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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 8 di Mercoledì 16 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Balduzzi Renato , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE QUESTIONI CONNESSE AL REGIONALISMO AD AUTONOMIA DIFFERENZIATA

Audizione del presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani.
Balduzzi Renato , Presidente ... 2 
Serracchiani Debora , Presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ... 2 
Balduzzi Renato , Presidente ... 5 
Ranucci Raffaele  ... 5 
Del Barba Mauro  ... 6 
Balduzzi Renato , Presidente ... 6 
Gigli Gian Luigi (PI)  ... 6 
Balduzzi Renato , Presidente ... 7 
Kronbichler Florian (SEL)  ... 7 
Balduzzi Renato , Presidente ... 7 
Borioli Daniele Gaetano  ... 7 
Dalla Tor Mario  ... 8 
Balduzzi Renato , Presidente ... 9 
Simoni Elisa (PD)  ... 9 
Plangger Albrecht (Misto-Min.Ling.)  ... 10 
Ribaudo Francesco (PD)  ... 11 
Ruta Roberto  ... 11 
Balduzzi Renato , Presidente ... 11 
Serracchiani Debora , Presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ... 12 
Balduzzi Renato , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE RENATO BALDUZZI

  La seduta comincia alle 8.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani.
  Buona giornata. Prosegue la nostra indagine conoscitiva sulle questioni connesse al regionalismo ad autonomia differenziata. Abbiamo con noi il presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, Debora Serracchiani, che ringraziamo per la presenza e anche per aver accettato di essere audita a quest'ora, che indubbiamente per noi è normale, ma può essere meno normale per chi viene da lontano o comunque ha un'agenda certamente intensa. Grazie, quindi, per la presenza mercoledì 16 luglio alle 8. L'ascoltiamo molto volentieri.
  Do la parola al Presidente Serracchiani.

  DEBORA SERRACCHIANI, Presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Buongiorno a tutti e grazie per questa occasione. Io non so come la Commissione intende portare avanti i lavori, ma ricordo che la regione autonoma Friuli-Venezia Giulia arriva per ultima nello schema delle cinque regioni a Statuto speciale.
  Arriva per ultima per ragioni storiche fondamentalmente legate al confine e anche alle dinamiche che sono intervenute intorno alla città di Trieste, che, come è noto, torna all'Italia solo nel 1954. Non siamo partiti, quindi, come regione a Statuto speciale nel 1948, come le altre, ma successivamente e nasciamo in modo definitivo con il nostro Statuto nel 1963. Nel 1964 abbiamo il primo Consiglio regionale.
  Come vi è noto, le regioni a Statuto speciale hanno ognuna una specialità diversa e, quindi, anche parlare come gruppo non è semplice, quando cerchiamo di gestire i nostri rapporti con il Governo.
  Io ritengo che, per quanto concerne la mia regione, la natura della specialità sia legata alle minoranze linguistiche, che, nel nostro caso, riguardano la lingua slovena e tedesca. Mi corre l'obbligo, peraltro, di ricordare che anche il friulano è una lingua minoritaria. C’è, dunque, sicuramente una necessità legata all'esistenza di comunità piuttosto radicate di minoranze linguistiche e c’è un confine che, per quanto «superato» dalla storia, è comunque un confine che crea, anche in questo momento, situazioni molto particolari.
  In assenza dell'armonizzazione fiscale all'interno dell'Unione europea, il confine con la Slovenia e con l'Austria si sta rivelando un confine complicato e difficile. Il sistema diverso di tassazione, estremamente più favorevole in Slovenia e in Austria, sta creando, in un territorio che resta comunque un territorio di confine, situazioni particolarmente complesse.Pag. 3
  Potrei citarvi il numero delle imprese che fissano la sede legale in Austria o in Slovenia, pur esercitando la propria attività operativa nel nostro territorio, nel territorio italiano. Sono numeri importanti, in una regione comunque piccola, che pur continua a essere geopoliticamente importante. Essa è rimasta e rimane, infatti, la porta verso Est nei rapporti con i Balcani. Lo è stata durante la guerra dei Balcani, ma lo è anche adesso che c’è un tentativo di allargamento e di stabilizzazione, guardando ai rapporti con la Serbia o con il Montenegro.
  La regione Friuli-Venezia Giulia, quindi, continua a essere assolutamente centrale e importante in questo senso. Mi permetto di dire che questa è una specialità che sicuramente deve trovare una spinta rinnovata e anche motivazioni rinnovate, ma che storicamente rimane assolutamente valida.
  Inoltre, posto che so che le regioni a Statuto speciale non vanno di moda, anzi, a dire il vero, non vanno di moda le regioni, e quelle a Statuto speciale ancora di meno, mi permetto di fare una considerazione legata anche a quella che attualmente io interpreto essere la specialità.
  La specialità, in questo momento, ha un senso se è indispensabile al Governo e la regione a Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia è in questo momento indispensabile al Governo. Noi gestiamo autonomamente – cito solo tre aspetti, che rappresentano i pilastri più importanti – e interamente, con il nostro bilancio regionale, il Servizio sanitario regionale, il trasporto pubblico locale e i rapporti con gli enti locali, attraverso un sistema di trasferimenti delle risorse che va dalla regione agli enti locali, senza mai chiedere un euro allo Stato.
  Questi tre pilastri vengono tenuti in piedi esclusivamente con le risorse della regione Friuli-Venezia Giulia. Non è mai stato necessario intervenire con piani di rientro o altro. Sono tre sistemi che noi gestiamo non posso dire in utile, perché comunque il taglio delle risorse è evidente anche da noi e stiamo riqualificando la spesa il più possibile. Sicuramente, però, sono tre sistemi che abbiamo gestito e che gestiamo in modo virtuoso e che, qualora venissero restituiti allo Stato, comporterebbero un aggravio del bilancio dello Stato di qualche miliardo di euro.
  Va anche preso in considerazione l'aspetto dell'indispensabilità e dell'utilità. Nel momento in cui un territorio è autonomo, gestisce bene le proprie risorse ed è indispensabile al Governo. Ricordiamoci che è vero che noi tratteniamo una parte dei tributi, ma una parte dei tributi è evidentemente rilasciata al Governo in un territorio in cui la gestione, ripeto, è sempre stata virtuosa e lo è sempre stata storicamente.
  Noi siamo un modello da sempre. Posso ricordare la ricostruzione post-terremoto come un modello assolutamente noto ai più. È stato quello il momento in cui è nata in Italia la Protezione civile. È un sistema che credo oggi si possa definire di livello nazionale e direi anche europeo. Ci sono tentativi di costituirlo allo stesso modo anche in Europa.
  Il Friuli-Venezia Giulia è una regione che sicuramente esercita la propria autonomia con buon senso e che partecipa, e lo fa assolutamente convinta di doverlo fare, all'abbattimento del debito pubblico. Noi siamo stati chiamati, come tutte le altre regioni, a partecipare all'abbattimento del debito pubblico e l'abbiamo fatto senza entrare in collisione, il più delle volte, con lo Stato, nonostante la normativa imporrebbe meccanismi diversi.
  In questo momento la nostra partecipazione all'abbattimento del debito è particolarmente rilevante, tanto più se sommata ai meccanismi che hanno regolato fino a oggi i rapporti tra lo Stato e la regione, ossia i protocolli di intesa, i famosi protocolli d'intesa di Milano o Roma, a seconda di dove furono firmati.
  Nel caso, per esempio, delle province autonome di Trento e Bolzano questo ha significato acquisire competenze in cambio di una partecipazione all'abbattimento del debito. Nel nostro caso, ahimè, venne fatta una scelta diversa e il protocollo di intesa sottoscritto dalla regione Friuli-Venezia Pag. 4Giulia è particolarmente gravoso per la regione, perché a regime significa erogare allo Stato 370 milioni di euro l'anno per i prossimi anni.
  Non sarebbe molto, se fosse solo quello, ma tenete presente che negli anni, da quando abbiamo sottoscritto il protocollo a ottobre del 2011, si sono sommate le varie leggi che hanno imposto la partecipazione al debito. Ad oggi, su un bilancio di quasi 6 miliardi di euro, il taglio che abbiamo è di circa 1,4 miliardi. È un taglio importante, che, tra spazi finanziari e indebitamento netto, oggettivamente ha chiamato la regione a impegnarsi a una riqualificazione della spesa.
  Per tale ragione abbiamo impostato la riforma della sanità. Proprio ieri c’è stato il giudizio di parificazione da parte della Corte dei conti del bilancio regionale, estremamente positivo. La nostra è una delle poche regioni che stanno tagliando costantemente la spesa corrente. Siamo intervenuti un po’ in tutti i settori e riusciamo a mantenere l'efficienza dei servizi, ma allo stesso tempo, oggettivamente, la riqualificazione della spesa ci sta permettendo di fare economie importanti.
  Citavo prima la sanità perché rappresenta il 55 per cento del bilancio regionale e, quindi, è un settore importantissimo. Tuttavia, devo dire che questo sistema – mi piace chiamarlo non spending review, ma riqualificazione della spesa, perché, se fatto seriamente, tale è, non è un taglio a forfait, lineare o sul momento, ma una riqualificazione costante della spesa che viene fatta negli anni un po’ sul modello francese – noi l'abbiamo impostato appena insediati, stiamo parlando di quasi un anno e mezzo fa, e devo dire che sta dando dei risultati concreti.
  Naturalmente, stiamo andando nella direzione di razionalizzare il sistema, ragion per cui stiamo impostando la centrale unica per tutti gli acquisti del sistema degli enti locali. Tutti gli enti locali verranno messi in un'unica stazione appaltante e in un'unica centrale degli acquisti e faremo lo stesso sulla sanità. Per il momento li teniamo separati nella prima fase, perché oggettivamente sono sistemi molto diversi. L'obiettivo nei prossimi anni, però, è di avere un'unica centrale degli acquisti che abbia dentro di sé acquisti, logistica e tutto.
  Siamo stati, inoltre, tra le prime regioni d'Italia a far passare in Consiglio regionale l'abolizione delle province. È depositata al Senato, credo, la richiesta di modifica dello Statuto della regione Friuli-Venezia Giulia eliminando il termine «province».
  Stiamo facendo la riforma degli enti locali, che ci compete autonomamente, per il principio in base al quale gli enti locali sono gestiti interamente dalla regione, riforma che vedrà la luce a ottobre e che prevede il superamento della provincia, la redistribuzione delle competenze tra la regione e i comuni e le forme di aggregazione dei comuni con la suddivisione in ambiti di area vasta, che in parte coincidono con gli ambiti socio-assistenziali e in parte no, a seconda delle condizioni che saranno stabilite. Abbiamo già messo insieme alcuni servizi, alcune funzioni e alcune competenze. Stiamo andando nella direzione veramente di un «modellino» funzionale.
  Ovviamente, questo significa evitare gli sprechi che ci sono stati nel tempo. È inutile dirlo: quando ci sono tante risorse, non si fanno le riforme, perché non se ne sente la necessità. Questo credo di poterlo dire in modo chiaro e anche assumendo la responsabilità della parte politica di questa affermazione.
  Adesso che, però, siamo di fronte a un'esigenza di sobrietà, di riqualificazione della spesa e di rivedere un po’ anche i nostri obiettivi, oggettivamente, per la prima volta, siamo chiamati a fare delle scelte e a individuare delle priorità. Già solo questo ci aiutava davvero a riqualificare la spesa. Noi stiamo andando in una direzione che veramente mi sento di dire positiva. Siamo stati un po’ spinti dalle circostanze – magari spontaneamente non l'avremmo fatto – ma, onestamente, ad oggi posso dire che abbiamo fatto un bel pezzo di strada.
  Se volete, posso poi entrare nei dettagli di quali sono i tributi che vengono suddivisi Pag. 5tra Stato e regione. Se vuole, Presidente, posso lasciarle agli atti anche questo dato.

