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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 20 di Giovedì 21 luglio 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE FORME DI RACCORDO TRA LO STATO E LE AUTONOMIE TERRITORIALI, CON PARTICOLARE RIGUARDO AL «SISTEMA DELLE CONFERENZE»

Audizione del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Enrico Costa.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 2 
Costa Enrico (AP) , Ministro per gli Affari regionali e le autonomie ... 2 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 8

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso, la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Enrico Costa.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle forme di raccordo tra lo Stato e le autonomie territoriali con particolare riferimento al «sistema delle conferenze», l'audizione del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie, Enrico Costa.
  Nel ringraziarlo per la sua disponibilità, do la parola al Ministro Costa per lo svolgimento della relazione.

  ENRICO COSTA, Ministro per gli Affari regionali e le autonomie. Grazie, Presidente. Consentitemi, innanzitutto, di esprimere il più sincero apprezzamento per l'indagine conoscitiva che la vostra Commissione sta conducendo ormai da mesi e che ha consentito di raccogliere non solo qualificatissime e approfondite considerazioni da parte di ministri e membri del Governo, quanto preziosi contributi dottrinali.
  In particolare, credo che si debba apprezzare molto lo sforzo fatto dagli esperti per mettere a disposizione numerosi contributi di diritto comparato e utilissimi e chiarificatori richiami alle vicende del nostro ordinamento che hanno caratterizzato il sistema delle conferenze (Stato-Regioni, Stato-città e Conferenza unificata), che è rimasto sostanzialmente immutato anche dopo la riforma costituzionale del Titolo V.
  Come ha riconosciuto la Corte Costituzionale in numerose sentenze, fra le quali la famosa n. 31 del 2006, richiamata anche nell'ambito dei quesiti formulati, proprio il ’sistema delle conferenze’ è diventato una delle sedi più qualificate per l'elaborazione di regole destinate a integrare il parametro della leale collaborazione che per il giudice delle leggi è l'architrave sul quale, soprattutto dopo la riforma costituzionale del 2001, si regge la Repubblica.
  Non va dimenticata neppure l'importanza assegnata dalla Corte costituzionale al sistema delle conferenze, considerato come la base fondamentale di un corretto rapporto tra Stato, Regioni e autonomie locali, giunta fino ad affermare l'illegittimità, per interposta violazione dell'articolo 76 della Costituzione, di un decreto delegato adottato in difformità dell'intesa raggiunta in sede di Conferenza prevista dalla relativa legge di delega.
  In sostanza, si può ben dire (come, del resto, tutti riconoscono) che il ’sistema delle conferenze’, pur adottato prima della riforma costituzionale del Titolo V, si è dimostrato, nella sua flessibilità e nell'ampio spettro delle sue competenze, un'istituzione fondamentale per consentire l'attuazione della nuova normativa costituzionale, in molti casi alleggerendo anche la possibile conflittualità tra legislatori. Pag. 3
  Soprattutto, questo sistema, in ogni sua articolazione, ha consentito lo svilupparsi di prassi positive di dialogo, confronto e integrazione tra gli uffici degli apparati centrali, regionali e locali, il che ha quasi sempre agevolato, in modo virtuoso e cooperativo, l'attuazione delle leggi e dei regolamenti statali, regionali e locali nelle materie che coinvolgono il nostro sistema amministrativo multilivello, caratterizzato da un forte grado di interazione e spesso anche di integrazione reciproca.
  Non vi è dubbio, tuttavia, come molti degli intervenuti a queste audizioni hanno sottolineato, che oggi ci troviamo di fronte all'apertura di scenari nuovi e ancora ampiamente inesplorati.
  La riforma costituzionale approvata in via definitiva dalla Camera il 15 aprile 2016, ora in attesa di referendum confermativo previsto dall'articolo 138 della Costituzione, non ha, infatti, profondamente inciso solo sul Titolo V, rivedendo la ripartizione delle competenze legislative di Stato e Regioni e introducendo la nota clausola di supremazia, ma ha anche modificato profondamente il nostro sistema bicamerale, superando il bicameralismo perfetto e assegnando al Senato la rappresentanza delle istituzioni territoriali e la funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica.
  Questo cambierà radicalmente lo scenario istituzionale complessivo. Infatti, pur restando il nostro un sistema parlamentare, perché il Governo deve avere la fiducia della Camera, muta il carattere della rappresentanza paritaria del bicameralismo, che per questo abbiamo sempre definito «perfetto».
