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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 16 di Giovedì 19 maggio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»:

Audizione del professor Enzo Moavero Milanesi
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Moavero Milanesi Enzo , Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma ... 2 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 6 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 6 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Moavero Milanesi Enzo , Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.

  (Così rimane stabilito).

Audizione del professor Enzo Moavero Milanesi

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali, con particolare riguardo al «sistema delle conferenze», l'audizione del professor Enzo Moavero Milanesi, Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma.
  Nel ringraziare il professore per la sua disponibilità, gli cedo subito la parola.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma. Grazie, presidente, grazie a voi per questa occasione di toccare un tema importante come gli organismi di raccordo tra le entità territoriali e lo Stato.
  Io ho pensato di affrontare il tema dal punto di vista del raccordo con il sistema dell'Unione europea, che, come sappiamo, ha un impatto molto diretto sulla realtà italiana. Il punto di partenza della riflessione sono due patologie che sono forse le più evidenti del nostro stare nell'Unione europea, che è uno stare un po’ curioso. Intendo dire che noi siamo un Paese fondatore delle Comunità europee, come spesso ci ricordiamo, per rinfrescare il blasone; siamo anche un Paese che ha saputo stare al passo con l'evoluzione delle prime Comunità europee. Quindi l'Unione europea, il grande mercato unico, la moneta unica e tutti i vari snodi ci hanno visto regolarmente in grado di seguire il passo europeo; – però, nonostante questo, nella quotidianità noi siamo un Paese che incontra numerose difficoltà di interlocuzione, non necessariamente di interlocuzione politica, ma proprio di interlocuzione materiale con il sistema dell'Unione europea, che è un sistema che da una parte, come sappiamo, impone dei vincoli, prevede delle regole, chiede degli adempimenti, determina una forte evoluzione della legislazione. Oramai in settori fondamentali, come i settori dell'ambiente, della salute, naturalmente nei settori più tipicamente economici, come l'industria, l'agricoltura e la macroeconomia, in settori a latere, come la questione dell'asilo e dell'immigrazione, la gran parte delle decisioni operative e della legislazione arriva dall'Unione europea.
  In questo sistema di regole, noi abbiamo da sempre – anche se negli ultimi anni, con una buona continuità dell'azione fra i Governi che si sono succeduti, c'è stata una riduzione – il numero più alto di procedure di infrazione. Molte di queste procedure di infrazione riguardano la messa in opera di nuova legislazione, ma molte sono anche violazioni di norme esistenti.
  Sull'altro versante, l'Unione europea prevede naturalmente tutta una serie di opportunità. Ci sono fondi di finanziamento, ci sono iniziative che possono consentire elementi di iniezione positiva nell'evoluzione economico-sociale dei vari Paesi. Anche Pag. 3 da questo punto di vista, noi siamo ogni volta lì che arranchiamo nella spesa dei fondi europei strutturali per le Regioni: non vinciamo un numero sufficiente di bandi per l'attribuzione dei fondi per la ricerca e per l'innovazione, non sempre spendiamo nel modo migliore i fondi della politica agricola, non riusciamo ad attingere, come potenzialmente potremmo, ai fondi per le grandi infrastrutture, per le reti di trasporto, di telecomunicazione, di energia.
  Questa è un po’ la fotografia del nostro stare nell'Unione europea. Allora, cosa c'entrano le questioni di carattere regionale?
  C'entrano moltissimo, perché la gran parte delle normative europee a cui ho fatto riferimento necessita, per il pieno recepimento e per la piena messa in opera nel sistema Italia, di normative o di atti esecutivi che rientrano nella competenza delle Regioni e degli enti locali. La gran parte dei fondi di finanziamento messi a disposizione dall'Unione europea necessita di azioni a livello regionale. L'esempio più evidente e più noto è quello dei fondi strutturali, che sono sì attribuiti all'Italia – per esempio, per il periodo 2014-2020 abbiamo circa 30 miliardi molto faticosamente negoziati all'epoca – ma immediatamente ripartiti fra le Regioni e, all'interno delle Regioni, fra le Province per arrivare poi ai diversi Comuni.
