ha enunciato nel corso dell'audizione, ne terremo sicuramente conto ai fini del documento conclusivo di questa indagine conoscitiva.
  Darei, quindi, la parola al presidente di UPI Lazio, Giuseppe Rinaldi, per lo svolgimento della sua relazione.

  GIUSEPPE RINALDI, presidente dell'UPI Lazio. Grazie, presidente. Anch'io mi associo ai ringraziamenti del sindaco Ricci. Il mio intervento sarà più breve perché la posizione che rappresento è molto simile a quella dell'ANCI, in linea con il nostro ruolo di aree vaste, che possono essere considerate le case dei Comuni italiani.
  Per entrare subito nel merito delle questioni, siamo d'accordo sul fatto che ci sarà bisogno di un intervento innovativo e coraggioso per quanto riguarda il ’sistema delle conferenze’, perché esso necessita da tempo di essere revisionato, anche a prescindere dalla riforma del Titolo V e dal nuovo Senato.
  Siamo, pertanto, convinti che oggi, alla luce del nuovo Senato, emerga ancora di più l'esigenza di rinnovare il ruolo delle conferenze perché troppo spesso, in passato, ci si limitava – passatemi il termine – a considerarle un mero «parerificio». Invece, anche nel quadro delle riforme che si intendono attuare, c’è bisogno che questo sistema sia rinnovato.
  A una prima lettura della norma, qualcuno potrebbe dire – come è stato detto e scritto, anche negli emendamenti proposti – che in presenza di un Senato delle autonomie non vi sarebbe più bisogno di un sistema di conferenze, perché quello è il luogo in cui vengono rappresentati i Comuni, i territori e le Regioni. Tuttavia, come ha già spiegato bene il sindaco Ricci, non siamo del tutto soddisfatti della composizione attualmente prevista per il Senato; occorre dunque riflettere sulla sua composizione.
  Pensiamo al rapporto fra Presidenti regionali e Consigli regionali. Chi farà parte di questo Senato delle autonomie ? Sarà il Senato dei Presidenti o dei consiglieri ? Non si può chiedere ai 20 sindaci di rappresentare tutto il complesso sistema delle autonomie, dei comuni e delle aree vaste, che siamo convinti possano, nelle conferenze riformate, rappresentare istituzionalmente meglio le esigenze che le autonomie locali hanno sempre portato in quelle sedi.
  In particolare, per quanto ci riguarda, pensiamo alla Conferenza Stato-Città, dove i sindaci siedono in rappresentanza dei Comuni, delle Città metropolitane e, attualmente, anche delle aree vaste.Pag. 6
  Siamo convinti anche noi, come l'ANCI, che questo raccordo funzionale con il nuovo Senato della Repubblica possa essere svolto in maniera adeguata da queste conferenze, rinnovate alla luce delle modifiche costituzionali che saranno sottoposte a referendum il prossimo mese di ottobre.
  In questo contesto, nel nuovo Senato si potrà anche strutturare un rapporto costante con le associazioni rappresentative degli enti locali. Quella potrà essere, infatti, anche una sorta di segreteria del nuovo Senato, fatte salve le competenze, ovviamente diverse, per cercare di rendere efficace ed efficiente l'azione amministrativa e politica della nuova Camera delle autonomie.
  Rubo un minuto in più perché lo spunto che ha dato il sindaco Ricci, ripreso dal presidente, ci trova pienamente d'accordo, come rappresentanti delle aree vaste. Abbiamo già espresso questa posizione in una precedente audizione svolta sul tema delle riforme, insieme all'ANCI e all'UNCEM, riguardo all'obbligatorietà dei processi che, ad oggi, riguardano solo i piccoli Comuni.
  Noi siamo d'accordo sul fatto che debba continuare a essere un processo volontario, il quale deve partire dal basso. Aggiungiamo anche – e non per semplice presa di posizione di parte – che il luogo in cui deve avvenire questa rivisitazione delle competenze deve essere la conferenza dei sindaci, all'interno dell'area vasta.