  PRESIDENTE. Grazie alla presidente Serracchiani. Abbiamo apprezzato questa prima esposizione orgogliosa, ma anche piacevole e di speranza. D'altra parte, che la spending review non sia riduzione, ma revisione, nel senso di un nuovo sguardo alla spesa e, quindi, essenzialmente di riqualificazione, dovrebbe essere a tutti i livelli chiarissimo già dai documenti statali. Poi magari in qualche passaggio è stata intesa in modo più circoscritto.
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  RAFFAELE RANUCCI. Ringrazio la presidente della sua esposizione e anche di una speranza in un Paese che può funzionare. Il presidente mi ha tolto subito la prima battuta che volevo fare: finalmente si parla di riqualificazione – scherzo, presidente – perché alla spending review ormai si associa il fatto che si tratti solo di tagli. La spesa, invece, va riqualificata e rivista nel senso generale.
  Presidente, dalla sua esposizione viene in mente non soltanto la sua regione, ma anche come poter applicare quello che accade nella sua regione non solo nelle altre regioni autonome, ma anche nel Paese. In questo momento sappiamo che abbiamo la revisione del Titolo V al Senato.
  Volevo farle presente, peraltro nella sua doppia veste, ma, in questo caso, nella veste di presidente di regione, che i costi standard sono uno dei punti che figurano nella revisione. Quali sono, secondo lei, per la sua esperienza, i parametri giusti a cui fare riferimento per i costi standard ?
  Oggi tutti parliamo della famosa siringa. Non è quello il costo standard. Sappiamo tutti che non è il costo della siringa singola, ma è il costo del funzionamento generale. Secondo lei, quali sono, per la sua esperienza, i parametri per una sanità che funzioni, come nella sua regione ?
  Ritiene giusto il punto, sempre in questa riforma del Titolo V, in cui lo Stato interviene laddove i bilanci non sono in equilibrio e come dovrebbe intervenire, togliendo competenze, come si paventa, o con altri strumenti ?
  Devo dire che il Friuli Venezia Giulia è avanti anche nelle riforme di alcuni settori. Col presidente ne abbiamo parlato in altre occasioni a proposito di infrastrutture. Per esempio, il Friuli oggi sulla nautica è avanti non in Italia, ma in Europa, perché ha cambiato l'IVA, portando l'IVA per la nautica da diporto – parliamo del turismo della nautica da diporto – e, quindi, per il soggiorno turistico delle imbarcazioni al 10 per cento.
  C’è il rischio di andare avanti ed essere poi fermati perché non c’è la possibilità e il MEF, o il sistema Paese, o l'Europa ci bloccano ? Sappiamo che sull'IVA, o è un'IVA storica, per cui non si interviene a livello europeo, o, se è un'IVA che noi vogliamo ridurre, oggi interviene immediatamente l'Europa.
  In tutto questo quanto conta la popolazione ? Tutti diciamo che è molto facile fare la raccolta differenziata in un paese di mille persone e che è molto più difficile farla in una città come Roma o Napoli, con milioni di persone. Certo, bisogna sempre incominciare, non è una scusa, anzi, ma lei ritiene, per esempio, che ad altre regioni autonome – non voglio fare nomi con molti milioni di persone possiamo applicare gli stessi sistemi che applica il Friuli ?
  Capisco che non parliamo solo di Friuli, ma anche di quello che può essere – questo proprio per esaltare il lavoro – l'esempio che si potrebbe applicare e per il quale si potrebbe mantenere l'autonomia, anche se poi lei dice che i trasferimenti dallo Stato centrale sono minori.
  È vero, però lei ha detto una cosa giustissima, ed è una cosa che avviene anche nelle aziende: finché si sta bene, si sta bene e nessuno guarda il funzionamento e i conti di un'azienda, mentre, quando ci sono poche risorse, chiaramente vanno riviste.

