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Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

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XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 5 di Martedì 14 aprile 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione dei professori Luca Antonini ed Ernesto Longobardi.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Longobardi Ernesto , Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 9 
Antonini Luca , Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 9 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 15 
Antonini Luca , Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 16 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 16 
Antonini Luca , Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 16 
Longobardi Ernesto , Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro ... 17 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 17 
Antonini Luca , Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova ... 17 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 18

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 9.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione dei professori Luca Antonini ed Ernesto Longobardi.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di Luca Antonini, professore ordinario di diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova, e di Ernesto Longobardi, professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse alle procedure di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e in tale contesto al ruolo delle commissioni paritetiche previste dagli istituti medesimi.
  Do la parola al professor Longobardi per lo svolgimento della sua relazione.

  ERNESTO LONGOBARDI, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro. Grazie, presidente.
  Io vorrei fare una brevissima premessa: io sono un economista. Un professore di scienza delle finanze si occupa della finanza pubblica dal punto di vista economico e non dal punto di vista giuridico. Probabilmente è bene dire questo, perché molti dei quesiti che ci sono stati trasmessi da parte della Commissione sono prettamente di natura giuridica, di diritto costituzionale e via dicendo. Io non sono la persona adatta a trattarli sotto questo profilo.
  Peraltro, la Commissione già nella precedente indagine sulle autonomie speciali aveva audito molti autorevoli giuristi e si appresta a sentirne altri in questa fase dell'indagine, a cominciare dal professore Antonini che sarà audito oggi.
  Pertanto, io mi attengo agli aspetti di natura economico-finanziaria del problema delle relazioni fra Stato e autonomie speciali.
  Vorrei anche dire, perché credo che sia un problema che ci si debba porre, che probabilmente sia il professor Antonini sia chi vi parla sono auditi, non solo come studiosi e come docenti universitari, ma anche come membri della Commissione tecnica paritetica per l'attuazione del federalismo fiscale (COPAFF). Il professor Antonini è presidente della COPAFF e io sono un membro della COPAFF dalla costituzione.
  Lo dico semplicemente perché il ruolo di questa commissione è qualcosa sul quale bisogna riflettere. È una commissione tecnica intergovernativa che ha avuto un notevole ruolo nell'attuazione della riforma del federalismo fiscale, della legge-delega n. 42 del 2009, che adesso sta in una fase di stand by, probabilmente in attesa che si capisca come riaffrontare il complesso delle questioni dei rapporti finanziari intergovernativi. Ci tenevo a segnalarvi questo.
  La commissione in questo momento è in qualche modo dormiente, anche perché Pag. 4con la costituzione della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, prevista dall'articolo 3 della legge n. 42 del 2009, presso il Dipartimento degli affari regionali, la COPAFF diventa il supporto tecnico di tale Conferenza. Siccome la stessa Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, per quanto istituita sotto il Ministro agli affari regionali Delrio, non ha cominciato l'attività, anche la COPAFF è rimasta in questa situazione.
  Credo che peraltro il tema degli organismi che debbono trattare i temi delle relazioni finanziarie intergovernative sia un problema che la Commissione deve porsi.
  Vengo ora al merito della mia audizione. Intenderei dividere questa esposizione in due parti. In una vorrei cercare di richiamare come è cambiato lo scenario per quanto riguarda quello che noi chiamiamo «il federalismo fiscale», che io preferisco chiamare «lo scenario delle relazioni finanziarie intergovernative» o «l'assetto della finanza multilivello», da quando è stata concepita la riforma poi messa in atto con la legge-delega n. 42 del 2009 e con i successivi nove decreti delegati. Lo scenario è profondamente cambiato.
  Nella seconda parte, invece, vorrei rispondere a uno dei quesiti che sono stati posti. Vorrei, cioè, cercare di riflettere su qual è la natura degli ultimi accordi che sono stati siglati fra il Governo e le autonomie speciali, per vedere in che direzione si sta andando dal punto di vista delle intese che sono state firmate.
  Quello che bisogna dire per quanto riguarda lo scenario complessivo delle relazioni finanziarie intergovernative è che la riforma del federalismo fiscale è rimasta largamente inattuata. Già i nove decreti delegati interpretavano, a mio modo di vedere, la legge-delega n. 42 in un modo abbastanza restrittivo, poco coraggioso e anche discutibile per diversi profili dal punto di vista tecnico. Successivamente i nove decreti delegati hanno trovato un'attuazione molto parziale.
  In particolare – credo che questo aspetto riguardi molto da vicino questa Commissione – è tutta la parte della riforma attinente alle regioni a statuto ordinario che non è stata attuata. Questo è stato un difetto ab origine, nel senso che la cosa comincia già nell'estate del 2010, dopo l'attento lavoro che era stato fatto da COPAFF e Ragioneria generale dello Stato per quantificare specificamente per ogni capitolo di bilancio i trasferimenti dello Stato alle regioni, che dovevano costituire l'oggetto della cosiddetta «fiscalizzazione», cioè della trasformazione dei trasferimenti in imposte regionali. Nell'estate del 2010, gran parte dei trasferimenti fu tagliata da un giorno all'altro per uno dei primi provvedimenti emergenziali di consolidamento della finanza pubblica attuato dal Ministro Giulio Tremonti.
  Questo ha implicato una serie di conseguenze a catena. Direi che tutti gli aspetti attinenti alla finanza regionale non sono stati applicati. Ve li elenco molto brevemente.
  La fiscalizzazione dei trasferimenti statali non è stata attuata, perché i trasferimenti sono in larga misura scomparsi, a partire da quel provvedimento e passando ai successivi.
  Non si sono neanche fiscalizzati gli altri trasferimenti, quelli dalla regione agli enti locali, che costituivano un pezzo importante della riforma. Non si è riformata la compartecipazione regionale IVA, che era un pezzo importante. Non si è riformata l'addizionale regionale IRPEF. Non si sono riformati gli altri tributi regionali, a partire dall'IRAP.
  Non si è arrivati a quel pieno riconoscimento della potestà regionale di istituire con legge regionale i tributi propri, che era uno degli scopi principali della legge n. 42, come legge di coordinamento della finanza pubblica ai sensi della riforma del Titolo V della Costituzione, la legge costituzionale n. 3 del 2001.
  Non si sono fissati i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) e non si sono determinati i fabbisogni standard per Pag. 5quanto riguarda le funzioni fondamentali (sanità, istruzione, trasporti locali eccetera).
  Non si è costruito il sistema perequativo, che era un'altra parte importantissima.
  Direi che tutto il comparto della finanza regionale non è stato riformato, tanto è vero che ai tavoli intergovernativi e alle sedi di lavoro della COPAFF, a partire da quella fase, le regioni non hanno più partecipato attivamente. Hanno partecipato molto attivamente nel periodo che va dal luglio 2009 fino all'estate del 2010. Dopodiché, dall'estate del 2010, in seguito a quei provvedimenti, le regioni si sono messe in una posizione passiva e di attesa rispetto al livello complessivo della riforma.
  Altri spezzoni della riforma, aldilà della finanza regionale, sono andati avanti. Ve ne segnalo in particolare due, perché hanno rilievo per quanto andremo a dire in termini di autonomie speciali.
  Il primo spezzone è la costruzione dei fabbisogni standard dei comuni e delle province e di recente anche delle capacità fiscali dei comuni, che sono uno strumento fondamentale della costruzione del sistema perequativo degli enti locali.