  Dunque, rispetto alla Spagna, se vogliamo prendere un termine di paragone che non è né troppo elevato né eccessivamente diverso dal nostro, noi abbiamo un decentramento totale, una polverizzazione della spesa, che poi si risolve, in primo luogo, in un arrancare fino all'ultimo giorno nella spesa di questi fondi, che è francamente un po’ anacronistico – tutti noi sappiamo che se uno è obbligato a spendere entro la mezzanotte di stasera una certa somma, magari la spende in futilità – e, in secondo luogo, nell'incapacità di realizzare grandi opere che hanno poi un impatto effettivo sulla crescita del Paese, sul prodotto interno lordo, perché tutto viene diviso.
  Nella relazione che vi ho distribuito, evidenzio brevemente quattro profili che mi sembrano interessanti da esplorare. Il primo riguarda proprio il ruolo delle conferenze rispetto a quella cinghia di trasmissione, a quella catena di montaggio che riguarda i due aspetti che vi ho appena esemplificato, ma anche altri aspetti del nostro stare, come Italia, nell'Unione europea.
  In particolare, la legge 24 dicembre 2012, n. 234, che ha modernizzato, in maniera estremamente positiva, il nostro sistema Italia rispetto alle relazioni con l'Unione europea – lo dico non per aver portato in Parlamento la legge, ma perché obiettivamente è una legge molto moderna nel panorama delle normative anche degli altri Stati membri – prevede due disposizioni, l'articolo 22 e l'articolo 23, che fanno riferimento proprio alle conferenze regionali – Stato-Regioni, Stato-Città e così dicendo – per avere una sessione europea annuale – qualcuno in vecchia terminologia la chiama ancora «sessione comunitaria» – specifica su questi temi. La mia esperienza – anche in qualità di ministro, ma la riflessione ulteriore lo ha confermato – è che probabilmente questo minimo di una sessione speciale risulta insufficiente. Si dovrebbero avere più sessioni specificamente dedicate: la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città potrebbero diventare le sedi in cui si crea uno di quei momenti, forse il più significativo, di coordinamento per la spesa dei fondi, anche per vedere a che punto si è arrivati con la messa in opera di determinate normative sulle quali magari si registra un ritardo.
  Noi abbiamo avuto un'annosa – temo non ancora finita – infrazione, per fare un esempio concreto, sulle acque pubbliche – quindi l'inquinamento, le acque reflue ed altro – che riguardava circa ottocento, o forse più, Comuni nel nostro Paese. A spizzichi e bocconi, piano piano, uno alla volta, come i piccoli indiani di Agatha Christie, abbiamo sistemato queste cose nei vari Comuni. Un coordinamento avrebbe forse permesso di ridurre la tempistica della procedura di infrazione, ridurre una sgradevole visibilità, anche dal punto di vista politico, del nostro Paese su un elemento Pag. 4così importante come le acque che, insomma, toccano qualunque cittadino.
  Il primo profilo è dunque questo: utilizzare meglio la base giuridica che già esiste nel nostro ordinamento per far funzionare la Conferenza Stato-Regioni e la Conferenza Stato-Città veramente come due punti di snodo per il raccordo Unione europea-Italia-enti territoriali.
  Il secondo profilo, che credo di definire nella relazione scritta un po’ più audace o comunque un po’ più estemporaneo, è di attualità. Parliamo di Conferenza Stato-Regioni, di Conferenza Stato-Città, però noi abbiamo una riforma costituzionale, su cui voteremo nel referendum confermativo, che cambia completamente volto al Senato.
  Allora, vogliamo, possiamo – questo è compito eminente del legislatore, quindi del Parlamento – immaginare il futuro Senato, forse, come il luogo in cui si fa questo raccordo che in passato non è stato fatto sufficientemente o con sufficiente efficacia dalle conferenze che ho appena nominato?