Pag. 6

  MAURO DEL BARBA. Anche a me, come al collega Ranucci, ascoltando la presidente Serracchiani, la suggestione che pare traspaia dalla sua relazione è che la specialità della vostra regione venga proposta anche come una possibile normalità per le altre. In particolare, l'anticipazione dell'eliminazione delle province e soprattutto la centrale unica di acquisti sono temi che verrebbe voglia di aprire, non tanto in ottica di approfondire le specialità, quanto di individuare dei modelli validi per tutti.
  Non entro in questi temi, altrimenti veramente usciremmo un po’ dal seminato, ma rimango sulla suggestione, partendo dal fatto che è vero che lei ha ricordato le origini e la natura della specialità facendo riferimento alle minoranze linguistiche, ma è altrettanto vero che ha sottolineato anche una certa attualità della specialità, facendo riferimento alle zone di confine e, quindi, alle differenze fiscali.
  Mi ha ricordato, in tal modo, un tema che si lega anche a quello che accennavo in apertura, cioè di come vicino a voi, sulle fasce alpine, giusto per parlare di normalità della specialità, vi siano delle aree, che la legge Delrio definisce con precisione, che sono interamente montane e di confine e che, proprio in ragione di queste analoghe condizioni, ricevono da una legge dello Stato un trattamento particolare nel definire l'area vasta, caratterizzato da particolari condizioni di autonomia riconosciute dalla regione.
  Vengo al punto. La vostra esperienza con i territori contigui vi ha fatto maturare, come può essere maturata dall'altra parte, per chi vi vede da fuori i vostri confini, l'idea che la specialità oggi possa essere declinata in modo moderno, magari fornendo un contributo all'autonomia differenziata, e che questo modello possa essere replicabile, oppure andremmo a individuare uno Stato «ad Arlecchino» ? Oppure avete l'idea che la specialità, in realtà, sia qualche cosa che ha ragion d'essere soprattutto in virtù delle sue ragioni iniziali ?

  PRESIDENTE. Ha rinunciato al suo intervento il senatore Dalla Zuanna. La Commissione lo ringrazia, naturalmente.
  Do la parola all'onorevole Gigli.

  GIAN LUIGI GIGLI. Io credo che lei abbia giustamente rivendicato con orgoglio la specialità friulana e i contenuti della specialità friulana. Credo che l'abbia fatto giustamente con orgoglio perché indubbiamente il modello del Friuli-Venezia Giulia è un esempio di federalismo virtuoso.
  Ci sono ancora, certamente, alcuni problemi, sui quali, peraltro, bisogna dare atto alla presidente che si sta lavorando con intensità. Alcuni di questi problemi sono stati richiamati anche ieri dalla Corte dei conti, con riferimento alle vicende che hanno riguardato nella passata legislatura i Gruppi regionali e che riguardano ancora la ridefinizione dei vitalizi e delle indennità, a cui aggiungerei anche le vicende che riguardano il significato, il ruolo e l'effettiva rispondenza al mandato di alcune partecipate. Penso al MedioCredito.
  Detto tutto questo, certamente il modello del Friuli-Venezia Giulia è un modello virtuoso, ed è un modello che ha il coraggio di autoriformarsi. La presidente ha già citato, giustamente, la riforma della sanità regionale, una riforma estremamente significativa, estremamente impegnativa e sulla quale si è avuto il coraggio – voglio dare atto alla presidente dell'atteggiamento avuto rispetto a recenti intemperanze e contestazioni anche molto vivaci – di aver saputo riproporre con energia le ragioni del bene comune rispetto a quelle dei particolarismi e delle esigenze campanilistiche.
  Quello che vorrei dire, al di là di tutto questo, ai colleghi è che, rispetto al quadro che vede sotto attacco, come è stato detto, le regioni in genere e soprattutto il significato delle regioni autonome, io credo che, come è stato già richiamato, permangano interamente le ragioni dell'autonomia. Posso dirvi che sono qualcosa di estremamente sentito a livello della popolazione.
  Noi abbiamo recentemente celebrato a Trieste i cinquant'anni della regione autonoma. Pag. 7Posso garantire a tutti i colleghi presenti che la condivisione a livello popolare della scelta autonomistica è una condivisione totale e che sarebbe oggi estremamente pericoloso rimetterla in discussione, per i motivi che sono stati già esposti.
  Io vorrei forse solo calcare la mano rispetto a quello che ha detto la presidente. Guardate che noi siamo abituati a vedere le minoranze linguistiche solo come quella germanofona, che è minoritaria, e come quella slovena, che è più consistente nella nostra piccola regione. Tuttavia, la minoranza – chiamiamola così, perché che non si sente minoranza, ma maggioranza – linguistica friulana è una componente linguistica importante.
  Non starebbe a me dire questo, perché non sono friulano. Io, come la presidente, sono romano. Vi posso assicurare, però, che ho dovuto impattare con questa realtà e rendermene conto.
  Il friulano non è considerato, giustamente, un dialetto. Rivendica una dignità linguistica di lingua scritta, di lingua che ha una sua cultura, un suo vocabolario e addirittura una sua liturgia, riconosciuta da Santa Madre Chiesa, che celebra la messa in lingua friulana. Tutto questo riguarda oltre mezzo milione di persone, cioè quasi la metà della popolazione della regione.
  Accanto a questo l'altro elemento che è stato richiamato, cioè quello del confine, io lo vedrei in un modo diverso. Non lo vedrei solo come confine, ma anche come cerniera. Il Friuli-Venezia Giulia è la porta dell'Italia rispetto all'Europa Centrorientale, una porta che, facendo danno a se stessa, l'Italia non ha adeguatamente considerato. Pensate semplicemente ai trasporti, sui quali pure ora qualche passo avanti si sta facendo.
  Pensate semplicemente, per esprimersi con una battuta ispirata da un libro che tutti conosciamo, che noi usiamo dire che Cristo si è fermato a Mestre dal punto di vista dei trasporti. Dobbiamo forse valorizzare questa cerniera nei rapporti con il resto dell'Europa Centrorientale, nella convinzione che questo non sia solo il bene del Friuli, ma sia il bene anche di tutta l'Italia.