  L'altro pezzo di riforma su cui si sono fatti dei significativi passi avanti è quello dell'armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio, in base al decreto legislativo n. 118 del 2011, poi corretto e integrato dal decreto legislativo n. 126 del 2014.
  Nello stesso tempo, sempre rimanendo in termini di descrizione dello scenario complessivo delle relazioni finanziarie intergovernative, ci sono stati altri passaggi di riforma fondamentali, che non erano previsti quando fu disegnata la legge n. 42.
  Uno di questi è stato l'introduzione del criterio del pareggio di bilancio in Costituzione, con la legge costituzionale n. 1 del 2012 e poi con la legge rafforzata n. 243 del 2012. Un altro passaggio, di recente, è stato la riforma dell'ente intermedio, la città metropolitana e il nuovo ente di area vasta, con la legge n. 56 del 2014.
  In prospettiva (probabilmente è una prospettiva abbastanza ravvicinata), c’è anche la nuova riforma costituzionale del Titolo V, in discussione in Parlamento, che restringe molto notevolmente – questo è importante – il ruolo delle regioni nel contesto del federalismo fiscale.
  Adesso non possiamo soffermarci su questo aspetto, ma mi pare che il disegno di riforma costituzionale che si sta discutendo sancisca definitivamente la crisi del modello regionale, perché il nostro è un modello più regionale che di federalismo fiscale.
  Vengo alla seconda parte, quella più specifica dell'oggetto dell'indagine, cioè gli sviluppi più recenti dei rapporti finanziari fra lo Stato e le autonomie speciali, soprattutto per quanto riguarda gli accordi sulle relazioni finanziarie.
  Il riferimento normativo, come la Commissione sa, è stato in questi anni l'articolo 27 della legge 42 del 2009, che, a mio modo di vedere, aveva due principali aspetti.
  Il primo aspetto era quello di coinvolgere le autonomie speciali, evidentemente su base pattizia, nel processo di riforma delle relazioni finanziarie intergovernative, ovvero nel processo di federalismo fiscale, sotto due principali profili. Uno è quello della razionalizzazione della spesa pubblica, cioè quello del consolidamento finanziario e dei risparmi di spesa. L'altro è quello della solidarietà e della perequazione.
  Il comma 2 dell'articolo 27 parla degli svantaggi strutturali permanenti, ove ricorrano, dei costi dell'insularità, dei livelli di reddito pro capite che caratterizzano i rispettivi territori, delle modalità attraverso le quali lo Stato assicura il conseguimento degli obiettivi costituzionali di perequazione e di solidarietà per le regioni a statuto speciale, i cui livelli di debito pro capite sono inferiori alla media eccetera.
  In qualche modo si prefigurava fra le righe, in maniera forse non ben delineata, accanto al sistema perequativo delle regioni e al sistema perequativo dei comuni, anche un sistema perequativo per le autonomie Pag. 6speciali, aspetto che – è inutile sottolinearlo – è estremamente delicato.
  Direi che gli sviluppi che ci sono stati successivamente hanno guardato più al primo comma dell'articolo 27, cioè alle esigenze di risparmio di spesa e a quelle di razionalizzazione e di consolidamento fiscale.
  Ricorderete che avevamo avuto tre principali accordi tra il 2009 e il 2010. Il primo fu l'accordo di Milano con la regione Trentino-Alto Adige e con le province autonome. Nell'ottobre dell'anno successivo ci fu l'accordo di Roma, il cosiddetto «patto Tremonti-Tondo», con la regione Friuli-Venezia Giulia. Nel novembre del 2010 ci fu invece l'intesa fra il Governo e la Valle d'Aosta. Credo che questi siano i tre accordi che sono stati fatti immediatamente nella fase di attuazione della legge 42. Erano accordi prevalentemente improntati all'esigenza del risanamento fiscale.
  Ricordatevi che nell'estate del 2010 comincia l'inferno della crisi finanziaria, la forte crisi del debito pubblico italiano, che si protrae fino all'autunno del 2011 e che porterà poi al passaggio di Governo. Pertanto, l'esigenza primaria era quella di lanciare segnali di razionalizzazione della spesa pubblica.
  Gli accordi più recenti sono almeno in parte diversi. Quali sono gli accordi recenti siglati in questa legislatura ? Ci sono due accordi molto importanti. Uno è quello con la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome dell'ottobre 2014, cioè di qualche mese fa. Sempre nell'ottobre 2014 c’è stato un altro importante accordo, sebbene, a mio avviso, di minore spessore, fra il Governo e la regione Friuli-Venezia Giulia.
  Ci sono poi due accordi, che hanno chiaramente una portata minore e una natura molto più contingente, quelli con la regione Sardegna e con la regione Sicilia.
  I due accordi veramente importanti, sui quali credo che si debba riflettere, sono quello con il Trentino-Alto Adige, Trento e Bolzano e quello con il Friuli-Venezia Giulia. Mi soffermerei brevemente su questi due accordi.
  Quello più importante, che secondo me – magari cercheremo di riflettere sotto questo profilo – potrebbe costituire un modello di riferimento per gli sviluppi futuri, è quello con la regione Trentino-Alto Adige e con le province autonome, sottoscritto il 15 ottobre 2014.
  È un accordo che tende a conferire un assetto stabile di lungo periodo ai rapporti fra lo Stato, la regione e le autonomie speciali della regione. Si ridetermina il contributo alla finanza pubblica che era stato pattuito con l'accordo di Milano che abbiamo ricordato poc'anzi, sia in termini di saldo netto da finanziari sia in termini di indebitamento netto, per il periodo 2014-2017. Questo aspetto è stato recepito, come la Commissione sa, dalla legge di stabilità del 2015 al comma 410 dell'articolo 1.
  Per il periodo 2018-2022, rimane fisso l'importo complessivo del contributo al risanamento della finanza pubblica da parte dei tre organismi, la regione Trentino-Alto Adige e le due province, che è di circa 905 milioni all'anno a partire dal 2017.
  Si prevede che dal 2023 sia rideterminato annualmente, in ragione dell'evoluzione degli oneri del debito pubblico pagati sul debito statale, perché – questo è importante e forse era la prima cosa da dire – il contributo delle autonomie speciali della regione alla finanza pubblica viene ridefinito esclusivamente in termini di concorso al pagamento degli oneri del debito pubblico.
  Un altro aspetto molto importante è che dal 2016 la regione e le province autonome si impegnano al pareggio di bilancio, come previsto all'articolo 9 della legge n. 243 del 2012, legge rinforzata di attuazione della riforma costituzionale del pareggio di bilancio.
  Per due anni, dal 2016 al 2017, si mantiene un regime transitorio, nel senso che le autonomie speciali si impegnano ad accantonare risorse sia in termini di cassa sia in termini di competenza, per far sì che il passaggio dal patto di stabilità attualmente vigente al criterio del pareggio di bilancio non comporti un peggioramento Pag. 7dei saldi di finanza pubblica. Ci sono, quindi, due anni «cuscinetto», in cui si deve governare il passaggio dal sistema del patto di stabilità interno al principio del pareggio di bilancio.
  Dal 2018, invece, le autonomie speciali escono totalmente dal patto di stabilità interno. In altre parole, muore il patto di stabilità interno e si applica solo il principio del pareggio di bilancio, così come delineato dall'articolo 9 della legge n. 243. Questo è estremamente importante. In fondo è immediato, perché è dall'anno prossimo, salvo questo biennio di aggiustamento, che è il biennio 2016-2017.
  Le due tipologie di contributi che le autonomie speciali fornivano al risanamento della finanza pubblica, cioè quelli in termini di saldo netto da finanziare del bilancio statale e quelli in termini di indebitamente netto, perdono ogni ragione di essere.