  Con la riforma, una delle due Camere assume la titolarità della rappresentanza della nazione e l'altra quella della rappresentanza delle istituzioni territoriali.
  La riforma, tendendo una delle due Camere rappresentativa delle istituzioni territoriali e dandole anche il compito di eleggere due dei cinque giudici costituzionali di nomina parlamentare, dà finalmente un solido equilibrio a un sistema istituzionale che, già delineato dall'articolo 5 della Costituzione, parzialmente prefigurato nel Senato eletto a base regionale e nel vecchio Titolo V della Costituzione del 1948, ha richiesto ben 70 anni di faticoso lavoro per giungere a compimento.
  Si potrà aprire così una nuova e complessa, ma estremamente interessante fase della nostra Repubblica, nella quale finalmente i processi decisionali e le responsabilità dei diversi livelli di governo trovano allo stesso tempo chiarezza di ruoli, rapidità di procedure e forme innovative di compartecipazione alle decisioni comuni.
  Da questo occorre, dunque, partire. In particolare, due sono i punti fermi che dobbiamo avere presenti quando ci interroghiamo sul sistema delle conferenze nell'ambito della riforma costituzionale, che, da un lato, superando il bicameralismo perfetto fa del Senato la Camera di rappresentanza delle istituzioni territoriali e, dall'altro, intervenendo sul Titolo V, modifica aspetti essenziali del sistema delle Regioni e delle autonomie locali così come definiti attualmente.
  Inizio dal secondo aspetto, relativo alla riforma del Titolo V e alle modifiche che esso comporta rispetto alle Regioni e alle autonomie locali. Mi sembra importante sottolineare innanzitutto che la riforma del Titolo V costituzionalizza pienamente l'architettura del governo locale disegnata dalla legge n. 56 del 2014. Essa, abolendo le province, costituzionalizzando le associazioni di comuni e gli enti di area vasta e ridefinendo le competenze del legislatore statale e di quello regionale, mette definitivamente in asse, in ordine a questi aspetti, il sistema costituzionale con l'architettura del governo locale che è già stata anticipata dalla legislazione ordinaria, ripetendo in questo senso lo stesso percorso delle leggi Bassanini dalla seconda metà degli anni Novanta e della successiva riforma costituzionale del Titolo V.
  In questo quadro, anche la nuova ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni, così come definita dall'articolo 117 della Costituzione e in altre norme, tra le quali anche alcune transitorie, non può essere vista solo come una riallocazione di competenze tra lo Stato e le Regioni, ma è molto di più. Pag. 4
  In sostanza, è il completamento e la messa a punto di un quadro costituzionale profondamente innovato per quanto attiene ai rapporti tra Stato, Regioni e altri enti territoriali di rilevanza costituzionale. In altri termini, non si modifica solo la ripartizione del potere legislativo tra Stato e Regioni, ma si ridisegna tutta l'architettura istituzionale della Repubblica delle autonomie.
  Si tratta, quindi, di una riforma molto ampia e importante, che non solo non marginalizza le Regioni, ma le valorizza ulteriormente, assegnando loro la competenza e la disciplina degli enti di area vasta, salvo i principi generali relativi al loro ordinamento, che restano di competenza dello Stato.
  Al medesimo tempo questa riforma, prevedendo la competenza statale in materia di associazionismo comunale, valorizza ulteriormente i comuni, dando copertura costituzionale alle loro forme associative.
  L'articolo 116, terzo comma – a questo è stata dedicata una buonissima parte della mia audizione nella Commissione bicamerale sul federalismo; è una norma alla quale crediamo molto, sia nell'attuale formulazione, sia in quella eventualmente modificata – delinea un regionalismo differenziato, che, fermo restando il vincolo di equilibrio economico, può riguardare un numero assai ampio di competenze legislative statali e può divenire, in effetti, una modalità di forte valorizzazione delle Regioni, basata anche sulla valutazione delle politiche pubbliche e l'attività della pubblica amministrazione ad essa riconducibile.
  Non va dimenticato che, comunque, il regionalismo differenziato può essere attivato previa richiesta della regione e sulla base di un'intesa con essa.
  La stessa ridefinizione delle materie di competenza statale apre la via a una grande molteplicità di applicazioni diverse, che possono mettere capo a un dialogo forte, costante e molto costruttivo tra Regioni e Stato e più precisamente tra legislatore regionale e legislatore statale in ordine alla modalità di attuazione di tali poteri.
