Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Per visualizzare il contenuto multimediale è necessario installare il Flash Player Adobe

Resoconti stenografici delle indagini conoscitive

Vai all'elenco delle sedute >>

XVII Legislatura

Commissione parlamentare per le questioni regionali

Resoconto stenografico



Seduta n. 14 di Giovedì 18 giugno 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE PROBLEMATICHE CONCERNENTI L'ATTUAZIONE DEGLI STATUTI DELLE REGIONI AD AUTONOMIA SPECIALE, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO AL RUOLO DELLE COMMISSIONI PARITETICHE PREVISTE DAGLI STATUTI MEDESIMI

Audizione del presidente della regione Valle D'Aosta, Augusto Rollandin, del presidente del consiglio regionale della Sardegna, Gianfranco Ganau, e del presidente della sezione regionale di controllo per la regione Sardegna della Corte dei conti, Francesco Petronio.
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 3 
Rollandin Augusto , Presidente della regione Valle d'Aosta ... 3 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 7 
Ganau Gianfranco , Presidente del consiglio regionale della Sardegna ... 7 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 10 
Petronio Francesco , Presidente della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la regione Sardegna ... 10 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 15 
Cotti Roberto  ... 16 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 16 
Ganau Gianfranco , Presidente del consiglio regionale della Sardegna ... 16 
D'Alia Gianpiero , Presidente ... 16

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIANPIERO D'ALIA

  La seduta comincia alle 8.15.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione del presidente della regione Valle D'Aosta, Augusto Rollandin, del presidente del consiglio regionale della Sardegna, Gianfranco Ganau, e del presidente della sezione regionale di controllo per la regione Sardegna della Corte dei conti, Francesco Petronio.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente della regione Valle D'Aosta, Augusto Rollandin, del presidente del consiglio regionale della Sardegna, Gianfranco Ganau, e del presidente della sezione regionale di controllo per la regione Sardegna della Corte dei conti, Francesco Petronio, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle problematiche connesse alle procedure di attuazione degli statuti delle regioni ad autonomia speciale e, in tale contesto, al ruolo delle commissioni paritetiche previste dagli statuti medesimi.
  Ringrazio gli intervenuti per la disponibilità dimostrata. Do la parola al presidente Rollandin per lo svolgimento della sua relazione.

  AUGUSTO ROLLANDIN, Presidente della regione Valle d'Aosta. Buongiorno a tutti. Grazie, presidente, per la disponibilità ad ascoltare i diretti interessati su questi temi.
  Sono stati posti alcuni quesiti, ai quali risponderò nel corso del mio intervento. Lascerò in ogni caso una copia della mia relazione alla Commissione, in modo che sia disponibile.
  In primo luogo, si chiedeva se è ancora utile insistere sulla necessità di norme di attuazione dello statuto speciale valdostano. Quelle che noi definiamo norme di attuazione non sono per noi soltanto lo strumento che ha permesso di attuare i princìpi fondamentali dello statuto speciale, trasferendo competenze e uffici dallo Stato alla regione.
  Per quanto riguarda la Valle d'Aosta, si tratta, in virtù dell'espressa volontà manifestata dal legislatore costituzionale attraverso la riforma statutaria del 1993, di un'essenziale fonte normativa atipica e sovraordinata, che consente di «armonizzare la legislazione nazionale con l'ordinamento della regione Valle d'Aosta, tenendo conto delle particolari condizioni di autonomia attribuite alla regione».
  La funzione di queste norme è, quindi, oggi più che mai essenziale per uno sviluppo dinamico della nostra autonomia e di quella delle altre regioni a statuto speciale. È proprio grazie a questo strumento che si è potuto procedere, peraltro concordemente, a un aggiornamento e a una modernizzazione del quadro delle relazioni finanziarie tra lo Stato e la regione.
  Il secondo quesito è relativo a come si giudica l'esperienza sin qui maturata in relazione all'attuazione delle norme e il Pag. 4procedimento delineato dall'articolo 48-bis dello statuto, finalizzato all'approvazione delle norme di attuazione.
  Il procedimento per l'approvazione delle norme di attuazione è delineato in termini molto sintetici dallo statuto. Nella peculiare formulazione contenuta nello statuto valdostano, esso ha il pregio di coinvolgere fattivamente il consiglio regionale, in parziale difformità con quanto avviene in altre regioni, nell'espressione di pareri sulle norme in questione, allargando quindi sensibilmente la base del consenso interno a queste innovazioni legislative.
  L'esperienza finora maturata ha, però, purtroppo evidenziato anche forti discontinuità di comportamento da parte dei governi in carica rispetto all'adozione degli schemi di norme licenziati dalla commissione paritetica.
  In particolare, vorrei ricordare a questa Commissione il considerevole ritardo per l'approvazione in via definitiva da parte del Consiglio dei ministri di alcune proposte di rilevante importanza licenziate dalla commissione paritetica. Si è messo in atto un comportamento in alcuni casi gravemente lesivo del principio costituzionale della leale collaborazione.
  Ritengo, perciò, che sia giusto introdurre un meccanismo che garantisca la rapida chiusura dei procedimenti avviati, attraverso l'obbligo di pronuncia entro un termine prefissato, tanto da parte della regione, che per parte sua finora ha sempre espresso il proprio parere entro il tempo di 60 giorni, quanto e soprattutto dal Consiglio dei ministri, la cui pronuncia si è fatta talora attendere addirittura per anni.
  Parlo in particolare di alcune norme, come il trasferimento delle funzioni sull'ISPESL, che ha bloccato una serie di procedure molto delicate e ha dato luogo a contenziosi con gli altri enti che hanno le stesse competenze.
  In terzo luogo, ci viene chiesto in che misura può avere influito, sulla mancata attuazione, la vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali e se vi sono ragioni politiche nella ritardata o mancata attuazione.
  Gli statuti speciali di alcune regioni, come la nostra, risalgono a oltre 70 anni fa e presentano alcuni articoli che risentono oggettivamente del concitato momento di chiusura, nello spazio di pochissimi giorni, dei lavori dell'Assemblea costituente.
  È, dunque, normale che vi possano essere oggi ampi margini di miglioramento nella loro formulazione, ma questo richiede che si segua il lungo, e mai scontato nel suo esito, iter di revisione costituzionale.
  In molte parti, queste disposizioni sintetiche e schematiche dello statuto possono essere oggetto di completamento e di adattamento al mutato contesto storico, proprio attraverso le norme di attuazione, che dispongono per questo di un alto grado di flessibilità.
  Per quanto riguarda le ragioni politiche della ritardata o mancata attuazione degli statuti speciali, è evidente che l'atteggiamento dei governi che si sono succeduti ha risentito di diverse sensibilità e di orientamenti non sempre favorevoli al pieno sviluppo delle autonomie.