  Quindi, in sostanza, per dirla in termini molto brevi e semplici, si tratta di far sì che queste sessioni speciali di raccordo tra Unione europea ed enti territoriali si svolgano nell'ambito dell'attività del futuro Senato. Naturalmente questo richiederebbe un intervento legislativo di modifica degli attuali articoli 22 e 23 della legge n. 234 del 2012, ma tra l'altro – elemento interessante – la legge n. 234 del 2012 è esplicitamente citata come una di quelle poche leggi che rimane di competenza bicamerale anche nel futuro assetto del nostro Parlamento. Quindi, i due primi profili sono collegati e l'idea è che o da una parte, nelle Conferenze, o dall'altra, il futuro Senato, che potrebbe assorbire ed esercitare meglio le competenze, si potrebbe svolgere questa indispensabile funzione di raccordo, che permette al nostro Paese di essere un più diligente, più efficace e dunque più influente partecipante alle vicende dell'Unione europea.
  Nell'Unione europea – lasciatemelo dire, la conosco bene – si pesa non tanto perché si è bravi a parlare, a fare delle narrazioni, a essere più o meno duri o amiconi con tutti, ma si è alla fine giudicati, come dappertutto, sui risultati effettivi. Quindi, se noi sprechiamo le opportunità e andiamo sempre a sbattere contro i vincoli, poi abbiamo un problema di influenza politica nell'ambito dell'Unione europea.
  Il terzo profilo fa riferimento a due elementi cardine del funzionamento dell'Unione europea: il principio di sussidiarietà, in particolare, e il principio di proporzionalità. Peraltro, anche nel dibattito generale abbiamo l'impressione di un'Unione europea troppo presente quando la vorremmo un po’ meno e poco presente quando la vorremmo di più: un'Unione europea non sufficientemente presente nel risolvere, per esempio, la grande questione del dramma dei migranti e un'Unione europea minuziosamente presente quando guarda i nostri conti pubblici, per parlare di attualità.
  Ora, il principio di sussidiarietà, in realtà, spiega che l'Unione europea non solo agisce solo dove le sono state attribuite delle competenze, ma anche che le esercita attraverso tale principio, quindi in collegamento con gli Stati e in collegamento con le entità territoriali all'interno degli Stati.
  L'idea del principio è che si devono fare le cose laddove il risultato arriva in maniera più efficace, quindi si faranno a livello di Unione quando è meglio agire a tale livello e si fanno pro quota, fino al livello locale, quando invece i risultati arrivano più rapidamente se l'azione viene svolta a quel livello. Allora, rispetto all'applicazione di questo principio, il nostro ordinamento – ancora una volta norme europee e norme della legge n. 234 del 2012 – prevede, in particolare, la possibilità, per ciascun ramo dei Parlamenti nazionali degli Stati membri dell'Unione, di segnalare quando un progetto legislativo – quindi siamo in fase legislativa europea – viola, o si ritiene che violi, il principio di sussidiarietà.
  Molte volte ho assistito a discussioni in ambito parlamentare, quando si presenta la legge europea o la legge di delegazione europea, perché certe norme applicate in un certo modo potrebbero creare problemi soprattutto a livello regionale e a livello locale. Peraltro accorgersene quando si è Pag. 5già in fase di recepimento nazionale, quindi nella cosiddetta «fase discendente», è tardi; occorre accorgersene nella fase ascendente ed eventualmente utilizzare quello che in gergo viene chiamato il «cartellino giallo», cioè segnalare alle istituzioni europee, al legislatore europeo, Parlamento europeo e Consiglio, che c'è un problema di sussidiarietà.
  Chi fa questo lavoro? Istituzionalmente, i Trattati prevedono che lo facciano i rami del Parlamento, quindi continuerà ad essere una competenza anche del nuovo Senato, oltre che naturalmente della Camera dei deputati.
  Ma come fa il Parlamento a rendersi pienamente conto di una sussidiarietà che, in ultima analisi, scende fino al comune? Attraverso un elemento di raccordo che deve tenere presente le realtà territoriali. Oggi questo ruolo di raccordo, in maniera però molto più efficace, molto più sistematica, molto più fluida, potrebbero – e dovrebbero – svolgerlo le Conferenze, un domani – stesso ragionamento di prima – potrebbe essere incardinato, in un'architettura più funzionale, nell'ambito del nuovo Senato. Però – o l'una, cioè in maniera più efficace, via alle Conferenze, o l'altra, cioè in maniera innovativa, e ci si augura a fortiori efficace, il nuovo Senato – è fondamentale che questo ruolo sia svolto.