  In sostanza, l'assemblea dei sindaci dell'area vasta può essere il luogo attraverso il quale si implementa questo processo, che ci è stato proposto da parte dell'ANCI e che condividiamo, di costruire dal basso un sistema di gestioni associate di servizi attraverso l'unione dei comuni o altre forme di raccordo di cui si possono dotare gli enti locali.
  Questo cambierebbe il quadro della situazione da un punto di vista normativo, perché non ci sarebbe più l'obbligatorietà, ma si tratterebbe di un processo che parte dal basso con criteri e paletti prestabiliti e che vedrebbe in primo luogo protagonisti i territori e i sindaci, fatta salva la questione delle fusioni volontarie, con gli incentivi e tutto quello che la normativa già prevede.
  Questo percorso ci trova molto d'accordo, anche alla luce dell'ennesima proroga riguardo alle funzioni che i comuni dovrebbero obbligatoriamente svolgere in forma associata. Noi crediamo che questa proroga sia il segno non dell'inefficienza dei comuni, ma della difficoltà di attuazione della normativa in materia.
  Vorrei sottolineare che l'assemblea dei sindaci, all'interno all'area vasta, può essere appunto il luogo in cui queste proposte che partono dai territori si strutturano, in modo tale che i Comuni, quindi i sindaci e i consigli comunali, siano protagonisti di questo processo di riforma.
  Peraltro, seppure investiti da una riforma che ha svuotato le nostre competenze e che ci sta mettendo in grande difficoltà, non vogliamo rivestire la parte dei conservatori del sistema. Ci piacerebbe, invece, essere parte dirigente di un processo di riforma. Noi, però, su questo, come Province, registriamo qualche difficoltà, perché siamo alle prese con una modifica che ha investito il sistema e ci sta dando – ripeto – rilevanti problemi di attuazione.
  Approfitto anch'io di questa sede per dire che nessuno è contrario alle modifiche, ma se dobbiamo arrivare verso quell’ «uscita di emergenza», ci piacerebbe, come parte di un sistema Paese, partecipare a questo processo, come faticosamente stiamo cercando di fare in qualità di Presidenti di provincia, in questo difficilissimo anno e mezzo di riforma.
  Ciò non è, tuttavia, affatto facile, perché molti effetti, soprattutto economici e finanziari, della riforma, sono stati anticipati. Le difficoltà, che vanno sempre a incidere sui territori, e quindi sui sindaci e sui cittadini, sono evidenti e grandi. Anche io vi chiedo scusa per il mio «fuori programma», ma approfitto ogni volta che posso essere ascoltato nelle sedi opportune, posto che il Parlamento è competente a disciplinare tali materie e insieme Pag. 7dovremmo trovare soluzioni praticabili, cosa che oggi è veramente molto difficile.
  Personalmente, vengo da altre esperienze. Questa non è infatti la mia prima esperienza, ma quello che sto affrontando da un anno e mezzo è per me una novità, perché avverto l'impossibilità oggettiva di adempiere a un mandato.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente dell'UPI Lazio, Giuseppe Rinaldi. Darei, quindi, la parola al presidente dell'UNCEM, Enrico Borghi.

  ENRICO BORGHI, Presidente dell'UNCEM. Grazie, presidente, dell'opportunità di riflettere su un tema che, come accennato da chi è intervenuto prima di me, si colloca inevitabilmente all'interno di un processo ampio. La possibilità di potersi confrontare nel merito della definizione di questo processo dà, però, anche l'opportunità di poterne determinare gli esiti finali.
  La riflessione sul sistema del confronto fra Stato e autonomie locali, in cui si inserisce la questione specifica del «sistema delle conferenze» non può sottrarsi, da un lato, a una riflessione a consuntivo su quanto accaduto sin qui e, dall'altro, a una contestualizzazione storica del percorso del «sistema delle conferenze», le quali nascono a metà degli anni Novanta all'interno di un processo riformatore. Credo che molti di voi ne ricordino temperie e obiettivi di tale processo, che si potrebbe dire stia alla base anche degli obiettivi della riforma costituzionale attuale.