  PRESIDENTE. Vedo che si dimostra ancora una volta che i friulani acquisiti possono essere non meno orgogliosi dei friulani indigeni, ammesso che esistano.
  Do la parola all'onorevole Kronbichler, che non è friulano, né acquisito, né autoctono.

  FLORIAN KRONBICHLER. Si sente da dove arrivo.
  Vorrei solo complimentarmi con la presidente, perché non è di ogni giorno che la presidente di una regione o anche di altre amministrazioni ammetta che ci sono stati e ci sono degli sprechi e che ci vogliono la penuria, meno soldi e la crisi affinché si facciano delle riforme. Noi tutti ci riempiamo la bocca di crescita e del fatto che senza crescita non si possono fare delle riforme. Quest'affermazione andrebbe incorniciata: la crisi come chance anche di mettere mano a cose che non funzionano.

  PRESIDENTE. Grazie anche per la stringatezza.
  Do la parola al senatore Borioli.

  DANIELE GAETANO BORIOLI. Ringrazio la presidente per l'esposizione che ci ha fatto. Svolgo una considerazione di carattere generale e poi le pongo una domanda.
  La considerazione di carattere generale è che le cose che ci ha detto la presidente Serracchiani sono la dimostrazione di come intorno a uno stesso concetto, che in questo caso è la modalità dell'organizzazione dell'ordinamento statuale, si possano determinare poi, nel corso della storia, vicende ed evoluzioni completamente diverse.
  Nel caso della regione Friuli-Venezia Giulia, l'applicazione della specialità, che nasce dalle ragioni storiche che sono state ricordate, si trasforma in una leva per costruire un modello di buona amministrazione, in grado di affrontare anche i passaggi oggi delicati della riqualificazione Pag. 8della spesa. In altri casi, nello stesso Paese l'applicazione del concetto di specialità non è l'unica causa, ma è concausa anche delle ragioni della deriva e dell'arretratezza.
  Noi siamo un po’ in questo paradosso anche con la riforma del Titolo V che ci accingiamo a varare, rispetto alla quale io, pur condividendo l'impianto che si sta determinando, continuo a considerare che in qualche misura risenta del parziale, se non fallimento, passo falso che un'impostazione che continuo a ritenere giusta e saggia di impronta marcatamente federalista non avrebbe dovuto produrre, avvicinando, invece, i diversi sistemi regionali ai modelli efficienti ed efficaci delle regioni speciali.
  Siamo, invece, forse un po’ costretti a fare macchina indietro verso alcuni elementi di ricentralizzazione che sono determinati non dal fatto che i princìpi che cercavano di ispirare la prima riforma del Titolo V fossero sbagliati, ma dal fatto che, forse per errori dipendenti dai livelli regionali e anche dal livello statuale, in alcune regioni c'erano le possibilità di concedere margini molto più ampi di attuazione del federalismo fiscale di ciò si è stato realizzato. C’è anche una responsabilità dello Stato.
  Dico questo per osservare che il tema che oggi noi abbiamo di fronte in termini di riforma dell'assetto costituzionale dello Stato penso ci prefiguri davanti a questo step un work in progress su cui dovremmo ritornare a mettere le mani affinché il modello che la presidente ci ha oggi illustrato possa diventare e rimanere un punto di riferimento anche per le regioni non a Statuto speciale.
  Faccio riferimento solo a un dato. La presidente ci ha parlato – ovviamente immagino che parlasse della spesa corrente – di un'incidenza della spesa sanitaria del 55 per cento. Io ho fatto per cinque anni, anche se mi occupavo di altro, l'amministratore di una regione che non è neppure tra le regioni peggiori da questo punto di vista: il Piemonte. L'incidenza percentuale della spesa sanitaria nella regione Piemonte è ben più alta. La regione Piemonte è una regione che è stata sottoposta a tutta una serie di questioni riguardanti i piani di rientro. Il vostro è, mi pare, un modello molto interessante, che va valorizzato.
  Passo alla domanda che volevo fare. A parte gli spunti molto interessanti, anche in questo caso, rispetto alla centrale degli acquisti e a un concetto che è stato introdotto, che è quello della logistica, che, secondo me, è fondamentale per fare risparmi, poiché abbiamo parlato altre volte e in altre sedi delle questioni trasportistiche, ricordo che una delle due voci che la presidente ha detto essere gestite in totale autonomia finanziaria dalla regione è quella dei trasporti. Mi interesserebbe sapere come l'utilizzo della specialità abbia potuto o stia consentendo alla regione Friuli di avanzare anche sul sistema delle regole della gestione del trasporto. Per capirci, penso al tema delle liberalizzazioni, dell'apertura al mercato dei servizi e via elencando.

  MARIO DALLA TOR. Ovviamente mi complimento anch'io per tutte le argomentazioni che la presidente ha fatto. Tuttavia, essendo io di Mestre, osservo che, se ragionassimo con i tempi di oggi per tenere la specialità per le lingue, il Veneto sarebbe superspeciale, tra Veneto, ladino, chioggiotto e potrei andare oltre.
  Per esempio, io vorrei, come diceva il collega prima, far sì che la legge sulle aree di confine, quella fatta da Delrio non esistesse. Noi abbiamo comuni, non solo di montagna – penso a San Michele, Portogruaro, Teglio e altri – che hanno ricevuto contributi solo perché sono al confine con il Friuli, che ha una tassazione e introiti diversi. Oltretutto, non li hanno ricevuti e neanche spesi per non far saltare il Patto di stabilità, ma lasciamo perdere. È stata fatta una legge che non ha neanche permesso di utilizzare quei fondi che sono stati assegnati. Questo è accaduto anche verso il Trentino e l'Alto Adige.
  Queste leggi, secondo me, non dovrebbero neanche esserci. Che senso ha una legge speciale ai confini fra regioni d'Italia ? È un assurdo.Pag. 9
  Tenete presente che il Veneto ha approvato due leggi, due o tre settimane fa, una sull'indipendenza, che ovviamente io non condivido, e una sull'autonomia. Spero che il Governo, nelle forme dovute, non come regione speciale, ma nello specifico, dia una possibilità a questa regione, che si confronta con l'Austria e con la Slovenia per le stesse ragioni dal punto di vista fiscale e finanziario per l'imprese.
  Vi assicuro che da noi partono i pullman – probabilmente dal Friuli sono più vicini e non fanno i pullman – per fare le sedi fiscali in Austria. La presidente credo sappia benissimo che questo ci mette in fortissima attenzione dal punto di vista del sistema economico, produttivo e fiscale. Io credo che dobbiamo, a mio avviso, piegare il modello Friuli perché ci permetta, dentro i parametri economici, di imitarlo, perché c’è la bravura.
  Prima è stato detto: prendiamo a modello le regioni a Statuto speciale. Io non le vorrei prendere a modello proprio tutte, tanto perché ci capiamo. Non perché ci sia la presidente, ma, se mi si propone il Friuli, io posso cominciare a prenderlo a modello e a ragionarci sopra. Se, invece, mi si propone la Sicilia o qualcos'altro, con tutto il rispetto per i siciliani, se questo è il modello, è bene che chiudiamo bottega e lasciamo perdere.
  Tralasciamo il ragionamento. La cosa che chiedo alla presidente riguarda il fatto che nella legge di stabilità noi abbiamo votato due finanziamenti da 130 milioni per Autovie. Tutti gli enti locali del Veneto sono usciti, vendendo, un po’ per necessità. Io sono vicepresidente della provincia. Noi abbiamo venduto tutto, ma non possiamo vendere Autovie, perché nessuno compra, essendo vostra e voi non ci comprate. Pertanto, vanno deserte le gare. Mettiamola così.
  Con questa liberalizzazione abbiamo dato 130 milioni della legge di stabilità per la terza corsia, ma ci sembra che debba esser fatto, anche in questo caso, un salto di qualità – probabilmente manterrete la maggioranza – non dico nel privatizzare, ma nell'aprire quell'arteria, che è importantissima anche dal punto di vista finanziario, per far sì che ci sia magari una rete del Triveneto (usiamo questo termine) unitaria, cioè che ci siano segni forti, anche politici, oltre che economici, che mettano assieme quest'area a Nord-Est.
  Inoltre, noi abbiamo avuto referendum e ci sono disegni di legge. La collega De Monte non è più con noi, è al Parlamento europeo, ma lei ha promosso il disegno di legge che prevede che i comuni di Cinto Caomaggiore e Sappada passino al Friuli. Non sono andati di là per la lingua o per chissà quali ragioni storiche, ma solo per ragioni economiche.
  È pensabile uno Stato in cui, perché un comune è al confine, debba cambiare regione solo perché ha l'abbattimento delle imposte sulla benzina ? Parliamoci chiaro: chi è al confine con la Slovenia ha questa situazione. C’è una concorrenza a pochi chilometri che mette in estrema difficoltà le regioni e i comuni. È difficile dialogare e spiegare alla gente queste cose.
  Ci vuole una politica che sia più omogenea. Io vorrei che la presidente dicesse che non vuole Sappada e Cinto Caomaggiore. Questo non per una ragione geografica – al Veneto non cambia niente – ma per una ragione politica forte. Vorrei che si lavorasse con le tre regioni, due a Statuto speciale e il Veneto, per una politica di razionalizzazione della spesa e di integrazione forte, per cui queste necessità non si sentano più.