  Come sapete, il contributo in termini di indebitamento netto deriva dal patto di stabilità interno. Si trattava di realizzare dei risparmi di spesa che consentissero una riduzione dell'indebitamento netto complessivo del conto consolidato delle amministrazioni pubbliche.
  Questo contributo in termini di indebitamento netto viene meno, perché viene semplicemente meno il patto di stabilità interno.
  Come sapete, quello in termini di indebitamento netto era un contributo che per le regioni, sia ordinarie che speciali, si risolveva in un controllo della spesa, mentre per le autonomie locali si esprimeva in termini di saldo di competenza e dopo di saldo eurocompatibile.
  Questo non ha più ragione di essere, perché dal 2016 in poi le autonomie speciali del Trentino avranno il pareggio di bilancio e non avranno più il patto di stabilità interno.
  Dunque, cosa rimane ? Rimane il fatto che il debito pubblico che si è accumulato negli anni, con il concorso di tutti i livelli di governo, è pagato dallo Stato, il quale paga gli oneri. Dunque, il contributo delle autonomie del Trentino Alto Adige alla finanza pubblica si qualifica come contributo al pagamento degli interessi.
  La logica mi sembra assolutamente ben delineata. Quello che rimane a regime è un contributo al pagamento degli interessi. Non c’è più bisogno di migliorare l'indebitamento netto come saldo fra spese finali ed entrate finali del conto economico consolidato delle amministrazioni pubbliche, perché c’è il pareggio di bilancio. Oltre il pareggio di bilancio, le autonomie speciali contribuiscono al pagamento degli oneri del debito pubblico.
  Questi oneri del debito pubblico vengono annualmente adeguati. La quota a carico delle autonomie del Trentino Alto Adige viene adeguata nel tempo, a seconda dell'andamento complessivo degli oneri del debito pubblico. Pertanto, se la situazione continuasse ad andar bene, con la riduzione dello spread e del prezzo degli interessi, di questo beneficerebbero ovviamente anche questi enti.
  Si prevede poi che questo contributo possa essere aumentato unilateralmente dallo Stato, senza passare per una nuova intesa, della misura massima del 10 per cento, per far fronte a esigenze eccezionali di finanza pubblica. Se si dovessero verificare delle situazioni eccezionali di finanza pubblica, lo Stato potrebbe unilateralmente aumentare questo contributo del 10 per cento, aldilà di quanto giustificato dall'andamento degli oneri del debito pubblico. Importi superiori, invece, devono essere concordati tra lo Stato e le autonomie speciali.
  Non sono ammesse, invece – questo è un punto, secondo me, importante per dare stabilità e trasparenza alle relazioni finanziarie tra il centro e le autonomie speciali – riserve di gettito dello Stato su altri tipi di imposte.
  Si dice solo che, se c’è del gettito derivante da maggiorazioni di aliquote o di nuovi tributi, per coprire spese di carattere transitorio ai sensi degli obblighi di copertura di cui all'articolo 81 della Costituzione, su questo può non esserci la compartecipazione territoriale, quindi ci Pag. 8può essere una riserva dello Stato. L'unica riserva dello Stato sul gettito è questa.
  Mentre in questi anni abbiamo avuto continue incursioni dello Stato, che hanno dato luogo a un contenzioso enorme presso la Corte costituzionale, nelle risorse potenzialmente devolute alle autonomie speciali, a fini di risanamento della finanza, adesso il quadro dovrebbe essere contraddistinto da una netta delimitazione delle specifiche responsabilità e degli specifici ambiti finanziari.
  Un punto importante dell'accordo è che le autonomie speciali del Trentino si impegnano a recepire tutte le disposizioni relative a quel processo a cui accennavo poc'anzi, che è quello dell'armonizzazione dei bilanci pubblici e degli schemi contabili con gli sviluppi che hanno avuto. Adesso siamo ormai prossimi a una conclusione dell'armonizzazione dei princìpi contabili.
  Inoltre, le autonomie speciali si impegnano a ritirare tutti i ricorsi presentati alla Corte costituzionale in materia di rapporti finanziari fra le autonomie speciali e il Governo. Uno dei principali obiettivi di questo accordo è stato proprio quello di eliminare tutto il contenzioso pendente fra le autonomie e lo Stato davanti alla Corte costituzionale.
  Vi parlo brevemente del secondo accordo, quello con il Friuli-Venezia Giulia. L'impianto è simile a quello dell'accordo con il Trentino-Alto Adige, però è nel complesso più debole, prima di tutto perché non è permanente, cioè riguarda solamente il periodo 2014-2017 e quello antecedente. Infatti, si ridefiniscono i rapporti finanziari 2011-2017. Tuttavia, dal 2017 andranno rinegoziati.
  Allo stato il rapporto finanziario tra Stato e Trentino-Alto Adige è definitivamente disegnato. Non ci sarà bisogno di ritoccarlo, anche se ovviamente alcune cose cambieranno. Invece, l'accordo con il Friuli-Venezia Giulia è transitorio, cioè è solamente fino al 2017.
  Un altro aspetto che qualifica l'accordo con la regione Friuli-Venezia Giulia come un accordo più debole e meno innovativo di quello con il Trentino-Alto Adige è che non si prevede il passaggio dal patto di stabilità interno al principio del pareggio di bilancio.
  Pertanto, per quanto il contributo della regione Friuli-Venezia Giulia alla finanza pubblica venga ridefinito, rimane ancora articolato sui due perni tradizionali di contributo all'indebitamento netto, cioè nella sostanza di controllo della spesa, e di contributo al saldo netto da finanziare dello Stato, cioè in termini di travaso di entrate.
  Il contributo in termini di saldo netto da finanziare è un travaso di entrate dall'autonomia interessata al bilancio statale. Penso che questo sia chiaro a tutti.
  Mentre l'indebitamento netto è di un conto consolidato, che consolida Stato e altre amministrazioni centrali, amministrazioni locali ed enti di previdenza, il saldo netto da finanziare è un saldo che riguarda il bilancio statale.
  Pertanto, mentre il contributo in termini di indebitamento netto è automatico, cioè sono le variazioni del bilancio dell'autonomia che si trasferiscono automaticamente in sede di consolidamento sul saldo delle amministrazioni pubbliche, il contributo in termini di saldo da finanziare sono i soldi che, in una forma tecnica o nell'altra, vengono tolti all'autonomia e messi nel bilancio statale, non nel conto economico consolidato.
  Passo a delle brevi conclusioni. Secondo me, il problema del rapporto con le autonomie speciali va ripensato nell'ambito di questo nuovo scenario che si è andato determinando per quanto riguarda la finanza multilivello rispetto a quello che avevamo presente nel 2009-2010, che è totalmente modificato.
  Da questo punto di vista, io credo che sia importante avere la consapevolezza della rilevanza della delega governativa che si è riaperta con la legge n. 56 del 2014, in tema di riaggiornamento delle norme sul federalismo fiscale previste dalla legge n. 42.
  La legge n. 56, la legge Delrio, tra le tante cose, come voi tutti sapete, prevede una delega al Governo da esercitarsi entro 12 mesi a partire dall'emanazione del Pag. 9decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sulla riallocazione delle risorse, in vista della riallocazione delle funzioni. Questo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è recentissimo (è passato un mese), quindi abbiamo di fronte undici mesi per riprendere tutte le norme della legge n. 42 che si ritengono ancora utili al quadro delle relazioni finanziarie intergovernative.