  All'epoca, dentro la definizione di «federalismo a costituzione invariata» si immaginò un sistema di relazioni e di confronto – allora si diceva una parola che oggi è a metà strada tra la bestemmia nel tempio e l'arcaicità: «concertazione» – fra Stato e autonomie locali, che preludesse al raggiungimento di un livello più compiuto e più strutturato.
  Il legislatore e il Governo dell'epoca immaginavano la Conferenza Stato-Regioni, la Conferenza Stato-Città e la Conferenza unificata come sintesi dei due strumenti, come un percorso di accompagnamento verso il raggiungimento del Senato delle autonomie (per avere conferma di ciò, è sufficiente rileggere le tesi pubblicate sul tema dall'Ulivo).
  Insomma, sarebbe dovuta essere una tappa intermedia. Tuttavia per motivi storici legati al fatto che l'Italia è un Paese condannato a declamare le riforme, ma a non praticarle mai, quella che doveva essere una tappa intermedia è diventata l'unica, e ciò ha fatto inevitabilmente scontare al ’sistema delle conferenze’ due limiti strutturali.
  Il primo è quello di essere un vestito cucito addosso a un corpo che doveva evolversi ed essere trasformato, per cui nel «sistema delle conferenze» si sono progressivamente infilate modalità, attitudini e dialettiche che dovrebbero essere proprie di un sistema di carattere più camerale. Il secondo – come ho constatato durante il mio percorso all'interno di questi organismi per 13 anni – è l'eccessivo spettro di competenze attribuitogli.
  Infatti, il ’sistema delle conferenze’ passa dall'analisi di provvedimenti di altissima rilevanza (dal DEF, alla legge di stabilità, alle riforme costituzionali) fino alla formulazione del parere sulla discarica di un certo Comune. Questo ha determinato, da un lato, un ingolfamento delle procedure e, dall'altro, essendo esse ferme al livello dell'espressione dei pareri, una sorta di svuotamento progressivo.
  Complessivamente, l'evoluzione, che poi ha condotto alla riforma del Titolo V, prevedeva che tale sistema diventasse, da strumento della concertazione, soprattutto per le Regioni, uno strumento di cogestione, per cui si è ipotizzato di utilizzare lo strumento delle conferenze come luogo in cui si decideva insieme. Tutto questo ha dato vita a una dialettica molto forte e a una tendenziale attitudine di tutti i governi a far finta di cogestire, demandando poi all'unico luogo della decisione in Italia – che allora era il MEF – la scelta di ogni conseguenza pratica.
  Ciò ha determinato una sorta di afasia. L'idea era quella di agire politicamente in un luogo in cui prima si concertava e poi Pag. 8si cogestiva, ma alla fine ci si accorgeva che occorreva avere il parere decisivo del sottosegretario all'economia, il quale spesso affermava, a sua volta, che avrebbe riferito la questione al Consiglio dei ministri, con il risultato di bloccare il sistema.
  Penso sia molto corretto quanto hanno detto prima i rappresentanti dell'ANCI e dell'UPI, nel senso che occorre contestualizzare il meccanismo del «sistema delle conferenze» all'interno del nuovo processo, cercando di farlo evolvere da «parerificio» (mi scuso per il termine grezzo) a strumento di reale confronto tra i livelli di governo del Paese su poche, ma ben circostanziate materie; ciò dovrà avvenire attraverso modalità con le quali lo Stato si impegna a fare in modo che il processo di ascolto, di concertazione e di dialogo non sia sul modello di un «nuovo CNEL», bensì un'operazione seria e cogente.