  PRESIDENTE. Grazie. Tenga conto, presidente, che in altre situazioni l'atteggiamento dei veneti in Commissione è stato molto più combattivo.
  Do la parola all'onorevole Simoni.

  ELISA SIMONI. Ringrazio la presidente della disponibilità, ma anche dell'intervento. Devo dire che spesso – ovviamente, non qui – le ragioni dell'autonomia non sono note, ma sono serie, anche se non conosciute fuori. Io ho apprezzato il modo in cui lei ha girato la discussione e l'ha posta veramente su un senso di responsabilità comune e su un'interpretazione dell'autonomia che in questo senso serva allo Stato.Pag. 10
  È un ragionamento molto semplice, in un momento straordinario. Come capogruppo del PD, questo lo rilevo perché è una discussione che ci appartiene e che ci è appartenuta, forse anche nelle ultime ore. È evidente che il senso di responsabilità generale sia molto forte. Questo, devo dire, l'ho apprezzato proprio molto, come ho apprezzato gli elementi che venivano messi in evidenza anche dal collega Del Barba, quelli del tasso di innovazione e anche di anticipazione di alcuni temi che poi sono diventati temi nazionali.
  Quello del tasso di innovazione regionale è, secondo me, un tema interessante, perché ci sono state senza dubbio in questi anni tante cose che non sono andate bene. La discussione che veniva fatta dal collega sul fallimento del federalismo è una discussione seria e vera, ma c’è anche tanta innovazione che nelle regioni, magari più virtuose, è stata fatta.
  Malgrado io sostenga fortemente la riforma dello Stato e, quindi, anche la riforma del Titolo V, per come in queste ore viene sostenuta dal Governo, ho sempre avuto un dubbio rispetto a un rischio vero, ossia che, ricentralizzando molto, ci sia un livellamento verso il basso e, quindi, un pericolo di perdita del tasso di innovazione che alcune regioni senza dubbio hanno avuto.
  D'altra parte, mi viene da pensare, essendo fiorentina e, quindi, toscana – lasciate avere un po’ di localismo anche a me – che, quando lei disegna questo modello, che io apprezzo anche in alcuni particolari, ma su cui non mi voglio soffermare, a un approccio (lei ha parlato di sanità e della necessità di rivederla interamente) che alcune regioni, per esempio la mia, hanno avuto qualche anno fa.
  Mi viene da pensare che ci sia uno spostare la lancetta indietro, ma una ragione c’è, ossia perché qualche anno fa quelle regioni, quali la mia, erano forse nella condizione di fare la riflessione che lei oggi fa. Siamo state in una condizione positiva. Quella condizione non esiste più, anche perché i mancati trasferimenti non è da oggi che si fanno sentire. Oggi è necessario mettere mano a due o tre questioni.
  La mia paura, aggiungendo gli elementi, purtroppo negativi, di una riflessione che appartiene a tutti, è che oggi alcune di quelle regioni che finora sono state virtuose e innovatrici non siano più nella condizione di fare un ulteriore passo avanti, perché quello che avevano da fare in gran parte l'hanno già fatto.
  Oggi le condizioni generali, non per il mancato trasferimento, ma per la condizione economica in cui alcune regioni che fino a oggi andavano molto bene si trovano, impongono scelte che non sono più neanche di tagliare e di fare una spending review nel senso che lei diceva, ma, alla fine, forse di togliere qualche elemento che, invece, sarebbe di opportunità. Mi viene in mente la cultura in Toscana, che, se vado a vedere il bilancio regionale, qualche sofferenza ce l'ha.
  Detto questo, io penso che una riflessione su un modello esportabile debba essere fatta, anche in quel dubbio che io ho e forse proprio per il dubbio che io ho di livellazione verso il basso. Reputo, quindi, quello che lei ci ha raccontato stamani come una virtuosità e come un elemento da mettere tra le cose non solo da salvare, ma sicuramente anche da esportare in regioni che hanno tutte caratteristiche completamente differenti e bilanci differenti.
  Il mio ragionamento si sostiene sul fatto che, ovviamente, alcune cose si fanno laddove è ancora possibile farle. Da altre parti il margine di miglioramento è molto inferiore e questo un po’ mi preoccupa sul tasso di innovazione.

  ALBRECHT PLANGGER. Volevo farle una domanda, proprio perché le altre regioni non sono ancora mature ad assumere più competenze sull'ambiente. L'ambiente non è una questione tanto di trasferimenti, quanto di autogoverno. È una questione di responsabilità. Secondo me, questa è veramente una possibilità persa. Sarebbe stata una competenza su cui tutte le regioni avrebbero potuto lavorare sull'autogoverno, Pag. 11senza aver bisogno di tante regole. In questo modo potrebbero avvicinarsi di più alle regioni a Statuto speciale.