  Si è effettivamente passati da periodi di positiva collaborazione a momenti di aperto ostracismo, che hanno congelato a lungo la positiva espansione delle norme di autogoverno, promesse, nel caso della nostra regione, addirittura tre anni prima dell'approvazione della Carta costituzionale.
  Non credo, pertanto, che la presunta vaghezza di alcune disposizioni degli statuti speciali possa aver influito sul grado di attuazione dei medesimi.
  Inoltre, credo che i ritardi nell'attuazione di alcune norme di attuazione non siano attribuibili alla politica, quanto piuttosto a resistenze di natura burocratica. Spesso sono state le strutture delle amministrazioni a resistere alla devoluzione di competenze, probabilmente per motivi interni. È un classico che i funzionari della burocrazia chiedano di ripassare le norme al vaglio dei Ministeri, quando la commissione di fatto le ha già approvate all'unanimità. Questa è una violazione classica dell’iter, che lo ritarda per anni.
  Mi si chiedeva, inoltre, se, in base all'esperienza istituzionale da me maturata, Pag. 5ritengo che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti, così come le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti.
  In passato ho fatto parte personalmente della delegazione regionale in seno alla commissione paritetica e ritengo che il lavoro delle commissioni paritetiche trarrebbe beneficio da un'intesa-quadro fra il Governo statale e la giunta regionale, che individui un programma, ancorché aperto, sulle tematiche generali d'intervento, evitando l'eccessiva frammentarietà delle questioni trattate.
  Per quanto riguarda i meccanismi di nomina e sostituzione, ritengo che occorra assegnare termini rigorosi per la nomina e la sostituzione dei componenti. Non devono più ripetersi i precedenti che hanno riguardato la nostra commissione paritetica, che in alcuni casi ha dovuto attendere mesi per vedere rinnovata la delegazione statale.
  Mi si chiedeva ancora, per quanto mi risulti, in che modo è assicurato un collegamento tra l'operato della componente regionale all'interno della commissione e la giunta.
  Abbiamo da sempre un legame molto diretto sul piano del confronto tra l'organo di indirizzo politico regionale e la delegazione tecnica in seno alla commissione. Il raccordo non ha luogo solo per le vie formali, ma anche attraverso un intenso e continuo dialogo in ordine ai contenuti delle proposte e soprattutto agli effetti delle norme oggetto di elaborazione.
  È verosimile, invece, che un accordo di pari efficacia non sempre vi sia stato tra i componenti di parte statale e i Ministeri competenti, dal momento che alcune norme di attuazione, licenziate, come dicevo, all'unanimità dalla commissione, sono poi state bloccate dai Ministeri stessi soltanto successivamente e, quindi, con palese violazione del principio di leale collaborazione, oltre che delle procedure di approvazione previste dall'articolo 44-bis.
  Si vuole sapere se, per quanto mi risulta, il consiglio regionale ottempera tempestivamente a quanto prescritto dal 48-bis, ai sensi del quale le norme elaborate dalla Commissione sono sottoposte al parere.
  La delegazione regionale è regolarmente audita, a richiesta della competente commissione consiliare, in ordine ai contenuti del suo operato. Ciò si verifica a discrezione dell'organo consiliare, sia per gli aggiornamenti informativi di carattere generale che per una puntuale illustrazione degli schemi adottati, prima che gli stessi siano iscritti per il prescritto parere all'ordine del giorno del consiglio.
  Credo che la tempestività con cui il consiglio regionale della Valle d'Aosta ha finora proceduto all'emanazione dei pareri di sua competenza sia per tutti un esempio. Come ho già avuto modo di dire, è sempre stato nei tempi.
  Mi si chiedeva se la mancata attuazione delle disposizioni degli statuti speciali può essere ritenuta una delle cause principali del contenzioso tra Stato e regioni speciali, e se in particolare la mancata attuazione delle previsioni statutarie che regolano i rapporti finanziari tra Stato e regioni speciali è, a mio avviso, all'origine dell'incremento della conflittualità tra questi enti registratasi negli anni precedenti.
  Gran parte del contenzioso costituzionale è legato alla definizione degli ambiti di legislazione rispettivi dello Stato e della regione, piuttosto che a eventuali carenze della normativa attuativa.
  In questo momento, le norme di attuazione possono fare ben poco. Il discorso sarebbe diverso se fosse consentito alle commissioni paritetiche di formulare proposte di precisa e articolata delimitazione dei rispettivi ambiti legislativi. Questa tecnica sarebbe di grande utilità, riducendo sensibilmente la proliferazione del contenzioso, che si è purtroppo ulteriormente accentuato dopo l'entrata in vigore della riforma del Titolo V della Costituzione.
  Sarebbe, peraltro, riduttivo sostenere che questa sia la sola o principale causa del contenzioso, anche se è indubbio che la mancata definizione di un quadro compiuto dei rapporti finanziari tra lo Stato e le regioni speciali è stata negli ultimi anni una delle principali cause del contenzioso costituzionale.
  Gli accordi finanziari, in verità, ci sono stati. Il problema è che lo Stato ha poi Pag. 6continuato a chiedere concorsi supplementari sempre più onerosi, limitando nei fatti l'autonomia statutaria e creando incertezza, nonché incapacità di programmazione.
  L'articolo 38 del disegno di legge C2613 reca al comma 11 la previsione secondo cui le disposizioni contenute nella legge costituzionale de qua non si applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonoma di Trento e Bolzano fino all'adeguamento dei rispettivi statuti sulla base delle intese. Si stabilisce inoltre che, sino alla revisione dei predetti statuti, resta altresì ferma la disciplina vigente prevista dagli statuti medesimi.
  Mi si chiede se, a mio avviso, queste disposizioni, inserite in un quadro di sostanziale ridimensionamento delle competenze delle regioni a statuto ordinario, potranno contribuire a una complessiva rivalutazione delle specificità regionali dei decreti d'attuazione o porteranno piuttosto a un ulteriore appiattimento delle autonomie speciali, le quali dovranno accontentarsi di ciò che hanno.
  L'enunciazione in Costituzione della necessità di una previa intesa all'adeguamento degli statuti speciali rappresenta uno snodo fondamentale per la rivalutazione del nostro sistema di autonomia differenziata. Sul punto, la posizione unitaria delle regioni a statuto speciale è nota.
  È mia convinzione in proposito che questo percorso vada affrontato precisando preliminarmente le fonti nelle quali si deve manifestare questa previa intesa. Se queste modalità saranno rapidamente definite, si riuscirà forse ad avviare rapidamente questo processo di modernizzazione dei nuovi statuti. Ritengo che, solo in un clima di reciproca rinnovata fiducia, si possa finalmente aprire una fase nuova e positiva del regionalismo italiano.