  Secondo me, questa è un'occasione da non sprecare, perché bisogna sciogliere questa ambiguità con cui si continua a fare riferimento alla legge n. 42, quando gran parte di questa legge è morta, non è stata attuata e non potrà più essere attuata in questo quadro. Ci sono, invece, dei segmenti di quella riforma che sono tutt'oggi molto importanti.
  Io credo che sia assolutamente importante riflettere su un buon uso da parte del Governo di quella delega.
  Una conclusione di quanto ho provato a raccontare è l'importanza dell'accordo col Trentino-Alto Adige che, secondo me, potrebbe essere di modello anche per le altre autonomie speciali, anche se – bisogna dirlo – c’è una certa difficoltà a replicarlo, soprattutto per le due regioni meridionali, la Sardegna e la Sicilia.
  Come la Commissione sa bene, questa è una partita aperta. Queste regioni presentano alcune specificità, a cominciare dal fatto che non hanno assunto in proprio la finanza locale, anche se sembra che la Sardegna si stia apprestando a farlo, a differenza delle altre tre regioni a statuto speciale. Questo fa una notevole differenza.
  Peraltro, uno dei punti che ho dimenticato di segnalare quando vi parlavo di fabbisogni standard dei comuni e delle province è la grossa anomalia secondo la quale questo lavoro enorme, anche dal punto di vista dell'investimento conoscitivo che si è conseguito sui fabbisogni standard, ha lasciato fuori la Sicilia e la Sardegna.
  Infatti, i comuni e le province di Sicilia e Sardegna non hanno neanche trasmesso i dati e non sono neanche stati coinvolti in quel grosso processo di raccolta dei dati che ha effettuato la SOSE sulle situazioni generali della finanza dei comuni e delle regioni a statuto ordinario.
  Questo è un peccato, anche in vista dell'eventuale trasferimento della finanza locale alle due regioni, Sicilia e Sardegna, perché, se avessimo i fabbisogni standard di quelle regioni, sarebbe più facile vedere come ridefinire, al momento del passaggio, il quantum delle risorse da riconoscere alle regioni.
  Sapete bene che in questa specifica ottica la regione siciliana ha dei problemi del tutto particolari, perché c’è un grosso squilibrio, per quanto parzialmente corretto, fra le risorse devolute e le funzioni che si sono assunte con i provvedimenti di attuazione dello statuto speciale.
  C’è soprattutto il fatto che la situazione finanziaria della regione Sicilia rimane assolutamente precaria e, quindi, probabilmente per questa regione c’è bisogno di un lavoro ad hoc di transizione, prima di poter applicare modelli tipo quello molto buono che è stato sancito con l'accordo fra lo Stato e la regione Trentino-Alto Adige.

  PRESIDENTE. Ringrazio di cuore il professor Longobardi per la disponibilità, per la relazione e anche per le slide che ci ha consegnato, che sono molto utili.
  Cedo la parola al professor Luca Antonini per lo svolgimento della sua relazione.

  LUCA ANTONINI, Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Grazie, presidente. Io ho organizzato le vostre domande, cercando di dare un ordine mio in relazione all'importanza.
  Inizierei dal quadro generale. C’è una domanda sull'applicabilità della riforma costituzionale alle regioni speciali. In seguito faremo un focus sul diverso stato dell'arte nell'attuazione degli statuti.
  Inoltre, farò un approfondimento su una recente giurisprudenza costituzionale, che dalla sentenza n. 19 del 2015 ha cambiato radicalmente, a mio avviso, la questione relativa alle regioni speciali. Si tratta di un leading case, relatore Carosi, Pag. 10che, secondo me, apre una stagione nuova dal punto di vista del contenzioso costituzionale.
  Siccome tra le domande, giustamente, si chiedeva un approfondimento sulle questioni de iure condendo, farei un affondo sulla regione Sicilia, mettendo in evidenza alcune particolarità e alcune attenzioni che secondo me bisogna avere. In linea di massima, seguirei questo schema.
  Per quanto concerne la prima questione, la riforma costituzionale non si applica, di fatto, alle regioni speciali. A mio avviso, questo è un grosso limite. La norma che è stata scritta presenta una cattiva redazione, perché, da un lato, prevede l'obbligo, dall'altro, però, lo rinvia sine die all'intesa per la modifica degli statuti.
  Questo creerà uno scenario particolare, anche in relazione al contenzioso, perché noi a questo punto avremo due diversi titoli quinti della Costituzione, uno che si applica alle regioni ordinarie e uno che si applica alle regioni speciali. Le regioni speciali saranno sotto il vecchio Titolo V. Secondo me, la confusione e il rischio di contenzioso diventano ancora più ampi.
  Inoltre, la clausola di supremazia, anche allorquando si applicasse alle regioni speciali un domani, si attiverebbe sul presupposto dell'interesse nazionale. Tuttavia, l'interesse nazionale non c’è nello statuto della regione Sicilia, mentre c’è in tutte le altre regioni. Pertanto, nella regione Sicilia sarebbe inapplicabile in ogni caso.
  Io credo che l'aver lasciato completamente fuori da una riforma così complessiva le regioni speciali creerà dei problemi al sistema. Non lo dico solo io, ma lo dicono anche il professor De Siervo, Caretti e tanti altri. Si creerà uno squilibrio fra regioni troppo ordinarie e regioni troppo speciali, secondo me oltre le possibilità di tenuta del sistema.
  Vengo adesso all'altra questione sui processi di attuazione. Abbiamo una situazione differenziata. Per esempio, guardando solo il numero quantitativo delle norme di attuazione, vediamo che per il Trentino-Alto Adige erano state emanate 180 norme di attuazione, per la Valle d'Aosta 52, per il Friuli 43, per la Sardegna 26, e per la Sicilia una quarantina. C’è un divario già nel numero, che si vede dalla diversa filosofia che ha orientato i processi di attuazione degli statuti.
  Se poi guardiamo la qualità, anche qui vediamo delle differenze. Sicuramente la regione Trentino-Alto Adige ha utilizzato al massimo questo strumento bilaterale e ha portato a casa risultati ottimi, abbinando l'aspetto finanziario e la logica economica. Hanno costruito un regime di autonomia particolarmente forte ed efficiente. Evidentemente si può discutere sull'entità dei finanziamenti e sul fatto che sia effettivamente giustificata o meno, però il sistema dal punto di vista qualitativo a un osservatore esterno dimostra efficienza.
  Anche la regione Friuli-Venezia Giulia ha utilizzato in questi termini la funzione di attuazione.
  Lo stesso possiamo dire per la regione Sardegna, dove con le norme di attuazione, soprattutto quelle relative al federalismo amministrativo, sono riusciti a innescare un processo di trasferimento di funzioni importanti.
  Per la Sicilia, invece, non si può dire la stessa cosa. I decreti importanti, per esempio nel periodo che va dal 2011 a oggi, sono stati quelli che riguardavano il trasferimento degli immobili alla regione e quello riguardante l'attuazione della parte fiscale dell'articolo 37 dello statuto, che prevedeva il contestuale trasferimento alla regione delle funzioni, che però non è avvenuto. Nel complesso, ci sono state norme di piccolo cabotaggio rispetto, invece, alla filosofia che ha ispirato l'attuazione nelle altre regioni.
  C’è una domanda, su cui tengo a dire due parole, che riguarda l'attuazione del federalismo fiscale. Evidentemente l'articolo 27 della legge 42 prevedeva anche per le regioni speciali il superamento del criterio dalla spesa storica e, quindi, l'applicazione di costi e fabbisogni standard. Questo non è avvenuto in nessuna delle regioni.