  Tenete presente che l'attualità del principio di sussidiarietà è fortissima. La Gran Bretagna, che tra poche settimane terrà un referendum addirittura sulla permanenza o meno nell'Unione europea, fra le quattro (quattro, non quaranta) condizioni che ha negoziato per favorire un «sì» alla permanenza, ha posto proprio la questione relativa al principio di sussidiarietà, con l'idea di trasformare il «cartellino giallo» in un «cartellino rosso», cioè con la possibilità che, ove la maggioranza di Camere, di Parlamenti a livello di Unione europea, ritengano che ci sia un problema di sussidiarietà, il Parlamento europeo, la Commissione, il Consiglio dell'Unione europea non debbano limitarsi a verificare se il problema sussista, ma debbano proprio fermarsi, a fronte della maggioranza dei Parlamenti nazionali.
  Però per realizzare questo con credibilità occorre avere i buoni argomenti e per avere i buoni argomenti occorre avere un raccordo tra il Parlamento dello Stato, che può segnalare il «cartellino giallo» o probabilmente anche «rosso» in un prossimo futuro, e le entità territoriali. O lo si fa avvalendosi meglio delle conferenze o eventualmente si può pensare di poterlo fare avvalendosi del Senato. In questo secondo caso, a differenza del precedente che segnalavo, non sarebbero, a mio avviso, necessarie delle modifiche legislative. Il Senato avrebbe già le competenze, si tratta semplicemente di creare gli elementi di raccordo, che del resto dovrebbero essere creati in maniera più funzionale anche nel sistema vigente delle conferenze.
  Il quarto ed ultimo profilo fa riferimento a una migliore utilizzazione in senso europeo e a un miglior raccordo, in senso del rapporto enti territoriali-Stato-Unione europea, del Comitato delle Regioni. Il Comitato delle Regioni – per parlare di un altro ente, anzi un'altra istituzione costituzionale che non ha forse funzionato come si auspicava – viene istituito all'inizio degli anni Novanta dalla riforma dei trattati europei fatta a Maastricht (più famosa per altre ragioni), con l'idea di affiancare un secondo organismo consultivo che esisteva già fin dal Trattato di Roma del 1957, il Comitato economico e sociale, che è la versione europea del nostro CNEL. Ma il Comitato economico e sociale a livello europeo, come organismo consultivo, ha, tutto sommato, funzionato meglio rispetto alle attese. Si pensò dunque di affiancare a tale Comitato un Comitato delle Regioni, per dare anche all'Unione europea – il Trattato di Maastricht, per la prima volta, peraltro, introduceva la denominazione «Unione europea» per le vecchie Comunità – una struttura che travalicasse l'elemento Stato e guardasse anche alle Regioni, da cui poi tutti i ragionamenti relativi macroregioni transfrontaliere ed altro.
  Il Comitato delle regioni, rispetto al Comitato economico e sociale, ha obiettivamente manifestato a livello europeo una presenza istituzionale di minore efficacia. Esso ha, però, una composizione interessante, Pag. 6 perché per certi versi assomiglia a quella che potrebbe assumere il nostro Senato nella riforma costituzionale: ci sono sindaci, ci sono Presidenti di Regione, ci sono delegati. L'Italia ha ventiquattro membri.
  È, però, un organismo che potenzialmente dà pareri su tutta la legislazione europea, e sono pareri di cui poi il legislatore europeo deve tenere conto, cioè deve dare quantomeno un ritorno di motivazione, del perché lo abbia preso o non lo abbia preso in considerazione nell'approvare una legislazione, relativamente a tutta la legislazione di impatto regionale. E qui parliamo di moltissima legislazione.
  Allora, vogliamo immaginare che o l'attuale «sistema delle conferenze» o, viceversa, il sistema del nuovo Senato abbia funzioni specifiche riguardo, secondo me, almeno a due aspetti relativi al Comitato delle Regioni? Uno è l'individuazione delle persone che poi formalmente il Governo comunica a Bruxelles per la nomina, laddove l'Italia ha ventiquattro membri su circa trecentocinquanta, quindi siamo una delle quattro delegazioni importanti. Il secondo è il raccordo, che potrebbe essere un raccordo di azione congiunta. Qui chiuderei, a circolarità, il discorso.