  L'adeguamento degli statuti speciali potrebbe, ad esempio, essere reso allettante da un atteggiamento più aperto dello Stato, che, a fronte di una giusta e ormai improcrastinabile applicazione del principio di responsabilità, potrebbe accordare alle regioni speciali virtuose maggiori spazi di autonomia, in termini di gestione delle competenze e delle relative risorse per farvi fronte.
  La contrazione delle risorse finanziarie e delle disponibilità delle regioni e la richiesta di contributi al sistema regionale sono state attuate negli ultimi anni con tagli spesso lineari, che non hanno mai tenuto in considerazione le competenze effettivamente esercitate e soprattutto i risultati della loro gestione.
  Regolamentare i rapporti finanziari, in modo da offrire certezze sia allo Stato che alle regioni sulle risorse su cui poter contare, potrebbe senz'altro favorire la revisione degli statuti speciali.
  A tale proposito, il sottosegretario Bressa, nell'ambito della sua audizione presso la Commissione, lo scorso 20 maggio ha auspicato l'apertura di un tavolo di confronto unitario tra Governo e regioni a statuto speciale rispetto al processo di aggiornamento. In particolare, il confronto si potrebbe concludere con una convenzione tra Stato e autonomie speciali, che tracci le linee procedurali per la revisione degli statuti, anche allo scopo di addivenire alla predisposizione di un disegno di legge costituzionale di revisione, che, sul modello della legge, riguardi tutte le regioni a statuto speciale. Mi si chiede la mia opinione a questo riguardo.
  Ricordo che la legge costituzionale n. 2 del 2001 si compone in realtà di cinque distinte modificazioni dei nostri rispettivi statuti, oggettivamente diverse, se non addirittura opposte nella loro portata, le une dalle altre.
  In molti casi, per esempio, esse hanno condotto automaticamente alle elezioni del presidente della regione a suffragio universale e diretto, come in Friuli-Venezia Giulia, mentre in altri si è mantenuto inalterato il quadro normativo precedente, come nel caso della Valle d'Aosta.
  Se lo spirito della proposta avanzata dal Governo è quello di individuare in questa fase soltanto modalità procedurali omogenee, la proposta merita sicuramente di essere approfondita e discussa. Peraltro, credo che avverrà un incontro proprio oggi.Pag. 7
  Ciò che deve essere chiaro, comunque, è che l'iniziativa non può portare a un'omologazione delle soluzioni concrete rispetto alle diverse regioni, perché l'esperienza degli ultimi decenni ha messo in evidenza forti e spesso giustificate asimmetrie interne tra le stesse regioni ad autonomia differenziata.
  È necessario, invece, assumere come un valore positivo una motivata differenza nelle soluzioni statutarie e non cedere a una logica di piatta omologazione, sulla scorta di un malinteso criterio egualitario.
  Le relazioni tra lo Stato e le autonomie speciali devono essere caratterizzati da un rapporto pattizio bilaterale, che consenta di tenere in debito conto le profonde differenze tra le singole autonomie, sia quanto a ordinamento sia quanto a presupposti e origini.
  Ritengo a ogni modo prematuro anticipare ogni adeguamento degli statuti sulla riforma costituzionale in itinere. Prima di procedere, forse è opportuno attendere l'approvazione definitiva del testo costituzionale e l'esito di un eventuale referendum conservativo.
  Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La ringrazio, presidente. La Commissione sta svolgendo questo lavoro anche in via complementare con quello del Governo e in particolar modo del sottosegretario Bressa.
  L'esigenza che si ravvisa non è quella di omologare realtà territorialmente, economicamente e socialmente diverse, ma è quella di avere un'unica interlocuzione istituzionale, per garantire l'attuazione degli statuti e per far sì che i rapporti fra lo Stato e le regioni a statuto speciale camminino in maniera assolutamente corretta ed efficiente.
  Credo che una soluzione che consenta a tutte le regioni a statuto speciale di poter avere un'interlocuzione con il Governo, che abbia regole certe, possa garantire la piena realizzazione delle autonomie speciali.
  Glielo volevo dire perché lei ha citato questa parte e ha anche fatto riferimento ai confronti che il Governo sta avendo su questo tema e che noi apprezziamo molto.
  Do la parola al presidente del consiglio regionale della Sardegna, Gianfranco Ganau, per lo svolgimento della sua relazione.

  GIANFRANCO GANAU, Presidente del consiglio regionale della Sardegna. Buongiorno a tutti. Ringrazio il presidente D'Alia e la Commissione che ci danno questa nuova opportunità di entrare nel merito dei temi e di rispondere alle domande poste, dopo l'audizione che abbiamo svolto il 23 aprile come coordinamento dei presidenti e delle assemblee delle autonomie speciali.
  Apprezziamo molto quello che sta facendo la Commissione, perché c’è un'attenzione particolare alle autonomie speciali e agli statuti, che forse non c’è stata nel passato.
  Credo che, prima di entrare nel merito delle risposte, sia necessario ribadire le ragioni della specialità dell'autonomia della Sardegna. Le ragioni della specialità non sono solo attuali, ma, per certi versi, sono ancora più evidenti e più stringenti e appaiono più profonde e marcate che nel passato. Si tratta di ragioni geografiche, storiche, politiche e istituzionali.
  È evidente che l'essere isola è il primo elemento distintivo. L'insularità e la conseguente perifericità rispetto al sistema nazionale hanno prodotto e purtroppo continuano a produrre delle differenze sostanziali nella possibilità dei cittadini di fruire dei servizi.
  Dall'insularità discendono sicuramente anche dei profili peculiari, identitari e ambientali, che sono indubbiamente da valorizzare e declinare in positivo, ma è evidente che la condizione di insularità comporta un gravissimo distacco nella capacità di fruire dei servizi da parte della comunità rispetto al resto della nazione continentale.
  La Sardegna è esclusa dai sistemi di rete nazionali ed europei. Si pensi al sistema della distribuzione dell'energia a basso costo e del metano. La Sardegna è l'unica regione in Italia che non ha la possibilità di utilizzare il metano. Questo comporta evidentemente dei costi aggiuntivi, Pag. 8sia per quanto riguarda le imprese che per quanto riguarda le famiglie.
  Inoltre, la nostra regione è esclusa dal sistema autostradale nazionale ed è l'unica regione in Italia che non ha un'autostrada.
  Se poniamo a 100 l'indice infrastrutturale medio della nazione, intendendo per infrastrutture aeroporti, porti, viabilità e ferrovie, quello della Sardegna è pari a 50, cioè è la metà di quello nazionale.