  Adesso costi e fabbisogni standard diventano un parametro costituzionale, perché il nuovo articolo 119 li introduce come Pag. 11criterio di allocazione delle risorse. Tuttavia, ciò non si applicherà alle regioni speciali, quindi abbiamo un'esenzione nei confronti delle regioni speciali dei costi e fabbisogni standard. Si tratta di un'esenzione costituzionale a questo punto.
  Evidentemente non c’è l'obbligo. Questo non vuol dire che loro non potrebbero comunque, anche in attuazione dell'articolo 27, avviare un processo di introduzione dei fabbisogni standard.
  Questo, peraltro, avrebbe un alto grado di efficientazione del sistema interno. Posto che la competenza sugli enti locali è costituzionalmente della regione, in gran parte questo non riguarderebbe trasferimenti dallo Stato, quindi non sarebbe una misura di manovra dello Stato nei confronti delle regioni, ma sarebbe una misura di manovra della regione nei confronti dei propri enti locali. Pertanto, permetterebbe uno strumento di razionalizzazione nel trasferimento delle funzioni.
  Evidentemente il superamento del criterio della spesa storica rappresenta un balzo in avanti in termini di efficienza del sistema e, nel caso delle regioni speciali, è uno strumento che sarebbe non dello Stato ma della regione. Pertanto, ci sarebbe tutto l'interesse ad avviare, per esempio, degli accordi con SOSE, per poter attuare i fabbisogni standard all'interno delle regioni speciali. Ciò eliminerebbe le situazioni di inefficienza o, per lo meno, permetterebbe alla regione, non allo Stato, di controllarle.
  Vengo alla domanda che riguarda il contenzioso. Diversi approfondimenti venivano richiesti in relazione alla cogenza del principio pattizio e al valore degli accordi. C'era poi la questione sulla prospettiva de iure condendo.
  Evidentemente il contenzioso costituzionale è altissimo. Questo dipende dal fatto che gli statuti hanno mediamente delle caratterizzazioni particolari, che hanno valore, in senso lato, costituzionale e, quindi, vincolano lo Stato.
  Sono intervenuti gli accordi. Il professor Longobardi li ha già elencati tutti, dunque do per trattata quella parte e mi soffermo sulla sentenza n. 19 del 2015.
  Qui c’è un convitato di pietra, che entra nell'argomentazione della Corte costituzionale e che non c'era prima e che configura questa come una sentenza di svolta. Secondo me, se le regioni speciali fino a oggi vincevano gran parte del contenzioso, dopo questa sentenza lo scenario non è più lo stesso.
  Il convitato di pietra è il riferimento che fa la Corte costituzionale agli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione, cioè gli obblighi internazionali. Ci si riferisce agli obblighi che noi abbiamo assunto a livello europeo, a cui la Corte dà una nuova cogenza.
  Infatti, la sentenza afferma che «il concorso complessivo delle regioni a statuto speciale, così come quello delle regioni a statuto ordinario, rientra nella manovra finanziaria che lo Stato italiano, in quanto membro dell'Unione europea, è tenuto ad adottare per dimostrare il rispetto dei vincoli di bilancio previsti o concordati nell'ambito dell'Unione europea».
  «Si tenga, inoltre, conto che, con l'introduzione del semestre europeo per il coordinamento delle politiche economiche da parte del regolamento UE n. 1175 del 2011 del Parlamento europeo [...], è stata anticipata la presentazione e la valutazione dei programmi di stabilità da parte degli Stati membri».
  «Si tratta, quindi, di misure legislative statali direttamente riconducibili agli articoli 11 e 117, primo comma».
  Questa argomentazione compare per la prima volta nella giurisprudenza costituzionale e rafforza enormemente la posizione dello Stato.
  «Considerate, inoltre, le modalità temporali anticipate di quantificazione di detta manovra, non è ipotizzabile che lo Stato possa presentare quella inerente al concorso regionale dopo aver completato il complesso iter di negoziazione con ciascuno degli enti a statuto speciale interessati». Di fatto, salta il principio dell'accordo.
  «Conseguentemente, la determinazione unilaterale preventiva appare funzionale alla manovra e, in quanto tale, conforme Pag. 12a Costituzione nei termini appresso specificati relativamente al carattere delle trattative finalizzate all'accordo».
  La Corte, quindi, afferma che lo Stato può procedere unilateralmente e poi amplia, però, il contenuto possibile degli accordi. Di fatto, fa una sentenza interpretativa di rigetto, cioè propone un'interpretazione costituzionalmente orientata.
  Secondo la Corte, «lo strumento dell'accordo serve a determinare nel loro complesso punti controversi o indefiniti delle relazioni finanziarie tra Stato e regioni, sia ai fini del raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica nel rispetto dei vincoli europei, sia al fine di evitare che il necessario concorso delle regioni comprima oltre i limiti consentiti l'autonomia finanziaria a esse spettante».
  «Per questo motivo, il contenuto degli accordi, oltre che la riduzione dei programmi in rapporto al concorso della regione interessata agli obiettivi di finanza pubblica, può e deve riguardare anche altri profili di natura contabile quali, a titolo esemplificativo, le fonti di entrata fiscale la cui compartecipazione sia quantitativamente controversa, l'accollo di rischi di andamenti difformi tra dati previsionali ed effettivo gettito dei tributi, le garanzie di finanziamento integrale di spese essenziali, la ricognizione globale o parziale dei rapporti finanziari tra i due livelli di governo e di adeguatezza delle risorse rispetto alle funzioni».
  «Ferme restando le misure finanziarie di contenimento della spesa concordate in sede europea, le risorse disponibili nel complesso della finanza pubblica allargata ben possono essere riallocate, a seguito di accordi, anche a esercizio inoltrato».
  «Dunque, l'accordo stipulato dalle autonomie speciali consente la negoziazione di altre componenti finanziarie attive e passive, ulteriori rispetto al concorso fissato nell'ambito della manovra di stabilità».
  Praticamente, la Corte ha affermato che lo Stato può fissarli unilateralmente, però, quando in finanziaria indica la tabella del concorso delle regioni speciali, non è solo quello che occorre ripartire all'interno del comparto delle speciali, perché la Corte è cosciente che questo sarebbe poca cosa.
  La Corte amplia il contenuto degli accordi. L'interpretazione costituzionalmente orientata è che gli accordi possono essere qualcosa in più, cioè possono prevedere di fatto una rimodulazione del concorso, in attuazione degli statuti. Pertanto, le compartecipazioni che spettano e l'adeguato finanziamento sono argomenti che entrano dentro la trattativa dell'accordo, la quale può avvenire anche più avanti.
  Conferma il trend restrittivo della Corte costituzionale un'altra sentenza che è intervenuta subito dopo, la sentenza n. 46 del 2015, che di fatto ha depotenziato il carattere vincolante degli accordi. Sono state impugnate alcune disposizioni della legge di stabilità 2013, che riguardavano le sanzioni per inosservanza del patto di stabilità.
  La Corte ribadisce in primo luogo che i princìpi di coordinamento della finanza pubblica si applicano anche alle regioni speciali.
  La via dell'accordo merita di essere privilegiata, ma lo Stato può derogare all'accordo. Questo è l'altro punto trattato. La Corte afferma: «È anche vero che quel principio dell'accordo in casi particolari può essere derogato dal legislatore statale».
  Inoltre, «i margini costituzionalmente tutelati dell'autonomia finanziaria e organizzativa dalla regione si riducono, quando essa ha trasgredito agli obblighi imposti dalla legislazione dello Stato, al fine di garantire la tenuta della finanza allargata».