  Quando si discute una legislazione in sede europea, la proposta parte sempre dalla Commissione. Naturalmente avere la capacità, come sistema Paese, di influire sulle proposte della Commissione rappresenta un punto di forza estremamente importante. Lì c'è l'attività del Governo, c'è l'attività delle grandi associazioni (perché è chiaro che grandi associazioni, anche italiane, sulla loro legislazione stanno molto attente), c'è l'attività che può svolgere chiunque di noi nell'interlocuzione che la Commissione attua, con le consultazioni. Poi la proposta va sul tavolo del legislatore: il Parlamento – e noi abbiamo la terza delegazione parlamentare, in seno al Parlamento europeo, come delegazione nazionale – e il Consiglio, dove l'Italia ovviamente è sempre rappresentata da un Ministro. Ma, parallelamente, vi è, ancora una volta, l'azione di raccordo, che noi dobbiamo assolutamente migliorare. Il Ministro va alle riunioni, ma se ha una documentazione, una preparazione pertinente, che tiene conto di tutte le realtà all'interno del Paese, opportunamente costruite, potrà assumere determinate posizioni; se questa istruttoria manca e riserviamo questo momento solo al giorno in cui quella normativa dovrà essere messa in opera, è troppo tardi, come dicevo prima. Lo stesso vale per i parlamentari. Anche qui, il «sistema delle conferenze» potrebbe funzionalmente dedicarsi molto di più a questi aspetti di raccordo. C'è una corrispondenza sconcertante fra le competenze che la nostra Costituzione riserva alle Regioni, e talvolta anche a enti locali, e le competenze legislative dell'Unione europea. Proprio laddove l'Unione europea produce più normativa, quindi più vincoli e opportunità, come dicevamo prima, si riscontrano più competenze a livello territoriale, nel nostro assetto costituzionale.
  Vogliamo far funzionare bene la cinghia di trasmissione? Il nuovo Senato potrebbe essere funzionale a questo. Certamente già oggi, utilizzate e fatte funzionare meglio, in maniera più vocata, lo potrebbero essere le varie conferenze che abbiamo nel nostro sistema. Vi ringrazio.

  PRESIDENTE. Ringrazio di cuore il professor Enzo Moavero Milanesi. Noi abbiamo dato e diamo molta importanza a questa sua relazione, proprio per gli aspetti che Lei ha puntualmente indicato nel documento e nella sua audizione.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  FRANCESCO RIBAUDO. Grazie, professore. Da quello che fa capire, comunque sia, quello delle conferenze è un sistema che deve rimanere, che serve, soprattutto nella fase ascendente della normativa europea, proprio perché, come lei afferma, vi è questa peculiarità che le norme arrivano fino all'ultima istituzione, che è il comune.
  Lei giustamente diceva che se il Senato delle autonomie, come era stato pensato, volesse assumere in pieno questa funzione, potrebbe, modificando solo la legge n. 234 Pag. 7del 2012, svolgere le funzioni che attualmente hanno le conferenze. A questo punto, le Conferenze avrebbero un ruolo minore, credo. Comunque, non possiamo, secondo me, eliminarle del tutto – di questo vorrei conferma – perché nella fase attuativa delle norme abbiamo bisogno di questi corpi intermedi nella ripartizione dei fondi, nell'attuazione vera e propria delle norme, anche degli atti amministrativi e di governo. Credo che comunque ci sia la necessità che queste strutture rimangano.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Moavero per la replica.

  ENZO MOAVERO MILANESI, Direttore della School of law dell'Università Luiss «Guido Carli» di Roma. Condivido l'impostazione, nel senso che credo che un nuovo Senato – naturalmente dipende molto da quel dibattito parallelo che vediamo svolgersi, in vista anche del referendum, che viene risolto e riassunto nella parola «autorevolezza» del nuovo Senato, cioè chi poi materialmente ne farà parte – sufficientemente autorevole nella sua composizione, per essere visibile e influente a livello centrale e anche ben raccordato a livello territoriale, potrebbe agevolare la fluidità di questo che io chiamo un sistema di cinghia di trasmissione tra enti territoriali ed Unione europea.