  FRANCESCO RIBAUDO. In Sicilia noi non abbiamo niente da esportare. Il nostro è un modello completamente non esportabile. Veramente ci sono stati tanti sprechi. Probabilmente la nostra autonomia, che era un'autonomia importante, che nasce da altri contesti, non è stata utilizzata per come si doveva utilizzare.
  Tuttavia, è difficile oggi fare avviare quel processo. Pur avendolo fatto in parte Crocetta, come vedete, arranchiamo. È difficile poter riformare o cambiare le cose, nel momento in cui non ci sono più le risorse.
  Io credo che la riforma che stiamo facendo sia utile e che lo Stato su alcuni servizi, indipendentemente dalla condizione economica in cui si trovano alcune regioni che non potranno fare quel processo di innovazione, di cambiamento e di riforme e nemmeno superare il gap infrastrutturale che si avverte in Sicilia, ma anche in tante altre regioni – in merito a questa vicenda il collega Iannuzzi parlava dei costi standard – non possa fare un passo indietro.
  Capisco che la regione della presidente Serracchiani sarà avanti su questo versante, ma ci sono anche altre regioni e tanti cittadini di questa Italia che si aspettano da questo processo di riforma che arrivino servizi equi e uguali per tutti. Anche questo è un motivo di collante che terrà ancora questo Paese insieme. Sulla sanità, sui trasporti, se vogliamo, sulla sicurezza, ma anche sulla formazione stessa io ho l'impressione che, se perdiamo alcuni pilastri centrali che ci tengono insieme, rischiamo poi che ognuno farà per sé.
  Ritengo ancora che lo Stato, non per centralizzare, ma perché possa fare arrivare in maniera equa a tutti i cittadini la sua presenza, abbia ancora una funzione importante rispetto anche alle regioni a Statuto speciale.

  ROBERTO RUTA. Spendo quindici secondi per chiedere, rispetto al testo della riforma del Titolo V proposto – lei avrà, ovviamente, guardato anche l'ultima versione – per varie ragioni, qual è la cosa più utile in assoluto di quella riforma del Titolo V, secondo lei, e qual è la cosa che, invece, toglierebbe certamente ?

  PRESIDENTE. Il senatore Ruta è postmoderno.
  Io mi aggancio a questa riflessione sul nuovo Titolo V e, più in generale, sulla riforma del Senato nel nuovo Titolo V, per chiedere alla Presidente Serracchiani – se ne è già parlato sia con esperti, sia con altri presidenti di regione – come valuta la circostanza che nel testo attualmente in Assemblea al Senato, l'atto S.1429, le disposizioni di riforma non si applichino alle regioni a Statuto speciale.
  Questa questione è stata valutata variamente. C’è chi, da una parte, sottolinea che in questo modo, considerazione che è tornata anche nella discussione tra di noi stamattina, si differenzia ulteriormente tra comparto delle regioni ad autonomia ordinaria e comparto delle regioni ad autonomia speciale visto nell'insieme, accentuando ulteriormente i caratteri di specialità e di autonomia delle seconde, mentre, invece, per l'impostazione complessiva del nuovo Titolo V, verrebbero diminuite le garanzie di autonomia delle regioni ad autonomia ordinaria.
  Per contro, c’è chi ha sottolineato un effetto di eterogenesi dei fini, perché la circostanza che la riforma non si applichi alle speciali, ove questa riforma venisse interpretata come possibile e tale da travolgere anche quella clausola di adeguamento alle migliori condizioni di autonomia previste nella legge costituzionale del 2001, paradossalmente finirebbe per mettere in ulteriore difficoltà le stesse regioni ad autonomia speciale.
  Sono questioni molto delicate. Mi sembra corretto, anche approfittando della sua presenza, che ha stimolato, come lei ha visto, molti componenti della Commissione a rivolgere domande, porre a lei anche questa domanda.
  Do la parola alla Presidente Serracchiani per la replica.