  Si colloca qui – per rispondere al quesito formulato al punto 6 – lo spazio per un ruolo ampio e significativo dell'Assemblea dei consigli regionali che, sulla base della normativa regolamentare che il Senato intenderà adottare, si configura sin da ora come un interlocutore necessario del Parlamento e specificatamente della Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, ogni volta che il legislatore debba affrontare altri aspetti che incidono direttamente, sia in modo ampliativo che limitativo, rispetto alla competenza del legislatore regionale.
  La medesima cosa può dirsi con riguardo alla clausola di supremazia. È chiaro, infatti, che il ricorso a tale clausola da parte del Governo non può avvenire immotivatamente. È auspicabile, dunque, che prima di attivarla il Governo valuti attentamente la sua necessità, anche considerando la posizione delle Regioni e ascoltandone, se lo ritiene, il parere.
  In questo caso, trattandosi di una legge la cui iniziativa è riservata al Governo, non vi è dubbio che l'interlocuzione con le Regioni debba avvenire coinvolgendo i Presidenti delle giunte regionali e valorizzando, quando ne ricorrano le condizioni, la loro Conferenza.
  Insomma, se guardiamo al nuovo Titolo V, vediamo ictu oculi che esso non solo non contiene alcuna marginalizzazione dell'istituto regionale, ma moltiplica le occasioni di rapporto e di relazioni tra il sistema delle autonomie territoriali e delle Regioni rispetto allo Stato.
  È un moltiplicarsi di rapporti che può riguardare il piano legislativo, sia quando si tratti di condividere o meno o di ricercare il consenso delle Regioni su una lettura compartecipata delle norme generali e comuni che in alcune materie dell'articolo 117 Costituzione spetta allo Stato di definire, sia quando si tratti di dare attuazione al regionalismo differenziato, sia, infine, quando si tratti di decidere se esercitare o meno la clausola di supremazia, fermo restando che la decisione finale spetta comunque al Governo.
  Siamo, dunque, in presenza di una riforma costituzionale che moltiplica e valorizza Pag. 5 i raccordi tra lo Stato e le autonomie territoriali e le Regioni, per quanto riguarda i reciproci rapporti.
  È un fenomeno che non coinvolge solo il piano legislativo legato ai rapporti tra legislatore statale e legislatore regionale, ma si estende anche all'attività amministrativa degli enti territoriali e prima ancora ad alcuni aspetti relativi alla loro struttura, alle risorse umane e strumentali ad essi affidate e alle competenze ad essi attribuite.
  Da un lato, infatti, l'assegnazione alle Regioni della competenza in materia di enti di area vasta, pur nel quadro dei principi generali stabiliti dallo Stato, richiederà – è facile prevederlo – contatti frequenti e continui in ordine ai rapporti tra i diversi livelli territoriali e alla ripartizione, in concreto, delle competenze delle attività amministrative.
  Dall'altro lato, la costituzionalizzazione delle forme associative di comuni, la cui disciplina legislativa è sostanzialmente attribuita allo Stato, implicherà – è altrettanto facile prevederlo – la necessità di forme continue di raccordo tra Stato, comuni e forme associative.
  L'attuazione delle città metropolitane, già realizzata dalla legge Delrio, ma ora rafforzata dalla riforma che le consacra parti costitutive della Repubblica, comporterà inevitabilmente un moltiplicarsi, e in un certo senso anche uno sdoppiarsi, dei rapporti tra Stato, Regioni e comuni da una parte e Stato, Regioni, enti di area vasta, città metropolitane e forme associative dei comuni dall'altra.
  Infatti, è del tutto evidente che ci muoviamo in un sistema costituzionale che non è soltanto multilivello, come già definito dall'articolo 114 e ribadito dall'articolo 118 della Costituzione, ma diventa un sistema multilivello al quadrato.
  In questo sistema, da un lato, lo Stato dovrà dialogare con le Regioni, i comuni e gli enti direttamente rappresentativi delle loro comunità; dall'altro lato, sia lo Stato che le Regioni e i comuni dovranno dialogare anche con il complesso sistema di enti di secondo livello.
  È un sistema caratterizzato da tre diverse tipologie di enti, tutti assimilati dall'essere, in sostanza, associazioni di comuni, ma anche differenziati tra loro dal fatto che le associazioni sono enti direttamente connessi all'esercizio in forma associata delle funzioni dei comuni, mentre le città metropolitane sono titolari di proprie funzioni e di una propria mission di sviluppo del territorio chiaramente definita dalla legge n. 56.