  Se entriamo nel merito e andiamo a vedere, per esempio, qual è l'indice infrastrutturale rapportato al sistema della rete ferroviaria, scopriamo che in Sardegna questo è soltanto al 17,5, a fronte del 100 della media nazionale. Questo significa che la possibilità di spostarsi per i sardi, per chi viene in Sardegna e per le merci su ferro è evidentemente inferiore di circa 85 volte rispetto al resto della nazione.
  A questo aggiungiamo che non esiste una continuità territoriale vera dal punto di vista aereo, ma ci sono altissimi costi per quanto riguarda la continuità territoriale marittima, che ovviamente comportano ulteriori disagi, non soltanto di tipo economico, ma anche in termini di extraorario. È calcolato che lo spostamento da e per la Sardegna durante l'inverno, sia per le merci che per le persone, comporta un extraorario pari a sedici-diciassette ore, mentre nel periodo estivo si riduce a cinque-sei ore.
  Questo evidentemente giustifica i recenti studi – mi riferisco al rapporto di Fondazione Impresa – che affermano che la Sardegna è all'ultimo posto nella graduatoria nazionale per la possibilità di insediamento di attività produttive e per la possibilità di mantenere nel tempo le attività produttive insediate.
  A questo io aggiungo che la Sardegna sopporta il 68 per cento delle servitù militari nazionali, un peso che da tempo chiediamo di rivedere e di ricontrattare.
  Approfitto di questa occasione, trovandomi in un'assise di questo livello, per ribadire la totale indisponibilità della Sardegna, espressa in tutte le sedi e anche con un referendum specifico qualche anno fa, ad accogliere il sito di deposito di scorie nucleari, perché lo consideriamo a tutti gli effetti un ulteriore gravame del peso di servitù militare. C’è stato un no univoco degli enti locali, del consiglio regionale, della giunta, ma soprattutto del popolo sardo, che si è espresso con estrema chiarezza.
  Sotto questo profilo, se valutiamo cosa significa l'autonomia, il tema va riportato a una questione di diritti dei cittadini, prima ancora che ai rapporti tra livelli istituzionali diversi. L'autonomia merita, perciò, di essere declinata e valorizzata come strumento di parità di condizioni tra i cittadini italiani del continente e i cittadini dell'isola.
  A queste motivazioni vanno aggiunte quelle di carattere identitario. Da poco è stata riconosciuta l'identità linguistica. In questi giorni è all'attenzione del consiglio il parere sulla norma attuativa. Esiste, anche per motivazioni di carattere identitario, la necessità di specifiche politiche, che abbiano un livello regionale e locale.
  Non va trascurato il ruolo che le istituzioni autonomistiche hanno avuto dal riconoscimento delle autonomie dal 1948 a oggi. In Sardegna si è diffuso un fortissimo sentimento autonomistico. La regione è percepita oggi, in modo diffuso e condiviso, come istituzione esclusiva. Alla regione si riferiscono le autonomie locali e i cittadini, non soltanto per le politiche regionali, ma anche per quelle di carattere nazionale. La regione è l'interlocutore principale.
  Credo che il nostro sia l'unico caso in cui dalla nascita della ragione autonoma si è creato, con una fortissima rappresentanza, un senso identitario che fa oggi dei sardi un popolo a tutti gli effetti. Le istanze autonomistiche, con varie sfumature (federaliste, sovraniste e indipendentiste) sono in netta crescita, al contrario di ciò che è stato detto da qualcuno, che sostiene che le autonomie debbano essere cancellate, perché non esistono più quei movimenti autonomistici o indipendentisti che le avrebbero generate. È esattamente il contrario.
  In Sardegna cresce un fortissimo senso autonomista, proprio in relazione all'insufficiente facoltà di autodeterminazione, che viene vista come uno dei principali limiti allo sviluppo dell'isola.Pag. 9
  Pertanto, credo che l'autonomia regionale, nelle sue peculiarità, debba essere vista come il canale su cui incentrare le forze di riscatto politico e sociale dell'intera regione.
  È condivisa la convinzione secondo la quale, senza l'autonomia, le istanze dei sardi e la peculiarità della loro condizione rimarrebbero senza rappresentanza e ininfluenti rispetto al continente e a uno Stato che è sempre più attratto da politiche e interventi di carattere europeo e nazionale.
  Per queste ragioni, crediamo che la battaglia per il riconoscimento pieno dell'insularità a livello europeo debba essere fatta propria dal Governo nazionale. Sono anni che lo chiediamo. Abbiamo più volte sostenuto questa istanza. Crediamo che siano mature le condizioni perché questo tema venga proposto.
  Vengo alle risposte alle domande che sono state poste. In questo quadro, riteniamo che lo statuto sardo mantenga inalterato il significato che gli è stato attribuito fin dalla nascita e che evidentemente costituisce una vera e propria necessità.
  È evidente che lo statuto deve essere adeguato ai nuovi tempi e alle nuove condizioni. Crediamo che le norme di attuazione rappresentino assolutamente uno strumento utile e collaudato per questo adeguamento, fermo restando che le modifiche dello statuto debbono perseguire i dettati costituzionali.
  La mancanza delle norme di attuazione non può essere considerata un freno all'attuazione degli statuti. Oggi è evidente che spesso sono ragioni di altra natura che impediscono l'attuazione degli statuti.
  Mi riferisco – perché ne fate richiesta specifica nella domanda che ci viene posta – all'applicazione dell'articolo 8 dello statuto sardo, che regola i rapporti economico-finanziari tra lo Stato e la regione.
  Questo è un articolo che non ha necessità di norme attuative per essere messo in pratica. È sufficiente una legge statale. È talmente chiaro che bisogna semplicemente decidere in quale mese dell'anno devono essere trasferite le risorse, perché prevede le quote esatte che spettano alla regione.
  Nonostante l'accordo, ci sono voluti contenziosi di decenni perché, almeno in parte, si realizzassero le condizioni previste nell'accordo. È evidente che in questo caso il problema non è di ordine formale, ma di ordine sostanziale e che le ragioni politiche prevalgono sulle ragioni tecniche.
  Per quanto riguarda l'esperienza sin qui maturata, si suggerisce che per le norme di attuazione vadano rivisti in qualche maniera i meccanismi, affinché alcuni passaggi siano vincolanti e cadenzati, soprattutto in relazione all'obbligo di esame da parte del Consiglio dei ministri. Un altro fatto che si verifica spesso è che, dopo la definizione delle norme attuative, ci siano dei ritardi, dovuti alla rivalutazione delle stesse a livello ministeriale, e che queste non arrivino all'attenzione del Consiglio dei ministri per la loro ratifica.