Pag. 12

  DEBORA SERRACCHIANI, Presidente della regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Grazie degli interventi, tutti assolutamente stimolanti.
  Svolgo una premessa prima di parlare di costi standard, perché credo che sia fondamentale. Io interpreto, e con me la mia regione, l'autonomia come responsabilità. Se l'autonomia non è responsabilità, non è autonomia. Probabilmente è un privilegio o qualcos'altro, anche nell'interpretazione corrente.
  Se autonomia è responsabilità, questo vuol dire che ci sono dei sistemi macro che vanno profondamente modificati. È vero che il tema non è la siringa, ma sicuramente il tema a monte è, per esempio, il sistema degli appalti. Noi abbiamo fatto una scelta radicale in materia, per cui l'indirizzo che viene dato dall'amministrazione regionale è di eliminare il massimo ribasso e di andare all'offerta economicamente più vantaggiosa.
  Questo per una questione etica, ma anche perché il massimo ribasso ormai è un sistema fuori controllo. Lo dico a persone assolutamente consapevoli, le quali, peraltro, con un gioco assolutamente semplice, un mero osservatorio dell'appalto stesso, possono constatare che alla fine questo costa anche di più, oltre a non avere servizi efficienti. Molto spesso ha dei costi che vengono sommati dopo e che sono assolutamente improponibili.
  Noi abbiamo dato, per esempio, come primo indirizzo, proprio per arrivare a quello scopo, l'offerta economicamente più vantaggiosa. Anche questo significa maggiore responsabilità, perché l'offerta economicamente più vantaggiosa impone che si abbiano delle commissioni che siano in grado di valutare l'offerta economicamente più vantaggiosa e, quindi, competenze, capacità, attenzione e assunzione di responsabilità. Valutare il massimo ribasso è semplice. Non occorre avere una laurea in ingegneria.
  Questo è un primo indirizzo. Il secondo fondamentale è quello di mettere insieme gli acquisti, la logistica e tutto il resto. Stiamo andando in quella direzione, come dicevo, con due macrosegmenti, tenendoli prima separati e poi riunendoli.
  Alla fine arriviamo – noi siamo speciali e li abbiamo chiamati così – ai costi di finalizzazione del servizio, non ai costi standard. Calcolare i costi di finalizzazione del servizio significa che io faccio un parametro non solo sulla siringa, ma anche sull'appalto, sul costo dell'opera. Tutto questo oggettivamente sta riqualificando la spesa.
  Tocco il tema della sanità. Io non posso avere aziende sanitarie che alla fine dell'anno mi fanno un utile, cioè un avanzo, come lo definisco io. Perché no ? Perché, se è sanità, si spende tutto e bene, non si fanno utili sulla sanità. Se noi facciamo utili sulla sanità, vuol dire che abbiamo risorse che possiamo riallocare e che probabilmente, riqualificando il sistema sanitario, ci accorgeremmo di riuscire a mantenere la stessa efficienza, ma con una quadratura dei conti diversa, che ci permette magari di assicurare i servizi che adesso in una zona montana non riusciamo ad assicurare.
  Per quanto il nostro sistema sanitario sia efficiente, non è equo. È inutile prendersi in giro. Come diceva prima il senatore che è intervenuto, se nasco e vivo in un dato luogo della mia regione, ho un dato trattamento dal punto di vista sanitario, mentre, se nasco e vivo in un altro territorio, ce l'ho probabilmente diverso, migliore o quello che è.
  Se vogliamo raggiungere quell'equità, sicuramente la standardizzazione dei costi è necessaria. Tuttavia, se non si fanno queste premesse macro prima, onestamente non serve a molto. Non è vero che, se stabilisco quanto mi costa la penna quando faccio acquisti di cancelleria, o la siringa o altro, risolvo il problema, sebbene ci sia anche quello. Oggettivamente c’è.
  Secondo me, vanno fatti prima dei macrointerventi, che sono delle scelte di indirizzo, come dicevo sugli appalti. Questo è il tema fondante.
  L'altro fondamentale è la semplificazione. Spesso manca la standardizzazione Pag. 13del costo e del servizio, perché oggettivamente i passaggi che si fanno dal punto di vista burocratico sono insostenibili. Spesso si fa lo stesso controllo semplicemente parcellizzandolo su enti controllori diversi. Questo non abbassa il costo o garantisce l'efficacia del servizio, anzi, il più delle volte appesantisce il servizio e non garantisce, peraltro, neppure il controllo.
  Noi ci stiamo attrezzando per una digitalizzazione dei servizi molto forte. Da noi, devo dire, essa è indietro in alcuni settori. Penso, per esempio, alle ricette online fatte dal medico. Da noi non raggiungono l'1 per cento. Si potrebbe dire che la popolazione è anziana e che è difficile. No, è anche mancanza di voglia, nel senso che non si sono messi in rete i medici di medicina generale e non si sono create le condizioni perché ci sia la digitalizzazione.
  Secondo me, il sistema della digitalizzazione, comprese le gare online, è uno strumento assolutamente utile. Parliamoci chiaro: tutti gli strumenti sono utili, se usati bene. Questo è un po’ il discorso che abbiamo fatto guardando anche la diversità delle speciali.
  Io penso, per esempio, che la Sicilia non abbia usato male la specialità. Semplicemente non l'ha usata. Non ha fatto alcunché per utilizzare la specialità. Laddove ci sono settori in cui può utilizzare la specialità, non l'ha fatto. Ha usato in modo diverso le risorse, il che è un altro discorso. Se l'abbia fatto bene o male questo non sta a me giudicarlo.
  La questione della creazione di macrosistemi che aiutino e indirizzino le procedure amministrative è fondamentale per arrivare poi ai costi standard. Sicuramente, però, se non c’è prima questo macroindirizzo, che è il più difficile da impostare, non ne veniamo fuori.
  Occorrono, peraltro, programmi che si parlino. L'Agenzia delle entrate deve poter parlare all'Agenzia del territorio, l'Agenzia del territorio deve poter parlare con l'INPS, l'INPS deve poter parlare con la regione e la regione deve poter parlare con gli enti locali. Non è così neanche da noi, perché i sistemi informatici spesso parlano lingue diverse.
  Questo per dire che non è sufficiente pensare che mettiamo tutto online perché funzioni. Purtroppo, bisogna fare prima un'operazione a monte di standardizzazione dei sistemi, operazione che negli anni non è stata fatta.
  Io sono molto favorevole a un intervento sostitutivo dello Stato laddove la regione non riesca. Lo dico proprio con grande onestà. Sono dell'idea, anzi, che spesso dovremmo evitare di lasciar passare del tempo e intervenire immediatamente in modo efficace. Sono molto favorevole ai poteri sostitutivi, perché sono molto favorevole al fatto che, se una regione ha le condizioni per poterlo fare, deve ricevere per delega alcune competenze. Credo che la riforma dell'articolo 116 sia una riforma che va nel senso giusto, anche rispondendo alle esigenze, per esempio, del Veneto, che, secondo me, ha un po’ sbagliato, se posso permettermi, negli anni la sua tattica. Se uno chiede prima la secessione e poi l'indipendenza, è difficile che ottenga anche solo l'autonomia, ma questo è un pensiero mio.
  Se, invece, l'autonomia è responsabilità e si arriva a dire che su una materia si mette a disposizione se stessi, perché ci si sente in grado di gestirla al meglio, è giusto che dall'altra parte venga consentito di esercitare questa responsabilità, come, allo stesso tempo, se la si esercita male, è giusto che intervenga qualcuno a toglierla immediatamente.
  Io vedo l'opportunità nella riforma del Titolo V in questo senso. Da una parte, c’è una normalizzazione che su alcune materie, onestamente, è benvenuta. Penso alle grandi infrastrutture energetiche. Onestamente, se riteniamo che facciano parte del sistema Paese, pensare che il comune di Pinco Pallino blocchi l'elettrodotto, la TAV o altro – lo dico non per banalizzare – forse qualcosa che non va nella procedura complessiva c’è.
  Se alcune grandi infrastrutture tornano al Governo in una procedura sicuramente partecipata e condivisa con la regione in Pag. 14modo che essa possa fare la sua parte, va bene. In altri casi devo dire che la riscrittura dell'articolo 116, se davvero il sistema delle deleghe verrà utilizzato in modo virtuoso, io penso sia un lumino che si accende sulla possibilità, probabilmente federalista, di avere alcune competenze.
  Non so se il numero della popolazione, in realtà, sia discriminante. È un problema culturale. Lo vedo anche nei miei comuni. È difficile mettere insieme dei comuni che, pur contando 200 persone da una parte e 100 dall'altra, schierano l'esercito appena si dice loro che dovrebbero mettere l'anagrafe insieme.
  Francamente, è una sfida culturale che deve affrontare il Paese. Ormai lo stanno facendo in tanti. Certo, potrei citare l'ultima fusione tra municipalità che è stata fatta in Cina e che ci ha regalato una città da 31 milioni di abitanti. Non dico che noi arriviamo a tanto, ma io credo che ci siano le condizioni per far bene a prescindere dal numero della popolazione.