  Credo che questa impostazione risponda anche a un'altra esigenza oggettiva del sistema delle autonomie locali e dei territori, finalizzata a consentire, all'interno del nuovo «sistema delle conferenze», un'evoluzione di quanto il mondo delle autonomie locali ha già raggiunto autonomamente, dal punto di vista associazionistico. Mi riferisco all'individuazione dell'ANCI come unico soggetto di riferimento del mondo dalla rappresentanza. All'interno di questo percorso, che, nel 2010, ha già visto un protocollo d'integrazione tra UNCEM e ANCI, riconfermato quest'anno – credo che anche UPI, stante la natura del sistema delle Province, andrà in questa direzione – che contempla la possibilità di abbreviare il sistema per l'individuazione dei soggetti, vi è il tema della rappresentanza territoriale.
  Nella definizione della nuova composizione occorrerebbe concentrarsi sulle modalità per garantire le entità di carattere territoriale, le quali erano originariamente assicurate attraverso l'esercizio della tripartizione ANCI, UPI, UNCEM. Oggi esse potrebbero trovare, all'interno dell'unica sigla del mondo associazionistico dell'ANCI, un meccanismo legislativo che assicuri la presenza di rappresentanti delle aree vaste e di sindaci delle aree montane, all'interno del percorso, che condivido ampiamente, esposto dal sindaco Ricci.
  Lo dico ai colleghi della Commissione. Occorre affermare con forza che la risultante finale del processo di ammodernamento e di ristrutturazione costituzionale conseguente alla riforma del Titolo V e del sistema della rappresentanza all'interno del Senato deve rappresentare, per la platea delle amministrazioni locali, la necessaria evoluzione anche dal punto di vista della sovranità.
  Non possiamo più avere – lo dice una persona che fa ancora pro tempore il sindaco di un piccolo comune – 8.000 uffici tecnici, 8.000 luoghi teorici di progettazione europea, 8.000 centrali uniche di committenza, e così via. Come è noto, siamo intervenuti su questo aspetto. Abbiamo bisogno di andare verso una concentrazione della sovranità in poche omogenee strutture (il numero si deciderà in rapporto alle direttrici). Dunque, l'idea delle unioni dei comuni costruite su basi omogenee è sicuramente un elemento centrale per il Paese.
  Aggiungo che questo è un elemento decisivo per quelle aree non metropolitane che oggi rischiano una fortissima compressione nel quadro del varo della città metropolitana e della crisi dell'area vasta o dell'ente intermedio. Per tradurre, l'Italia non crescerà se avrà 12 città metropolitane che decollano e 6.000 comuni piccoli, sparpagliati e divisi tra di loro senza un'operazione omogenea.
  Se vogliamo dire come stanno le cose, sotto questo profilo, registriamo il fallimento delle Regioni. Solo 10 Regioni su 21, infatti, hanno legiferato in materia di associazionismo intercomunale e di unione dei comuni, a sei anni di distanza dalla trasformazione, indotta con il decreto-legge n. 78 del 2010, delle comunità montane in unioni montane dei comuni.
  È evidente, allora, che il ritorno alla competenza esclusiva statale dell'associazionismo intercomunale, ai sensi della lettera p) del secondo comma dell'articolo 117 della Costituzione – è un passaggio decisivo, rispetto al quale inviterei la Commissione Pag. 9a lavorare, anche dal punto di vista del sistema della rappresentanza. Infatti, in quella sede – mi scuso per la brutalità – serve a poco avere il sindaco del piccolo comune, ma è più utile garantire la presenza dei presidenti delle unioni che sono in grado di rappresentare, nell'ambito di questo percorso, il vero livello attraverso cui si riorganizza il sistema amministrativo dei territori decentrati, marginali e periferici. Per tali enti esistere è una peculiarità espressa dall'articolo 44 della Costituzione, peraltro richiamata autorevolmente dal Presidente della Repubblica lo scorso 25 aprile. Penso, quindi, che questo sia un tema su cui è molto utile spendersi.