  Per quanto riguarda il collegamento tra i rappresentanti della commissione paritetica e la Giunta che li nomina, si tratta evidentemente di un rapporto fiduciario. Ormai da anni, almeno a livello della regione Sardegna, il direttore generale della presidenza della regione fa parte della commissione paritetica e, quindi, rappresenta il collegamento diretto tra la politica e la commissione stessa.
  Il rapporto tra Giunta e Consiglio non ha mai visto scollamenti o ritardi nell'espressione del parere, che nel nostro statuto è previsto dopo l'approvazione delle norme attuative.
  Per ciò che concerne la clausola di salvaguardia, temiamo che sia più una norma dettata dalla necessità di procedere con celerità alla riforma del Titolo V della Costituzione e del sistema regionale piuttosto che una vera attenzione verso le autonomie.
  Questa cosa evidentemente ci preoccupa molto, perché noi riteniamo che le autonomie non siano superabili e che il percorso di revisione degli statuti vada interpretato correttamente. In questa fase, è necessario evitare ogni rischio di appiattimento, che porti a un annullamento delle Pag. 10caratteristiche peculiari contenute negli statuti, che garantiscono la specialità regionale.
  Come abbiamo già evidenziato nel documento presentato dall'assemblea dei coordinamenti delle regioni speciali e delle province autonome, l'attuazione degli statuti speciali può invece rappresentare una chance per l'intero fronte regionale. Le autonomie speciali intendono interpretarla in questa chiave.
  Noi crediamo che sia possibile, all'interno di una leale collaborazione e di una comune volontà di rafforzare e supportare le ragioni di fondo della specialità, sviluppare delle politiche specifiche e sperimentare delle buone prassi a livello regionale, che possano aiutare anche il resto del sistema regionale a svilupparsi.
  Per quanto riguarda le norme, noi, per nostra scelta, abbiamo accelerato alcune indicazioni che sono già applicabili alle regioni a statuto ordinario, per esempio l'omogeneizzazione degli ordinamenti contabili, senza attendere norme di attuazione, così come si è fatto in passato per la riduzione del numero dei consiglieri e l'abbattimento delle spese di funzionamento degli organi.
  Tuttavia, non si può accettare, pena la definitiva marginalizzazione politica, economica e sociale, che manchino le idonee politiche atte, non solo a compensare, ma anche a valorizzare la condizione di insularità e specificità del territorio.
  Rispetto alla proposta di un tavolo comune avanzata dall'onorevole Bressa, noi riteniamo che questo possa essere un utile momento di confronto, sempre che in questo percorso siano garantiti gli spazi e i differenti livelli di confronto, che sono appunto alla base delle diverse autonomie.
  La Sardegna intende interpretare e declinare la specialità come questione di sostanza. Quello che si attende non è tanto un adeguamento in sé della riforma costituzionale in esame al Parlamento, che non appare come obiettivo significativo di particolare incisività, ma piuttosto una valorizzazione e attualizzazione della specialità, che può essere, se opportunamente declinata, un valore aggiunto per l'intero regionalismo e per lo Stato. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente Ganau.
  Do la parola a Francesco Petronio, presidente della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la regione Sardegna, per lo svolgimento della sua relazione.

  FRANCESCO PETRONIO, Presidente della sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la regione Sardegna. Ringrazio il presidente e i presenti per l'attenzione che stanno dedicando all'opinione dell'istituto di controllo.
  L'intervento in questa sede da parte del rappresentante della sezione di controllo della Corte dei conti non può che focalizzarsi sui temi di competenza dell'istituto di controllo e rivolgersi alle questioni che hanno incidenza sul compito istituzionale affidatogli, la cui definizione può avere effetto sugli ambiti dell'attività finanziaria soggetta a controllo.
  In particolare, alcuni temi di fondo oggetto dell'indagine concernono l'ampiezza del ruolo da assegnare alle autonomie speciali, nell'ambito di una complessiva rivisitazione del modello autonomistico in atto. Queste valutazioni non rientrano nelle attribuzioni della Corte.
  Alcune questioni oggetto dell'odierna audizione sono state affrontate su un piano generale nella precedente audizione del 23 aprile scorso, alla quale si può fare rinvio.
  Per quanto concerne, invece, gli specifici profili attinenti alla regione Sardegna, le considerazioni che saranno svolte traggono origine dall'esperienza applicativa dello statuto e delle relative norme di attuazione e si basano sulle pronunce e sulle analisi elaborate dalla sezione regionale di controllo. Procediamo anche noi per quesiti.
  In merito all'attualità dell'attuazione dello statuto mediante decreti legislativi, il tema della perdurante validità dei decreti legislativi di attuazione, quale strumento Pag. 11per la realizzazione delle finalità degli statuti speciali, è stato oggetto di approfondita analisi nel corso delle precedenti audizioni, dalle quali è emerso che, a normativa costituzionale e ordinaria vigente, essi restano lo strumento ordinario di attuazione statutaria. Tale orientamento è suffragato dalla giurisprudenza costituzionale.
  La commissione paritetica è titolare di una speciale funzione di partecipazione al procedimento legislativo e, in quanto tale, costituisce un'essenziale raccordo tra la regione e il legislatore statale, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi indicati dallo statuto.
  In ogni caso, la possibilità di procedere all'attuazione dello statuto al di fuori dell'emanazione di norme di attuazione non è generalizzata e riguarda specifiche materie.
  In particolare, la disciplina dei rapporti finanziari tra lo Stato e la regione può essere regolamentata senza il ricorso alle norme di attuazione.
  Al riguardo, l'articolo 54 dello statuto della regione Sardegna prevede che le disposizioni recanti norme su finanze, demanio e patrimonio della regione possano essere modificate con legge ordinaria della Repubblica, su proposta del Governo o della regione, in ogni caso sentita la regione.
  La richiamata disciplina investe vari ambiti, tra i quali l'intero regime delle entrate regionali, che non necessitano per la loro riforma o revisione di intervento da parte della commissione paritetica.
  Tale percorso normativo semplificato non è tuttavia attuabile per altri vasti settori di disciplina delineati dallo statuto, per i quali l'unico strumento disponibile è quello delle norme di attuazione.
  L'attuazione dello statuto della regione Sardegna concerne alcuni ambiti normativi che direttamente interessano lo svolgimento dei compiti di controllo della Corte dei conti nella regione, di competenza della sezione regionale, già oggetto di normativa attuativa dello statuto.
  La relativa disciplina è contenuta in norme risalenti, che non rispecchiano l'evoluzione dei controlli, che ha avuto di recente un punto d'arrivo nel decreto-legge n. 174 del 2012.