  Gli enti di area vasta, dal canto loro, sono, di fatto, forme associative obbligatorie dei comuni, ma le loro funzioni, le loro competenze, così come la loro organizzazione, sono di competenza delle Regioni, salvo i principi fondamentali dettati dal legislatore regionale.
  Come si vede, dunque, abbiamo davanti a noi un quadro ricchissimo di relazioni interistituzionali, contenuto in una riforma che solo per chi la voglia esaminare frettolosamente può essere definita centralista. È evidente che in questo quadro c'è bisogno di un robusto sistema di relazioni interistituzionali, basato su strutture organizzative, procedure di funzionamento, ambiti di competenza e tipologie chiaramente definite.
  È ovvio che tutto questo non può essere assicurato dal sistema delle conferenze come oggi lo conosciamo. Tuttavia, non è neanche pensabile che possa essere assicurato tutto e soltanto dall'attività che il Senato, pur sempre Camera di un Parlamento bicamerale anche se asimmetrico, è chiamato a svolgere.
  Da qui si giunge a una prima conclusione. Penso che il sistema delle conferenze debba essere certamente riformato, anche profondamente. Allo stesso tempo, penso che in un sistema costituzionale così complesso e così ricco di interrelazioni istituzionali tra i suoi diversi livelli istituzionali di governo sia assolutamente necessario prevedere strutture organizzative e modalità di confronto adeguate accanto alla Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali.
  Questo vale, innanzitutto, per quello che riguarda le attività amministrative che, come la Corte ci ha insegnato, non possono che Pag. 6basarsi sulla leale e reciproca collaborazione tra i governi dei diversi livelli territoriali, a cominciare dal Governo nazionale fino ai comuni e alle altre forme associative.
  Pur nella non lunga esperienza che ho dell'attività di presidente della conferenza Stato-Regioni e di quella unificata, rilevo che tanto più questi strumenti di raccordo sono preziosi quanto più consentono un dialogo diretto tra Governo e Regioni, come avviene nella conferenza Stato-Regioni. Dall'altro, permettono un confronto a tutto tondo con l'intero sistema delle autonomie, come avviene nella conferenza unificata.
  Si tratta di esperienze preziose che certamente devono trovare, alla luce delle particolarità e delle novità che ho evidenziato, forme e nuove modalità di funzionamento, ma che non possono essere perdute, come, del resto, ribadiscono con chiarezza nelle loro memorie tanto la conferenza dei presidenti delle Regioni quanto l'ANCI e l'UPI.
  Prima di andare oltre, dobbiamo prendere in esame un aspetto innovativo particolare che caratterizza questa riforma. Mi riferisco alla trasformazione del Senato in Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali, quindi a un nuovo bicameralismo che alcuni definiscono «differenziato», altri con maggiore originalità «asimmetrico», ma comunque armoniosamente innovativo.
  Particolare attenzione è stata dedicata, da parte di coloro che mi hanno preceduto in queste audizioni, al tema della futura legge elettorale del Senato come elemento essenziale per definire meglio in che cosa si concretizzi la rappresentanza delle istituzioni territoriali, dunque anche implicitamente quale possa essere in concreto il contenuto e l'ampiezza delle funzioni di raccordo.
  Analogamente, sono già state esplorate a fondo tutte le numerose funzioni che sono attribuite al Senato, anche al di là della sua partecipazione al procedimento legislativo e della sua funzione di raccordo.
  Il Senato ha, infatti, competenze numerose e importanti, tra le quali, accanto al raccordo con l'Unione europea, spicca anche la valutazione delle politiche pubbliche e il concorso alla verifica dell'attuazione delle leggi dello Stato, sulle quali molto si sofferma anche la memoria presentata dalla sezione delle autonomie della Corte dei conti.
  Sono tutti aspetti a voi notissimi. Il Senato delineato dalla riforma non è soltanto una Camera che partecipa in modo variabile e talvolta anche differenziato al procedimento legislativo, ma è dotata di molte importanti funzioni che ne fanno un'assemblea che va ben oltre la partecipazione all'esercizio della funzione legislativa.