  Ringrazio dell'opportunità che mi è stata data. Anche in conseguenza del protocollo a cui ho fatto riferimento, la mia opinione, dal punto di vista della rappresentanza, è sintetizzata da quanto ha detto il presidente Ricci. Spero di aver fornito un contributo utile, grazie alla mia esperienza, rispetto alla modalità con la quale poter utilmente proseguire in un'azione di conferma e di riforma.

  PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai colleghi che intendono intervenire, vorrei porre un paio di domande. La prima è questa: noi siamo molto interessati a comprendere, nello specifico, quali sono gli aspetti della legislazione vigente del «sistema delle conferenze» che andrebbero modificati, indipendentemente dalla riforma costituzionale, anche e soprattutto con riferimento alla vostra esperienza di rappresentanza degli enti locali nell'ambito di questa attività di raccordo legislativo, politico e amministrativo.
  La seconda domanda è la seguente: il nuovo testo dell'articolo 55 della Costituzione non prevede solo il ruolo del Senato come soggetto che condivide alcuni procedimenti legislativi direttamente, per le leggi bicamerali, o indirettamente, attraverso l'esercizio del potere di richiamo; esso diventa, secondo il testo costituzionale, un organo che svolge la funzione di rappresentanza dei territori nell'ambito del procedimento legislativo, divenendo quindi, costituzionalmente, una camera di compensazione o di prevenzione di eventuali conflitti tra lo Stato e il sistema delle Regioni e delle autonomie. L'articolo 55 attribuisce al Senato, in maniera specifica, una funzione di raccordo tra lo Stato, le Regioni e il sistema delle autonomie, ma anche una funzione di valutazione delle politiche pubbliche e di verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato. In sostanza, attribuisce al Senato diverse funzioni che non sono espressamente collegate all'esercizio della funzione legislativa, ponendosi quindi all'interno di un circuito politico ed amministrativo.
  A noi interessa conoscere la vostra opinione sul modo in cui queste disposizioni del nuovo articolo 55 possano tradursi concretamente in un ruolo attivo del Senato, indipendentemente dalla sua composizione. Infatti, sappiamo che sarà composto da consiglieri regionali e da sindaci. Comprendiamo la discussione che c’è stata nel corso del dibattito parlamentare sulle riforme costituzionali. Oggi, però, abbiamo questo testo e dobbiamo lavorare su questo, indipendentemente dalla legge elettorale, che riguarderà la concreta composizione del Senato.
  Vi chiedo: come si riempiono di contenuti queste funzioni che, in base alla riforma della Costituzione, verranno assegnate al Senato, e che sono oggettivamente connesse, se non in parte sovrapponibili, a quelle che oggi svolge il «sistema delle conferenze» ?

  MATTEO RICCI, vicepresidente dell'Anci. Sul tema del funzionamento delle conferenze sono già intervenuto prima. Noi siamo soddisfatti di come esso abbia avuto luogo fino a questo momento. Riteniamo sia stato un luogo di costruzione di un dialogo positivo, che ha condotto quasi sempre al raggiungimento di intese importanti. Crediamo, però, che debba essere innanzitutto chiarito qual è il ruolo legislativo del Senato delle autonomie, posto che ciò non è ancora chiarissimo.
  Permangono infatti aspetti ancora da definire, per poi eventualmente, di conseguenza, stabilire ancora meglio che cosa Pag. 10modificare nel sistema delle conferenze. A nostro parere, le due cose vanno parallelamente. Dopodiché, sullo snellimento del funzionamento si possono fare tantissime ipotesi. Proveremo a fare delle proposte più specifiche.
  Per il momento ci siamo fermati qua perché non abbiamo approfondito gli aspetti tecnici relativi al funzionamento della conferenza. Credo, però, che avremo modo di entrare maggiormente nel dettaglio e farvi avere una nostra proposta.