  Pertanto, le sanzioni per il mancato rispetto del patto di stabilità «possono avere applicazione definitiva. Non occorre, perciò, che la legge statale ne preveda un'efficacia «provvisoria», in attesa che siano introdotte con una norma di attuazione statutaria, posto che questa eventualità resta possibile, ma certamente non è costituzionalmente dovuta». Si afferma, quindi, un'immediata operatività, anche a prescindere dalla norma di attuazione.Pag. 13
  C’è un cambiamento di rotta rispetto alla giurisprudenza precedente in relazione al concorso delle regioni speciali agli obiettivi di risanamento della finanza pubblica. Queste due sentenze fanno capire che la Corte nell'anno 2015 ha cambiato orientamento e ritiene questi obblighi cogenti anche per le regioni speciali. Dunque, le manovre si applicano anche alle regioni speciali. Lo dice con argomentazioni costituzionali molto più forti del passato, rifacendosi agli articoli 11 e 117, primo comma. Siamo di fronte a una svolta che avrà delle conseguenze.
  Per quanto concerne la questione de iure condendo, io vorrei soffermarmi soprattutto sulla situazione della Sicilia. Ci sono diverse questioni che sono rimaste aperte. Da un lato, c’è la mancata attuazione del sistema dei tributi propri. La regione Sicilia, pur avendoli in statuto, di fatto non li ha mai attuati.
  Soprattutto c’è la questione dell'articolo 37 dello statuto, che prevede che «per le imprese industriali e commerciali che hanno sede centrale fuori dal territorio della regione, ma che in essa hanno stabilimenti e impianti, nell'accertamento dei redditi viene determinata la quota del reddito da attribuire agli stabilimenti e impianti medesimi. L'imposta, relativa a detta quota, compete alla regione ed è riscossa dagli organi di riscossione della medesima».
  La prima norma di attuazione che venne emanata era l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1074 del 1965, che afferma: «Spettano alla regione siciliana tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell'ambito del suo territorio». Nell'articolo 4 si stabilisce: «Nelle entrate spettanti alla regione sono comprese anche quelle che, sebbene relative a fattispecie maturate nell'ambito regionale, affluiscono per mere esigenze amministrative a uffici finanziari situati fuori dal territorio della regione».
  Io dico di stare attenti a questa formulazione, perché è molto debole. Come vedremo, quella del Trentino per una fattispecie analoga è molto più forte e potrebbe essere un paradigma in un processo che qui si può aprire.
  Se queste erano le norme dello statuto, con la riforma tributaria del 1973, ridisegnando il sistema, la Sicilia perse parecchio gettito, perché di fatto vennero cancellate alcune imposte il cui il gettito prima andava alla regione.
  La riforma fiscale prevedeva una norma di salvaguardia, all'articolo 12, che, però, di fatto non venne attuata fino al decreto legislativo n. 241 del 2005, che ritorna sull'articolo 37 dello statuto.
  Questo decreto prevede che le spettanze fiscali sul reddito prodotto da stabilimenti e impianti siti in Sicilia, fino a quel momento percepite dallo Stato, siano ritrasferite alla regione. Si rimedia al gap che era stato creato dalla riforma fiscale e che aveva dato luogo a un fortissimo contezioso, a fronte, però, del trasferimento alla regione di nuove competenze che esercitava lo Stato.
  Anche in questo caso sarebbe stato utile un atto del Governo che specificasse quali fossero le competenze da trasferire, cosa che invece è rimasta irrisolta.
  La dialettica tra lo Stato e la regione Sicilia si è impostata su due aspetti. La regione è concentrata sul versante della riscossione, che sarebbe il tassello che permette di mantenere in Sicilia le risorse. Lo Stato, invece, è concentrato sul trasferimento delle funzioni, dicendo alla regione che deve assumere le altre funzioni che oggi sta finanziando lui. Questi sono stati i due corni della dialettica.
  È intervenuto poi l'articolo 11 del decreto-legge n. 35 del 2013, cui è seguito il decreto del 19 dicembre 2013 del Ministero dell'economia e delle finanze, che stabilisce: «Spetta alla regione siciliana una quota dell'imposta dovuta sul reddito delle società aventi domicilio fiscale fuori del territorio della regione, ma che in essa possiedono stabilimenti e impianti, da determinarsi in misura corrispondente al rapporto tra i redditi imputabili, secondo i criteri individuati dall'articolo 4, comma 2, del decreto legislativo n. 446 del 1997, all'attività di impresa esercitata all'interno Pag. 14del territorio della regione siciliana e a quella esercitata sul territorio dello Stato italiano».
  Con questa disposizione del decreto-legge n. 35, dunque, si ritorna su questa questione, ma si dà una soluzione provvisoria, che dopo vedremo.
  Intanto, ci sono stati diversi interventi della Corte costituzionale. Su questi, secondo me, è interessante soffermarsi.
  Per esempio, con la sentenza n. 306 del 2004, la Corte costituzionale riconosce alla Sicilia il gettito dell'imposta sui premi assicurativi. La Corte dà un'interpretazione che si stacca da quella degli anni Settanta, in cui il centro era la riscossione, e attribuisce alla Sicilia tutto il gettito dell'imposta sui premi assicurativi.
  La Corte, infatti, afferma: «Spetta alla regione il gettito dei tributi derivanti dalla capacità fiscale che si manifesta nel suo territorio, in ragione della collocazione nel territorio regionale del fatto cui si collega e sorge l'obbligazione tributaria». Dunque, non prende più in considerazione la riscossione, bensì il fatto, a prescindere da dove si riscuote.
  La Sicilia, allora, tenta di estendere questa giurisprudenza anche alle fattispecie analoghe, per esempio all'imposta per le assicurazioni diverse da quelle della responsabilità civile.
  Tuttavia, la Corte, con la sentenza n. 116 del 2010, sei anni dopo, glielo nega. La Corte fa un overruling, si discosta da quel precedente e dice che «il criterio della capacità fiscale che si manifesta sul territorio è frutto di un erroneo assunto interpretativo dello statuto». La Corte ritorna all'interpretazione degli anni Settanta: «Spetta alla regione il gettito di tributi riscossi in Sicilia». Dunque, si ritorna indietro e la questione si riapre.
  Nel 2010, su proposta della giunta, l'assemblea regionale siciliana approva l'ordine del giorno n. 203, che secondo me è importante, sui criteri da seguire per l'attuazione del federalismo fiscale. Quella era l'occasione.
  Di fatto, l'articolo 27 della legge n. 42 afferma: «A fronte dell'assegnazione di ulteriori funzioni alle regioni a statuto speciale, le norme di attuazione degli statuti dovranno definire corrispondenti modalità di finanziamento aggiuntivo, attraverso forme di compartecipazione a tributi erariali e accise».
  In quell'occasione, quindi, tutte le richieste avanzate erano concentrate sul versante del prelievo fiscale delle entrate regionali. Veniva chiesto che fosse applicato il principio della territorialità della riscossione, che peraltro è un principio che c’è in Costituzione. Infatti, l'articolo 119 parla del principio della territorialità, che ritorna anche nella legge n. 42.
  Pertanto, si propone la piena attuazione dell'articolo 37 dello statuto, con riscrittura della norma di attuazione.
  Si aggiungeva la previsione di una forma di compartecipazione al gettito delle accise sugli oli minerali raffinati negli impianti situati in Sicilia.