  Nell'ambito del bicameralismo asimmetrico italiano dobbiamo, dunque, abituarci non solo a vedere nelle due Camere due assemblee a rappresentatività differenziate, a potere legislativo in parte pienamente e compiutamente condiviso e in parte, per quanto riguarda la decisione ultima, riservato alla sola Camera dei deputati.
  Nel nuovo bicameralismo asimmetrico ciascuna delle due Camere è anche dotata di competenze proprie ed esclusive.
  Sul piano quantitativo e su quello qualitativo, per le competenze proprie che spettano al Senato, si può iniziare dalla valutazione delle politiche pubbliche e dal controllo sull'attuazione delle leggi dello Stato, oltre che al raccordo con l'Unione europea.
  Il ruolo delle due Camere è, dunque, certamente differenziato, ma non valutabile in termini di maggiore o minore rilevanza istituzionale. Ne è prova il fatto che il Governo può assistere, e se richiesto è tenuto a farlo, ai lavori del Senato e deve rispondere anche in quella Camera alle interrogazioni e alle interpellanze che gli vengano rivolte.
  In sostanza, dunque, se è vero che, per un verso, il nuovo Senato, proprio in virtù del numero elevato di funzioni e del compito specifico di raccordo tra Stato ed enti costitutivi della Repubblica, ha un'ampiezza di attività che può in larga misura apparire sovrapponibile a quelle esercitate finora dal sistema delle conferenze, è vero anche che esso è sotto ogni profilo sia formale sia sostanziale un ramo di un Parlamento che resta bicamerale.
  In questo quadro, faccio riferimento a quello che ha sottolineato in una precedente Pag. 7 audizione il sottosegretario Bressa, che ha evidenziato che in tutti gli Stati federali o regionali con forma di governo parlamentare le conferenze hanno svolto un ruolo centrale, affiancandosi alla seconda Camera rappresentativa degli enti territoriali, motivando ampiamente le ragioni di questo fenomeno istituzionale che, sostanzialmente, possono essere riassunte nel fatto che il Parlamento, anche quando una delle due Camere rappresenta le istituzioni territoriali, è sempre la sede del confronto con il Governo centrale.
  Si tratta di un confronto connotato da una specifica politicità per quanto riguarda la Camera che dà la fiducia al governo e caratterizzato, invece, da un potere di vigilanza e confronto, oltre che di raccordo interistituzionale, per quanto riguarda la Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali.
  Questo aspetto è strettamente connesso con il fatto che la Camera rappresentativa delle istituzioni territoriali è comunque un'Assemblea parlamentare. Essa, quindi, interloquisce in primo luogo, in modo tendenzialmente esclusivo, con il Governo e con l'amministrazione dello Stato.
  Del resto, non a caso e in modo del tutto ovvio, si prevede che il Governo nazionale, e non altri governi o loro componenti, può partecipare ai lavori del Senato o da questo essere sentito.
  Allo stesso modo, peraltro, anche il concorso alla verifica dell'attuazione di leggi riguarda le leggi dello Stato e non certo quelle delle Regioni. Lo stesso si deve dire in merito alle espressioni di pareri sulle nomine che riguardano quelle di competenza del Governo.
  Inoltre, è ben vero che il nuovo Senato ha anche compiti di raccordo con l'Unione europea, ma certo questo non può assorbire in alcun modo il ruolo che spetta alle Regioni svolgere, specialmente nella fase discendente delle decisioni comunitarie, così come la valutazione, che pure spetta al Senato, dell'impatto che le politiche dell'Unione hanno sui territori, e non priva certo le Regioni delle competenze spettanti circa l'attuazione di tali politiche quando l'Unione faccia riferimento diretto all'attività regionale.
  Anche se a prima vista può sembrare, come in qualche audizione si è adombrato che l'ampiezza e la concretezza del nuovo Senato, nella sua funzione di raccordo con gli enti costitutivi della Repubblica, possa dipendere dalla legge elettorale che ne definirà compiutamente le modalità di elezione, ben difficilmente il Senato potrà svolge un'effettiva e continua funzione di raccordo politico tra il Governo nazionale e i governi regionali e locali, funzione questa che è tanto più necessaria quanto il nostro sistema sia articolato.
  Se un'osservazione può essere fatta al sistema delle conferenze attuali è proprio che non assicura del tutto quel confronto politico tra i governi che è cosa ben diversa dalla leale collaborazione da esercitare nell'ambito di ciascun settore o funzione che veda il concorso dei diversi livelli di governo.