  Si pone, quindi, la necessità di rivedere le norme vigenti sul controllo esterno, in quanto riflettono un modello ampiamente superato, che si incentra ancora sui controlli preventivi di legittimità sugli atti della regione, ormai desueti, mentre non considera una serie di aspetti innovativi contenuti nella disciplina più recente. La mancata adozione di specifiche norme, volte a rendere applicabili regole e metodologie attuali, potrebbe ostacolare il pieno raggiungimento degli obiettivi perseguiti dal controllo.
  In secondo luogo, si chiede se sia imputabile alla mancata adozione delle norme di attuazione la mancata attuazione dello statuto.
  Come è emerso in via generale nell'audizione della sezione autonomie della Corte dei conti, l'attuazione delle norme finanziarie è stata affidata ad accordi correlati con la manovra annuale di bilancio statale e ha avuto un costante aggiornamento, che non è stato altrettanto tempestivo ed efficace per le altre materie. È anche da soggiungere che la materia finanziaria fa premio sulle altre e, quindi, la difficoltà di disporre di risorse adeguate ha probabilmente frenato le spinte innovatrici negli altri ambiti statutari.
  Ne è risultata, nel complesso, la graduale compressione delle competenze riservate all'autonomia statutaria. Le norme per il coordinamento della finanza pubblica hanno imposto rilevanti limiti alla spesa pubblica e cogenti obblighi di rispetto di obiettivi finanziari.
  Una questione di fondo concerne gli effetti della modifica dell'articolo 117 della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, in quanto, alla luce dell'evoluzione del regionalismo, è venuto a modificarsi il modello delineato nella Costituzione e negli statuti, che si fondava sul conferimento alle regioni a statuto speciale di materie di competenza diverse per numero, e talvolta per estensione e contenuto, rispetto a quelle previste per le regioni a statuto ordinario.Pag. 12
  A seguito delle modifiche all'articolo 117 della Costituzione, generate dalla revisione del Titolo V, si è verificato un progressivo allineamento degli ordinamenti differenziati con riguardo alle regioni a statuto ordinario e al riparto delle competenze.
  Nel terzo quesito si chiede se la vaghezza delle disposizioni degli statuti può aver influito sulla mancata attuazione. Ci si riferisce in particolare alle vicende dell'attuazione dell'articolo 8 dello statuto della regione Sardegna, di cui ha parlato in precedenza il presidente Ganau, che è la norma finanziaria.
  In linea generale, si può ritenere che gli statuti, che costituiscono le norme di vertice che declinano l'insieme dei princìpi intesi a regolare l'ordinamento speciale e sono contenuti in norme di rango costituzionale, debbano, per loro stessa natura, contenere precetti di carattere generale e astratto e non una disciplina di dettaglio, che ne potrebbe irrigidire eccessivamente la portata.
  In particolare, la materia finanziaria è stata oggetto di notevoli turbolenze, che hanno prodotto di recente la costituzionalizzazione di princìpi in tema di bilancio, che rendono più stringenti le regole del coordinamento finanziario.
  La tendenza affermatasi negli ultimi anni è quella del costante ricorso all'emanazione di una legge statale preceduta da una fase concertativa. In un difficile contesto di finanza pubblica, ciò è dovuto all'esigenza di dare risposte tempestive alle pressanti istanze di coordinamento finanziario, ai fini del consolidamento dei conti pubblici e del rispetto dei vincoli comunitari.
  Le esigenze di riequilibrio complessivo della finanza pubblica hanno, quindi, generato la necessità di importanti manovre di riaggiustamento, non contenute esclusivamente nelle leggi finanziarie annuali, ma completate anche con reiterate decretazioni d'urgenza.
  In questo scenario in continuo divenire, anche i rapporti con le regioni ad autonomia differenziata hanno richiesto aggiustamenti più rapidi, che difficilmente potevano essere affidati allo strumento ordinario del decreto legislativo.
  La bontà dell'interpretazione dei criteri di riparto del gettito tra lo Stato e la regione è risultata controversa. In più occasioni è stata chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale, su iniziativa della regione.
  In particolare, sull'attuazione dell'articolo 8 dello statuto regionale, che enumera le entrate della regione Sardegna, essenzialmente costituite da devoluzioni tributarie, si è sviluppato nel corso degli anni un contenzioso tra la regione e lo Stato, di cui si riportano alcuni significativi passaggi. Nella relazione che deposito agli atti della Commissione viene riportata un'annosa vicenda, di cui salterei la trattazione andando direttamente alle conclusioni, che sono riportate in una sentenza della Corte costituzionale. Nel dipanarsi di tutte queste articolate vicende, non sono state attribuite alla regione tutte le quote di gettito tributario maturate nel territorio regionale. Ciò ha determinato un ulteriore incremento dei residui attivi.
  Il ritardo è in parte attribuibile alla circostanza che le quote di tributi spettanti alla regione sono quantificabili annualmente solo in via provvisoria, per l'impossibilità di conoscere entro il 31 dicembre l'ammontare esatto dei gettiti tributari riscossi o venuti a maturazione nel corso dell'esercizio.
  Con la sentenza n. 95 del 2013, la Corte costituzionale ha riconosciuto che negli anni successivi alla novella legislativa del 2006, dalla quale si è sviluppata tutta questa vicenda, le nuove previsioni hanno ricevuto puntuale attuazione sul versante delle spese, con la conseguenza che, a decorrere dalla scadenza del periodo transitorio (2009), gli oneri relativi a sanità, trasporto pubblico locale e continuità territoriale sono venuti a gravare sul bilancio della regione Sardegna.
  Invece, lo Stato non ha trasferito alla regione le risorse corrispondenti alle maggiori compartecipazioni al gettito dei tributi erariali, così come previsto dall'articolo 8 dello statuto, sostenendo che, per Pag. 13individuare esattamente l'ammontare dovuto, sarebbero occorse ulteriori norme attuative.
  La Corte ha affermato che l'andamento della cosiddetta «vertenza-entrate» denota significativi sviluppi in senso favorevole alle richieste della regione, dopo che il legislatore statale, nell'adottare le disposizioni per l'assestamento del bilancio per l'anno finanziario 2012, con la legge n. 182 del 2012, ha destinato circa un miliardo e trecento milioni di euro al fine di devolvere alla regione il gettito delle entrate erariali a essa spettanti in quota fissa e variabile.
  Pur in assenza dell'approvazione delle norme di attuazione, la regione ha provveduto autonomamente a quantificare la misura delle compartecipazioni regionali anche per l'esercizio 2013, rilevando inoltre che, con l'approvazione della legge di assestamento del bilancio statale, erano state stanziate le risorse destinate alle devoluzioni in favore della regione, in misura corrispondente al gettito stimato spettante alla regione stessa.