  Certo, se guardo la mia regione, che non arriva a 1.220.000 abitanti, è chiaro che in molti settori l'ambito regionale è l'ambito ottimale. Questo è evidente. Per esempio, nel sistema dei rifiuti noi stiamo cercando di aggregare concessionari che prima avevano un sistema provinciale, che, però, onestamente, per i motivi di cui sopra, forse è il caso che superiamo, come nel caso dell'ATO per quanto riguarda l'acqua.
  Noi l'abbiamo già fatto in alcuni settori e lo stiamo facendo per il trasporto pubblico locale. Siamo tra le poche regioni, con la Toscana e l'Emilia-Romagna, che stanno scrivendo il bando per la gara del trasporto pubblico su ferro e su gomma, devo dire con difficoltà enormi e nella totale assenza di linee guida standard nazionali. Ciò vuol dire che ogni regione sta cercando di capire come fare il bando di gara senza incorrere in ricorsi.
  Da una parte, questo, se non altro, ha prodotto la conseguenza che i quattro concessionari sono costretti a mettersi insieme per partecipare alla gara, perché da soli non ce la farebbero. Questa è già una forma di aggregazione importante, che crea economie di scala. Dall'altra parte, è un'apertura del mercato: vincono loro oppure arriva un altro soggetto che fa l'offerta migliore e vince.
  Sinceramente, io sono dell'idea che siamo chiamati, anche in questo caso, all'accettazione di questa sfida culturale. Se pensiamo ormai di supportare la friulanità o l'italianità o facciamo finta che non siamo in Europa quando non ci conviene, sinceramente non andiamo molto lontano.
  Sul trasporto pubblico locale, fermo restando che io mi auguro che il Governo prenda decisioni importanti riguardo la possibilità di mettere i finanziamenti e gli investimenti fuori dal Patto di stabilità e di dividere il materiale rotabile dal costo del servizio, tutto quello che viene ben venga. Se, però, di fatto l'Europa va nella direzione di chiedere la procedura di gara, questo deve essere fatto da tutte le regioni. Pensare che continuiamo a chiedere proroghe e deroghe attendendo l'infrazione comunitaria mi sembra francamente, in un settore delicatissimo come quello del trasporto pubblico, un bel problema.
  Aggiungo che il 70 per cento delle imprese italiane che fanno trasporto pubblico locale sono sull'orlo del fallimento. Questo è un dettaglio sul quale forse una riflessione anche di emergenza andrebbe fatta.
  Io penso, quindi, che la specialità sia attuale in questo senso, cioè nel senso di utilizzarla come responsabilità e come utilità, se non indispensabilità, per il Governo. Non credo che alla fine verrebbe fuori, se si utilizzasse in modo virtuoso l'articolo 116, comma 2, una sorta di Arlecchino. Penso, viceversa, che sarebbe il modo migliore per guardare all'obiettivo finale. Se l'obiettivo finale è l'efficienza del servizio e quella competenza viene esercitata bene dal livello regionale, che la faccia il livello regionale, tanto più in regioni che, come la mia, per esempio, hanno il 40 per cento di area montana. Non posso trattare allo stesso modo l'area urbana di Udine rispetto a Tarvisio o Tolmezzo. Sono oggettivamente aree diverse.Pag. 15
  Tenuto fermo questo, la direzione che il Governo aveva assunto anche in passato con le aree a burocrazia zero o la fiscalità di vantaggio può rappresentare degli obiettivi alla portata, sui quali forse una riflessione andrebbe fatta.
  Per venire al Veneto, intanto Autovie Venete, che è per oltre l'80 per cento del Friuli-Venezia Giulia, ha fatto la terza corsia solo in Veneto. La terza corsia, che va da Venezia a Trieste, va assolutamente completata, anche perché è l'unica arteria autostradale che abbia un aumento di traffico nonostante la crisi, ma ha il problema della copertura finanziaria. Questo perché nasce con un Piano economico-finanziario assolutamente borderline, che la crisi ha definitivamente abbattuto.
  Noi abbiamo riaggiornato il Piano economico-finanziario e siamo ricorsi a una richiesta di intervento del Governo. Che una regione pensasse di poter far da sola un'autostrada è obiettivamente impossibile, tanto più che si tratta di un'opera al servizio del Paese, anzi dell'Europa – ricordiamoci che ci porta dall'altra parte – e sarebbe stato veramente un po’ strano.
  Abbiamo un problema di copertura finanziaria, questo sì, ma c’è una consapevolezza. Parlando con il presidente Zaia, ma anche con il presidente Maroni, quando abbiamo avuto la possibilità di confrontarci, noi abbiamo constatato di avere un sistema delle autostrade veramente allucinante, in cui nel Nord c’è il maggior numero di frammentazioni.
  L'Europa ci chiede di fare aggregazioni. Noi potremmo fare aggregazioni e in cambio magari ottenere, visto che dobbiamo fare gli investimenti, una proroga delle concessioni che ci permetta di fare investimenti.
  Il fatto vero – lo dico qui, ma ci sono anche degli esperti – è che nei prossimi cinque anni noi rischiamo di bloccare gli unici investimenti sulle infrastrutture che già ci sono. Ci sono già i soldi, ma non riusciamo a spenderli, perché, andando ad affrontare i termini della gara, per cinque anni quegli investimenti rimarranno fermi. Questo è un dato di fatto sul quale probabilmente bisognerà confrontarsi.
  In realtà, io non so se siano ragioni storiche quelle che stanno dietro i referendum di Sappada o di altri comuni, però bisogna anche seguire i flussi culturali. Portogruaro, chiudendo il proprio tribunale, è passato sotto Pordenone. Nessuno ha schierato l'esercito, perché il portogruarese guarda già al Friuli-Venezia Giulia, pur non essendone parte, pur non chiedendo, in buona parte, di esserne parte e pur non volendolo il Friuli-Venezia Giulia.
  Tuttavia, se noi continuiamo a disegnare i nostri confini come se fossero davvero confini invalicabili, non faremo un servizio al Paese. Io credo, francamente, che dobbiamo ormai entrare nella logica che, così come seguiamo i flussi delle merci per capire qual è l'interporto di riferimento di un porto, dobbiamo capire i flussi culturali dei nostri cittadini per vedere dove guardino. Questo credo sia nell'ordine delle cose.
  Tornando all'autonomia come responsabilità, diceva l'onorevole Gigli che abbiamo qualcosa da aggiustare sicuramente sulle partecipate. Quando c'erano le risorse, una cosa che la politica ha fatto è stata creare le condizioni per avere tante scatole e tanti contenitori nei quali mettere tanto. Noi le stiamo riordinando, con fatica, ma ci riusciremo.
  Questo fa parte del tasso di innovazione regionale di cui sopra. La crisi l'ha messo a dura prova, ma, secondo me, è anche un'opportunità di autogoverno importante. Non l'abbiamo sfruttato nel settore dell'ambiente, questo è indubbio, anche se adesso se ci offrono le opportunità, attraverso gli accordi di programma, noi saremmo in grado veramente di fare, rispetto ai risanamenti ambientali, parecchia strada.
  Che cosa tolgo e che cosa lascio del Titolo V ? Sicuramente lascio l'articolo 33, che dice che non si applica alle regioni a Statuto speciale, previa intesa. Questo è importante, perché quel «previa intesa» vuol dire che c’è la consapevolezza da parte delle regioni a Statuto speciale che anche noi dobbiamo fare un passo in più.Pag. 16
  Il problema è che, se in questo momento – so che è materia cara a parecchi senatori e deputati, ed è normale che lo sia – venisse fuori un emendamento che dice che viene eliminata la regione a Statuto speciale Friuli-Venezia Giulia, smontare il modello a cui siamo arrivati è impossibile. Semplicemente blocchiamo quello che c’è. Bisogna averne la consapevolezza. Significa che vi fate carico di 2,5 miliardi di servizio sanitario e di 180 milioni di trasporto pubblico locale. Se volete, io vi consegno le chiavi.
  Al di là di questo, sicuramente lascio, questo sì, l'articolo 116 sulle deleghe, che, secondo me, se utilizzato bene, può essere veramente utile per quel discorso di scambio di competenze.
  Cosa tolgo ? Il primo testo non mi piaceva per niente. Questo lo trovo più equilibrato, anche nel sistema delle competenze. Tenete presente che noi oggi ci risolviamo i problemi col Governo davanti alla Corte costituzionale. Non si può andare avanti così. Non si può avere la Corte costituzionale che ogni volta impugna.
  Secondo me, bisogna arrivare a quel modello. Ovviamente, io preferirei un po’ meno centralismo, questo sì, ma nella logica in cui si affida a chi ce la può fare il compito di farcela da solo e a chi non ce la può fare si dice: «Per un pezzo ti accompagno e poi dovrai andare da solo». Questo è il principio, secondo me, che forse nel testo non è colto fino in fondo.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. La preoccupazione che è emersa nel corso dell'audizione è proprio che, invece, alcuni testi rischino di provocare un ulteriore contenzioso costituzionale. Questa è la preoccupazione che è emersa.
  Grazie alla Presidente Serracchiani. È stata un'audizione lunga, ma sicuramente fruttuosa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.20.