  GIUSEPPE RINALDI, presidente dell'Upi Lazio. Alle pagine 3 e 4 del parere che abbiamo lasciato agli atti, c’è un passaggio specifico su questo aspetto perché, come è stato ricordato, il nuovo Senato non è solo il Senato delle autonomie, ma anche il luogo in cui si svolge una funzione di tipo diverso. Per questo sarà importante che i pareri sui disegni di legge e sui diversi provvedimenti legislativi siano rimessi al nuovo Senato della Repubblica, onde evitare duplicazioni. Altrimenti, avremo due luoghi in cui si fanno le stesse cose. Ci sarà, dunque, bisogno di una legge specifica che modifichi il decreto legislativo n. 281 del 1997, adeguandolo anche a quanto verrà stabilito nel regolamento parlamentare per il funzionamento del nuovo Senato.
  Questa legge dovrà definire con chiarezza il rinnovato ruolo del «sistema delle conferenze» e riconoscere a queste sedi una competenza di tipo puramente amministrativo o eminentemente politico; andranno superate quelle che tutti abbiamo ricordato come criticità nel loro funzionamento, cioè la ritualità nell'emanazione dei pareri, la confusione fra ruolo politico e ruolo tecnico nell'espressione dei pareri e la difficoltà che le conferenze hanno registrato in questi anni ad essere veramente il luogo di raccordo tra i vari ministeri e le istituzioni territoriali.
  Non c’è dubbio che, dal nostro punto di vista, questa legge potrà anche valorizzare le nuove conferenze come sede di raccordo politico tra i vertici degli esecutivi per fornire al legislatore indirizzi generali condivisi e per stipulare accordi che impegnino tutte le istituzioni della Repubblica. Inoltre, le conferenze potranno anche essere valorizzate come sedi di confronto sulle problematiche che emergeranno sia in relazione all'attuazione degli accordi e delle leggi, sia per l'espressione di pareri e nell'ambito delle intese previste dalle leggi oppure che richieste dalle istituzioni interessate.
  Nel parere che abbiamo lasciato agli atti troverete queste prime riflessioni in dettaglio. Anche noi siamo, ovviamente, a disposizione per un approfondimento e per una riflessione congiunta che ci permetta di delineare meglio il nuovo ruolo e la modifica del «sistema delle conferenze», che riteniamo fondamentale come luogo delle rappresentanze delle autonomie locali, nelle loro varie articolazioni. Ciò anche alla luce delle modifiche del percorso che, come ricordava prima il collega Borghi, vede i territori ampiamente rappresentati in una sede che permetterà loro di fungere da segreteria del nuovo Senato delle autonomie.
  Dobbiamo cercare, però, di evitare i problemi che abbiamo incontrato al momento del lavoro sul Titolo V, quando c’è stata un'esplosione di conflitti presso la Corte costituzionale rispetto alle attribuzioni. Occorre, infatti, evitare quello che abbiamo già passato e che credo non sia servito a nessuno.

  VERONICA NICOTRA, segretaria generale dell'Anci. In merito alla domanda se sia necessario un intervento normativo di modifica della citato decreto legislativo n. 281, rispetto ad alcuni passaggi in cui si fa riferimento all'espressione dei pareri sui provvedimenti legislativi, a nostro avviso non c’è un obbligo, ma si può rivedere il testo in un'ottica di rivisitazione complessiva, soprattutto in relazione al compito assegnato dalla revisione costituzionale in materia di raccordo.
  Ormai il ’sistema delle conferenze’ ha decenni di esperienza ed è sede istituzionale principe nel rapporto e nel confronto tra autonomie territoriali, Regioni ed esecutivi. Pertanto, ha maturato un'esperienza di procedure di modalità di confronto Pag. 11a cui è necessario che, in prospettiva, questa Commissione guardi, anche in riferimento alle modalità di organizzazione che il Senato si darà attraverso il regolamento.