  In seguito ai versamenti effettuati dal Ministero dell'economia e delle finanze, l'ammontare dei residui attivi derivanti dalla vertenza-entrate, che si erano accumulati nel triennio 2010-2012, si è considerevolmente ridotto, passando da 1,3 miliardi a 406 milioni di euro.
  La formazione di nuovi residui tributari in esercizio 2013 per 913 milioni ha comportato che i residui complessivi tornassero ad ammontare a circa 1,3 miliardi. Nel 2013 il livello delle devoluzioni è risultato pari a 5,6 miliardi al lordo degli accantonamenti, confermando così il trend di crescita dei precedenti esercizi. Da quanto sopra, emerge che, a parte una quota di residui degli esercizi precedenti, l'annosa vertenza sull'ammontare delle entrate a fine esercizio 2013 sembrava avviarsi a risoluzione con riferimento al triennio 2010-2012. La successiva evoluzione è tuttora al vaglio della sezione di controllo, non essendo ancora stato emesso il giudizio di parificazione per l'esercizio 2014.
  È da segnalare, inoltre, che risultano in corso i lavori presso la commissione paritetica per la revisione delle norme di attuazione in materia di entrate regionali.
  Riprendiamo l'ordine dei quesiti. Siamo arrivati al quarto. Mi si chiede se ritengo che i meccanismi di funzionamento debbano essere rivisti, così come le procedure per la nomina e la sostituzione dei componenti.
  Si è già affrontato l'argomento nell'audizione della sezione autonomie della Corte dei conti, durante la quale si è rilevato come il meccanismo di attuazione degli statuti differenziati si pone oggi in termini diversi da quelli che il legislatore costituzionale aveva prefigurato.
  L'articolo 27 della legge n. 42 del 2009 (la legge-delega sul federalismo fiscale) pone una disciplina generale della forma pattizia quale modalità per la regolazione dei rapporti finanziari tra le autonomie differenziate e lo Stato, indicando la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome quale sede istituzionale di confronto tra Governo e autonomie.
  La Conferenza e i tavoli tecnici dovrebbero assolvere con procedimenti più semplici alle funzioni di partecipazione alla procedura di produzione normativa proprie delle commissioni paritetiche. Tuttavia, rivestono un più significativo ruolo di rappresentanza istituzionale.
  L'articolo 56 della legge costituzionale n. 3 del 1948 (lo statuto speciale della Sardegna) prevede l'istituzione di una commissione paritetica di quattro membri, nominati dal Governo e dalla regione. Con decreto del Ministro per gli affari regionali del 7 ottobre 2014, è stata da ultimo costituita la commissione attualmente in carica. La regione assegna a tale commissione un ruolo di fondamentale rilievo, sia nella regolamentazione del sistema di rapporti tra amministrazioni dello Stato e amministrazione regionale sia come supporto alle iniziative degli organi di governo della regione, nelle fasi di contrattazione per l'assegnazione di ulteriori funzioni e competenze alla regione stessa.Pag. 14
  Le attività svolte nel corso degli anni dalla commissione paritetica sono riepilogate nell'allegato 1, nel quale sono analiticamente elencati i decreti legislativi con le materie interessate. In un ulteriore allegato, sono elencate le proposte esitate dalla commissione, che però non hanno avuto ulteriore sviluppo, cioè non sono approdate nella produzione normativa.
  Allo stato delle notizie disponibili, risulta che sono in corso di esame da parte della commissione recentemente istituita problematiche nelle seguenti materie: svolgimento di funzioni di polizia ambientale e correlate risorse; trasferimento di funzioni in materia di continuità territoriale, aerea e marittima; tutela delle minoranze linguistiche.
  Per ciò che concerne quest'ultima materia, con nota del capo gabinetto del 18 maggio 2015, è stato richiesto il previsto parere del consiglio regionale sullo schema di norma di attuazione dello statuto speciale, per il trasferimento delle funzioni in materia di tutela della lingua e della cultura delle minoranze linguistiche e storiche della regione.
  Risultano, inoltre, all'esame della commissione una bozza di norma per l'istituzione del collegio dei revisori presso la regione e uno studio per l'attuazione dell'articolo 8 dello statuto in tema di entrate regionali.
  Si ricorda, infine, che il percorso di recepimento delle disposizioni in materia di controlli della Corte dei conti e, in particolare, della disciplina introdotta dal decreto n. 174 del 2012 risulta già in fase di esame presso le commissioni paritetiche in alcune regioni a statuto speciale.
  Per quanto riguarda la regione Sardegna, invece, non si è avuta notizia di iniziative legislative da parte della commissione paritetica in materia di controlli di competenza della Corte dei conti sugli atti e sulle gestioni della regione e degli enti locali, anche con riferimento al sistema dei controlli introdotto da oltre un ventennio con la legge n. 20 del 1994.
  Per i quesiti cinque e sei, mi rimetto a quanto ha detto il presidente Ganau, che ha diretta contezza di questi rapporti. Noi non ne abbiamo.
  Un altro quesito concerne l'incidenza della mancata attuazione delle norme statutarie sui rapporti finanziari tra lo Stato e la regione, nonché sugli aspetti relativi al contenzioso costituzionale in materia.
  L'esame delle pronunce della Corte costituzionale degli ultimi anni ha evidenziato che i profili di maggiore criticità nei rapporti tra Stato e regione riguardano principalmente: l'estensione delle materie riservate all'autonomia statutaria, in particolare quelle relative all'ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della regione e allo stato giuridico-economico del personale; la corretta definizione dei princìpi di coordinamento della finanza pubblica cogente in ambito regionale; la portata delle clausole di salvaguardia previste da singole e specifiche normative incidenti su profili di autonomia statutaria.
  Il legislatore statale ha espressamente demandato alle regioni ad autonomia speciale di adottare norme di attuazione dello statuto per l'esercizio dell'autonomia speciale garantita dalla Costituzione con riferimento alle clausole di salvaguardia.
  Anche la progressiva espansione delle cosiddette «materie trasversali» dopo la modifica del Titolo V della Costituzione ha avuto incidenza in questo quadro. Infatti, in tali materie è riservata allo Stato la normazione esclusiva o di principio e, quindi, possono emergere questioni di riparto di competenze. Ne è risultata nel complesso la graduale compressione delle competenze riservate all'autonomia statutaria.
  Accanto a specifici vincoli finanziari e organizzativi, il coordinamento della finanza pubblica si è di recente espresso attraverso il rinnovato sistema dei controlli, introdotto ai sensi del decreto-legge n. 174 del 2012.