  Come sapete, in Sicilia c’è la raffinazione del 40 per cento di tutta la produzione nazionale degli idrocarburi. Si tratta di un gettito equivalente a 8 miliardi di euro, che entrano nelle casse dello Stato, mentre la Sicilia evidentemente subisce l'impatto ambientale della raffinazione.
  Si era calcolato in quell'occasione che le funzioni trasferibili per attuare lo statuto avrebbero coperto circa 8 miliardi, quindi l'operazione coincideva.
  Tenete conto che nessuna delle altre regioni speciali ha questa riserva allo Stato delle accise. Le altre regioni speciali hanno una quota delle accise, per esempio il 30 per cento dell'accisa sulla benzina, oppure nove decimi sui tabacchi in Friuli, nove decimi di tutte le accise per la Sardegna e dieci decimi per la Valle d'Aosta. Ci sono quote di compartecipazione riconosciute alle altre regioni.
  Adesso torno al tema che avevo lasciato aperto e chiudo la parentesi. Il decreto n. 35 del 2013, al comma 5 dell'articolo 11, afferma: «A decorrere dall'anno 2016, si provvede alla ridefinizione dei rapporti fra lo Stato e la regione siciliana e al simmetrico trasferimento di funzioni ancora svolte dallo Stato [...], con le modalità previste dallo statuto speciale».Pag. 15
  Secondo me, si apre per la regione Sicilia un'importantissima possibilità sul 2016. Questo decreto n. 35, che aveva iniziato un processo di attuazione, deve essere rivisto.
  Secondo me, dal punto di vista dell'attuazione ci sono delle interessanti possibilità. Ad esempio, la questione delle imposte generate o riscosse nella regione ha una norma di attuazione nella regione Trentino-Alto Adige che è estremamente più efficace di quella prevista nella regione Sicilia. Ve la leggo.
  L'articolo 75-bis dello statuto afferma: «Nell'ammontare delle quote dei tributi erariali dovute alla regione e alle province sono comprese anche le entrate afferenti all'ambito regionale e provinciale, affluite in attuazione di disposizioni legislative o amministrative a uffici situati fuori del territorio della regione».
  Questa previsione è enormemente più forte di quella che c’è oggi nella norma di attuazione siciliana, perché quella siciliana parla di fattispecie maturate, mentre questa parla di entrate afferenti. È molto più forte quella trentina.
  Peraltro, la norma siciliana parla di esigenze amministrative. Basta qualsiasi esigenza amministrativa a spostare fuori. Qui invece si cattura tutto quello che, in attuazione di disposizioni legislative e amministrative, viene portato fuori. Dunque, la norma trentina è blindata, mentre quella siciliana è molto aleatoria.
  Se la Sicilia introducesse una norma di questo tipo, avrebbe molta più forza. Non basterebbe una qualsiasi esigenza amministrativa a far portare via il gettito alla Sicilia, la quale avrebbe un ombrello protettivo su tutto quello che disposizioni legislative o amministrative portano fuori dalla regione.
  Inoltre, l'articolo 75 parla di fenomeni economici che hanno luogo nel territorio regionale e provinciale. Questo è un altro punto molto importante che rafforza la posizione trentina.
  Un'altra vicenda che potrebbe essere oggetto di revisione riguarda i cosiddetti «nuovi tributi». Io non mi dilungo, ma c’è una vicenda singolare. Quando lo Stato istituì un'addizionale sulla tassa automobilistica, per la Sicilia era una nuova imposta. In base allo statuto, le nuove imposte dovrebbero rimanere in Sicilia.
  La Corte costituzionale, data la debolezza delle norme siciliane di attuazione, disse alla Sicilia che il gettito spetta allo Stato – nella relazione spiego il perché – e al Trentino Alto Adige che spetta alla regione. Sono due soluzioni diverse in relazione alla stessa fattispecie, per effetto delle norme di attuazione. Il gettito della nuova imposta, l'addizionale sul bollo auto, rimane in Trentino Alto Adige, ma va allo Stato nel caso della regione Sicilia.
  Questo, secondo me, è un caso piuttosto emblematico di come questa stagione di revisione, che si aprirà nel 2016, della questione dell'articolo 37 potrebbe utilmente essere monitorata, seguita e portare a soluzioni che non danneggino la Sicilia.
  Nella relazione vi segnalo anche un'altra sentenza, la n. 31 del 2015, con cui la Corte costituzionale boccia, invece, una norma della finanziaria del 2014 della regione Sardegna, dove questa aveva affermato il diritto dell'ente territoriale a incamerare una parte delle accise sui beni che, ovunque commerciati in Italia, sono stati però fabbricati o importati sull'isola. La Corte costituzionale dice che questo, in base allo statuto e alle norme di attuazione, non si può fare.
  Ho svolto altre considerazioni nella relazione. Mi si chiedeva se le norme di attuazione hanno o meno un carattere vincolante e se sulle procedure di attuazione sono possibili delle evoluzioni. Su questo, rimando al testo della relazione e magari rispondo più volentieri alle domande.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Antonini. Ci sono colleghi che vogliono porre delle domande ? Le relazioni mi sembrano molto complete.
  Io vorrei semplicemente ringraziare il professor Longobardi e il professor Antonini, non solo per la cortesia e la disponibilità, ma anche per la puntualità delle loro relazioni sulle questioni che a noi interessano.Pag. 16
  Penso che, anche in virtù delle recenti decisioni della Corte costituzionale, sia indispensabile fare un'operazione di verità definitiva sui rapporti finanziari fra le regioni a statuto speciale e lo Stato.
  Il testo di riforma costituzionale aumenta la specialità delle regioni ad autonomia differenziata, non fosse altro per il fatto che questo avviene con la riscrittura del ruolo e delle funzioni delle regioni a statuto ordinario.
  Tutto questo ovviamente apre una discussione nel Paese rispetto all'attualità delle regioni a statuto speciale e ai temi legati alle questioni finanziarie, che, come emerge dalle relazioni, non sono così semplici né possono essere ridotti a una discussione molto superficiale sul fatto che ci siano o meno dei privilegi di questa o di quella regione.
  Ci sono storie molto lunghe e molto complesse di rapporti finanziari, spesso mediate da interventi della Corte costituzionale, che, ovviamente, pronunciandosi sul caso specifico, organizzano e riscrivono anche queste regole, ma senza tener conto delle situazioni che oggettivamente ci sono in ciascuna regione.
  Penso che questo sia un tema che deve essere oggetto di una specifica attività di indagine. Infatti, è un capitolo della nostra indagine conoscitiva sulle autonomia speciali.
  Io vorrei porre una domanda sia al professor Longobardi sia al professor Antonini su un tema specifico.
  Le commissioni paritetiche, aldilà delle differenze statutarie, della diversa composizione, della diversa funzione e così via, nel momento in cui è saltato il meccanismo previsto dalla legge sul federalismo fiscale anche per le regioni a statuto speciale, possono rappresentare uno strumento che può servire a definire tutte le questioni che sono aperte e i nodi che sono irrisolti.
  Da questo punto di vista, voi ritenete che sia valida la possibilità di un intervento legislativo che renda centrale e certo nei tempi e nei modi l'operato delle commissioni ? Ritenete possibile un intervento che disciplini l'attività procedimentale delle commissioni paritetiche e che consenta di affrontare e risolvere le questioni finanziarie che voi avete descritto con grande puntualità nelle vostre relazioni e quelle che si aprono, anche alla luce della nuova fase di criticità del nostro sistema dopo il 2010 ?
  Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  LUCA ANTONINI, Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Sicuramente è un tema interessante. Non so quanto spazio ci sia per l'attuazione con legge ordinaria di una procedimentalizzazione, posto che potrebbe essere anche oggetto di un'integrazione del testo di riforma costituzionale.