  Si tratta, infatti, di un'esperienza che presenta indubbiamente molti elementi positivi, sebbene negli anni sia variata anche a seconda, come spesso avviene, del personalismo politico di singoli ministri o rappresentanti in conferenza. Comunque, per quanto ci riguarda, ha un valore molto importante perché, in sintesi, garantisce trasparenza nel confronto ed evita che su singole questioni vi siano scambi one-to-one tra singole Regioni e Governo, o tra singoli Comuni. Ci sentiamo, dunque, garantiti anche rispetto a decisioni importanti che impattano, per esempio, sul piano finanziario, in termini molto significativi per il sistema dei Comuni o delle Regioni.
  È previsto, inoltre, un metodo di lavoro attraverso riunioni tecniche e approfondimenti specifici con i singoli ministeri che va valorizzato. Il tema del raccordo è molto importante; occorre quindi ragionare attentamente su di esso.
  Nel documento che vi abbiamo presentato c’è un lavoro fatto negli anni, con tentativi di riforma delle conferenze già a partire dall'approvazione del Titolo V del 2001, là dove emerge un'esigenza di adeguamento all'articolo 114 della Costituzione. Ci sono stati, peraltro, tentativi anche molto elaborati sul piano normativo, che, però, sono naufragati così come altri percorsi, come la Carta delle autonomie. A ogni modo, c’è un lavoro di riferimento che può essere preso in considerazione.
  La trasparenza è molto importante, insieme alla presenza di una sede istituzionale, che garantisca neutralità e imparzialità del confronto. Inoltre, in tale sede sono rappresentate tutte le componenti, che tendenzialmente votano all'unanimità al proprio interno.
  L'esigenza del raccordo è stata evidenziata, come dicevo, in Parlamento anche prima della riforma costituzionale di cui stiamo parlando, nell'ambito della discussione sulle precedenti proposte di riforma. Abbiamo notato infatti che spesso, ad eccezione di alcuni provvedimenti rispetto ai quali i pareri erano esplicitamente rafforzati per legge (ad esempio, quello sul federalismo fiscale), i pareri della Conferenza non sono, in molto casi, trasmessi e valorizzati adeguatamente nell'ambito del dibattito parlamentare. Da qui l'esigenza di recupero di una circolarità tra Parlamento, autonomie territoriali ed esecutivi, che consentirebbe al futuro Senato e al Parlamento, a prescindere dall'esito della riforma costituzionale, un recupero e una valorizzazione del ruolo dell'assemblea legislativa.
  In passato abbiamo conosciuto numerosi casi di un confronto molto forte tra esecutivi e di una ratifica da parte dell'assemblea legislativa. Invece, a nostro avviso, il recupero di circolarità che può essere consentito dall'innesto, nell'ambito dell’iter legis, degli interessi territoriali, rappresenta un salto di qualità per l'elaborazione normativa dei provvedimenti più importanti in sede parlamentare.
  A questo riguardo, abbiamo alcune proposte, come la trasmissione dei pareri e il rafforzamento della conferenza quale sede principale e tendenzialmente unica di raccordo con il Governo. Alla fine, anche nella legislazione vi è, infatti, una proliferazione di sedi di confronto con i singoli ministeri su singole questioni.
  Per concludere, le conferenze sono alternative al Senato. È necessario trovare il più stretto raccordo sia con il livello tecnico del Senato, sia con quello politico, secondo le modalità di composizione che la legge statale definirà. Riteniamo, comunque, che si possa fare un salto in avanti ulteriormente positivo.
  Abbiamo scritto, infatti, che auspichiamo che la Repubblica diventi ancora più Repubblica, nel senso che si può realizzare una composizione degli interessi per il bene del Paese garantendo una migliore espressione degli interessi delle posizioni dei territori attraverso il Senato. Ovviamente, le modalità dovranno essere Pag. 12definite attraverso atti e protocolli, nonché con il regolamento che dovrà disciplinare il nuovo organo.

  PRESIDENTE. Ricordo che giovedì prossimo, 5 maggio, alle ore 8.15, si svolgerà l'audizione del professor Massimo Luciani.
  In attesa delle proposte che ci perverranno dalle associazioni rappresentative degli enti locali, ringrazio nuovamente gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.10.