  L'esigenza di un corretto ruolo di intervento della normativa di attuazione dello statuto autonomistico si manifesta in modo evidente nell'ambito della disciplina Pag. 15sul sistema dei controlli, che ha subìto una significativa evoluzione che le norme di attuazione non riflettono.
  La Corte costituzionale ha sempre ribadito che le normative che impongono vincoli di spesa devono fermarsi a un livello di carattere generale, essendo rimessa alla regione la scelta delle modalità con le quali raggiungere gli obiettivi finanziari stabiliti dal legislatore statale. In tal modo, le regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa, nei limiti in cui ciò è consentito dalle previsioni dell'ordinamento.
  Nella relazione sulla parifica del rendiconto 2013, la sezione ha rimarcato la necessità che, mediante l'adozione di norme di attuazione, vengano adeguatamente regolati gli spazi sempre più esigui nei quali risulta consentito l'esercizio di autonomia statutaria.
  Veniamo all'ultimo quesito, che riguarda l'atto Camera n. 2613. Ci si chiede come questa riforma in cantiere possa avere effetti sulle autonomie speciali.
  Indubbiamente il processo di revisione costituzionale disegna un contesto nel quale le prerogative autonomistiche delle regioni ordinarie potrebbero subire un ridimensionamento. Il mantenimento dell'esistente conferma le ragioni della specialità, che avevano avuto uno sviluppo di segno opposto con la riforma del 2001. Il previsto ridimensionamento delle funzioni assegnate alle regioni ordinarie potrebbe accentuare il divario con le regioni a statuto speciale. Tale vicenda lascia sullo sfondo la questione della permanenza delle ragioni della specialità. In linea di principio, essendo queste ragioni eterogenee in parte connesse a fattori storici, potrebbe risultare di interesse una rivisitazione dell'attualità di tali ragioni.
  Si potrebbe ipotizzare, a un primo approccio, una permanenza nel tempo di tali presupposti nel caso della Sardegna, in quanto l'autonomia differenziata ha trovato essenziale fondamento nell'insularità e nel contesto economico svantaggiato.
  Un'altra questione da affrontare riguarda la verifica dell'adeguatezza del rapporto tra risorse e funzioni, in quanto, essendo risalente il modello di fondo utilizzato per le devoluzioni tributarie, ed essendo intervenute pressanti esigenze di coordinamento della finanza pubblica, la questione potrebbe meritare nuova considerazione.
  In un ampio processo di riallocazione delle funzioni tra i diversi livelli di governo, risulta essenziale la verifica dei raccordi tra funzioni, fabbisogni e risorse assegnate.
  Pertanto, pur permanendo le ragioni dell'autonomia differenziata, potrebbe essere rilevante una rivalutazione attuale, dapprima sul modello delle funzioni conferite in considerazione delle finalità da assegnare in via esclusiva alle regioni speciali, e quindi sul modello di finanziamento.
  Resta ferma la necessità di assicurare alle regioni a statuto speciale, per quanto possibile e nell'ambito del concorso al risanamento della finanza pubblica, certezza e stabilità di gettito, con riferimento anche alle funzioni a esse intestate sulla base delle norme di attuazione degli statuti.
  Infine, è da notare che il testo della riforma in discussione rinvia la possibile applicazione alle autonomie differenziate di quanto previsto dal nuovo Titolo V della Costituzione a future modifiche degli statuti speciali, previa intesa con le regioni e le province autonome interessate.
  Si delinea in tal modo un inedito procedimento pattizio, che attribuisce alle regioni speciali una partecipazione al procedimento di modifica statutaria esteso agli aspetti di carattere finanziario, all'esito del quale potrebbe venire riconfigurato il modello complessivo delle autonomie differenziate, adeguandolo nei contenuti all'evoluzione del regionalismo e coordinandolo con i nuovi princìpi della Costituzione finanziaria. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Petronio. Poiché abbiamo solo qualche minuto, in quanto alle 9,30 sono convocati sia la Camera che il Senato, chiedo ai colleghi di formulare delle domande brevi.Pag. 16
  Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ROBERTO COTTI. È in discussione al Senato un disegno di legge volto al recepimento della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie. Qualcuno ha espresso il timore che, se eleviamo troppo il livello della tutela minoritaria, ciò possa costare troppo allo Stato.
  Io ho notizia che, per quanto riguarda la Sardegna, sarebbe la regione stessa a doversi far carico dei costi della tutela delle lingue minoritarie, ovvero del sardo e del catalano per Alghero. Vorrei sapere se è chiaro chi si deve far carico di questi costi. Questo ci aiuterebbe a far approvare più celermente il recepimento della Carta, senza che la tutela sia troppo bassa.
  Il presidente Ganau ha parlato del problema del deposito delle scorie radioattive. Nella legislazione sono previste per la regione autonoma della Sardegna alcune competenze in ordine all'ambiente. C’è stato un referendum e c’è anche una legge che vieta l'importazione di rifiuti. Vorrei sapere se questo tema è stato affrontato anche dalle Commissioni paritetiche, oppure solo nei pronunciamenti del Consiglio regionale. Vorrei sapere se c’è un'opposizione anche dal punto di vista legislativo, con procedure riguardanti l’iter di individuazione del deposito delle scorie, per il quale la Sardegna forse avrebbe dovuto essere esclusa già da prima, senza aspettare gli ultimi passaggi.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Ganau per la replica.

  GIANFRANCO GANAU, Presidente del consiglio regionale della Sardegna. La Sardegna già sostiene dei costi per la promozione e la tutela della lingua. Evidentemente, una parte di questi costi sono dei trasferimenti statali che devono arrivare alla Sardegna come funzione. Tutto quello che viene trasferito come funzione avviene in compartecipazione regionale, ma una parte è oggetto della contrattazione e del trasferimento.
  Per quanto riguarda le scorie nucleari, c’è stato un referendum, che con il 98 per cento di voti favorevoli ha escluso ogni possibilità di introduzione di materiale radioattivo e, quindi, ha dichiarato denuclearizzata la Sardegna.
  Dopodiché, ci sono stati pronunciamenti degli enti locali e del consiglio regionale, il quale a più riprese ha ribadito la propria indisponibilità ad accogliere il deposito nazionale di scorie.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente Ganau.
  Ricordo ai colleghi che l'indagine conoscitiva continuerà mercoledì 28 giugno alle ore 8,30 con le audizioni del presidente della regione Sardegna, Francesco Pigliaru, e della professoressa Ilenia Ruggiu, membro della commissione paritetica.
  Ringrazio gli intervenuti per le loro relazioni e per i contributi scritti che hanno voluto dare alla Commissione, che saranno oggetto di approfondimento anche ai fini della predisposizione del documento conclusivo dell'indagine conoscitiva.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.