  Non credo che, per la sua natura e anche per la funzionalità del sistema, il maggior coinvolgimento del Senato determinerebbe la necessità di eliminare le conferenze, perché sono comunque dei corpi intermedi di raccordo orizzontale che inevitabilmente avrebbero una natura, e una composizione diversa da quella del Senato, più corale, mentre, appunto inevitabilmente, nel Senato avremmo una rappresentazione selettiva, non fosse altro che per una questione di numeri.
  Inoltre, aggiungerei che ci sono degli elementi, nella legislazione vigente, non solo italiana, ma europea, che coinvolgono inevitabilmente la necessità di punti di raccordo orizzontali tra le entità territoriali. Faccio un esempio, che peraltro è ripreso nella relazione. Mi riferivo prima al principio di sussidiarietà e al sistema del cosiddetto «cartellino giallo». L'articolo 6 del Protocollo, allegato ai Trattati europei, che regola il funzionamento dell'applicazione del principio di sussidiarietà, prevede che i Parlamenti nazionali possono fare opposizione e che spetta a ciascuna Camera di consultare i Parlamenti regionali per valutare gli opportuni elementi delle realtà territoriali.
  Ora, questa è la terminologia europea; tradotto in termini italiani, ciascuna delle Camere, qualora ritenesse presente un problema di sussidiarietà, dovrebbe consultare le Assemblee regionali, quindi la Conferenza dei Presidenti delle Assemblee. È evidente che questi corpi intermedi hanno una loro funzionalità e sono importanti. Quello che, per banale che sia, è fondamentale, è di rendere questo corpi intermedi funzionali e fluidificanti, perché se diventano dei fori di discussione poco utile o addirittura di contrapposizione, quindi di sclerotizzazione di posizioni individuali, finiscono con lo svolgere un ruolo ostativo o dilatorio e diventano dei «parerifici» poco utili. Se, invece, entrano in una meccanica funzionale, allora, al contrario, possono trovare perfino nella nuova vocazione del Senato, secondo la riforma costituzionale, un punto di riferimento che prima mancava.
  L'importante, però, è che si riesca – e non ci siamo, attualmente, diciamocelo molto chiaramente – a creare un raccordo completo fra l'esigenza territoriale anche di un Comune e la posizione che il nostro Paese, nei canali opportuni e istituzionalmente previsti, va a rappresentare in sede di Unione europea. Su questo noi abbiamo, per dirla in termini politicamente molto corretti, grandi margini di miglioramento. Non abbiamo una sufficiente efficacia, come dicevo prima, ma è un problema drammatico e, ripeto, ci accorgiamo di un problema magari locale, magari tutt'altro che secondario, solo quando siamo già sotto obbligo di mettere in opera una normativa europea.
  La difficoltà crea un ritardo, un inadempimento; l'inadempimento determina una procedura; la procedura può sfociare Pag. 8in una sentenza di condanna; la sentenza di condanna può comportare delle multe, anche estremamente pesanti, per il nostro Paese. Suggerisco sempre – lo facevo anche da Ministro – ai parlamentari di informarsi periodicamente su quanto costano all'erario, e quindi, alla fine, al contribuente, le sanzioni che noi paghiamo all'Unione europea per mancato adempimento alle sue disposizioni: sono, purtroppo, svariate centinaia di milioni di euro l'anno.

  PRESIDENTE. Ringrazio nuovamente il professor Enzo Moavero Milanesi.
  Vi sottraggo ancora un minuto per farvi alcune comunicazioni sul programma delle audizioni. Riprenderemo le audizioni giovedì 9 giugno, col professor Luther e la professoressa Mastromarino, sempre con riferimento ai profili di diritto comparato e in modo particolare con riferimento alle funzioni di raccordo in sede europea.
  Vi ricordo che la prossima seduta dedicata all'indagine conoscitiva si terrà giovedì 9 giugno alle ore 8.15.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.50.