  PRESIDENTE. Mi scusi, professore, se la interrompo. Nel testo della delega sul federalismo fiscale è previsto con legge un ruolo delle commissioni paritetiche sull'attuazione della disciplina sul federalismo fiscale.
  La questione tecnica è complessa, ovviamente, però a me interessa capire se è utile rafforzare il ruolo delle commissioni paritetiche per le questioni che sono state sollevate da voi nelle relazioni.

  LUCA ANTONINI, Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Secondo me, potrebbe essere utile, magari cercando anche di ricondurre a una certa uniformità i procedimenti.
  Evidentemente noi abbiamo una situazione che non è stata mai oggetto di aggiornamento da quel punto di vista. Dunque, una procedimentalizzazione maggiore, alla luce dell'esperienza e anche magari della giurisprudenza recente della Corte, se inserita all'interno della riforma costituzionale, potrebbe essere utile.
  Tuttavia, credo che sia particolarmente complesso definirla. Bisognerebbe analizzare tutte le varie procedure e soprattutto capire qual è lo scopo. Il procedimento delle commissioni servirebbe a rafforzare la posizione di accordo necessaria fra Governo e regioni. Diventa un tema importante.Pag. 17
  Nella misura in cui io la rafforzo, gli do ancora più potere e devo pormi anche il problema della composizione. Occorre capire se le modalità con cui oggi vengono scelti i rappresentanti è corrispondente allo scopo oppure no.
  Si apre un fronte sicuramente interessante, ma non facile dal punto di vista giuridico.

  ERNESTO LONGOBARDI, Professore ordinario di scienza delle finanze presso l'Università degli studi di Bari Aldo Moro. Io aggiungo una breve annotazione da un punto di vista più da economista che da giurista.
  Fermo restando il ruolo insostituibile delle commissioni paritetiche, non mi dispiacerebbe se la rimessa a punto delle commissioni paritetiche avvenisse in quel quadro più generale, a cui facevo cenno nella mia relazione, di ripensamento di tutti gli organismi che regolano i rapporti finanziari fra regioni e Governo, perché, francamente, ritengo che abbiamo una situazione che è diventata insostenibile.
  Infatti, abbiamo la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, istituita, ma che non funziona. La COPAFF, che ha funzionato bene fino a un certo punto, da quando si è trasformata in strumento tecnico della Conferenza permanente, segue un po’ il destino di quest'ultima ed è in una situazione di stand-by.
  La Conferenza Stato-regioni, la Conferenza Stato-città e la Conferenza unificata non sono state toccate dall'istituzione di questa nuova Conferenza permanente.
  Abbiamo poi le commissioni paritetiche di cui stiamo parlando, che ovviamente hanno una loro specificità, data la specificità dei rapporti fra Stato e autonomie speciali, che comunque fanno parte di un quadro complessivo di relazioni finanziarie intergovernative.
  Abbiamo poi il Senato – è un altro livello, ma è presente sullo sfondo – che sta trasformandosi in Camera delle autonomie.
  Io credo che sia arrivato il momento, in connessione con la riforma costituzionale del Senato, di mettere mano a tutto l'insieme di queste istanze, perché ci sono sovrapposizioni e scollamenti.
  Mi sembra che stia emergendo, anche da quello che ci ha raccontato il professor Antonini, che la specificità delle regioni a statuto speciale rimane ma adesso va sempre più discussa in un quadro generale di rapporti finanziari intergovernativi e, quindi, che a maggior ragione vada rivisto un po’ tutto l'insieme di questi organismi.

  PRESIDENTE. Infatti, il secondo appuntamento della Commissione bicamerale, una volta finita la nostra indagine conoscitiva sulle autonomie speciali, sarà volto a capire come ricostruire e riorganizzare la funzione di raccordo alla luce del Senato delle autonomie.
  Tutto questo dovrà ridisegnare obiettivamente il ruolo della Conferenza Stato-regioni, del COPAFF e degli altri organismi che oggi per parti si occupano di queste materie.
  Su questo tema torneremo e, anzi, vi disturberemo di nuovo, se sarà vostra cura esserci.

  LUCA ANTONINI, Professore ordinario in diritto costituzionale presso l'Università degli studi di Padova. Ciò che ha appena detto il professor Longobardi mi ha acceso la lampadina. Effettivamente ha illuminato una situazione che non è assolutamente da Paese civile.
  Noi abbiamo un sistema che si basa su determinazioni – ad esempio, in relazione ai tagli, ma parlo trasversalmente – che vengono decise in una stanza di un ministero, senza nessuna valutazione dell'impatto che ci sarà poi sulla realtà a cui si applica il taglio. Noi non sappiamo se quel taglio deciso in una stanza del ministero porterà a chiudere asili-nido o a far pagare di più il ticket alla gente. Parliamo di miliardi.
  Ciò dipende molto da negoziazioni assolutamente contingenti, di tipo sindacalistico, che vengono fatte dai vari tecnici. Più è bravo il tecnico e più porta a casa. Questa è una cosa assolutamente preistorica rispetto a un Paese civile.Pag. 18
  Quello che ha detto il professor Longobardi in me sfonda una porta aperta, perché abbiamo visto queste cose e sappiamo a che livello di mancanza di serietà istituzionale avvengono, ovvero sulla base della considerazione: «Ho sentito dire che quelli stanno sprecando e, quindi, taglio».
  Noi abbiamo fatto un'analisi dei dati. Mancava addirittura la quantificazione di qual era stato l'impatto delle manovre sui vari enti territoriali.
  Penso che dentro questa cornice di ridefinizione delle relazioni fra Stato e regioni, sarebbe importantissimo e assolutamente decisivo avere una sede istituzionale.
  In Germania questa sede è il Consiglio di pianificazione finanziaria, che è più importante del Bundesrat. Addirittura i mercati tengono in conto di quello che emerge dal Consiglio di pianificazione finanziaria, che gestisce tutto il raccordo fra sistema finanziario dei Länder e Stato tedesco. C’è una sede dedicata, assolutamente specializzata e professionale, che gestisce il sistema. Questo è il segreto principale per il quale il federalismo tedesco funziona bene e non è il federalismo italiano. Questo è il punto decisivo.
  Nella legge n. 42 si era pensato a questa conferenza per il coordinamento della finanza pubblica. Probabilmente a livello costituzionale una sede di questo tipo permetterebbe di risolvere gran parte dei problemi che abbiamo e di impostare tutto questo caos in termini di dignità politica, istituzionale e scientifica, che oggi mancano completamente. Sono rivendicazioni assolutamente contingenti.
  Oggi tutto dipende da come va la riunione, se c’è il tecnico bravo che riesce a battere il tecnico del ministero. Funziona così. Giochiamo miliardi dentro una negoziazione di questo tipo.
  Creare un ambito politicamente, istituzionalmente e scientificamente competente su queste cose sarebbe la rivoluzione. Passeremmo dalla notte al giorno nel nostro sistema. Sono totalmente d'accordo. L'obiettivo dovrebbe essere proprio una sede dove la negoziazione avviene.
  La Conferenza per il coordinamento della finanza pubblica è stata convocata una volta in quattro anni, mentre dovrebbe essere la sede per legge – lo dice una legge dello Stato italiano – dove avviene la negoziazione fra Stato, regioni e comuni. È stata convocata una volta sola ! Questo, secondo me, è assolutamente inconcepibile in un sistema che vuole avere una dignità istituzionale.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 10.55.