  Credo che abbia ragione chi sostiene che l'entrata in vigore della riforma costituzionale e la sua attuazione accentuerebbero il bisogno di una sede politica in cui lo Stato e le Regioni possano confrontarsi sulle politiche pubbliche nazionali, sulle priorità e sulle scelte necessarie per attuarle.
  Considerato il carattere pluralistico del nostro ordinamento costituzionale, sarebbe opportuno prevedere anche la presenza di un'adeguata componente di sindaci metropolitani e non, in rappresentanza dei comuni e delle loro associazioni.
  È ovvio che un organo di questo tipo avrebbe un'altissima valenza politica, capace di andare molto al di là di ogni competenza giuridico-formale. Esso, inoltre, potrebbe essere un utile correttivo al solo vero elemento di accentramento che la riforma contiene e che riguarda la riserva al legislatore statale, con procedimento monocamerale, della legge di coordinamento della finanza pubblica, come in generale di tutta la legislazione relativa al bilancio dello Stato.
  Mentre si comprende la ragione che ha spinto il riformatore costituente a compiere una scelta così netta, si deve riconoscere Pag. 8 che essa può apparire a molti eccessivamente limitativa dell'autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti territoriali, tale da svuotare di contenuto lo stesso articolo 119.
  A questa obiezione, la previsione di una sede quale quella delineata di confronto diretto tra il Presidente del Consiglio e i presidenti delle Regioni e i rappresentanti dei sindaci metropolitani e dei comuni potrebbe dare una risposta adeguata. È chiaro, infatti, che le grandi scelte di politica economica e finanziaria non potrebbero non essere oggetto anche di una franca discussione tra esecutivi e, ove possibile, anche di scelte condivise.
  È ovvio che una conferenza di tale livello che, peraltro, potrebbe anche in una prima fase essere istituita, di fatto, tramite una convocazione del Presidente del Consiglio, avrebbe un grande valore e darebbe una ulteriore forza anche al Senato.
  L'Assemblea rappresentativa delle istituzioni territoriali, infatti, indipendentemente da come sarà composta e dalla legge elettorale che sarà adottata, non potrà che essere rafforzata dall'esistenza di una sede politica nella quale i governi delle istituzioni che essa è chiamata a rappresentare possano dialogare al massimo livello direttamente con il presidente del Consiglio.
  Ovviamente, l'istituzione di una conferenza di questo tipo non può esaurire il problema dei raccordi che dobbiamo comunque assicurare tra le amministrazioni nazionali e territoriali. Allo stesso modo, non risolve affatto il problema di come organizzare i lavori di raccordo tra i diversi livelli secondo modalità certe e definite, legate a procedure stabilite e formalizzate in atti a contenuto ed effetti chiaramente disciplinati. In questo, l'esperienza nel suo complesso più che positiva del sistema delle conferenze attuali ci può utilmente guidare.
  Confermo fin da ora la disponibilità mia e del Dipartimento ad avviare, in ogni sede che sia ritenuta opportuna dal Parlamento e dal Governo, attività istruttorie e preparatorie di soluzioni possibili, concrete e realistiche che possano essere anche di guida per il grande lavoro che ci attende.
  Come è noto, la riforma, anche dopo che sarà entrata in vigore a seguito di una conferma da parte del referendum, non sarà pienamente attuata immediatamente. Quindi, penso che avremo un tempo non lungo, ma neppure brevissimo, nel quale molto lavoro dovrà essere fatto e molti nodi potranno cominciare a essere sciolti.
  Sotto questo profilo, penso che si tratti di una sfida interessante e ribadisco tutto il mio apprezzamento per il lavoro che è stato svolto, sul quale mi sono documentato, dando la disponibilità a collaborare, interloquire e offrire l'esperienza del lavoro sul campo nell'ambito delle conferenze per fare dei passi avanti nelle direzioni che ho evidenziato, comunque con le indicazioni che possano giungere anche dal prezioso lavoro della vostra Commissione. Grazie.

  PRESIDENTE. Se non ci sono colleghi che intendono rivolgere domande al Ministro perché presumibilmente soddisfatti dalla relazione, ringrazio il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, Enrico Costa.
  Ricordo ai colleghi che con lo svolgimento di tale audizione si conclude il ciclo delle stesse previsto nell'ambito dell'indagine conoscitiva e che la prossima settimana terremo un Ufficio di Presidenza per stabilire il calendario dei lavori per la discussione e l'approvazione della relazione conclusiva. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 8.30.